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<i>Servi</i> e <i>liberti</i> nella Sardegna romana alla luce della documentazione epigrafica

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI

Dipartimento di Storia

Scuola di Dottorato di Ricerca

“Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo”

Ciclo XXII

S

ERVI E LIBERTI NELLA

SARDEGNA ROMANA

ALLA LUCE DELLA DOCUMENTAZIONE EPIGRAFICA

Direttore

della Scuola di Dottorato Tesi di Dottorato di Prof. PIERO BARTOLONI MARIA BASTIANA COCCO

Tutor

Prof. PAOLA RUGGERI

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Alla mia famiglia, che mi ha insegnato con parole ed opere che la libertà di ciascuno di noi è figlia del rispetto per il prossimo e dell‟amore per la creatura umana e per ogni altra forma di vita.

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M

ARIA

B

ASTIANA

C

OCCO

S

ERVI E LIBERTI NELLA S

ARDEGNA ROMANA

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INDICE

PARTE PRIMA: SCHIAVITÙ E SERVITÙ IN SARDEGNA IN ETÀ ANTICA 9

Introduzione 13

Per una storia degli studi sullo schiavismo in età antica 19

I. L‟ ETÀ FENICIO-PUNICA 37

1. Forme di asservimento in Sardegna in età preromana 2. La fondazione di Feronia: una città di schiavi? II. L‟ ETÀ REPUBBLICANA 51

1. La prigionia di guerra e i Sardi venales 2. Il bellum servorum tra i liberti di Ottaviano e di Sesto Pompeo 3. Tigellio e il suo libertus M. Tigellius Hermogenes III. L‟ ETÀ IMPERIALE 61

1. Il latifondo in Sardegna. La presenza a Olbia di Claudia Aug(usti) lib(erta) Acte e la distribuzione sul territorio sardo delle proprietà imperiali IV. L‟ ETÀ TARDOANTICA 71

1. Il colonato, la legislazione di Costantino e le eredità lasciate al mondo medievale 2. Le leggi tardoantiche sugli aurileguli V. ECONOMIA E SOCIETÀ 79

1. Il sistema di produzione schiavistico nell‟economia agraria della Sardegna 2. Il lavoro schiavile nelle saline, nelle miniere, nelle fabbriche laterizie 3. I signacula sardi di schiavi e liberti 4. Servitus publica nelle città della Sardegna romana 5. Vernae privati ed imperiali nell‟epigrafia della Sardinia 6. Gli alumni nelle iscrizioni latine della Sardegna VI. SERVI E LIBERTI NELLE CITTÀ DELLA SARDINIA 129

1. Karales e l‟ager karalitanus 2. Sulci e il territorium sulcitanum 3. Metalla 4. Tharros e il suo territorium 5. Aquae Ypsitanae-Forum Traiani 6. Forum Augusti e Luguido 7. Turris Libisonis e la pertica turritana 8. Olbia e l‟olbiensis ager VII. LA RELIGIONE 167

1. Le classi sociali inferiori e la vita religiosa pagana 2. Servitù e cristianesimo VIII. DAL MONDO ANTICO AL MEDIOEVO 177

1. Forme di continuità sociale nel passaggio dall‟età tardoantica all‟età dei Giudicati:

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PARTE SECONDA: SERVI E LIBERTI NELLA SARDEGNA ROMANA:

LA DOCUMENTAZIONE EPIGRAFICA 183

Avvertenze al catalogo epigrafico 185

Criteri utilizzati per la costituzione del catalogo 186

Il patrimonio epigrafico 187

I materiali e i supporti 190

CATALOGO DELLE ISCRIZIONI 201

CAGLIARI PIRRI QUARTU S.ELENA ASSEMINI SESTU DONORI NURAMINIS VALLERMOSA SANLURI S.NICOLÒ GERREI S.MARIA DI VILLAPUTZU PULA S.ANTIOCO SANTADI GONNESA ANTAS FLUMINIMAGGIORE GRUGUA-BUGGERRU S.MARIA DI NABUI GUSPINI S.GAVINO MONREALE TORRE S.GIOVANNI DI SINIS SANTA GIUSTA S‟ARCHITTU NURACHI SAMUGHEO BUSACHI AIDOMAGGIORE ASSOLO ALLAI FORDONGIANUS AUSTIS N.SIGNORA DI CASTRO,OSCHIRI TORTOLÌ BOSA CUGLIERI PORTO TORRES N.SIGNORA DI TERGU LOC.ZUNCHINI LOC.BAGNI DI SORSO LAGO DI BARATZ LOC.CAPO TESTA S.TERESA DI GALLURA OLBIA TELTI PROVENIENZA SCONOSCIUTA INSTRVMENTVM INDICI EPIGRAFICI 835

