• Non ci sono risultati.

L'art. 11 d.lgs. 74/2000 specificazione di un precetto universale: garantirai l'adempimento delle tue obbligazioni con i tuoi beni presenti e futuri.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'art. 11 d.lgs. 74/2000 specificazione di un precetto universale: garantirai l'adempimento delle tue obbligazioni con i tuoi beni presenti e futuri."

Copied!
144
0
0

Testo completo

(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

L’art. 11 d.lgs. 74/2000 specificazione di un precetto

universale: garantirai l’adempimento delle tue

obbligazioni con i tuoi beni presenti e futuri.

RELATORE:

Chiar.mo Prof. Adriano Martini

CANDIDATA:

Francesca Bertini

(2)

A mia mamma,

all’abbraccio mancato, ai suoi occhi fieri ma assenti, alla stella che porta il suo nome e che brilla forte nel cielo.

(3)

INDICE

INTRODUZIONE 3

CAPITOLO I PRESERVARE LE GARANZIE PATRIMONIALI DEL DEBITO VERSO L’ERARIO ATTRAVERSO LA MINACCIA PENALE: UNA BREVE RICOSTRUZIONE STORICA Par. 1 – Introduzione: la tutela penale delle garanzie del credito tributario ... 8

Par. 1.1 – L’evoluzione normativa dell’art. 11 d.lgs. 74/2000: il “delitto di frode nell’esecuzione esattoriale” ... 11

Par. 1.2 – Il “delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte” ex art. 11 d.lgs. 74/2000 secondo le direttive della legge delega n. 205/1999 ... 18

Par. 1.3 – La “Manovra correttiva del 2010” ... 28

CAPITOLO II – GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL DELITTO DI SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO DELLE IMPOSTE Par. 2 - La natura del reato e il bene giuridico oggetto di tutela ... 34

Par. 2.1 - I soggetti attivi ... 43

Par. 2.2. - La condotta ... 65

Par. 2.3 - L’idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione ... 83

Par. 2.4 - La soglia di punibilità ... 88

Par. 2.5 – L’elemento soggettivo: il dolo specifico ... 98

(4)

CAPITOLO III – CONFRONTO CON ALTRE FATTISPECIE DI REATO: L’INSOLVENZA FRAUDOLENTA E LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA

Par. 3 - Tutela dell’integrità patrimoniale del debitore: confronto tra sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, insolvenza fraudolenta e bancarotta fraudolenta ... 109 Par. 3.1 – Clausola di riserva: contrasti giurisprudenziali sul possibile concorso tra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e il reato di bancarotta fraudolenta ... 119

CONCLUSIONI 127

BIBLIOGRAFIA 129

(5)

INTRODUZIONE

Per rendere il momento di redazione della tesi, non solo, come il passaggio necessitato a conclusione del mio percorso universitario, ma soprattutto come un’occasione di crescita e di ampliamento delle mie conoscenze giuridiche, anche nella prospettiva della prossima attività professionale che vorrei intraprendere, mi sono focalizzata sull’intersezione di due materie, il diritto tributario ed il diritto penale, verso le quali mi sono sempre rivolta con grande entusiasmo.

L’intento è stato, quindi, quello di approfondire un tema di cui ho compreso e riscontrato – nel lavoro svolto durante l’esecuzione del semestre anticipato di pratica forense – la rilevanza nel suo impatto applicativo, ossia il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, disciplinato all’art. 11 del d.lgs. 74/2000.

In particolare, hanno suscitato il mio interesse di approfondimento le numerose problematiche, interpretative ed applicative, che tale reato ha suscitato negli anni e le riforme succedutesi del sistema penale – tributario che hanno cercato di superarle, così da trasformare la fattispecie all’interno del panorama dei delitti tributari da completamente marginale a rilevante.

Per questo, mi sono concentrata, in primis, sullo studio dell’evoluzione normativa per poi focalizzare l’analisi dei singoli elementi costitutivi del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte evidenziandone, analiticamente, i profili che prestano il fianco alle maggiori problematiche interpretative.

L’attuale formulazione della norma di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, calca le proprie radici già dagli anni Trenta e rappresenta il momento finale dell’evoluzione del suo antecedente, costituito dall’art. 97, comma 6 del dP.R. n. 602/1973 (denominato quale delitto di “frode

(6)

presenta come un reato proprio del contribuente moroso per la cui configurabilità si richiedeva solo la sussistenza di due elementi: (i) una morosità qualificata del soggetto agente – prima individuata nell’omesso pagamento di sei rate consecutive e poi nell’omesso versamento di tutte o dell’unica rata di un medesimo ruolo- (ii) la verificazione dell’evento di danno, ovvero l’impedimento della riscossione coattiva, a seguito della realizzazione di condotte fraudolente poste in essere successivamente al realizzarsi della suddetta mora.

Con la riforma n. 413/1991 si assiste ad una prima grande trasformazione della fattispecie attraverso l’introduzione di alcune modifiche tra le quali, in particolar modo, la sostituzione del presupposto della morosità con l’intervento preventivo dell’amministrazione finanziaria e la previsione di una soglia di punibilità, con riferimento al debito d’imposta, volta a limitare quantitativamente l’offesa penale.

La norma però, a causa della sua complessità strutturale, rimase inapplicata.

Ecco allora l’importante riforma del sistema penale tributario del 2000 (d.lgs. 74/2000), che andrà a sostituire la suddetta – precedente - fattispecie con quella di “sottrazione fraudolenta al pagamento delle

imposte”, che subirà ancora delle modifiche con la “manovra correttiva del 2010” (D.L. 78/2010).

Con la riforma del 2000 il reato mostra un’evoluzione con l’anticipazione della tutela penale: da reato “di danno”, per la cui configurazione si richiedeva necessariamente la realizzazione dell’evento di danno (ossia l’inefficacia della riscossione coattiva), si trasforma in reato “di pericolo concreto” dove l’evento di danno viene sostituito dalla mera idoneità, ex ante, della condotta fraudolenta a

(7)

rendere in tutto o in parte inefficace la riscossione coattiva indipendentemente dalla sua effettiva attivazione e dal risultato1. Tuttavia, nonostante siffatto aspetto di “anticipazione” della tutela penale, in conformità alla volontà del Legislatore del 2000 (riscontrabile, in particolare, nella legge delega prodromica all’emissione del d.lgs. n. 74/2000), volta a prevedere l’intervento penale quale extrema ratio, viene escluso dalla rilevanza penale il mero inadempimento dell’obbligazione tributaria: questo, in modo da limitare l’azione penale alle sole condotte, estrinsecantesi nel compimento di negozi giuridici tra parti private, che possano ritenersi fraudolente e che, dunque, abbiano potenziali effetti negativi sulla procedura di riscossione coattiva, incidendo sulla consistenza patrimoniale del debitore.

In particolar modo vengono individuate, quali penalmente rilevanti, le condotte consistenti non solo in “altri atti fraudolenti” – come dettato dalle direttive della legge delega n. 205/1999 - ma anche in “alienazioni simulate” – prospettando così una loro possibile censurabilità sotto il profilo della legittimità costituzionale (ex art. 76 Cost.), per poi però giustificarle laddove gli si attribuisca il ruolo di specificazione della nozione di “altri atti fraudolenti”- .

Trattasi di profilo che, all’atto pratico della sua applicazione, ha generato numerose problematiche interpretative, segnate – tutte – dal denominatore comune di individuare con esattezza quali condotte connotate da una “potenzialità depauperatoria” e con finalità di frode verso l’Erario e la procedura di riscossione a sua tutela, possano in effetti andare ad integrare il reato in questione.

