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3) Studi di follow-up

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Academic year: 2021

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I NTRODUZIONE

Il disturbo bipolare è una patologia ricorrente associata a una significativa morbilità, mortalità, alto rischio di suicidio e sostanziale alterazione della qualità della vita correlata allo stato di salute, che influisce negativamente sulle relazioni sociali dell’individuo, sulla sua sfera familiare e lavorativa.

La durata della malattia, il ripetersi di frequenti episodi o anche l’utilizzo di trattamenti farmacologici continuativi e duraturi sono ritenuti essere responsabili delle modificazioni neuroanatomiche e del decadimento delle funzioni cognitive che spesso si riscontrano nei pazienti bipolari.

Una delle ipotesi avanzate è che il ripetersi di episodi affettivi maggiori possa determinare un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che sarebbe responsabile dei deficit neuropsicologici riscontrati attraverso la produzione di lesioni citotossiche a carico di alcune regioni cerebrali, tra cui l’ippocampo [1]. L’atrofia ippocampale è più frequente nei pazienti con numerosi episodi affettivi rispetto ai pazienti con un ridotto numero di episodi o ai controlli [2]. Inoltre alcuni dati suggeriscono che i pazienti in terapia con sali di litio presentano una minore atrofia ippocampale, rispetto quelli che non assumono il trattamento [3].

Un altro importante problema strettamente collegato alla natura cronico-recidivante del disturbo bipolare e che, almeno fino a tempi più recenti, ha assunto scarsa rilevanza rispetto agli esiti funzionali, è l’abbassamento generale della qualità della vita. In particolare i pazienti bipolari arriverebbero ad avere una qualità della vita complessivamente peggiore sia rispetto ai controlli sani [4] che ai pazienti con depressione unipolare [5]. Sebbene i trattamenti con stabilizzanti dell’umore determinino un evidente miglioramento con remissione della sintomatologia nella maggioranza dei pazienti con disturbo bipolare, i loro effetti sulla qualità di vita rimangono ancora da stabilire [6].

Calabrese et al. [7] hanno messo in evidenza come la sintomatologia depressiva, più di quella espansiva, sia da ritenere responsabile dell’incremento della morbilità e della compromissione del funzionamento nei pazienti bipolari.

Proprio la depressione cronica sottosoglia, secondo i dati del CDS [8], rappresenterebbe l’evoluzione più frequente del decorso del Disturbo Bipolare I in

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2 trattamento. Questi autori hanno osservato, durante un follow-up di circa 20 anni, che i pazienti continuavano ad essere sintomatici per il 47% del tempo. Durante i periodi sintomatici, i pazienti erano prevalentemente depressi (67% del periodo sintomatico, 32% del follow-up totale), piuttosto che (ipo)maniaci (19% e 9% rispettivamente) o in stati misti (13%

e 6% rispettivamente). I periodi di depressione erano almeno 3 volte più frequentemente caratterizzati da una sintomatologia sottosoglia (25% del periodo totale) piuttosto che da una piena sintomatologia depressiva (9% del follow-up totale).

Il trattamento degli episodi depressivi dei pazienti con disturbo bipolare, continua a rappresentare un importante problema terapeutico nonostante l’introduzione di nuovi stabilizzanti dell’umore, e di antipsicotici atipici con proprietà antidepressive.

Il 30-40% dei pazienti in cura per un episodio depressivo maggiore (unipolare o bipolare) non risponde al primo trattamento con antidepressivi [9]. Il 60-70% dei pazienti non ottiene una remissione completa [10], e il 10% continua a presentare una sintomatologia depressiva anche dopo l’impiego di diverse strategie terapeutiche [11].

D’altra parte il trattamento con antidepressivi nel disturbo bipolare è stato collegato a viraggi maniacali, induzione di stati misti, accelerazione dei cicli e peggioramento della malattia, per cui questi dovrebbero essere riservati ai casi gravi e acuti di depressione bipolare e non routinariamente utilizzati in casi di moderata entità. Gli antidepressivi dovrebbero essere inoltre interrotti subito dopo il miglioramento e mantenuti soltanto in coloro che ricadono ripetutamente dopo la loro sospensione [12].

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1) Decorso del Disturbo Bipolare

Kraepelin individuò nel decorso episodico e nella prognosi favorevole i tratti distintivi della malattia maniaco-depressiva. Da un lato apparve chiaro fin da subito che la prognosi non era sempre così favorevole e il decorso così lineare, che esistevano infatti forme depressive, maniacali e miste ad evoluzione cronica, con decorso circolare continuo senza intervalli liberi tra una fase e l’altra di opposta polarità, o con decorso remittente e persistenza di sintomi residui tra gli episodi affettivi maggiori; dall’altro l’introduzione nella pratica clinica dei trattamenti psicofarmacologici ha sostanzialmente modificato il decorso del disturbo bipolare e ora nel decorso “naturale” è compresa l’azione, difficilmente quantificabile, dei farmaci somministrati in acuto e a lungo termine come profilassi.

I dati della letteratura indicano che l’età d’esordio del disturbo bipolare è intorno ai 22 anni [13]; non ci sono differenze significative tra i due sessi [14-16], né tra bipolari I e II [17, 18]. Negli ultimi anni si è assistito a un’anticipazione dell’esordio di circa 6 anni, anche se non è chiaro quanto questo possa dipendere dalle diverse caratteristiche del campione in esame e dai diversi criteri utilizzati per stabilire l’età di insorgenza rispetto ai dati della letteratura precedente.

Secondo alcuni autori questo fenomeno potrebbe invece essere spiegato dall’incremento dell’uso di stimolanti e antidepressivi in età giovanile [19-21] così come di alcool e sostanze, che potrebbero agire su soggetti predisposti con un’azione simile a quella che gli antidepressivi esercitano nell’induzione delle fasi maniacali e nell’accelerazione dei cicli.

Più rara sembra essere invece l’insorgenza dopo i 60 anni [22, 23], anche se alcuni autori indicano che potrebbe verificarsi con una frequenza maggiore di quanto fino ad ora ritenuto [24]. In generale l’insorgenza tardiva è comunque associata a una minore familiarità per disturbo bipolare e a una maggiore probabilità di avere una componente organica[25].

Non è ancora chiaro fino a che punto, raggruppando i pazienti in base all’età d’insorgenza, realmente s’identificano sottogruppi distinti di Disturbo Bipolare che differiscono per fenomenologia, fisiopatologia, familiarità, prognosi e risposta ai trattamenti.

Tuttavia, l’insorgenza precoce appare correlata con alcune caratteristiche cliniche quali la rapida ciclicità, la comorbidità con disturbi d’ansia e abuso di sostanze, la maggiore frequenza

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4 di sintomi psicotici e stati misti, l’ideazione autolesiva, la resistenza ai trattamenti, la familiarità positiva per disturbo bipolare e una prognosi sfavorevole [16, 26-30].

E’ necessaria tuttavia una certa cautela quando si utilizzano studi trasversali per differenziare gli effetti negativi attribuibili al disturbo dalle caratteristiche del sottotipo clinico. Pertanto la prognosi particolarmente sfavorevole che si osserva nei pazienti ad esordio precoce potrebbe essere un fattore legato alla lunga durata di malattia piuttosto che una caratteristica fenotipica. Nella maggior parte dei casi i pazienti presentano, nel corso della vita, più di un episodio maggiore, e vanno incontro a un decorso ricorrente [31].

A seconda della durata di malattia e del trattamento farmacologico, il numero degli episodi può variare da 2-3 a più di 20-30, con una media intorno agli 8-10. Ai fini della ricerca è spesso più utile calcolare la “frequenza annuale degli episodi” definita come il numero di episodi diviso la durata di malattia [32]. Alcuni autori hanno registrato un AFE di 0.23, significativamente più elevato rispetto allo 0,12 dei pazienti unipolari [33]. La maggior parte dei pazienti bipolari manifesta più di tre episodi durante una malattia di 20 anni mentre tra gli unipolari il numero degli episodi è inferiore [34].

Secondo alcuni autori [35] il Disturbo Bipolare I è quello caratterizzato da un maggior numero di episodi, mentre secondo altri sarebbero i pazienti bipolari II a presentare la maggiore ricorrenza, anche se in maniera non statisticamente significativa [36].

Vieta e coll. [37] riportano che i pazienti bipolari II rispetto ai pazienti bipolari I presentano un maggior numero di precedenti episodi depressivi (5.6 vs 2.6), più episodi ipomaniacali (7.0 vs 3.2) e, ovviamente più episodi lifetime (12.6 vs 6.3), inoltre i pazienti con Disturbo Bipolare I vanno incontro ad un maggior numero di ricoveri ospedalieri (3.0 vs 1.0).

