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RIASSUNTO...
...3INTRODUZIONE
...41. Genetica e ambiente...4
2. Fatty Acid Desaturase...5
3. Gli acidi grassi polinsaturi...6
3.1. Ruolo degli acidi grassi polinsaturi a livello cerebrale...7
3.2 Ruolo immunomodulatore ed effetti cardiovascolari...9
4. Varianti geniche delle desaturasi e livelli di acidi grassi polinsaturi...12
5. Ci sono i presupposti certi per una supplementazione con LC-PUFA?...16
6. Nascita pretermine ed outcome cognitivo...20
7. Disegno dello studio...24
PAZIENTI E METODI
...251. Introduzione a “ Pazienti e Metodi”...25
2. Parametri considerati...25
2.1. Parametri auxologici...25
2.2. Parametri nutrizionali...26
2.3. Valutazione Outcome Globale...27
2.4. Outcome Neurologico...28
3. Descrizione Modalità esecuzione Risonanza Magnetica Cerebrale...30
4. Analisi genetica...31
5. Analisi statistica dei dati...31
5.1. Introduzione...31
5.2. Statistica descrittiva...31
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5.5. Analisi variabili categoriche...36
5.6. Analisi variabili continue a distribuzione non normale...37
5.7. Correzione per fattori confondenti...38
RISULTATI
...391. Descrizione del campione...39
2. Confronto tra i due gruppi di neonati ...43
3. Risultati... ...45
DISCUSSIONE e CONCLUSIONI
...
...52BIBLIOGRAFIA
...55 Allegato A ...66 Allegato B ...67 Allegato C ...683
RIASSUNTO
Per anni al centro del dibattito scientifico vi è stata la questione del definire chi svolga il ruolo principale tra genetica e componente ambientale nel determinismo delle caratteristiche individuali. Negli ultimi anni il focus di tale dibattito si è spostato dalla comprensione del singolo ruolo di ciascuno dei due fattori allo studio delle modalità con cui genetica e ambiente interagiscono tra di loro. In particolare sempre più interesse riveste il ruolo che la componente genetica può avere nel modificare le risposte individuali ad un fattore condizionante di origine ambientale.
Gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga si accumulano rapidamente nel tessuto nervoso nell’ultimo trimestre di gestazione e nell’immediato periodo post-natale rivestendo un ruolo importante nella crescita neuronale, nello sviluppo delle funzioni sinaptiche e nell’espressione dei geni che regolano la differenziazione e la crescita cellulare.
Il gene FADS2 è un gene coinvolto nella regolazione del metabolismo di tali acidi grassi dal momento che codifica l’enzima delta-6 desaturasi che rappresenta lo step limitante di tale via metabolica.
Da tali presupposti, e soprattutto dai risultati preliminari in tale senso presentati dai colleghi del Team di Ricerca del Dipartimento di Pediatria dell’Imperial College di Londra a Boston nella primavera di quest’anno è nata l’idea di confrontare neonati pretermine portatori di polimorfismi a livello del cluster genetico delle desaturasi con neonati senza tali varianti geniche al fine di paragonare i due gruppi in termini di gestione nutrizionale, outcome neonatale e imaging cerebrale.
Una volta appurato che i due gruppi di neonati non differivano per approccio nutrizionale i risultati, sebbene perloppiù non significativi dal punto di vista strettamente statistico (eccezion fatta per il tasso settimanale di crescita della circonferenza cranica) suggeriscono una possibile correlazione (che andrebbe però verificata su campione più ampio) tra presenza di polimorfismi a livello del gene FADS2 ed outcome neonatale in particolare in termini di imaging cerebrale.
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INTRODUZIONE
1. GENETICA E AMBIENTE
Per anni al centro del dibattito scientifico vi è stata la questione del definire chi svolga il ruolo principale tra genetica e componente ambientale nel determinismo delle caratteristiche individuali. (Bouchard et al, 1981; Plomin et al, 2000) Negli ultimi anni il focus di tale dibattito si è spostato dalla comprensione del singolo ruolo di ciascuno dei due fattori allo studio delle modalità con cui genetica e ambiente interagiscono tra di loro. (Ridley M, 2003) In particolare sempre più interesse riveste il ruolo che la componente genetica può avere nel modificare le risposte individuali ad un fattore condizionante di origine ambientale.
E’ stato provato che nel determinare il quoziente intellettivo (QI) intervengono sia fattori genetici che ambientali. Tra i fattori ambientali viene da più fonti citato l’allattamento materno, in relazione in primis al suo alto contenuto di acidi grassi polinsaturi a catena lunga (LC-PUFA) (soprattutto acido docosaesaenoico o DHA; 22:6n-3 e acido arachidonico o AA or ARA; 20:4n-6).
Il contenuto di acidi grassi polinsaturi nel sangue e nei tessuti è stato messo in relazione a diversi aspetti funzionali dell’organismo umano: dall’apparato cardiovascolare per arrivare passando dal sistema immunitario fino alla sfera neuropsichiatrica.
Molti degli effetti mediati dagli acidi grassi polinsaturi sono in realtà attribuiti prevalentemente agli acidi grassi polinsaturi a catena lunga, rappresentati in prima istanza da acido arachidonico (AA;20:4n-6), acido eicosapentaenoico (EPA; 20:5n-3) e docosaesaenoico (DHA;22:6n-3). E in particolare due di questi, l’AA e il DHA, giocano un ruolo critico nella crescita e nello sviluppo sia del feto che del lattante nelle sue fasi precoci di sviluppo (Glaser et al, 2011). Gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga possono essere introdotti dalla dieta come pure essere sintetizzati dall’organismo partendo dai precursori acido linoleico (LA) e
acido alfa-linolenico (ALA) tramite processi di desaturazione ed elongazione. Negli ultimi anni si è andata accumulando sempre più evidenza che varianti del gene (FADS)
per la desaturasi degli acidi grassi influenzano il metabolismo degli stessi acidi grassi polinsaturi andando quindi a modificarne anche il contenuto finale ematico e tissutale traducendosi quindi alla fine in effetti biologici sulla salute dell’individuo. (Glaser et al, 2011)
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Partendo da tali presupposti nel 2007 Avshalom Caspi (Caspi et al, 2007), in uno studio pubblicato sul Proceedings of the National Academy of Sciences ha avanzato l’ipotesi che questa associazione tra allattamento materno e QI fosse modulata da varianti genetiche del gene FADS2 (Fatty Acid Desaturase 2) cercando di dimostrare che il vantaggio in termini di maturazone cognitiva legato all’allattamento materno fosse da mettere in relazione a differenze in termini di controllo a livello genetico del metabolismo degli acidi grassi a catena lunga (LC PUFA).
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. “
FATTY ACID DESATURASE”FADS2, localizzato a livello di 11q12.2 (Fig 1), è un gene coinvolto nella regolazione del metabolismo degli acidi grassi dal momento che codifica l’enzima delta-6 desaturasi che rappresenta lo step limitante di tale via metabolica. L’attività della Delta-6 desaturasi è necessaria alla produzione endogena di LC PUFA a partire dai loro precursori derivanti dalla dieta. Questo spiega perchè l’espressione di tale enzima viene modificata mediante l’effetto inibitorio espletato sia da parte degli LC PUFA endogeni che da quelli introdotti con la dieta.
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Gli enzimi chiave nel metabolismo degli acidi grassi omega-3 e omega-6 sono le desaturasi delta-5 e delta-6 che sono codificate, rispettivamente, dai geni FADS1 e FADS2 localizzati sul cluster genetico delle desaturasi sul cromosoma 11 (11q12-13.1). (Simopoulos A, 2010) Le desaturasi determinano infatti la desaturazione degli acidi grassi mediante l’introduzione di doppi legami a determinati livelli della catena di atomi di carbonio.
Lo studio di Caspi e collaboratori descrive il ruolo di una variante genetica di FADS2 (rs174575) nel modulare gli effetti positivi dell’allattamento al seno sul quoziente intellettivo (valutato mediante Wechsler Intelligence Scale for Children-Revised) in due “cohorts” di neonati previa correzione per fattori confondenti quale classe sociale di appartenenza e capacità cognitive materne.
Il gene FADS2 è stato scelto per tale studio previa ricerca nel contesto dei geni coinvolti nel controllo genetico del metabolismo degli acidi grassi all’interno del KEGG database (Kyoto Encyclopedia of Genes and Genomes http://www.genome.jp/kegg/) che rappresenta un database di sistemi biologici che integra informazioni genetiche, chimiche e funzionali fornendo una conoscenza di base sul linkage tra genoma, organismi viventi e ambiente. (Kanehisa et al, 2008)
Il risultato di Caspi e collaboratori consiste nell’aver individuato un marcato vantaggio in termini di Quoziente Intellettivo (QI) nei portatori dell’allele comune C allattati al seno rispetto a quelli non allattati al seno. Nei bambini omozigoti per l’allele G invece l’allattamento materno non risultava avere effetti sul QI.
