Scuola di Medicina
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
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CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE
La relazione tra perfezionismo morale e Disturbo
Ossessivo-Compulsivo: un’indagine preliminare in
ampio campione non clinico
RELATORE CANDIDATO
Dott. Gabriele Melli Matilde Ragghianti
Nonna, eredità di intenti, sogni e speranze, riposo del cuore in una carezza, gioia infinita di rispecchiarmi nei tuoi occhi. Meraviglia della tua vita nella mia, e dove io cammino, ci sei anche tu. Nel mio cuore nella mia pelle. Stephen Littleword A mia nonna Norma.
INDICE
Abstract Pag. 1
1. Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo Pag. 2
1.1. Caratteristiche cliniche e inquadramento diagnostico Pag. 2
1.2. Sottotipi clinici Pag. 6
1.3. Epidemiologia, esordio e fattori precipitanti Pag. 11
1.4. Decorso, complicanze e prognosi Pag. 12
1.5. Diagnosi differenziale e comorbilità Pag. 12
1.6. Eziologia Pag. 14
1.6.1. Ipotesi neuro-biologiche Pag. 14
1.6.2. Ipotesi psicoanalitiche Pag. 15
1.6.3. Ipotesi comportamentali e cognitive Pag. 16 2. I fattori cognitivi rilevanti nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo Pag. 17
2.1. I modelli cognitivi classici Pag. 17
2.2. La responsabilità ipertrofica Pag. 19
2.3. Il perfezionismo Pag. 20
2.4. I nuovi modelli e l’importanza del Sé Pag. 29
2.5. Il Sé morale Pag. 31
2.6. Il perfezionismo morale Pag. 32
3. Lo studio sperimentale Pag. 36
3.1. La ricerca psicologica sul perfezionismo Pag. 36 3.2. La Moral-Multidimensional Perfectionism Scale (M-MPS) Pag. 37
3.3. Le ipotesi di ricerca Pag. 39
3.4. Lo studio sperimentale Pag. 39
3.4.1. Metodo Pag. 40
3.4.1.1. Partecipanti Pag. 40
3.4.1.2. Strumenti di misura Pag. 40
3.4.1.4. Analisi statistiche Pag. 43
3.4.2. Risultati Pag. 44
3.4.2.1. Analisi delle componenti principali Pag. 44
3.4.2.2. Consistenza interna Pag. 45
3.4.2.3. Validità convergente e divergente Pag. 45
3.4.2.4. Correlazioni con la psicopatologia Pag. 46
3.4.2.5. Analisi di regressione gerarchica Pag. 47
3.4.3. Discussione Pag. 48
3.4.4. Conclusioni Pag. 51
Riferimenti bibliografici Pag. 53
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ABSTRACT
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo si presenta tipicamente con ossessioni e compulsioni.
I modelli cognitivi per il DOC enfatizzano il ruolo delle credenze e delle valutazioni dell’individuo nello sviluppo e nel mantenimento del DOC. Vari studi si sono concentrati sui principali gruppi di credenze disfunzionali ritenute rilevanti nell’influenzare la trasformazione di normali pensieri intrusivi occasionali in ossessioni patologiche. Tra questi costrutti spiccano la responsabilità ipertrofica, la sensibilità morale e il perfezionismo. Riguardo quest’ultimo costrutto, nello specifico, mentre la ricerca psicologica ha compiuto grandi progressi nella comprensione del perfezionismo generale, ha fino ad ora ignorato il ruolo del perfezionismo morale.
Solo recentemente, Stoeber e Yang hanno sviluppato e validato la Moral-Multidimensional Perfectionism Scale (M-MPS), uno strumento specifico per valutare il costrutto del perfezionismo morale. I primi risultati degli autori hanno rivelato una struttura bifattoriale degli item, una buona consistenza interna e una buona validità convergente e divergente dello strumento.
Dal momento che sono stati ampiamente dimostrati i ruoli del perfezionismo generale e dell’elevata sensibilità morale nel DOC, il presente lavoro si è posto l’obiettivo di esplorare il ruolo del perfezionismo morale nel disturbo ossessivo-compulsivo, finora non indagato, costruendo, validando e utilizzando la versione italiana della M-MPS in un ampio campione non clinico (n=300). Le proprietà psicometriche della scala si sono rivelate buone anche nel caso dell’adattamento in lingua italiana. Contrariamente alle previsioni, però, il perfezionismo morale non sembra avere un ruolo specifico riguardo ai sintomi ossessivi né sembra avere un ruolo più rilevante del perfezionismo generale nello spiegarli.
Parole chiave: Disturbo Ossessivo-Compulsivo; Perfezionismo; Perfezionismo morale; Responsabilità ipertrofica; Sé morale.
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CAPITOLO PRIMO
IL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
1.1. Caratteristiche cliniche e inquadramento diagnostico
Nella vita quotidiana sono frequenti pensieri persistenti e ricorrenti, ma facilmente neutralizzabili e poco disturbanti. Allo stesso modo, possono essere presenti comportamenti ritualistici, che spesso caratterizzano lo sviluppo in modo transitorio e che, in alcuni casi, possono persistere nell’età adulta (Rachman & De Silva, 1978). Tuttavia, “il disturbo ossessivo-compulsivo differisce dalle normali preoccupazioni e ritualità dello sviluppo poiché le sue manifestazioni sono eccessive o persistono oltre gli appropriati periodi evolutivi” (DSM-5; APA, 2013), differenziandosi non tanto qualitativamente quanto piuttosto quantitativamente per intensità, frequenza e persistenza, dai normali fenomeni quotidiani. Questo provoca molto disagio e interferisce pesantemente con la vita di tutti i giorni; le compulsioni divengono delle gabbie, degli automatismi inevitabili, legati a pensieri tanto fissi quanto irrazionali, che compromettono le relazioni sociali, la qualità della vita affettiva, scolastica o lavorativa, costringendo nei casi più gravi a ritirarsi da ogni impegno e attività sia ludica che costruttiva (Melli, 2006). Ѐ in questo caso che possiamo parlare di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC).
Il sintomo caratteristico del DOC è la presenza di ossessioni e/o compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi ripetitivi e persistenti. Esse non sono vissute come piacevoli o volontarie, bensì come intrusive e indesiderate, e causano disagio e ansia marcati. Sono sintomi psichici pervasivi, sperimentati esclusivamente a livello mentale, che “assediano” la mente del soggetto (il termine “ossessione” deriva dal latino obsidēre che significa appunto “assediare”). Tali fenomeni sono vissuti in maniera egodistonica dal paziente: si presentano come in contrasto con le proprie convinzioni e i propri valori, egli
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non riesce a controllarne il contenuto mentale, né a neutralizzarlo o a contrastarlo, pur riconoscendolo come inappropriato. Le ossessioni, nei loro contenuti, appaiono eccessive, prive di una base razionale e insensate; non si riferiscono quindi a rischi reali che tutti riconoscono come tali. Tuttavia, l’individuo riconosce l’origine interna di questi pensieri ossessivi, non vivendoli come inserzioni del pensiero altrui (come avviene in altri disturbi psichiatrici di natura delirante), ma come prodotto della propria mente, e ciò evidenzia la presenza di una buona capacità di critica degli stessi. Le ossessioni cliniche, inoltre, sono caratterizzate da persistenza e tendono a riproporsi e a non diminuire nell’intensità, generando nel soggetto emozioni sgradevoli, come ansia, paura, disagio, dubbi, disgusto o sensazione di non aver fatto le cose in modo adeguato (NJRE: Not Just Right Experience). Gli individui affetti da DOC cercano di ignorare o sopprimere i propri pensieri o impulsi intrusivi, ma non riescono in alcun modo a evitarli o controllarli. Tale senso di oppressione si attenua solo nel momento in cui cedono all’impulso alimentato dall’ossessione, mettendo in atto le compulsioni. Ad esempio, un individuo afflitto dal dubbio ossessivo di aver lasciato aperto il gas cercherà di neutralizzare tale dubbio controllando ripetutamente, per assicurarsi di averlo chiuso. Ciò innescherà un circolo vizioso, causando forte disagio individuale e conseguenze negative in ambito relazionale, lavorativo, e, più in generale, sociale.