1

In punto di portata pratica del reato e suoi effetti sugli atti e negozi giuridici passibili di integrarne i presupposti, la giurisprudenza ha formato, negli anni, un orientamento ondivago fatto di pronunce contenenti anche principi contrastanti tra di loro: su di questi – ed in particolare sulla declinazione applicativa dell’illecito, sulla base della sua definizione di stampo giurisprudenziale – l’elaborato proporrà un’analisi specifica.

(8)

In tale contesto e per siffatta finalità, ha assunto notevole rilevanza la valutazione dell’elemento soggettivo che, nel caso di specie, è rappresentato dal dolo specifico che consiste nella volontà di compiere uno o più atti determinati, con la peculiare finalità di impedire o comunque ostacolare l’esecuzione del Fisco2

. Non solo.

L’analisi che ho eseguito sulla fattispecie ne ha voluto valutare gli impatti (non solo e non tanto sotto i versanti penale e tributario, ma anche) dal punto di vista del diritto civile.

È stato con il supporto e grazie alla guida del Relatore, prof. Martini, che sono riuscita ad inquadrare il tema entro una dimensione giuridica più ampia e di una tradizione normativa più antica.

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte si inserisce, infatti, nel filone normativo volto alla tutela dell’integrità patrimoniale del debitore – quale garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.- ed alla sua protezione dalle condotte fraudolente e sottrattive che si pongono ad ostacolo dell’eventuale riscossione coattiva del credito. Per questo, dopo aver esaminato il reato ed i suoi elementi, ho impostato la mia analisi in un’ottica più ampia cercando di evidenziarne le analogie e le differenze con altri illeciti, operanti in contesti similari a quelli per i quali l’art. 11 può essere invocato. In particolare, ho confrontato il reato in esame con il reato di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 261 l.f. e con il reato di insolvenza fraudolenta di cui all’art. 641 c.p. cercando di delineare la diversa concezione di fraudolenza richiesta da ciascuna fattispecie e le diverse

2 Per completezza, a fronte dell’elemento soggettivo che richiede lo sforzo interpretativo all’atto di applicazione della norma, vi è da dire che ne “bilancia” i confini un altro presupposto che caratterizza l’integrazione del reato, ossia la soglia di punibilità ivi prevista (pari a Euro 50.000). Il Legislatore ha difatti stabilito un limite minimo che, convenzionalmente, rappresenta l’equivalente economico del disvalore sociale della condotta posta in essere. L’illecito penale si realizza al superamento di siffatta soglia, mentre, in ipotesi di verificazione di fattispecie astrattamente sussumibili nell’orbita applicativa della disposizione, questa non assume rilievo penale in caso di valore economico inferiore del debito fiscale.

(9)

modalità operative utilizzate per tutelare l’integrità patrimoniale seppur con riferimento a crediti di diversa natura.

Di particolare interesse è stata, dipoi, l’analisi del rapporto tra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta.

Sino alla riforma del 2010, attuata, specificamente, con D.L. n. 78, vi era una clausola di riserva posta ad apertura della prima delle suddette fattispecie (i.e., art. 11 d.lgs. 74/2000), che ne consentiva l’applicazione “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.

In base a tale clausola si riteneva che nel caso in cui la fattispecie concreta fosse riconducibile ad entrambi i paradigmi punitivi - ovvero ogni qualvolta gli atti fraudolenti fossero stati compiuti da un imprenditore fallito - si dovesse procedere con l’applicazione della fattispecie punita più severamente, ovvero la bancarotta fraudolenta, così da scongiurare la configurabilità di un concorso di reati tra le due fattispecie.

Con l’eliminazione di tale clausola dal 2010, si è ovviamente prospettata la possibilità di una configurazione del concorso tra reati portando con sé problemi interpretativi a riguardo sia da parte della dottrina che della giurisprudenza.

Di qui, l’opportunità di una disamina di dettaglio dell’art. 11 in ogni sua sfaccettatura applicativa, con il fine di comprenderne importanza e rilievo, non solo, all’interno del diritto penale-tributario nazionale, ma anche e soprattutto nell’ordinamento in generale, con specifico riferimento all’antica tradizione normativa posta a disciplina della tutela dell’integrità patrimoniale del debitore.

(10)

CAPITOLO I

Preservare le garanzie patrimoniali del

debito verso l’erario attraverso la minaccia

penale: una breve ricostruzione storica.

Sommario: Par.1 - Introduzione: la tutela penale delle garanzie del credito tributario; Par. 1.1 - L’evoluzione normativa dell’art. 11 d.lgs. 74/2000: il “delitto di frode nell’esecuzione esattoriale”; Par. 1.2 - Il “delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte” ex art. 11 d.lgs. 74/2000 secondo le direttive della legge delega n.205 /1999; 1.3 - La “Manovra correttiva del 2010”

1 - Introduzione: la tutela penale delle garanzie del credito tributario

È evidente che l’effettivo incasso delle risorse finanziarie virtuali rappresentate dal credito tributario conclamato rappresenti il momento finale, di chiusura, di un ciclo, indispensabile a rendere efficace il prelievo rispetto ai bisogni pubblici che quelle risorse sono destinate ad alimentare. È del pari noto come il creditore abbia come garanzia del proprio avere il patrimonio del debitore. Ne deriva l’esigenza di preservarne la consistenza, anche predisponendo la minaccia penale nei confronti di chi esperisca manovre volte ad impoverirne i contenuti ed a rendere, in tutto o in parte, vana ogni iniziativa che il creditore

(11)

tributario possa porre in atto per ottenere la soddisfazione forzosa del proprio diritto.

Invero, sarebbe vano concepire strumenti punitivi, anche particolarmente incisivi, per chi ometta agli obblighi di dichiarazione (della propria capacità fiscale e della conseguente imposta dovuta), intesi come doveri di autodeterminazione della misura del corretto prelievo fiscale, laddove si rendesse priva di effetto ogni manovra volta a rendere comunque impossibile la riscossione di quanto dichiarato come dovuto.

Il ruolo rivestito dalla norma oggetto di questo studio non è dunque quello di completare lo strumentario punitivo, sia pure colmando un vuoto, ma piuttosto quello di rendere le altre disposizioni incriminatrici efficaci ed effettive.

La disposizione che provvede, nel sistema giuridico attuale, ad assolvere a tale esigenza è, come noto, l'art. 11 del d.lgs. 74/2000, che rappresenta, a sua volta, il punto di arrivo di una tradizione normativa repressiva più antica di altre: come vedremo, infatti, l'idea del ricorso alla sanzione penale per punire chi si sottrae in tal modo al pagamento dei propri debiti è molto radicata.

Basti pensare al delitto di insolvenza fraudolenta ed a quello, ben più severamente punito, di bancarotta fraudolenta.

Il primo, disciplinato ex art. 641 c.p., punisce con la reclusione fino a due anni, qualora l’obbligazione non sia adempiuta, chiunque contragga un’obbligazione con l’intenzione iniziale di non adempierla, dissimulando il proprio stato d’insolvenza.

Il secondo, disciplinato ex art. 216 (bancarotta fraudolenta) e 217 (bancarotta semplice) della legge fallimentare (regio decreto n.267/1942) 3, punisce con la reclusione tutte quelle condotte poste in essere da un imprenditore fallito che con coscienza e volontà o con

3A seguito dell’emanazione del “nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (D.L. 14/2009), dal prossimo agosto 2020 il reato di bancarotta troverà una nuova regolamentazione agli art. 322 e 323 del predetto codi

(12)

colpa abbia causato un danno ai creditori depauperando il patrimonio dell’impresa medesima, con iniziative non giustificabili con il fisiologico esercizio dell’attività commerciale e volte ad aggravare il proprio stato di insolvenza.