3.
GLI ACIDI GRASSI POLINSATURIGli Acidi grassi vengono definiti saturi se non contengono nemmeno un doppio legame all’interno della catena idro-carboniosa, insaturi se ne contengono almeno uno. Se i doppi legami sono almeno due si parla di acidi grassi polinsaturi; se la catena carboniosa è costituita da almeno 20 atomi di carbonio si parla di acidi grassi a catena lunga. Si conoscono tre famiglie di acidi grassi polinsaturi definiti a seconda della posizione del doppio legame più lontano dal gruppo carbossile in omega 9, omega 6 e omega 3 (Fig.2). Il metabolismo di queste tre famiglie di PUFA che fanno capo rispettivamente all’acido oleico, acido linoleico (LA) e acido alfa linolenico (ALA) condivide gli stessi enzimi di desaturazione ed elongazione.
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L'acido arachidonico (AA, 20:4n-6) è un acido grasso poli-insaturo, ovvero che reca nella propria molecola più doppi legami carbonio-carbonio. E’ un omega 6 presente nell'organismo umano che può essere introdotto con la dieta o derivare dall'acido linoleico. All'interno delle cellule è legato a fosfolipidi di membrana ed interviene nella produzione di prostaglandine, prostacicline e trombossani.
L'acido docosaesaenoico (DHA, 22:6n-3) è un grasso omega-3 o PUFA n-3. Nella struttura chimica, il DHA è un acido carbossilico con una catena di 22 atomi di carbonio e 6 doppi legami in posizione cis; il primo doppio legame si trova sul terzo carbonio dalla posizione terminale omega.
3.1 Ruolo degli acidi grassi polinsaturi a livello cerebrale
Gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga si accumulano rapidamente nel tessuto nervoso nell’ultimo trimestre di gestazione e nell’immediato periodo post-natale rivestendo, soprattutto gli omega-3, un ruolo importante nella crescita neuronale, nello sviluppo delle funzioni sinaptiche e nell’espressione dei geni che regolano la differenziazione e la crescita cellulare. (Uauy et al, 2006)
Il DHA è infatti, a livello cerebrale, il principale acido grasso strutturale, distribuendosi soprattutto nella corteccia cerebrale, sulle membrane adibite alle comunicazioni sinaptiche, nei mitocondri e nei fotorecettori retinici. Rappresenta il 40% di tutti i PUFA cerebrali ed il 60% di quelli retinici. A tale acido è attribuito quasi il 50% del peso delle membrane neuronali di cui garantisce stabilità e fluidità. L’acido arachidonico si trova soprattutto nella fosfatidilcolina e fosfatidilinositolo mentre il DHA predomina nella fosfatidiletanolamina e fosfatidilserina.
Svolge inoltre una funzione anti-infiammatoria (è stato ipotizzato anche un suo ruolo di neutralizzazione dei radicali liberi dell’ossigeno) e promuove la liberazione di serotonina e acetilcolina. (Singh et al, 2005)
Studi animali hanno dimostrato che diete deficienti in omega 3 erano associate a ridotte concentrazioni cerebrali di DHA e con esse a ridotti livelli di dopamina e serotonina ma anche a ridotte dimensioni neuronali e ridotta funzione visiva, mnemonica e di apprendimento. I primi studi condotti su esseri umani risalgono ai primi anni ’90 e riproponevano, su neonati pretermine, gli stessi risultati ottenuti mediante studi su animali in termini di maggiore sensibilità retinica ed acuità visiva in neonati alimentati con formule supplementate con omega-3 (in particolare DHA) rispetto a neonati alimentati con formule non supplementate. (Makrides et al, 2011)
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Sostanziali quantità di DHA e AA si accumulano nel cervello umano durante i primi mesi di vita e i neonati alimentati con latte materno hanno più alte concentrazioni di tali acidi grassi rispetto a quelli che ricevono formule non supplementate.
Si pensa che gli LC PUFA abbiano un ruolo importante nello sviluppo cognitivo in quanto necessari per una efficiente neurotrasmissione e in quanto coinvolti nei processi di crescita
neuronale, riparazione neuronale e arborizzazione dendritica. Da qui è nato un diffuso interesse della letteratura per il ruolo dei LC-PUFA nel periodo
perinatale: ad oggi sono circa una quarantina i trials randomizzati e controllati mirati a definire il ruolo dell’apporto degli LC PUFA in vari aspetti delle fasi precoci della crescita e dello sviluppo.
L’Acido arachidonico e l’acido docosaesaenoico rappresentano i principali LC-PUFA all’interno dei fosfolipidi cerebrali. Dal momento che i mammiferi sono incapaci di sintetizzarli ex-novo è l’apporto dietetico che ne assicura una adeguata concentrazione a livello dei tessuti periferici e centrali. L’acido linoleico (LA, 18:2n-6), precursore a catena corta degli omega-6 e l’acido alfa linolenico (ALA, 18:3n-3) precursore degli omega-3, vengono convertiti rispettivamente in AA e DHA attraverso una serie di reazioni di desaturazione ed elongazione. I principali enzimi che regolano la biosentesi degli LC-PUFA comprendono la delta-5 desaturasi, la delta-6 desaturasi e la elongasi. (Fig. 2)
L’acido linoleico e l’acido alfa linolenico non possono essere sintetizzati in modo endogeno nei mammiferi per cui devono essere introdotti tramite la dieta come nutrienti essenziali. Nei paesi occidentali fino al 20% dei grassi della dieta è costituito da acidi grassi poliinsaturi, soprattutto da LA. Fonti alimentari di LA sono soprattutto oli vegetali, mais, soia, olio di semi di girasole mentre l’ALA si trova soprattutto in piante verdi, noci, semi di colza, olio di lino. L’AA si trova invece in grandi quantità in carne, uova e frattaglie mentre principali fonti di EPA e DHA sono oli di pesce e frutti di mare ma anche aringhe, sgombri, salmone, sardine, acciughe e tonno ne sono ricchi. (Glaser et al, 2011) (Allegato A)
Sembra che una caratteristica del metabolismo umano sia un basso tasso di conversione ALA-DHA con una particolare limitazione a livello dello step che converte EPA in ALA-DHA. Sebbene tale trasformazione subisca una accelerazione nel sesso femminile, in particolare durante la gravidanza, ciò non è sufficiente a determinare un incremento dei livelli ematici di DHA all’aumentare dell’apporto alimentare di ALA nè nella gestante, nè nel neonato. Il DHA proveniente invece da un apporto esogeno, alimentare diretto, è rapidamente assorbito ed incorporato a livello ematico e cerebrale.
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L’azione svolta dal DHA a livello cerebrale è complessa. Innanzitutto conferisce alle membrane cellulari un alto grado di flessibilità ed interagisce con le proteine di membrana modulando la velocità di trasmissione del segnale. Dall’altro lato i DHA non esterificati intervengono nella regolazione dell’espressione genica e dell’attività di canali ionici oltre al fatto che possono essere trasformati in metaboliti ad azione neuroprotettiva. Secondo studi recenti avrebbero inoltre un vero e proprio ruolo nella genesi neuronale influenzando sintesi e turnover dei fosfolipidi e nella protezione dal danno da stress ossidativo a livello cerebrale e retinico. Studi recenti hanno infatti dimostrato che il DHA ha un importante ruolo di scavenger dei radicali liberi sia nel cervello in crescita che in quello adulto riducendo, in modelli animali di danno cerebrale da ischemia e riperfusione, la perdita neuronale e conseguenti deficit cognitivi e motori. Considerando poi che secondo alcuni studi le specie reattive dell’ossigeno andrebbero ad influire negativamente sul rilascio dell’acetilcolina il DHA assumerebbe allora un ruolo protettivo nei confronti della neurotrasmissione (Innis et al, 2007)
Alcuni studi (Ahmad et al, 2002) hanno suggerito in caso di deficit di DHA una vera a propria riduzione nelle dimensioni medie dei neuroni di ippocampo, ipotalamo e corteccia parietale, in associazione con una semplificazione della arborizzazione dendritica dei neuroni corticali in ratti.
