• Non ci sono risultati.

"E Tolstoj che piu di tutti ci affascina" La dialettica dell'anima nell'incontro fra Virginia Woolf e Lev N. Tolstoj

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi ""E Tolstoj che piu di tutti ci affascina" La dialettica dell'anima nell'incontro fra Virginia Woolf e Lev N. Tolstoj"

Copied!
104
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

LINGUE E LETTERATURE MODERNE EUROAMERICANE

Tesi di laurea

“È Tolstoj che più di tutti ci affascina”

La dialettica dell'anima nell'incontro fra Virginia Woolf e Lev N. Tolstoj

Candidato Relatrice

Matteo Campanile Prof.ssa Roberta Ferrari

(2)
(3)

La domanda era questa: dovendo io vivere, cosa sarebbe rimasto di autentico, d’indistruttibile di questa mia vita effimera e caduca? Lev Nikolaevič Tolstoji There remains the greatest of all novelists — for what else can we call the author of War and Peace? Virginia Woolfii

i Tolstoj, Lev N., La confessione, trad. it. di Pacini, Gianlorenzo, Milano, Feltrinelli, 20154, p. 63.

ii Woolf, Virginia, “The Russian Point of View”, in Collected Essays by Virginia Woolf Volume One, London, The Hogarth Press, 19803, p. 224.

(4)

Introduzione 1 PARTE I: VITA 9 1. Infanzia 10 2. Outsider 13 3. Matrimonio 17 4. Arte e vita 20 5. La guerra e la pace 24 6. Fede 27

7. Fuga dalla vita 28

PARTE II: STILE 31

1. L’illusione della realtà 32

2. Caratterizzazione dei personaggi 36

3. Il romanzo psicologico 46

4. La dialettica dell'anima 48

PARTE III: ANNA KARENINA E

MRS DALLOWAY 54 1. I due romanzi 56 2. Le protagoniste 60 3. I coprotagonisti 65 4. L’amore 68 5. Vita in società 74 6. Fede 79 7. Morte 83 8. Il doppio intreccio 86 Conclusioni 91 Bibliografia 95 Ringraziamenti 100

(5)

1

Introduzione

He had indeed just brought his feet together about six in the evening of the seventh of January at the finish of some such quadrille or minuet when he beheld, coming from the pavilion of the Muscovite Embassy, a figure, which, whether boy’s or woman’s, for the loose tunic and trousers of the Russian fashion served to disguise the sex, filled him with the highest curiosity. The person, whatever the name or sex, was about middle height, very slenderly fashioned, and dressed entirely in oyster-coloured velvet, trimmed with some unfamiliar greenish-coloured fur. But these details were obscured by the extraordinary seductiveness which issued from the whole person. Images, metaphors of the most extreme and extravagant twined and twisted in his mind. [...] Finally, coming to a stop and sweeping a curtsey with the utmost grace to the King, who was shuffling past on the arm of some Lord-in-waiting, the unknown skater came to a standstill. She was not a handsbreadth off. She was a woman. Orlando stared; trembled; turned hot; turned cold; longed to hurl himself through the summer air; to crush acorns beneath his feet; to toss his arm with the beech trees and the oaks. As it was, he drew his lips up over his small white teeth; opened them perhaps half an inch as if to bite; shut them as if he had bitten. The Lady Euphrosyne hung upon his arm.1

Virginia Woolf (1882-1941) scrisse nell’Orlando (1928) di un’impalpabile e fugace storia d’amore fra il protagonista, Orlando, e la bella principessa russa Marouša Stanilovska Dagmar Nataša Iliana Romanovič. Ebbene, questa storia d’amore, fatta di sguardi, complicità e di una forte intesa, potrebbe essere letta come un’emblematica raffigurazione del fascino che Virginia stessa subì per la letteratura russa del XIX secolo e dei primi del XX e, quindi, anche per la scrittura di Lev Nikolaevič Tolstoj2 (1828-1910)3. L’incontro fra Orlando e la principessa Saša, come la chiama lui affettuosamente, non potrebbe essere più esemplare e significativo. All’inizio, Orlando vede uscire dall’oscurità una figura misteriosa e seducente che desta immediatamente la sua curiosità, per poi catturare completamente la sua attenzione e, quando essa si rivela essere una donna, Orlando si emoziona, si accalora e rimane definitivamente incantato dall’affascinante principessa russa: similmente potrebbe essere accaduto a Virginia con

1 Woolf, Virginia, Orlando, London,Vintage, 2004, pp. 18-19.

2 La trattazione dei nomi dei romanzi di Tolstoj corrisponde a quella utilizzata nelle traduzioni di cui mi sono servito. Negli altri casi ho utilizzato la traslitterazione scientifica internazionale.

3 Nel suo Virginia Woolf and the Russian Point of View (2009), Roberta Rubenstein propone un’interessantissima lettura dell’Orlando, che nell’introduzione di questo lavoro si è voluta riprendere e ampliare, utilizzandola per descrivere il rapporto che legò Virginia Woolf alla letteratura russa e, in particolare, alla letteratura di Tolstoj. Nella stessa opera, la Rubenstein specifica, inoltre, come la storia d’amore che lega Orlando e la principessa Saša non manchi d’ironia (elemento che caratterizza del resto quasi completamente l’Orlando, in effetti l’opera più divertente e divertita di Virginia Woolf), rivolta, appunto, all’innamoramento, quasi una sbandata o una cotta, che l’Inghilterra provò per la Russia per molto tempo.

Si veda Rubenstein, Roberta, Virginia Woolf and the Russian Point of View, New York, Palgrave Macmillan, 2009, pp. 1-2.

(6)

2

gli scrittori russi. Ma quello che ci fu fra Virginia Woolf e i russi non fu una semplice fascinazione, bensì un vero e proprio rapporto creativo e intellettuale, che per molti anni ispirò e influenzò la sua scrittura, come anche la sua attività critica e traduttiva. È interessante notare, infatti, come la prima fase del suo sviluppo creativo coincida con l’incontro e la lettura di diversi autori russi4. Questi sono, inoltre, gli anni (all’incirca dalla metà degli anni ‘10 agli anni ‘20 del XX secolo) del saggio The Russian Point of

View, pubblicato nel Common Reader nel 19255, e della pubblicazione di diverse opere

russe da parte della Hogarth Press, che si fece promotrice della diffusione della cultura russa, traducendo classici e non, che spesso venivano cotradotti da Virginia stessa con l’aiuto dell’amico S. S. Kotelianskij, un intellettuale e traduttore russo che, trasferitosi in Inghilterra, ebbe un ruolo di primo piano nella diffusione della cultura e della letteratura russa in Inghilterra. Virginia e Leonard Woolf erano, infatti, molto vicini a Kotelianskij, il quale, oltre a insegnare loro i rudimenti della lingua russa, collaborò anche alla traduzione di diverse opere, pubblicate fra il 1920 e il 1923 dalla Hogarth Press. I testi venivano spesso tradotti letteralmente dal russo verso l’inglese da Kotelianskij e successivamente revisionati e riaggiustati dalla stessa Virginia, che, come Leonard, era comunque ormai in grado di leggere e comprendere la lingua russa6. Se ripensiamo a Orlando, si può vedere come l’incontro con la bella Saša ispiri il protagonista, permettendogli di creare tante diverse metafore e, in un certo senso, di accrescere la sua arte di poeta e scrittore: un effetto simile l’ebbero gli scrittori russi su Virginia. C’è di più. La letteratura russa non permise solamente a Virginia Woolf di accrescere la propria capacità di scrittrice, ma, accanto a tanti altri fattori culturali che ebbero un ruolo fondamentale nel forgiare ciò che divenne il Modernismo inglese (basti pensare alle teorie di Henri Bergson, alla psicanalisi di Freud e alla Teoria della Relatività di Einstein, solo per citarne alcuni), gli scrittori russi offrirono a Virginia un’ulteriore via per distaccarsi dalla ormai stantia e antiquata cultura vittoriana (ancora molto influente durante la sua giovinezza), grazie agli elementi innovativi che la loro scrittura presentava7.