CONCORDANZE CON LE PRINCIPALI RACCOLTE EPIGRAFICHE 865

BIBLIOGRAFIA 873

Abbreviazioni bibliografiche Bibliografia generale

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PARTE PRIMA

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Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. Seconda metà del III sec. d.C. Coppia di appliques bronzee, certamente appartenenti ad un medesimo oggetto. La figura a sinistra rapresenta un individuo in età avanzata, ormai calvo, abbigliato con tunica, mantello e alti calzari, che compie il gesto dell‟adlocutio con la mano destra e stringe un volumen nella mano sinistra; la figura a destra rappresenta invece un giovane scalzo con una folta chioma, dai tratti somatici africani, con una tunica piuttosto corta sotto il mantello, che tiene ferma con la mano destra una lanterna: sicuramente un dominus con il suo servus lanternarius.

Da AA. VV., Il museo archeologico Nazionale di Cagliari, a cura di V. SANTONI,

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INTRODUZIONE

Nell‟ampio panorama delle ricerche sulla storia della Sardegna antica, uno studio di carattere sistematico relativo alla presenza dei ceti servili nell‟isola durante l‟età romana1 non è stato finora realizzato affrontando l‟argomento all‟interno di una specifica ed esauriente monografia, sebbene il tema prescelto in realtà si presti a numerose applicazioni ed approfondimenti, soprattutto in relazione al conseguimento degli obiettivi perseguiti con i recenti aggiornamenti e i continui nuovi lavori di ricerca sulla storia antica dell‟isola, grazie ai quali stanno emergendo con sempre maggior chiarezza i molteplici aspetti del suo peculiare percorso storico e culturale: lo sviluppo delle istituzioni, dell‟economia, della vita sociale, delle espressioni religiose ed artistiche di una terra che, considerata nelle fonti letterarie ora come felice e prospera, ora come poco urbanizzata, infestata dalla malaria e dai popoli ribelli ostili alla romanizzazione, è stata comunque, per attuale concorde opinione degli studiosi, «profondamente inserita» nelle dinamiche e nelle articolate relazioni tra le diverse sponde del Mediterraneo antico.

Questo lavoro è finalizzato alla ricostruzione di un quadro organico (e contemporaneamente attento alle differenti peculiarità locali, in particolar modo alle differenze tra aree urbane e rurali) riguardante la distribuzione spaziale e il ruolo socio-culturale (oltre che strettamente economico) rivestito nell‟antichità nella società isolana da un lato da parte della componente sociale servile, adibita a svariati ruoli di servizio tra le mura domestiche e nelle aree urbanizzate, ma attiva soprattutto come manodopera nelle campagne, dall‟altro dalla componente libertina, categoria sociale che può essere definita “mobile”, spesso legata nelle province ad interessi economici e politici di imperatori e importanti esponenti dei ricchi ceti dirigenti italici; un tale progetto non può che partire necessariamente dai numerosi singoli contributi offerti di volta in volta negli anni sugli schiavi e i liberti della Sardinia dai maggiori esperti della storia antica e in particolare romana dell‟isola (sebbene questi contributi si siano rivelati spesso parziali e in qualche modo dispersi nell‟ambito della letteratura storica, giuridica, archeologica ed epigrafica relativa alla provincia), scritti dei quali questa mia ricerca si è fondamentalmente ed abbondantemente nutrita.

