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Progettazione, realizzazione e qualifica di una cella di flusso per biosensori gene-specifici

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Ingegneria

Corso di laurea in Ingegneria Meccanica

Tesi di laurea:

“Progetto, realizzazione e qualifica

di una cella di flusso

per biosensori gene-specifici”

Candidato:

Diego Gozzoli

_________________________

Relatori:

Prof. Ing. Emilio Vitale

__________________________

Prof. Claudio Domenici __________________________

Prof.

ssa

Arti Ahluwalia __________________________

Dr. Ing. Nicola Forgione __________________________

Sessione di Laurea del 24/10/2006

Archivio tesi Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica 36/06 Anno accademico 2005/2006

(2)

Titolo:

“Progetto, realizzazione e qualifica di una cella di flusso

per biosensori gene-specifici”

Title:

“ Design, development and assessment of a flow cell

for gene-specific biosensors

di

Diego Gozzoli

Tesi proposta per il conseguimento del

titolo accademico di

DOTTORE IN INGEGNERIA MECCANICA

presso la

Facoltà di Ingegneria

della

Università di Pisa

24/10/2006

Approvata da:

Prof. Ing. Emilio Vitale

Prof. Claudio Domenici

Prof.

ssa

Arti Ahluwalia

Dr. Ing. Nicola Forgione

(3)

.... alla mia famiglia tutta.

(4)

Ringraziamenti

Voglio innanzitutto ringraziare i miei relatori, il Prof. Ing. Emilio Vitale, il Prof. Claudio Domenici, la Prof.ssa Arti Ahluwalia e il Dott.Ing. Nicola Forgione per la professionalità e la disponibilità con cui mi hanno seguito nel corso del lavoro. In particolare desidero ringraziare la mia collega Lucia per il grande aiuto ricevuto nella revisione bibliografica, nella traduzione dei testi in inglese e nella fase sperimentale. Ringrazio vivamente il Prof. Lorenzo Citti, il Dott. Federico Vozzi , la Dott.ssa Francesca Bianchi e la Dott.ssa Bruna Vinci per la consulenza tecnica fornitami nella sperimentazione; un ringraziamento speciale va all’ Ing. Giovanni Vozzi per il grande altruismo e professionalità dimostratemi in ogni momento. Un grazie all’officina di micromeccanica BRUSA di Livorno per la disponibilità, la bravura e la tempistica impiegata nella realizzazione del prototipo; sono grato alla Dott.ssa Lorena Tedeschi e l’Ing. Giovanni Pioggia per il contributo fornito nella revisione del documento finale. Infine ringrazio il caro amico Piero per l’ottima compagnia e i buonissimi caffè all’ “americana” offertimi in questo tempo di convivenza lavorativa.

Desidero esprimere un grande sentimento di gratitudine nei confronti tutti coloro che, conosciuti qui a Pisa, nell’arco di questi anni mi hanno regalato la loro amicizia e il loro aiuto; in particolare Antonella, Dino, Giuseppe, Marco, Massimiliano e Rino con cui ho condiviso gran parte della mia avventura.

Con grandissima riconoscenza e affetto ringrazio Andrea, Enrico e Stefano che con Alberto e Laura, rappresentano per me una seconda famiglia; un pensiero speciale va ad Andrea che spesso mi ha dato la possibilità di guardarmi con occhi diversi.

Il pensiero e il ringraziamento più forte è comunque dedicato a mio padre e mia madre che non hanno mai smesso di credere in me, soprattutto nei momenti difficili di questi anni.

(5)

INDICE

Sommario

Lista delle abbreviazioni

1. INTRODUZIONE

pag. 1

2. I BIOSENSORI: GLI OBIETTIVI E L’EVOLUZIONE

DELLA TECNICA

2.1 I biosensori pag. 4

2.2 Classificazione dei biosensori in base al meccanismo di

riconoscimento e trasduzione pag. 6

2.3 Biosensori a DNA pag. 7

2.3.1 Scelta del trasduttore pag. 9

2.3.2 Scelta del biorecettore pag. 10

2.3.3 Integrazione tra biorecettore e trasduttore pag. 11

3. LA MICROBILANCIA AL QUARZO (QCM) E SUE

APPLICAZIONI NEL CAMPO DEI BIOSENSORI

GENE-SPECIFICI

3.1 Generalità pag. 13

3.2 La QCM in liquido: teoria e specifiche pag. 13

3.2.1 Applicazione in liquido pag. 18

3.2.2 Sensibilità di massa pag. 19

3.2.3 Influenza della formazione onde di compressione sulla

risposta del QCM in fluido pag. 26

(6)

4. TERMOFLUIDODINAMICA DEL PROCESSO DI

ADSORBIMENTO E DEPOSIZIONE DI PARTICOLE

COLLOIDALI IN UNA “RADIAL IMPINGING JET

CELL” (RIJC) A PIANI PARALLELI

4.1 Generalità pag. 30

4.2 Campo di flusso idrodinamico in una cella di tipo“RADIAL

IMPINGING JET” (RIJ) pag. 31

4.3 Processo di adsorbimento e deposizione di particole colloidali in

una cella di tipo “RIJ” pag. 41

5. PROGETTAZIONE E REALIZZAZIONE DI UNA

CELLA DI FLUSSO TIPO RIJ

5.1 Celle di flusso precedentemente sperimentate pag. 72

5.2 Specifica tecnica pag. 76

5.3 Soluzione costruttiva e principio di funzionamento pag. 78

5.4 Qualifica con il codice Fluent® pag. 86

5.5 Realizzazione del prototipo e collaudo pag. 89

6. SPERIMENTAZIONE E QUALIFICA DELLA

CELLA DI FLUSSO

6.1 Il sistema di prova pag. 95

6.1.1 Circuito idraulico esterno pag. 95

6.1.2 Pompa peristaltica “Gilson Minipuls 3” pag. 96

6.1.3 Elettrovalvola “Omnifit 11526” pag. 97

6.1.4 Bagno termostatato “Lauda A100” pag. 98

6.2 Tecnica di analisi: microscopia a fluorescenza pag. 98

6.3 Trattamento delle immagini e loro acquisizione pag. 100

6.4 Materiali e metodi di prova pag. 102

(7)

6.4.1 Preparazione della sonda pag. 102

6.4.2 Preparazione della soluzione “target” pag. 105

6.4.3 Pre-setting e modalità di prova pag. 105

6.5 Risultati sperimentali pag. 107

6.5.1 PROVA 1 pag. 107

6.5.2 PROVA 2 pag. 110

6.5.3 PROVA 3 pag. 112

6.5.4 PROVA 4 pag. 114

6.6 Confronto con le predizioni teoriche pag. 116

Conclusioni

pag. 119

Bibliografia

pag. 121

Allegati

(8)

Sommario

Il presente lavoro di tesi ha avuto per oggetto la progettazione, realizzazione e qualifica sperimentale di un prototipo di cella di flusso per trasduttore microgravimetrico alla base di un biosensore in via di sviluppo. In particolare la cella di flusso deve valorizzare la particolare sensibilità di massa del trasduttore ed eliminare gli effetti indesiderati legati alla formazione di onde di compressione in liquido.

Il lavoro ha inizio dalla revisione bibliografica della recente letteratura su processi di deposizione di massa all’interfaccia liquido/solido di un particolare trasduttore microgravimetrico quale un QCM (Quartz Crystal Microbalance) di tipo gene-specifico. Dalla ricerca effettuata si è visto come il modello termofluodinamico che meglio si adatta al caso in esame riguarda l’utilizzo di una cella di flusso di tipo RIJ (“RADIAL IMPINGING JET”) a piani paralleli. Il modello è stato analizzato tramite l'uso dei codici di calcolo Fluent® e MatLab®, allo scopo di riprodurre i risultati ottenuti in letteratura e al fine di disporre di un modello numerico in grado di fornire informazioni quantitative sul fenomeno in gioco.

La seconda parte della tesi, la più consistente, ha riguardato la progettazione e la realizzazione del prototipo sulla base delle specifiche tecniche fornite dal modello analitico e delle informazioni derivanti da precedenti sperimentazioni. Riguardo a quest’ultime si è cercato di eliminare i difetti e limiti riscontrati in precedenti prototipi cercando di arrivare, mirando alla semplicità costruttiva, ad una soluzione tecnologicamente a basso costo.

