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Politica, elezioni e territorio nel primo e nel secondo dopoguerra tra continuità e fratture: il caso di Napoli

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ARCHIVIO STORICO

DEL SANNIO

ANNO XXIV NUMERO 1-2/2019

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Con il patrocinio del Centro Studi «Gaetano Salvemini»

Direttore Responsabile

Gaetano Pecora

Coordinatore di redazione

Gianmarco Pondrano Altavilla

Comitato di redazione

Cristina Ciancio, Ludovico Martello, Gustavo Adolfo Nobile Mattei, Giovanna Paradiso, Alessandra Petrone, Giovanni Scarpato, Vito Varricchio

Comitato esterno di valutazione

Nicola Antonetti (Università di Parma), Paolo Bagnoli (Università di Siena), Marco Cavina (Università di Bologna)

Comitato scientifico nazionale

Dario Antiseri (Fondazione Collegio San Carlo), Artemio Enzo Baldini (Università degli Studi di Torino), Gennaro Maria Barbuto (Università degli Studi di Napoli «Federico II»), Giuseppe Bedeschi (Università di Roma «Sapienza»), Silvio Berardi (Università degli Studi «Niccolò Cusano»), Giampietro Berti (Università degli Studi di Padova), Gianfranco Borrelli (Università degli Studi di Napoli «Federico II»), Girolamo Cotroneo (Università degli Studi di Messina), Stefano De Luca (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa), Maurizio Griffo (Università degli Studi di Napoli «Federico II»), Luciano Pellicani (LUISS Guido Carli), Rocco Pezzimenti (Università di Roma LUMSA), Fulvio Tessitore (Università degli Studi di Napoli «Federico II» – Accademia dei Lincei)

Comitato scientifico internazionale

Roberto Maria Dainotto (Duke University, Durham), Rogerio Dultra dos Santos (Universidade Federal Fluminense, Niterói Rio de Janeiro), Stanislao Pugliese (Hofstra University, New York), José Enrique Rodríguez Ibáñez (Universidad Complutense, Madrid), Joanna Sondel-Cedarmas (Jagiellonian University, Kraków), Carlos Magno Spricigo Venerio (Universidade Federal Fluminense, Niterói Rio de Janeiro)

Amministrazione: Edizioni Scientiche Italiane S.p.A. – 80121 Napoli, Via Chiatamone, 7

Tel. 081/7645443 pbx – Fax 081/7646477

Redazione: Via Chiatamone, 7 – 80121 Napoli

Registrato presso il Tribunale di Benevento al n. 168/91 del 29/04/1991 Copyright by Edizioni Scientiche Italiane – Napoli

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INDICE

Editoriale 5

STORIA E POLITICA

Costanza Ciscato, Individuo, potere e obbligo di obbedienza alla

legge. La critica di Herbert Spencer alla «grande superstizione politica» 7 Annamaria Amato, Politica, elezioni e territorio nel primo e nel

secondo dopoguerra tra continuità e fratture: il caso di Napoli 21 Luca Tedesco, «I più entusiasti tra i fautori della teoria della

Regione sono andati troppo oltre». Luigi Einaudi e il risparmio dalla

fine dell’Ottocento ai lavori della Costituente 37

Alessandro Morselli, La scienza della legislazione di Gaetano

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Annamaria Amato*

POLITICA, ELEZIONI E TERRITORIO NEL PRIMO E NEL SECONDO DOPOGUERRA TRA CONTINUITÀ E FRATTURE: IL CASO DI NAPOLI Se pensiamo a tutte le rappresentazioni grafiche del voto del 2 giugno 1946 per il referendum istituzionale e per l’elezione dei deputati all’As-semblea Costituente, siamo portati immediatamente a immaginare una cartina dell’Italia caratterizzata da due colori dominanti e distribuiti in maniera più o meno omogenea tra il Nord ed il Sud della penisola. Un Nord cioè sostanzialmente repubblicano e progressista ed un sud monar-chico e conservatore di cui Napoli è senza ombra di dubbio la capitale1.

Napoli, infatti, tra le principali città italiane, si candida a ricoprire questo ruolo simbolico, facendo registrare il 79,9% dei voti favorevo-li alla monarchia contro il 45,73% del dato nazionale; al di sopra del dato regionale che vedeva la Campania favorevole alla Monarchia con il 76,5%, e ben più accentuatamente monarchica rispetto al dato aggregato dell’intero Mezzogiorno, che aveva scelto la monarchia con il 69,4% dei suffragi2.

Napoli, insomma, ex capitale di un Regno profondamente radicato nel Mezzogiorno d’Italia, aveva, evidentemente, conservato la sua iden-tità istituzionale plurisecolare3. E questo fermo rimanendo un acquisito

*Ricercatore confermato nell’Università di Napoli «Federico II», Dipartimento di Ar-chitettura.

1 Cfr., Atlante storico-elettorale d’Italia di P. Corbetta e M.S. Piretti, Zanichelli,

Bolo-gna 2009, pp. 102-103 e L. Tentoni, Capitali regionali. Le elezioni politiche nei capoluoghi di

regione. 1946-2018, Il Mulino, Bologna 2019.

2 Tutti i dati presenti, sono rielaborazioni dei dati riportati in ISTAT – Ministero per la

Costituente, Compendio delle statistiche elettorali italiane dal 1848 al 1934, Roma, 1946-1947, Voll. I e II e ISTAT, Quarantacinque anni di elezioni in Italia. 1946-1990, Roma, ISTAT, 1990.