Il ruolo svolto dall‟istituto della schiavitù e dal duttile ordo libertinorum nella società e soprattutto nell‟economia isolana è stato infatti un argomento trattato più volte, sotto diversi aspetti, in numerosi lavori pubblicati da vari studiosi di differente formazione: in relazione a tematiche dominanti come quelle socio-economiche e giuridiche, toponomastico-territoriali, etniche e linguistiche oltre che strettamente storiche; nella pubblicazione di vecchie e nuove iscrizioni; oppure all‟interno di mirati percorsi di approfondimento, che attraverso accurate monografie e con la pubblicazione degli Atti di Convegni incentrati su alcuni siti o aree sub-regionali, hanno ricostruito lo spaccato storico e le specificità di alcune realtà locali antiche (come avvenuto ad esempio per le aree funerarie dell‟antica Karales, per Turris e la sua

1 Il progetto di ricerca “Servi e liberti nella Sardegna romana alla luce della documentazione epigrafica” nasce

dalle esigenze di approfondimento della mia tesi di Laurea, discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell‟Università degli Studi di Sassari nel corso dell‟a. a. 2005-2006, dal titolo “Schiavi e liberti nella Sardegna romana attraverso le attestazioni epigrafiche” (relatori i proff. Paola Ruggeri e Attilio Mastino).

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pertica, per l‟agro olbiense, per l‟Oristanese e le sue antiche città, e ancora per il Sulcis, l‟Ogliastra, ecc.).

Il nostro compito è stato innanzitutto quello di riunire il maggior numero di informazioni sugli schiavi e i liberti della Sardinia già a disposizione della comunità scientifica, spesso ricavate in corpo o a margine degli articoli citati in bibliografia, e di valorizzare l‟indispensabile contributo offerto dalle testimonianze epigrafiche per lo studio dei servi e dei liberti attestati nell‟isola in epoca romana, ponendo così le basi per una rielaborazione globale della documentazione2 e tentando di presentare, a partire da tali dati, quali siano stati lo sviluppo, le forme diffuse e le eredità lasciate dal fenomeno servile in Sardegna attraverso la tarda antichità fino al Medioevo, quando le fonti (e in particolar modo i condaghi) si soffermano sulla contrapposizione di lieros e di servos, registrano la presenza di ankillas, di coliuertas, di colivertos, di collegane in qualità di componente dei collegi e delle associazioni, infine di terrales de fittu, categorie complesse frutto della trasformazione storica delle antiche istituzioni sociali e giuridiche codificate nella giurisprudenza romana classica e tardoantica come servi, liberti e conliberti3.

Non sembra inoltre inopportuno ricordare in questa sede come la storia possa spesso insegnarci a leggere o spiegare determinati processi che talvolta hanno regolato anche le dinamiche del nostro presente o del recente passato; e non ci riferiamo soltanto alla diffusa opinione che la Sardegna, in virtù del proprio “isolamento” e delle proprie peculiarità economiche agricole e pastorali, abbia profondamente conservato con immobilismo nella propria identità l‟impronta della romanizzazione fino alle soglie dell‟industrializzata realtà contemporanea, ma pensiamo anche all‟indirizzo dato dai Romani alle vocazioni economiche dei singoli territori, e alla struttura insediativa differenziata tra i più grossi centri costieri da un lato e i piccoli abitati sparsi interni dall‟altro, i quali si presentano sotto molti punti di vista in linea di continuità con le vicende del passato storico e nello specifico “romano” della provincia sarda.

A dimostrazione di una tale continuità e di come spesso la storia si ripeta con meccanismi similari, basti ricordare ad esempio come il conflitto tra i pastori, arretrati in maniera forzata verso le aree interne, e i coltivatori (liberi o asserviti ai possessores italici) che esercitavano una pressione per il controllo delle terre fertili precedentemente destinate al pascolo, abbia caratterizzato le vicende storiche dell‟isola nell‟antichità come nell‟appena trascorso Novecento: dopo la seconda guerra mondiale la legislazione sulla concessione delle terre incolte alle cooperative di agricoltori ha ristretto considerevolmente l‟ampiezza delle aree pascolative a vantaggio di quelle coltivate, in modo non troppo diverso da quando, dopo le guerre puniche e la conquista romana della Sardegna cartaginese, lo sfruttamento cerealicolo fu ampliato per soddisfare la richiesta di grano dell‟Urbe; le conseguenze di quelle prime guerre imperialistiche e di quelle successive condotte nel bacino del Mediterraneo ci permettono di tornare più strettamente al nostro tema, quello della schiavitù: disabituando da un lato i cittadini-soldati romani dal lavoro dei campi, dall‟altro favorendo il commercio degli schiavi come manodopera a basso costo, la conquista del Mediterraneo aprì la strada alla diffusione successiva del latifondo e della piantagione schiavistica; e ciò avvenne anche in Sardegna, come dimostrano sia la documentazione archeologica (anche se le villae sarde