4 Ibid., p. 1.

5 Notare che questo fu lo stesso anno della pubblicazione di Mrs Dalloway. 6 Rubenstein, Roberta, op. cit., pp. 7-9.

(7)

3

She was like [...] nothing he had seen or known in England. Ransack the language as he might, words failed him. He wanted another landscape, and another tongue. English was too frank, too candid, too honeyed a speech for Sasha. For in all she said, however open she seemed and voluptuous, there was something hidden; in all she did, however daring, there was something concealed. So the green flame seems hidden in the emerald, or the sun prisoned in a hill. The clearness was only outward; within was a wandering flame. It came; it went; she never shone with the steady beam of an Englishwoman — here, however, remembering the Lady Margaret and her petticoats, Orlando ran wild in his transports and swept her over the ice, faster, faster, vowing that he would chase the flame, dive for the gem, and so on and so on, the words coming on the pants of his breath with the passion of a poet whose poetry is half pressed out of him by pain.8

Orlando scopre con Saša un nuovo mondo, un nuova cultura, una nuova lingua, e una nuova maniera di esprimersi. Di fronte alla bella principessa russa, che danza sul ghiaccio con leggiadria e voluttuosità, la povera promessa sposa di Orlando, Lady Margaret O’Brien O’Dare O’Reilly Tyrconnel (il vero nome di Lady Euphrosyne), che pattina sgraziatamente e poi cade goffamente e comicamente a terra (come accade in un altro punto del romanzo), non può che apparire ridicola, impacciata e molto poco interessante. Allo stesso modo, o comunque in una maniera simile a questa, la letteratura russa permise a Virginia di conoscere un’altra cultura, un’altra lingua, un’altra maniera di esprimersi e di confrontare la propria tradizione culturale e letteraria (di cui aveva ormai compreso i limiti) con quella di un paese che offriva ora molti stimoli9. Nel famoso saggio del 1924, Mr. Brown and Mrs. Bennet, Virginia Woolf aveva, infatti, commentato come gli strumenti, i “tools”10, degli scrittori edoardiani (e in senso esteso quindi anche quelli degli scrittori precedenti) non fossero più adatti per quelli della nuova generazione, la sua generazione, e di come “on or about December 1910 human character changed”11: i tempi erano dunque ormai cambiati, e con essi persino la natura umana. Grazie a nuovi elementi tematici e stilistici, del tutto estranei alla letteratura inglese e (forse anche proprio per questo) davvero affascinanti per lei, i russi offrirono, insomma, una via d’uscita, una fonte d’ispirazione che avrebbe permesso una vera e propria rigenerazione letteraria. Fra gli elementi dei classici russi che più la colpirono e la ispirarono c’era sicuramente la profonda investigazione analitica dell’animo umano, che, allora come oggi, caratterizza e rende unica la

8 Woolf, Virginia, Orlando, op. cit., pp. 24-25. 9 Rubenstein, Roberta, op. cit., pp. 14-5.

10 Woolf, Virginia, “Mr. Brown and Mrs. Bennet”, in Collected Essays by Virginia Woolf Volume One, London, The Hogarth Press, 19803, p. 331.

(8)

4

letteratura russa del XIX secolo (e dei primi anni del XX secolo). Quella dei classici russi era (è) una letteratura che bucava (e buca) la carne, per rivelarne l’anima12: è infatti l’animo umano il vero protagonista di gran parte di queste opere, come scrisse Virginia stessa nell’articolo del 1925, definendo la “soul”13 come un “chief character”14 della letteratura russa15.

Per i grandi autori russi, come Dostoevskij e Čechov, Virginia Woolf provava un’immensa ammirazione, ma riservò sempre una considerazione speciale per colui che considerava “the greatest of all novelists”16, l’autore di Guerra e pace (1869): Lev Nikolaevič Tolstoj.

[H]ere is a man who sees what we see, who proceeds, too, as we are accustomed to proceed, not from the inside outwards, but from the outside inwards. [...] Here is a man, too, who is no savage, no child of nature; he is educated; he has had every sort of experience. [...] His senses, his intellect, are acute, powerful, and well nourished. There is something proud and superb in the attack of such a mind and such a body upon life. Nothing seems to escape him. Nothing glances off him unrecorded. Nobody, therefore, can so convey the excitement of sport, the beauty of horses, and all the fierce desirability of the world to the senses of a strong young man. Every twig, every feather sticks to his magnet. He notices the blue or red of a child’s frock; the way a horse shifts its tail; the sound of a cough; the action of a man trying to put his hands into pockets that have been sewn up. And what his infallible eye reports of a cough or a trick of the hands his infallible brain refers to something hidden in the character, so that we know his people, not only by the way they love and their views on politics and the immortality of the soul, but also by the way they sneeze and choke.17

Nel saggio The Russian Point of View ne elogiò la capacità di osservazione e ne descrisse, oltre alla maniera di raccontare le storie, procedendo dall’esterno, verso l’interno, anche la tecnica di rappresentazione dei personaggi, che il lettore può conoscere non solo attraverso il modo in cui essi amano e pensano, ma anche attraverso dettagli, come un gesto o un’idiosincrasia, che permettono di rivelare gli aspetti più intimi della loro personalità, di tracciare una breccia e arrivare al loro animo18. I personaggi di Tolstoj, a differenza di molti di quelli della tradizione letteraria inglese, sono persone vere, con una personalità, con un cuore, un corpo e una mente: “[Anna

12 Woolf, Virginia, “Mr. Brown and Mrs. Bennet”, op. cit., p. 325. 13 Woolf, Virginia, “The Russian Point of View”, op. cit., p. 242. 14 Ivi.

15 Rubenstein, Roberta, op. cit., p. 15.

16 Woolf, Virginia, “The Russian Point of View”, op. cit., p. 244. 17 Ibid., pp. 244-245.

(9)

5

Karenina] is flesh and blood, nerves and temperament, has heart, brain, body and mind”19. Essi, in quanto persone vere, appunto, diventano individui indipendenti dall’artista che ha dato loro la vita, e si muovono con libertà in quel mondo letterario di cui fanno parte, e che noi possiamo visitare, altrettanto liberamente.

They live and are complex by means of their effect upon many different people who serve to mirror them in the round. They move hither and thither whether their creators watch them or not, and the world in which they live seems to us an independent world which we can visit, now that they have created it, by ourselves.20

L’interesse che Virginia Woolf provò per la letteratura russa, però, non sbocciò dal nulla, non si trattò di un caso isolato (in Inghilterra vi era ormai un terreno molto fertile da un punto di vista culturale), ma fu parte di un generale fenomeno culturale che, come un’onda, investì tutta l’Inghilterra dalla fine dell’800, agli anni ‘30 del ‘900: quest’onda di curiosità e di fascinazione dell’Inghilterra verso la Russia venne chiamata

Russophilia21. L’attrazione dell’Inghilterra per la Russia risaliva, in realtà, all’età

elisabettiana, ai viaggi di tipo commerciale che venivano fatti in quell’epoca, ma fu dalla seconda metà del XIX secolo che tale attrazione si trasformò in un vero e proprio rapporto fra le culture dei due paesi, rapporto che fu caratterizzato da un’importante influenza reciproca22. Alla base di questo rinnovato interesse vi erano anche la curiosità e il bisogno da parte degli inglesi di conoscere meglio il nemico che avevano sconfitto dopo la guerra di Crimea (1853-1856) e che rappresentava tuttora una minaccia. I rapporti politici fra i due paesi si regolarizzarono poi con l’accordo anglo-russo per l’Asia e con la Triplice intesa, nel 1907. Le successive rivoluzioni in Russia, all’inizio del XX secolo, contribuirono, inoltre, ad aumentare ulteriormente questo interesse da parte dell’Inghilterra.

Nonostante la Russia fosse in quegli anni (prima della rivoluzione del 1917) un paese politicamente reazionario e in generale antiquato, culturalmente fu, invece, capace di assorbire gli elementi migliori che le altre culture europee avevano da offrirle, per poi

19 Woolf, Virginia, “Notes on an Elizabethan Play”, op. cit., p. 57. 20 Woolf, Virginia, “Jane Eyre and Wuthering Heights”, op. cit., p. 186.

21 Per la trattazione del fenomeno della Russophilia e dei rapporti anglo-russi presentati in questa introduzione è risultata particolarmente utile la seguente raccolta:

Beasley, Rebecca, Bullock, Phillip Ross (eds), Russia in Britain, 1880-1940: From Melodrama to

Modernism, Oxford, Oxford University Press, 2013.