Tali disposizioni, parimenti all’art. 11 d.lgs. 74/2000, si propongono di garantire la tutela dell’integrità patrimoniale del debitore rispetto a determinati comportamenti sottrattivi di esso, ma rivolgendosi a tipologie di crediti diverse.

L’insolvenza fraudolenta, si può dire, rappresenta la fattispecie di portata più generale, si rivolge infatti alla generalità dei crediti che intervengono tra i rapporti privati.

La bancarotta si rivolge di nuovo ai rapporti tra privati pur circoscrivendoli a specifiche fattispecie, che sono quelle che involgono l’attività dell’impresa e i rapporti conclusi nell’ambito della stessa da parte dell’imprenditore verso i propri creditori e aventi causa.

Più specificatamente, la bancarotta disciplina le obbligazioni, poste in essere da un soggetto in qualità di imprenditore che si trovi in una situazione di insolvenza, di crisi di impresa, con la finalità di disincentivare contegni artatamente lesivi degli interessi dei fornitori dell’azienda.

L’art. 11 d.lgs. 74/2000, oggetto di questa tesi, si inserisce proprio in questo solco normativo che ha il proprio scopo nella conservazione della garanzia patrimoniale, questa volta però rispetto ad un creditore pubblico, ovvero l’Erario.

(13)

1.1 - L’evoluzione normativa dell’art. 11 d.lgs. 74/2000: il “delitto

di frode nell’esecuzione esattoriale”

La fattispecie delittuosa di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, così come descritta dall’art.11 del d.lgs. n.74/20004

, non rappresenta altro che l’evoluzione normativa della fattispecie prevista all’art. 97, comma 6, dP.R. n. 602/1973 denominata “frode

nell’esecuzione esattoriale”5 .

La sua origine storica, però, è da individuare in un’altra fattispecie più antica sancita all’art. 30 del r.d. n. 608/1931 - testo unico delle disposizioni concernenti le dichiarazioni dei redditi e le sanzioni in materia di imposte dirette – che puniva già con la reclusione fino a tre mesi, il contribuente inadempiente per sei rate successive di imposta diretta, che al fine di sottrarsi al pagamento di tale imposta, poneva in essere degli atti fraudolenti sui propri o sugli altrui beni rendendo inefficace in tutto o in parte l’esecuzione forzata promossa dall’esattore6

.

4Art. 11, comma I, d.lgs. 74/2000: “E' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

5NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano,2000 pag.192. Il delitto di frode nell’esecuzione esattoriale insieme all’ “omesso versamento” (ex art. 2 comma 2 l.516/1982) rappresentavano le uniche fattispecie criminose che, all’epoca, si interessavano alla fase del pagamento dell’imposta, dal momento che si inserivano in un contesto volto soprattutto a colpire le condotte meramente preparatorie dell’evasione, secondo il modello del “reato prodromico”, con la sostanziale differenza però, che il delitto di frode “si trattava di una previsione normativa sotto certi aspetti specularmente inversa al reato di omesso versamento di ritenute: nel senso, cioè, che essa muoveva da un approccio criminologicamente corretto, in quanto non colpiva il puro e semplice inadempimento dell’obbligo tributario, ma richiedeva una componente fraudatoria nella sottrazione a quest’ultimo”.

6 CADOPPI A., CANESTRARI S., MANNA A., PAPA M. Diritto penale dell’economia. T. II-II – TOMO PRIMO, Terza Edizione 2016, Capitolo XVI – i delitti di fraudolenta sottrazione al pagamento di imposte di Stefano Del Signore, in Leggi d’Italia- La mia Biblioteca, pag. 1304

(14)

Pertanto, la disposizione dell’art.11 d.lgs. 74/2000 non rappresenta in realtà una novità nel panorama normativo italiano, ma si tratta di una disposizione già nota da più di un secolo.

Il primo strumento noto per la repressione penale del fenomeno appariva strutturato su due elementi principali:

1. Che il debitore risultasse moroso al pagamento di almeno sei rate consecutive di imposta;

2. Che avesse manipolato in modo fraudolento il proprio patrimonio, al fine di evitare la esazione forzosa di quanto dovuto, dopo il verificarsi di suddetta mora;

Si può dire che, alla luce della sua più antica applicazione, si trattava di una normativa la cui forza repressiva era molto meno violenta ed imperniata sul requisito di una situazione specifica di morosità del contribuente. La fattispecie, infatti, puniva con soli tre mesi di reclusione gli eventuali atti fraudolenti che fossero stati compiuti, sui propri beni, dal contribuente che doveva versare in una situazione di inadempienza per sei rate successive di imposta. Non era sufficiente quindi, una generica morosità riconosciuta in capo al soggetto attivo, ma l’inadempienza richiesta dalla fattispecie doveva protrarsi per uno iato temporale significativo (sei rate successive di imposta), così da escludere tutte quelle condotte fraudolente che fossero state poste in essere prima di quella specifica morosità, magari dopo il mancato pagamento di una sola rata di imposta.

Per questo, ai fini della configurabilità della fattispecie in questione, si richiedeva prima il necessario accertamento della situazione specifica di morosità del contribuente e, solo dopo verificato tale presupposto, si poteva procedere con il secondo consistente nel compimento di atti fraudolenti, sui propri beni, di contegno sottrattivo.

Proseguendo nel nostro excursus storico, il sopracitato art. 30 r.d. 608/1931, in attuazione della delega legislativa conferita dall’art. 63 l. 5 gennaio 1956 n.1, venne trasfuso nell’art. 261 del testo unico delle

(15)

leggi sulle imposte dirette approvato con il dP.R. 29 gennaio 1958, n.645.

Con la modifica attuata nel 1958, il mancato pagamento di sei rate consecutive d’imposta, che fino a quel momento aveva funto solo da presupposto per la configurabilità del sopracitato reato, divenne (per un ammontare complessivo predeterminato non inferiore a 12.000 lire) anche un’ipotesi di reato contravvenzionale al primo comma dell’art. 261 dP.R. n. 645/1958 punito con la sola ammenda da lire 1000 a lire 20.0007.

Il delitto di sottrazione fraudolenta, o meglio inteso all’epoca come “frode nell’esecuzione esattoriale”, rimase invece intatto al quarto comma dello stesso articolo8, nonostante una diversa dicitura, e per questo fuorviante, su alcuni suoi elementi, quali ad esempio il requisito della morosità.

Più precisamente, il quarto comma, ricorreva alla pena della reclusione fino a tre mesi per il contribuente “incorso in morosità” che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte dovute, “abbia compiuto” sui propri o sugli altrui beni atti fraudolenti che rendessero “in tutto o in parte inefficace l’esecuzione esattoriale.

Inizialmente, basandosi sull’utilizzo del tempo verbale al passato “abbia compiuto”, si sosteneva che la norma avesse introdotto una nuova e diversa fattispecie di reato volta a colpire il contribuente moroso anche nell’ipotesi in cui, gli atti fraudolenti, fossero stati posti in essere anteriormente al verificarsi della morosità9.