2 In questa prospettiva di lavoro, un testo particolarmente interessante dal quale trarre spunti di riflessione e

indirizzi metodologici sia per l‟impostazione della ricerca, sia dal punto di vista della rielaborazione del materiale, si è rivelato quello di L.LAZZARO, Esclaves et affranchis en Belgique et Germanies romaines d‟après les sources épigraphiques (Annales Littéraires de l‟Université de Besançon, 430), Paris 1993: per questo nostro filone di studi, che potremmo definite di tipo sociologico-epigrafico, il volume di Lazzaro è stato definito una sorta di “modello” da parte di M. A. LEVI, Deux recueils sur l'esclavage dans l'Empire, DHA, XIX, 2 (1993), pp.

400 ss.

3 Cfr. A. MASTINO, Le eredità romane nella Sardegna medievale, in Storia della Sardegna antica, Nuoro 2005,

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furono meno articolate ed opulente di quelle italiche; non dimentichiamo comunque che il latifondo era affiancato dalla persistenza della piccola proprietà contadina, prevalentemente a conduzione familiare e destinata ai fabbisogni locali), sia per certi versi anche la documentazione epigrafica. La natura stessa del suolo sardo, condizionato dalla malaria e votato rigidamente alla cerealicoltura sin dall‟età punica, fece della coltivazione per mezzo di schiavi il metodo più adatto, conveniente e diffuso anche nelle campagne sarde.

Nel tentativo di ripercorrere la storia della presenza degli schiavi e dei liberti in Sardegna, le fonti a nostra disposizione sono state essenzialmente di quattro tipi: storico-letterarie, giuridiche, epigrafiche ed archeologiche.

Per l‟età repubblicana disponiamo essenzialmente di fonti letterarie e di alcune eccezionali fonti epigrafiche, tra le quali spicca senz‟altro la base trilingue bronzea di San Nicolò Gerrei (II sec. a.C.).

Per l‟età tardoantica invece risultano veramente illuminanti i dati ricavabili dalle costituzioni imperiali di Costantino e di alcuni imperatori successivi, insieme ad altri interessanti documenti epigrafici (la menzione di (servi) vulgares in un‟iscrizione incisa su un cippo rinvenuto presso Tortolì (III-IV sec. d.C.); il singolare mattone della schiava (H)elenopoli(s) (seconda metà del IV sec. d.C.); un collare di schiavo conservato a Cagliari (V-VI sec. d.C.); la citazione dell‟attività di personale dipendente (salinarum pertinent[es]) presso le saline di Karales ancora nel VI-VII sec. d.C.).

Ma la gran parte delle testimonianze epigrafiche rimaste rimonta soprattutto alla piena età imperiale, documentando il ruolo svolto dai gruppi sociali inferiori sia negli insediamenti urbani sia nel popolamento rurale dell‟isola, mettendo in evidenza come buona parte degli abitanti delle città costiere sarde (e dei territoria ad esse pertinenti) fosse di bassa estrazione sociale, mentre risulta di tipo prevalentemente schiavile la forza-lavoro utilizzata nei latifondi privati e imperiali, ampiamente attestati in varie parti della Sardegna, nonché nello sfruttamento delle principali risorse economiche: nelle miniere, nelle saline, nelle fabbriche laterizie, forse anche nelle cave di granito galluresi, dalle quali però non giungono finora testi epigrafici inscritti espliciti in tal senso.