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processo di italianizzazione che aveva spostato il lealismo monarchico del popolo napoletano dalla dinastia borbonica a quella dei Savoia, senza lasciarsi penetrare dalla cultura laica e repubblicana che aveva lambito, in modo piuttosto superficiale in verità, la città partenopea tra la fine dell’età giolittiana e il primo dopoguerra, quando cioè, malgrado la difficoltà di darsi una rinnovata identità, Napoli si presentava come una città enor-memente progredita sia da un punto di vista urbanistico che industriale e aveva scelto una rappresentanza politica di stampo progressista.

Trasformazioni socio-economiche e comportamenti elettorali. L’età gio-littiana a Napoli

L’importante sviluppo che Napoli aveva vissuto a cavallo tra i due secoli era stato dovuto soprattutto all’interventismo statale prodottosi in primo luogo nel 1884 con la legge per il «risanamento», fortemente voluta dal ministro napoletano P.S. Mancini a seguito dei catastrofici effetti di una epidemia di colera che aveva flagellato la città nel 1884. Grazie agli ingenti finanziamenti pubblici e all’ampio progetto di risanamento di alcune zone particolarmente degradate infatti, Napoli assunse il volto di un centro urbano di nuova concezione e qualità4. Seguì poi nel 1904 la

«legge speciale» per l’industrializzazione, che proiettò la città parteno-pea in una dimensione tale da poter essere classificata come quarta città industriale nella compagine nazionale5.

Anche se, va aggiunto sia pure per accenno, che né la legge del 1904, né, di lì a poco, le opportunità offerte dalla guerra resero possibile la nascita di un capitalismo autonomo e soprattutto autoctono. Infatti, ri-manevano dominanti la finanza e l’imprenditoria esterna (nazionale o straniera), che avevano iniziato ad operare soprattutto nel settore edilizio, nei trasporti, nella produzione e distribuzione dell’energia elettrica e del gas ed in quello tessile6.

a cura di P. Allum, Laterza, Roma 2018, tuttavia le citazioni presenti nel testo che qui propo-niamo sono tratte dalla prima edizione del 1978; pertanto dall’edizione del 1978, pp. 206-208.

4 A. Gambardella, Il disegno della città, in Napoli, a cura di G. Galasso, Laterza,

Ro-ma-Bari 1987, pp. 17-22.

5 M. Marmo, L’economia napoletana alla svolta dell’Inchiesta Saredo e la legge 8 luglio1904 per l’incremento industriale di Napoli, in «Rivista storica italiana», n. 4, 1969 pp. 954-1023.

6 G. Brancaccio, Una economia, una società, in Napoli, a cura di G. Galasso, cit., in

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Dal canto suo, il contesto politico amministrativo locale, sin dall’unità non aveva brillato per dinamismo ed era stato caratterizzato da una co-stante maggioranza clerico-moderata non esente da coinvolgimenti con il mondo del malaffare7, come emerse con ogni evidenza dalla cosiddetta

Inchiesta Saredo, pubblicata agli inizi del novecento, all’indomani

dell’i-stituzione di una Commissione parlamentare ad hoc8. I risultati

dell’anali-si condotta dalla Commisdell’anali-sione d’Inchiesta, com’è noto, rappresentarono un successo del socialismo napoletano che grazie a personalità diversissi-me, ma pur ascrivibili per motivi diversi a quell’area (si pensi ad Arturo Labriola, Ciccotti, Lucci…), aveva attirato l’attenzione nazionale sulla

cosiddetta «camorra amministrativa», attraverso una durissima campa-gna a mezzo stampa condotta dal giornale socialista «La Propaganda».

L’effetto denuncia e la nascita di una vera e propria «questione morale» sortirono sicuramente un esito assai positivo nel rilanciare la necessità di aprire la città ad una classe dirigente più dinamica ed estranea alle logiche clientelari sino ad allora dominanti e dove, proprio il gruppo socialista, pur profondamente diviso a Napoli come a livello nazionale, iniziò la sua penetrazione culturale e politica del territorio partenopeo9.

Fu infatti durante l’ultima fase dell’età giolittiana – complice lo stes-so Giolitti, interessato a liquidare gli orientamenti clerico-stes-sonniniani del liberalismo napoletano – e sino al primo dopoguerra che è possibile ri-scontrare un profondo rinnovamento nella cultura politica dominante e nella rappresentanza politica locale10. Tale rinnovamento rese Napoli

una realtà in sostanziale controtendenza rispetto al resto del Mezzogior-no e, per certi aspetti, anche rispetto al complessivo contesto politico del paese. A Napoli, infatti nelle elezioni politiche del 1913 e in quelle amministrative del 1914 si affermò la massiccia presenza di forze politi-che appartenenti alla sinistra «bloccarda» politi-che nel resto del paese vedeva sempre più ridotta la propria capacità di aggregazione e che, soprattutto a livello amministrativo, spezzò la continuità clerico-moderata che era stata

7 A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria, Edizioni

Scienti-fiche Italiane, Napoli 1972 e L. Mascilli Migliorini, La vita amministrativa e politica, in

Napoli, a cura di G. Galasso, cit., in particolare pp. 143-194.

8 Regia Commissione d’Inchiesta per Napoli, Relazione sull’amministrazione Comunale,

Roma, 1901, Voll. I-II.