7

Art. 261, comma I, dP.R. n.645/1958: “il mancato pagamento di sei rate consecutive di imposte per un ammontare complessivo non inferiore alle lire 12.000 è punito con l’ammenda da lire 1000 a lire 20.000” in Normattiva.it

8 Art. 261, comma IV, dP.R. n.645/1958: “Il contribuente incorso in morosità che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte dovute, abbia compiuto sui propri o sugli altrui beni atti fraudolenti che rendano in tutto o in parte inefficace l’esecuzione esattoriale è punito con la reclusione fino a tre mesi, senza pregiudizio delle sanzioni previste dai commi precedenti”.

9

NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano,2000 pag. 19

(16)

Circoscrivere l’esatto ambito applicativo della disposizione è tutt’ora un problema aperto e lo fu, specialmente, negli anni di prima applicazione della normativa, dove si trattò di comprendere quale fosse il suo reale ambito di tipizzazione, soprattutto in riferimento alla collocazione diacronica degli atti fraudolenti rispetto all’insorgenza ed evoluzione del debito tributario.

Ciò nonostante, la Corte Costituzionale e il Supremo Collegio confermarono, sulla questione, il proprio orientamento interpretativo concludendo per la piena identità tra la precedente e la nuova fattispecie di reato, poiché il verificarsi dello stato di morosità del contribuente (i.e. omesso pagamento delle sei rate consecutive), continuava ad essere l’unico e solo presupposto della condotta criminosa, escludendo dall’area della rilevanza penale gli atti fraudolenti che venissero compiuti precedentemente al verificarsi della suddetta morosità10.

La norma incriminatrice venne poi, trasferita nell’antecedente più recente dell’art 11 del d.lgs. N.74/2000, ovvero nel già citato sesto comma dell’art. 97 del dP.R. n.602 del 1973 che, nella sua versione originaria, era così formulato: “il contribuente incorso in morosità che,

al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte dovute, abbia compiuto sui propri o sugli altrui beni atti fraudolenti che rendono in tutto o in parte inefficace l’esecuzione esattoriale è punito con la reclusione sino a tre anni”11 .

La norma incriminatrice continuava quindi, ad essere strutturata come fattispecie propria del contribuente moroso e descriveva il delitto nella

10NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano,2000. Cfr. C.Cost. 29 aprile 1971, n. 93: “È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto d'intervento, depositato il 12 luglio 1969, sostenendo che l'art. 261, comma quarto, del t.u. non ha modificato la previsione dell'art. 30 del r.d. n. 1608 del 1931 e che, quindi, resta sempre ferma, come condizione di punibilità, la preesistente mora per sei rate successive di imposta, chiede che la proposta questione venga dichiarata non fondata”; Cass. 4 marzo 1981, Morelli; Cass. 8 ottobre 1970, Ferzetti.

11Cfr. DPR 29 settembre 1973 n. 602 “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito” art. 97, in IPSOA.

(17)

stessa maniera dell’art. 261 del dP.R. n. 645 del 1958, mutando solamente il presupposto della condotta che veniva a configurarsi, non più nell’omesso pagamento di sei rate consecutive, ma nell’omesso versamento di tutte o dell’unica rata di un medesimo ruolo12

.

La norma però, al pari delle precedenti, risultò fin da subito di difficile applicazione in merito alla concreta verifica dei suoi presupposti applicativi, ovvero la situazione di morosità del contribuente ed il compimento di atti fraudolenti posti in essere successivamente al verificarsi della mora.

In particolare, il presupposto della mora, nella sua nuova dizione di “omesso versamento di tutte o dell’unica rata di un medesimo ruolo”, prestava il fianco ad un possibile aggiramento della norma: risultavano infatti del tutto prive di rilevanza penale, le condotte depauperative che il contribuente adottava, ai danni del Fisco, nell’intervallo di tempo che intercorre dal sorgere dell’obbligazione tributaria all’iscrizione al ruolo delle somme dovute e il verificarsi della morosità qualificata13. Tali difficoltà indussero il legislatore, con l’art. 15 l. 30 dicembre 1991 n. 413 ad apportare alcune modifiche al sesto comma dell’art. 97 del dP.R. n. 602/1973 così da configurare la seguente fattispecie: “il

contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, sopratasse e pene pecuniarie dovuti, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche, o sono stati notificati gli inviti e le richieste previste dalle singole leggi di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o sugli altrui beni che hanno reso in tutto o in parte

12Confrontando la diversa dizione del primo comma dell’art. 97 D.p.r. 602/73 -“Per il mancato pagamento di tutte o dell’unica rata di un medesimo ruolo quando il relativo ammontare è superiore alle lire 500.000 si applica la pena pecuniaria da lire 300.000 a lire 1.800.000”- con quella del primo comma del precedente art. 261 D.p.r. 645/58 -“il mancato pagamento di 6 rate consecutive di imposte per un ammontare complessivo non inferiore a lire 12.000 è punito con l’ammenda da lire 1.000 a lire 20.000”- possiamo agilmente desumere il diverso presupposto della condotta incriminatrice che viene quindi ad identificarsi nell’omesso versamento di tutte o dell’unica rata di un medesimo ruolo”.

13

Cfr. NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano,2000 pag. 193.

(18)

inefficace la relativa cartella esattoriale, è punito con la reclusione sino a tre anni. La disposizione non si applica se l’ammontare delle somme non corrisposte non è superiore a lire 10 milioni”14.

Da un primo confronto letterale del nuovo testo con quello precedente alla riforma, possiamo evidenziare come fossero stati apportati alcuni significativi cambiamenti:

1. venne eliminata l’espressione “incorso in morosità”;

2. furono inseriti, oltre alle imposte dovute, anche gli “interessi,

sopratasse e pene pecuniarie” al cui pagamento il

contribuente intendeva sottrarsi con il compimento dell’atto fraudolento sui propri o altrui beni.

3. venne aggiunto l’inciso “dopo che sono iniziati accessi,

ispezioni e verifiche o sono stati notificati gli inviti e le richieste previste dalle singole leggi di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo”;

4. venne inserita una soglia minima di punibilità pari a 10 milioni di lire per le imposte a cui il contribuente intendeva sottrarsi. Da un’analisi più dettagliata, ne deduciamo in primis che con l’eliminazione dell’espressione “incorso in morosità” la riforma andava a svincolare la fattispecie da ogni riferimento alla morosità del contribuente, elemento che in passato aveva creato delle difficoltà applicative.

Rimanendo, però, il richiamo alle “imposte dovute”, la fattispecie continuava a riferirsi a imposte definitivamente accertate, ma con l’inserimento di due nuovi presupposti, id est la soglia quantitativa di punibilità e il preventivo intervento dell’amministrazione tributaria cercando di delineare quali condotte fraudolente acquisissero rilevanza penale.

La fattispecie si rivolgeva quindi a tutte quelle condotte del contribuente, marcatamente lesive dell’interesse erariale, che venivano

(19)

in essere a seguito dell’esercizio di attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo da parte dell’Amministrazione, in altre parole dopo che il contribuente era stato reso edotto della volontà erariale di recuperare il proprio credito d’imposta.

In secondo luogo, tali condotte, connotate dal carattere fraudolento e dal dolo specifico di sottrazione al pagamento delle imposte, risultavano penalmente rilevanti solo se il debito tributario a cui intendeva sottrarsi il contribuente eccedeva la soglia minima di punibilità fissata in10 milioni di lire.

E non solo, essendo la norma configurata come reato di danno, la condotta risultava penalmente rilevante se, oltre ai presupposti appena descritti, avesse poi reso “in tutto o in parte inefficace la relativa

cartella esattoriale”, fosse riuscita cioè a realizzare effettivamente il

danno erariale consistente nell’esito infruttuoso della procedura di riscossione coattiva.