Negli ultimi anni si è osservato un aumento del numero di ricadute. Sebbene questo fenomeno possa in parte essere spiegato anche con una migliore diagnosi delle fasi espansive, è abbastanza verosimile che l’incremento dell’uso degli antidepressivi abbia determinato un’

alterazione del decorso del disturbo bipolare inducendo un incremento della ricorrenza. Angst per esempio ha osservato un incremento di 5 volte dei viraggi maniacali nell’epoca farmacologia rispetto al periodo precedente l’impiego degli antidepressivi [38]. Anche altri autori [39-41], ma non tutti [42] confermano il possibile ruolo degli antidepressivi.

Piuttosto che il numero assoluto degli episodi, la durata del ciclo ha importanti ripercussioni prognostiche e terapeutiche. Per durata del ciclo s’intende l’intervallo di tempo

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5 compreso tra l’insorgenza di un episodio e l’inizio del successivo della stessa polarità. Le variazioni nella lunghezza del ciclo rispecchiano principalmente le variazioni dell’intervallo libero, dato che la durata degli episodi tende a rimanere costante nello stesso paziente.

Kraepelin è stato il primo ad osservare che nel disturbo bipolare i periodi di eutimia si riducono con l’incremento del numero degli episodi. Questa osservazione è diventata il punto centrale del modello del kindling che prevedeva un incremento della frequenza nel tempo degli episodi ed una progressiva riduzione della durata delle fasi di eutimia tra un episodio e il successivo. Dati più recenti tuttavia non concordano con questo modello: alcuni autori [43]

ritengono che questo fenomeno sia presente solo nei primi episodi ma non nei successivi, altri [44, 45] non hanno riscontrato questo andamento nei pazienti bipolari e non ritengono che questo fenomeno sia associato a una prognosi peggiore; piuttosto una prognosi meno favorevole sembra essere associata all’insorgenza di episodi affettivi “polifasici”, ossia con un viraggio immediato dalla depressione alla fase maniacale senza un periodo intervallare di eutimia.

Secondo altri autori una progressiva riduzione della durata del ciclo sarebbe tipica di un sottogruppo specifico di pazienti bipolari [46, 47].

Non è ancora chiaro tuttavia quali siano le dimensioni della popolazione di pazienti bipolari in cui si manifesta questo fenomeno. Sembra comunque che dopo un certo numero di episodi, da 3 o 5, la tendenza all’accorciamento rallenti in maniera consistente, e si raggiunga un limite alla frequenza degli episodi.

In passato era stato ipotizzato che la frequenza degli episodi rappresentasse una caratteristica familiare e fosse costante tra i membri della stessa famiglia [48]. Questo risultato è stato confermato più recentemente da altri autori [49] che hanno esaminato 86 famiglie in cui almeno 3 membri presentavano un disturbo dell’umore maggiore. Gli autori hanno inoltre osservato che una frequenza più elevata si ritrova in pazienti con decorso bipolare II, precoce età di esordio, sintomi psicotici, alcolismo e ideazione autolesiva.

La polarità del primo episodio riveste particolare importanza per la prognosi e per il trattamento farmacologico. La percentuale dei pazienti che presentano all’ esordio un episodio espansivo è compresa tra il 34% e il 79%, con una media del 50%. E’ importante considerare che l’altra metà dei pazienti con un disturbo bipolare va incontro ad una sottostima diagnostica, perché al loro esordio presenta un episodio depressivo, rientrando nelle forme chiamate “falsi” unipolari o “pseudounipolari”.

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6 Alcuni autori [50] hanno infatti osservato che i pazienti bipolari che esordiscono con una fase depressiva, sviluppano un disturbo espansivo entro 5 anni. Questi pazienti con

“falsa” depressione unipolare presentano un numero di ricorrenze depressive superiore a quello dei pazienti unipolari “veri”.

Dai dati della letteratura emerge che circa il 45% dei pazienti ricoverati per un episodio depressivo maggiore presenta nei 15 anni successivi una fase maniacale o ipomaniacale [51]. Il disturbo bipolare sarebbe quindi sottodiagnosticato e circa ¼ dei pazienti con diagnosi di depressione unipolare presenterebbe in realtà un disturbo bipolare [52].

Mediamente, il tempo di latenza necessario affinchè sia posta una diagnosi corretta e iniziato un trattamento adeguato, è di circa dieci anni [53] ed è più lungo in quei pazienti che presentano un decorso caratterizzato da una prevalenza di fasi depressive [54]. Questi pazienti ricevono più frequentemente trattamenti antidepressivi, andando incontro a un maggiore rischio di viraggi espansivi, rapida ciclicità, peggioramento del decorso a lungo termine [40].

Inoltre, il ritardo nella somministrazione di un trattamento efficace aumenta la probabilità di ricorrenza e di sintomatologia cronica subsindromica, con un conseguente peggioramento sul piano cognitivo e funzionale [55, 56].

L’insorgenza precoce, il rallentamento psicomotorio e l’ipersonnia, la brusca insorgenza e remissione della sintomatologia, la presenza di fasi ipomaniacali indotte farmacologicamente sono indicativi di un decorso bipolare, così come l’ insorgenza nel post- partum, la presenza di sintomi psicotici e atipici e la familiarità positiva per disturbo bipolare [57, 58].

Il fatto che la precoce età di insorgenza della depressione sia associata ad un incremento del rischio di viraggio espansivo è sostenuta da diversi autori [51, 59]. Pertanto il rischio di viraggio da una falsa depressione unipolare alla depressione bipolare nei giovani è stimato intorno al 3-5% per anno; decresce alla fine dei 30 anni intorno all’1% per anno [60].

L’instabilità diagnostica iniziale è, in minor parte, da attribuire anche a una certa percentuale di pazienti bipolari II che nel tempo possono andare incontro a fasi espansive franche. Dai dati del CDS emerge che in un periodo di follow up di oltre 10 anni, il 7.5% dei soggetti bipolari II andavano incontro a fasi espansive e diventavano bipolari I. Considerando tuttavia l’uscita dal follow-up come un possibile indicatore di ricaduta, i viraggi da bipolari II a bipolari I salirebbero al 15%.

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7 E’ da notare che gli studi in cui l’insorgenza del disturbo avviene più frequentemente con una fase espansiva utilizzano come criterio di esordio il primo ricovero, rendendo possibile quindi una sottostima degli esordi a polarità depressiva, per la quale il ricovero è meno richiesto. D’altra parte è anche vero che i pazienti tendono a riconoscere più facilmente i sintomi depressivi rispetto a quelli espansivi, determinando quindi una sottostima anche delle fasi ipomaniacali.

La polarità dell’episodio d’esordio influenza il decorso successivo del disturbo bipolare. Perris [61] ha osservato che tra i pazienti con un primo episodio maniacale, il 62%

va incontro ad un decorso prevalentemente maniacale e solo il 25% prevalentemente depressivo. Anche le caratteristiche dell’episodio maniacale possono inoltre essere correlate ad decorso del disturbo: alcuni autori [62] hanno osservato che la mania con sintomi depressivi (stato misto) è associata con una precoce età di esordio ed un numero maggiore di episodi rispetto alla mania disforica ma senza sintomi depressivi concomitanti.

I pazienti che presentano un decorso prevalentemente depressivo tendono a esordire con un episodio depressivo [63]. L’insorgenza con un episodio depressivo si associa ad una maggiore frequenza di decorso a cicli rapidi e a tentativi di gesti autolesivi [64].

Secondo altri autori sarebbe la polarità polifasica ad essere associata a una prognosi peggiore [45, 65] .

Più della polarità d'esordio è la polarità prevalente lungo l'intero decorso del disturbo ad avere una maggiore rilevanza dal punto di vista prognostico e terapeutico [63, 66-69].

Il decorso con prevalenza di fasi espansive è più raro e tende ad avere una prognosi migliore, si riscontra più frequentemente nei bipolari I che nei bipolari II, è associato a un maggior numero di ospedalizzazioni, sintomi psicotici, uso di sostanze e deficit cognitivi [8, 56, 63, 70, 71].

Stephens e McHugh, [72] hanno osservato che solo il 2% dei pazienti presenta un decorso con episodi maniacali ricorrenti e che questi pazienti hanno una prognosi migliore (75% di remissione) rispetto ai pazienti con depressione ricorrente (69%) e disturbo bipolare (57%). La mania unipolare costituisce una variante del disturbo bipolare I e i pazienti che ne sono affetti non si differenziano da quelli con presentazione più classica per storia familiare, caratteristiche demografiche e cliniche [73], mentre se ne differenziano per una minore compromissione dell’adattamento sociale, lavorativo e familiare [74].