(10)

6

elaborarli e ripresentarli a quegli stessi paesi, che si trovavano, quindi, di fronte a qualcosa che sentivano familiare ed esotico allo stesso tempo, di cui potevano però ora scorgerne il carattere universale. La cultura russa affascinò e influenzò, infatti, tutte le forme artistiche. Essa primeggiò nella musica, come nella danza, col balletto russo, nel teatro col dramma di Čechov e nella pittura con l’arte di Kandinskij23. Inoltre, le arti figurative subirono notevolmente l’influenza dell’esposizione dell’arte post impressionista di Londra, curata da Roger Fry, Clive Bell e dall’artista russo Boris Anrep del 1912, che proponeva pittori inglesi, francesi e russi24. Nel cinema fecero scuola le pellicole russe, che mostravano tecniche cinematografiche decisamente innovative e sbalorditive per quegli anni: un esempio fra tutti, La corazzata Potëmkin (1925) di Sergej Ejzenštejn. Infine, in letteratura trionfò il romanzo psicologico russo. Il romanzo russo, che rappresentava ora un’alternativa al più familiare romanzo naturalista francese, giunse in Inghilterra, in un primo momento, tramite traduzioni francesi e tedesche, e solo successivamente in traduzioni inglesi. È curioso, comunque, notare che il canone della letteratura russa che s’impose in Inghilterra fu, in gran parte, la creazione di un piccolo numero di intellettuali, traduttori e critici, molto influenti, che avevano imparato la lingua ognuno a proprio modo, di solito privatamente o da autodidatti, visto che in quegli anni, oltre a qualche istituzione di carattere privato, non vi erano molte possibilità di avvicinarsi al russo. La prima opportunità di imparare la lingua russa, facendo affidamento su un’istituzione ufficiale, sarà nel 1904, presso l’università di Oxford. Fra questi intellettuali merita di essere ricordata Constance Garnett: dopo aver imparato il russo, grazie al suggerimento di un emigrato, che le regalò anche una grammatica e un dizionario, ebbe occasione di visitare la Russia e di migliorare la sua conoscenza della lingua, diventando un’importante traduttrice dei grandi classici russi. Può rientrare nell’interesse di questo lavoro menzionare il fatto che la vita di Virginia Woolf fu, in qualche modo, legata a quella della Garnett: fu Edward Garnett, marito di Constance, a spingere per la pubblicazione di The Voyage Out (1915), quando lavorava per Gerald Duckworth, fratellastro di Virginia. Inoltre, benché non ci siano prove che le due si siano mai incontrate, è certo che la Garnett lesse

23 Maclean, Caroline, The Vogue for Russia: Modernism and the Unseen in Britain 1900–1930, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2015, Kindle Edition.

(11)

7

Jacob’s Room (1922) di Virginia e che lei, a sua volta, abbia letto qualche traduzione di

Constance. Le vite delle due donne si intrecciarono, in un certo senso, ancora di più quando David Garnett, figlio di Constance, che fece anche parte del Bloomsbury group (e che conosceva il fratello di Virginia, Adrian), oltre ad aver avuto in gioventù una relazione con Duncan Grant, amante e compagno di vita di Vanessa Bell (sorella di Virginia), sposò Angelica Bell (il frutto dell’amore fra Vanessa e Duncan), che era la nipote della stessa Virginia25. Molto inserita nell’ambiente culturale russo, la Garnett fu anche un’assidua frequentatrice della Free Russian Library di Londra, fondata da Aleksej Teplov nel1893, che, oltre ad essere una biblioteca, fu anche una vera e propria società intenta a promuovere la cultura russa, ma anche (e soprattutto) ad aiutare gli emigrati russi. La biblioteca fu poi sospettata di essere, in realtà, un centro di attività sovversive e rivoluzionarie.

In Inghilterra vi era, fra gli intellettuali contemporanei a Virginia Woolf, un grande sentimento generalmente condiviso di ammirazione per i russi, come artisti e come uomini. Edward Garnett sosteneva che la mente russa fosse superiore a quella inglese, dal punto di vista delle emozioni, e che i russi fossero dotati di maggiore calore umano. Forster sostenne, invece, che non vi era in tutta la letteratura inglese uno scrittore pari a Tolstoj (opinione che Virginia condivideva). Tuttavia, questi pensieri furono, a volte, il risultato di una distorta e stereotipata visione che gli inglesi avevano della Russia e dei suoi abitanti26: l’uomo russo veniva visto, infatti, come un essere umano, che viveva in un mondo diverso, quasi onirico e lontano dalle cose materiali, e, visto il comune e diffuso rifiuto della moderna industrializzazione da parte di molti di questi inglesi, la cultura russa e il popolo russo non poterono che apparire ancora più attraenti ai loro occhi27.

In ultimo, ma non meno importante, è da ricordare la grandissima influenza che Lev Nikolaevič Tolstoj esercitò in terra d’Albione, non soltanto come una delle figure più autorevoli (se non la più autorevole) e di maggiore ispirazione nel campo della

letteratura, ma anche per il suo credo e per le sue attività umanitarie.

25 Ibid., pp. 10-14.

26 Qui può tornare utile ripensare all’invettiva ironica dell’Orlando rivolta alla fascinazione degli inglesi per la Russia, cui si è accennato sopra.

(12)

8

Lev Nikolaevič Tolstoj fu, infatti, molto influente già alla fine dell’800, in Inghilterra come anche nel suo paese, grazie al suo cristianesimo di tipo anarchico e la Gran Bretagna, in particolare, divenne un importante centro per le attività del movimento tolstoiano28: molti furono i rifugiati tolstoiani accolti, e questo permise, fra le altre cose, una più libera circolazione di scritti spesso censurati altrove.

* * *

Il presente lavoro tratterà dell’influenza che la scrittura di Lev Nikolaevič Tolstoj ebbe su Virginia Woolf, ma anche di quegli aspetti comuni e di quei parallelismi che si possono individuare fra le loro vite e fra le loro opere, cercando, quindi, di tracciare e creare un dialogo fra i due. Il lavoro è diviso in tre parti. Nella prima parte si delineeranno alcuni tratti in comune fra le loro vite, ma anche gli elementi di distinzione fra le due vicende biografiche. Nella seconda parte si entrerà più nel dettaglio, descrivendo, invece, il rapporto che lega i due, da un punto di vista stilistico, all’interno della loro opera. Nella terza parte, infine, si metteranno a confronto due fra i loro romanzi più esemplari, Mrs Dalloway (1925) e Anna Karenina (1877), mostrando quanto effettivamente Tolstoj abbia influenzato Virginia Woolf e quanto queste due opere, come i loro autori, e un po’ come Orlando e Saša, dialoghino fra loro, dando luogo a un discorso ispirato e poetico.

Hence, Orlando and Sasha [...] had the river to themselves. Hot with skating and with love they would throw themselves down in some solitary reach, where the yellow osiers fringed the bank, and wrapped in a great fur cloak Orlando would take her in his arms, and know, for the first time, he murmured, the delights of love. [...] And laughing at his vehemence, she would turn once more in his arms and give him for love’s sake, one more embrace. And then they would marvel that the ice did not melt with their heat [...]. And then, wrapped in their sables, they would talk of everything under the sun [...]. Nothing was too small for such converse, nothing was too great.29

28 Il Tolstoismo fu il movimento fondato da Vladimir Čertkov e da Tolstoj stesso, ispirato dalle idee, i principi religiosi e la filosofia di vita del grande autore russo, che quasi senza volerlo divenne un vero e proprio profeta amato e venerato da moltissime persone.

(13)

9

Parte I

VITA

(14)

10 1. Infanzia

[T]he first memory. This was of red and purple flowers on a black ground—my mother’s dress; and she was sitting either in a train or in an omnibus, and I was on her lap. [...] Perhaps we were going to St Ives; more probably [...] we were coming back to London. But it is more convenient artistically to suppose that we were going to St Ives, for that will lead to my other memory, which also seems to be my first memory, and in fact it is the most important of all my memories. If life has a base that it stands upon, if it is a bowl that one fills and fills and fills – then my bowl without a doubt stands upon this memory. It is of lying half asleep, half awake, in bed in the nursery at St Ives. It is of hearing the waves breaking, one, tow, one, two, and sending a splash of water over the beach; and then breaking, one, two, one, two, behind a yellow blind. It is of hearing the blind draw its little acorn across the floor as the wind blew the blind out. It is of lying and hearing this splash and seeing this light, and feeling, it is almost impossible that I should be here; of feeling the purest ecstasy I can conceive. [...]

But to fix my mind upon the nursery – it had a balcony [...]. My mother would come out onto her balcony in a white dressing gown.30

Il libro della vita di Virginia Woolf si apriva coi ricordi dell’infanzia, che ella collegava alla madre Julia e alle estati trascorse a Talland House, a St Ives, in Cornovaglia, dove la numerosa famiglia Stephen era solita andare in villeggiatura, spesso in compagnia di amici, per lo più artisti e intellettuali: questi, sarebbero stati gli anni più felici della sua vita31.

