Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti - N.00 del 02.07.2010
1 Pubblicato su “La Repubblica” del 16 settembre 2010 GLI IMPEDIMENTI E L’INTERIM
Alessandro Pace
Nonostante gli autorevolissimi solleciti del Presidente della Repubblica, del Ministro dell’Economia, del Presidente della Confindustria e dei leader delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, il Presidente Berlusconi non si decide ancora a concludere l’interim, durato oltre quattro mesi, e a proporre al Capo dello Stato il nome del nuovo Ministro dello Sviluppo economico.
Non è quindi irrilevante, dal punto di vista istituzionale, che ci si chieda se questo interim, durato ben oltre lo stretto necessario (una settimana o due), si sia posto, «nei fatti», in flagrante contraddizione con la tesi, sostenuta dallo stesso on. Berlusconi, dai suoi avvocati, dal Ministro della Giustizia e dai maggiorenti del PDL, secondo la quale le competenze del Premier sarebbero ormai, nel nostro ordinamento, tali e tante da non lasciargli il tempo per poter presenziare ai processi celebrati nei suoi confronti per gravissimi reati comuni.
Contro questa tesi la Corte costituzionale ha però statuito nel 2004, nella sentenza relativa al lodo Schifani, e ha ribadito nel 2009 nella sentenza sul lodo Alfano che allo stato attuale del nostro ordinamento costituzionale l’esercizio delle funzioni di Premier non costituisce - né può costituire - legittimo impedimento per la celebrazione di un processo a suo carico, quando il reato contestato sia un reato «comune» (un reato che chiunque potrebbe compiere) e non un reato posto in essere nell’«esercizio delle proprie funzioni». Ed altrettanto aveva statuito, nel 1997, la Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Clinton v. Jones, con riferimento alle ben più gravose incombenze costituzionalmente conferite al Presidente della maggiore potenza mondiale.
Ma gli argomenti della Corte costituzionale e della Corte Suprema erano – e sono – argomenti giuridici. Vale a dire: essi servono a spiegare «in diritto» perché mai, ancorché la presenza ad alcune udienze costituisca un indubbio intralcio agli impegni del Presidente del Consiglio italiano (e del Presidente degli Stati Uniti) ciò non possa essere giuridicamente considerato un legittimo ostacolo all’esercizio delle sue funzioni se il reato di cui si discute sia un reato «comune».
Il comportamento dell’on. Berlusconi, che mantiene l’interim da ben oltre quattro mesi, dimostra invece «nei fatti» che le competenze del Premier, anche se numerose e importantissime, sono agevolmente compatibili col disbrigo delle funzioni politiche connesse ad un Ministero dell’importanza dello Sviluppo economico, e quindi sono compatibilissime con la presenza a qualche udienza.
Escluso che i difensori dell’on. Berlusconi possano eccepire che la presenza del Presidente del Consiglio a qualche udienza di un processo penale costituisca un
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2 compito più gravoso dell’interim dello Sviluppo economico (argomento addirittura risibile, data l’importanza di quel Ministero, come di recente sottolineato dal Presidente della Repubblica, dal Ministro dell’Economia, dal Presidente della Confindustria e dai leader sindacali allorché hanno sottolineato l’urgente necessità della nomina del titolare pleno jure di quel Ministero e la fine del lungo interim), l’unica via che si schiude a Berlusconi per evitare questa palmare contraddizione con la sua linea difensiva sarebbe, paradossalmente, quella di ammettere di non aver adeguatamente esercitato le competenze relative allo Sviluppo economico e quindi di meritare le critiche a lui rivolte, esplicitamente o meno, dalle opposizioni (e non solo) con riferimento alla gestione di quel Ministero.
Il che, dal punto di vista politico-istituzionale, equivarrebbe però ad ammettere di non meritare la fiducia né del Parlamento, né tanto meno degli italiani.