La parte conclusiva del lavoro ha riguardato l'esecuzione di alcune prove sperimentali di deposizione RNA messaggero (mRNA), mediante l'utilizzo del prototipo di cella di flusso realizzato: l’analisi dei risultati ottenuti, eseguita tramite tecnica di “imaging” a fluorescenza con il supporto del codice di calcolo MatLab®, e il successivo confronto con le predizioni teoriche, ha validato con soddisfazione l’applicabilità delle soluzioni numeriche del campo di flusso e del processo di trasporto di massa nella cella RIJ progettata.

(9)

Abstract

The aim of the current thesis was the design, development and experimental assessment of an axial flow cell prototype for a micro-gravimetric transducer for application in gene-specific biosensing. In particular the flow cell must exploit the high mass sensitivity of the transducer while eliminating undesirable compressional wave effects in liquid continuous.

The first part of the thesis consists of a bibliographical review of the recent literature on the mass deposition processes which occur at the solid/liquid interface of a gene-specific micro-gravimetric transducer (QCM - Quartz Crystal Microbalance).

From the literature search it was concluded that the thermo-fluid-dynamics of a Radial Impinging Jet flow cell (RIJ) with parallel plates, is the most suitable solution for the application.

The model was analysed by means of Fluent® and MatLab® computational codes to

provide a numerical model which yields the necessary quantitative information on the deposition process.

The second and most significant part of the thesis is the design and development of a prototype based on the specific technical features supplied by the analytical model and by the information obtained from previous experiments. The aim was to achieve both a low cost technological solution and a fundamentally simple mechanical manufacturing process, to reduce some of the limits found in previous prototypes.

In the final part of the thesis, experiments on the mRNA deposition processes using our prototype were carried out. The results were analysed by “imaging” techniques using MatLab®, and showed good agreement between predicted and measured flux, thus validating the applicability of the numerical solution of the flow field and mass transfer process in the RIJ cell design.

(10)

LISTA

DELLE

ABBREVIAZIONI

DNA Acido Desossiribonucleico

RNA Acido Ribonucleico

mRNA Acido Ribonucleico messaggero

PCR Reazione a catena di polimerasi

QCM Microbilancia a Cristallo di Quarzo

A-T Adenina-Timina

G-C Guanina-Citosina

A-U Adenina-Uracile

ISFET Transistore ad effetto di campo ione-selettivo

SPR Risonanza plasmonica superficiale

TIRF Fluorescenza di riflessione interna totale

SAW Dispositivo ad onda acustica di superficie

MPTS Mercaptopropil-trimetossilano

RIJC Cella di flusso ‘Impinging Jet’ a simmetria radiale

MC Simulazione di Monte Carlo

RSA Assorbimento sequenziale casuale

SPF Punto di flusso di ristagno

DLVO Teoria di Derjagum-Landau-Verwey-Overbeek

VDW Van der Waals

EDL Doppio strato elettrostatico

HHF Hogg-Healy-Fuerstenau

SPZ Zona di punto di ristagno

PEM Minimo di energia primaria

SEM Minimo di energia secondaria

G.S.R.I.J.C.01 Gene Specific Radial Impinging Jet Cell 01

UNI Ente Nazionale Italiano di Unificazione

MGMT Metilguanina-DNA-metiltransferasi

CPG Vetro a porosità controllata

(11)

1. INTRODUZIONE

L’ultimo ventennio, in ambito scientifico, ha visto la domanda sempre crescente di analisi quantitative di specie chimiche e biologiche, evidenziando la necessità di nuove strategie di indagine e conseguentemente di nuovi strumenti di misura, arrivando allo sviluppo dei

biosensori [1].

Nel campo scientifico internazionale, Turner et al. [2] hanno prodotto una descrizione del

biosensore come “…un dispositivo analitico compatto, che incorpora un elemento sensibile biologico, o derivato biologicamente, con un trasduttore fisico-chimico a esso integrato o intimamente associato. Lo scopo usuale di un biosensore è produrre segnali elettronici digitali, discreti o continui che siano proporzionali ad un singolo analita o ad un gruppo relativo di analiti”. Una definizione più estensiva include dispositivi che incorporano

elementi biomimetici come acidi nucleici modificati, anticorpi ricombinati e frammenti di proteine [3].

I biosensori quindi, riuniscono in sé la selettività e la specificità di elementi biologici (biorecettori) nei confronti di molecole di interesse (target), alla sensibilità intrinseca di opportuni trasduttori verso variazioni chimico-fisiche associate all’interazione tra

biorecettore-target [4] .

La semplicità e la velocità di analisi è il principale vantaggio di un biosensore: la peculiarità di integrare in se tutte le componenti necessarie, gli permette di trattare il campione target senza l’uso di reagenti; al contrario i saggi convenzionalmente utilizzati consistono in molti passaggi in ognuno dei quali può essere richiesto un reagente diverso. Oggi molti biosensori possono trattare direttamente le molecole di interesse evitando l’uso di reagenti addizionali e la richiesta di operatori qualificati diminuendo così costi e durata di analisi.

Semplificare la manipolazione del campione e la gestione dei dati contribuisce enormemente alla riduzione del margine di errore e da qui una maggior affidabilità nei risultati; in più per una analisi più attenta e attendibile, visti i costi ridotti, è possibile ripetere più volte la stessa prova, condizione spesso impraticabile nelle tecniche analitiche classiche.

Date le loro caratteristiche semplicità, e limitato costo, alta sensibilità e adeguatezza di analisi, i biosensori sono stati ampiamente impiegati in vari campi come quello dei processi industriali, controlli ambientali ma soprattutto applicazioni biomediche. Tra le applicazioni più importanti vi sono quelle legate alla diagnostica clinica, legate alla necessità di ridurre se non eliminare i tempi di elaborazione ed estrazione del dato.

(12)

Negli ultimi anni la ricerca internazionale, nel particolare ambito dei biosensori di tipo

gene-specifico [9 ,10], ha ricevuto una forte impulso verso la cosiddetta frontiera dell’analisi dinamica o “real-time detection”: una tale caratteristica, nella necessità di ottimizzare la

tempistica e la semplicità operativa, costituisce oggi in ambito scientifico e in particolare nel mercato, il limite biotecnologico tra un biosensore obsoleto e uno all’avanguardia.

Un biosensore così innovativo, è di grande interesse per lo studio e la comprensione di molti dei meccanismi alla base dei processi biologici tra cui ha grande risalto l’analisi dell’espressione genica nella popolazione cellulare: per l’avanzamento della ricerca applicata, in particolare nei settori diagnostico e farmacologico, è estremamente importante la determinazione quantitativa in sospensione liquida di specie geniche, come il DNA e l’RNA messaggero (mRNA).

Al fine di raggiungere tale risultato, sono stati recentemente sviluppati [1] diversi tipi di biosensori pensati come l’unione della sensibilità gene-specifica di un trasduttore e una cella

di flusso adeguata a favorire il passaggio di una soluzione-target verso la superficie biorecettrice.

In questo lavoro di tesi, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Fisiologia Clinica (IFC) del C.N.R di Pisa ed il centro di Ricerche Interdipartimentale “E.Piaggio” dell’Università di Pisa, è stato preso in esame un particolare tipo di sensore il cui principio di funzionamento è basato sull’utilizzo di un trasduttore di larga diffusione, come una microbilancia al quarzo di tipo QCM (“Quartz Crystal Microbalance”) [5-6], le cui caratteristiche elettromeccaniche sono ben conosciute e adatte ad indagini biologiche in liquido [7-8].

Lo scopo è quello di intraprendere un attento studio termofluidodinamico mirato ad ottimizzare il processo di adsorbimento e deposizione (cosiddetto adsorbimento irreversibile) dell’mRNA verso la zona sensibile del quarzo [9], e qualificare sperimentalmente il modello prescindendo dal funzionamento elettronico del trasduttore stesso.

Alla base della fase sperimentale c’è la progettazione e la realizzazione di una di cella di flusso adatta a soddisfare le specifiche tecniche dettate dal trasduttore, le indicazioni termofluidodinamiche fornite dal modello analitico e le non meno importanti informazioni derivanti da precedenti esperienze.