Julia Jackson, dalla bellezza languida e malinconica da Madonna preraffaellita, quale era stata in gioventù (da giovane aveva posato per l’Annunciazione di Edward Burne-Jones), fu una donna, moglie e madre, di grande animo, che sempre visse per gli altri, dedicando la sua vita ai sette figli, alle opere di carità, che tanto le stavano a cuore, ma soprattutto al secondo marito Leslie Stephen. Julia si era sposata anni prima con Herbert Duckworth, che pare fosse stato l’unico vero amore della sua vita, da cui aveva avuto tre figli, George, Stella e Gerald, e, perso il primo marito, si risposò con Leslie Stephen, da cui ebbe altri quattro figli, Vanessa, Thoby, Virginia e Adrian. Ella visse secondo molti di quei valori vittoriani di cui fu, lei stessa, probabilmente vittima (ciò fu ben

30 Woolf, Virginia, Moments of Being, Schulkind, Jeanne (ed.), London, The Hogarth Press, 1978, pp. 64-66.

31 Per le vicende biografiche di Virginia Woolf, presentate in questa prima parte, sono state prese come riferimento le seguenti opere:

Lee, Hermione, Virginia Woolf, London, Vintage, 1997.

Fusini, Nadia, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, Milano, Mondadori, 2006.

Sellers, Susan (ed.), The Cambridge Companion to Virginia Woolf, New York, Cambridge University Press, 20102.

(15)

11

compreso da Virginia Woolf), e perse troppo presto la vita, segnando così la fine dell’infanzia di Virginia e dei suoi anni più felici, e la fine dell’armonia e dell’unità della famiglia Stephen-Duckworth, di cui lei era il collante e il pilastro.

There were no more parties; no more young men and women laughing. No more flashing visions of white summer dresses and hansoms dashing off to private views and dinner parties, none of that natural life and gaiety which my mother had created. The grown-up world into which I would dash for a moment and pick off some joke or little scene and dash back again upstairs to the nursery was ended.32

Leslie Stephen aveva sposato Julia Jackson in seconde nozze, anche lui era rimasto vedovo, dopo la morte della prima moglie, Harriet Marian Thackery, e quando si risposò aveva già un’altra figlia, Laura, afflitta da gravi problemi mentali, la quale, dopo qualche tentativo di inserirla nella famiglia Jackson Stephen, fu allontanata, prima fatta seguire privatamente, poi messa in un istituto. Anche Leslie Stephen, uomo dalla forte personalità, celebre intellettuale, critico e biografo del suo tempo, fu un’altra figura assolutamente centrale nella vita di Virginia Woolf. Se da bambina provava una grandissima ammirazione per il padre, che lui ricambiava decisamente, con la giovinezza si rese conto di quanto dovesse essere stato difficile per la madre vivere con lui, e di quanto egli potesse essere un uomo ingombrante, egocentrico e opprimente. Dopo la morte di Julia, il triste vedovo catturò tutta l’attenzione della famiglia col suo profondo dolore: pareva quasi che tutti fossero più intenti a consolare lui che a fare i conti col proprio dolore, in particolare Stella, che assunse su di sé il peso e tutte le responsabilità che la madre Julia non poteva più assolvere. Benché Virginia gli volesse molte bene, la sua morte fu in realtà quasi una liberazione per lei.

Similmente a Virginia Woolf, per Lev Nikolaevič Tolstoj33 i ricordi dell’infanzia, anche per lui uno dei periodi più felici, erano legati a una casa, a Jasnaja Poljana, la casa di famiglia che prendeva il nome dalla località in cui si trovava, vicino a Tula. A differenza di Virginia, però, Tolstoj perse molto presto la madre, Marija Nikolaevna Volkonskaja, che si spense quando lui aveva soltanto due anni: eppure, Marija Nikolaevna fu comunque una figura importante e sempre presente nella sua vita, una

32 Woolf, Virginia, Moments of Being, op. cit., p. 94.

33 Per le vicende biografiche di Lev Nikolàevič Tolstoj, presentate in questa prima parte, sono state prese come riferimento le seguenti opere:

Šklovskij, Viktor, Tolstoj, trad. it. di Olsúfieva, Maria, Milano, Il Saggiatore, 1978.

Tussing Orwin, Donna (ed.), The Cambridge Companion to Tolstoy, New York, Cambridge University Press, 2002.

(16)

12

figura che lui sempre amò e idealizzò. Quando Marija Nikolaevna, donna molto colta, si sposò con Nikolaj Il’ič Tolstoj offrì in dote quella bellissima grande casa (ancora incompleta allora) che era Jasnaja Poljana, dove Tolstoj nacque (precisamente su un vecchio divano verde) e dove poi visse per gran parte della sua vita. Anche al padre, militare, che rimase spiritualmente sempre vicino ai decabristi e che morì quando Tolstoj aveva nove anni, pensò sempre con grande affetto.

Per entrambi, dunque, l’infanzia fu un capitolo della vita particolarmente allegro e spensierato, e i primi anni di vita furono fatti di divertimenti, di nomignoli (Virginia veniva chiamata Billy goat e Lev Nikolaevič Milaška34) e di giochi: da piccoli, i fratelli Tolstoj avevano creato una leggenda circa un magico bastoncino verde su cui era inciso un segreto che avrebbe permesso all’umanità intera di trovare la felicità. L’infanzia fu anche il periodo durante il quale entrambi cominciarono, seppure in maniera giocosa, la loro attività di scrittura, grazie anche al giornalino di famiglia che entrambi erano soliti compilare insieme ai fratelli e alle sorelle: L’Hyde Park Gate News dei fratelli Stephens (così chiamato in onore della loro residenza londinese e compilato dal 1891 al 1895) era un giornalino, spesso dal tono ironico e scanzonato, che riportava tutti gli avvenimenti principali della famiglia.

A questo periodo idilliaco della loro vita, entrambi dedicarono un’opera. Gli anni spensierati a St Ives furono d’ispirazione per To The Lighthouse (1927), in cui la bella trasognata e malinconicamente affascinante madre Julia divenne la signora Ramsay e il severo, colto e oppressivo padre Leslie fu riflesso nel signor Ramsay. In Infanzia (1852), invece, Tolstoj descrisse, quasi come in una biografia, alcuni degli elementi più significativi della sua infanzia, come i giochi coi fratelli, la morte della madre e l’odioso nuovo precettore tedesco.

34 Šklovskij, Viktor, op. cit. Nell’edizione usata il nomingolo Milaška viene tradotto in italiano con

(17)

13 2. Outsider

I’m fundamentally, I think, an outsider.35

Quando nacque,Virginia Woolf era già predestinata a essere un’outsider, come tutte le donne del suo tempo il suo genere già la rendeva diversa e non pienamente inseribile all’interno della società in cui viveva. Fin da bambina doveva averlo capito, che essere uomo o donna faceva una gran differenza. Essere uomo, come il padre e i suoi fratelli, voleva dire essere liberi; essere donna, come la madre, equivaleva, invece, a vivere come un satellite intorno a una figura maschile ed essere relegata a una vita di doveri e faccende domestiche: per questo, da bambina, aveva detto a Vanessa di preferire il babbo alla mamma. Dei limiti secolari che affliggevano le donne parlò e scrisse per tutta la vita, facendone una delle sue battaglie più importanti. Nel saggio A Room of One’s Own (1929) denunciò la subordinazione culturale forzata a cui la donna doveva

sottostare. Alla donna non veniva concessa la libertà di studio e non le era permesso di prediligere ciò che andasse oltre i suoi doveri di angelo del focolare, come ad esempio la creazione artistica. In A Room of One’s Own, Virginia tracciò l’esempio dell’immaginaria sorella di William Shakespeare, Judith, che, seppure fosse stata altrettanto capace e geniale, non avrebbe mai avuto la possibilità di studiare e farsi una sua cultura e tantomeno di affinare la sua arte di scrittrice, ma per la frustrazione e la disperazione si sarebbe, infine, uccisa. Parlando di Judith, Virginia parlava anche di sé. Anche lei aveva molto sofferto per la mancata possibilità di studiare e, per questo, invidiò i fratelli, che invece avevano potuto frequentare l’università di Cambridge, poiché la famiglia aveva investito sull’educazione dei soli figli maschi. La sua educazione, a cui lei tenne sempre moltissimo, fu perciò non convenzionale e costituita principalmente da lezioni private, studio casalingo e da tantissime letture (leggeva anche quattro libri alla volta). Cresciuta, liberata dall’oppressione paterna (e anche da quella del fratellastro, George Duckworth) Virginia si trasferì con Thoby, Vanessa e Adrian al 46 di Gordon Street, nel quartiere di Bloomsbury, dove cominciò un nuovo, ricco e stimolante capitolo della sua vita: quello del Bloomsbury Group. Le serate culturali del giovedì sera furono una ventata di aria fresca per Virginia, che finalmente poteva confrontarsi e parlare liberamente, di cultura e tanto altro, alla pari (o quasi), con