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8 Un decorso maniacale cronico che si osserva nel 5-10% dei pazienti bipolari [75], insorge in pazienti con temperamento di base ipertimico, è caratterizzato dalla graduale scomparsa dell’eccitamento psicomotorio e dei sintomi neurovegetativi tipici della fase maniacale e dalla persistenza di ideazione megalomanica. Questi pazienti hanno mancanza di insight, rifiutano qualsiasi trattamento e vanno incontro ad una prognosi sfavorevole con compromissione dell’adattamento sociale e decadimento cognitivo. In alcuni casi sono condizioni associate a pregressi traumi cranici e abuso di alcool.

Più frequentemente, sia nei bipolari I che nei bipolari II, la polarità prevalente è quella depressiva [8, 63, 66, 76]. Questo tipo di pazienti tende ad andare incontro a un maggior numero di tentativi di suicidio, a presentare sia all'esordio che lungo il decorso un maggior numero di eventi vitali stressanti e a manifestare più frequentemente un pattern stagionale.

E’ sempre stato osservato che le donne tendono a presentare un decorso prevalentemente depressivo mentre gli uomini prevalentemente maniacale [36, 60, 77, 78], anche se i dai dati della letteratura più recente non sempre confermano questi risultati. [15, 54].

Abitualmente l’esordio dell’episodio maniacale è improvviso e rapido sviluppandosi nel giro di pochi giorni o ore. Alcuni pazienti presentano uno stato di attivazione ipomaniacale della durata di giorni o settimane, che precede il viraggio nella fase maniacale.

Nel 77% dei pazienti la fase espansiva è preceduta da disturbi del sonno [13]. Solitamente i familiari riescono a riconoscere precocemente i sintomi che precedono l’insorgenza dell’episodio maniacale [79].

L’insorgenza della depressione avviene più gradualmente, generalmente nel giro di qualche settimana, rispetto all’episodio maniacale, tuttavia con maggiore rapidità di quanto non si verifichi nei disturbi depressivi unipolari [79-81].

Gli studi sulla durata naturale degli episodi depressivi, compiuti prima della introduzione di trattamenti farmacologici efficaci, registravano una durata media della mania di 6 settimane, 11 settimane della depressione, e 17 settimane dello stato misto [82]. Nel decorso del disturbo bipolare la durata dei singoli episodi tende a rimanere costante nello stesso paziente, mediamente 2 mesi per la mania e 2-5 mesi per la depressione, sebbene non sia eccezionale una durata più lunga. Gli episodi misti sembrano quelli di durata maggiore che mediamente è compresa tra 5 mesi e 1 anno [75, 83].

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2) Impiego della TEC nella Depressione Bipolare e negli Stati Misti

Il trattamento della depressione bipolare rappresenta un importante problema terapeutico per i clinici e i ricercatori. Una delle maggiori difficoltà è rappresentata dal fatto che i trattamenti farmacologici efficaci nella fase depressiva non sono indicati in quella espansiva e anzi possono indurre un viraggio nella fase di opposta polarità. Analogamente il trattamento farmacologico della fase espansiva non è indicato in quella depressiva e potrebbe favorire l’insorgenza della depressione. Da questo punto di vista la TEC rappresenta un strumento terapeutico particolarmente indicato in questo disturbo in quanto può essere efficace nelle varie fasi del disturbo bipolare (depressiva, maniacale e mista), senza determinare un peggioramento del decorso [84-86].

Secondo alcuni autori non vi sono differenze di efficacia della TEC nella depressione unipolare e bipolare. [87-89].

Abrams et al. [87] hanno valutato un campione costituito da 43 pazienti (28 depressi unipolari e 15 depressi bipolari) in fase depressiva trattati con TEC. Il gruppo dei bipolari mostra una minore età di esordio e una maggiore durata di malattia mentre il numero di precedenti episodi di malattia è sovrapponibile nei due gruppi. Non sono state rilevate differenze tra i due gruppi nei punteggi medi alla Hamilton, al baseline e dopo il ciclo di applicazioni. Da questi dati non emergono differenze significative nella risposta alla TEC nei pazienti con depressione unipolare e bipolare.

Black et al. [88], in uno studio naturalistico, hanno confrontato la risposta alla TEC tra un gruppo di pazienti depressi unipolari (368) e un gruppo di depressi bipolari (55). I pazienti depressi unipolari e bipolari ricevono lo stesso numero di trattamenti (in media 9 ± 0.1 applicazioni) e l’efficacia della TEC è sovrapponibile nei due gruppi (con percentuali di risposta rispettivamente del 70% e del 69%).

Questi dati sono stati confermati recentemente da Bailine et al. [90]. Gli autori hanno osservato la risposta alla TEC in un campione di 220 pazienti con diagnosi di depressione maggiore (170 unipolari e 50 bipolari), non registrando differenze statisticamente significative tra i due gruppi nelle percentuali di risposta (78.8% UP vs 80% BP) e di remissione (61,2%

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10 UP vs 64% BP). Inoltre nei pazienti bipolari non è stato osservato un incremento del rischio di viraggio espansivo durante la somministrazione della TEC.

Altri autori [91] hanno osservato una migliore risposta alla TEC nei pazienti con depressione unipolare rispetto alla depressione bipolare. In questo studio retrospettivo sono stati reclutati 318 pazienti (25% bipolari e il 75% unipolari) ricoverati per episodio depressivo e trattati con: Antidepressivi (AD), TEC in associazione ad antidepressivo, TEC, Litio, e un gruppo di controllo con placebo. I pazienti trattati con TEC, sia bipolari che unipolari, mostrano una percentuale di risposta (“marcato miglioramento” alla CGI) superiore rispetto al gruppo trattato con AD (38%, VS 12%). I pazienti bipolari a cui è stata somministrata la TEC, o TEC + AD, hanno mostrato percentuali di risposta inferiori (22%), rispetto agli unipolari (40%); invece coloro che sono stati trattati con il solo AD non hanno mostrato differenze di risposta tra i 2 gruppi. Inoltre, nei 6 mesi successivi, i pazienti trattati con TEC, sia unipolari che bipolari, hanno mostrato una minore percentuale di ricoveri ( 11% TEC; 17% AD) rispetto agli altri gruppi.

Questi dati sono in linea con quanto osservato da Medda et al. [92] che hanno confrontato la risposta alla TEC in un campione di 130 pazienti con depressione unipolare (17), bipolare II (67) e bipolare I (46). Tutti i pazienti hanno mostrato un significativo miglioramento dopo il ciclo di TEC, con percentuali di risposta (CGI<2) pari al 94.1% nei pazienti unipolari, 79.1% nei pazienti bipolari II e 67.4% nei pazienti bipolari I. I pazienti unipolari hanno mostrato tuttavia tassi di remissione (HAM-D < 8) significativamente superiori (70.6%) rispetto ai bipolari II (43.3%) e ai bipolari I (34.8%). I pazienti bipolari I presentavano inoltre, alla fine del ciclo id TEC, punteggi significativamente più alti alla YMRS e alla BPRS psycothic cluster rispetto ai bipolari II e agli unipolari.

Hallam et al. [93] hanno confrontato la risposta alla TEC in un gruppo di pazienti con depressione bipolare e unipolare utilizzando scale di valutazione in eterosomministrazione e autosomministrazione. Non ci sono differenze significative nel numero di sedute di TEC tra i 2 gruppi. Alla fine del ciclo TEC, sia i pazienti bipolari che unipolari mostrano un significativo miglioramento oggettivo nella sintomatologia. I pazienti con depressione unipolare mostrano tuttavia percentuali di risposta superiori rispetto ai bipolari se si utilizzano misure di valutazione soggettiva.

Alcuni autori hanno osservato che i pazienti bipolari presentano una risposta più rapida alla TEC rispetto agli unipolari.

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11 In un studio retrospettivo degli anni ‘70, Perris e D’Elia [94] hanno osservato una più veloce risposta nei pazienti bipolari.

Sackeim et al. [95], confrontando l’efficacia della TEC in un campione di pazienti con depressione unipolare e bipolare, hanno osservato che i pazienti bipolari ricevono un numero minore di applicazioni rispetto agli unipolari ( UP: 7,2 ± 2.5 vs BP: 6,2 ± 2.3), p = 0.03), mentre non sono emerse differenze nella risposta e/o remissione ( UP: 64,2% vs BP: 68,5%, P

= 0.54) tra i due gruppi.

Questi risultati sono stati confermati da Daly et al. [96] che hanno evidenziato un miglioramento della sintomatologia più rapido nei pazienti bipolari rispetto agli unipolari.