La sperimentazione è stata misurata sulle principali variabili di processo quali tempo e concentrazione del target, proprio per qualificare le specifiche di tempistica e sensibilità richieste ad una tale tecnologia.

(13)

La lettura dei dati sperimentali è stata resa possibile tramite l’impiego della microscopia a fluorescenza, affidandone l’interpretazione e la caratterizzazione ad una tecnica di imaging opportunamente implementata sul codice Matlab®.

Come emerge chiaramente da questa breve introduzione una tale tecnologia fa interagire in modo nuovo competenze accademiche di solito molto distanti, tanto da modificare in modo radicale l’approccio ai classici metodo analitici.

(14)

2. I BIOSENSORI: GLI OBIETTIVI E L’EVOLUZIONE DELLA

TECNICA

2.1 I biosensori:

La domanda sempre crescente in ambito scientifico e non, per determinazioni quantitative di specie chimiche e biologiche e dei loro effetti sull’ambiente e sugli organismi viventi, ha evidenziato la necessità di nuove strategie di indagine e quindi di nuovi strumenti di misura: ciò ha portato allo sviluppo di sensori chimici e dei biosensori. La spinta in questa direzione è derivata anche dalla necessità di eliminare le lunghe e fastidiose procedure tipiche delle tecniche analitiche tradizionali richiedendo metodi di analisi dinamica o in “real time”.

I biosensori sono dispositivi che comprendono in se un elemento sensibile di origine biologica, usualmente in forma di film sottile, intimamente collegato (se non direttamente integrato) ad un elemento trasduttore: lo scopo primario è quello di riuscire a produrre un segnale elettronico o ottico proporzionale alla concentrazione di una specie chimica o biologica. Il professore Leland C Clark Jr. è universalmente riconosciuto come il padre del concetto di biosensore. Nel 1956, Clark pubblicò il suo articolo definitivo sull’elettrodo a ossigeno (Clark 1956); basandosi su questo esperimento e indirizzando il suo desiderio ad espandere il campo degli analiti che si sarebbero potuti misurare nel corpo, nel 1962 segnò una linea passaggio al simposio delle scienze alla New York Academy in cui descrisse come “creare sensori elettrochimici più efficaci” unendo le qualità di trasduttori enzimatici; nell’articolo pubblicato fu coniato per la prima volta il termine elettrodo ad enzima.

Turner, più recentement,e [1] ha definito il biosensore come “…un dispositivo analitico

compatto, che incorpora un elemento sensibile biologico, o derivato biologicamente, con un trasduttore fisico-chimico a esso integrato o intimamente associato. Lo scopo usuale di un biosensore è produrre segnali elettronici digitali, discreti o continui che siano proporzionali ad un singolo analita o ad un gruppo relativo di analiti”. Una definizione più estensiva

include dispositivi che incorporano elementi biomimetici come acidi nucleici modificati, anticorpi ricombinati e frammenti di proteine.

Il biosensore può quindi essere considerato come la combinazione di un biorecettore (componente biologica) e un trasduttore (sistema di rilevazione). Nei sistemi biorecettori è possibile trovare uno o più enzimi, componenti di membrane, cellule , anticorpi o antigeni, DNA o RNA o frammenti di tessuto biologico; il biorecettore conferisce così selettività e sensibilità al dispositivo finale. Le molecole biorecettrici interagiscono con le molecole

(15)

“target “ disperse in maniera specifica e, generalmente, reversibile, cambiando alcuni parametri fisico-chimici associati all’interazione: quest’ultima può produrre infatti variazioni di calore, massa, luce, ioni o elettroni che a loro volta possono essere convertite in segnale elettrico dal trasduttore e susseguentemente amplificate, elaborate e visualizzate.

Questa tecnologia emergente fa interagire in modo nuovo competenze accademiche di solito molto distanti, tanto da modificare in modo radicale l’approccio ai metodo analitici; un biosensore può essere schematizzato a blocchi come in Fig.(2.1): l’analita (verde) ha tendenza a legarsi in modo intimo alla superficie biorecettrice (azzurro chiaro) e cambiando alcuni parametri fisico-chimici associati all’interazione, tramite un opportuno trasduttore (blu), viene prodotto un segnale trattabile (giallo).

Bioreceptor

Biological sensing element

Bioreceptor

Biological sensing element

Transducer

Signal

An

alite

Fig.(2.1): Rappresentazione schematica di un biosensore.

La semplicità e la velocità di analisi è il principale vantaggio di un biosensore: la peculiarità di integrare in se tutte le componenti necessarie gli permette di trattare il campione target senza l’uso di reagenti; al contrario i saggi convenzionalmente utilizzati consistono in molti passaggi in ognuno dei quali può essere richiesto un reagente diverso. Oggi molti biosensori possono trattare direttamente le molecole di interesse evitando l’uso di reagenti addizionali e la richiesta di operatori qualificati diminuendo così costi e durata dell’analisi.

Semplificare la manipolazione del campione e la gestione dei dati contribuisce enormemente alla riduzione del margine di errore e da qui una maggior affidabilità nei risultati; sempre ai fini di una analisi più attenta e attendibile, visti i costi ridotti di analisi è possibile ripetere più volte la stessa prova, condizione spesso impraticabile nelle tecniche analitiche classiche.

Dovuto alla sua semplicità, costo di utilizzo, alta sensibilità e adeguatezza ad un’analisi in

real-time, i biosensori sono stati ampiamente impiegati in vari campi come quello dei processi

industriali, controlli ambientali ma soprattutto applicazioni biomediche. Tra le applicazioni più importanti vi sono quelle legate alla diagnostica clinica, legate alla necessità di ridurre se

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non eliminare i tempi di laboriose analisi cliniche. I metodi attualmente disponibili per misurare la concentrazione di specie chimiche nei fluidi biologici prevedono il prelievo di grossi volumi di sangue: sottoposti a centrifugazione e analizzati con tecniche elettrochimiche o immunoenzimatiche , tramite spettrofotometri o dosatori di radioattività, con lunghi periodi di incubazione, richiedono l’intervento di personale esperto e l’uso di strumentazione complessa e generalmente costosa. Lo sviluppo di adeguati biosensori consentirebbe di evitare questi passaggi preparatori e analitici attraverso la realizzazione di sistemi di dimensione contenute in grado di essere utilizzati quasi ovunque o addirittura a casa, dal paziente stesso.

Un biosensore per offrire notevoli vantaggi rispetto ai classi sistemi di indagine deve possedere alcuni requisiti fondamentali:

- un segnale di uscita ripetibile e preciso, ed una sensibilità e risoluzione adeguata per la sostanza presa in esame. Inoltre, deve avere un range dinamico tale da coprire la variabilità di tutti i casi clinici, sia normali che patologici. Il sensore deve poter quindi essere sintonizzato sull’applicazione prevista

- il sistema di misura deve essere insensibile a variazioni termiche, robusto e non necessitare di frequenti calibrazioni o interventi tecnici. Inoltre, è essenziale che il sensore sia economico, “user-friendly” e di dimensioni contenute

- abbastanza veloce, nell’ordine di qualche minuto

- il volume del campione prelevato deve essere piccolo – non più di alcune decine di microlitri

- per quanto riguarda i sensori impiantabili, cosa ancora molto distante dal punto di vista della loro realizzabilità, ci sono ulteriori requisiti di biocompatibilità e atossicità.

2.2 Classificazione dei biosensori in base al meccanismo di riconoscimento

e trasduzione

I biosensori possono essere classificati sia secondo la natura della molecola biologica utilizzata che secondo il metodo di trasduzione adottato per la rivelazione del segnale biologico.

In questo caso verranno divisi secondo la classe della molecola che costituisce la parte sensibile del sistema. Di seguito, Tab.(2.1), sono elencate varie classi di biorecettori e i metodi di trasduzione comunemente impiegati.

(17)

Principio Effetto valutato Biorecettori

Enzimi Cellule intere

Riconoscimento su base biocatalitica

Consumo di substrati, aumento di prodotti o variazione dello stato

ossidativo di cofattori. Tessuti

Anticorpi Recettori

Riconoscimento per

bioaffinità Formazione di un Biocomplesso

Acidi nucleici (DNA-RNA)

Tab.(2.1): classi di biorecettori e i metodi di trasduzione

Il trasduttore, elemento artificiale di un biosensore, , deve essere capace di convertire l’evento di riconoscimento nel segnale misurabile: questo è dato misurando un cambiamento come conseguenza dell’interazione tra il biorecettore e la sua molecola target.