35 Woolf, Virginia, A Writer’s Diary (1918 - 1941) - Complete Edition, e-artnow ebooks, 2014, Kindle edition.

(18)

14

giovani intellettuali della sua generazione (erano per lo più amici che Thoby aveva conosciuto a Cambridge), senza doversi preoccupare di aspetti superflui come quale vestito indossare, o come atteggiarsi. Il Bloomsbury Group fu però anche una ventata d’aria fresca per la cultura inglese in generale: il gruppo abbatté completamente i vecchi valori morali della cultura vittoriana, e ne diffuse di nuovi, come l’uguaglianza fra tutti gli individui, una vita senza formalità e una vita sessuale e coniugale libera e aperta. Essendo donna, e non avendo studiato presso istituzioni ufficiali, Virginia poteva essere comunque considerata una outsider fra gli outsider, un po’ come un altro membro del gruppo, del resto, che per la sua identità diversa si differenziava, come lei, dagli altri: l’ebreo Leonard Woolf, che sposò e che divenne il compagno della sua vita. Nonostante il matrimonio con Leonard, solo apparentemente convenzionale, per tutta la vita Virginia provò sempre un amore profondo per le donne, che preferiva (in molti sensi) agli uomini. Sin dalla morte della madre aveva sempre ricercato la vicinanza di altre figure femminili, soprattutto se più grandi di lei. Oltre ad aver cercato di colmare questo bisogno con le sorelle maggiori, prima con Stella e poi con Vanessa, Virginia intesse, anche, rapporti molto importanti con altre donne, rapporti di amicizia, fatti anche di flirt e intimità che rientravano, o quasi, nella sfera dell’amore saffico. Janet Case, Violet Dickinson, Emma Vaughn, Madge Vaughn, Vita Sackville-West, ed Ethel Smyth furono alcune delle persone più importanti della sua vita, tutte donne più grandi di lei (a eccezione di Vita, che però la superava per la sua imponente fisicità), che esercitarono, almeno per un periodo, un grande fascino su Virginia, e che la resero ancora maggiormente un’outsider fra gli outsider. Non si riconobbe mai però come sapphist, come seguace di Saffo, per lei l’attrazione verso una persona, che fosse uomo o donna, non era solamente qualcosa di fisico (raramente si era scoperta veramente attratta fisicamente da qualcuno nella sua vita), ma era qualcosa di intellettuale, che andava al di là dell’apparenza, era una “Illusion – to make the world dance”36.

Donna, cultura acquisita in maniera non convenzionale, esponente di una nuova dirompente cultura di frattura, e più attratta verso l’amore saffico, che verso quello eterosessuale, Virginia Woolf fu una vera outsider del suo tempo, che fece dell’esclusione una delle sfaccettature della sua complessa identità, come in Three

Guineas (1938), quando a un ipotetico gentiluomo che le chiede un contributo per

(19)

15

scongiurare le sorti del paese, in guerra, pratica fondamentalmente maschile, lei risponde che in quanto donna non può riconoscere l’Inghilterra come suo paese, e che il contributo lo darà, ma per favorire l’educazione femminile e un avanzamento delle donne all’interno della società, fondando quindi una nuova società di donne (dove anche gli uomini siano rieducati e sensibilizzati), per contribuire, così, alla creazione di un nuovo mondo inclusivo e pacifico.

Let us then draw rapidly in outline the kind of society which the daughters of educated men might found and join outside your society but in cooperation with its ends. In the first place, this new society, you will be relieved to learn, would have no honorary treasurer, for it would need no funds. It would have no office, no committee, no secretary; it would call no meetings; it would hold no conferences. If name it must have, it could be called the Outsiders Society.37

Neppure Lev Nikolaevič Tolstoj, artista dalla personalità altrettanto complessa, fu mai un insider. Sebbene, a differenza di Virginia Woolf, avesse tutte le carte in regola per essere inseririto nel suo tempo, egli si contraddistinse (e si contraddistingue tutt’oggi) dai suoi contemporanei per la sua filosofia di vita non convenzionale, per la sua cultura, decisamente ricca e variegata, per i suoi principi, e per la sua fede. Nonostante fosse estremamente attento e interessato a ciò che accadeva nel suo paese e nel mondo, sia a livello culturale, che politico, Lev Nikolaevič Tolstoj fu e rimase sempre un outsider. Come Virginia Woolf, neanche Tolstoj si laureò mai. Benché, a differenza di Virginia, avesse avuto la possibilità di iscriversi all’università, studiando prima lingue orientali e poi legge, a Kazan, non completò mai gli studi accademici, anche se questo non gli impedì di acquisire comunque una cultura vastissima. Lev Nikolaevič Tolstoj era nato da un’antica famiglia nobiliare ed era cresciuto a Jasnaja Poljana in un tradizionale ambiente patriarcale, che il padre aveva ricreato, secondo quella che era la tipica vita nobiliare di campagna in Russia, a cui Tolstoj rimase sempre legato fortemente. A differenza della maggior parte degli uomini del suo tempo, infatti, egli fu sempre profondamente attaccato al passato e alla tradizione38. Non credeva nel progresso tout court, come non credeva nel progresso tecnologico e nell’ideale positivista di storia: l’unico progresso possibile era quello dell’individuo, che poteva cercare di migliorarsi e purificarsi sempre di più nel corso della propria vita. Tolstoj,

37 Woolf, Virginia, Three Guineas, eBooks@Adelaide, 2015, Kindle Edition.

38 Carpi, Guido, Storia della letteratura russa. Da Pietro il grande alla rivoluzione d’Ottobre, Roma, Carocci, 2010, pp. 495-497.

(20)

16

insomma, guardava al passato, all’antica tradizione patriarcale nobiliare, a un ideale ormai già anacronistico39. Anche culturalmente, Tolstoj fu un outsider, infatti, non solo non aderì mai completamente a nessun tipo di movimento, letterario o politico, ma tale veniva percepito dagli altri intellettuali che frequentava40. Fu anche la sua fede religiosa a renderlo ulteriormente un individuo eccezionale. Dopo una forte crisi spirituale (si tratta del periodo che va dagli ultimi anni ‘70 ai primi anni ‘80 dell’800), Tolstoj voltò definitivamente pagina, cercando sempre più di comprendere quale potesse essere il senso della vita, affidandosi in maniera consistente alla fede cristiana, che, tuttavia, rielaborò (scrisse molto sull’argomento), allontanandosi dai dogmi della Chiesa ortodossa tradizionale e dagli aspetti sovrannaturali che permeavano (e che permeano) i testi sacri cristiani, dandone, invece, una lettura principalmente moralistica: per lui, Cristo non era tanto una figura spirituale e astratta, quanto un modello a cui ispirarsi. Questo suo cristianesimo senza miracoli, rivisitato e reinterpretato, gli costò la scomunica da parte della Chiesa ortodossa nel 1901, ma non gli impedì, comunque, di diventare una sorta di profeta e di ispirare un gran numero di seguaci, i tolstoiani41.

39 Ibid., pp. 499-501.

40 Berlin, Isaiah, Il riccio e la volpe e altri saggi, trad. it. di Forti, Gilberto, a cura di Hardy, Henry, Kelly, Aileen, Milano, Adelphi, 1986, pp. 387-392.

(21)

17 3. Matrimonio

Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.42

Così recita l’incipit di Anna Karenina, che ben si adatta a quelle che furono le famiglie di Virginia Woolf e di Lev Nikolaevič Tolstoj, ma c’è anche un’altra frase (sempre di Tolstoj) che può essere applicabile alle vite coniugali dei due scrittori:“-Così si sposano

tutti, così mi sposai anch’io”43, come dice Vasja Pozdnyšev, il protagonista de La

sonata a Kreutzer (1889).