Nella ricerca delle attestazioni epigrafiche è risultata fondamentale l‟analisi onomastica4 degli individui ricordati sui supporti (prevalentemente di tipo funerario), laddove non fosse esplicitamente dichiarata la loro natura di schiavi e liberti privati, pubblici o imperiali (servus, ser(vus), s(ervus); libertus, lib(ertus), l(ibertus); conservus; conlibertus; actor; alumnus; ancilla; contubernalis; verna; ser(vus) pub(licus); fisci (servus); municipi l(ibertus); accensus consulum; tabul(arius) prov(inciae); tabular(ius) pertic(ae); Caes(aris) n(ostri) ser(vus); Aug(usti) ser(vus); Aug(usti) n(ostri) s(ervus); Aug(usti) lib(ertus), Aug(usti) l(ibertus); Aug(ustorum trium) ver(na); proc(urator) metallorum et praediorum; proc(urator) cal(endarii); regionarius; disp(ensator); arcarius; arkarius praediorum; vic(arius); ἀπελεύθεπορ).

La tendenza ad omettere la qualifica di servus o libertus sui tituli è molto forte, ma un‟attenta osservazione degli indizi contenuti nei testi (soprattutto il nome unico, la mancata indicazione del patronimico e della tribù di appartenenza, la presenza di cognomina greco-orientali o direttamente traslitterati dal greco, cognomina desinenti in –anus, la presenza di gentilizio imperiale oppure derivato dal cognomentum del municipium o della colonia di appartenenza), talvolta unita alla tipologia dei supporti (frequente ad esempio l‟uso della cupa o del simbolo dell‟ascia in relazione ad individui di bassa estrazione sociale, come la riutilizzazione dei supporti o la scelta di forme collettive di sepoltura quali i columbaria da parte di servi e più in generale di individui di umili origini o precarie condizioni

4 Sull‟onomastica della Sardinia vd. oggi P. FLORIS, Sintesi sull‟onomastica romana in Sardegna, in L‟Africa

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economiche) permette di ipotizzare l‟origine servile o libertina di molti personaggi, anche se non indicata espressamente.

Un ultimo richiamo, inoltre, al tema della subalternità, della sottomissione familiare e lavorativa, dello sfruttamento e della mancanza di libertà nel mondo antico: questa può essere un‟occasione per riflettere ancora sui molti aspetti della vita sociale dell‟antichità ignorati e sottaciuti dalla grande storiografia, per parlare di quella che gli studiosi hanno definito “storia dei minimi”5, che oggi sembra interessare gli storici di professione forse molto più di quanto non riescano a fare nell‟interesse del lettore comune le attuali vivissime forme di sottomissione e sfruttamento economico, psicologico e culturale a carico di quelli che sono i servi dei nostri giorni, purtroppo soprattutto donne e bambini: peso forse troppo grande da reggere per le nostre coscienze che rifiutano di ammettere come possano ancora esistere al mondo situazioni e condizioni di indigenza e violenza tali da poter innegabilmente affermare che i soprusi e le ingiustizie sociali continuano ad esistere oggi come in quella società classica profondamente fondata sulla diseguaglianza, un modello di società che tanti secoli di storia e di lotte sociali ci illudono di aver migliorato, di essere riusciti a rivoluzionare, ma concretamente e in misura apprezzabile solo all‟interno del nostro ristretto orizzonte geografico e sociale6. E probabilmente, oggi, non soltanto nei luoghi più poveri della Terra, ma anche all‟interno delle nostre grandi città multiculturali e delle nostre complesse società multirazziali, stiamo ormai assistendo alla ricomparsa di sempre più evidenti forme di diseguaglianza sociale, che del resto sono destinate ad accentuarsi in conseguenza della grave crisi economica che in tutto il mondo occidentale ha colpito anche quell‟ampia fascia di popolazione un tempo ritenuta “classe media”, quel ceto di onesti lavoratori autonomi in difficoltà che purtroppo, insieme ai giovani disoccupati e agli operai licenziati dalle fabbriche nell‟indifferenza generale delle istituzioni, si sta sempre più pericolosamente avvicinando alla soglia della povertà, peraltro già piuttosto diffusa tra molti pensionati ed extracomunitari; e anche se questo tipo di diseguaglianze si fondano principalmente su una base economico-sociale e non implicano in alcun modo, bisogna pur sottolinearlo, la perdita giuridica della libertà individuale, che invece è alla base della nozione stessa di schiavitù e nello specifico della schiavitù nel mondo antico7, tali diseguaglianze vanno comunque e sempre più in profondità ad intaccare un aspetto strettamente collegato alla consapevolezza degli uomini di essere in possesso della libertà personale: la capacità di autodeterminazione, che rappresenta l‟essenza della dignità umana.