3.2 Ruolo immunomodulatore ed effetti cardiovascolari
Sono stati proposti diversi meccanismi per spiegare il ruolo di questi acidi grassi anche come immunomodulatori. Gli LC-PUFA assistono la proliferazione ed attivazione linfocitaria, la funzione macrofagica, la funzione di natural killer e la funzione neutrofilica. Queste azioni sono mediate principalmente dalla modulazione delle vie metaboliche degli eicosanoidi e della perossidazione lipidica. Gli omega 6, soprattutto l’AA, giocano un ruolo importante nell’immunità come precursori di prostaglandine e leucotrieni. Dall’altra parte ha un ruolo anche l’EPA, che agisce come substrato delle ciclossigenasi e lipossigenasi rimpiazzando altri mediatori dell’infiammazione della via metabolica dell’AA. Ciò si traduce in una ridotta chemiotassi di monociti e neutrofili e ridotta produzione di citochine proinfiammatorie.
Inoltre le PGE2 agiscono sull’equilibrio Th1/Th2 riducendo la produzione delle citochine prodotte dalle prime (IFNg e IL-2) e aumentando quella di IL-4 e IL-5 prodotte dalle cellule Th2 e promuovono la sintesi di IgE da parte delle cellule B.
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Terzo punto gli omega 3 agiscono direttamente a livello della trascrizione genica riducendo l’attività del NF-KB (nuclear factor KB) che interviene nell’indurre tutta una serie di geni implicati nella risposta infiammatoria. (Gottrand et al 2008; Ganapathy et al, 2009)
Tra i mediatori chimici che derivano dagli LCPUFA un ruolo fondamentale è svolto dagli eicosanoidi che comprendono prostaglandine, leucotrieni, trombossani, resolvine, docosatrieni e neuroprotectine. In particolare, volendo puntualizzare in merito al diverso ruolo di omega 6 e omega 3, l’acido arachidonico è un precursore di eicosanoidi ad attività prevalentemente pro-infiammatoria (prostaglandine di serie 2 come PGE2, trombossani e leucotrieni della serie 4) mentre dal DHA, o meglio dall’EPA derivano prostaglandine della serie 3 come il PGE3, trombossani e leucotrieni della serie 5 che tendono ad avere una minore azione infiammatoria rispetto ai derivati degli omega 6. Inoltre questi ultimi producono resolvine e mediatori correlati che hanno una potente azione anti-infiammatoria.
Per quanto riguarda gli effetti cardiovascolari molti studi su adulti hanno dimostrato un ruolo degli LCPUFA nel ridurre la pressione arteriosa sebbene i meccanismi alla base di tale azione non siano ancora stati ben compresi. Alcuni autori hanno riportato in seguito a somministrazione di DHA un’aumentata risposta all’effetto dilatativo del nitroprussiato di sodio ed una ridotta risposta vasocostrittoria alla noradrenalina. (Mori et al, 2000)
Forsyth e collaboratori sono andati a confrontare in un trial multicentrico, randomizzato i livelli di pressione arteriosa in bambini di 6 anni che erano stati, da lattanti, supplementati con LC-PUFA e in bambini che non erano stati supplementati osservando nel primo gruppo livelli significativamente più bassi di pressione arteriosa media e sistolica (Forsyth et al, 2003) Alcuni studi suggerirebbero poi per gli omega 3 un’azione anti-aritmogena ed un’azione ipolipemizzante nel senso di ridurre i livelli dei trigliceridi. (Archive: Agency for Healthcare Research and quality, http://archive.ahrq.gov)
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4.
VARIANTI GENICHE DELLE DESATURASI E LIVELLI DI ACIDI GRASSI POLINSATURILe desaturasi D5 e D6 rappresentano gli enzimi limitanti della via metabolica di produzione dei PUFA. Sono enzimi di membrana prodotti in diversi tessuti ma particolarmente ricchi a livello di fegato, tessuto adiposo, cervello, cuore e polmoni. Sono codificati rispettivamente dai geni FADS1 e FADS2 che, assieme al gene FADS3 il cui ruolo non è ancora stato completamente definito, cosituiscono il cluster delle desaturasi che, nel genoma umano, si trova sul cromosoma 11q12-q13.1. Nel database NCBI in questa regione vengono identificati circa 500 polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs).
Per polimorfismo a singolo nucleotide (SNP- single-nucleotide polymorphism) si intende, in termini semplicistici, una variazione di un singolo nucleotide (Adenina, Timina, Citosina o Guanina) in un determinato tratto di DNA che causa una variazione nella stessa sequenza del genoma che si ripropone tra gli individui di una stessa specie con una certa frequenza (almeno dell’1%). Se tale variazione non è comune nella popolazione non può infatti essere definita polimorfismo ma si deve in tal caso parlare di “mutazione”.
Dal momento che tali desaturasi rappresentano tappe fondamentali nel metabolismo di AA e DHA ne deriva che varianti geniche di tali enzimi possono influenzare in modo variabile i livelli ematici e tissutali degli stessi acidi grassi.
Nel 2006 Schaeffer e collaboratori (Schaeffer et al, 2006) hanno dimostrato che varianti genetiche comuni dei geni FADS1 e FADS2 erano associate alla composizione degli acidi grassi nei fosfolipidi sierici, per cui soggetti carriers degli alleli minori dei polimorfismi di singoli nucleotidi rs 174544, rs 174553, rs 174566, rs 174561, rs 174568, rs 968567, rs 99780, rs 174570, rs 2072114, rs 174583 e rs 174589 presentavano aumentati livelli nei fosfolipidi sierici degli omega-6 acido linoleico, acido eicosadienoico e diomogamma linolenico e degli omega 3 acido alfa linolenico e ridotti livelli degli acidi grassi che stanno più a valle come gli omega 6 acido gamma linolenico, acido arachidonico e acido adrenico e gli omega 3 acido eicosapentaenoico e docosapentaenoico. Riscontrando aumentati livelli dei prodotti a monte della catena e ridotti livelli dei prodotti di desaturazione ne concludevano pertanto che gli alleli minori portavano ad una ridotta espressione delle desaturasi D5 e D6. (Schaeffer et al, 2006; Glaser et al, 2011)
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Numerosi studi si sono concentrati sull’effetto che varianti geniche del FADS possono avere sui livelli finali di acidi grassi a catena lunga nell’uomo. Nella review pubblicata nel 2011 sulla rivista Maternal and Child Nutrition Glaser e collaboratori hanno ben sintetizzato le principali conclusioni di tali studi (Figura 3).
Rzehak e collaboratori in uno studio condotto su adulti bavaresi arruolati nel Bavarian Nutrition Survey II (Rzehak et al, 2009) hanno confermato relativamente ai polimorfismi rs174556, rs174561 e rs3834458 i risultati ottenuti da Schaeffer e collaboratori. Malerba ha analizzato nel 2008 13 polimorfismi del cluster del FADS in 658 adulti italiani cardiopatici partecipanti al Verona Heart Project riportando tra i carriers degli alleli minori più elevati livelli di acido linoleico, acido eicosadienoico e alfalinolenico contro più bassi livelli di acido arachidonico (Malerba et al. 2008). Nello studio InCHIANTI (Tanaka et al, 2009) condotto su 1210 adulti italiani i portatori omozigoti dell’allele minore rs174537 mostravano livelli più bassi di acido arachidonico, acido eicosadienoico e acido eicosapentaenoico e più alti di acido linolenico e alfa linolenico. Nello stesso anno Tanaka e collaboratori hanno confermato gli stessi reperti in un altro studio indipendente condotto su 1076 soggetti partecipanti al Genetics of Lipid Lowering Drugs and Diet Network Study statunitense.
Mentre tutti gli studi concordano sulla forte associazione tra genotipo FADS1/FADS2 e molti omega 6 e omega 3 si trova una minore disponibilità di dati in letteratura circa la correlazione genotipo FADS e DHA. E considerando il ruolo del DHA nello sviluppo neurale e retinico (Larque et al, 2002) ne deriva quanto individuare questa correlazione potrebbe essere importante in particolare in relazione alla fase gravidica e prima infanzia.
Xie & Innis e Molto-Puigmarti e collaboratori a differenza degli altri studi hanno individuato, rispettivamente nel 2008 e nel 2010 una correlazione tra polimorfismi del cluster genetico FADS e livelli di DHA nell’organismo. E lo stesso hanno fatto Koletzko e collaboratori nel 2011 (Koletzko et al, 2011) studiando più di 4000 gestanti reclutate nell’Avon Longitudinal Study of Parents and Children: indipendentemente dalla componente dietetica gli alleli minori (e tra questi è stato analizzato il polimorfismo rs174576) si associavano ad un aumento dei precursori degli acidi grassi e ad una riduzione dei livelli di LC- PUFA (anche DHA) nella gestante.