Il tema ossessivo, ossia il contenuto specifico delle ossessioni, può assumere varie forme, ma è tuttavia possibile individuare delle tematiche ricorrenti. Recentemente sono state identificate quattro dimensioni principali di preoccupazioni ossessive (Abramowitz et al., 2010):
1) Preoccupazioni di contaminazione: sono le ossessioni più frequenti, fanno riferimento alla sensazione di essersi “contaminati” entrando in contatto più o meno direttamente con persone, luoghi, oggetti, ecc., ritenuti sporchi; talvolta il disagio può essere provocato dalla semplice sensazione disgustante di essersi sporcato, mentre altre volte è determinato dalla paura che la contaminazione possa portare a conseguenze negative per la salute propria o altrui.
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2) Dubbi ossessivi relativi alla possibilità di essere responsabili di danni,
lesioni, incidenti o disgrazie, spesso accompagnati da sentimenti di colpa.
Il paziente ritiene che un mancato controllo su determinate azioni o avvenimenti possa provocare danni a sé o ad altri (per esempio dubbi di aver chiuso correttamente il gas o aver chiuso la porta, che non si estinguono nonostante i ripetuti controlli).
3) Pensieri inaccettabili: per esempio a contenuto violento, immorale o di natura sessuale, Preoccupazioni di poter fare o semplicemente desiderare qualcosa di imbarazzante, sconveniente o terribile.
4) Idee di simmetria e completezza: sono ossessioni relative alla necessità di ordine e simmetria (ad esempio il bisogno di verificare che gli oggetti siano posti in un dato ordine), spesso accompagnate da pensiero magico. Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi o azioni mentali che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta ad un’ossessione, o meglio all’ansia e al disagio determinati dall’ossessione, secondo regole che devono essere applicate rigidamente. Solitamente, tuttavia, la compulsione non è collegata in modo realistico all’evento temuto, o è chiaramente eccessiva (Kaplan, Benjamin, & Grebb, 2000). Si parla di comportamenti obiettivabili overt (come lavarsi le mani, controllare, riordinare) o azioni mentali non obiettivabili covert (rituali mentali, come contare, ripetere formule, pregare), ripetitivi, messi in atto per ridurre l’ansia e il disagio che accompagnano l’ossessione o per prevenire eventi o situazioni temute (Rachman, Shafran, & Riskind, 2005). Esse, in pratica, costituiscono un tentativo di eludere il disagio, un mezzo per il controllo della propria ansia, un comportamento operante, che può essere interpretato come un caso particolare di evitamento: costituiscono un rinforzo negativo di sottrazione dello stato di disagio, che diviene fattore di mantenimento del disturbo, innescando un vero e proprio circolo vizioso. L’individuo si sente come costretto (compulsione deriva dal latino compellĕre, “costringere”), nonostante le proprie resistenze interiori, a ripetere con frequenza esagerata certi rituali, per attenuare l’ansia, prevenire un danno o rispettare determinate regole autoimposte. Tutto ciò richiede molto tempo (più di un’ora al giorno), anche perché ogni interruzione
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nell’esecuzione implica che si ripeta da capo l’intera azione, e la sensazione di aver fatto abbastanza matura con estrema lentezza o in alcuni casi non matura affatto. Spesso i soggetti invischiano i familiari e gli amici nella rete dei propri rituali, attraverso costanti richieste di rassicurazione alle proprie preoccupazioni. Tali richieste assumono la funzione di comportamento tranquillizzante, al pari delle compulsioni, e ciò causa disagi relazionali, logoramento dei rapporti parentali e rottura di matrimoni e convivenze. Le persone affette da DOC, inoltre, tendono a mettere in atto una serie di evitamenti nei confronti di tutte le situazioni che innescano pensieri ossessivi, nel tentativo di controllarli e non essere costretti a compiere i rituali (Melli, 2006).
La gravità della sintomatologia DOC è determinata da alcune caratteristiche importanti (Cassano, 2006):
- La resistenza, ossia la capacità di lottare contro l’idea intrusiva e di resistere alle compulsioni. Essa può variare nello stesso paziente nel tempo e a seconda dell’ambiente in cui si trova.
- L’interferenza, ossia la capacità di adattarsi e convivere con i propri sintomi.
- Il grado di insight, cioè la consapevolezza del proprio disturbo e dell’irragionevolezza dei propri sintomi. Tra i pazienti DOC vi è un’ampia variabilità di insight: da individuo a individuo e all’interno della stessa persona, in diversi momenti o situazioni. Ad esempio, un individuo può riconoscere l’irragionevolezza delle proprie ossessioni in una situazione “sicura”, come lo studio del terapeuta, ma non quando si trova in contatto con gli stimoli che attivano le ossessioni stesse.
Il DSM-5 (APA, 2013), a tale proposito, ha inserito nei criteri diagnostici del disturbo una specificazione riguardante l’insight, che varia lungo un continuum da buono a scarso fino alla totale assenza, con convinzioni deliranti.
Le ossessioni e compulsioni devono causare disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento personale, sociale e lavorativo. È proprio
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questo criterio che consente di distinguere il disturbo da occasionali pensieri intrusivi o rituali ripetitivi comuni nella popolazione generale.
La maggior parte dei pazienti presenta sia ossessioni sia compulsioni. In circa l’80% dei casi si riscontrano entrambe le manifestazioni, mentre in meno del 20% se ne riscontra solamente una (Melli, 2006).
1.2. Sottotipi clinici
Il DOC è un disturbo eterogeneo, diverse sono state le proposte per la sua sotto-tipizzazione. Una delle prime classificazioni, proposta da Eisen e Rasmussen nel 1990, prevedeva cinque principali categorie: washers, checkers, ossessioni pure, lentezza ossessiva primaria e pazienti con rituali misti. Successivamente, nel 1999, David Mataix-Cols e collaboratori ne individuarono cinque classi: 1) ossessioni di simmetria e compulsioni di ripetizione, conteggio, ordine; 2) ossessioni e compulsioni di accumulo; 3) ossessioni di contaminazione e compulsioni di lavaggio; 4) ossessioni aggressive e compulsioni di controllo; 5) ossessioni sessuali/religiose e relative compulsioni. Una recente classificazione, centrata sulle ossessioni, è quella precedentemente citata di Abramowitz e collaboratori (2010). In generale, basandosi sulla tipologia di compulsioni, si possono distinguere specifiche tipologie di disturbo ossessivo-compulsivo, ma bisogna comunque tener conto che si possono sviluppare quadri polisintomatici (Melli, 2006):
Disturbi da contaminazione (washers/cleaning): ossessioni e compulsioni connesse a improbabili e irrealistici contagi e contaminazioni; il soggetto sperimenta pensieri intrusivi relativi al timore dello sporco (rupofobia) e alla contaminazione da parte di germi o sostanze tossiche. Tali timori sono accompagnati da esasperati rituali di “decontaminazione”, di lavaggio di sé e di disinfezione dell’ambiente (ablutomania), ripetuti e particolareggiati. Chi ne è affetto mostra costanti preoccupazioni di potersi sporcare o infettare entrando in contatto con sostanze di vario tipo: sangue, siringhe, carne cruda, urine,
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secrezioni corporee, saponi, solventi, sostanze chimiche, ecc. Perciò, si trova costretto a evitare svariati luoghi pubblici (bagni, cabine telefoniche, autobus) e se entra in contatto (o pensa di essere entrato in contatto) con una delle sostanze contaminanti, mette in atto le compulsioni. Spesso, questi pazienti evitano di toccare qualsiasi oggetto non sterilizzato (ad esempio, aprono le porte con i gomiti) e coinvolgono anche i familiari, che vengono “costretti” a evitare i luoghi contaminati e a lavarsi più del necessario. Il senso di contaminazione, inoltre, può derivare anche da “sporco” di natura sociale (tossicodipendenti, barboni), metafisica (il male, il diavolo, la negatività), o in alcuni casi può essere slegato dal timore di prendersi una malattia e può far riferimento esclusivamente al senso di disgusto e di “contaminazione morale”.