Al contrario, se ne escludeva la punibilità ogni volta in cui la procedura di esecuzione coattiva avesse comunque permesso all’Amministrazione di recuperare il proprio credito.

In sintesi, la norma andava a delineare, quale condotta penalmente rilevante, quella compiuta da qualunque contribuente in presenza di tre presupposti:

1. La preventiva attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo da parte dell’Amministrazione;

2. Il superamento della soglia di punibilità di 10 milioni di lire; 3. L’esito infruttuoso della procedura di riscossione.

Le suddette caratteristiche, seppur apprezzabili sul piano astratto di politica criminale, ne hanno inesorabilmente segnato il fallimento. “La necessità del verificarsi di un evento, quale l’esito infruttuoso

della procedura di esecuzione coattiva, e la limitata rilevanza penale alle sole ipotesi in cui il contribuente fosse espressamente reso edotto della probabilità di controlli fiscali, hanno determinato la sostanziale

(20)

disapplicazione della norma, col risultato di lasciare di fatto impunite le volontarie diminuzioni patrimoniali comportanti la sottrazione al pagamento di imposte” 15.

In altre parole, nonostante le successive modifiche, la norma rimase sostanzialmente inapplicata proprio per l’elevata complessità strutturale della fattispecie stessa che:

1. da un lato, andava ad escludere tutte quelle condotte fraudolente che fossero state poste in essere precedentemente al compimento di qualsiasi atto di controllo dell’Amministrazione finanziaria;

2. dall’altro lato, subordinava la rilevanza e la punibilità penale delle condotte fraudolente al conseguente esito infruttuoso dell’esecuzione esattoriale, lasciando così impunite tutte quelle condotte sottrattive poste in essere dal contribuente, con la stessa finalità delittuosa, ma che non comportassero il danno erariale16.

Le incertezze sul piano della tutela che ne conseguivano hanno indotto il legislatore a tornare sul tema con un nuovo intervento riformatore, culminato con la introduzione dell’art 11 del d.lgs. n. 74/2000.

1.2- Il “delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle

imposte” ex art. 11 d.lgs. 74/2000 secondo le direttive della legge

delega n.205 /1999

La scarsa applicazione della norma prevista dall’art. 97 del dP.R. 602/1973, nella sua formulazione risultante a seguito della modifica operata dall’art.15 L.413/1991, indusse il legislatore ad intervenire per

15

VAGNOLI E., Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, cit., in Rassegna Tributaria n. 4 del 2004 pag. 1317.

16 Così MUSCO E. e ARDITO F., Diritto penale tributario, nota pag.330; in questo senso CARACCIOLI I., Le novità della “Manovra” in ambito penale tributario, in Riv. Dir. Tributario, 2011, III, 4; LANZI A. e ALDROVANDI P., Diritto penale tributario, CEDAM, Padova, 2014, pag. 306

(21)

sostituirla con una nuova fattispecie, volta a rendere più efficace la lotta al depauperamento del patrimonio del contribuente-debitore. Tale fattispecie si è inserita all’interno della più ampia riforma dell’intero assetto del diritto penal-tributario, attuata sulla base delle direttive di cui all’art. 9, L. delega n. 205/1999, e contenuta nel d.lgs. n. 74/2000 e, più precisamente, trova la sua disciplina all’art. 11 di quest’ultima norma.

È ben noto che il decreto legislativo è un atto del Governo, avente forza di legge, che rientra tra le ipotesi peculiari di formazione legislativa da parte della medesima istituzione (i.e., Governo) e che comporta l’intervento di ben tre organi costituzionali: in primis, il Parlamento, con la legge di delegazione del potere legislativo; poi, appunto, il Governo con l’adozione del decreto legislativo contenente la disciplina di dettaglio collegata alla precedente legge delega; infine, il Presidente della Repubblica con il controllo di costituzionalità e conseguente promulgazione del decreto.

In conformità all’art. 76 Cost.17

, il potere legislativo può difatti essere demandato al governo, attraverso una legge formale approvata dal Parlamento (la legge delega o legge delegata) la quale deve individuarne, pena la sua illegittimità, i principi e i criteri direttivi, nonché l’oggetto ed i tempi, necessariamente limitati e definiti, che dovranno orientare l’attività normativa dell’Esecutivo. Tale meccanismo di controllo preventivo del Parlamento, altro non è che uno strumento che si pone in linea con le esigenze di garanzia postulate dal principio di riserva di legge di cui all’art. 25 Cost.18

. Nel caso che ci occupa – ossia nell’ambito della riforma del sistema penale tributario datata 2000 che si pone come un “tentativo nobile e

17 Art. 76 Cost.: “L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.

18 Art. 25 Cost.: "Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.

(22)

serio di legiferare in una materia tanto importante” 19– il Parlamento,

con la legge n. 205 del 25 giugno del 1999, intitolata “Delega al governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario”, conferì all’Esecutivo il potere legislativo secondo i principi e i limiti sanciti, come si è anticipato, all’art. 9 20della stessa.

19

Cfr. MARTINI A., Frode, menzogna e disobbedienza. Volti nuovi e antichi del diritto penale tributario riformato, 2016, in www.lalegislazionepenale.eu, cit. pag. 3. 20 Art. 9 legge 25 giugno 1999, n. 205 “Delega al governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario”, in Normattiva: “1. Il Governo è delegato ad emanare, entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, procedendo all'abrogazione del titolo I del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, e delle altre norme vigenti incompatibili con la nuova disciplina.

2. Il decreto legislativo sarà informato ai seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, punite con pena detentiva compresa tra sei mesi e sei anni con esclusione del ricorso a circostanze aggravanti ad effetto speciale, caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell'erario e dal fine di evasione o di conseguimento di indebiti rimborsi di imposta, aventi ad oggetto:

1) le dichiarazioni annuali fraudolente fondate su documentazione falsa ovvero su altri artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione con 2) l'emissione di documenti falsi diretti a consentire a terzi la realizzazione dei fatti indicati nel numero 1);

3) l'omessa presentazione delle dichiarazioni annuali e le dichiarazioni annuali infedeli;

4) la sottrazione al pagamento o alla riscossione coattiva delle imposte mediante compimento di atti fraudolenti sui propri beni o altre condotte fraudolente; 5) l'occultamento o la distruzione di documenti contabili;

b) prevedere, salvo che per le fattispecie concernenti l'emissione o l'utilizzazione di documentazione falsa e l'occultamento o la distruzione di documenti contabili, soglie di punibilità idonee a limitare l'intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi;

c) prevedere che le soglie di cui alla lettera b) siano articolate in modo da: 1) escludere l'intervento penale al di sotto di una determinata entità di evasione, indipendentemente dai valori dichiarati;

2) comportare l'intervento penale soltanto quando il rapporto tra l'entità dei componenti reddituali o del volume di affari evasi e l'entità dei componenti reddituali o del volume di affari dichiarati sia superiore ad un determinato valore; 3) comportare, in ogni caso, l'intervento penale quando l'entità dei componenti reddituali o del volume di affari evasi raggiunga, indipendentemente dal superamento della soglia proporzionale, un determinato ammontare in termini assoluti;

4) prevedere nelle ipotesi di omessa dichiarazione una soglia minima di punibilità inferiore a quella prevista per i casi di infedeltà;

d) prevedere sanzioni accessorie adeguate e proporzionate alla gravità delle diverse fattispecie, desunta in particolare dalle caratteristiche della condotta e della sua offensività per gli interessi dell'erario;

e) prevedere meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno; f) prevedere la non punibilità di chi si sia uniformato al parere del comitato

(23)

In particolare, il Parlamento rimetteva all’Esecutivo il compito di: 1. riproporre il ricorso alla sanzione penale come extrema ratio.