Virginia e Leonard si erano conosciuti verso i primi del ‘900 grazie al fratello di lei, Adrian, ma fu al ritorno di Leonard da Ceylon che i due cominciarono a frequentarsi più seriamente. Rivedendola, dopo anni, Leonard rimase incantato da lei, e subito risuonò nella sua mente una frase in francese: “l’harmonie la plus douce est le son de la voix de celle que l’on aime”44. Woolf dovette chiedere la mano di Virginia diverse volte, prima

che lei accettasse, e seppure lei avesse ammesso di non sentirsi attratta da lui, si sentiva però molto amata, come se in Leonard ritrovasse, in qualche modo, l’amore paterno; inoltre, Virginia non aveva certamente l’intenzione di rimanere sola. I due si sposarono nel 1912, con un rito civile. Il matrimonio fu segnato molto presto dalla malattia di Virginia e dalla sua difficoltà ad entrare in intimità con Leonard. Virginia soffriva di grandi problemi di salute da anni, e aveva già tentato il suicidio, ma in Leonard aveva trovato un vero e proprio porto sicuro: se dopo la morte della madre si era aggrappata a Vanessa, ora si affidò completamente a Leonard, non solo come compagno di vita e sostegno psicologico, ma anche come medico e infermiere. Leonard fece di Virginia la sua paziente, ne seguì e studiò la malattia e, durante i periodi critici, si fece carico anche di responsabilità e mansioni (come gestire la somministrazione di medicinali, regolare i pasti e le uscite) che sarebbero state di competenza più di un infermiere che di un marito. Leonard fece, insomma, di Virginia la sua missione. Fu, inoltre, sempre per lei che comprò una pressa e, insieme a lei, fondò la Hogarth Press, nel 1917. Virginia riconosceva Leonard come il suo centro e, anche se si sentiva talvolta oppressa dalla sua presenza costante, sapeva che senza di lui sarebbe stata sicuramente persa. Nonostante

42 Tolstoj, Lev N., Anna Karenina, trad. it. di Ginzburg, Leone, Torino, Einaudi, 201110, p. 5. 43 Tolstoj, Lev N., La sonata a Kreutzer, trad. it. di Ginzburg, Leone, Torino, Einaudi, 20145, p. 38. 44 La citazione è del moralista francese Jean de la Bruyère, che visse nel XVII secolo ed è riportata in: Fusini, Nadia, Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf, cit., p. 77.

(22)

18

tutto, però, Virginia trovò sempre molto difficile entrare in intimità con Leonard, e, in generale, con gli uomini; era, infatti, con le donne che si trovava molto più a suo agio e in particolare con una, Vita Sackville-West (1892-1962). Vita, l’aveva conosciuta a una cena, e subito ne era rimasta affascinata: Vita era una donna scandalosamente affascinante, sicura di sé, carismatica e apertamente lesbica, era tutto ciò che Virginia non era mai stata. Con lei, Virginia iniziò una relazione che durò diversi anni, e, con lei, riuscì finalmente a concedersi completamente a un’altra persona.

Lev Nikolaevič Tolstoj era molto innamorato della giovane Sòf’ja Andreevna Bers, figlia di un importante medico, Andrej Evstaf’evič Bers, e, nonostante fosse originariamente promesso alla sorella, Liza, chiese, invece, la mano di Sof’ja Andreevna e, dopo un brevissimo fidanzamento, i due si sposarono, nel 1862. Il matrimonio, inizialmente promettente e pieno di amore reciproco, fu, molto presto, segnato da inquietudini e dall’infelicità. Sof’ja Andreevna si era donata completamente all’uomo che amava, ma se Lev Nikolaevič era tutto il suo mondo, per lui, lei era soltanto una parte del suo. I novelli sposi erano, infatti, molto diversi: Lev Nikolaevič era un idealista, Sof’ja Andreevna, una donna realista e pratica; inoltre, lui ricercava una vita più semplice e isolata, mentre Sof’ja Andreevna, provenendo da una famiglia ricca, avrebbe desiderato una vita più agiata e mondana, e questo creò sempre forti contrasti fra i due. In particolare, Sof’ja Andreevna soffrì sempre molto il fatto che, nonostante l’amore che Lev Nikolaevič provava verso di lei e verso i figli, trascurasse la famiglia, visto che la sua concentrazione e le sue energie erano molto spesso rivolte altrove. La distanza fra i due aumentò molto negli anni. Sof’ja Andreevna, fu a tutti gli effetti il braccio destro di Tolstoj, sia nel lavoro (dedicò la sua vita alla riscrittura e alla copiatura delle carte del marito, aiutandolo a pubblicare i suoi scritti), che nella vita privata, ma, da persona concreta qual era, entrò spesso in forte contrasto con Tolstoj, il quale, soprattutto negli ultimi anni, si sentì oppresso e prigioniero della moglie, come dei figli e degli obblighi ai quali la famiglia lo richiamava.

Quella di Virginia con Leonard Woolf, e quella di Lev Nikolaevič con Sof’ja Andreevna Bers, furono vite coniugali complesse, difficili, eppure anche piene d’affetto reciproco. Sicuramente, né Virginia, né Tolstoj sarebbero stati gli stessi senza i loro partner, e molto probabilmente, non sarebbero state le stesse le loro opere. Entrambi,

(23)

19

Virginia e Tolstoj, richiesero molta dedizione da parte dei loro sposi, che (per carattere o per necessità) furono sempre la loro controparte pragmatica nel mondo reale. Entrambi, inoltre, dettero l’ultimo addio ai loro compagni di vita tramite un biglietto. Tolstoj, a Sof’ja Andreevna, scrisse:

La mia partenza ti farà dispiacere. Me ne rammarico, ma cerca di capire e credimi che non potevo agire diversamente. [...] Ti ringrazio per i quarantott’anni di onesta vita con me e ti prego di perdonarmi tutto ciò in cui mi sono reso colpevole nei tuoi confronti, come io ti perdono di tutto cuore per tutte le colpe che puoi avere nei miei confronti [...].45

Virginia, a Leonard, scrisse:

You have given me the greatest possible happiness. You have been in every way all that anyone could be. [...] I owe all the happiness of my life to you. You have been entirely patient with me and incredibly good. [...] If anybody could have saved me it would have been you. Everything has gone from me but the certainty of your goodness. I can’t go on spoiling your life any longer. I don’t think two people could have been happier than we have been.

V.46

45 Tolstoj, Lev N., cit. in Šklovskij, Viktor, op. cit., pp.598-599. 46 Woolf, Virginia, cit. in Lee, Hermione, op. cit., pp. 756-757.

(24)

20

4. Arte e vita

We are the words; we are the music; we are the thing itself.47

L’arte è una gran cosa. [...] Essa sola può ottenere che i sentimenti di amore e di fraternità, oggi solamente accessibili agli uomini migliori della nostra società, diventino sentimenti costanti, universali, istintivi in tutti gli uomini.48

4.1 Visione artistica

What then has remained interesting? Again those moments of being.49

Virginia Woolf cominciò molto presto a scrivere ed ebbe sempre un rapporto quotidiano e intimo con la scrittura; che scrivesse il suo diario, o un romanzo, voleva scrivere di sé e della sua anima. “The shock receiving capacity is what makes me a writer ”50, scrisse

in A Sketch of the Past (1939): scrivere, fare arte, era una reazione ai turbamenti, che le capitava di provare in certi momenti di fortissima intensità emotiva, quasi fossero sintomo di una malattia mistica. Questi momenti di shock, questi moments of being, come li chiamò Virginia, erano, per lei, vere e proprie rivelazioni, erano attimi di vita piena che risaltavano nella quotidianità, fatta principalmente di momenti di “non-being”51. Essi erano considerati rivelatori perché aprivano degli squarci che le

permettevano di vedere il vero “pattern”52 che si cela dietro il “cotton wool”53

dell’apparenza, e di arrivare alla trama universale, di cui tutti gli esseri umani fanno parte. Scrivere era dunque reagire e poter esercitare un controllo e mettere ordine a questi momenti di shock, esprimendo il tutto con le parole, era per Virginia Woolf uno dei piaceri più grandi.

Per Tolstoj l’arte era parte organica della vita, era espressione umana, ma anche sua ricezione e fruizione. Come scrisse ne La confessione (1882), all’inizio era stata la “vana gloria”54 a guidarlo verso la scrittura, ma sviluppò successivamente una

concezione ben definita dell’arte, e ne comprese e ne sfruttò, poi, al massimo le potenzialità. Per Tolstoj, l’arte poteva essere vera e buona, se influenzava e sortiva

47 Woolf, Virginia, Moments of Being, cit., p. 72.

48 Tolstoj, Lev N., Che cosa è l’arte?, a cura di Panzacchi, Enrico, Milano, Fratelli Treves Editori, 1909, pp. 259-260.

49 Woolf, Virginia, Moments of Being, cit., p. 78. 50 Ibid., p. 72.

51 Ibid., p. 70. 52 Ibid., p. 72. 53 Ivi.

(25)

21

effetti in chi ne fruiva, o poteva essere falsa e cattiva, se era imitativa o se puntava al mero sensazionalismo. L’arte doveva avere, inoltre, uno scopo educativo, per Tolstoj, a differenza di Virginia Woolf, che, invece, temeva e rifuggiva l’elemento didattico. Per Tolstoj, l’arte doveva insegnare, infondere un maggior senso etico e morale e far elevare lo spirito, mostrando esempi, che, in ultima istanza, erano basati sugli insegnamenti di Cristo. Per Tolstoj, l’arte doveva essere, inoltre, accessibile a tutti e non doveva rappresentare un semplice gioco intellettuale, per pochi. Infatti, a quella che veniva considerata arte colta, preferiva di gran lunga l’arte popolare, perché frutto di un mondo più vero55.