2.3 Biosensori a DNA

La ricerca per la cura di malattie genetiche ha subito una grande rivoluzione con lo sviluppo di nuove tecniche di biologia molecolare come il PCR (la reazione a catena di polimerasi che permette la replicazione di una determinata sequenza di DNA) ed il sequenziamento del DNA.

Ad esempio, se le mutazioni genetiche che causano una malattia sono conosciute, è possibile diagnosticare un portatore della malattia tramite sonde di oligonucleotide con una sequenza complementare alla sequenza difettosa. Inoltre, i sensori a DNA (o RNA, i due sono molto simili) possono essere utilizzati per la rivelazione di virus e cellule tumorali. I biosensori a sonda genica che usano 1'ibridazione di acidi nucleici sono un alternativa agli immunosensori per 1'identificazione e 1'analisi quantitative di materiali biologici. I metodi di trasduzione sono analoghi a quelli utilizzati per la rivelazione della reazione immunologica.

I sensori di DNA sono basati sulla capacità di catene singole di DNA o RNA di ibridizzarsi con catene che hanno una sequenza complementare. È ben noto che l’accoppiamento di catene singole di DNA, che avviene con la formazione di legami idrogeno tra basi complementari [A-T e G-C per DNA e A-U e G-C per RNA, Fig.(2.2)] è altamente specifico.

(18)

Fig.(2.2):formazione di legami idrogeno tra basi complementari

[A-T e G-C per DNA e A-U e G-C]

I dispositivi richiedono che vengano immobilizzate delle catene singole di DNA (chiamate sonde) che possono ibridizzarsi con una catena complementare (il “target”) nella soluzione da analizzare. La specificità di questi sensori dipende innanzitutto dalla selettività della sonda, che dovrebbe rispondere unicamente ad un target, anche nella presenza di catene molto simili.

In Fig.(2.3) è riportata la rappresentazione schematica dell’ibridizzazione tra un probe oligonucleotidico immobilizzato si una superficie solida e un target presente in soluzione

Fig.(2.3): rappresentazione schematica dell’ibridizzazione tra

(19)

A differenza degli immunosensori, i sensori a DNA non hanno problemi di rigenerazione perchè l’ibridizzazione di DNA è reversibile con temperatura. Tipicamente la denaturazione avviene intorno a 80ºC. Infatti, la specificità delle sonde geniche può essere controllata modulando la temperatura della reazione. A temperature elevate, solo sequenze specificamente ibridizzate con un accoppiamento perfetto di basi rimangono appaiate, mentre le catene con interazioni più deboli tendono a denaturarsi prima. Inoltre i problemi di immobilizzazione non sono critici come nel caso delle proteine dato che il i probes a DNA non tendono a degradarsi né a denaturarsi irreversibilmente. Tutto ciò fa si che i biosensori di DNA siano fra i più interessanti nell’ambiente della ricerca medica sia per quanto riguarda la varietà di possibili applicazioni, sia per la relativa facilità di manipolazione del DNA. Inoltre i sensori di DNA, essendo utilizzati soprattutto per l’identificazione di malattie genetiche, non hanno le esigenze di altri tipi di biosensori, ad esempio veloci tempi di risposta, uso in-vivo ecc.

2.3.1 Scelta del trasduttore gene-specifico

In base al tipo di applicazione verso cui è rivolta la progettazione di un biosensore, è estremamente importante la scelta di un opportuno trasduttore. Per analisi di tipo gene-specifico è riportato in Tab.(2.2) l’elenco dei tipi di trasduttori oggi più utilizzati in funzione della loro affinità con il biorecettore.

Una classificazione di biosensori basata sul metodo di traduzione è riportato in Tab.(1) (Schultz e Taylor, [10]).

Strumento Segnale Esempio

Elettronico

Amperometrico Intensità di corrente Immunosensore

Potenziometrico Voltaggio (potenziale) ISFET (ion-selective field effect transistors)

Capacità/impedenza impedenza (modulazione) Conducimetro

Ottico/Fotometrico

Assorbimento luminoso; indice di rifrazione

Intensità luminosa; emissione di colore,.

elipsometria, laser light

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Attivazione a fluorescenza o luminescenza

Fluorescenza o chemioluminescenza

SPR (surface plasmon resonance), TIRF (Total

Internal Reflection Fluorescence)

Acoustico/Meccanico

acustico Ampiezza di fase o fequenza

(onda acustica)

SAW (Surface Acoustic Wave Devices)

massa/densità peso Trasduttore piezoelettrico

Calorimetrico

termistore temperatura Sensore enzimatico

Tab.(2.1): classificazione di biosensori basata sul metodo di traduzione

Un efficace metodo di rilevamento e trasduzione collaudato negli ultimi anni e studiato in questo lavoro di tesi, riguarda l’uso di microbilance al quarzo di tipo QCM: si tratta di un dispositivo di misurazione di massa estremamente sensibile, che permette di monitorare dinamicamente gli eventi di ibridizzazione [11].

2.3.2 Scelta del biorecettore

La scelta del biorecettore contribuisce in modo diretto alla specificità del biosensore e la sua stabilità chimica è di fondamentale importanza per analisi rigorose in processi di rigenerazione e per la progettazione di un sensore riutilizzabile; la scelta delle sequenze è invece fondamentale per legare selettivamente e strettamente le molecole di target in sospensione.

Per questa ragione i probe nucleotidici devono essere scelti con cura sia in termini di

sequenza sia di composizione chimica.

In esperimenti di ibridazione l’utilizzo di probe ottimali è estremamente importante per almeno due motivi: per i livelli di espressione attuale viene minimizzata l’ibridazione di background provvedendo a determinazioni più accurate.

I probe allo scopo di formare un’ibridazione doppia, stabile e senza interferenze con le sequenze di acidi nucleici non-target, devono avere una forte affinità per il target in esame e per questo devono essere attentamente selezionati. Empiricamente il probe ottimale dovrebbe essere il solo dotato del minimo di energia libera di ibridazione per quel gene e il massimo di energia libera di ibridazione per tutti gli altri geni inclusi nel campione in esame.

(21)

2.3.3 Integrazione tra biorecettore e trasduttore.

L’integrazione tra il biorecettore trasduttore, come del resto i passaggi precedenti, è di cruciale importanza per la progettazione del biosensore: e necessario infatti che l’immobilizzazione delle molecole selezionate preservi la sua specificità di riconoscimento originale e allo stesso tempo assicuri una connessione intima e stabile.

La silanizzazione di derivati del silicone è un buon modello di funzionalizzazione chimica di superfici solide: molto stabile è stata sfruttato per esporre sulla superficie sensibile del trasduttore i gruppi di tiolo adatti all’immobilizzazione del probe.

Quarzo, vetro, e silicone idrossilato sono materiali ampiamente impiegati per trasduttori che condividono una caratteristica comune: la loro superficie si espone ai gruppi di silanolo (gruppi idrossidi legati ad atomi di silicone =Si-OH).

Per fornire i gruppi nucleofilici per la connessione con i biosensori è stato scelto mercaptopropil-trimetossilano (MPTS), un silano trifunzionale. Inoltre sono stati presi particolari provvedimenti nel controllo delle condizioni di immobilizzazione. In questo lavoro di tesi sono stati utilizzati risuonatori al quarzo (QCM) con l’elettrodo ricoperto di ossido di silicio sui quali sono state immobilizzate sonde oligonucleotidiche. Lo schema dell’intero processo di immobilizzazione è riportato qui di seguito in Fig.(2.4).

O O N N O H SulfoSMCC O O N O O N O O SO3Na H2N + OH OH OH MPTS Si SH OMe MeO MeO + O Si SH OMe OMe OH OH OH OH O Si S OMe OMe O O N N O H Mercaptopropyl- trimethoxy silane Probe

Fig.(2.4): schema dell’intero processo di immobilizzazione olig-nucleotidica su ossido di silicio su QCM (Le proporzione tra le dimensioni delle molecole non sono rispettate).