Bokor e collaboratori hanno dimostrato studiando 1144 adolescenti europei participanti all’Healthy Lifestyle in Europe by Nutrition in Adolescence cross sectional study che la stessa relazione tra varianti geniche del FADS e livelli di acidi grassi dimostrata negli adulti poteva essere riscontrata anche negli adolescenti. (Bokor et al, 2010)
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Il contenuto di Acido arachidonico e DHA nel latte materno sembrano essere influenzati sia dall’apporto dietetico materno che dalla sintesi endogena di questi acidi grassi. Data l’importanza dei livelli di LC-PUFA nel feto diversi studi (Koletzko et al, 1988; Xie &Innis, 2008) hanno valutato la correlazione tra varianti genetiche materne nel cluster genico FADS1 e FADS2, variazioni interindividuali nella capacità di metabolizzare i LC-PUFA e livelli degli stessi nel latte materno. In particolare nello studio di Xie e Innis la presenza dell’allele minore dei 3 polimorfismi (rs174553, rs174583 e rs99780) è risultata essere associata a più bassi livelli di LC-PUFA nel latte materno. In un altro studio dl 2010 invece, è stata valutata, in 309 donne partecipanti al Dutch KOALA birth cohort study, la relazione tra varianti geniche del FADS (rs174561, rs174575 e rs3834458), apporto esogeno di pesce o olio di pesce e livelli di DHA a livello di sangue e latte mostrando valori ematici (e nel latte materno) di DHA inferiori nei soggetti carriers dell’allele minore (ulteriori studi servirebbero per chiarire se supplementazioni maggiori di LC-PUFA potrebbero essere di qualche beneficio in questi soggetti che hanno un ridotto metabolismo).
Steer e collaboratori hanno pubblicato nel 2011 i dati relativi ad una valutazione condotta su 4342 campioni ematici di donne gravide, 3343 campioni di sangue cordonale e 5240 campioni di sangue di bambini di 7 anni. Tali campioni sono stati analizzati andando a valutare la correlazione tra 2 polimorfismi del gene FADS2 (rs1535 e rs174575) (Steer et al, 2011) evidenziando che l’allele minore era positivamente associato con i livelli dei substrati LA e ALA e negativamente associato con i livelli di ARA, EPA e DHA.
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5 CI SONO I PRESUPPOSTI CERTI PER UNA SUPPLEMENTAZIONE CON
LC-PUFA
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Il contenuto di acido arachidonico nel latte materno si aggira intorno allo 0.45% del contenuto totale di acidi grassi, mentre i livelli di DHA variano in base alla dieta dallo 0.1 al 3.8%. Il latte umano contiene inoltre piccole quantità di molti altri PUFA e LC-PUFA come l’acido gammalinolenico, l’acido di-omo-gamma linolenico, l’acido eicosapentaenoico e l’acido docosapentaenoico.
In uno studio randomizzato in doppio cieco pubblicato da Helland e collaboratori nel 2002 è stato visto che figli di madri che avevano assunto dalla 18° settimana di gestazione fino a 3 mesi dopo il parto olio di fegato di merluzzo (contenente cioè DHA ed EPA) avevano a 4 anni punteggi più alti al “Mental Processing Composite of the K-ABC” rispetto ai nati da madri che avevano assunto durante il medesimo intervallo temporale olio di semi di mais (contenente cioè LA e ALA). (Helland et al, 2002)
Una serie di studi biochimici hanno mostrato che neonati a termine alimentati con latte materno, e quindi latte contenente LC-PUFA o con formule supplementate con AA e DHA, avevano livelli ematici più elevati di LC-PUFA, oltre a livelli più elevati di DHA nel tessuto cerebrale rispetto a neonati alimentati con formule non contenenti LC-PUFA. (Fleith et al, 2005; Makrides et al, 1994; Auestad et al, 2001)
Alcuni studi riportano una migliore acuità visiva nel primo gruppo di neonati mentri altri non hanno individuato differenze. In uno studio condotto da Smithers e colaboratori (Smithers et al, 2008) è stato visto che se neonati pretermine venivano supplementati con livelli di DHA più elevati (mirando ad eguagliarne l’apporto transplacentare) si osservava, non a 2 ma 4 mesi un miglioramento dell’acuità visiva. Va infatti sottolineato che gli apporti di DHA e AA che il feto riceve in utero sono notevolmente superiori a quelli forniti dal latte materno dopo la nascita. Anche dopo aver raggiunto un apporto enterale completo di latte materno l’intake di DHA è soltanto tra 13 e 26 mg/die che è chiaramente al di sotto dell’apporto intra-uterino stimato di 50 mg/die. (Henriksen et al, 2008)
Lo sviluppo cognitivo degli allattati al seno risulta in linea generale migliore ma molti fattori confondenti socioculturali possono contribuire a queste differenze. (Fleith and Clanidinin, 2005)
LC-PUFA vengono aggiunti a latte artificiale per pretermine (e in alcuni latti per neonati a termine) in Europa, Middle East, Sud e Nord America, Australia, Giappone, Tailandia ed
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alcuni altri paesi asiatici. Ma fino a poco tempo fa questo non avveniva in paesi come Stati Uniti o Canada.
Trials controllati (rispettivamente Uauy et al, 1990; Birch et al, 1992; Makrides et al, 1993; Carlson et al, 1993) hanno dimostrato un’associazione tra apporto dietetico di DHA e migliore funzionalità retinica, acuità visiva, funzionalità neuronale. Willatts e collaboratori in uno studio condotto su 44 neonati a termine hanno riscontrato migliori performances cognitive a 10 mesi in bambini che erano stati alimentati per 4 mesi con formule contenenti acidi grassi a catena lunga rispetto a lattanti alimentati con formule prive di LC-PUFA. (Willatts et al, 1998)
Sebbene un numero sempre crescente di trials abbiano investigato il rapporto tra supplementazione con LC-PUFA in neonati pretermine ed effetti a lungo termine sullo sviluppo neurologico, molti di tali studi sono stati condotti su campioni che non hanno un’ampiezza tale da permettere di tirare conclusioni definitive.
Smithers e collaboratori (Smithers et al, 2008), in una revisione sistematica di trials randomizzati e controllati eseguiti su neonati pretermine per testare gli effetti di formule supplementate con LC-PUFA (sono stati inclusi neonati con età gestazionale inferiore alle 37 settimane e supplementati per almeno 1 mese), non hanno individuato chiare differenze nello sviluppo neurologico (valutato in termini di punteggio ricavato dalla versione I o II dei Bayley Scales of Infant Development) di neonati supplementati o non supplementati (i due gruppi peraltro non differivano nemmeno in termini di rischio di enterocolite necrotizzante o sepsi). Sebbene ancora non sia chiaro se in definitiva la supplementazione nell’uomo faccia delle differenze è chiaro invece che le stesse supplementazioni si traducono in migliori performances ai test di abilità (apprendimento, memoria e capacità di risolvere un problema) in roditori e primati.
Henriksen, in uno studio randomizzato in doppio cieco, placebo-controllato ha valutato l’effetto della supplementazione di latte materno con LC-PUFA in 141 neonati di peso alla nascita inferiore a 1400 grammi. La supplementazione consisteva nell’aggiunta di 32 mg di DHA e 31 mg di AA per 100 ml di latte umano a partire da una settimana di vita fino al momento della dimissione (per una media di circa 9 settimane). A 6 mesi i neonati che erano stati supplementati avevano migliori risultati in termini di “recognition memory” e “problem solving”. (Henriksen et al, 2008)
Diversi articoli sono stati pubblicati sull’argomento: alcuni a favore della supplementazione con LC-PUFA, altri meno a favore (Forsyth and Carlson, 2001; Gibson et al, 2001; Koletzko et al,2001; Lauritzen et al, 2001; Simmer et al, 2001)
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Il contenuto di LA nei latti artificiali presenta profonde variazioni (dal 10% al 45% del totale degli acidi grassi) a seconda delle direttive che variano da paese a paese.
La nascita pretermine interrompe l’apporto placentare e quindi la disponibilità di DHA e AA per la sintesi di lipidi strutturali. Dal momento che l’80% dell’accumulo fetale di DHA e AA si verifica durante gli ultimi 3 mesi di gravidanza ne deriva che nei neonati pretermine le riserve di DHA e AA sono particolarmente deficitarie.
Dagli studi condotti sull’argomento sembra che la supplementazione con omega 3 in pretermine conduca almeno inizialmente a effetti benefici sull’acuità visiva. Sono invece pochi i dati sugli effetti di tale supplementazione sulla funzione cognitiva: in circa la metà degli studi sembra che l’aggiunta di LC-PUFA comporti un certo miglioramento dell’attenzione visiva e dello sviluppo cognitivo. I parametri antropometrici sembrano invece non essere in generale influenzati dalla somministrazione con LC-PUFA. (Fleith and Clanidinin, 2005)
In definitiva viene comunque consigliato per l’alimentazione dei neonati pretermine un apporto di LCPUFA pari a quello che si avrebbe in neonati allattati con latte materno ovvero una combinazione di AA e DHA in rapporto di circa 1.5 con un contenuto di DHA di almeno lo 0.4%. Interessanti sono i risultati di un vecchio studio in cui Bitman e collaboratori (Bitman et al, 1983) valutando il contenuto del latte materno in relazione all’età gestazionale del neonato hanno dimostrato livelli di LC-PUFA nel latte inversamente proporzionali all’epoca gestazionale del figlio (come pure tali livelli risultavano più alti nel colostro rispetto al latte maturo).