Disturbi da controllo (checkers): preoccupazioni e comportamenti di controllo e ricontrollo, legati al dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male e di non ricordarlo (commissione) o di non aver fatto il possibile per prevenire qualunque eventuale catastrofe (omissione). Il soggetto, infatti, può sperimentare il timore di non aver eseguito piccole incombenze quotidiane (ad esempio chiudere il gas) o di poter causare involontariamente, per distrazione o leggerezza, danni materiali, fisici o emotivi. Le compulsioni implicano, quindi, controlli prolungati e verifiche del proprio operato, allo scopo di prevenire gravi incidenti o catastrofi, o di assicurarsi che queste non si siano già verificate. Ad esempio, alcuni soggetti controllano di aver chiuso bene il gas, le finestre, le porte, di aver spento la luce, di non avere tracce di sangue addosso, di non aver investito involontariamente qualcuno, ecc.. Anche in questo caso, spesso vengono coinvolti i familiari, che divengono oggetto di ripetute richieste di rassicurazione, o ai quali viene chiesto di fare controlli al posto della persona stessa (Eisen & Rasmussen, 1990; Rachman, 2004).
Disturbi da ordine e simmetria (orderers): ossessioni riguardanti la necessità di ordine e simmetria relativa a oggetti (fogli, piatti, cd, abiti, penne, ecc.) o alla propria persona (ad esempio, la posizione di un orologio, il modo in cui sono sistemati un indumento o la pettinatura dei capelli). I soggetti che soffrono di
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questo disturbo non tollerano assolutamente che gli oggetti siano posti in modo disordinato o “asimmetrico” poiché ciò causa in loro una sgradevole sensazione di mancanza di armonia e logicità. Le compulsioni consistono nel riordinare, allineare, contare gli oggetti secondo una sequenza logica (ad esempio in ordine di grandezza o per colore), o in rituali di messa in ordine allo specchio, che possono durare anche ore a causa delle ripetizioni e dei conteggi (Baer, 1994; Mataix-Cols et al., 1999).
Disturbi magico/superstiziosi (repeaters e thinking ritualizers): questi soggetti temono che compiere o meno determinati gesti, pronunciare o meno determinate parole, vedere o meno certe cose, numeri e colori, contare o meno un numero preciso di volte degli oggetti, ripetere o meno delle azioni, possa influire sull’esito positivo o negativo degli eventi che accadono a se stessi o alla loro famiglia (Eisen & Rasmussen, 1990; Mataix-Cols et al., 1999). Questo pensiero superstizioso esasperato costringe il soggetto a evitare tali situazioni e a mettere in atto rituali come ripetere un certo numero di volte l’azione che stava compiendo mentre ha visto o sentito cose o parole associate alla negatività/sfortuna. Altre volte i rituali sono solo mentali (contare, pregare, ecc.). Ossessioni pure: in questi casi le compulsioni overt/covert sono assenti. I soggetti esperiscono pensieri, impulsi, immagini relativi a scene in cui attuano comportamenti indesiderati, insensati, inaccettabili, sconvenienti o socialmente pericolosi; essi hanno contenuto aggressivo, religioso o sessuale (ad esempio il timore di pronunciare frasi oscene, di essere omosessuale, ecc.). L’ansia si genera poiché l’individuo crede che il fatto stesso di avere l’ossessione riveli qualcosa della sua natura (ad esempio: “temo di essere omosessuale, allora sono omosessuale”) ed è seguita spesso dal dialogo interno finalizzato alla rassicurazione.
9 Criteri diagnostici
A. Presenza di ossessioni, compulsioni, o entrambi Le ossessioni sono definite da 1) e 2):
1) Pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso del disturbo, come intrusivi e indesiderati e che nella maggior parte degli individui causano ansia e disagio marcati.
2) Il soggetto tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni (cioè mettendo in atto una compulsione)
Le compulsioni sono definite da 1) e 2):
1) Comportamenti ripetitivi (per esempio lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per esempio pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta ad un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente.
2) I comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre l’ansia o il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti, tuttavia, questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.
Nota: i bambini piccoli possono non essere in grado di articolare le ragioni di questi comportamenti o azioni mentali.
B. Le ossessioni o compulsioni fanno consumare tempo (più di un’ora al giorno) o causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. C. I sintomi ossessivo-compulsivi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (droga o farmaco) o ad un’altra condizione medica.
D. Il disturbo non è meglio giustificato dai sintomi di un altro disturbo mentale (ad esempio eccessive preoccupazioni come nel disturbo di ansia
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generalizzata; preoccupazioni legate all’aspetto come nel disturbo da dimorfismo corporeo; difficoltà nel gettare via o separarsi dai propri averi, come nel disturbo da accumulo; strappamento di peli, come nella tricotillomania; stuzzicamento della pelle, come nel disturbo da escoriazione; stereotipie, come nel disturbo da movimento stereotipato; comportamento alimentare ritualizzato, come nei disturbi alimentari; preoccupazione per sostanze o per il gioco d’azzardo, come nei disturbi correlati a sostanze e nei disturbi da addiction; preoccupazioni legate all’avere una malattia, come nel disturbo da ansia di malattia; impulsi o fantasie sessuali, come nei disturbi di parafilia; impulsi, come nei disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta; ruminazioni relative al senso di colpa, come nel disturbo depressivo maggiore; pensieri intrusivi o preoccupazioni deliranti, come nei disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici, oppure pattern di comportamenti ripetitivi, come nel disturbo dello spettro dell’autismo).
Specificare se:
- Con insight buono o sufficiente: l’individuo riconosce che le convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo sono decisamente o probabilmente non vere, o che esse possono essere o possono non essere vere.
- Con insight scarso: l’individuo pensa che le convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo siano probabilmente vere.
- Con insight assente/convinzioni deliranti: l’individuo è assolutamente sicuro che le convinzioni del disturbo ossessivo-compulsivo siano vere.
Specificare se:
- Correlato a tic: l’indivituo ha una storia attuale o passata di disturbo da tic.
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1.3. Epidemiologia, esordio e fattori precipitanti
La prevalenza del DOC è compresa tra l’1,9 e il 2,5% (Weissman, Bland, Canino, & Greenwald, 1994). Il disturbo può comparire nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’età adulta: in età evolutiva è osservabile un rapporto maschi-femmine di 2:1, mentre nell’età adulta il DOC colpisce le donne in percentuale uguale o leggermente superiore rispetto agli uomini (Kaplan et al., 2000). Per quanto riguarda l’età di esordio, è più comune nella prima età adulta: di solito i primi sintomi compaiono prima dei 25 anni e l’esordio è in genere precoce negli uomini (6-15 anni) e più tardivo nelle donne (20-29 anni); sono rari i casi in cui i primi sintomi si manifestano dopo i 40 anni (DSM-5; APA, 2013). L’esordio, inoltre, è nella maggior parte dei casi insidioso, subdolo e graduale, tanto che i pazienti non riescono a ricordare con esattezza quando si sono presentati i primi sintomi; più raramente è acuto, con sintomi improvvisi. In quest’ultimo caso, esso può essere legato ad un’infezione da streptococco in età pediatrica (Swedo et al., 1998), a traumi cranici (Laplane, 1994) o al post-partum (Sichel, Cohen, Rosenbaum, & Discroll, 1993). Il post-partum sembra essere l’unico fattore di rischio significativamente correlato all’esordio acuto del DOC nella popolazione femminile (Maina et al., 2001), ma vi sono anche dati importanti a sostegno del ruolo dell’aborto spontaneo (Geller et al., 2001). Inoltre, sembra che anche altri eventi psicosociali stressanti (difficoltà matrimoniali, malattie o morte di familiari, frustrazioni ed eccessivo carico lavorativo) siano importanti fattori precipitanti.
Tra i fattori di rischio temperamentali rientrano sintomi internalizzanti, emotività negativa più marcata e inibizione comportamentale in età infantile (DSM-5; APA, 2013).