5 N. CRINITI, Imbecillus sexus. Le donne nell‟Italia antica, Brescia 1999, pp. 9 ss.

6 K. BALES, I nuovi schiavi. La merce umana nell‟economia globale, Saggi Universale Economica Feltrinelli,

Milano 2002 (trad. it. a cura di M. NADOTTI di K. BALES, Disposable People: New Slavery in the Global Economy, University of California Press 1999). Kevin Bales, militante di Anti-Slavery International, è Presidente di Free the Slaves ed Emeritus Professor of Sociology presso il Roehampton Institute dell‟Università del Surrey (United Kingdom); è probabilmente il maggiore esperto mondiale sulle forme di schiavitù contemporanee.

7 GAIUS, Inst. I, 9: Et quidem summa divisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt

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La storiografia classica fu prodotta dalle classi dirigenti ad uso e consumo delle classi dirigenti, secondo il proprio parziale punto di vista, ignorando consapevolmente e intenzionalmente il mondo dei subalterni (soldati, proletari, liberti, schiavi, donne e bambini, prostitute e stranieri), sul lavoro e l‟appoggio dei quali si reggeva di fatto la propria supremazia. Così per cercare di ricostruire la storia dei servi, e dei liberti che in origine erano servi anch‟essi, si deve necessariamente andare a ripercorrere la storia dei loro padroni, dei loro interessi economici e politici, la rete delle loro clientele e dei loro traffici commerciali.

Dalle fonti letterarie sulla Sardegna possiamo apprendere le notizie relative al progressivo assoggettamento dell‟isola in età repubblicana, fino alla coniazione del famoso e dispregiativo appellativo Sardi venales (177-176 a.C.); per l‟età dell‟impero possiamo ricavare alcune preziose notizie relative all‟ampiezza dei fondi imperiali e alla floridezza di alcune piantagioni di pregio, come quelle possedute ancora nel V secolo d.C. da Palladio a Neapolis; possiamo però avere menzione esplicita della condizione di disagio in cui versavano i lavoratori delle campagne, ormai precursori dei medievali servi della gleba, soltanto attraverso alcune costituzioni imperiali del IV secolo, con le quali si cercò di trovare soluzioni immediate ad un generalizzato malessere delle campagne che avrebbe portato al crollo delle stesse strutture sulle quali si reggeva a fatica l‟impero tardoantico.

Dove le fonti letterarie, attente agli aspetti politici, militari e istituzionali, hanno taciuto o sorvolato, ancora più prezioso diviene il contributo delle fonti archeologiche e soprattutto epigrafiche, che ci permettono di carpire qualcosa di più della vita quotidiana dei più umili, dei non-liberi e di coloro che, anche da ex-schiavi manomessi, difficilmente potevano liberarsi del loro infamante passato servile. E proprio il desiderio di integrazione, di lasciare una qualche traccia della loro esistenza e dei loro sentimenti, emerge con efficacia dalla categoria più nutrita dei reperti epigrafici pervenutici, i monumenti funerari con i loro epitafi più o meno semplici, testimonianza della consistenza del numero di questi individui, del calore dei loro affetti familiari e dei legami di amicizia con i compagni di servitù, del manifesto bisogno di autoaffermazione (tendenza tipicamente libertina) che animava questa fetta consistente della popolazione antica, ed entro il suo ristretto orizzonte geografico anche di quella delle città della Sardinia.

Anche sugli epitafi sardi gli schiavi, per legge senza un nome e senza diritti neppure sui propri figli8, considerati meramente degli oggetti, instrumentum vocale9 nelle mani del proprio dominus, rivendicano il loro diritto ad essere padri, ad avere mogli e figli che chiamano uxor, coniunx, filii esattamente come gli ingenui. Molto più sporadiche invece le attestazioni epigrafiche provenienti dalle campagne, dove i servi rurali paiono essere massa muta e senza iniziativa: menzionati prevalentemente sui cippi di confine, i servi tornano quindi ad essere nuovamente visti soltanto all‟interno dell‟ottica degli interessi economici dei loro domini.