(22)

Un altro requisito interessante per un biosensore per l’analisi di sequenze di acidi nucleici è costituito dalla possibilità di un’analisi in flusso. Per garantire un efficiente contatto tra le molecole immobilizzate e quelle di target nel flusso di soluzione di campione è importante che la cella di misura abbia particolari requisiti strutturali.

E’ proprio questo aspetto che è stato affrontato durante questo lavoro di tesi e che verrà diffusamente trattato nei capitoli successivi.

(23)

CAPITOLO 3

:

“IL QCM E LE SUE APPLICAZIONI

COME BIOSENSORE GENE-SPECIFICO

3.1 Generalità

I sensori gravimetrici a cristalli di quarzo sono oggi uno dei sistemi più semplici per la realizzazione di sensori ad affinità. Il principio di funzionamento è basato sul cambiamento di frequenza di risonanza di un cristallo per variazione di peso, viscosità o densità del mezzo a contatto con esso.

Nell’interazione tra specie genetiche libere e biorecettori, uno degli aspetti più interessanti da considerare in una analisi biongegneristica di processo è proprio il cambiamento di massa che segue la reazione di ibridazione; partendo ad un tale presupposto la ricerca scientifica ha prodotto un grande sforzo nella progettazione di biosensori in grado di monitorare in modo dinamico (“real time detection”) tale processo, operando in liquido e senza ricorrere a marcatura o colorazione elettrochimica.

Negli ultimi anni, presso i laboratori dell’ Istituto di Fisiologia Clinica (IFC) del C.N.R di Pisa, la ricerca in ambito bio-sensoristico si è evoluta in modo deciso proprio verso la frontiera della “real-time detection”. Sotto questa spinta, in particolare nell’ambito dei biosensori genespecifici, sono stati recentemente sviluppati diversi tipi di celle di flusso atte a favorire il flusso di una soluzione-target verso una superficie funzionalizzata intimamente vincolata ad opportuno trasduttore: il QCM (“Quartz Crystal Microbalance”), in grado di accoppiare le sue proprietà piezoelettriche a cambiamenti di massa microgravimetrici.

Ai fini del lavoro di tesi è estremamente importante focalizzare l’attenzione su alcune proprietà elettromeccaniche caratteristiche del QCM, di fondamentale importanza per una corretta progettazione termofluodinamica, rivolta al controllo di un processo depositivo di massa.

3.2 Il QCM: teoria e specifiche

Nel 1880 i fratelli Jacque e Pierre Curie scoprirono che alcuni tipi di cristalli hanno la proprietà di generare in se un campo elettrico tra facce deformate da uno stress meccanico: dimostrarono che la carica elettrica legata al campo risulta essere proporzionale proprio all’intensità e alla tipologia di stress meccanico applicato. Poco tempo dopo fu osservato anche l’effetto opposto a quello appena enunciato e cioè che gli stessi cristalli subiscono una

(24)

deformazione superficiale legata ad stress meccanico indotto da un campo elettrico indotto dall’esterno.

Quanto appena spiegato, in modo notevolmente semplificato, corrisponde al cosiddetto effetto

piezoelettricodiretto e inverso

;

dei due quello inverso, sarà di forte interesse per l’utilizzo del

QCM in ambito biosensoristico, come trasduttore microgravimetrico.

Il quarzo di tormalina [Fig.(3.1)] possiede una struttura cristallografica esagonale senza centro di simmetria; le sue proprietà dipendono dall’orientazione del taglio rispetto all’asse principale. Sono eseguibili tipi di tagli differenti (AT, SC, BT, RT, IT), ma per applicazioni in condizioni ambientali, per ridurre al minimo la dipendenza dalla temperatura (almeno in un intervallo da 10-50°C), è utilizzato il tipo AT [35° e 15’ di inclinazione rispetto al piano y-z]

Fig 3.1 Struttura cristallografica del quarzo di Torlomina e orientamento del taglio AT

L’applicazione di un campo elettrico alternato al materiale piezoelettrico induce delle deformazioni meccaniche interni di tipo oscillatorio: esistono differenti modi propri di oscillare, ma il più utilizzato per l’impiego come bilancia microgravimetrica è quello a taglio (“shear mode”) [Fig.(3.2.a)].

(25)

Fig 3.2: modi propri di oscillare di un quarzo a AT: a) “shear” mode.

Affinché in un cristallo esistano interazioni piezoelettriche è necessario che alcuni dei suoi assi posseggano intrinsecamente una polarità; questa esigenza nasce dalla natura vettoriale del campo elettrico e della polarizzazione, e quindi unidirezionali, mentre lo stress meccanico è una grandezza tensoriale priva di caratteristiche esclusivamente unidirezionali. La polarità richiesta, è propria solo di alcune classi cristalline dotate di asimmetria o di una particolare simmetria.

L’asimmetria dei quarzi fa si che il cristallo presenti un asse polare dovuto ai dipoli elettrici associati all’orientazione degli atomi del reticolo cristallino. In alcuni casi particolari in cui il materiale non presenti una piezoelettricità intrinseca, è possibile ottenere tale proprietà conferendogli una polarità mediante un processo di polarizzazione tramite applicazioni di un campo elettrico esterno [Fig.(3.3.a-b-c)].

Fig.( 3.3) Momenti di dipolo elettrico e polarizzazione: (a) prima, (b) durante, (c) dopo la polarizzazione

L’applicazione quindi di un campo elettrico costante, per un certo periodo di tempo, genera un momento di dipolo all’interno del materiale; se quest’ultimo possiede un elevata costante dielettrica, una volta tolto il campo elettrico, il momento di dipolo rimane praticamente costante (polarizzazione permanente). Conseguentemente, come detto, quando

(26)

un cristallo piezoelettrico viene introdotto in un campo elettrico alternato comincia ad oscillare in modo meccanico (meccanismo risonante) producendo un’onda acustica. Il quarzo di tormalina è il materiale oggi più diffuso nella realizzazione della maggior parte dei sensori piezoelettrici visto il suo basso costo e l’alto coefficiente piezoelettrico.

Nei dispositivi QCM di tipo AT, le onde acustiche si propagano in direzione perpendicolare alla superficie del cristallo [12]; nel momento in cui la frequenza di oscillazione indotta si approssima alla frequenza propria fondamentale, si raggiunge la

risonanza; questa come si vedrà dipende dallo spessore, dalla struttura chimica, dalla forma e

dalla massa del quarzo. Altri fattori che influenzano la variazione di frequenza sono ad esempio la temperatura (T), massa (m), viscosità (η) e l’umidità (H) di mezzi liquidi o gassosi adiacenti; quindi : f f f f f m T m η η T ∂ ∂ ∂ ∂ Δ = Δ + Δ + Δ + Δ ∂ ∂ ∂ ∂H H (3.1)

Se la superficie del quarzo viene rivestita con una molecola biologica sensibile, è possibile con opportuni sistemi di riferimento rendere ΔT e ΔH uguali a zero. Generalmente nei biosensori genespecifici l’accoppiamento fra superficie di quarzo e strato di probe è abbastanza rigido come lo è il legame di ibridizzazione e quindi in prima approssimazione si possono considerare solo le variazioni di massa.

Sauerbrey nel 1959 [13] dimostrò la dipendenza dei cambiamenti nella frequenza fondamentale di risonanza dalla massa accumulata sul cristallo. Nel suo lavoro, Sauerbrey assunse che, per piccole variazioni, l’aumento di massa poteva essere visto come l’effetto provocato da uno sottile strato aggiuntivo.

Il modello di Sauerbrey, rappresenta un quarzo oscillante di massa Mq e spessore lq.

Figura 3.4 Rappresentazione schematica del modello di Suerbrey per l’incremento di massa nel sensore piezoelettrico

(27)

in cui la fequenza di risonanza fqè: 2 q q q q V V f l λ = = q (3.2)

ove [Fig.(3.4)] λ è la lunghezza dell’onda acustica che si propaga nel quarzo, pari al doppio q dello spessore del quarzo , mentre è la velocità di propagazione sempre dell’onda, ed è pari a

q

l Vq

q fq

λ ⋅ .

