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Totò Lo Leggio. In memoria

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Academic year: 2021

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Rivista di Storia delle Idee 8:2 (2019) pp. 177-178 ISSN. 2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/08/02/MTR410/02

Patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo

Vincenzo Vasile

Totò Lo Leggio. In memoria

La mattina dell’8 settembre a Campobello di Licata, nella casa di famiglia dove assisteva la madre inferma gli è scoppiato un aneurisma in petto, ha tossito e se ne è andato uno di noi, uno di quelli del Sessantotto, anzi: uno di quelli che nel 1968 avevano all’incirca vent’anni. Ci avevamo scherzato qualche tempo fa, riesumando dal fondo della memoria un episodio: uno dei controcorsi dell’occupazione di Lettere e Filosofia a Palermo, occupazione che ci vantavamo e ancora ci vantiamo fosse la più lunga, la più partecipata dell’ateneo, verteva su “la lotta dei giovani del Terzo Mondo contro il colonialismo e contro le politiche neocoloniali che massacrano il Mezzogiorno e la Sicilia”. Un po’ per sfotterci, un po’ per stimolarci a “non cadere nella palude del romanticismo giovanilista” e a non illuderci che i giovani da soli potessero farcela, sotto al mio tatzebao comparve una scritta tracciata nottetempo proprio da Totò Lo Leggio, con la citazione da Paul Nizan: “Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”.

L’ultima volta che l’ho visto, qualche mese fa a Roma, in una giornata caldissima, infagottato di lana e con una borsa gonfia di fotocopie e di libri, parlammo ancora di quella scritta, e di quanto fossimo in fondo nel nostro Sessantotto palermitano abbastanza eretici e anticonformisti, pur con i nostri vent’anni, e pure con le nostre “appartenenze” che allora ci apparivano granitiche, e invece proprio in quell’anno videro aprirsi vistose crepe di segno libertario: lui Totò in un gruppo emmeelle, marxista leninista, filocinese, ma insofferente al dogmatismo, e noi giovani comunisti della Fgci, organizzazione della sinistra “tradizionale”, eppure terzomondisti, antisovietici, mezzi trotzkisti… Qualcosa, anzi molto di quei tempi era rimasto tatuato nell’animo, a Totò Lo Leggio che era uno dei pochi che, usciti da quella Facoltà e da quelle “lotte”, poi abbia fatto l’insegnante. Per gran parte a Perugia, che era diventata la “sua” città, con un filo rosso non solo familiare che lo legava alla “sua” Sicilia.

A Totò piaceva intrecciare storie e studi sulla Sicilia e il resto d'Italia, la Sicilia e il mondo. Totò ha raccolto documenti sulla detenzione di Mommo Li Causi, ostinato combattente, nel carcere a Perugia, quando rispose alle torture di un compagno di cella investendo a male parole il direttore fascista: "Lei è un assassino o un imbecille, scelga!". Totò ha trovato carte e tracce della vita di un altro formidabile dissidente della sinistra, Mario Mineo, che insegnò sempre a Perugia, dopo aver tumultuosamente attraversato il dopoguerra Siciliano, il Psi, il Pci, i trotzkisti... E sui rapporti tra il perugino Aldo Capitini e il “nostro” Danilo Dolci, e la filiazione del pacifismo isolano dalle marce Perugia-Assisi, ha studiato e scritto molto, su una rivista “Micropolis”, che in Umbria esce nelle edicole allegata al Manifesto, e anche in un suo blog-archivio pieno di documenti, immagini brani idee sogni e stimoli.

Con Totò non ci sentivamo per anni, poi come nulla fosse riprendevamo a parlare, a ricordare... Spesso mi ha convocato nella "sua" Perugia, dove era rimasto a vivere da solo in pensione, dopo anni di insegnamento nei licei, un paio di volte per discutere di libri e di sinistra, e di libri di sinistra, e di mafia e di politica, e di politica mafiosa davanti ai giovani di Libera, che Totò animava in Umbria sin dalla fondazione, dopo essere stato, sempre a Perugia – ora scopro – dirigente sindacale degli insegnanti, segretario di Rifondazione.

L'ultima volta, a Roma parlammo di politica, e ancora di quel Sessantotto anarchico e liberatorio, e di tanti altri che avevamo perso di vista, filocinesi, giovani democristiani rampanti “né di destra né di sinistra”, Peppino Impastato, ragazze, professori, libri, film e giornali. E rammentavi tutto e tutti, nomi e cognomi, e tutti i versi e gli accordi delle canzoni popolari che raccoglievi con acribia nelle campagne e i vicoli della "tua" Campobello di Licata, e ci cantavi con voce baritonale nella Facoltà occupata, cinquant'anni fa. Alcune le ho ritrovate più tardi nel blog.

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Rivista di Storia delle Idee 8:2 (2019) pp. 177-178 ISSN. 2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/08/02/MTR410/02

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"Ti accompagno alla stazione Termini, attento a non perdere quel fascio di fotocopie": erano fogli di archivio su Raniero Panzieri, cocciuto socialista eretico dimenticato, dirigente nazionale approdato in Sicilia negli anni Cinquanta, quando noi eravamo bambini, creatore dei Quaderni rossi, quando eravamo ragazzi, scelti fotocopiati e raccolti quella mattina alla Fondazione Pietro Nenni, ai Parioli; ora da Perugia saresti andato in Sicilia a trovare la madre anziana e malata, ma al ritorno – a settembre - saresti ripassato da Roma: "...ricordati di organizzarmi quell'appuntamento con Macaluso per chiedergli di Panzieri, lui è interessante, è stato il più sinistro della destra comunista, e Raniero era il più sinistro del Psi... mi raccomando…”.

Mi salutasti con il tuo solito sorriso. Perché, m’ero scordato di dirlo, Totò Lo Leggio era ancora comunista, e uno di quei comunisti, non tantissimi, che sapevano sorridere.

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