Confrontando la variazione dei punteggi della HAM-D tra i due gruppi durante le prime 8 applicazioni, si osserva che i bipolari mostrano punteggi inferiori alla HAM-D dopo la 1° e la 5° applicazione, e queste differenze sono statisticamente significative dopo la 4°, la 6°, la 7° e l’8° seduta. Tuttavia alla fine del ciclo di TEC non emergono differenze nella risposta tra i due gruppi. Questi dati evidenziano che durante il ciclo di TEC si osserva un miglioramento clinico più rapido nei bipolari rispetto agli unipolari, indipendentemente dalla risposta finale.

In uno studio di Sienaert et al. [97] sono stati reclutati 64 pazienti trattati con TEC con diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore al DSM-IV, sia di tipo bipolare (N = 13) che unipolare (N = 51), con o senza sintomi psicotici. I due gruppi non differiscono per età, sesso, pregressa somministrazione di TEC, presenza di sintomi psicotici; i pazienti bipolari mostrano un più alto numero di ricoveri, rispettivamente 5,23 + 3,00 vs 3,39 + 2,79. Le percentuali di risposta sono equivalenti nei due gruppi (84,62% nei bipolari e 76,47% negli unipolari) mentre i pazienti bipolari necessitano di un numero inferiore di trattamenti rispetto agli unipolari (6.9 ± 3.05 VS 9.5 ± 3.84). Quindi questi dati, in linea con quanto affermato da Daly et al., confermano che i pazienti bipolari non differiscono nella rispsta alla TEC, tuttavia mostrano una risposta più rapida rispetto agli unipolari.

La TEC rappresenta una terapia particolarmente indicata ed efficace anche nel trattamento della fase mista del disturbo bipolare. Questi pazienti infatti necessitano di una rapida remissione della sintomatologia per la presenza di quadri psicopatologicici gravi caratterizzati da agitazione, perplessità, sintomi psicotici ed elevato rischio di suicidio e mostrano una scarsa risposta ai trattamenti farmacologici. In questi casi la TEC ha un rapporto rischio/beneficio particolarmente favorevole.

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12 Dai dati della letterattura emerge che i pazienti con stato misto presentano una risposta alla TEC superiore rispetto ai pazienti trattati con sali di litio [98]. Gruber et al. [99], hanno osservato una risposta positiva alla TEC in un campione di 7 pazienti farmacoresistenti.

Devanand et al. [100] hanno confrontato la risposta alla TEC in tre gruppi di pazienti bipolari in fase depressiva (n = 38), manicale (n = 5), e mista (n = 10), secondo i criteri del DSM-IV. Tutti i gruppi mostrano elevate percentuali di risposta alla TEC (80%). Tuttavia gli autori hanno osservato che, rispetto ai bipolari in fase depressiva, gli stati misti necessitano di un numero maggiore di sedute di TEC (7.1, sd 3.0 days, t = 1.95, df = 46, p < 0.06). Inoltre, le giornate di degenza sono maggiori in maniera statisticamente significativa nei pazienti misti rispetto ai depressi puri (30, + 19.0 vs 19.0, +10.9 giorni, t = 2.4, p < 0.03).

Ciapparelli et al. [101] hanno confrontato la risposta alla TEC in un campione di 64 pazienti con disturbo bipolare, 41 in fase mista e 23 in fase depressiva. Non si osservano differenze tra i due gruppi per quanto riguarda il numero di applicazioni (7.2 +1.7 vs 7.3 +1.6). I pazienti in fase mista presentano una maggiore riduzione, statisticamente significativa, dei punteggi della MADRAS, rispetto ai bipolari depressi. Anche la risposta alla TEC, valutata con la CGI-S, è risultata superiore nei pazienti misti rispetto ai depressi puri (56% vs 26%). Secondo gli autori la TEC rappresenta un trattamento efficace sia nella depressione bipolare che nello stato misto. Tuttavia nello stato misto si osservano percentuali di risposta più elevate rispetto ai pazienti depressi con una risoluzione più rapida della sintomatologia e una maggiore riduzione dell’ideazione autolesiva. La risposta alla TEC non viene influenzata dalla presenza di sintomi psicotici.

Medda et al [102] hanno confrontato la differenza di risposta alla TEC nella depressione bipolare e negli stati misti. Sono stati reclutati 96 pazienti con depressione bipolare, resistente ai trattamenti, 46 in fase depressiva e 50 con stato misto. Le percentuali di risposta (CGI<2) e di remissione (CGI<1) sono risultate elevate in entrambi i gruppi (67.4%

vs 76.0%,) (41.3% vs 34.8%). Alla fine del ciclo di TEC i punteggi della CGI-S, HAM-D, YMRS, BPRS, and BPRS psychotic cluster mostrano una progressiva riduzione in entrambi i gruppi, tuttavia il gruppo misto presenta punteggi più elevati alla YMRS, e alla BPRS psychotic cluster.

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3) Studi di follow-up

La natura cronico-recidivante dei disturbi affettivi ha spostato negli anni l’attenzione di clinici e ricercatori verso l’individuazione e definizione di nuove strategie terapeutiche efficaci nella prevenzione delle ricadute.

In questo ambito, la prevenzione dell’insorgenza di nuovi episodi nei pazienti bipolari che hanno risposto ad un ciclo di TEC rappresenta una sfida particolarmente complessa. La TEC, che spesso si configura come l’unico trattamento efficace, viene infatti sospesa subito dopo la risoluzione dell’episodio acuto, mentre vengono somministrate terapie farmacologiche di mantenimento che precedentemente si erano dimostrate inefficaci.

Nei pazienti affetti da depressione maggiore, col termine ricaduta si fa riferimento alla ricomparsa di una sintomatologia depressiva, tale da soddisfare criteri diagnostici iniziali, entro sei mesi dalla remissione di un episodio acuto. Si parla invece di ricorrenza quando si assiste ad una ripresa della sintomatologia depressiva dopo i sei mesi dalla remissione, così da determinare un nuovo episodio [103].

Una percentuale elevata dei pazienti che rispondono positivamente alla TEC va incontro a una ricaduta depressiva già nelle prime settimane o nei primi mesi dopo la fine del ciclo. Alcuni autori [104, 105] ritengono che in questi casi si tratti, più che di una vera e propria ricaduta, della ricomparsa della sintomatologia dell’episodio indice, che era stata attenuata ma non completamente risolta dalla TEC. Un altro fattore responsabile di queste ricadute precoci potrebbe essere correlato alla tendenza di posticipare alla fine del ciclo di TEC l’inizio della terapia farmacologica di mantenimento e di utilizzare dosi medio-basse durante lo stesso. Questa raccomandazione, sebbene possa migliorare l’efficacia e la sicurezza della TEC, non tiene conto né della durata degli effetti neurobiologici della stessa, né del tempo di latenza necessario per l’azione di una nuova terapia farmacologica, lasciando così una finestra temporale nella quale il paziente rimane privo di un trattamento efficace [106].

Gli autori che hanno valutato il decorso a lungo termine dei pazienti trattati con TEC non sono giunti a conclusioni univoche né sulle percentuali di ricaduta né sulle caratteristiche cliniche e sintomatologiche correlate ad una ricaduta precoce. Questo potrebbe essere imputabile al fatto che i lavori di follow-up fin qui condotti non sono omogenei dal punto di

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14 vista metodologico (disegno dello studio, caratteristiche del campione, criteri per la ricaduta e la ricorrenza) e differiscono per la terapia assunta una volta completato il ciclo.

I primi lavori di follow-up, condotti su campioni di pazienti con depressione unipolare, senza terapia farmacologica di mantenimento, mostrano percentuali di ricadute a sei mesi intorno al 50% [107-109]. La somministrazione di antidepressivi triciclici o di fenelzina, anche a basso dosaggio, in genere iniziati durante la fase acuta e poi proseguiti nei mesi successivi alla TEC, riduceva la percentuale delle ricadute fino al 20% [108, 109].

La somministrazione di una terapia di mantenimento dopo la risoluzione di una fase acuta è oggi una pratica comune nel trattamento dei disturbi affettivi [110], e anche i dati più recenti della letteratura confermano una maggiore efficacia profilattica di antidepressivi e stabilizzanti dell’umore rispetto al placebo.

In uno studio randomizzato in doppio cieco, Coppen et al. [111] hanno confrontato l’efficacia profilattica dei sali di litio rispetto al placebo in un campione di 38 pazienti trattati con TEC. Dopo 12 mesi, il gruppo trattato con placebo ha trascorso in fase depressiva un maggior numero di settimane rispetto al gruppo in terapia con sali di litio (7.8 vs. 1.7). Gli autori hanno inoltre osservato un incremento dell’ efficacia profilattica del litio negli ultimi sei mesi del follow-up.