9 A. Alosco, Radicali, repubblicani e socialisti a Napoli tra otto e novecento. 1890-1902,

Lacaita, Manduria 1996

10 Sulle vicende politico-elettorali dell’età giolittiana a Napoli, cfr., A. Amato, La classe politica napoletana e le elezioni del 1913, La Città del Sole, Napoli 2001.

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una costante dall’Unità in poi, dimostrando, peraltro che la «iniezione industralista» voluta da Nitti con la legge del 1904, aveva contribuito a trasformare il volto della società napoletana, creando nuove aspettative politiche e nuovi sbocchi elettorali. Quella svolta elettorale, d’altra parte, come ha osservato Galasso, con un giudizio forse un po’ troppo positivo ed ottimistico, «rivelava la maturazione politica e sociale della città e la allineava anche formalmente, per quanto limitatamente, alle maggiori cit-tà dell’Italia industriale, formando, per questo aspetto, la prova migliore che il primo cinquantennio unitario faceva registrare, nonostante tutto, una crescita napoletana effettiva e cospicua, e dimostrando la base reale a cui si legava l’affermazione di forze politiche nuove»11.

I risultati delle elezioni amministrative del 1914, sia comunali che pro-vinciali, quindi confermarono un trend di ricambio della classe politica, specchio di una società che sembrava avere nuove esigenze12. Il

program-ma del Blocco popolare era genericamente progressista, program-ma rispondeva ad una nuova base sociale che comprendeva nuclei operai, ceti piccolo-bor-ghesi e gruppi della borpiccolo-bor-ghesia medio alta: strati sociali sia tradizionali che recenti, quindi, ma sottoposti complessivamente a nuove forme di politicizzazione13.

Le aspettative di modernizzazione legate alla giunta bloccarda, pro-dussero alcuni risultati positivi, soprattutto nel settore delle municipa-lizzazioni, che tuttavia si interruppero con l’entrata in guerra e con la situazione di crisi che la città visse durante la difficile fase della riconver-sione industriale del primo dopoguerra, quando le nuove consultazioni elettorali fecero registrare una situazione politico-sociale più conflittuale ed una contrapposizione ideologica più polarizzata tra la cultura poli-tica liberale più o meno democrapoli-tica e quella variamente socialista. In tale contesto, le forze politiche locali si lasciavano alle spalle l’esperienza bloccarda che aveva visti uniti socialisti riformisti, sindacalisti, gruppi radicali e repubblicani ed esponenti della sinistra liberale formata dai filogiolittiani di orientamento più avanzato. La collaborazione program-matica e strutturale con la sinistra rimase insomma un fenomeno isolato nella storia della città partenopea in età liberale, e si concluse di fatto con

11 G. Galasso, Un’antica capitale, in Napoli a cura di G. Galasso, cit. p. XXX.

12 M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli (1911-1915), Firenze, La

Nuova Italia, 1971.

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la giunta guidata da Arturo Labriola14 che cadde nell’ottobre del 1919.

Ad essa seguirono due diversi commissariamenti fino alle nuove elezioni amministrative del 1920 che riportarono la vita amministrativa napoleta-na ad unapoleta-na situazione di sostanziale moderatismo politico.

Il primo dopoguerra: riflusso e scollamento tra la città e la sua classe politica

Le quattro tornate elettorali che si svolsero tra il 1919 e il 1924 (tre politiche ed una amministrativa) fanno emergere un voto urbano com-plessivamente atipico e diversificato, sia rispetto al dato nazionale che a quello regionale e dell’intero Mezzogiorno15.

Il primo elemento atipico, su cui si è soffermato anche diffusamente Guido D’Agostino nei suoi studi di storia elettorale, è quello relativo alla partecipazione al voto che, rispetto al passato, nella Napoli del primo dopoguerra, risulta tra le più scarse d’Italia, sia nelle tre elezioni politiche (27,2% nel ’19, 32,8% nel ’21 e 35,2% nel 24), che in quella amministra-tiva del 1920 (33,5% dei votanti) e questo soprattutto comparando que-sti dati con quelli delle elezioni amministrative del 1914, quando aveva votato il 50% degli aventi diritto16.

Relativamente all’altissimo astensionismo elettorale possiamo dire che non poco deve avere influito il dato tecnico-organizzativo della manca-ta consegna dei certificati elettorali, attesmanca-tamanca-ta dall’unico dato disponibile relativo al 1921, quando risultano non consegnati il 36,5% dei certificati sul totale degli elettori, dato peraltro largamente superiore a quello delle principali città italiane. Così come, la ridefinizione dei collegi in seguito alla riforma della legge elettorale del 1919 e del conseguente passaggio dal sistema uninominale maggioritario al sistema proporzionale, aveva stravolto completamente quel rapporto diretto e spesso clientelare tra eletto ed elettore che in alcuni collegi napoletani, aveva dato vita (fino alla riforma elettorale del 1919 che, introducendo la proporzionale ridefinì i collegi elettorali) a strategiche operazioni di gerrymandering, favorito

14 Su A. Labriola sindaco, cfr., F. D’Ascoli e M. D’Avino, I sindaci di Napoli, Mida,

Napoli 1974, pp. 187-216, vol. II.

15 Sul contesto politico napoletano nel primo dopoguerra cfr. R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Feltrinelli, Milano 1962.