Nel momento in cui si verifica una deposizione di massa (ΔMq) sulla superficie del quarzo, si ha un aumento dello spessore (Δlq), e quindi una diminuzione della frequenza di risonanza fq, come segue:

q q q q f l f l Δ Δ = − (3.3) q q q q f M f M Δ Δ = (3.4)

Sempre Sauerbrey [13] deponendo dei film sulla superficie di quarzo ottenne l’equazione fondamentale per applicazioni microgravimetriche, derivata dalla combinazione della Eq.ne (3.3) e (3.4): q 2 q q q q q f f M f ρV A ⎛ ⎞ Δ = −⎜ Δ ⎝ ⎠ (3.5)

dove A è l’area superficiale del cristallo, espressa in cm2 , ρ la densità del quarzo (pari a q 2.648 gcm-3) e la velocità di propagazione di un onda acustica nel quarzo (pari a 3.336 · 10 q V 5 cm · s-1); sostituendo si ottiene: fq 2.26 10 6 fq2 Mq A − Δ Δ = − ⋅ (3.6)

Lo spessore del cristallo, a parità di area A

,

ne determina la frequenza di risonanza e

quindi la sensibilità nei confronti della massa depositata; il limite inferiore allo spessore è imposto dalla fragilità intrinseca del quarzo.

Quanto sino ad ora ipotizzato presuppone una distribuzione uniforme della massa sul cristallo e che la velocità di propagazione sia la stessa nel cristallo e nel film.

Le equazioni suvviste forniscono un’analisi descrittiva semiquantitativa: sussistono infatti fattori come lo smorzamento nei circuiti elettrici e la temperatura ambientale aventi un forte

(28)

influsso sull’accuratezza di misura; per ottenere quindi un buon risultato quantitativo, è necessario avvalersi di opportune curve di calibrazione: Il cristallo di quarzo viene inserito in un circuito oscillante e la frequenza di risonanza del sistema rispetto ad un quarzo di riferimento viene rivelata con un frequenzimetro.

3.2.1 Applicazione in liquido

Quando il quarzo viene immerso in una soluzione, la frequenza di oscillazione dipende fortemente dalla natura del solvente utilizzato: lo studio del comportamento del QCM in soluzione è di fondamentale importanza per i suoi potenziali utilizzi come biosensore in liquido [7-8].

Nel caso di applicazioni biosensoristiche in liquido il QCM è ampiamente utilizzato: nel momento in cui il quarzo viene immerso, il liquido adiacente rappresenta un carico di massa addizionale a cui si accoppia la propagazione delle onde elastiche longitudinali nel fluido viscoso. In particolare di tale applicazione si è occupato Kanazawa et al. [7-8]: le oscillazioni superficiali del cristallo causano il movimento dello strato di fluido adiacente, producendo una perdita di energia nel liquido; la variazione in frequenza Δf può essere quantificata tramite: 1 2 3 2 0 f f ν π η ρ ⎛ ⎞ Δ = ⎝ ⎠ (3.7)

dove f è la frequenza fondamentale del quarzo,ν0 è la viscosità cinematica del liquido, ρ la densità del quarzo e η il modulo di rigidezza tangenziale; il fenomeno è ben visibile nella simulazione di Fig.(3.6).

Fig.( 3.6): variazione in frequenza Δf legata al contatto tra il quarzo e continuo liquido

(29)

Gli effetti prodotti all’interfaccia liquido/quarzo della viscosità cinematica microscopica sono di rilevante importanza in quanto paragonabili o maggiori a quelli prodotti da un aumento di massa. Se la composizione chimica all’interfaccia non cambia nel tempo, la frazioni di perdita rimane costante e la frequenza di oscillazione segue l’Eq.ne (3.6). Per un quarzo da 10 MHz con una faccia esposta ad una soluzione acquosa a temperatura costante, si può avere una perdita di circa 2 KHz.

Un altro importante fattore che può causare una perdita in frequenza nel QCM è la rugosità superficiale che amplifica gli effetti di disturbo del liquido. Per questo motivo per uso in liquido sono raccomandati quarzi lucidati.

In commercio si trovano QCM in grado di registrare piccoli cambiamenti di massa con una precisione di 1 ng/cm2

.

3.2.2 Sensibilità di massa

Ai fini del lavoro di tesi sarà estremamente importante analizzare una particolare caratteristica elettromeccanica del QCM: la sensibilità di massa; l’interpretazione di questa permetterà di stabilire le condizioni di stabilità operativa del quarzo come biosensore in

liquido e gettare le basi per una corretta progettazione termofluodinamica della cella di flusso.

La configurazione di un QCM più diffusa in ambito biosensoristico è quella di un quarzo circolare piano, “mascherato” con due elettrodi contrapposti anch’essi circolari e concentrici [Fig.(3.7)] su cui viene opportunamente immobilizzato un sottile film biorecettore.

Fig (3.7):” mascheratura” asimmetrica di un QCM commerciale.

Nel suo utilizzo, per ovviare agli inevitabili fenomeni di cortocircuitazione, solo una faccia è esposta al liquido; sulla superficie sensibile, per ottimizzare allo stesso tempo la

(30)

sensibilità alle proprietà elettriche e meccaniche del carico, sono state studiate differenti tipi

di metallizzazioni o “mascherature” [14-15].

In particolare la sensibilità alle proprietà elettriche del carico è stato dimostrato essere funzione della concentrazione della soluzione che bagna l’elettrodo sensibile; tale sensibilità legata alle variazioni dalla capacità elettrostatica all’interfaccia, viene vista dal quarzo come un carico elettrico esterno e richiede “mascherature” con forme e dimensioni adatte al contesto operativo.

L’adattamento del QCM a un biosensore in ambiente liquido ha apportato vari problemi, tra i principali la generazione e l’interferenza di onde longitudinali, in entrambi i casi con una forte caduta del fattore di qualità Q. La formazione di onde longitudinali, in un QCM per applicazioni in liquido, è dovuta principalmente alla dimensione finita del quarzo e degli elettrodi; nascendo dal contributo di profili di distribuzione non uniformi lungo la direzione tangenziale le onde vengono riflesse all’interfaccia liquido/cella andando a generare un onda permanente all’interno del volume di flusso. Lo studio e la misurazione in frequenza e ampiezza delle onde permanenti ha dimostrato l’influenza che possono avere il profilo del quarzo, le proprietà del liquido, l’interfaccia liquido-cella e la dipendenza radiale dell’ampiezza delle onde di taglio su questo stesso fenomeno [16-17].

L’insieme di tutti questi risultati ha dimostrato che una corretta progettazione della cella di flusso, con la parete superiore ad una opportuna distanza dall’elettrodo, elimina quasi completamente la formazione di onde di compressione permanenti e quindi interferenze di tipo strutturale.

Un secondo grande problema che determina la caduta del fattore di qualità Q del QCM in liquido è l’assorbimento energetico dovuto proprio al fluido adiacente; l’entità di tale fenomeno è tanto più grave quanto più sono asimmetrici gli elettrodi, in cui la distribuzione dell’ampiezza di vibrazione al di fuori di essi non può più essere trascurata: da qui risulta evidente come la capacità da parte del quarzo di mantenere una vibrazione stabile sottoposto a un carico liquido è dovuta principalmente alla geometria dell’elettrodo. Quest’ultima infatti determina il processo di intrapolamento dell’energia e quindi il profilo di distribuzione dell’energia sulla faccia sensibile.

Per quanto visto si analizzerà attentamente il profilo di sensibilità di massa per un quarzo con elettrodi speculari [18], e uno con elettrodi concentrici ma di differente dimensione [19]; sarà così possibile discriminare il tipo soluzione più adatta ad una analisi dinamica di massa in una futura progettazione integrata. Per questi due tipi di elettrodi la superficie sensibile verrà suddivisa idealmente in tre parti [Fig. (3.8.a-b)]:

(31)

• parte I completamente elettrodizzata • parte II parzialmente elettrodizzata • parte III non elettrodizzata

Fig (3.8.a): suddivisione della superficie attiva in funzione della sensibilità di massa

Fig (3.8.b): suddivisione della superficie attiva in funzione della sensibilità di massa vista in sezione

e in ognuna delle tre regioni l’efficienza di deposizione di massa sarà stimata in funzione del

fattore di carico di massa. Per alcuni valori di quest’ultimo, l’efficienza della zona II unita

alla zona III, avrà un importante ruolo nella progettazione della superficie sensibile del sensore, come anche il fenomeno di generazione di onde di compressione.