Lauritzen e coll. [112] hanno valutato il decorso a 6 mesi di 87 pazienti depressi trattati con TEC/imipramina, TEC/paroxetina o TEC/placebo e, alla fine del ciclo, in mantenimento con il solo antidepressivo o col placebo. Dopo 6 mesi il gruppo di pazienti trattato con placebo presentava un numero di ricadute più elevato (65%), mentre i gruppi trattati con imipramina e con paroxetina, presentavano percentuali significativamente inferiori (rispettivamente del 30% e del 10%).

Van Beusekom e coll. [113] hanno condotto una studio di follow-up a lungo termine in un campione di pazienti con diagnosi di depressione maggiore. I pazienti responders alla TEC (n=27), sono stati randomizzati al trattamento con imipramina o placebo per sei mesi. Il 57.7% dei pazienti è andato incontro a una ricaduta, valutata alla CGI-I; la maggior parte dei pazienti non ricaduti era nel gruppo trattato con imipramina. In una fase successiva è stato condotto un follow-up a lungo termine naturalistico, retrospettivo, della durata media di 6.8 anni, che ha evidenziato un tasso di ricorrenza del 42.3%, con un tempo medio di latenza di 46.7 mesi. Tra i pazienti precedentemente ricaduti e quelli non ricaduti non sono state trovate differenze significative né nella frequenza né nei tempi di ricorrenza. Da questi dati emerge

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15 che anche nel lungo termine i pazienti trattati con antidepressivi hanno mostrato una minore probabilità di andare incontro a un nuovo episodio depressivo.

Tuttavia, nonostante il proseguimento della terapia farmacologica, le percentuali di ricaduta sono spesso più elevate rispetto a quanto riportato nei primi studi di follow-up.

Malcom e coll. [114], in uno studio condotto su un campione di 90 pazienti con episodio depressivo maggiore trattati con TEC, hanno osservato percentuali di ricaduta del 33% a 6 mesi, del 58% a 12 mesi e del 73% a 2 anni.

Prudic e coll. [115], hanno valutato il decorso a 12 mesi di 347 pazienti con diagnosi di depressione maggiore (unipolare e bipolare) e disturbo schizoaffettivo, dopo un ciclo di TEC. Il 46.7% del campione (162 pazienti) ha presentato una remissione parziale e il 30.3%

(105 pazienti) una remissione completa. Dei 154 pazienti seguiti in follow-up, il 64.3% sono andati incontro ad una ricaduta, con un tempo medio di 8.6 settimane.

Sackeim e coll. [104] hanno valutato, in uno studio randomizzato in doppio cieco, 84 pazienti affetti da depressione maggiore unipolare, stratificati per la presenza di resistenza ai trattamenti o sintomi psicotici nell’episodio indice. I pazienti venivano assegnati, dopo un ciclo di TEC, al mantenimento con placebo, con nortriptilina (75-125ng/ml) o nortriptilina e sali di litio (0.5-0.9 mEq/L). Dopo sei mesi il 61.6% del campione presentava una ricaduta. Le percentuali di ricaduta a 6 mesi nei tre gruppi erano dell’ 84% per il placebo, del 60% per la nortriptilina e del 39.1% per la terapia combinata tra sali di litio e nortriptilina. Le differenze erano significative confrontando il gruppo sali di litio/nortriptilina verso il gruppo placebo.

Eccetto una, tutte le ricadute nel gruppo sali di litio/nortriptilina avvenivano nelle prime 5 settimane, mentre proseguivano lungo tutto il periodo di follow-up negli altri due gruppi. Tra le variabili cliniche indagate, la resistenza ai trattamenti farmacologici, il sesso femminile e più alti punteggi all’HAM-D all’inizio del follow-up correlavano in maniera significativa con una più alta probabilità di ricaduta.

E’ indiscutibile che negli anni la tipologia dei pazienti sottoposti alla TEC sia notevolmente cambiata. In passato era spesso sufficiente una diagnosi di depressione endogena, oggi i pazienti inviati alla TEC sono soggetti più gravemente ammalati, resistenti ai trattamenti o con caratteristiche psicotiche [106].

Tra le variabili che possono essere correlate a una ricaduta precoce, la resistenza ai trattamenti farmacologici è stata oggetto dell’interesse di diversi autori.

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16 Sackeim e coll. [116] hanno valutato il decorso di un campione di 58 pazienti con depressione (37 unipolari, 21 bipolari) sottoposti a TEC. Il 50% dei pazienti monitorati ricadeva entro un anno, con un picco a 4 mesi. I pazienti che avevano ricevuto un trattamento farmacologico adeguato prima della TEC, inoltre, presentavano percentuali di ricaduta più elevate (64%) rispetto ai pazienti che avevano assunto un trattamento a dosi non adeguate (32%). La somministrazione di un trattamento farmacologico dopo il ciclo di TEC riduceva il rischio di ricadute solo nel sottogruppo di pazienti non farmacoresistenti. Secondo questi dati, dopo un ciclo di TEC, la somministrazione nella fase di mantenimento di terapie farmacologiche che erano state inefficaci durante l’episodio indice, appare ingiustificato e privo di efficacia profilattica.

Rasmussen e coll. [117] hanno valutato, sulla base dei dati del Consortium for Research on Electroconvulsive Therapy (CORE), l’influenza della resistenza ai trattamenti sulle ricadute dopo un ciclo di TEC. Dei 146 pazienti affetti da depressione unipolare senza sintomi psicotici, sono andati incontro a una ricaduta dopo la prima settimana il 31.4% dei pazienti farmacoresistenti (con almeno un precedente trial con antidepressivi secondo la ATHF) e il 9.8% dei pazienti non resistenti, con una differenza statisticamente significativa.

Tale differenza non è stata tuttavia mantenuta nel follow-up (durante il quale i pazienti erano in terapia con TEC di continuazione o sali di litio/nortriptilina), dove si è registrata una percentuale di ricadute del 53.1% tra i pazienti resistenti ai trattamenti e del 37.5% tra quelli non resistenti.

Altri autori hanno invece correlato la presenza di ideazione delirante a una più alta e precoce probabilità di ricaduta.

Aronson e coll. [118] hanno confrontato le differenze del decorso di un campione di 21 pazienti affetti da depressione con sintomi psicotici, che aveva risposto a un ciclo di TEC, con un campione di 31 pazienti trattati con terapia farmacologica. Le percentuali di ricaduta osservate dopo un periodo variabile da 6 mesi a 6 anni, erano più elevate nel gruppo trattato con TEC (95%) rispetto al gruppo di pazienti trattati con terapia farmacologica (80.1%). Gli autori concludevano che il trattamento con la TEC non conferiva alcun vantaggio nella prevenzione a lungo temine rispetto alla terapia farmacologica.

O’Leary e Lee [119] hanno osservato il decorso di un campione di pazienti di Nottingham trattati con la TEC per un periodo di 7 anni. Hanno valutato in maniera distinta le ricadute (entro le 16 settimane) e le ricorrenze (più di 16 settimane dopo la remissione). La

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17 probabilità cumulativa di stare bene a distanza di 7 anni (senza la riammissione in ospedale) era 0.27. A 16 settimane la probabilità di evitare la ricaduta era 0.79 e in seguito di evitare la ricorrenza 0.34. Utilizzando analisi di regressione multipla gli autori hanno osservato che la presenza di sintomi psicotici (ideazione delirante) rappresentava un fattore predittivo di ricaduta. La ricorrenza era invece associata al sottotipo endogeno di depressione, all’assenza di rallentamento psicomotorio e a una storia pregressa di depressione. Il limite maggiore, individuato dagli stessi autori, era tuttavia considerare, come solo indice di ricaduta, le riammissioni in ambiente ospedaliero.

Risultati invece diversi sono stati ottenuti da Birkenhäger e coll. [120], i quali hanno condotto un follow-up naturalistico parzialmente retrospettivo, della durata di un anno, su 40 pazienti affetti da depressione maggiore unipolare resistenti ai trattamenti farmacologici, rispondenti a un ciclo di TEC. Sono state osservate percentuali di ricaduta del 28% a 6 mesi e del 41% a 12 mesi, utilizzando come criteri di ricaduta la riammissione in ospedale, una marcata riduzione del funzionamento sociale o la necessità di modificare il trattamento farmacologico con antidepressivi per il peggioramento della sintomatologia. Questi autori hanno osservato che i pazienti con sintomi psicotici congrui presentavano una percentuale di ricadute inferiore, sia a sei mesi (12% vs 53%) che a un anno (21% vs 73%), rispetto ai pazienti senza sintomi psicotici.

Altri autori [116] non hanno invece trovato alcuna correlazione tra la presenza di sintomi psicotici e la probabilità di ricaduta. Vari altri studi sono stati condotti nel tentativo di individuare i fattori predittivi di ricaduta precoce dopo una risposta in acuto alla TEC.