Questo avrebbe dovuto avvenire: (i) sia, restringendo l’ambito delle fattispecie incriminatrici a quelle caratterizzate da un intento evasivo, o comunque finalizzate all’ottenimento di un indebito risparmio di imposta e per questo maggiormente idonee ad offendere gli interessi dell’erario; (ii) sia prevedendo delle soglie di punibilità, in relazione all’ammontare dell’imposta evasa, volte a circoscrivere la rilevanza penale della condotta posta in essere al superamento o meno delle stesse (soglie).

2. rendere omogenea la disciplina penale tributaria con quella rinvenibile dai principi generali di diritto penale: ciò, sotto molteplici aspetti, tra i quali la prescrizione degli illeciti o ancora il principio di specialità, in riferimento al rapporto tra illecito penale ed illecito amministrativo.

Ad avviso della migliore dottrina, i principi della legge delega avrebbero costituito « un chiarissimo programma politico- criminale

che persegue un apprezzabilissimo obiettivo: rompere con il passato della penalizzazione a tappeto, fondato su figure di reato prodromiche all’evasione e rivoluzionare il sistema, riportandolo nell’alveo del diritto penale minimo, lesivo di beni giuridici di consistenza afferrabile e rispettoso del principio di offensività, oltre che di

consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, istituito ai sensi dell'articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413;

g) uniformare la disciplina della prescrizione dei reati a quella generale, salvo le deroghe rese opportune dalla particolarità della materia penale tributaria; h) individuare la competenza territoriale sulla base del luogo in cui il reato è stato commesso, ovvero, ove ciò non fosse possibile, del luogo in cui il reato è stato accertato;

i) prevedere l'applicazione della sola disposizione speciale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa;

l) coordinare le nuove disposizioni con il sistema sanzionatorio amministrativo, in modo da assicurare risposte punitive coerenti e concretamente dissuasive”.

(24)

sussidiarietà e frammentarietà. Un diritto penale tributario, insomma, fatto ad immagine del diritto penale” 21.

Il delitto oggetto di questa analisi trova origine proprio nelle direttive dettate dalla legge di delegazione in ordine ai contenuti delle future fattispecie incriminatrici per la cui formulazione di dettaglio il Parlamento si rimetteva al Governo.

Nello specifico, l’art. 9, comma 2, lettera a) n. 4 della legge n. 205/1999 demandava al governo la formazione di una norma incriminatrice avente ad oggetto “la sottrazione al pagamento o alla

riscossione coattiva delle imposte mediante compimento di atti fraudolenti sui propri beni o altre condotte fraudolente”.

Pertanto il Governo introdusse all’art. 11 d.lgs. 74/2000 la nuova fattispecie di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” così descritta: “ Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con

la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad Euro 51.645,69 aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altri beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”22.

Individuato come sopra il momento formativo della norma in rassegna, merita soffermarsi, adesso, sulla modalità di ottemperanza, da parte dell’Esecutivo, alla Legge delega ed in particolare sul rispetto dei suoi principi, e dei limiti ivi stabiliti, nel coniare la fattispecie di reato. In altre parole, stante il principio di riserva di legge che permea la materia penale, preme valutare se e in che modo, nel delineare l’illecito in parola, il Governo si sia uniformato alla legge delega ed ai “confini”, ivi predisposti, ai fini della disciplina della nuova fattispecie.

21

MUSCO E., ARDITO F., Diritto penale tributario, Zanichelli 2016, pag. 18; 22Articolo di MASSELLA DARIO, in Altalex, 4 marzo 2011

(25)

Il primo problema che si pone è considerare come la delega, indicando un “bisogno di criminalizzazione”, non approfondisca in ordine alle soluzioni da adottare rispetto alle problematiche che gli strumenti normativi antecedenti avevano posto all’interprete.

In buona sostanza, se la precedente versione della norma implicava lo scarso ricorso alla stessa, stante la complessità del suo profilo operativo, con la delega in discorso, l’intento del Legislatore era un altro – per certi versi opposto: ossia quello di coniare una fattispecie duttile, idonea a rinforzare la tutela erariale in modo da rendere effettiva l’azione deterrente. Tuttavia, non è stata fornita un’esplicazione sufficientemente chiara in merito alla portata dei concetti contenuti nella stessa delega e alle modalità con le quali superare le difficoltà applicative della precedente fattispecie; più in particolare, l’approfondimento non è stato sufficiente con riferimento alle locuzioni inerenti gli “atti fraudolenti” e le “altre condotte

fraudolente” che avrebbero comportato l’integrazione dell’illecito,

lasciando così ampio spazio – criticabile - al Governo circa la formulazione della nuova fattispecie.

Ciò ha dato vita a non poche problematiche, per il Governo, nel dare dettaglio ai suoi contorni applicativi. Da un primo confronto tra legge delega e norma delegata, infatti, si nota che quest’ultima abbia fatto un’applicazione solo parziale dei principi indicati dal legislatore; ciò, in particolar modo, per quello che riguarda l’oggetto dell’illecito in esame. L’intenzione parlamentare era invero quella di colpire la “sottrazione al pagamento o alla riscossione coattiva delle imposte” prevedendo così due possibili ipotesi di punibilità; il Governo si è invece determinato per qualificare come rilevante la mera sottrazione alla riscossione coattiva, escludendo del tutto la punibilità dell’inadempimento delle imposte. Tuttavia, a ben vedere, la scelta di Governo si pone in linea con la ratio della legge delega, nonché con l’ulteriore prescrizione ivi contenuta di punire le sole condotte

(26)

gravemente offensive e caratterizzate da un accentuato disvalore, per arrivare a ricorrere alla sanzione penale solo come estremo rimedio. Non solo. Se si analizzano le condotte considerate penalmente rilevanti, il legislatore delegante faceva riferimento solo al compimento di atti o altre condotte fraudolente, mentre invece il legislatore delegato vi ha inserito anche “l’alienazione simulata”. Alcuni autori23, hanno considerato, tale inserimento censurabile sotto il profilo della sua legittimità costituzionale (art. 76 Cost.), per poi però giustificarlo laddove gli si attribuisca il ruolo di specificazione della nozione di “altri atti fraudolenti” ex art. 11 d.lgs. 74/2000.

In altre parole, la previsione dell’ulteriore condotta di alienazione simulata viene giustifica per il ruolo che questa svolge all’interno della fattispecie incriminatrice. Per circoscrivere il concetto di “altri atti

fraudolenti”, per cui il nostro ordinamento non prevede alcuna

definizione precisa, il legislatore delegato si è servito del concetto di “simulazione” in modo da dotare la locuzione di sufficiente determinatezza, specie agli effetti applicativi della norma: in tal maniera, vengono ricondotti al concetto di “fraudolenza” non tutti gli atti che comportino un depauperamento del patrimonio del soggetto attivo, ma solo quelli dotati di capacità “ingannatoria” e che, al pari della simulazione, siano in grado di creare una falsa rappresentazione della realtà - in questo caso della capienza del patrimonio del debitore-. In conclusione, quindi, l’introduzione dell’alienazione simulata tra le condotte penalmente rilevanti, la si spiega per il suo carattere esemplificativo nei confronti degli atti fraudolenti (la stessa relazione governativa al d.lgs. 74/2000 la designa come “esempio

paradigmatico” di condotta fraudolenta).