16 G. D’Agostino e M. Mandolini, Note sull’astensionismo elettorale a Napoli, in «Italia

Contemporanea», 154, 1984, pp. 95-104; G. D’Agostino e R. Vigilante, Il voto a Napoli

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dagli anomali confini dei 12 collegi napoletani. I collegi elettorali, infatti coincidevano con i quartieri storici della città, ma erano stati accorpati ad alcuni comuni ad essi non contigui territorialmente, favorendo le clientele di alcuni notabili17.

Con la riforma elettorale del ’19, insomma, vi era stata una profon-da erosione della capacità di controllo e mobilitazione su cui avevano fondato le proprie fortune elettorali i rappresentanti della classe politica tradizionale e non è da escludersi che molti elettori provarono un senso di spaesamento rispetto ad una scelta politica che a seguito della riforma si basava adesso su tutt’altri presupposti.

Va aggiunto che il dato di un’astensione così elevata, concentrata esclusivamente nel quinquennio 1919/24, è sicuramente anche un segna-le politico del corpo esegna-lettorasegna-le che manifesta la propria indifferenza e la scarsa integrazione con «il paese legale», con una rappresentanza politica, cioè dove, all’indomani della guerra mancava al suo interno una egemonia definita.

Infatti, i risultati elettorali del 1919 a Napoli, offrono un quadro poli-tico composito, di riflusso che si gioca su quattro poli: un centro-destra che vede sostanzialmente ricompattata l’intera classe politica liberale che ottiene il 41,4% dei consensi; un blocco di sinistra che include i sociali-sti riformisociali-sti e quelli indipendenti, i repubblicani e i radicali (insomma l’ala sinistra della coalizione bloccarda del 1914), che rappresenta, con il

17 Per meglio comprendere questa anomalia, vale la pena citare quanto rilevato dalla

Com-missione d’Inchiesta, nella quale leggiamo: «Il Collegio di Napoli I assieme col mandamento di S. Ferdinando comprende quattro Comuni: due a levante (San Giorgio a Cremano e San Giovanni a Teduccio) e due a ponente della città (Pianura e Soccavo). Mentre il mandamen-to di Chiaia, unimandamen-to al Comune di Sorrenmandamen-to, costituisce il collegio di Napoli II, altri comuni della penisola, contigui a Sorrento, quali Meta, Piano di Sorrento e Sant’Agnello entrano con Capri ed Anacapri e col mandamento di Porto nel collegio di Napoli XII. Un altro comune della stessa Penisola sorrentina, Vico Equense, staccato dai suoi finitimi, è messo assieme con Resina, comune che è alle falde del Vesuvio, e con una porzione di Napoli città, mandamen-to di Pendino, per costituire l’undecimo collegio. Al mandamenmandamen-to di Mercamandamen-to si aggregò il Comune di Massalubrense, parimenti della penisola sorrentina, posto all’estremo limite della Provincia, e così si ebbe il decimo collegio. Due degli altri comuni posti alle falde del Vesuvio (Somma e Sant’Anastasia) si trovano col discosto comune di Secondigliano, del circondario di Casoria, aggregati al mandamento di San Carlo all’Arena, per costituire il settimo collegio. Il mandamento di San Lorenzo con Torre del Greco e Cercola, forma il nono collegio, che viene così ad essere composto di parti inframmezzate dal territorio di altri collegi», Regia Commissione d’Inchiesta, Relazione sull’amministrazione comunale, cit., p. 366-367, Vol. I. Sui collegi elettorali napoletani corredati di cartine geografiche, cfr. A. Amato, La classe politica

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17,8%, la componente più volatile dello schieramento politico napole-tano in quel momento, tanto che progressivamente essa verrà assorbita in buona parte dal centro-destra egemonizzato solo dai liberali. Vi erano poi i popolari, con il loro 20,9%, che avevano inglobato nella sezione na-poletana del partito la componente clerico-moderata – maggioritaria nel cattolicesimo politico napoletano – nonché alcuni personaggi piuttosto discutibili della classe politica più tradizionalmente clientelare e perso-nalistica; ed infine vi erano i socialisti ufficiali, i quali, con il 15,7%, ben al di sotto della media nazionale, raccoglievano i frutti delle loro fratture e delle polemiche interne18.

All’indomani delle elezioni, come nel resto del paese, anche a Napoli si iniziava a registrare tra il ’19 ed il ’20 una polarizzazione del conflit-to di classe che vedrà una durissima contrapposizione tra ceti padrona-li imprenditoriapadrona-li e proletariato. Ai processi di crescente antagonismo sociale fa riscontro quindi, una ridefinizione degli schieramenti politici che porta, come poco prima si diceva, ad una ricomposizione del fronte liberale, espressione della borghesia sia progressista che conservatrice, la quale politicamente ed elettoralmente riuscì ad attirare nelle proprie file buona parte del blocco di sinistra del 1919.

Fu poi con le elezioni amministrative del 1920 che gli equilibri poli-tico-sociali napoletani si ridefinirono in maniera più chiara e il comune, dopo due commissariamenti che si erano succeduti a seguito della disso-luzione del Blocco Popolare nel novembre del 1919, fu conquistato dalla composita lista «Federazione-alleanza» che ottenne la maggioranza con il 57% dei voti. Tale lista si presentava come versione più moderata ed edulcorata dell’alleanza «bloccarda» dell’anteguerra, depotenziata della sua ala estrema, ma fermamente chiusa all’alleanza con i popolari che ottennero un notevole incremento con il 31,3% dei voti, mentre i socia-listi erano in netta contrazione con l’11% e prossimi ad una scissione, effetto di quella di Livorno, capeggiata a Napoli da Bordiga e Misiano19.