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1.4. Decorso, complicanze e prognosi
Il decorso del disturbo può essere episodico o cronico. Il DOC a decorso episodico riguarda il 25% dei casi; è caratterizzato dall’alternanza di periodi in cui sono presenti i sintomi (circa un anno) e periodi di remissione totale (da mesi ad anni) (Bogetto, Maina, & Albert, 2000). In alcuni casi, ci può essere un episodio singolo in tutta la vita della persona. Questa forma prevale nel sesso femminile, ha un esordio tardivo (>25aa), riguarda soprattutto sintomi ossessivi (che possono variare da un episodio all’altro), risponde piuttosto bene alle terapie ed è inoltre spesso associata a depressione primaria. Il decorso cronico, invece, riguarda circa il 75% dei casi e può essere fluttante (alternanza di miglioramento e peggioramento dei sintomi, che tuttavia non scompaiono mai nel tempo), stabile (entità dei sintomi stabile nel tempo), ingravescente (il tipo di decorso più comune e grave, in cui dopo un esordio graduale dei sintomi si assiste ad un’alternanza di periodi di peggioramento e di stabilità). Quest’ultima forma prevale nei maschi ed è caratterizzata da sintomi compulsivi, esordio precoce (<25aa), peggiore risposta al trattamento e associazione con depressione secondaria. Complicanze frequenti oltre alla depressione sono i tic, l’abuso di alcol e di sostanze psicoattive. Queste caratteristiche, in particolare, sono al contempo anche indicatori di prognosi sfavorevole, insieme all’esordio precoce, all’andamento cronico ingravescente e allo scarso insight (Cassano, 2006).
1.5. Diagnosi differenziale e comorbilità
Esistono altri disturbi che possono presentare caratteristiche sintomatologiche simili al DOC: per questo motivo è importante distinguere i quadri in base a specifici elementi, per garantire un’adeguata diagnosi differenziale.
Disturbi d’ansia: in questo caso i pensieri ricorrenti riguardano solitamente aspetti legati alla vita reale, mentre le ossessioni del DOC non coinvolgono
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aspetti realistici, ma piuttosto contenuti bizzarri, irrazionali o di natura magica. Nel caso delle fobie, gli stimoli fobici sono solitamente più circoscritti e più facilmente evitabili e non innescano i rituali compulsivi.
Disturbo depressivo maggiore: nelle ruminazioni del disturbo depressivo i pensieri sono di solito congruenti all’umore e non necessariamente sono vissuti come intrusivi o angoscianti, inoltre non si accompagnano a compulsioni.
Altri disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo: nel disturbo da dismorfismo corporeo, le ossessioni e le compulsioni sono limitate alle preoccupazioni relative all’aspetto fisico, nella tricotillomania il comportamento compulsivo è limitato allo strapparsi i peli in assenza di ossessioni.
Disturbi alimentari: le ossessioni e le compulsioni in questo caso sono limitate a preoccupazioni relative al peso e al cibo.
Tic e movimenti stereotipati: un tic è un movimento o una vocalizzazione improvviso, rapido, ricorrente, non ritmico. Un movimento stereotipato è un comportamento motorio ripetitivo, non funzionale, apparentemente guidato. Questi due elementi sono tipicamente meno complessi delle compulsioni e sono afinalistici, infatti non hanno l’obiettivo di neutralizzare un’ossessione.
Disturbi psicotici: alcuni individui con DOC hanno un insight scarso o convinzioni deliranti. Tuttavia essi hanno ossessioni e compulsioni e non presentano altre caratteristiche tipiche della costellazione sintomatica dei disturbi psicotici.
Altri comportamenti simil-compulsivi: alcuni comportamenti vengono descritti come “compulsivi”, come il gioco patologico e l’uso di sostanze. Tuttavia, in questo caso, l’individuo trae solitamente piacere dall’attività, al contrario del paziente affetto da DOC che emette le compulsioni con grande fatica e sofferenza.
Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità: esso non è caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi intrusivi, o da comportamenti ripetitivi messi in atto
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in risposta a queste intrusioni. Questa configurazione di personalità rappresenta piuttosto un pattern duraturo di eccessivo perfezionismo e controllo rigido, di cui il soggetto non avverte il peso e la fatica.
Il DOC si trova spesso in comorbilità con i disturbi d’ansia (76%) e con il disturbo depressivo o bipolare (63%) (DSM-5; APA, 2013). L’esordio del DOC è solitamente tardivo rispetto alla maggior parte dei disturbi d’ansia e al disturbo da stress post-traumatico, ma spesso precede quello dei disturbi depressivi. Anche la comorbilità con il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità è comune (dal 23 al 32%) (DSM-5; APA, 2013). Fino al 30% degli individui con DOC ha anche un disturbo da tic nel corso della vita. Nei bambini può essere rilevata una tipica triade composta da DOC, disturbo da tic e deficit di attenzione e iperattività (DSM-5; APA, 2013).
1.6. Eziologia
Non è possibile individuare un modello eziopatogenetico singolo e scientificamente dimostrato alla base del disturbo ossessivo-compulsivo. Nel corso degli anni, tuttavia, sono state elaborate numerose ipotesi di tipo neuro-biologico e psicologico (psicodinamico, cognitivo e comportamentale).
1.6.1. Ipotesi neuro-biologiche
La letteratura evidenzia dati relativi alla presenza di una componente genetica predisponente nel DOC, anche se i meccanismi specifici non sono stati ancora del tutto chiariti. Studi su famiglie e gemelli hanno dimostrato un’alta prevalenza familiare di questo disturbo (Pauls et al., 1995), altri studi si sono invece concentrati sulla modalità di trasmissione genetica (Nestadt et al., 2000), altri, infine, sui polimorfismi genetici specifici che causerebbero alterazioni in altrettanto specifici sistemi neurotrasmettitoriali (Camarena et al., 2001; Mundo et al., 2000). Un’ipotesi patogenetica accreditata sostiene che la sintomatologia
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del DOC sia correlata con una disregolazione di alcuni sistemi trasmettitoriali, in particolare quello serotoninergico (e in parte anche di quello dopaminergico), che causerebbe una diminuzione di neuromediatore in specifiche zone cerebrali. Questa ipotesi è sostenuta dal fatto che i sintomi ossessivo-compulsivi migliorano con la somministrazione di SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina). Studi con tecniche di neuroimaging mostrano alterazioni funzionali in specifiche aree cerebrali, in particolare nel circuito fronto-striatale. Baxter e colleghi (2000) hanno condotto un’indagine utilizzando la PET e hanno dimostrato come nella testa del nucleo caudato di pazienti con DOC si riscontrino livelli metabolici più alti che nei soggetti normali. Tali livelli diminuiscono con la somministrazione di SSRI e con il trattamento psicoterapico. Altre strutture cerebrali sembrano coinvolte nella genesi del DOC: gli altri gangli della base e la corteccia orbito-frontale. In particolare, quest’ultima ha un ruolo nella valutazione delle conseguenze dei comportamenti che mettiamo in atto e nella regolazione dei circuiti emozionali, con un’importante funzione di inibizione delle risposte emotive e comportamentali impulsive. Nel DOC sembra esserci un’eccessiva attività di quest’area; si parla infatti di “iperfrontalità”, che innesca un costante ed eccessivo allarme anche di fronte a stimoli insignificanti, unito a controllo e rigidità sproporzionati rispetto alle situazioni.
1.6.2. Ipotesi psicoanalitiche
Tra le ipotesi psicologiche, la prima è stata quella psicoanalitica. Secondo Freud, i sintomi della “nevrosi ossessiva” rappresenterebbero delle risposte difensive nei confronti di impulsi inconsci inaccettabili per l’individuo. In particolare, all’origine ci sarebbe una regressione alla fase anale dello sviluppo, nella quale il bambino sperimenta impulsi aggressivi e ostili nei confronti delle figure genitoriali e mette in atto comportamenti ossessivi e compulsivi per controllare tali impulsi. I meccanismi di difesa dell’Io impiegati dai pazienti con DOC mirano quindi a tenere sommersi impulsi sadico-anali inconsci. Questa ipotesi è considerata poco plausibile, tuttavia Freud a suo tempo aveva individuato modalità di pensiero tipiche del paziente con DOC considerate tuttora valide: la
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difesa da pensieri inaccettabili, l’eccessiva importanza attribuita al pensiero e il timore di danneggiare gli altri.