Prudic e coll. [121] hanno valutato le differenze nel decorso di un campione di pazienti con diagnosi di “depressione doppia” rispetto ad un campione di pazienti affetti da depressione maggiore. Dopo 12 mesi, nel primo gruppo sono state registrate percentuali di ricaduta superiori rispetto al secondo gruppo (75% vs. 54.1%). Sebbene questa differenza non sia statisticamente significativa, gli autori ritengono che la comorbidità con la distimia aumenti la probabilità di ricaduta nel decorso successivo.

Shapira e coll. [122] in uno studio in aperto, condotto su un campione di 28 pazienti depressi trattati con un ciclo di TEC e successivamente con sali di litio, hanno registrato un tasso di ricaduta del 35% a 6 mesi. I pazienti ricadevano mediamente entro 13 settimane dalla precedente risposta, presentavano una resistenza alla terapia farmacologica, una minore durata dell’episodio indice e un episodio depressivo nei 12 mesi precedenti.

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18 In un recente studio di follow-up Nordenskjold e coll. [123] hanno valutato i predittori di ricaduta/ricorrenza in un campione di 486 pazienti sottoposti a un ciclo di TEC per disturbo depressivo maggiore. Una nuova ospedalizzazione o il suicidio erano considerati indicatori di una ricaduta. Il tasso di ricaduta a sei mesi, un anno e due anni è stato rispettivamente del 25%, 34% e 44%. La comorbidità con dipendenza da alcool o sostanze e l’assunzione di benzodiazepine o antipsicotici (in pazienti non psicotici), sono risultati fattori predittivi di ricaduta nel corso del follow-up. A differenza di quanto osservato da altri autori l’età, il sesso, il numero di precedenti episodi, la gravità della sintomatologia, non sono stati correlati a una maggiore probabilità di ricaduta.

Studi di follow-up mostrano un decorso generalmente positivo nei pazienti anziani sottoposti a un ciclo di TEC. La spiegazione sarebbe da ricercare nel fatto che la popolazione anziana più spesso va incontro a episodi depressivi con caratteristiche melancoliche, rallentamento psicomotorio, sintomi psicotici, aspetti questi generalmente correlati ad una buona risposta alla TEC [124].

Brodaty e coll. [125] hanno condotto un follow-up prospettico naturalistico su 81 pazienti sottoposti a un ciclo di TEC, affetti da depressione maggiore ( il 17% dei quali bipolari), comparando tre classi di età: meno di 65 anni, tra i 65 e i 74 anni, dai 75 anni in su.

I pazienti sono stati valutati prima della TEC, subito dopo, a distanza di 1-3 anni e, in caso di sospetta demenza, anche a distanza di 5 anni. Sia immediatamente dopo il ciclo di TEC che nel periodo di follow- up non si sono evidenziate differenze di risposta alla TEC nei tre gruppi. I punteggi alla GAF sono invece risultati simili subito dopo il ciclo mentre nel follow- up si è osservato un miglioramento per i pazienti più giovani e una riduzione dei punteggi nei due gruppi di età più avanzata. Questa differenza veniva tuttavia annullata tenendo conto del 35.7% dei pazienti del gruppo più anziano che è andato incontro a demenza nel corso del follow-up.

Huuka e coll. [126] hanno confrontato il decorso clinico di un campione di pazienti anziani affetti da depressione maggiore trattato con TEC, con quello di un gruppo di controllo trattato con terapia farmacologica. Il tasso di ricaduta al termine dei 12 mesi di follow-up è risultato equivalente nei due gruppi: 43% nei pazienti trattati con TEC e 38% nel gruppo trattato con terapia farmacologica. Nel primo gruppo la ricaduta è stata più precoce, verosimilmente in relazione alla maggiore gravità dei pazienti indirizzati alla TEC.

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19 Nei pazienti più gravi, nei quali la farmacoterapia si è dimostrata poco efficace nel prevenire le ricadute dopo una iniziale risposta alla TEC, o sia controindicata, le linee guida internazionali suggeriscono il ricorso alla TEC di mantenimento (mTEC) o di continuazione (cTEC) [84, 127]. La cTEC consiste nella prosecuzione delle sedute per almeno sei mesi dopo il trattamento dell’episodio indice, con lo scopo di prevenire le ricadute; con mTEC si fa riferimento invece al trattamento che viene continuato dopo i primi sei mesi, per prevenire l’insorgenza di nuovi episodi. Le stesse linee guida tuttavia non danno indicazioni precise riguardo la frequenza delle applicazioni e la durata complessiva della terapia. Nella pratica clinica si seguono in genere tre tipi di protocolli: uno “variabile” che inizia con applicazioni settimanali per 2-4 settimane, seguite da una graduale riduzione della frequenza fino a un’applicazione al mese; uno “a intervalli fissi” con applicazioni ogni 1-4 settimane ; un approcio “al bisogno” con 1-2 applicazioni ogni volta vi siano dei segni di ricaduta [128, 129]

Tuttavia, il problema di ottimizzare la frequenza e la durata non è ancora stato studiato sistematicamente. Lo studio STABLE suggerisce uno schema di trattamento iniziale fisso di 4 applicazioni nei primi 24 giorni (2 la prima settimana, 1 la seconda settimana, 1 10 giorni dopo), seguito da un modulo flessibile durante il quale, fra la 5° e la 24° settimana, i pazienti possono essere sottoposti a un numero variabile di applicazioni compreso tra 0 e 2 a settimana, sulla base di un algoritmo derivato dai punteggi settimanali alla HAM-D 24 items e alla MMSE. Questo protocollo è stato messo a punto sia per ridurre i sintomi residui sia per controllare la sintomatologia depressiva prima della ricomparsa di una vera e propria ricaduta, migliorando così il decorso a lungo termine [130].

Secondo alcuni autori la cTEC e la mTEC sono tecniche sottoutilizzate nei pazienti con disturbo bipolare. La mTEC dovrebbe essere utilizzata nei pazienti bipolari farmacoresistenti o con una più lunga storia di ospedalizzazioni, soprattutto in caso di una precedente buona risposta a un ciclo di TEC. Tuttavia in pazienti più gravi e resistenti al trattamento, la mTEC da sola potrebbe non essere sufficientemente efficace e dovrebbe essere associata ad un trattamento farmacologico. Nei pazienti bipolari sarebbe inoltre necessaria una maggiore frequenza di applicazioni, con intervalli non superiori a 1-3 settimane, rispetto a pazienti unipolari [131].

In uno studio prospettico effettuato in Olanda da Wijkstra e coll. [132], 12 pazienti affetti da depressione maggiore farmacoresistente sono stati trattati con TEC di continuazione, dopo la risoluzione dell’episodio. Il protocollo adottato prevedeva la somministrazione di un

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20 trattamento settimanale per il primo mese, poi uno ogni due settimane, quindi per due volte ogni tre settimane e infine un trattamento mensile fino al sesto mese. Il 50% dei pazienti presentava una ricaduta entro sei mesi.

In uno studio retrospettivo condotto da Gagné e coll. [133] è stato confrontato il decorso nel lungo termine (da 2 a 5 anni) in due gruppi di 29 pazienti con depressione cronica (46 unipolari e 12 bipolari) omogenei per caratteristiche cliniche e socio-demografiche, trattati in acuto con un ciclo di TEC e in mantenimento con terapia farmacologica o con terapia farmacologica associata a cTEC. I pazienti sottoposti a cTEC ricevevano una applicazione settimanale nel primo mese successivo al ciclo completo, ogni due settimane il mese successivo e in ultimo un trattamento mensile per gli anni seguenti. I pazienti valutati in questo studio ricevevano la proposta di effettuare una terapia di mantenimento con TEC in considerazione dell’alta ricorrenza di episodi depressivi nella loro storia clinica e della scarsa risposta ai precedenti trattamenti farmacologici. La probabilità di sopravvivenza senza ricaduta o ricorrenza a 2 anni, era del 93% per il gruppo di pazienti trattati con mTEC e del 52% per il gruppo che riceveva la sola terapia farmacologica. A 5 anni la probabilità di sopravvivenza era rispettivamente del 73% e 18%. Il tempo medio di sopravvivenza era di 6.9 anni per il primo gruppo e 2.7 anni per il secondo. La frequenza di ri-ospedalizzazione e la degenza media in day hospital diminuivano sensibilmente nel gruppo di pazienti trattati con mTEC. I limiti di questo studio sono principalmente dovuti all’adozione di criteri di ricaduta/ricorrenza non standardizzati. Altro limite riguarda la disparità di assistenza dei pazienti appartenenti ai due gruppi, essendo i pazienti trattati con mTEC osservati settimanalmente e richiamati dagli operatori sanitari in occasione di un eventuale allontanamento dal programma di assistenza.