Allo stesso modo la supplementazione per i neonati a termine può essere considerata sicura e se non altro in grado di permettere al neonato allattato artificialmente di raggiungere gli stessi livelli ematici di PUFA che avrebbe se allattato con latte materno (Fleith and Clanidinin, 2005). Nonostante ciò secondo le due cochrane del 2011 non ci sono chiare evidenze nè in termini di benefici a lungo termine nè in termini di danno per quanto riguarda l’uso di supplementazione in neonati pretermine così come non ci sarebbero ancora i presupposti per raccomandare la supplementazione routinaria delle formule per neonati a termine. (Schulzke et al, 2001;Simmer et al, 2011)
Dal punto di vista della normativa se si va a leggere la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 30 dicembre 2006 circa la composizione essenziale degli alimenti per lattanti si trova che possono essere aggiunti gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga (20 e 22 atomi di carbonio) (LCP), che:
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- non devono superare il 2 % del tenore totale di grassi per LCP n-6 [l’1 % del tenore totale di acido arachidonico (20:4 n-6)];
- il tenore di acido eicosapentanoico (20:5 n-3) non deve superare il tenore di acido docosaesanoico (22:6 n-3);
- il tenore di acido docosaesanoico (22:6 n-3) non deve superare il tenore di LCP n-6; - il coefficiente di acido linoleico/alfa-linolenico deve essere compreso tra 5 e 15.
Tabella 1. Livelli di assunzione raccomandati di acidi grassi essenziali (LARN Revisione 1996)
Categoria Età (anni) Omega-6
% energia Omega-6 g/die Omega-3 % energia Omega-3 g/die Lattanti 0,5-1 4,5 4 0,2-0,5 0,5 Bambini 1-3 3 4 0,5 0,7 4-6 2 4 0,5 1 7-10 2 4 0,5 1 Maschi 11-14 15-17 ≥18 2 2 2 5 6 6 0,5 0,5 0,5 1 1,5 1,5 Femmine 11-14 15-17 ≥18 2 2 2 4 5 4,5 0,5 0,5 0,5 1 1 1 Gestanti 2 5 0,5 1 Nutrici 2 5,5 0,5 1
Da ricordare che alcuni studi come quello pubblicato nel 2008 da Helland e collaboratori (Helland et al, 2008) hanno inoltre esplorato il rapporto tra apporto di LC-PUFA e obesità infantile. Va sottolineato prima di tutto che le due principali famiglie di LC-PUFA (omega 6 e omega 3) spesso hanno azioni opposte: così, mentre l’acido arachidonico (omega 6) ha un’azione adipogenica, il DHA (omega 3) ha un’azione anti-adipogenica.
Nello studio di Helland non è stata individuata alcuna correlazione tra contenuto di n-6 PUFA a catena lunga nel latte materno e BMI a 7 anni di età, è stato però osservato che il contenuto di ALA nel latte materno 4 settimane e 3 mesi dopo il parto correlava positivamente con il BMI così come Kennedy e collaboratori hanno pubblicato nel 2010 uno studio condotto su 107 bambini evidenziando maggior peso corporeo e maggiore adiposità tra i 9 e gli 11 anni in
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femmine nate pretermine e randomizzate nel gruppo supplementato con LC-PUFA mentre nessun effetto era evidenziabile nei maschi appartenenti allo stesso gruppo. (Kennedy et al, 2010)
Con il limite del confronto tra studi animali e studi condotti nell’uomo questo è in contrasto con quanto riportato in studi precedenti nel topo in cui un alto apporto dietetico di ALA si traduceva in un ridotto incremento nel peso corporeo. Lauritzen in uno studio del 2005 (Lauritzen et al, 2005) ha osservato che la supplementazione con olio di pesce in madri in allattamento portava nei figli ad aumentati BMI e circonferenza vita a 2 anni e mezzo di età mentre in un altro studio (Groh-Wargo et al, 2005) è stato dimostrato che neonati pretermine supplementati con AA e DHA avevano minor massa grassa e maggior massa magra a 12 mesi di vita rispetto a neonati non supplementati. Fino ad ora però quindi niente di conclusivo ed univoco è stato definito in termini di rapporto tra LC-PUFA e BMI.
6. NASCITA PRETERMINE ED OUTCOME COGNITIVO
Il tasso di mortalità infantile negli Stati Uniti si è ridotto dai valori di 12/1000 nati vivi nel 1980 ai circa 7 ogni 1000 nati vivi nel 1998. (Bhutta et al, 2002)
A questa riduzione del tasso di mortalità si è però accompagnato parallelamente un incremento nelle diagnosi in età scolare di neuro-disabilità. Numerosi studi osservazionali su bambini nati pretermine seguiti dalla nascita all’età scolare hanno valutato gli outcome cognitivi e comportamentali. Anche in quei soggetti in cui non erano riscontrabili evidenti deficit neurologici venivano individuate anomalie sottili quali inferiori punteggi ai test cognitivi o anomalie comportamentali.
Nonostante ciò la reale ampiezza dell’effetto “nascita pretermine” sull’outcome cognitivo e comportamentale in età scolare è sconosciuta.
In una revisione condotta nel 2002 da Bhutta e collaboratori su di un totale di circa 227 studi caso-controllo pubblicati tra il 1980 ed il 2001 è risultato che bambini nati pretermine erano a rischio di avere ridotte capacità cognitive (con valori medi di scores cognitivi in età scolare direttamente proporzionali alla loro prematurità). (Bhutta et al, 2002)
Secondo i dati riportati nella revisione di Hack e Fanaroff il 34% dei nati a 23 settimane di età gestazionale (EG) svilupperebbe severe disabilità (intendendo con questo problemi cognitivi,
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paralisi cerebrale infantile, cecità o sordità) contro il 22-45% dei nati a 24 settimane ed il 12-35% dei nati 25 settimane (Hack e Fanaroff, 2000).
Secondo i dati pubblicati nel 2000 dall’EPICURE study group, e riguardanti la popolazione di Regno Unito e Irlanda nel 1995, a 30 mesi di età deficit di qualche tipo venivano riscontrati nella metà dei bambini nati ad una età gestazionale uguale o inferiore alle 25 settimane. In particolare il 19% dei bambini presentava un severo ritardo di sviluppo, il 10% una severa disabilità neuromotoria, il 2% cecità più o meno completa, il 3% deficit uditivo grave (Wood et al, 2000). Tra i bambini con severa disabilità a 30 mesi di età l’86% aveva ancora disabilità da moderata a severa all’età di 6 anni. (Marlow et al, 2005)
Senza considerare che è stato visto che fino al 52% dei Very Low Birth Weight (VLBW) acquisiscono successivamente necessità di un qualche tipo di supporto in relazione a forme più o meno importanti di disturbi dell’apprendimento (Rivkin et al, 2000). Alterazioni del comportamento possono svilupparsi anche solo in età adolescenziale con disturbi di vario grado afferenti alla sfera psichiatrica (Indredavik et al., 2005).
Ai deficit motori spesso corrispondono anomalie focali identificabili all’ecografia cerebrale o alla risonanza magnetica mentre vi sono evidenze che difetti cognitivi si associno a più sottili anomalie della sostanza bianca cerebrale riconoscibili ad esempio come un aumento diffuso di segnale nelle immagini pesate in T2 o incremento del coefficiente di diffusione nell’imaging “diffusion weighted”.