È interessante sottolineare che, in vista delle elezioni del 1921, mentre l’effetto della polarizzazione a livello nazionale diventava sempre più divisiva e spingeva i liberali ad accogliere i fascisti nelle liste unitarie dei Blocchi Nazionali, a Napoli i liberali si presentarono autonomamente,

18 R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit. pp. 50-146; Per la rielaborazione

dei risultati, G. D’Agostino e R. Vigilante, Il voto a Napoli prima e dopo il fascismo, cit., pp. 32-34.

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divisi in due liste: con una tendenza più conservatrice quella dei Demo-cratici costituzionali che ottenne il 33% dei voti ed una più progressista quella della Democrazia Sociale (lista della fiaccola) che ottenne il 15%. I fascisti, invece, così come fecero anche a Verona, presentarono a Napoli una lista autonoma che ottenne l’8,5%, mostrando in questo modo che nella città partenopea avevano una presenza piuttosto marginale, arrocca-ta sulle posizioni intransigenti di Padovani, il quale, di lì a breve diventò, proprio per il suo intransigentismo, un personaggio scomodo per il re-gime fascista. I socialisti ottennero un notevole incremento rispetto alla precedente tornata elettorale, conquistando il 26,8%, mentre i popolari risultarono nettamente in crisi con l’11% dei consensi. Infine vi erano i comunisti con l’1,1% e i sindacalisti (presentatisi nella «lista dell’eli-ca») con il 4%. Ricordiamo poi che nelle elezioni del ’21 nuovamente, la partecipazione dei napoletani al voto fu del 32,8% e cioè largamente inferiore alla media regionale (54,6%), a quella meridionale (55%) e a quella nazionale (60,5%)20.

Tutto questo per dire che la società napoletana, pur se abbastanza disinteressata dal prendere una posizione politica, come emerge con ogni evidenza dall’alto livello di astensionismo, non era spaccata in maniera irrimediabile e tutto sommato le tre culture politiche dominanti, quel-la liberale, quelquel-la socialista e quelquel-la cattolica rappresentavano un argine piuttosto solido alle derive antisistema che provenivano dagli opposti estremismi.

Se poi a questo aggiungiamo che il notabilato liberale continuava ad esercitare un controllo sociale assai forte, possiamo trarre qualche indi-cazione sul motivo per il quale il fascismo si affermerà tardivamente a Napoli come nell’intero Mezzogiorno. Anche i fenomeni dello squadri-smo e della violenza sono stati meno diffusi, mentre più diffusa risultava la strategia della cooptazione e dell’assorbimento graduale da parte del fascismo delle strutture e degli esponenti del notabilato locale; fino poi a divenire, il fascismo, anche al sud, agente attivo di strumentalizzazione del ceto politico tradizionalmente egemone.

In primo luogo, quindi, Mussolini allontanò il leader del fascismo napoletano, Aurelio Padovani21 il quale -fino alla sua morte avvenuta

20 Rielaborazione dei dati riportati da R. Colapietra, la cui fonte è «Il Mattino», 17-18

maggio 1921, ivi, p. 160. Cfr. anche G. D’agostino e R. Vigilante, Il voto a Napoli, cit. p. 37.

21 Sul ruolo di Padovani a Napoli, R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, cit.,

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nel 1926 cadendo da una balconata con altre otto persone- si dichiarerà sempre fedele al fascismo delle origini. Dopo l’estromissione di Padovani, poi, il Duce iniziò a sostenere l’ala più normalizzatrice, rappresentata da Nicola Sansanelli e Vincenzo Tecchio22, i quali si occuparono della

rior-ganizzazione della sezione locale del partito fascista. La città comunque, ancora tra il 1923 e il 1924 sembrava conservare la propria identità po-litica composita, tanto che il voto dell’aprile del 1924, lascia intravedere un «caso» Napoli con un discreto margine di opposizione al fascismo.

Se infatti le liste filogovernative (il Listone e il Tricolore) a Napo-li avevano ottenuto il 57,5% -contro il 76,3% in Campania, l’80% nel Mezzogiorno e il 65% in Italia- l’opposizione liberal-democratica (Op-posizione Costituzionale, Democrazia sociale, Repubblicani e liberali) ottenne l’11,6%; la sinistra (comunisti, socialisti e socialisti unitari) il 20,1 e i popolari il 9%. L’opposizione, insomma, nel suo complesso era intorno al 40%, mentre in Campania era circa al 25%, nel Mezzogiorno al 20% e in Italia intorno al 32%23.

Napoli, insomma, non aveva aderito ancora in maniera massiccia al regime, anche perché buona parte del ceto politico locale continuava a coltivare l’idea dell’utilizzazione strumentale del fascismo, per assicurare continuità al quadro istituzionale e ai rapporti tradizionali del potere.

La «parentesi» fascista

Con il delitto Matteotti, come è noto, tutto cambia e anche a Napoli, coloro i quali avevano immaginato la possibilità di strumentalizzare il fascismo, si schierarono apertamente contro il regime, che di lì a poco con le «leggi fascistissime», iniziò a diventare dittatura a viso aperto dando vita a stabili gruppi antifascisti contro i quali il regime non sempre riuscì ad avere la meglio, vedi su tutti il «caso» Croce che nel 1925 da Napoli lanciò il suo «Manifesto», nel quale appaiono le firme di alcuni tra i più illustri esponenti del vecchio e nuovo mondo liberal-democratico citta-dino, come Giustino Fortunato, Michelangelo Schipa, Arturo Labriola e Giovanni Amendola24.