Russel e coll. [134] hanno condotto uno studio retrospettivo su 43 pazienti trattati con mTEC per un periodo di 12 mesi. E’ stato registrato un aumento dei punteggi della Mini Mental State, un miglioramento del funzionamento globale e una marcata riduzione del punteggio alla HAM-D. Si è inoltre osservata un riduzione dei giorni di ricovero in day hospital: 817 giorni complessivi nell’anno precedente il ciclo di TEC contro i 139 registrati durante il mantenimento.

Nel 2006 lo studio multicentrico condotto dal Consortium for Research in Electroconvulsive Therapy (CORE) ha confrontato l’efficacia tra la cTEC e la terapia farmacologica sali di litio/ nortriptilina nella prevenzione delle ricadute depressive. Sono stati

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21 valutati 201 pazienti con diagnosi di depressione maggiore unipolare, in remissione dopo un ciclo di TEC. Dopo 6 mesi il 37.1% dei pazienti in mantenimento con TEC (somministrato settimanalmente per 4 settimane, bisettimanalmente per 8 settimane e mensilmente per due mesi) è andato incontro a una ricaduta e il 16.8% a drop-out; nel gruppo in mantenimento farmacologico le percentuali di ricaduta e drop-out erano rispettivamente del 31.6% e del 22.1%. Gli autori concludono che entrambe le strategie di trattamento sono risultate superiori rispetto a storici gruppi di controllo col placebo ma in entrambi i casi oltre il 50% dei pazienti presenta una ricaduta o drop-out. [105]

In uno studio randomizzato in doppio cieco Navarro et al. [135] hanno confrontato le curve di sopravvivenza di due gruppi di pazienti anziani con depressione psicotica unipolare in remissione dopo trattamento con un ciclo di TEC in associazione a nortriptilina. I pazienti successivamente trattati col solo antidepressivo ricadevano più precocemente (mediamente a 16 mesi) rispetto ai pazienti trattati con nortriptilina in associazione a TEC di continuazione e poi di mantenimento (tempo medio di ricaduta a 23 mesi).

Una marcata riduzione del numero e della durata dei ricoveri in pazienti anziani depressi (il 7% bipolari) sottoposti a mTEC è stata messa in evidenza anche da O’Connor e coll. in uno studio retrospettivo condotto nel 2009. Nei due anni successivi al ciclo di TEC in acuto il numero e la durata delle ammissioni in ospedale erano ridotti rispettivamente del 53%

e del 79% rispetto ai due anni precedenti. Comparando i periodi di trattamento per ciascun paziente il numero dei ricoveri si riduceva del 90% e la durata delle ammissioni del 97%.

Minnai e coll. [136] hanno valutato l’efficacia della mTEC sul decorso di un campione di 14 pazienti bipolari I e II a cicli rapidi farmacoresistenti. Dopo la fine del ciclo di TEC, è stato adottato un protocollo flessibile di mTEC, che prevedeva una riduzione graduale della frequenza delle applicazioni, partendo da una somministrazione settimanale e aumentando gradualmente l’intervallo tra le sedute fino ad effettuare un trattamento ogni due mesi. Se il paziente presentava un periodo libero da sintomatologia per almeno sei mesi consecutivi sospendeva le sedute di TEC. Nei due anni di follow-up gli autori hanno osservato un netto miglioramento del decorso in tutti i pazienti: il 58% non ha presentato nessuna ricaduta, mentre il 42% ha avuto una sola ricaduta all’anno. Inoltre si è osservata una riduzione delle giornate di malattia che sono passate da 304 giorni nei due anni precedenti il trattamento a 24 giorni nei due anni di follow-up, mentre l’intervallo libero da sintomatologia è aumentata da 52 a 334 giorni.

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22 Un’analisi multivariata ha mostrato che il sesso maschile, la giovane età, il decorso bipolare II e la presenza di temperamento ipertimico sono fattori predittivi di risposta alla mTEC.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi è la presentazione e la discussione di dati di uno studio effettuato presso la Clinica Psichiatrica dell’Università degli Studi di Pisa sul decorso a medio termine di un gruppo di pazienti farmacoresistenti con diagnosi di Depressione bipolare e Stato misto (Bipolari I e Bipolari II) che ha risposto a un ciclo di Terapia Elettroconvulsivante (TEC).

E' stato condotto un follow-up prospettico e naturalistico, nel corso del quale sono stati valutati i tempi e le durate delle ricadute depressive, maniacali, ipomaniacali e miste, nonché i periodi di risposta e remissione e il funzionamento socio-lavorativo e familiare.

Le caratteristiche demografiche e cliniche del campione sono state confrontate tra i pazienti che avevano presentato una ricaduta depressiva nel corso del follow-up e coloro che non l’avevano presentata. Lo stesso confronto è stato effettuato tra i pazienti che avevano trascorso in remissione più del 70% del tempo di osservazione e il resto del campione.

La distribuzione delle ricadute è stata infine messa in relazione con alcune variabili cliniche, allo scopo di identificare eventuali fattori che potessero influire sui tempi di ricaduta e di remissione.

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MATERIALI E METODI

1) Caratteristiche dei pazienti

Lo studio include 36 pazienti bipolari con sintomatologia depressiva o mista resistente alla farmaco-terapia, che hanno effettuato la TEC tra Dicembre 2008 e Luglio 2011 nel Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Pisa e che hanno poi partecipato a un follow-up prospettico e naturalistico per un periodo compreso tra le 24 e le 160 settimane.

Tutti i soggetti hanno compiuto 18 anni e rispondono ai criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, quarta edizione (DSM-IV) per un Episodio Depressivo Maggiore associato ad un Disturbo Bipolare I ( N = 5; 13.9%) o Bipolare II ( N = 14; 38.9%) o per uno Stato Misto (N = 17; 47.2% ).

Le diagnosi sono state fatte da 2 medici psichiatri e confermate mediante la somministrazione di M.I.N.I. (Mini International Neuropsychiatric Interview – versione italiana 5.01) [137] in accordo ai criteri del DSM-IV.

Tutti i soggetti partecipanti hanno fornito il consenso informato scritto per effettuare la TEC e per partecipare allo studio e sono non–responders al trattamento farmacologico.

Per la depressione bipolare la resistenza farmacologica è valutata come la mancata risposta a 2 schemi terapeutici per almeno 8 settimane che consistono di un protocollo con stabilizzante dell’umore associato ad un antidepressivo triciclico e un secondo protocollo con stabilizzante dell’umore associato ad un SSRI.

Nella depressione psicotica resistente esiste un criterio aggiuntivo, la somministrazione concomitante di un farmaco antipsicotico al dosaggio equivalente di almeno 300 mg/die di cloropromazina.

I pazienti sono valutati prima di effettuare la 1° applicazione di TEC ( baseline) e 1 settimana dopo la fine del ciclo di applicazioni (punteggi finali) utilizzando la Hamilton Rating Scale for Depression (HAM – D) [138, 139] per la valutazione della gravità dell’episodio depressivo, la Young Mania Rating Scale (YMRS) [140] per la valutazione della gravità della sintomatologia espansiva, la Brief Psychiatric rating Scale (BPRS) [141]

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25 per la valutazione della psicopatologia generale e la Clinical Global Improvement (CGI) [142]

per la valutazione del miglioramento.

La decisione di sospendere il ciclo di applicazioni di TEC è stabilita dal medico che ha in cura il paziente e non è a conoscenza delle valutazioni diagnostiche e sintomatologiche.

Sulla base della CGI-I, è stata definita la risposta al ciclo di TEC come un punteggio uguale o inferiore a 3 (“lieve o moderato miglioramento”) e la remissione come un punteggio

= a 1 (“marcato miglioramento”).

Tutti i pazienti inclusi in questo studio hanno risposto alla TEC.

Per la valutazione del decorso successivo è stata utilizzata la L.I.F.E. [143], somministrata ogni sedici settimane o, in tutti i casi in cui è stato possibile, a intervalli più brevi coincidenti con i regolari controlli ambulatoriali.

La remissione da un episodio depressivo, maniacale, ipomaniacale o misto è stata definita come un periodo di almeno otto settimane consecutive in cui è presente un punteggio uguale o inferiore a 2.

Per quanto riguarda gli episodi depressivi è stata valutata la risposta come un periodo di almeno otto settimane consecutive in cui è presente un punteggio uguale o inferiore a 4, e la ricaduta come un periodo di almeno due settimane consecutive in cui è presente un punteggio uguale o superiore a 5 o quando, per l'aggravarsi della sintomatologia, si è reso necessario un ricovero in ambiente ospedaliero.