Ad outcome di diverso grado corrispondono cambiamenti anatomici poco definiti. (Kapellou et al, 2006; Dyet et al, 2006; Anjari et al, 2007)
La Risonanza Magnetica, in particolare se eseguita al Term Equivalent Age è la tecnica che sempre più sta prendendo piede come mezzo di valutazione precoce del danno neurologico in neonati pretermine. Dal momento che fortunatamente, danni grossolani come la leucomalacia cistica periventricolare sono sempre meno frequentemente riscontrabili, l’attenzione si concentra oggi sempre più sulla presenza di alterazioni non focali della sostanza bianca. Studi di risonanza magnetica cerebrale hanno rivelato che la maggior parte dei neonati fortemente pretermine mostrano, se studiati ad un’epoca pari circa al termine di gravidanza, anomalie della sostanza bianca tra cui perdita di volume, anomalie cistiche, dilatazione dei ventricoli, assottigliamento del corpo calloso e ritardo di mielinizzazione ma anche anomalie della sostanza grigia tra cui ridotto volume della stessa, ritardata “girazione” corticale. In alcuni studi tali anomalie sono state correlate ad un ritardo precoce del neurosviluppo. (Woodward et al, 2006)
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Woodward e collaboratori, hanno studiato, in un lavoro pubblicato nel 2006, 167 ex pretermine (età gestazionale ≤ 30 settimane) riscontrando nel 17% dei bambini a due anni un grave ritardo cognitivo, nel 10% un ritardo psicomotorio severo, in un 10% paralisi cerebrale e in altro 11% deficit neurosensoriali. Anomalie della sostanza bianca cerebrale da moderate a severe erano presenti nel 21% nei neonati considerati a “term equivalent age” ed erano predittive per i deficit riscontrabili a due anni di età (ritardo cognitivo e motorio, paralisi cerebrale, deficit neurosensoriali). Le anomalie della sostanza grigia risultavano anch’esse associate, sebbene con minor forza, con ritardo cognitivo, ritardo motorio e paralisi cerebrale. (Woodward et al, 2006)
Semplificando ad uso del neonatologo i principi di funzionamento della risonanza magnetica si può dire che la valutazione mediante RM della diffusione protonica è basata sulla misurazione del movimento Browniano delle molecole (intendendo per moto Browniano il moto disordinato e casuale delle particelle presenti in fluidi o sospensioni fluide) e può caratterizzare le proprietà di diffusione dell’acqua per ogni voxel di un’immagine (intendendo per voxel–o pixel volumetrico- l’elemento di volume che rappresenta un valore di intensità di segnale o di colore in uno spazio tridimensionale). In pratica mi permette di studiare il movimento delle molecole di acqua e le interazioni tra questo e anatomia microscopica (nel nostro caso cerebrale). Infatti interazioni tra l’ambiente intra ed extra cellulare che si verificano in caso di danno influiscono sulla diffusione di molecole di acqua determinando quindi perturbazioni del loro flusso diffusivo.
Se esposti ad un forte campo magnetico il movimento diffusivo delle molecole di acqua si traduce in una perdita di segnale alla risonanza magnetica.
Il più recente sviluppo in termini di imaging RM in diffusione è rappresentato dal tensore di diffusione, che è una tecnica in grado di mettere in evidenza non solo l’entità della diffusione, ma anche la direzione della diffusione delle molecole di acqua nei tessuti.
Il movimento delle molecole di acqua può essere di tipo “sferico” o “ellissoidale”. Nel primo caso le molecole si muovono ugualmente in tutte le direzioni con un movimento che viene definito “isotropo”. Nel secondo caso le molecole si muovono in una direzione preferenziale per cui il loro movimento viene definito “anisotropo”. Nella sostanza bianca cerebrale, dove i fasci di fibre sono strettamente addensati, le molecole di acqua si trovano costrette a muoversi lungo fasci preferenziali assumendo pertanto un comportamento di tipo “anisotropo”. Una riduzione della diffusione anisotropica è stata osservata in diverse condizioni patologiche che coinvolgono la mielina o l’integrità assonale. La Frazione di Anisotropia (FA) è la tecnica di diffusione più usata per caratterizzare l’ellissoide in merito alla sua estensione. Il range di
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valori relativi alla FA è compreso tra zero (isotropia) e uno (massima anisotropia) ed il suo valore aumenta durante il normale sviluppo encefalico. (Partridge et al, 2004; Huppi et al, 2006;Totaro)
La risonanza magnetica cerebrale del neonato pretermine presenta delle caratteristiche peculiari. Innanzitutto l’elevato contento di acqua dell’encefalo del pretermine si traduce in tempi T1 e T2 relativamente lunghi dando luogo ad un basso segnale alle immagini della sostanza bianca pesate in T1. Nel pretermine, a livello della sostanza bianca immatura del centro semiovale e periventricolare si alternano diversi strati ad alta e bassa intensità di segnale. Nel grande pretermine (24-25 settimane di EG) questi strati sono 4 e sono rappresentati rispettivamente da: corteccia, sostanza bianca sottocorticale, una regione intermedia costituita da cellule in migrazione ed una zona periventricolare di sostanza bianca in fase di sviluppo. Queste bande di alta e bassa intensità di segnale del centro semiovale e della sostanza bianca periventricolare si continuano a livello delle corna anteriori e posteriori dei ventricoli laterali con quelle strutture che si chiamano rispettivamente “caps” e “arrowheads”. E’ stato visto che in alcuni ex pretemine valutati all’incirca a termine di gravidanza si osserva una intensità di segnale eccessivamente elevata nelle immagini pesate in T2 che si estende oltre “caps e “arrowheads” verso la sostanza bianca sottocorticale e consistente con tessuto gliale. Questo reperto è stato descritto come una forma lieve di leucomalacia periventricolare talora associata a dilatazione ventricolare e assottigliamento del corpo calloso ma in rapporto ancora non ben definito con possibili deficit tardivi neurocognitivi.
La migrazione neuronale verso la corteccia è completa intorno alle 20-24 settimane di età gestazionale mentre la migrazione, la proliferazione e la differenziazione delle cellule gliali sembra proseguire in epoca in post-natale. In epoche gestazionali precoci l’aspetto cerebrale è tipicamente liscio (lissencefalia) ma man mano che si sale di età gestazionale si comincia a sviluppare il tipico aspetto convoluto della corteccia cerebrale (con proporzionale aumento dell’area di superficie). Ritardi in questo processo di “folding” corticale possono essere o meno correlati a conseguenze in termini di neurosviluppo.
In alcuni ex pretermine si può evidenziare, ad un’epoca corrispondente al termine di gravidanza, una dilatazione dei ventricoli e un ampiamneto degli spazi cerebrali che potrebbero suggerire un processo di atrofia cerebrale ma che potrebbero anche scomparire ai controlli successivi. (Rutherford et al, http://www.mrineonatalbrain.com)
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7. DISEGNO DELLO STUDIO
E’ a partire dai risultati preliminari in tale senso dei colleghi del Team di Ricerca del Dipartimento di Pediatria dell’Imperial College di Londra che è nata l’idea di paragonare l’outcome neonatale, auxologico e neurologico di neonati con o senza polimorfismi a livello del cluster genetico delle desaturasi In particolare abbiamo confrontato neonati carriers del polimorfismo a singolo nucleotide rs174576 sul gene FADS2 con neonati senza il polimorfismo. E’ stato scelto questo particolare polimorfismo in quanto, secondo i risultati preliminari presentati dai colleghi inglesi al Pediatric Academic Society Annual Meeting di Aprile 2012 a Boston (Boardman et al, 2012) tale variante genica risulterebbe associata ad una riduzione della frazione di anisotropia alla risonanza magnetica cerebrale. Il primo obiettivo è stato quello di confrontare i due gruppi in termini di gestione nutrizionale, e quindi in definitiva di diverso apporto di acidi grassi a catena lunga. Lo scopo era quello di escludere una diversità in termini di apporto nutrizionale e in particolare di acidi grassi a catena lunga tra i due gruppi di pazienti in modo tale da poter escludere che i risultati in termini di outcome generale e all’imaging cerebrale fossero influenzati da un diverso apporto di LC-PUFA nei due gruppi. Abbiamo voluto quindi confrontare gli stessi neonati in termini di outcome visivo, respiratorio, “immunologico” e auxologico. Per avere poi una valutazione precoce dell’evoluzione neurologica di tali neonati siamo andati a valutare, in modo macroscopico, semplificando il più possibile ad uso del neonatologo e soprattutto senza avere le pretese di poter interpretare le caratteristiche più specifiche propriamente di pertinenza del neuroradiologo, i risultati dell’ecografia cerebrale e della risonanza magnetica (risultati macroscopici e non funzionali, estrapolabili da una semplice refertazione dell’esame) ad
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PAZIENTI E METODI
1. INTRODUZIONE A “ PAZIENTI E METODI”
Il nostro studio è andato a valutare, retrospettivamente, i neonati ricoverati presso la terapia intensiva neonatale di terzo livello del Queen Charlotte’s and Chelsea Hospital dell’Imperial College di Londra nel periodo compreso tra il febbraio 2004 ed il febbraio 2009 per un totale
di 115 neonati con età gestazionale compresa tra 23 e 33 settimane di età gestazionale. Tra questi 115 neonati sono stati selezionati 72 neonati dei quali è stato possibile ottenere
risonanza magnetica cerebrale postnatale ad un’età il più vicino possibile alle 40 settimane di età postmestruale ed analisi genetica per la ricerca di polimorfismi a livello del gene per la desaturasi 6 FADS2.