Per Virginia Woolf, dunque, scrivere era vivere, ma anche esorcizzare e mettere ordine. Per Tolstoj, invece, scrivere voleva dire confessarsi e cercare di trovare una risposta alle tante, infinite, domande che sempre lo assalirono.

4.2 Elementi biografici

Novels are what we peel off, and come at last to the core, which is you or me [...].56 Per Virginia Woolf, scrivere era anche esorcizzare, sia quegli intensi momenti di illuminazione, i moments of being, sia molti degli aspetti più complessi, difficili e drammatici della sua vita. Le vicende stesse del libro della sua vita permearono spesso parte dei libri che scrisse. Scrivere della propria vita era (anche) trasportare i dolori del passato nel presente, dominare i ricordi e, racchiundendoli all’interno dell’opera artistica, renderli innocui, in maniera tale che non potessero più farle male. Molto della sua vita finì nelle opere: in Mrs Dalloway, per esempio, le allucinazioni di Septimus Warren-Smith sono in parte quelle che Virginia stessa aveva provato anni prima, ma un esempio su tutti è rappresentato da To the Lighthouse. L’elegia scritta al faro fu, fra tutti i suoi romanzi, forse il più autobiografico e quello in cui Virginia cercò di superare alcune delle pagine più dolorose della propria vita: con To the Lighthouse, tentò, infatti, di elaborare il lutto per la perdita della madre, che per molti, molti anni l’aveva ossessionata, e di seppellire definitivamente i fantasmi dei due genitori. Come Lily, col suo dipinto, fermando un attimo d’eternità, si libera del fantasma della signora Ramsay,

55 Carpi, Guido, op. cit., p. 499.

(26)

22

così Virginia, col suo romanzo esorcizzò il fantasma della madre, e poté, finalmente, voltare pagina e chiudere (quasi definitivamente) quel capitolo.

Quickly, [...] she turned to her canvas. There it was — her picture. [...] It was done; it was finished. Yes, she thought, laying down her brush in extreme fatigue, I have had my vision.57

La vita di Tolstoj si riflesse enormemente nelle sue opere, ma non solamente per gli elementi legati alla sua biografia (per esempio la morte del fratello Dmitrij e la morte del fratello di Levin, Nikolaj, in Anna Karenina), ma soprattutto perché con le sue opere Tolstoj cercò spesso di confessarsi e (soprattutto) di trovare risposte ai molti interrogativi della vita.

«[...] Che cosa è male? Che cosa è bene? Che cosa si deve amare, che cosa odiare? Per che cosa vivere? e che cosa sono io? Che cosa è la vita? che cosa è la morte? Quale è la forza che dirige tutto?» domandava a se stesso.58

Le infinite domande del Pierre di Guerra e pace sono quelle dello stesso Tolstoj, come gli infiniti dubbi del Levin di Anna Karenina sono sempre quelli di Tolstoj. Questi due personaggi possono essere, a tratti, letti come la voce dello stesso Tolstoj nei romanzi: entrambi sono, fra l’altro, spesso impacciati in società, dei veri outsider, e sempre alla ricerca della verità e della propria purificazione.

4.3 Proprietà letteraria

Per Virginia Woolf la parola scritta era tutto, e rappresentò molto più che una passione: la scrittura fu ciò con cui si identificò, fu ciò che le permise anche di avere una rivalsa nei confronti della vita e di persone come la sorella Vanessa. Virginia fu sempre legatissima a Vanessa, e specialmente dopo la morte della madre e della sorella Stella, stabilì con lei un legame ancora più profondo. Fosse dipeso da Virginia, forse, le due sorelle avrebbero passato l’intera vita insieme, senza bisogno di uomini o figli; ma Vanessa, invece, si innamorò, si sposò, ebbe figli, e questo creò, almeno per un momento, sconforto e forse gelosia nel cuore di Virginia. Il confronto fra le sorelle si fece sentire soprattutto sul piano della maternità, Vanessa Bell ebbe tre figli, Julian, Quentin e Angelica, mentre per Virginia avere figli era fuori questione. Di questo Virginia incolpava in parte Leonard, che non glielo concedeva, ma colpevolizzava

57 Woolf, Virginia, To the Lighthouse, London, Vintage, 2004, p. 198.

(27)

23

anche se stessa: se fosse riuscita a controllare meglio la propria malattia, forse, sarebbe potuta diventare anche lei madre, come Vanessa. C’era però la scrittura a colmare questo vuoto: se Vanessa era madre, lei era autrice. Virginia Woolf fece, infatti, della scrittura una vera e propria professione, e andava fiera di essere un’autrice a tutti gli effetti, di essere conosciuta, di vendere molte copie e di potersi mantenere con la sua arte.

Pur avendo cominciato a scrivere per la gloria, Tolstoj divenne assolutamente avverso all’idea di fare della scrittura una professione e di arricchirsi con la propria arte. La sua fu, infatti, una battaglia contro il denaro. Purtoppo, però, combattere contro il denaro volle dire combattere anche contro la moglie, Sof’ja Andreevna. Come già accennato, Sof’ja Andreevna non era semplicemente la moglie di Tolstoj, ma era l’imprenditrice della famiglia, e collaborava consistentemente alla creazione e alla pubblicazione delle opere del marito: ricopiò sette volte il manoscritto di Guerra e pace e andò lei stessa dallo zar, nel 1891, per sostenere la pubblicazione completa degli scritti del marito, dopo che alcuni di essi erano stati bloccati e censurati. La situazione familiare dei Tolstoj si fece drammatica quando, sempre nel 1891, Lev Nikolaevič scrisse ai giornali della sua volontà di rinunciare ai diritti d’autore sulle sue opere, e quando fu ufficiale che egli non avrebbe più avuto alcun diritto su nessuna delle sue opere precedenti all’anno 1881, Sof’ja Andreevna tentò quasi il suicidio. A esasperare il contrasto fra i due contribuì anche la presenza di Vladimir Grigor’evič Čertkov, discepolo di Tolstoj e cofondatore del movimento del tolstoianesimo. Čertkov, che (per interesse personale o per interesse del movimento) remava contro Sof’ja Andreevna, voleva esautorarla dal controllo sugli scritti di Tolstoj, e si fece, inoltre, carico della redazione ufficiale dell’ultimo testamento del venerabile maestro, che voleva ora lasciare i diritti di tutta la sua opera al popolo russo.

(28)

24

5. La guerra e la pace

– Se tutti facessero la guerra per convinzione, non ci sarebbero guerre, – diss’egli. – E sarebbe una bellissima cosa, – disse Pierre.

Il principe Andréj sorrise.59

Negli anni ‘30 si aprì un nuovo capitolo per Virginia Woolf. Si trovava, ora, a un bivio: poteva continuare ad affinare il suo stile sperimentale, oppure poteva scegliere di intensificare la scrittura engagé e dirigere l’attenzione delle sue opere sull’aspetto impegnato e politico, come già aveva fatto in A Room of One’s Own. Seppure finora fosse sempre riuscita a esprimere il suo punto di vista, senza fare mai proseliti, la politica continuava a frapporsi fra lei e la narrativa, e poi, pensò Virginia, che fosse un dovere dell’artista, quello di prendere una posizione e di non rimanere nella passività: prese, dunque, la seconda via e scelse di continuare sempre di più a scrivere letteratura impegnata. All’inizio degli anni ‘30 decise di iniziare a scrivere un romanzo che avesse anche le caratteristiche del saggio, e fu così che nacque The Pargiters, una saga di tipo familiare che avrebbe coperto gli anni della fine dell’800, fino ai primi del ‘900. Essa doveva descrivere gli ultimi sprazzi della cultura vittoriana e gli anni della prima guerra mondiale, avendo anche la prerogativa di esprimere una critica sociale verso la condizione della donna e del suo ruolo in tempo di guerra, ma il romanzo non fu mai pubblicato. Da una parte l’aspetto narrativo prendeva sempre più spazio, dall’altra c’era la volontà di non scrivere un’opera letteraria troppo didattica: il risultato della lunga gestazione furono, il romanzo The Years, pubblicato nel 1937, che conservava quasi fedelmente l’intreccio di The Pargiters, e il saggio Three Guineas, uscito l’anno seguente, che racchiudeva ed esprimeva tutto ciò che dell’opera originale era esplicitamente critica sociale. Ma accanto alla letteratura impegnata, l’elemento della guerra, in particolare, è altrettanto rilevante e significativo per la letteratura di Virginia Woolf. Nella sua vita aveva visto il mondo già disfarsi una volta, durante la Grande Guerra, e la situazione storica e politica della fine degli anni ‘30 (che avrebbe portato alla Seconda guerra mondiale) non prometteva assolutamente niente di buono. La guerra finì per diventare, dunque, un fil rouge della sua vita e di molte delle sue opere: Jacob’s Room, Mrs Dalloway, To the Lighthouse, The Years furono alcune di queste. Fu