23 Tra tutti D’AVIRRO M., D’AVIRRO A., GIGLIOLI M., Reati tributari e sistema normativo europeo, CEDAM, 2017 con nota di ZANOTTI R. e di NAPOLEONI pag. 487

(27)

Il riferimento al concetto della “simulazione”, per circoscrivere e consentire l’applicazione pratica, alla luce di parametri certi, della norma penale, evidenzia però delle criticità.

In particolare, viene da chiedersi quanto sia logico incriminare questo tipo di condotta – i.e., la commissione di negozi simulati – quando invece il medesimo istituto, vale a dire la simulazione, è qualificato come lecito all’interno del diritto civile ed in particolare dall’art. 1414 c.c. e seguenti.

La simulazione, come si rammenterà, è un istituto mediante il quale le parti decidono di porre in essere un contratto o in generale un negozio giuridico (c.d. apparente) con l’accordo che il medesimo non produca alcun effetto o ne produca di diversi rispetto a quelli ordinari. Lo scopo è quello di creare una situazione giuridica apparente del tutto diversa da quella reale.

Ovviamente, al ricorrere di simili ipotesi, l’ordinamento si preoccupa di tutelare i diritti dei terzi, che possono essere pregiudicati dal compimento di negozi simulati; a tal riguardo, l’art. 1415, comma 2 c.c. prevede che: “I terzi possono far valere la simulazione in

confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti” (a titolo

esemplificativo, si pensi ai creditori del simulato alienante che possono vedersi diminuire la propria garanzia). Inoltre, sempre per portare a liceità il negozio giuridico posto in essere, la disciplina civilistica richiede che il contratto abbia una causa lecita ancorché simulato tra le parti.

Se si analizzano gli elementi ora citati, ossia la tutela dei terzi e la necessaria causa lecita alla base del contratto, e li si raffrontano alla ratio della fattispecie criminosa in esame, si possono comprendere le ragioni della scelta del legislatore delegato, di considerare i negozi simulati quali possibili contegni “fraudolenti”, rilevanti ai fini della valutazione della sussistenza del reato. Invero, nel caso di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, l’alienazione simulata che

(28)

viene posta in essere dal contribuente ha, a priori, una causa illecita, dal momento che alla base vi è la volontà del soggetto di sottrarsi al pagamento delle imposte ed ottenere così un risparmio illecito delle stesse. Non solo, ma in questo caso il terzo che si vedrebbe pregiudicare i propri diritti è un soggetto particolarmente “qualificato”, trattandosi dello Stato e, con esso, dell’interesse pubblico alla corretta esazione per impiegare le risorse così ottenute a beneficio della collettività.

Dopo questa premessa, segue una sintetica analisi, che verrà meglio approfondita nel prossimo capitolo, circa le novità apportate con la nuova formulazione dell’art. 11, d.lgs. 74/2000.

Come già anticipato, l’intento del legislatore era quello di superare le complessità strutturali della precedente normativa e di rendere più efficace la lotta all’evasione.

Pertanto con la nuova fattispecie, il legislatore, ha cercato di eliminare i “punti deboli” che avevano caratterizzato la normativa precedente e così pur mantenendo lo stesso fatto tipico (una condotta materiale consistente in un’attività fraudolenta volta a diminuire il patrimonio del contribuente) e lo stesso dolo specifico (il fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario), ha eliminato il presupposto del preventivo intervento dell’amministrazione finanziaria e l’evento di danno (la vanificazione della riscossione coattiva) che doveva necessariamente susseguire alla condotta.

Con queste modifiche, il legislatore ha anticipato la rilevanza penale della condotta trasformando così la fattispecie da reato di danno a reato di pericolo concreto 24. Difatti, ai fini della punibilità della condotta

24Trasformazione confermata dalla Corte di Cassazione: cfr. Cass. Pen., 22 aprile 2009, n. 25147, in Officina del diritto., pag. 124: “La nuova fattispecie delittuosa, costituisce <<reato di pericolo>> e non più di <<danno>> e l’esecuzione esattoriale, quindi, non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare, ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità̀ della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione, idoneità̀ da apprezzare con giudizio ex ante”.

(29)

non si richiede più il danno erariale – consistente nell’inficiare la procedura di riscossione coattiva in atto-, ma un pericolo concreto ovvero la mera idoneità ex ante “a rendere in tutto o in parte inefficace

la procedura di riscossione, indipendentemente poi dai successivi

sviluppi.

E per essere “idonea” (la condotta) non solo dovrà essere caratterizzata da una “potenzialità depauperatoria” 25, ma dovrà apportare all’Erario un danno superiore alla somma prevista dalla soglia di punibilità 26 (pari a 51.645,69 Euro) e dovrà essere compiuta dal debitore con la “volontà di evitare sia l’azione del fisco, sia analoghe procedure

esecutive di altri creditori”27 ,in altre parole si richiede la volontà del debitore ad ottenere un illecito risparmio di imposta.

L’anticipazione dell’intervento sanzionatorio si giustifica se si considera che la disposizione, oltre a proteggere l’interesse statale alla effettiva riscossione dei tributi, è volta, parimenti, ad impedire che il contribuente diminuisca le garanzie patrimoniali poste a presidio del debito tributario28.

Ed è proprio su questa linea che, a mio avviso, deve essere apprezzata la fattispecie: questa viene introdotta dal legislatore per rafforzare la lotta all’evasione ed è ben noto che questa la si combatte non solo rafforzando gli strumenti per la riscossione, ma, e direi soprattutto, garantendo la non diminuzione della garanzia patrimoniale dei creditori ex art. 2740.

25

IZZO G., Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in Il Fisco n.23 del 5 giugno 2000, pag.7554

26Al riguardo NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano,2000 pag. 198: “In ordine alla concreta strutturazione di tale soglia, va rilevato come l’ambito applicativo della norma incriminatrice risulti limitato, stanti i confini generali della riforma, alle sole imposte sui redditi o sul valore aggiunto” 27MUSCO E., ARDITO F., Diritto penale tributario, Zanichelli 2016, cit. pag. 345 28CONSORTI C., Se il contribuente è un commercialista la prova del dolo specifico è implicita nel reato di sottrazione fraudolenta, in Corriere tributario, n.45 del 2013, pag. 3581; Cfr. Cass. Sez. III Pen., n.14720 del 2008.

(30)

1.3 - La “Manovra correttiva del 2010”

La Manovra del 2010, ovvero il D.L. 31 maggio 2010 n.78 (poi convertito in L.30 luglio 2010 n.122) contenente “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, con il quarto comma dell’art. 29 ha “riformulato in chiave più

severa”29 l’art. 11 del d.lgs. 74/2000 disciplinante il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, senza modificarne la natura del reato e il bene giuridico protetto 30.

Non solo, inserendo un secondo comma all’art. 11 d.lgs. 74/2000, ha inoltre introdotto una nuova fattispecie delittuosa c.d. “il falso nella transazione fiscale” la cui punibilità si rivolge a comportamenti meramente dichiarativi, consistenti nella presentazione di una falsa documentazione ai fini della transazione fiscale.

Proprio per le caratteristiche dichiarative della suddetta condotta, la nuova fattispecie, come si vedrà meglio in seguito, non è accostabile a quella di cui al comma I e per questo deve essere considerata del tutto autonoma e diversa dalla prima.