Come già accennato e ampiamente dimostrato in letteratura, la sensibilità al carico elettrico di un QCM dipende fortemente dall’interazione tra il campo elettrico superficiale del

(32)

quarzo e le proprietà elettriche del mezzo che lo lambisce: il primo è strettamente legato alla differenza di potenziale tra i due elettrodi e la loro conformazione.

La variazione della frequenza di risonanza, dovuta all’entità e alla distribuzione del carico meccanico, è invece legata in modo diretto alla sensibilità di massa. Quanto riportato in Eq.ne (3.6) può essere riformulato evidenziando la funzione di sensibilità di massa Sf( , )r θ

come:

Δ = −fq Sf( , )r θ ΔM r( , )θ (3.8)

dove ( , )r θ sono le coordinate polari usate nella scansione della superficie circolare del

quarzo.

La funzione di sensibilità di massa è data dalla:

2 1 2 2 1 0 0 ( , ) ( , ) ( , ) f f u r S r C r u r d dr π θ θ θ θ ∞ =

∫ ∫

% % (3.9)

dove u r%1( , )θ è la funzione di distribuzione delle particelle depositate sulla superficie e Cf la costante di sensibilità di Sauerbrey misurata in

2 ( )( ) ( ) Hz m Kg ; l’unità di misura di Sf( , )rθ è ( ) ( ) Hz

Kg . Nel momento in cui un’apparecchiatura a QCM lavora alla frquenza fondamentale, la

funzione di distribuzione particellare è indipendente dalla coordinata angolare della θ; possibile quindi riformulare l’Eq.ne (3.9) nella:

2 1 2 1 0 ( ) ( ) 2 ( ) f f u r S r C r u r dr π∞ =

% % (3.10)

Il denominatore dell’Eq.ne (3.10) è il valore totale della distribuzione di particelle al disopra di una certa superficie, che diviene costante dopo l’integrazione.

La funzione di sensibilità, anche chiamata profilo di sensibilità di massa differenziale

può essere calcolata solo una volta nota la funzione di distribuzione u r%1( , )θ ; un attento studio

proposto in letteratura [9], ma che esula dagli scopi di questo lavoro, propone una formulazione matriciale della funzione u r%1( , )θ dalla cui soluzione è possibile valutare la dipendenza radiale della sensibilità di massa differenziale così come definita nella Eq.ne

(33)

(3.10). La caratterizzazione riportata in letteratura [9] è stata effettuata per un quarzo tipo AT da 11 MHz mascherato con le tipologie di elettrodi prima descritti e per fissati valori del fattore di carico R definito come:

2 ' ' q h R h ρ ρ = (3.11)

dove h' e ρ sono rispettivamente lo spessore e la densità dell’elettrodo. '

InFig.(3.9), è mostrato l’andamento teorico della sensibilità di massa differenziale in funzione della coordinata radiale, per tre tipologie “n-m” di elettrodo e per un fissato fattore di carico R = 0.006; ad esempio “3-7” indica che l’elettrodo superiore è da 3 mm e quello contrapposto da 7 mm.

Fig.(3.9):dipendenza radiale della sensibilità di massa di un QCM da 10 MHz per tre tipi” n-m” di elettrodi.

In Fig.(3.8), è mostrato l’andamento teorico della sensibilità di massa differenziale in funzione della coordinata radiale, variando il parametro di fattore di carico R, per la mascheratura di tipo asimmetrico (n-m):

(34)

Fig.(3.10): dipendenza radiale della sensibilità di massa di un QCM da 10 MHz per elettrodi tipo ” 4-7” e diversi fattori di carico R

E’ evidente come per ogni tipologia di elettrodi, il punto di massima sensibilità di massa sia al centro degli elettrodi e direttamente proporzionale allo spessore dell’elettrodo; i risultati di Fig.(3.9) mostrano infatti come all’aumentare dello spessore dell’elettrodo e quindi della sua massa, l’energia dell’onda vibratoria rimanga maggiormente imprigionata nella zona elettrodizzata; altrettanto evidente è una sensibilità di massa non trascurabile nelle zone miste, specialmente per piccoli spessori dell’elettrodo.

In ambito biosensoristico la sensibilità di massa è spesso sostituita con un

parametro più pratico come la sensibilità di massa per unità di superficie

( ) f S r 2 ( )( ) ( ) area Hz m S Kg ⎡ ⎤ ⎢ ⎥ ⎣ ⎦ ; il

cambiamento di frequenza dovuto all’aumento di massa ΔMuniformemente distribuito è dato dal prodotto di quest’ultimo per la sensibilità di massa per unità di superficie così definita: area S (3.12) 0 ( ) 2 area f S S r πr ∞ =

dr

In Fig.(3.9) vengono comparati gli andamenti di in funzione del tipo di elettrodo e all’aumentare dell’area di integrazione:

area S

(35)

Fig.(3.11): dipendenza dal diametro di integrazione della sensibilità di massa superficiale di un QCM da 10 MHz per elettrodi tipo ” 4-7” e “7-7”.

L’aumento di sensibilità diviene insignificante nella regione in cui il diametro di integrazione supera quello dell’elettrodo: qui infatti decade velocemente l’attività acustica del quarzo e quindi la risposta in frequenza.

La misurazione diretta della sensibilità di massa di un QCM può essere effettuata con differenti tecniche; una soluzione semplice, ma efficiente e quella di piazzare su scala micrometrica delle micromasse, opportunamente tarate, La qualifica sperimentale di quanto detto è riportata inFig.(3.12) e (3.13) [9], in cui l’andamento teorico della sensibilità di massa differenziale in funzione della coordinata radiale viene qualificato con metodi di misurazione diretta [20]

Fig.(3.12): dipendenza radiale della sensibilità di massa di un QCM da 10 MHz di tipo “ 4-7” e “7-7” con R=0.01 misurata sperimentalmente

(36)

Si ritiene superfluo ai fini di questo lavoro addentrarsi ulteriormente nella qualifica della singola tipologia di elettrodo, lasciandola al futuro sviluppo di un sistema integrato; è comunque chiaro come per la progettazione termofluidodinamica di una cella di flusso rivolta a favorire un processo depositivo su QCM abbia tra agli aspetti elettromeccanici più rilevanti l’andamento superficiale della sensibilità di massa in particolare nella zona centrale del quarzo.

Fig.(3.13): misurazione sperimentale della sensibilità di massa su un QCM da 10 MHz.

In direzione radiale su scala micrometrica sono stati depositati in alcune centinaia di siti dei marker d’oro dell’ordine variabile di alcune decine di picogrammi: le misurazioni hanno portato ad ottenere, per un quarzo da 10MHz una risoluzione massima di sensibilità di massa di 50 pg al centro del quarzo.

3.2.3 Formazione onde di compressione e influenza sulla risposta del QCM in liquido

Una altro aspetto fisico riguardante il QCM di cui è bene tener conto per la corretta progettazione della cella di flusso che lo accoglierà, è il fenomeno di formazione di onde

compressionali in liquido e la loro influenza sulla risposta del quarzo stesso.

Come ben analizzato in letteratura [21] nel momento in cui un oscillatore al quarzo di tipo QCM si trova ad operare in ambiente liquido genera delle onde di compressione [Fig.(3.14)] la cui propagazione nello spazio liquido adiacente, se mal progettato, comporta un smorzamento gravoso sull’oscillatore con una forte perdita sul di segnale di risposta.

(37)

Fig.(3.14):vista in sezione degli effetti di risonanza di un QCM a contatto con un continuo liquido confinato.

Il parametro fondamentale su cui intervenire per attenuare sino ad annullare l’effetto perturbatorio, è la distanza h [Fig.(3.14)] che divide la superficie libera dell’oscillatore dalla parete della cella di flusso ad esso opposta.