1.6.3. Ipotesi comportamentali e cognitive
Dal punto di vista comportamentale, il problema centrale del DOC è rappresentato dalle compulsioni. Queste infatti, attraverso meccanismi di condizionamento operante, vanno a rinforzare negativamente l’associazione condizionata tra gli stimoli ansiogeni e la risposta d’ansia stessa. Detto in altre parole, inizialmente l’individuo apprende, in maniera più o meno casuale, che un comportamento “superstizioso” riduce l’ansia e lo adotta come modulo di comportamento da attuare ogni qualvolta la esperisce o per prevenirne l’insorgenza (evitamento). Il rinforzo negativo dato dalla sottrazione dell’ansia porta all’aumento della frequenza dei rituali, alla loro cronicizzazione e generalizzazione e al rafforzamento dell’associazione iniziale stimolo-risposta (Franceschina, Sanavio, & Sica, 2004). In questo senso, il DOC consiste in “una serie di timori appresi che vengono rinforzati dalle loro stesse conseguenze” (Meyer & Chesser, 1970). La compulsione diviene, quindi, fattore di mantenimento del disturbo stesso, al pari dell’evitamento tipico delle fobie, tanto da poter essere considerata un “caso particolare di evitamento”.
La prospettiva comportamentale è stata integrata e arricchita da quella cognitiva, la quale si è concentrata soprattutto sui meccanismi che differenziano le normali intrusioni mentali dalle ossessioni patologiche, oggetto del capitolo seguente.
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CAPITOLO SECONDO
I FATTORI COGNITIVI RILEVANTI NEL
DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
2.1. I modelli cognitivi classici
Secondo i modelli cognitivi, in generale, l’individuo persegue degli scopi, organizzando il proprio comportamento e le proprie risposte emotive in base a sistemi di credenze. Si tratta di convinzioni del tipo “Se…allora…”, convinzioni rigide e assolutistiche originate dalla necessità di tenere disattivati gli schemi negativi di sé, degli altri e del mondo, che l’individuo si è formato nel corso della propria storia di vita e in base a eventi rilevanti e/o traumatici. Lo scopo primario è appunto tenere disattivate tali griglie di lettura della realtà. Le credenze sono fondamentalmente un sistema di regole mentali costruite dalla persona che creano le condizioni perché lo scopo sia soddisfatto. Queste convinzioni irrazionali portano a loro volta alla tendenza a formulare pensieri automatici contenenti distorsioni cognitive, responsabili della genesi delle emozioni negative. Tuttavia, sono talmente rigide che è molto difficile che non vengano mai violate, e nel momento in cui ciò accade, attivano lo schema maladattivo sottostante.
Nello specifico, i modelli cognitivi per il DOC enfatizzano il ruolo delle credenze e delle valutazioni nello sviluppo e mantenimento del DOC (Rachman, 1997, 1998; Salkovskis, 1985, 1999) e sono associati a trattamenti specifici (Steketee, 1993). I modelli cognitivo-comportamentali suggeriscono che le ossessioni trovino la loro origine in fenomeni normali intrusivi che, se valutati negativamente, possono dare origine a sentimenti negativi con comportamenti compulsivi, attività di neutralizzazione ed evitamento. Per esempio, un pensiero del tipo “Posso aver lasciato la stufa accesa” potrebbe condurre ad un sentimento negativo se l’individuo compie una valutazione cognitiva del tipo “La casa
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brucerà ed io sarò colpevole”, ma non se egli pensa “Che strana cosa da pensare, probabilmente sono stressato” (Doron & Moulding, 2009). In altre parole, solo se i pensieri intrusivi sono valutati come pericolosi, o comunque significativi, accade che la persona possa incorrere in comportamenti compulsivi overt o covert per neutralizzare questi pensieri e/o le implicazioni della valutazione negativa che ne è scaturita.
Secondo la teoria cognitiva delle ossessioni patologiche di Rachman e Hodgson (1980), infatti, numerosi stimoli di varia natura possono provocare in qualsiasi persona pensieri intrusivi, che tendono a scomparire entro poco tempo secondo i normali processi psicologici. Tuttavia, se il soggetto valuta il contenuto di questi pensieri come minaccioso e in conflitto con il proprio sistema di convinzioni e valori, si creano in lui uno stato di ansia e disagio e una sensazione di perdita di controllo sulla propria attività mentale. Aspetto fondamentale nel determinare la genesi di un’ossessione patologica sarebbe quindi l’appraisal (valutazione) che il soggetto opera sui fenomeni intrusivi spontanei e naturali; un’interpretazione erronea e troppo rigida, basata sul proprio sistema di credenze e convinzioni, determinerebbe pensieri automatici negativi sulle intrusioni stesse. Nel 1997 il gruppo di ricerca internazionale “Obsessive Compulsive Cognition Working Group” ha proposto le sei principali credenze disfunzionali ritenute rilevanti nell’influenzare i suddetti PAN e quindi nella trasformazione di normali pensieri intrusivi occasionali in ossessioni patologiche:
- Responsabilità ipertrofica: eccessivo senso di responsabilità dell’individuo, che si sente in dovere di prevenire ogni possibile danno o colpevole per averlo determinato.
- Eccessiva importanza dei propri pensieri: assunzione secondo la quale la
semplice presenza o formulazione di un pensiero ha implicazioni sul piano reale. Fenomeni tipici di questa natura sono il pensiero magico e la fusione “pensiero-azione” (pensare un’azione equivale a farla) e “pensiero-evento” (pensare un evento è come farlo accadere).
- Eccessiva preoccupazione riguardo al controllo dei propri pensieri:
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auto-monitoraggio, oltre che un senso di responsabilità per l’eventuale presenza di contenuti mentali indesiderati e un obbligo percepito di allontanarli.
- Sovrastima della minaccia: sovrastima delle probabilità che un evento
negativo si verifichi e della gravità delle conseguenze.
- Intolleranza dell’incertezza: intolleranza dell’ambiguità e dell’incertezza e
necessità di essere certi di poter far fronte a qualsiasi mutamento anche imprevedibile.
- Perfezionismo: convinzione che possa esistere una soluzione perfetta per
ogni problema e che soluzioni imperfette non siano accettabili e possano avere conseguenze catastrofiche.
Studi successivi (OCCWG, 2005) hanno accorpato queste dimensioni, riducendole a tre: 1) Sovrastima della minaccia/Responsabilità ipertrofica; 2) Eccessiva importanza attribuita ai propri pensieri/Necessità di controllare i propri pensieri; 3) Intolleranza dell’incertezza/ Perfezionismo.
2.2. La responsabilità ipertrofica
Tra i mediatori cognitivi ritenuti sottostanti al DOC, la letteratura scientifica più recente si è concentrata sulla responsabilità, o meglio, sulla percezione di responsabilità (Rachman, 1998, 2002; Salkovskis, 1985, 1989, 1993; Salkovskis et al., 2000). Il modello cognitivo del DOC (Salkovskis, Shafran, Rachman, & Freeston, 1999) ha definito la responsabilità come la credenza di avere un ruolo cruciale nel prevenire eventi negativi, e ha sottolineato il ruolo centrale degli schemi disfunzionali di responsabilità sia nella genesi sia nel mantenimento del DOC (Salkovskis, 1985, 1989, 1993). Secondo questo modello, gli schemi di responsabilità disfunzionale si formano a causa di esperienze precoci. L’interazione di tali schemi con un evento critico dà luogo all’interpretazione catastrofica di pensieri, immagini, impulsi intrusivi, stimoli ambientali e pensieri correlati, focalizzati sulla paura di causare un danno a sé e agli altri. Questo
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eccessivo senso di responsabilità produce pensieri automatici negativi fonte di disagio e di ansia, che l’individuo cerca di neutralizzare tramite le compulsioni. La responsabilità ipertrofica è definita come uno stato mentale composto da tre elementi fondamentali: 1) la minaccia che si verifichi un evento negativo, che può essere sia un evento manifesto (per esempio un incidente automobilistico), sia una minaccia sul piano esclusivamente morale (per esempio “avere pensieri inaccettabili significa che sono una cattiva persona”) (Ladouceur et al., 1996); 2) la prevenzione di tale evento negativo come obiettivo primario; 3) la credenza di avere la capacità di prevenire l’evento temuto (ovvero sentirsi investito di un potere determinante). In questo senso, la responsabilità ipertrofica differisce dal tipico senso di responsabilità per due aspetti quantitativi: sia l’obiettivo di prevenire l’evento negativo, sia la percezione del proprio potere di farlo sono molto amplificati (Salkovskis & Forrester, 2002). Mancini e Gangemi (2004) hanno suggerito che ci siano altri fattori che entrano in gioco nella responsabilità ipertrofica, tra i quali fondamentale è la paura del senso di colpa per avere agito in maniera irresponsabile.