59 Tolstoj, Lev N., Guerra e pace, cit., p. 29.

(29)

25

specialmente lo scoppio del secondo conflitto mondiale a gettare Virginia nella più grande disperazione. L’estate del 1941 fu la peggiore, Virginia la passò in una profonda depressione e con un grandissimo senso di malinconia, in cui, pare, potesse persino sentire il suono delle lacrime di tutta l’umanità. Negli anni in cui Virginia maturò la sua vena polemica, ebbe anche modo di maturare la sua vena pacifica. Virginia era una pacifista. Per esempio, furono molte le accese discussioni col nipote, Julian Bell, il primogenito di Vanessa, che aveva deciso di arruolarsi e partire per la Spagna. Nonostante l’ambiente di pacifisti in cui era cresciuto, Julian voleva agire, prendendo parte alla guerra, e a niente servirono le preghiere della madre e del padre e le discussioni con la zia: nonostante il compromesso di arruolarsi come autista di ambulanze, morì, comunque, poco più di un mese dopo, nel 1937, a 29 anni, in seguito all’esplosione di una bomba, mentre guidava un’ambulanza. Virginia non riuscì (forse) a far comprendere al nipote che si poteva comunque lottare e agire, ma con la parola, come fece lei, da intellettuale pacifista qual era.

Tolstoj cominciò molto presto a concepire opere d’arte impegnate, che esprimessero una critica verso quella società, in cui lui non si riconosceva. Già con Infanzia aveva voluto denunciare ciò che non andava del governo russo, e prevedeva di continuare con lo stesso atteggiamento engagé anche nelle opere successive. Scrisse molta letteratura impegnata, denunciando le drammatiche condizioni di vita dei contadini e le diseguaglianze sociali. Tolstoj, inoltre, fu sempre molto attento a ciò che accadeva nel suo paese e attivo da questo punto di vista. Aveva, per esempio, idee molto chiare sull’istituzione del servaggio e non solo era a favore della liberazione dei contadini, ma liberò i suoi, prima ancora della pubblicazione del manifesto di liberazione del 186160. Inoltre, conobbe ed entrò in amicizia col connazionale Aleksandr Ivanovič Herzen, famoso filosofo e uomo politico, i cui scritti ispirarono, in parte, Guerra e pace. Come per Virginia Woolf, anche per Tolstoj letteratura impegnata e letteratura di guerra vanno quasi di pari passo. Forse spinto da un patriottismo genuino e puro, il giovane Tolstoj aveva deciso di prendere parte alla guerra di Crimea, ma si rese presto conto che la guerra non faceva per lui, e tale esperienza (e conseguente rivelazione) servì da ispirazione per i Racconti di Sebastopoli (1855). Nei Racconti descrisse, infatti, l’atroce realtà della guerra e di come questa si possa mescolare alla vita quotidiana dei militari e

60 Carpi, Guido, op. cit., pp. 499-501.

(30)

26

dei civili. Nell’opera scrisse, per esempio, di soldati che scambiano le bombe per delle stelle e che non distinguono le loro dalle bombe nemiche, ma anche di un bambino che camminando fra i corpi putrescenti dei morti, cerca di coprirne l’odore avvicinando al naso un mazzolino di fiori raccolti, per poi mettersi a urlare e a scappare via quando si accorge che l’uomo di cui ha appena toccato il corpo è morto.

In Guerra e pace, invece, Tolstoj espresse, fra le molte altre cose, anche la futilità della guerra e la disillusione di quei protagonisti che per un momento nella guerra ci avevano creduto. Non sono la nobiltà e la saggezza del principe Andrej, o l’eroismo patriottico del giovane impetuoso Nikolaj Rostov a dettare, infatti, le sorti della guerra, ma l’azione di uomini insignificanti, che rappresentano in realtà la vera anima del corpo militare. “Lo scopo della guerra è la strage. [...] [I] costumi della classe militare sono l’assenza di libertà, cioè la disciplina, l’ozio, l’ignoranza, la crudeltà, la depravazione, l’ubriachezza. E malgrado ciò, è la classe piú elevata, e rispettata di tutti.”61, concluderà

il principe Andrej. Dunque, sono inutili gli sforzi di Andrej, il coraggio sfoggiato da Nikolaj, come anche le parole di Napoleone stesso, che si illude di essere colui che ha messo in moto tutto questo enorme ingranaggio: sono altri ed altro a fare la guerra, e al di là delle motivazioni che gli storici possono addurre, la guerra non è altro che un atto disumano, un atto contro l’uomo stesso62. Tolstoj non riuscì mai a capire perché gli

uomini si uccidessero fra loro. Fu, infatti, per la non violenza, e questo suo credo fu d’ispirazione per molte persone, fra cui anche il Mahatma Gandhi.

61 Tolstoj, Lev N., Guerra e pace, cit., p. 911-912.

62 Bencivenga, Ermanno, “The Causes of War and Peace”, Philosophy and Literature, XXX, 2, 2006, pp. 484-495.

(31)

27 6. Fede

Qualsiasi risposta essa fornisca [...] la fede attribuisce all’esistenza finita dell’uomo il senso dell’infinito, un senso che non viene annullato dalle sofferenze, né dalle privazioni, né dalla morte.63

Virginia Woolf era atea, eppure credette ed ebbe fede, non in qualcosa di metafisico, ma in qualcosa di ugualmente alto e importante. In A Sketch of the Past vergò quello che fu il suo credo:

Hamlet or a Beethoven quartet is the truth about this vast mass that we call the world. But there is no Shakespeare, there is no Beethoven; certainly and emphatically there is no God; we are the words; we are the music; we are the thing itself.64

Non c’è un Dio, ma ci siamo noi, che siamo le parole, la musica, perché noi siamo l’arte stessa, in quanto parte di quella trama invisibile che tutti ci unisce e ci lega: in questo credeva Virginia, nel pattern che ci unisce tutti, nell’arte, nella parola.

L’importanza e la fama di Tolstoj andarono (e vanno) al di là delle sue opere letterarie, perché egli fu considerato un profeta, e con la sua filosofia di vita, col suo pacifismo e il suo cristianesimo etico e morale non soltanto ispirò un grandissimo numero di persone, ma creò un vero e proprio movimento, quello dei tolstoiani. Nonostante il percorso religioso tumultuoso, trovò nella sua fede cristiana personale un’importante sostegno: proprio come per il Levin di Anna Karenina, per Tolstoj la religione fu, dopo il 1881, considerato l’anno della sua conversione, una via per comprendere il senso della vita e dare risposte alle infinite domande che egli sempre poneva a se stesso. La fede, dunque, fu molto importante, per lui, ma non si trattò, appunto, di un cristianesimo di tipo ortodosso tradizionale, bensì di un credo personale, senza miracoli, che poté esprimere nella sua rilettura del Vangelo, in cui Cristo non era più una figura astratta e metafisica, ma un uomo che offriva l’esempio più alto di etica e di moralità.

63 Tolstoj, Lev N., La confessione, cit., p.66. 64 Woolf, Virginia, Moments of Being, cit., p. 72.

Riferimenti

Documenti correlati

La parte applicativa della revisione della letteratura si concluderà con una presentazio- ne dei risultati raccolti e in seguito con una discussione degli stessi e la presentazione

Nella sterminata massa di riferimenti documentari, storici e storico-letterari genero- samente dispiegati da Boris Michajlovič nella sua narrazione del mondo tolstojano,

CRESCITA E CARATTERIZZAZIONE Un’analisi TEM della reticella holey carbon ha mostrato, come si pu` o vedere in figura 4.8, un profilo di diffrazione tipicamente policristallino,

D è il diametro medio del campione di prova, in mm. In accordo alle DT 200/2004, l’applicazione può ritenersi soddisfacente se almeno l’80% delle prove fornisce una

Questo campione serve per poter valutare la differenza nel caso si accoppiamento tradizionale ad interferenza e accoppiamento ibrido interferenza più adesivo, di

Per quanto riguarda l’ analisi della palificata sottoposta all’ azione sismica, verrà eseguita un’ analisi pushover prima sulla singola coppia di pali, poi sull’ intero

Politecnico di Milano | Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni, Corso di Laurea Magistrale in Architettura Ambiente costruito - Interni | Anno

10 Particolare delle decorazioni del Sodoma in un pilastro del chiostro del Convento di Monte Maggiore,