Per quanto riguarda le fasi espansive, è stata valutata la ricaduta maniacale come un periodo di almeno una settimana in cui è presente un punteggio uguale o superiore a 5, mentre sono stati valutati come episodi ipomaniacali i periodi di una settimana in cui sono presenti punteggi pari a 3 o 4 nella scala della mania e punteggi pari a 1 o 2 nella scala della depressione.

Abbiamo considerato gli episodi misti quando, per una settimana, sono contemporaneamente presenti nella scala della depressione e della mania punteggi uguali o superiori a 5.

Al sesto mese di follow-up è stato valutato il funzionamento socio-lavorativo e familiare dei pazienti con l’ausilio della FAST [144].

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2) Procedura della TEC

Prima di iniziare il ciclo di TEC, i pazienti vengono sottoposti alle seguenti valutazioni:

• Valutazione medica: raccolta di una anamnesi generale con esame obiettivo, esami ematochimici comprendenti pseudo colinesterasi e N° Dibucaina, ECG con visita cardiologica ed eventualmente ECOCARDIOGRAMMA.

• Rx torace che viene effettuato dai pazienti affetti da patologie cardiovascolari, polmonari e forti fumatori (> di 20 sigarette/die).

• Qualora non fosse stato effettuato in precedenza, i pazienti vengono sottoposti ad esame neuroradiologico con TC o RMN encefalo ( con o senza mezzo di contrasto).

Non vengono sottoposti a TEC i pazienti affetti da patologie organiche quali: malattie cardiovascolari (infarto del miocardio recente, angina, scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa non trattata), aneurismi o malformazioni vascolari, tumori cerebrali o altre lesioni cerebrali occupanti spazio, infarto cerebrale recente, patologie polmonari (broncopneumopatie croniche ostruttive, asma, polmonite), patologie dell’apparato osteoarticolare, epilessia, distacco retinico, diabete mellito e le donne in gravidanza.

• Valutazione anestesiologica: è indagata la presenza di una anamnesi positiva di intolleranza all’anestesia, di reflusso gastro-esofageo, la presenza di trattamenti farmacologici in atto, e la presenza di forme allergiche.

Di particolare importanza sono i valori di numero di dibucaina e pseudocolinesterasi perché un loro deficit può rallentare il metabolismo della succinilcolina con conseguente incremento della fase di apnea respiratoria.

Nella fase di preanestesia si somministra un farmaco anticolinergico vagolitico (atropina solfato), 30-45 minuti prima di eseguire la TEC, alla dose di 0,02 mg/Kg per via i.m.

Per l’induzione dell’anestesia si utilizza il tiopentale sodico, alla dose di 3-4 mg/Kg, e il rilassamento muscolare viene ottenuto con la succinilcolina, alla dose di 0,5-1 mg/Kg.

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27 Dopo aver raggiunto una narcosi profonda con completo rilassamento muscolare si procede alla ossigenazione del paziente mediante ossigeno puro con maschera facciale a R.P.P.I.

All'interno della cavità orale viene applicato un Byte per la protezione delle arcate dentarie durante la convulsione, e dopo circa due minuti viene praticata la TEC.

Si utilizza un apparecchio MECTA, modello SPECTRUM 5000Q (Mecta Corporation, Lake Oswego, USA), capace di generare stimoli ad onda quadra bidirezionale.

Per realizzare un contatto elettrico adeguato con il cuoio capelluto si applica uno strato di gel elettroconduttivo sulla superficie degli elettrodi.

La TEC viene somministrata secondo la tecnica bilaterale, posizionando gli elettrodi su entrambi i lati della testa nella zona fronto-temporale, con il punto centrale dell’elettrodo localizzato 3-4 cm al di sopra del punto mediano della linea che collega il meato acustico esterno all’angolo palpebrale esterno.

La quantità di energia necessaria ad indurre la convulsione viene calcolata con il metodo dell’età [145], secondo la formula joule = ½ età.

La crisi è considerata adeguata se la durata della convulsione registrata con EEG è superiore a 25 secondi e/o e quella motoria è maggiore di 20 secondi. Nel caso di durata inferiore della convulsione motoria lo stimolo all’applicazione successiva verrà incrementato ( di 1.5 volte) secondo tabelle definite nei protocolli internazionali, fino a produrre una convulsione adeguata.

Durante la somministrazione della TEC vengono monitorati i parametri cardio- respiratori mediante la registrazione ECGgrafica e l’impiego del Pulsoossimetro.

L’insorgenza della convulsione, la durata e altre informazioni riguardanti le caratteristiche di quest’ultima vengono registrate tramite l’Elettroencefalogramma.

I due elettrodi di registrazione dell’EEG vengono posti uno a livello frontale sinistro a circa 1 cm al di sopra del punto medio sopracciliare, e l’altro a livello mastoideo sinistro, al di sopra del processo osseo, dietro l’orecchio.

I pazienti effettuano sedute di TEC con cadenza bisettimanale. Il numero complessivo di trattamenti per ogni paziente è stabilito mediante l’osservazione clinica dal medico specialista curante che non partecipa alla ricerca.

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3) Strumenti di valutazione

M.I.N.I. Mini International Neuropsychiatric Interview - versione 5.0.1 [137].

La M.I.N.I. è stata progettata come intervista breve strutturata per i disturbi psichiatrici più importanti, sia per l’Asse I del DSM- IV che per l’ICD-10. Può essere utilizzata dai clinici dopo un breve training. Per gli intervistatori non specializzati è necessario un training più prolungato.

La M.I.N.I. è suddivisa in moduli identificati con lettere, ciascuno dei quali corrispondente ad una categoria diagnostica.

Le possibili diagnosi rilevabili con questo strumento sono: Episodio Depressivo Maggiore, attuale e lifetime, Epsodio Depressivo Maggiore con manifestazioni melanconiche attuale, Distimia attuale, Ideazione suicidaria attuale, Episodio ( Ipo) maniacale, attuale e lifetime, Disturbo di Panico, attuale (ultimo mese) e lifetime, Agorafobia attuale, Fobia sociale attuale (ultimo mese), Disturbo Ossessivo-Compulsivo attuale (ultimo mese), Disturbo Post-Traumatico da Stress attuale (ultimo mese), Dipendenza – Abuso di alcool nell’ultimo anno e lifetime, Dipendenza – Abuso di sostanze nell’ultimo anno e lifetime, Disturbi Psicotici, attuale e lifetime, Anoressia Nervosa attuale (ultimi 3 mesi), Bulimia Nervosa attuale (ultimi 3 mesi), Disturbo d’Ansia Generalizzata attuale (ultimi 6 mesi), Disturbo Antisociale di personalità lifetime.

All’inizio di ciascun modulo diagnostico (fatta eccezione per quello riguardante i disturbi psicotici) vengono presentate delle domande di screening che corrispondono ai criteri fondamentali del disturbo.

Il clinico deve assicurarsi che ciascun aspetto della domanda posta sia preso in considerazione dal paziente (per esempio: periodo di tempo, frequenza, gravità e/o alternative).

I sintomi che possono essere spiegati da una causa organica o dall’uso di alcool o di sostanze stupefacenti non dovrebbero essere annotati nella M.I.N.I.

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29 CLINICAL GLOBAL IMPRESSIONS ( CGI ) [142]

La CGI è stata sviluppata per uno studio di vaste dimensioni sulla schizofrenia (PRB Collaborative Schizophrenia Studies). Ha lo scopo di valutare il rapporto rischio/beneficio ( Efficacia) del trattamento in pazienti psichiatrici.

E’ applicata dallo psichiatra il quale valuta ripetutamente nel corso del trattamento la gravità della malattia, le sue variazioni nel tempo e l’efficacia terapeutica, cioè il rapporto tra effetto terapeutico ed effetti indesiderati.

La versione utilizzata nello studio presentato è composta da 2 items, uno per la gravità e uno per il miglioramento.

Nel primo item viene espresso un punteggio che va da 0 a 7:

0 = non valutato 1 = normale

2 = solo marginalmente ammalato 3 = lievemente ammalato

4 = moderatamente ammalato 5 = patologia psichica grave 6 = patologia psichica molto grave 7 = patologia psichica gravissima

Nel secondo item analogamente viene espresso un punteggio da 0 a 7:

0 = non valutato 1 = molto migliorate

2 = moderatamente migliorate 3 = lievemente migliorate 4 = nessun cambiamento 5 = lievemente peggiorate 6 = moderatamente peggiorate 7 = molto peggiorate.

Il periodo valutato è per la gravità della malattia la settimana precedente, per il miglioramento globale il tempo trascorso dall’inizio del trattamento.

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