La relazione tra responsabilità ipertrofica e sintomi ossessivo-compulsivi è documentata sia in campioni clinici sia nella popolazione generale (ad es. Rachman, 1993; Tallis, 1994; Foa, Sacks, Tolin, Preworski, & Amir, 2002; Ladouceur et al., 1995; Lopatka & Rachman, 1995). La percezione alterata della responsabilità sarebbe una delle possibili distorsioni cognitive che influenzano il processo di valutazione delle intrusioni, insieme ad altre variabili quali l’incertezza, la minaccia percepita, il grado di controllo, così come il grado in cui il pensiero è ritenuto vero ed attendibile (Rhéaume et al., 1995).
2.3. Il perfezionismo
Il perfezionismo è una disposizione di personalità caratterizzata dall’ambizione alla perfezione e dall’impostazione di standard di performance esageratamente alti, accompagnati da valutazioni eccessivamente critiche di Sé (Frost & Marten,
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1990). Gli individui perfezionisti credono di poter e di dover raggiungere una performance perfetta, percepiscono qualsiasi prestazione non perfetta come insoddisfacente, dal momento che tendono a pretendere un livello di perfezione che non sono in grado di mantenere (Hamachek, 1978; Burns, 1980; Patch, 1984).
Il perfezionismo ha giocato un ruolo preminente nella teorizzazione del disturbo ossessivo-compulsivo: già nel 1903, Janet, nella sua teoria del DOC, assegnava ad esso un ruolo centrale. Le differenti teorie che legano il perfezionismo al DOC condividono diversi temi comuni. Quello predominante è che il pensiero e il comportamento del perfezionista rappresentino un tentativo di evitare qualcosa di spiacevole (ovvero la critica, il disastro, l’incertezza, la perdita di controllo). Il fine principale del perfezionista non è tanto raggiungere un obiettivo, quanto piuttosto evitare di commettere errori (Maia et al., 2009). Il tema comune di queste teorie è che il perfezionismo si centra sull’evitare qualcosa di spiacevole (cioè la critica, la disapprovazione, serie conseguenze, l’incertezza o la mancanza di controllo) (Yorulmaz et al., 2006). Nella visione del DOC di Mallinger (1984), il perfezionismo è considerato come un tentativo di ottenere e di mantenere il controllo sull’ambiente per sentirsi al sicuro da un eventuale danno. Straus (1948) ha ipotizzato che il pensiero perfezionistico possa svilupparsi come un modo di fronteggiare gli eventi di vita inaspettati e impegnativi. Nel tentativo di gestire le incertezze e di evitare conseguenze spiacevoli, l’individuo si costruisce una configurazione mentale per cui egli, sia con i pensieri sia con i comportamenti, è spinto a cercare di agire sempre perfettamente. Questa tendenza contribuisce allo sviluppo di certi tipi di ossessioni (per esempio dubbi sulla correttezza nella realizzazione di un compito) e di attività compulsive (per esempio il controllo ripetuto) durante l’esecuzione della maggior parte delle attività. A questo proposito, è stato suggerito che l’intolleranza dell’incertezza svolga un ruolo di mediatore, poiché le credenze perfezionistiche deriverebbero dall’incapacità di tollerare di non sapere cosa succederà. Dal momento che gli individui non possono tollerare l’ignoto, esigono un risultato perfetto per ridurre la loro incertezza. Perciò, le convinzioni perfezionistiche possono avere lo scopo
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di rendere nota la situazione futura. Per esempio, uno studente preoccupato perché non sa se riuscirà a passare o meno un esame (incertezza del risultato) sviluppa una rigida credenza di aver bisogno di ottenere un punteggio perfetto per alleviare la propria ansia di non sapere cosa accadrà. Questo può portarlo a rituali ossessivi, paralisi dell’azione o procrastinazioni nel cominciare il compito, dovuti alla pressione di dover fare una prestazione perfetta. Perciò, l’intolleranza dell’incertezza spiegherebbe la relazione tra perfezionismo e DOC (Reuther et al., 2013).
L’OCCWG (1997) ha descritto il perfezionismo come uno dei domini di credenze disfunzionali alla base delle valutazioni distorte: esso è la convinzione che esista una soluzione perfetta basata su una performance perfetta, sempre possibile e necessaria, con la certezza che anche il minimo errore possa causare gravi conseguenze. Allo stesso modo, Guidano e Liotti (1983) hanno inserito il perfezionismo nei tre assunti centrali ritenuti alla base del DOC insieme al bisogno di certezza e alla convinzione che esistano sempre e soltanto soluzioni perfette.
Secondo McFall e Wollersheim (1979), sia la responsabilità sia il perfezionismo sono temi importanti nella valutazione disfunzionale dei soggetti ossessivo-compulsivi. Essi hanno indicato quattro tipi di credenze che influenzano la valutazione soggettiva irrealistica degli eventi negativi:
“1) una persona dovrebbe essere perfettamente competente, adeguata ed avere sempre successo in tutto per essere meritevole ed evitare la critica o la disapprovazione da parte degli altri o di se stesso, 2) fare errori o non essere all’altezza dei propri ideali perfezionistici dovrebbe dar luogo alla punizione o alla condanna, 3) una persona è abbastanza potente da innescare o prevenire risultati disastrosi tramite rituali magici o ruminazioni ossessive, 4) certi pensieri e sentimenti sono inaccettabili, poiché possono portare ad una catastrofe, ed una persona dovrebbe essere punita per averli avuti” (p. 335).
Le prime due credenze sono riferite al perfezionismo, mentre la terza corrisponde alla recente definizione della responsabilità ipertrofica associata al DOC (Rhéaume et al., 1995). La quarta credenza corrisponde alla fusione
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azione e riguarda l’esagerata importanza attribuita ai propri pensieri e alla minaccia percepita che viene loro associata.
Perciò, secondo la letteratura, il perfezionismo, la responsabilità ed un’elevata minaccia percepita sarebbero i punti centrali del DOC. L’esperienza clinica con pazienti ossessivo-compulsivi suggerisce che sia la responsabilità sia il perfezionismo possano svolgere ruoli importanti ma distinti tra loro nel disturbo, quindi appare cruciale differenziare tra loro questi due aspetti e determinare le loro relative implicazioni nell’insorgenza e nel mantenimento dei sintomi ossessivo-compulsivi. Tra questi due costrutti sono state rilevate correlazioni moderate e deboli, a sostegno del fatto che si tratta di variabili diverse tra loro, sebbene siano legate in qualche modo. I risultati dell’analisi di regressione gerarchica hanno evidenziato che la responsabilità è un predittore della varianza dei sintomi ossessivo-compulsivi, ma che, controllando statisticamente l’effetto di questa variabile, il perfezionismo spiega in maniera significativa una parte aggiuntiva della varianza della sintomatologia. (Rhéaume et al., 1995). Bouchard e colleghi (1999) hanno suggerito un ruolo “catalizzatore” per il perfezionismo ed hanno postulato che alte credenze perfezionistiche predispongano gli individui a sovrastimare la responsabilità personale per eventi negativi. In accordo con questo, alcuni autori hanno notato che, nonostante il perfezionismo sia un tentativo di evitare serie conseguenze o disastri (Hewitt & Flett, 2002), è quasi impossibile stabilire un tale stato di perfezione o di certezza: questo incrementa i dubbi sull’agire correttamente e porta all’attivazione o al mantenimento della convinzione di poter causare gravi conseguenze o danneggiare gli altri (attiva quindi il dominio della responsabilità); per diminuire questa possibilità l’individuo mette in atto la sintomatologia ossessivo-compulsiva. In altre parole, la responsabilità potrebbe mediare la relazione tra il perfezionismo e il DOC (Yorulmaz et al., 2006). Mentre la responsabilità ha ricevuto molta attenzione da parte della ricerca clinica, il perfezionismo potrebbe avere un ruolo significativo, ma ancora sottostimato e poco indagato, nei problemi di alcuni pazienti ossessivo-compulsivi. Numerose evidenze suggeriscono un legame empirico tra perfezionismo e DOC: sono stati condotti diversi studi a riguardo, ma molti di
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essi non hanno usato misure validate del perfezionismo, e gran parte si è concentrata sullo studio di popolazioni non cliniche (Frost & Steketee, 1997). Nell’ultimo periodo, questo tratto di personalità ha ricevuto maggiore attenzione poiché risulta correlato a diverse condizioni psicopatologiche (Hewitt & Flett, 1991). Correlazioni significative sono state rilevate tra perfezionismo e ansia (Deffenbacher et al., 1986), fobia sociale (Juster et al., 1996; Mor et al., 1995), disturbi alimentari (Thomas, Berg, & Shatford, 1987; Bastiani et al., 1995), depressione (Hewitt & Flett, 1991; Blatt, Quinlan, Pilkonis, & Shea, 1995), suicidio (DeLisle, 1986). I risultati di questi studi sollevano alcune questioni circa la specificità dell’associazione tra perfezionismo e psicopatologia. Il perfezionismo potrebbe essere una caratteristica che riguarda un’ampia gamma di disturbi e non specifica di uno solo di essi (Frost & Steketee, 1997).