2. PARAMETRI CONSIDERATI
I 72 neonati sono stati classificati in base al risultato dell’analisi genetica: 40 sono risultati carriers del polimorfismo a singolo nucleotide rs174576 (in eterozigosi o omozigosi) sul gene FADS2; 32 sono risultati non-carriers.
2.1. Parametri auxologici
Sono stati presi in considerazione i parametri auxologici alla nascita e ad un’età postmestruale di circa 36 settimane (valore assoluto di peso espresso in grammi e di circonferenza cranica espresso in cm e deviazione standard o DS dalla media sia per il peso che per la circonferenza cranica in relazione all’età gestazione del neonato espressa in settimane). Per ciascun neonato è stata valutata l’appartenenza o meno al gruppo “Small for Gestational Age” (o SGA) (definendo nel nostro caso specifico “SGA” il neonato con peso alla nascita inferiore al 2° percentile). Per il calcolo di percentile e deviazione standard dalla media per peso e circonferenza cranica è stato utilizzato il software Excel add-in LMSgrowth che si avvale delle Neonatal and Infant Close Monitoring UK-WHO Growth charts (curve di crescita per pretermine realizzate combinando gli standard di crescita britannici con quelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). (Allegati B e C).
26 2.2. Parametri nutrizionali
Sono state poi considerate le modalità di alimentazione enterale e parenterale valutando per ciascun neonato: numero totale di giorni di alimentazione parenterale, precocità inizio alimentazione con latte materno, giorni impiegati a raggiungere un’alimentazione enterale esclusiva (“Full Enteral Feeds”), giorni totali di alimentazione con latte materno o con latte di banca, esposizione o non esposizione a latte in formula o a fortificanti, prevalenza nei primi 10 giorni di vita di una alimentazione considerabile più ricca di acidi grassi a catena lunga (nel caso in cui i neonati siano stati alimentati maggiormente con latte materno o formula) o più povera di LC-PUFA (in caso di nutrizione prevalentemente costituita da nutrizione parenterale o latte di banca). Il latte di banca o “donor milk” utilizzato è quello proveniente dalla banca del latte del Queen Charlotte’s and Chelsea Hospital. Tale latte è stato utilizzato, previo consenso genitoriale, in caso di indisponibilità o controindicazioni all’utilizzo del latte materno in tutti i neonati con età gestazionale (EG) inferiore alle 30 settimane o in neonati di età gestazionale superiore alle 30 settimane se considerabili ad alto rischio (in caso di chirurgia addominale, “End Diastolic Flow” assente o invertito, Intra Uterine Growth Restriction in neonati con peso alla nascita inferiore ai 1800 grammi o in caso di neonati emodinamicamente instabili con necessità di prolungato supporto con inotropi). Tale latte è stato in genere utilizzato per i neonati a basso rischio fino al raggiungimento di una alimentazione enterale totale mentre in quelli ad alto rischio per un periodo ulteriore variabile da caso a caso da 1 a 3 settimane. Il latte di banca è stato considerato a basso contenuto di LC PUFA. Secondo alcuni autori infatti le metodiche di pastorizzazione cui viene sottoposto inattivano lipasi che sono fondamentali nel permettere un efficiente assorbimento dei lipidi. (Andersson et al, 2007) Secondo altri autori invece le metodiche di pastorizzazione non andrebbero a modificare il livello di LC-PUFA ma nonostante ciò i livelli di DHA e di ARA (ma anche LA e ALA) nel latte di banca sarebbero inferiori rispetto a quelli previsti nel latte materno; ancora è da chiarire, per tali autori, se la causa di ciò stia nella diversa epoca di
lattazione delle donatrici o in qualche altro fattore. (Valentine et al, 2010; Baak et al, 2012) L’alimentazione enterale è stata fornita seguendo le seguenti linee guida: in neonati con EG
inferiore alle 28 settimane o peso inferiore ad 1 Kg o in soggetti considerabili ad alto rischio è stata iniziata in prima giornata di vita ad una dose di 20 ml/Kg/die somministrando latte con sondino naso-gastrico ogni 2 ore per aumentare in seconda giornata di vita di 20 ml/kg/die e continuare nei giorni successivi con il medesimo tasso di incremento fino al raggiungimento di 150 ml/Kg/die e poi stabilizzarsi su tale dose totale per 3-4 giorni, per poi ricominciare nuovamente ad incrementare la dose fino ad un totale di 180 ml/Kg/die. In neonati con EG
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compresa tra le 28 settimane e le 32 settimane di età gestazionale è stata invece iniziata in prima giornata di vita ad una dose di 30 ml/Kg/die somministrando latte ogni 2-3 ore per aumentare in seconda giornata di vita di 30 ml/kg/die e continuare nei giorni successivi con il medesimo tasso di incremento fino al raggiungimento della dose desiderata. Infine in neonati con EG superiore alle 32 settimane il nutrimento enterale è stato iniziato in prima giornata di vita ad una dose di 30-60 ml/Kg/die somministrando latte ogni 3-4 ore per aumentare in seconda giornata di vita di 30 ml/kg/die e continuare nei giorni successivi con il medesimo tasso di incremento fino al raggiungimento della dose desiderata. L’apporto di liquidi per via parenterale è stato invece iniziato in prima giornata di vita ad una velocità di 120 ml/Kg/die nei neonati con EG inferiore alle 28 settimane, 90 ml/Kg/die tra le 28 e le 30 settimane, 60 ml/Kg/die al di sopra delle 30. Per quanto riguarda la supplementazione con formula nei neonati con EG>35 settimane è stata utilizzato un latte artificiale per neonati a termine mentre al di sotto delle 35 settimane di EG è stata utilizzata una formula per pretermine (Nutriprem 1 al di sotto di 2,5 Kg di peso e Nutriprem 2 al di sopra di 2,5 Kg di peso). Da sottolineare che il latte Nutriprem 1 ha un contenuto medio su 100 ml di alimento di 80 Kcal, 2.4 gr di proteine, 4.4 gr di grassi, 7.9 gr di proteine mentre il latte Nutriprem 2 ha un contenuto medio su 100 ml di alimento di 75 Kcal, 2 gr di proteine, 4.1 gr di grassi e 7.5 gr di proteine. (Bates et al, 2005)
2.3. Valutazione outcome globale
Per ciascun neonato sono stati inoltre valutati parametri respiratori in termini di presenza o meno di broncodisplasia (definita come ossigenodipendenza a 28 giorni di vita nei neonati di EG inferiore alle 32 settimane o a 36 settimane di EG nei nati al di sopra di 32 settimane di EG), numero totale di giorni di assistenza respiratoria e in particolare numero di giorni di assistenza respiratoria non invasiva (CPAP) e numero di giorni di assistenza respiratoria invasiva (ventilazione meccanica convenzionale o ventilazione ad alta frequenza). Sulla base di quanto riportato in diagnosi di dimissione per ogni neonato (di cui peraltro è stata sottolineato se proveniente da gravidanza singola o multipla) sono stati poi valutati l’intercorrenza di altre condizioni patologiche quali: sepsi, ipoglicemia, retinopatia del Pretermine.
28 2.4. Outcome neurologico
Infine è stato valutato l’outcome neurologico in termini di imaging cerebrale. Abbiamo preso in considerazione il risultato dell’ultima ecografia cerebrale eseguita durante il ricovero del neonato classificando il risultato semplicemente come normale/anormale e le caratteristiche grossolane descritte nel referto della risonanza magnetica cerebrale eseguita intorno alle 40 settimane di età post mestruale.
Abbiamo associato i due risultati in quanto mentre l’ecografia cerebrale da ottimi risultati nell’individuazione di un’emorragia intraventricolare o di una leucomalacia cistica periventricolare è solo con la risonanza magnetica che si può pensare di andare ad individuare quelle anomalie prevalentemente della sostanza bianca cerebrale che diversi studi di risonanza magnetica hanno descritto come caratteristica tipica dell’imaging cerebrale condotto a circa 40 settimane di età post pomestruale in ex pretermine di alto grado (anomalie di segnale, perdita di sostanza, anomalie cistiche, dilatazione dei ventricoli, assottigliamento del corpo calloso e ritardata mielinizzazione ma anche, per quanto riguarda la sostanza grigia, ridotto volume o ridotta “cortical gyration”).
Per poter dare un significato ai reperti descrittivi della risonanza magnetica abbiamo preso come riferimento il criterio di classificazione utilizzato da Woodward e collaboratori nello studio pubblicato nel 2006 sul New england Journal of Medicine (Woodward et al, 2006). Le anormalità della sostanza bianca sono state classificate valutando 5 caratteristiche della stessa sostanza bianca, classificando ognuna di queste con un punteggio da 1 (normale) a 2 (lievi anomalie) a 3 (anomalie da moderate a severe).