22 P. Villani, Gerarchi e fascismo a Napoli (1921-1943), Il Mulino, Bologna 2013. 23 G. D’agostino e R. Vigilante, Il voto politico a Napoli…, cit., pp. 41-43.

24 Per una chiara sintesi interpretativa, G. Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, cit.,

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Non è questa la sede per ricostruire l’intero ventennio fascista a Na-poli25. Tuttavia possiamo trarre alcune indicazioni dalle due consultazioni

elettorali che si svolsero in quel periodo, quella del 1929 e quella del 1934, almeno per ciò che concerne il dato della percentuale dei votanti, dando per scontato il risultato sostanzialmente plebiscitario in favore del regime fascista. A dispetto, infatti di una percentuale molto bassa di votanti ancora nel 1924 (35,2%) e di una assai tiepida adesione iniziale al regime, come abbiamo visto, l’incremento della partecipazione al voto fu assai rilevante durante le due tornate elettorali della dittatura.

Insomma, anche a Napoli come nel resto del paese, il processo forzoso di integrazione politica, ottenuto grazie alla mobilitazione permanente, si dimostrò capace di inquadrare e nazionalizzare le masse spingendole ad una forte partecipazione politica.

Non appena il regime fascista si iniziò a stabilizzare anche a livello amministrativo, una larga porzione della borghesia, soprattutto quella fondiaria, cambiò rotta e costruì solidi legami e una stabile continuità so-prattutto politico-amministrativa con il regime durante gli anni del Com-missariato26, nella fondata convinzione che si sarebbero creati interessanti

sbocchi speculativi, che tuttavia, sebbene diedero vita ad una nuova rior-ganizzazione urbanistica, non produssero trasformazioni strutturali del tessuto economico e sociale urbano27. Il regime, insomma, aveva tentato

di modellare le proprie strategie di governo sulla tradizionale conforma-zione della società locale, garantendo al tempo stesso la «persistenza […] di modelli societari, visioni del mondo e concezioni politiche arcaiche, improntate al tradizionalismo, al personalismo e al particolarismo»28. In

buona sostanza durante il ventennio fascista prevalsero gli elementi della continuità conservatrice che si erano consolidati e si espressero nella per-manenza delle stesse élites dirigenti dal prefascismo al fascismo alla prima fase del secondo dopoguerra e che molto risentivano del coinvolgimento più o meno attivo degli elettori alle urne.

25 Per un’ampia ricostruzione del fascismo a Napoli, cfr., P. Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Sellerio, Palermo 1990. Condivisibile il giudizio di P. Villani il

quale sostiene che sul fascismo a Napoli «la storiografia locale [è] ancora lontana dall’essere soddisfacente», P. Villani, Gerarchi e fascismo a Napoli, cit., p. 7.

26 Sul Commissariato a Napoli, cfr. L. Mascilli Migliorini, La vita amministrativa e politica, cit., pp. 203-208.

27 Cfr., Cfr., Napoli le grandi opere (1925-1930), a cura di P. Craveri e A. De Martini,

Grimaldi, Napoli 2006.

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Continuità e conservazione

Chiusa la «parentesi» fascista, vi fu in città un momento di vitalità, che si espresse nelle «4 giornate», nelle giunte guidate, tra il 1944 e il 1945, prima dal demoliberale Gustavo Ingrosso e poi dall’azionista Fermariello e nelle accese lotte sia politiche che sindacali, ma si trattò, per dirla con Galasso, più di una «agitazione passeggera, di un sussulto, di una ani-mazione estemporanea»29, che di un fenomeno profondo e radicato nella

società. Tanto è vero che con le triplici elezioni del 1946 Napoli dimostrò di essere la roccaforte della destra più tradizionalista e conservatrice, ri-manendo tale a lungo.

La fuoriuscita dal fascismo a Napoli, insomma, era avvenuta attraverso alcuni passaggi che avevano lasciato intravedere una rinascita alternativa al vecchio sistema liberale prefascista e allo stesso sistema fascista. Ma la lunga, anzi lunghissima presenza delle truppe alleate di occupazione, nonché il ritorno in auge di gruppi e personalità politiche sia fiancheg-giatori del fascismo che ad esso oppositori (si pensi ad esempio a Croce) che ristabilirono immediatamente con il Re e con il Governo Badoglio una costruttiva intesa, ridimensionarono immediatamente la «brezza» del Nord che pur aveva spirato a Napoli. Comunque si vogliano giudicare le spinte innovative l’impressione è che esse abbiano trovato un blocco di potere saldamente arroccato attorno alla difesa dello Stato30.

Il dopoguerra napoletano, come per certi aspetti anche quello dell’in-tero Mezzogiorno, è un dopoguerra diverso da quello del resto dell’Italia perché è cominciato in anticipo ed è finito in ritardo, senza la fondamen-tale esperienza resistenziale dell’Italia settentrionale, ma piuttosto condi-zionato anche politicamente dalla lunga occupazione delle forze militari alleate che non poco influenzarono le scelte politiche. Senza dimenticare quanto le condizioni materiali e morali del popolo napoletano fossero drammatiche a causa soprattutto dei bombardamenti e della assenza di rifornimenti di beni di prima necessità31.