Diversi autori hanno posto l’enfasi sul fatto che il costrutto del perfezionismo possiede in sé caratteristiche sia adattive (o funzionali) sia maladattive (o disfunzionali). Ad esempio, Hamachek (1978) ha distinto tra perfezionismo normale e perfezionismo nevrotico. Il perfezionismo normale consiste nel fissare obiettivi ambiziosi con la consapevolezza di essere in grado di raggiungerli con le proprie prestazioni, motivati dal desiderio di migliorare. Inoltre, il soggetto è capace di provare soddisfazione una volta completato un compito. Al contrario, il perfezionismo nevrotico è caratterizzato dal fissare standard eccessivamente elevati, dall’incapacità di trarre piacere dalle proprie attività, dall’incertezza sulle proprie capacità e dal timore del fallimento e del giudizio negativo.
Allo stesso modo, altri autori hanno distinto tra due dimensioni: 1) standard perfezionistici personali e 2) preoccupazione del fallimento e della critica altrui (Stoeber & Otto, 2006).
In particolare, la componente disfunzionale del perfezionismo risulta associata a caratteristiche negative come nevroticismo, emozioni negative e coping disadattivo (Stoeber & Otto, 2006), e mostra correlazioni significative con le tendenze ossessivo-compulsive -in particolare con i comportamenti di controllo, dubbio e lentezza (Ashby & Bruner, 2005)- e con conseguenze negative nella qualità di vita dell’individuo (Rhéaume, Freeston, et al., 2000; Rhéaume,
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Ladouceur, et al., 2000). Al contrario, la componente adattiva del perfezionismo è associata a caratteristiche positive come coscienziosità, emozioni positive e coping adattivo (Stoeber & Otto, 2006). Infatti, secondo Hamachek, i perfezionisti maladattivi sono motivati in primo luogo dal timore di fallire, che naturalmente sfocia nel dubbio riguardo le proprie azioni e nel controllo ripetuto dei compiti. Di conseguenza, essi avranno bisogno di più tempo per completare qualsiasi attività, come dimostrato da Rhéaume e colleghi in uno studio clinico del 2000. A sostegno del valore positivo del perfezionismo adattivo, questo studio ha inoltre rilevato nei perfezionisti funzionali livelli minori di lentezza anche rispetto a soggetti non perfezionisti. Questi risultati suggeriscono che il bisogno di ordine e regolarità, unito con una ricerca generica di perfezione, possa essere un fattore che promuove l’energia, la produttività e l’orientamento al compito, risultando una caratteristica fortemente funzionale. I perfezionisti adattivi sarebbero motivati dalla focalizzazione sui loro punti di forza individuali e il loro desiderio di essere all’altezza dei propri standard esigenti li incoraggerebbe ad una performance più ponderata ed attenta, ma meno dispendiosa in termini di tempo (Rhéaume et al., 2000). Essi avrebbero una ridotta percezione dell’ansia, poiché impiegano la propria energia per concentrarsi sul compito imminente, e inoltre si sentirebbero tranquillizzati nel concedersi l’imperfezione se la situazione lo permette (Hamachek, 1978).
Un’ulteriore variabile che entra in gioco in questi due tipi di perfezionismo è quella della discrepanza, ovvero della differenza che il soggetto percepisce tra gli standard che si impone e i risultati che ottiene. Nel caso del perfezionismo normale la discrepanza è bassa, in quello nevrotico la discrepanza è alta, e questo predice la comparsa di pensieri ossessivi e di comportamenti compulsivi di controllo (Rice & Pence, 2006).
Il concetto di perfezionismo si è evoluto da una precedente visione unidimensionale (Burns, 1980; Patch, 1984) ad un costrutto multidimensionale più complesso (Frost et al., 1990; Hewitt & Flett, 1991). Frost e colleghi sono stati i primi a sviluppare uno strumento di misura designato specificamente alla valutazione delle dimensioni del perfezionismo in popolazioni cliniche e non
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cliniche. Tramite l’esame della letteratura esistente sul perfezionismo, questo gruppo di ricerca ha ipotizzato che il costrutto del perfezionismo sia costituito da sei dimensioni:
1) la tendenza a reagire negativamente agli errori e a paragonarli al fallimento (Preoccupazione di commettere Errori)
2) la tendenza a dubitare della qualità della propria performance (Dubbio
riguardo le Azioni)
3) la tendenza a fissare standard molto alti e a dare eccessiva importanza ad essi per la valutazione di Sé (Standard Personali)
4) la tendenza a percepire le aspettative dei propri genitori come molto elevate (Aspettative Genitoriali)
5) la tendenza a percepire i propri genitori come molto critici (Criticismo
Genitoriale)
6) la tendenza ad enfatizzare l’importanza di ordine ed organizzazione (Organizzazione)
La scala basata su queste dimensioni è la Multidimensional Perfectionism Scale (F-MPS). Standard Personali (3) e Organizzazione (6) sono considerate due dimensioni adattive del perfezionismo, mentre le altre fanno parte della componente disfunzionale. (Frost et al., 1993).
Circa nello stesso periodo, Hewitt e Flett (1991) hanno sviluppato una scala multidimensionale del perfezionismo, in cui, a differenza degli altri gruppi di ricerca che si erano concentrati maggiormente sulla critica di Sé, hanno posto particolare attenzione alle situazioni interpersonali in cui gli standard perfezionistici potrebbero essere attivati. Essi hanno proposto una visione tridimensionale del perfezionismo, costituito da:
1) la tendenza a stabilire standard esigenti per se stesso e di valutare il proprio comportamento in maniera eccessivamente rigida (Perfezionismo
Orientato sul Sé)
2) la tendenza ad avere standard irrealisticamente alti per il comportamento di altri significativi (Perfezionismo Orientato sugli Altri)
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3) la tendenza a credere sia che gli altri significativi abbiano standard irrealisticamente alti per se stessi, sia che essi li usino per valutare le performance altrui in maniera inflessibile (Perfezionismo Prescritto
Socialmente)
La scala elaborata dagli autori sulla base di questa teorizzazione è la H-MPS (Antony et al., 1998).
Da qualche anno la ricerca scientifica si è concentrata sull’indagine delle relazioni esistenti tra il perfezionismo e il disturbo ossessivo-compulsivo. I pazienti affetti da DOC sono stati descritti come tormentati da una profonda spinta verso la certezza e la perfezione (Frost & Steketee, 1997).