In altre parole, mentre nell’ipotesi tradizionale di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è punita l’attività materiale sottrattiva della garanzia patrimoniale offerta al Fisco al fine di ostacolare la procedura esecutiva, nella fattispecie introdotta - al secondo comma dell’art.11 - nel 2010 è punita la condotta consistente nella presentazione di documenti rappresentanti una falsa situazione patrimoniale diretti ad ingannare l’amministrazione nella definizione transattiva del debito tributario.

Le novità riguardanti il primo comma dell’art 11 sono le seguenti:

29Articolo di MARSELLA D., 4 marzo 2011, in Altalex 30

GAMBOGI G., La frode nella transazione fiscale: elementi costitutivi e criticità, in Il Fisco 2013, 25- parte 1, 3860.

(31)

1. L’arrotondamento per difetto della soglia di punibilità, originariamente prevista, da Euro 51.645,69 a Euro 50.00031 2. L’introduzione di un’aggravante punita con la pena della

reclusione da uno a sei anni, anziché da sei mesi a quattro anni, per l’ipotesi in cui “l’ammontare delle imposte, sanzioni ed

interessi è superiore ad euro 200.000”32

3. La soppressione della clausola di riserva (“salvo che il fatto

costituisca più grave reato”) con la conseguente possibilità di

configurazione del concorso con il delitto di bancarotta fraudolenta.

Per comprendere al meglio, le problematiche seguenti all’eliminazione della suddetta clausola, risulta necessario effettuare alcune precisazioni.

Nella relazione ministeriale al d.lgs.74/2000 si specificava che la clausola si “riferisce soprattutto all’ipotesi in cui il fatto risulti

riconducibile al paradigma della bancarotta fraudolenta patrimoniale” di cui all’art. 216, comma I, n.1), r.d. 16 marzo 1942,

n.26733. Quindi, tale clausola svolgeva la funzione di disciplinare i rapporti con il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale che, essendo punito molto più severamente, doveva ritenersi applicabile, a scapito dell’art.11, nei casi in cui si veniva a realizzare un reato più

31Al riguardo D’AVIRRO M., D’AVIRRO A., GIGLIOLI M., Reati tributari e sistema normativo europeo, CEDAM, 2017, pag. 526: “La cifra di Euro 51.646,69, derivava, ovviamente, dalla conversione automatica avvenuta nel passaggio dalla lira all’euro. Per quel che conta, la nuova soglia risulta opportunamente più chiara nell’ambito di una fattispecie in cui la soglia di punibilità costituisce un elemento costitutivo del reato: il suo superamento deve, dunque, non solo essere accertato dal giudice, ma – ancor prima- deve essere percepito dall’agente al momento della condotta”

32

PALMA P., Novità legislative introdotte dal D.L. 31 maggio 2010, n.78 in materia di reati fiscali, in Il Fisco, 2010, 44 – parte 1, 7141: “Si tratta di un’aggravante ad effetto speciale, che prevede una cornice edittale autonoma rispetto alla pena base, di natura oggettiva, concernendo la gravità del pericolo per l’Erario di minori entrate, in presenza di un credito tributario consistente.”)

33 MUSCO M. e ARDITO F., Diritto penale tributario, Zanichelli 2016, pag.347: L’art 216, comma I, n.1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 punisce l’imprenditore dichiarato fallito che “ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio al creditore, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”.

(32)

grave, quindi ogni qualvolta il fatto incriminato fosse stato commesso da un imprenditore commerciale o da amministratori o liquidatori di società successivamente dichiarati falliti, ovvero sottoposti ad altra procedura concorsuale. In altre parole, ogni qualvolta la condotta fraudolenta fosse stata finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso o da questo seguita, la distrazione operata a danno del Fisco era riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 della legge fallimentare34.

Venuta meno la clausola di riserva, ovviamente si è aperta la possibilità di un concorso tra i due reati con conseguente dibattito giurisprudenziale circa la configurabilità di un concorso formale per la ritenuta sussistenza di un rapporto di specialità bilaterale o di un concorso apparente di norme penali con la conseguente applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p.

Quanto all’introduzione della nuova fattispecie di reato c.d. “il falso

nella transazione fiscale”, il secondo comma dell’art.11 del d.lgs.

74/2000, recita così: “È punito con la reclusione da sei mesi a quattro

anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Con questa nuova previsione, si viene ad ampliare il catalogo dei delitti tributari, poiché si tratta di una fattispecie che si differenzia in maniera sostanziale da quella disciplinata al primo comma del medesimo articolo.

34Tra gli altri D’AVIRRO M., D’AVIRRO A., GIGLIOLI M., Reati tributari e sistema normativo europeo, CEDAM, 2017 pag. 527; MUSCO M. e ARDITO F., Diritto penale tributario, Zanichelli 2016, pag.347; Al riguardo NAPOLEONI, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano,2000 pag.208

(33)

Infatti, mentre il delitto di sottrazione fraudolenta è volto a punire le condotte idonee a rendere inefficace la riscossione coattiva delle imposte, la fattispecie in questione è volta a reprimere “il

comportamento truffaldino del contribuente” che, ingannando

l’Amministrazione finanziaria sulla determinazione del proprio reddito imponibile, si avvale dell’istituto della transazione fiscale ottenendo un pagamento parziale dei tributi e dei relativi accessori, con conseguente danno erariale35.

La profonda differenza dei beni giuridici tutelati dalle due fattispecie, giustifica la loro trattazione separata. Il delitto di cui al primo comma, tutela l’integrità della garanzia patrimoniale offerta al Fisco proiettando solo sullo sfondo l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi e dei relativi accessori che invece diviene oggetto di tutela da parte del delitto di cui al secondo comma proiettando invece sullo sfondo il corretto funzionamento della procedura transattiva. In altre parole il bene giuridico protetto dalla fattispecie di “frode nella transazione fiscale” si individua nella percezione delle imposte e dei relativi interessi determinati in sede di transazione fiscale, senza che quest’ultima risulti viziata dalla condotta ingannatoria del contribuente36.

Per integrare il reato si richiede, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico consistente “nel fine di ottenere per sé o per altri un

pagamento parziale dei tributi e relativi accessori”, quindi un indebito

risparmio d’imposta e sotto il profilo materiale, l’indicazione nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale di elementi attivi di valore inferiore a quello effettivo o di

35SANTORIELLO C., Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e falso in transazione fiscale, in Fisco, 2011, 16- parte 1, 2529.

36MUSCO M. e ARDITO F., Diritto penale tributario, Zanichelli 2016, pag.349; Tra gli altri D’AVIRRO M., D’AVIRRO A., GIGLIOLI M., Reati tributari e sistema normativo europeo, CEDAM, 2017 pag. 532.

Riferimenti

Documenti correlati

Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze Dott..

(i cui i soci erano gli stessi della società debitrice fiscale), approvato dall'assemblea dei soci con delibera 26.10.2011 e registrato con atto notarile a

La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell'agente è stata sottolineata dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 272171) che, nell'ambito di una

Di conseguenza, perché siano integrati gli elementi costitutivi della fattispecie inerì mi natrice basta unicamente che la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte

429 del 1982, è parso peraltro necessario differenziare, costruendole come delitti autonomi, le ipotesi in cui la falsa dichiarazione si fondi su fatture o altri documenti

 “In tema di reati tributari la costituzione di un fondo patrimoniale integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in quanto è atto

Altre spese applicabili ai servizi di pagamento (Il costo complessivo di queste operazioni è dato dall'importo sottostante più l'eventuale spesa di registrazione dell'operazione

Di recente, la stessa Corte, con la sentenza n. del 22 aprile 2009), ha affermato che l’alienazione di un bene immobile a terzi, costituiti in società, il cui legale