29 G. Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, cit., p. 240.

30 Cfr. G. D’agostino, La politica in Campania nel quarantennio repubblicano, in La Campania a cura di P. Macry e P. Villani, Einaudi, Torino 1990 p. 1030.

31 Come scrive G. Chianese, «Gli anni della guerra, in particolare dal 1942 al 1943, furono

segnati da una quotidiana dimensione di morte che scaturiva, d’altro canto, da una caratteri-stica propria di tutto il secondo conflitto mondiale, dove la pratica dei bombardamenti aerei aveva mutato radicalmente le caratteristiche dello scontro militare, coinvolgendo le grandi aree urbane. Napoli costituiva una base navale strategicamente importante nel Mediterraneo

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A differenza di quanto avvenne nell’Italia settentrionale e centrale dopo l’8 settembre, infatti, dove i partiti politici iniziarono immedia-tamente a riorganizzarsi, a Napoli la disgregazione politica dovuta alla smobilitazione del partito fascista lasciò ampio spazio di riacquisizione dell’egemonia e della penetrazione politica per un verso al vecchio ceto di notabili prefascisti, e per un altro ad un nuovo gruppo della destra qua-lunquista e conservatrice e ad una nuova frazione della classe dirigente cattolica, maturata politicamente all’interno di quelle strutture ecclesia-stiche più o meno fiancheggiatrici del fascismo o comunque da questo tollerate32.

Fu così che all’indomani del Congresso di Bari (gennaio 1944), Napoli diventò il crocevia della «diplomazia politica» filo-monarchica, che si muoveva intorno a personalità varie tra cui Croce, De Nicola, Rodinò, Porzio, Orlando e a numerosissime associazioni monarchiche e filo-sa-baude che erano fiorite nella città partenopea33.

Tutta questa fase di consolidamento e di riappropriazione della scena da parte di quelle forze politiche legate al prefascismo e in parte al fasci-smo, ebbe una immediata rappresentazione nelle triplici elezioni del 1946.

Le elezioni del 2 giugno 194634 (referendum ed Assemblea

Costituen-te) confermarono il trend positivo di incremento della percentuale dei

ed inoltre era centro di importanti industrie belliche metalmeccaniche e cantieristiche. Di qui la particolare intensità con cui fu colpita, prima dagli anglo-americani e, poi, dai nazisti», G. Chianese, Ceti popolari e comportamento quotidiano a Napoli, in L’altro dopoguerra. Roma

e il Sud, a cura di N. Gallerano, Franco Angeli, Milano 1985.

32 Per un inquadramento complessivo delle vicende politiche napoletane tra la fine della

guerra e il dopoguerra, cfr., P. Allum, Il periodo della ricostruzione a Napoli. Note sui partiti

e sulle elezioni, in «Italia Contemporanea», n. 2, 1978; F. Isabella, Napoli dall’8 settembre ad Achille Lauro, Guida, Napoli,1980; L’altro dopoguerra. Roma e il Sud, a cura di, N. Gallerano,

cit., e G. D’agostino, Per una storia politica ed elettorale della Campania nel quarantennio

repubblicano. Momenti e problemi, in La Campania, a cura di P. Macry e P. Villani, Einaudi,

Torino 1990, pp. 1029-1088. A distanza di circa quindici anni è ancora condivisibile la con-siderazione di L. Parente, il quale scrive che «il panorama dell’età repubblicana a Napoli unitamente ai primi difficili anni di vita della democrazia in quella città rimane a tutt’oggi un periodo inspiegabilmente poco studiato della storiografia contemporanea, potremmo dire ancora meno dello stesso fascismo», L. Parente, Il difficile avvio della democrazia, in S. Maz-zupappa e A Höbel (a cura di), Fascismo e antifascismo a Napoli (1922-1952). Sette lezioni, La città del sole, Napoli 2005, p. 89.

33 Cfr., A. Ungari, In nome del Re. I monarchici italiani dal 1943 al 1948, Le Lettere,

Firenze 2004 e C. Jetti, L’eclissi della monarchia, Kirke, Avezzano (Aq) 2018 con una inte-ressante introduzione di G. Pansini.

34 Il triplice voto del 1946. Agli esordi della storia elettorale dell’Italia repubblicana, a cura

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A. Amato. Politica, elezioni e territorio nel primo e nel secondo dopoguerra 33

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votanti registrato durante il ventennio, anche se comunque gli elettori napoletani risultavano tra i più restii a frequentare le urne. Infatti a Na-poli votarono l’80,8% degli elettori, contro l’86% dei campani, l’87,5% dei meridionali e l’89% di quelli nazionali. Dell’esito referendario mas-sicciamente monarchico si è detto più sopra ma possiamo aggiungere che esso va letto in un’ottica, per dir così, di rivendicazione identitaria della città ex capitale35, supportata da una forte componente continuista con

l’Italia liberale prefascista, classificabile come destra tradizionale per un verso, e da una nuova destra, più composita, meno ideologica, fortemente qualunquista e populista, che dopo un massiccio exploit anche alle succes-sive elezioni amministrative, sarà progressivamente assorbita dalla DC.

In questa destra, nelle sue componenti più varie, troviamo (partendo dall’estrema) l’UQ con il 19%, poi il Blocco Nazionale della libertà con il 7,5% e per finire l’Unione Democratica Nazionale di Croce, Nitti, Labriola e Porzio con il 25,4%; al centro, poi vi era la DC con il 23,6% ed infine la sinistra (PSIUP, PCI, P.d’A. e PRI) con il 17,5%. Tutti dati percentuali che non trovavano corrispondenza con i rispettivi risultati percentuali disaggregati per regione e per l’intero Mezzogiorno, dove i rapporti di forza erano meno sbilanciati36.