Diversi lavori si sono dedicati a stabilire la connessione tra perfezionismo e disturbo ossessivo-compulsivo: vari studi (ad es. Rasmussen & Eisen, 1989) hanno rilevato elevati livelli di perfezionismo in pazienti affetti da DOC. Ad esempio, Frost e colleghi (1990) hanno trovato correlazioni significative tra i punteggi ottenuti in scale che misurano varie dimensioni del perfezionismo e quelli ottenuti in varie scale di misura del disturbo ossessivo-compulsivo. La correlazione tra DOC e perfezionismo è ormai ben documentata, ma rimane poco chiaro se le diverse dimensioni sintomatiche del DOC siano influenzate rispettivamente da diverse dimensioni del perfezionismo. Identificare specifiche relazioni tra domini del perfezionismo e domini sintomatici del DOC appare cruciale per caratterizzare in maniera più precisa la variabilità fenotipica del disturbo ossessivo-compulsivo, con importanti implicazioni per il trattamento di questa condizione (Martinelli et al., 2014). La ricerca sulle dimensioni del perfezionismo e specifici fenotipi DOC si è focalizzata principalmente sulle NJRE, una sensazione di incompletezza o incorrettezza del compito (Coles et al., 2003). Gli individui con disturbo ossessivo-compulsivo frequentemente riportano la sensazione fastidiosa che le cose non siano fatte nel modo adeguato e si sentono obbligati a compiere un’azione finché questa percezione sgradevole non si sia ridotta, fino ad arrivare alla convinzione che le cose siano eseguite in modo giusto. Infatti, Rasmussen ed Eisen (1992, p. 756) affermano che molti dei loro pazienti con DOC descrivono “un impulso profondo connesso con il desiderio di
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avere le cose perfette, assolutamente certe, o completamente sotto controllo”. La ricerca costante di questo senso di perfezione è ricollegabile al concetto di NJRE (Not Just Right Experienxce). Studi scientifici hanno dimostrato la stretta associazione tra la presenza di NJRE e il perfezionismo, e la correlazione significativa di questi due elementi con la sintomatologia ossessivo-compulsiva (in particolare con la dimensione del controllo). Più specificamente, l’intensità e l’importanza delle NJRE è risultata correlata alle dimensioni maladattive del perfezionismo: Preoccupazione di commettere Errori e Dubbio riguardo le Azioni (Coles et al., 2003), e Criticismo Genitoriale ed Aspettative Genitoriali (Moretz & McKay, 2009). Si deduce, quindi, che il perfezionismo abbia una stretta connessione con le esperienze ossessive e con i comportamenti correlati con l’esattezza, come le NJRE e il controllo compulsivo, al punto che è stato ipotizzato che le NJRE possano rappresentare una forma specifica di perfezionismo che ha una relazione esclusiva con il disturbo ossessivo-compulsivo (Coles et al., 2003). Il perfezionismo patologico porta all’esigenza di fare le cose in maniera “adeguatamente corretta” al punto che esso diviene un’ossessione e un modo per evitare l’incertezza (Frost, Novara, & Rhéaume, 2002).
Al di là delle NJRE, alcuni domini del perfezionismo sono stati collegati specificamente ad altri sintomi DOC. Gli studi che hanno esaminato tutte le sottoscale della F-MPS hanno rilevato che soggetti con DOC ottenevano punteggi più alti nelle dimensioni del Dubbio riguardo le Azioni (Antony, Purdon et al., 1998; Frost & Steketee, 1997; Lee et al., 2009), della Preoccupazione di commettere Errori (Antony, Purdon, et al., 1998; Frost & Steketee, 1997; Lee et al., 2009; Libby et al., 2004), delle Aspettative Genitoriali (Libby et al., 2004), e del Criticismo Genitoriale (Lee et al., 2009). Inoltre, i soggetti con DOC ottenevano punteggi più elevati in queste dimensioni anche a confronto con soggetti con altri tipi di disturbi d’ansia (Antony, Purdon, et al., 1998; Frost & Steketee, 1997).
In studi con campioni clinici, tassi più alti di perfezionismo/certezza (misurati dalla sottoscala corrispondente dell’Obsessive Beliefs Questionnaire) sono stati
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associati a maggiori sintomi di simmetria (Calamari et al., 2006; Viar et al., 2011; Wheaton et al., 2010), sintomi di ordine (Calleo et al., 2010; Tolin et al., 2008), comportamenti di accumulo (Tolin et al., 2008; Frost & Gross, 1993; Timpano et al., 2011) e di controllo (Julien et al., 2006). La ricerca con campioni non clinici ha dimostrato l’associazione del perfezionismo con sintomi di lavaggio, controllo e ordine (Myers, Fisher, & Wells, 2008; Wu & Cortesi, 2009; Ashby & Bruner, 2005; Rice & Pence, 2006), dubbio e lentezza (Ashby & Bruner, 2005).
2.4. I nuovi modelli e l’importanza del ruolo del Sé
Più recentemente, la riflessione cognitiva si è focalizzata piuttosto sulla qualità specifica dei pensieri intrusivi iniziali che danno inizio alla sequenza ossessiva. Come notato da Doron, Kyrios e Moulding (2007), una questione lasciata irrisolta dal corrente modello cognitivo basato sull’appraisal è perché alcune intrusioni siano valutate come altamente significative (e quindi egodistoniche) mentre con altre questo non accada. Le ossessioni spesso riguardano aree specifiche della vita della persona (Rachman, 2003) e la loro natura tematica suggerisce che ci siano altri fattori cognitivi che possono sottostare alle particolari valutazioni cognitive che vengono effettuate in particolari situazioni (O’ Connor, 2002; Doron & Kyrios, 2005). In particolare, i cosiddetti domini del Sé “sensibili” hanno attirato l’attenzione dei ricercatori come un potenziale fattore di vulnerabilità, per cui è stato ipotizzato che lo sviluppo delle ossessioni sia collegato alla misura in cui i pensieri intrusivi minacciano l’immagine del Sé desiderata (ad es. Bhar & Kyrios, 2007; Clark & Purdon, 1993; Rowa, Purdon, Summerfeldt, & Antony, 2005).
Ad esempio, Purdon e Clark (1999) hanno proposto che l’egodistonia dei pensieri intrusivi possa giocare un importante ruolo nello sviluppo delle ossessioni, per cui pensieri intrusivi indesiderati, in conflitto con la concezione del Sé propria del soggetto, sarebbero più probabilmente interpretati come
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significativi e diverrebbero più facilmente oggetto di tentativi disfunzionali di controllo. Allo stesso modo, anche un’ambivalenza del Sé o una sua fragilità possono influenzare la valutazione delle intrusioni in senso distorto, esacerbando i sintomi (Bhar & Kyrios, 2007; Clark, 2004). Doron e colleghi (2007; 2008; 2012) hanno mostrato come i domini del Sé valutati come significativi, e rispetto ai quali la persona si sente meno sicura, possano contribuire ad una sensibilità alle ossessioni. “Non è una coincidenza che noi vediamo tipicamente ossessioni di causare danno in persone gentili, ossessioni religiose in persone religiose, pensieri sulla sessualità in persone con un alto senso morale, e pensieri su errori in persone prudenti: più qualcosa è importante per il soggetto, più questo sembra avere pensieri negativi a riguardo” (Freeston & Ladouceur, 1998, p. 141).
Pensieri ossessivi che minacciano domini del Sé “sensibili” sono più suscettibili di diventare oggetto della valutazione, della preoccupazione e dell’ansia, in particolare quando associati ad una regolazione emozionale deficitaria, come ad esempio nelle forme di attaccamento insicuro (Doron & Kyrios, 2005; Doron et al., 2007; Doron et al., 2008). Gli aspetti del Sé coinvolti includono l’accettazione sociale (Rachman, 1997), la competenza lavorativa (Salkovskis, Shafran, Rachman, & Freeston, 1999) e la moralità (Rachman & Hodgson, 1980), e la sensibilità in questi domini è correlata significativamente con livelli più alti di sintomi ossessivo-compulsivi (Doron et al., 2007, 2008). Studi sperimentali hanno mostrato anche che la minaccia a specifici domini del Sé (ad esempio moralità o relazioni) può sfociare in un incremento delle tendenze comportamentali ossessivo-compulsive correlate (ad esempio centrate su contaminazione e relazione) (Doron, Sar-El, & Mikulincer, 2012; Doron, Szepsenwol, Karp, & Gal, 2013).