Tramite le equazioni di Navier-Stokes in condizioni di eccitazione sinusoidale stazionaria, è possibile descrivere il campo di cinetico vibrazionale indotto nel meato di fluido adiacente al QCM posto come in Fig.(3.14), con l’asse y in direzione normale uscente dalla superficie libera: 2 2 2 y x x v y x v v ρ

η

∂ −

η

∂ ∂ & = ∂ ∂y (3.13) 2 2 2 y x y v y x v v ρ

κ

∂ − ∂ ∂ && = −

η

∂ ∂&y (3.14)

dove ,ρ

κ η

e sono rispettivamente la densità, la comprimibilità e la viscosità tangenziale del fluido; vx e vy sono invece le componenti tangenziale e normale del campo cinetico vibrazionale del fluido bagnante. Dai secondi membri dell’Eq.ne(3.13) e (3.14) è evidente come i due campi siano interdipendenti muovendosi lungo la coordinata x; in questa analisi i due campi cinetici si ipotizzano disaccoppiati e quindi nulle le derivate miste al secondo membro. 2 2 x x v y v ρ

η

∂ ∂ = & (3.15)

(38)

2 2 y y v y v ρ

κ

∂ ∂ = && (3.16)

Analizzando l’Eq.ne(3.15), nel meato di fluido adiacente la superficie sensibile del quarzo, l’equazione che regola la velocità di propagazione dell’onda tangenziale in funzione della distanza y dalla superficie è [8]:

( ) sy j t

x

v y = A e−γ e ω (3.17)

dove A è una costante, ωè la frequenza angolare (ω =2π f con f frequenza operativa del quarzo) e γs la costante di propagazione complessa dell’onda vibratoria tangenziale; sostituendo l’Eq.ne(3.17) nell’Eq.ne(3.15), risulta [8]:

1 2 1 (1 ) 2 s j j ω ρ γ η δ ⎛ ⎞ + = + ⎜ ⎟ ⎝ ⎠ = (3.18) dove : 1 2 2η δ ω ρ ⎛ ⎞ ⎜ ⎟ ⎝ ⎠ = (3.19)

è la distanza di estinzione dell’onda in liquido [11].

Per dare un idea fisica, per un QCM da 5 MHz in acqua a 20°C , δ=0.25 mμ ; quindi nel momento in cui h >δ di qualche micron l’onda vibrazionale prodotta decade nel liquido senza essere riflessa dalla parete.

Rimane da analizzare la condizione restrittiva sulla componente vy, relativa al campo cinetico compressionale: per un fluido privo di perdite (

κ

reale) l’equazione che regola la velocità di propagazione dell’onda compressionale in funzione della distanza y dalla superficie è [21]:

( )

(

j cy j cy)

y C

v y

=

B e

− β +

e

β

e

j tω (3.20)

dove B e C sono delle costanti e βcè la costante reale di propagazione dell’onda compressionale nel fluido. Sostituendo l’Eq.ne(3.20) nell’Eq.ne(3.16) e sviluppando opportunamente risulta che l’onda di compressione generata risuona all’interno dello spessore di flusso nel momento in cui si verifica la condizione:

( 1, 2, 3,...)

2

c n

n

h =

λ

= (3.21)

(39)

E’ immediato anche in questo caso discutere la condizione restrittiva per cui oltre ad

essere h >δ deve essere anche

2

c

n h

λ

.

In letteratura sono riportate varie trattazioni sull’influenza della rugosità superficiale e altri aspetti collaterali che potrebbero influenzare la generazione delle onde di compressione, ma ritenute non fondamentali ai fini del lavoro svolto.

(40)

CAPITOLO 4: TERMOFLUIDODINAMICA DEL PROCESSO

DI ADSORBIMENTO E DEPOSIZIONE

DI PARTICOLE COLLOIDALI IN UNA RIJC

4.1 Generalità

In molti contesti bioingegneristici come nella progettazione di biosensori, immobilizzazioni enzimo-batteriche, studio di fenomeni di “biofouling” in trapianti e organi artificiali, trombosi etc., è di grande significato il processo di adsorbimento e deposizione (cosiddetto adsorbimento irreversibile) dei più svariati tipi di particole in prossimità di un’interfaccia liquido/solido. Dovendo controllare in modo rigoroso tali fenomeni, il modello cinetico e termofluidodinamico del processo di adsorbimento e deposizione, che generalmente avviene in condizioni di convezione forzata, deve essere attentamente esplicitato e caratterizzato.

Tra le modalità teoriche e sperimentali maggiormente utilizzate per lo studio della deposizione di particole è presente quella che fa uso di una cella di flusso di tipo “IMPINGING JET” a simmetria radiale e a piani paralleli. Uno dei vantaggi di tale configurazione è relativa alla valutazione dell’efficienza depositiva delle particole, tramite osservazione fluoroscopica dell'elemento sensibile (supporto siliceo funzionalizzato); questo topo di analisi permette però solo una caratterizzazione globale della distribuzione di assorbimento. Per una valutazione locale delle concentrazioni è necessario l’utilizzo di spettroscopi ad onda evanescente o riflettometri, tecniche assai diffuse in studi di assorbimento proteico e oligonucleico.

In letteratura vengono proposti e ampiamente discussi, essenzialmente due approcci teorici per lo studio termofluidodinamico di processi: il metodo lagrangiano e quello

euleriano.

Il metodo Lagrangiano descrive la traiettoria della singola particola ed il suo approccio all’interfaccia, arrivando alla soluzione di equazioni (Langevin-type equation, MC-RSA Monte

Carlo simulation, Random Sequential Adsorpition, Brownian motion ) che forniscono risultati

di tipo stocastico.

Il metodo euleriano descrive, invece, il processo depositivo mirando alla concentrazione particellare in termini di spazio e tempo, non tenendo conto di effetti di tipo Browniano. Di tale approccio sono interpreti sin dagli anni ’80 scenziati come Dabros T. et al.[24] o più recentemente Adamczyk Z. et al. [25], in cui il sistema RIJC viene riprodotto utilizzando

(41)

modelli fisici e termofluodinamici tradizionali (equazione di Navier-Stokes, formula di Stokes-Einstein, etc.).

Entrambi i modelli descrivono e risolvono efficacemente il nostro sistema, fornendo tra l’altro per determinati problemi depositivi i medesimi risultati. Analizzando attentamente le relative recenti pubblicazioni si può, però, osservare come il moderno modello stocastico sia sicuramente più efficace nello studio di deposizioni non-lineari e flussi microlocalizzati di particole submicrometriche (nm o Å), di scarso interesse ai fini del presente lavoro.

Nel presente lavoro di tesi si è preferito, quindi, l'approcio euleriano, ampiamente rivisto e perfezionato negli ultimi anni proprio per biosistemi simili al nostro. Nel seguito di questo capitolo ci si concentrerà su questo tipo di approccio, finalizzato all'analisi termofluidodinamica della regione attigua al punto di ristagno (Stagnation Point Zone), in corrispondenza della quale si hanno condizioni di deposizione ottimali. In particolare, i modelli ed i risultati recentemente riportati nella letteratura internazionale [25-26] verranno criticamente analizzati e, successivamente, riprodotti tramite l'uso dei codici di calcolo

Fluent® e MatLab®.

4.2 Campo di flusso idrodinamico in una cella di tipo RIJ

La configurazione geometrica della cella e del campo di flusso studiata è simile a quella mostrata in Fig.(4.1.a-b), proposta in letteratura da Adamczyk Z. et al. [25]. Il fluido, inteso come sospensione particellare fortemente diluita, viene considerato newtoniano ed

Fig.(4.1-a): rappresentazione schematica 2D del

flusso in una cella di tipo RIJ proposto da Adamczyk et al. [ref.].

Fig.(4.1-b): rappresentazione schematica 3D

della deposizione particellare in una cella di tipo RIJ Dabros et al. [ref.].

incomprimibile; il suo moto è guidato dalla differenza di pressione idrostatica, attraverso un tubo circolare di raggio R.

Figura

Fig 3.1 Struttura cristallografica del quarzo di                                                      Torlomina  e orientamento del taglio AT
Fig 3.2: modi propri di oscillare di un  quarzo                                                                       a AT: a) “shear” mode
Figura 3.4  Rappresentazione schematica del modello di Suerbrey                                      per l’incremento di massa nel sensore piezoelettrico
Figura 6.7: I tre colori primari uniti a formare le varie combinazioni.

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