Parallelamente, la città si preparava anche alle elezioni amministrative che sorprendentemente, malgrado l’urgenza dei problemi, riconsegnaro-no Napoli all’indifferenza con più del 50% dell’astensione37 e lasciarono

intravedere una polarizzazione diversa da quella che complessivamente si registrava nel paese. Ad una sinistra che si era presentata nel Blocco del Popolo (PCI, PSI, Pd’A, PRI, Partito Democratico del Lavoro), infatti, che ottenne il 31,8% si contrapponeva la destra più estrema, quella cioè

35 A dimostrazione di quanto la forma istituzionale monarchica rappresentasse a Napoli un

valore storicamente ed antropologicamente più vicino alla mentalità ed alla memoria collettiva e in qualche modo trasversale alle culture politiche, è interessante osservare che, sommando la percentuale dei voti espressi in favore della destra e quelli della DC, cioè di quei partiti o apertamente filomonarchico o che avevano lasciato libertà di voto, questa raggiunge il 76,9% dei consensi, meno dunque dei consensi espressi in favore della Monarchia che, come si ricor-dava all’inizio, arrivarono all’80%.

36 Tutti i dati delle elezioni politiche ed amministrative a Napoli dal 1946 sono reperibili

sul sito del Comune di Napoli alla pagina www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.

php/L/IT/IDPagina/9216.

37 Sull’astensionismo nella Napoli del dopoguerra, cfr., G. D’Agostino, M. Mandolini

e S. Nevola, Note sul caso di Napoli dal secondo dopoguerra ad oggi, in Il voto di chi non

vota. L’astensionismo elettorale in Italia e in Europa, a cura di M. Caciagli e P. Scaramozzino,

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dell’UQ e del PNM forze politiche che ottennero insieme circa il 38% dei voti, fortemente ridimensionati risultarono i liberali con il 14,8% mentre la DC con il 13,5%, incassava una vera e propria sconfitta.

Lo scenario politico, insomma, nell’immediato secondo dopoguerra si era assestato su una deriva di destra che rispondeva ad una domanda elettorale accresciutasi durante il ventennio fascista, ma il cui vero deno-minatore comune sembrava essere quello del legittimismo monarchico. La sconfitta referendaria e la conseguente affermazione della Repubbli-ca, quindi riportò l’elettorato alla sostanziale indifferenza politica che denotava in buona sostanza un mancato processo di rigenerazione etica e politica della società napoletana. Continuavano a prevalere, insomma «modelli societari, visioni del mondo e concezioni politiche arcaiche, im-prontate al tradizionalismo, al personalismo ed al particolarismo»; così come scarsissimo era il radicamento «nella società di forme e strutture politico-organizzative moderne»38.

Certo di lì a breve i partiti politici ed in particolar modo la DC, inizia-rono a strutturare il partito sul territorio e ad organizzare capillarmente il consenso, aprendo faticosamente una nuova stagione politica elettorale che, nelle elezioni politiche del ’48 vide la netta affermazione della DC, ma nelle amministrative del ’51 vide l’affermazione e la consacrazione del laurismo, una delle peggiori incarnazioni del ribellismo demagogico e populista partenopeo39.

Abstract

L’indagine intende ricostruire alcuni aspetti della storia politico-elettorale di Napoli tra il primo e il secondo dopoguerra, partendo da una contestua-lizzazione della situazione economico-sociale che aveva visto la ex capitale del Regno delle due Sicilie vivere profonde trasformazioni tra la fine dell’ot-tocento e gli inizi del novecento, grazie soprattutto all’intervento pubblico. Tuttavia, pur a fronte di una storia elettorale che si dimostra piuttosto mo-vimentata e per certi versi imprevedibile, sia nei suoi risultati che soprattutto in relazione alla partecipazione al voto, il periodo in considerazione dimostra un sostanziale immobilismo socio-politico che attraversa tutto il periodo in considerazione.

38 G. D’agostino, M. Mandolini, Napoli alle urne. 1946-1979, Guida, Napoli 1980, p. 16. 39 Su A. Lauro, cfr., la biografia di P. Zullino, Il comandante. La vita inimitabile di Achille Lauro, SugarCo, Milano 1976 e sull’attività politico-amministrativa, cfr. P. Totaro, Il potere di Lauro. Politica e amministrazione a Napoli 1952-1958, Pietro Laveglia, Salerno 1990.

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A. Amato. Politica, elezioni e territorio nel primo e nel secondo dopoguerra 35

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The investigation aims to reconstruct some aspects of the political-electoral history of Naples between the first and second post-war years, starting from a contextualization of the socio-economic situation that had seen the former capi-tal of the Regno delle due Sicilie live profound transformations between the end of the nineteenth and early twentieth centuries, thanks above all to public inter-vention. However, despite an electoral history that proves to be quite eventful and in some ways unpredictable, both in its results and especially in relation to the participation in the vote, the period in question demonstrates a substantial socio-political immobility that cross the entire period in consideration.

Parole chiave, keywords

Elezioni, Napoli, primo Dopoguerra, Fascismo, secondo Dopoguerra Elections, Naples, first Post-War, Fascism, second Post-War

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