Le 5 aree valutate da Woodward e riutilizzate per questa analisi sono (Woodward et al, 2006): 1. La natura e l’estensione delle anomalie di segnale della sostanza bianca:
grado 1 normale segnale della sostanza bianca nelle immagini T1- e T2-pesate grado 2 focali regioni (≤ 2 regioni per emisfero) di alto segnale in immagini T1 e T2 pesate
grado 3 multiple regioni (> 2 regioni per emisfero) di alto segnale in immagini T1 e T2 pesate
2. Perdita di volume della sostanza bianca periventricolare
Grado 1 normale volume della sostanza bianca periventricolare di solito associato a ventricoli piccoli
Grado 2 lieve riduzione di volume della sostanza bianca periventricolare con un aumento del volume ventricolare da lieve a moderato
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Grado 3 marcata riduzione di volume della sostanza bianca periventricolare spesso con marcato aumento del volume ventricolare e/o dello spazio extra assiale
3. Anomalie cistiche
Grado 1 normale, non anomalie cistiche Grado 2 singola cisti di meno di 2 mm
Grado 3 cisti multiple o una sola di almeno 2 mm 4. Dilatazione ventricolare
Grado 1 normale, non dilatazione ventricolare
Grado 2 moderata dilatazione che risulta in lieve arrotondamento dei lobi frontali, minima dilatazione dei lobi temporali e moderata dilatazione dei corni occipitali
Grado 3 generale dilatazione da moderata a severa comprendente significativa dilatazione dei corni frontali, temporali e occipitali
5. Assottigliamento del corpo calloso Grado 1 normale, non assottigliamento
Grado 2 assottigliamento focale del corpo calloso spesso visibile nella regione media del corpo calloso
Grado 3 assottigliamento globale
La combinazione di questi 5 parametri veniva quindi combinata fino ad ottenere uno score finale inquadrabile in una delle seguenti categorie:
1. no anomalie (punteggio da 5 a 6) 2. anomalie lievi (punteggio da 7 a 9)
3. anomalie moderate (punteggio da 10 a 12) 4. anomalie severe (punteggio da 13 a 15)
Oltre ai parametri che potevano essere inquadrati nell’indice di Woodward sono stati presi in considerazione altri parametri tra cui presenza o assenza di anomalie grossolane in termini di: presenza o meno di riduzione del “folding” corticale (0 normale, 1 ridotto “folding”, 2 “folding” molto ridotto), presenza o meno di anomalie dei gangli della base (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe), presenza o meno di anomalie della branca posteriore della capsula interna (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe), presenza o meno di anomalie cerebellari (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe), presenza o meno di anomalie del tronco encefalico (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe), presenza o meno di anomalie
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dello spazio extracerebrale (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe), presenza o meno di anomalie ventricolari (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe), presenza o meno di emorragia cerebrale (0 normale, 1 emorragia grado 1, 2 emorragia grado 2, 3 emorragia grado 3, 4 emorragia grado 4), presenza o meno di anomalie di mielinizzazione (0 normale, 1 anomalie, 2 anomalie severe).
In termini di emorragia si è parlato di grado 1 in caso di emorragia della matrice germinale, grado 2 in caso di emorragia intraventricolare (IVH) coinvolgente circa il 10-50% dell’area ventricolare, grado 3 se coinvolgimento di più del 50% del ventricolo laterale con dilatazione dello stesso, di grado 4 in caso di interessamento parenchimale.
3. DESCRIZIONE MODALITÀ ESECUZIONE ECOGRAFIA CEREBRALE E
RISONANZA MAGNETICA CEREBRALE
L’ecografia cerebrale è stata eseguita in tutti i neonati al momento del ricovero in terapia intensiva, quotidianamente durante i primi tre giorni, poi settimanalmente per 3 settimane e quindi al momento della dimssione o ad un’età corrispondente al termine di gravidanza a meno di esigenze diverse guidate dal quadro clinico. L’ecografia considerata nel nostro studio è stata l’ultima eseguita durante la degenza. E’ stata eseguita ottenendo 6 scansioni coronali (a livelli dei lobi frontali, a livello dei corni frontali dei ventricoli laterali, a livello del forame di Monro e del terzo ventricolo, a livello dei corpi dei ventricoli laterali, a livello del trigono dei ventricoli laterali e a livello dei lobi parieto-occipitali) e 5 scansioni longitudinali (sulla linea mediana attraverso terzo e quarto ventricolo, attraverso il ventricolo laterale a destra e a sinistra e attraverso l’insula a destra e a sinistra).
La risonanza magnetica è stata eseguita utilizzando il sistema Philips 3-Tesla disponibile all’interno della Unità Operativa di Neonatologia del Queen Charlotte’s and Chelsea Hospital system avvalendosi di un phased array head coil a 8 canali. Durante l’esecuzione del test tutti i neonati sono stati sedati con Chloral hydrate (30-50 mg/Kg) sotto la supervisione, previo monitoraggio dei parametri vitali, di un pediatra dedicato. Durante il test sono state utilizzate delle cuffie auricolari per proteggere il neonato dal rumore della risonanza magnetica ed un sistema di posizionamento del neonato con fissaggio dello stesso mediante utilizzo di un vacuum bag contenente granuli di polistirene.
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4. ANALISI GENETICA
Il DNA è stato estratto dalla saliva dei pazienti utilizzando un sistema di conservazione, stabilizzazione, trasporto e purificazione della DNAGenotek Inc.
La tipizzazione è stata eseguita utilizzando la MALDI-TOF mass spectrometry (Sequenom). Le sequenze del polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) sono state estratte dal HapMap genome browser e incluse se la frequenza dell’allele minore era superiore all’1%. Sul gene FADS2 7 SNPs sono risultati avere una frequenza dell’allele minore > del 5%. 40 neonati sono risultati essere portatori del polimorfismo rs174576.
5. ANALISI STATISTICA DEI DATI
5.1. Introduzione
L’analisi statistica dei dati è stata eseguita con l’utilizzo del programma statistico SPSS versione 16.0 previa consultazione di ampia documentazione relativa (Pallant J, 2007; de Sa Marques JP, 2007; Rao C.R et al, 2008; Bowers D, 2008; Harry M et al, 2004). Per la correzione dei dati mediante regressione ho invece utilizzato la versione 20 del medesimo programma SPSS. Inizialmente i dati sono sono stati organizzati in modo da poter essere analizzati in SPSS. Quindi sono passata alla statistica descrittiva.
5.2. Statistica descrittiva
Ho quindi iniziato l’analisi partendo dalla statistica descrittiva delle variabili categoriche. Per proseguire poi l’analisi con la statistica descrittiva delle variabili continue che, oltre a fornire informazioni sulle caratteristiche delle variabili continue, ne ha fornito anche una prima vaga definizione in termini di distribuzione definendo per ciascun valore Skewness e Kurtosis. La Skewness, infatti, da un’indicazione della simmetria della distribuzione mentre la Kurtosis da informazioni sulla ripidità della distribuzione considerando che se la distribuzione fosse perfettamente normale si dovrebbero ottenere in teoria valori di Skewness e Kurtosis pari a 0.
32 5.3. Analisi tipo di distribuzione
Una volta eseguita una prima descrizione del campione ho valutato la normalità della distribuzione delle variabili continue mediante il test di Kolmogorov-Smirnov (normalità definita da un risultato non significativo ovvero una significatività > 0,05). Sono risultate avere una distribuzione normale le seguenti variabili: circonferenza cranica alla nascita (valore assoluto e DS), peso alla nascita espresso come deviazione standard dalla media, circonferenza cranica intorno a 36 settimane di EG espresso come deviazione standard dalla media.
Figura 4.1. Valutazione della normalità: rappresentazione della distribuzione del parametro circonferenza cranica
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Figura 4.2. Valutazione della normalità: rappresentazione (istogramma) della distribuzione del parametro peso alla
nascita espresso come DS dalla media
Figura 4.3. Valutazione della normalità: rappresentazione della distribuzione del parametro peso alla nascita
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Figura 4.4. Valutazione della normalità: rappresentazione (istogramma) della distribuzione del parametro
circonferenza cranica alla nascita espresso come DS dalla media
Figura 4.5. Valutazione della normalità: rappresentazione della distribuzione del parametro circonferenza cranica
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Figura 4.6. Valutazione della normalità: rappresentazione (istogramma) della distribuzione del parametro
circonferenza cranica a "term equivalent age" espresso come DS dalla media
Figura 4.7. Valutazione della normalità: rappresentazione della distribuzione del parametro circonferenza cranica a
"term equivalent age" espresso come DS dalla media