Ottimi rapporti diretti con i propri padroni dovevano avere invece alcuni servi e liberti urbani, come L(ucius) Atilius Felix e [L(ucius) Ati]lius Eutychus, liberti di Atilia Pom[p]tilla, celebrata come mamm[a o]ptima a Karales sulle pareti della Grotta delle Vipere; e non devono essere mancati anche nelle città della Sardegna casi di ricchi liberti, esempi di quei gruppi sociali emergenti spesso visti con sospetto nelle fonti tradizionali, addirittura con ostilità e non senza un pizzico di invidia per la posizione economica raggiunta: di questi faceva sicuramente parte il C(aius) Vehilius C(ai) l(ibertus) Coll(ina

8 PAUL., Dig. 4, 5, 3, 1: servile caput nullum ius habet.

9 Cfr. VARR., De re rustica, I, 17, 1: De fundi quattuor partibus, quae cum solo haerent, et alteris quattuor, quae

extra fundum sunt et ad culturam pertinent, dixi. Nunc dicam, agri quibus rebus colantur. Quas res alii dividunt in duas partes, in homines et adminicula hominum, sine quibus rebus colere non possunt; alii in tres partes, instrumenti genus vocale et semivocale et mutum, vocale, in quo sunt servi, semivocale, in quo sunt boves, mutum, in quo sunt plaustra.

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tribu) Rufus, committente di una splendida urna cineraria in marmo bianco di fabbrica urbana, rinvenuta a Turris Libisonis; un ruolo fondamentale nell‟amministrazione provinciale e del patrimonium imperiale devono inoltre aver ricoperto alcuni Augusti liberti, una vera e propria prestigiosa categoria sociale, alla quale appartenevano T(itus) Aelius Aug(usti) lib(ertus) V[i]ctor, proc(urator) ripae e Marcianus Aug(usti) lib(ertus), tabular(ius) pertic(ae) Turr(itanae) et Tarrh(e)ns(is) a Turris Libisonis, o ancora Diadumenus Aug(usti) ser(vus) disp(ensator) Epaphrodit(ianus) a Karales e Servatus Aug(ustorum duorum) lib(ertus), proc(urator) metallorum et praediorum, menzionato su un cippo proveniente da Fordongianus, e questo per citare qui solo alcuni degli esempi più rappresentativi.

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PER UNA STORIA DEGLI STUDI SULLO SCHIAVISMO IN ETÀ ANTICA

A voler utilizzare le parole di Jean Christian Dumont nell‟Introduction générale alla sua opera “Servus. Rome et l‟esclavage sous la République”, «bisognerebbe senza dubbio poter vivere più di una vita per leggere tutto quanto è stato scritto sulla schiavitù antica»10. In effetti a giudizio di chi, come me, abbia cercato di apprestarsi all‟approfondimento di questo tema con spirito analitico, senza ambiziose pretese ma animato dal serio intento di documentarsi, la bibliografia sull‟argomento si è presentata da subito vastissima, sia per quanto riguarda le monografie che le raccolte antologiche11. Da questo amplissimo panorama bibliografico emergono una pluralità di esiti, problemi, opinioni che hanno prodotto nel tempo un “affollamento di posizioni”12 nell‟ambito dell‟acceso dibattito sul ruolo storico ed ideologico ricoperto dalla schiavitù nel mondo antico, promosso a livello internazionale a partire dalla riflessione marxista, fino ad arrivare ai più recenti contributi editi.

Pertanto, premettendo fin d‟ora l‟impossibilità di fornire in questa sede un quadro esauriente dei testi che compongono una bibliografia tanto sterminata, tenteremo di ripercorrere sinteticamente le tappe fondamentali della storia degli studi13, rimandando per gli approfondimenti alle indicazioni bibliografiche riportate nella parte finale, frutto del resto anch‟esse di una selezione incentrata innanzitutto sulle principali ed imprescindibili opere di riferimento e sui nuovi apporti al tema pubblicati negli ultimi anni.

Per molti secoli a partire dall‟età del Rinascimento, teologi e filosofi si erano interessati alla schiavitù solamente dal punto di vista di una sua valutazione “morale”, tentando ora di giustificarla come istituzione utile e positiva, ora di condannarla per i suoi risvolti eccessivamente violenti; ancora nell‟Ottocento, Henry Wallon14 sembrava cavalcare in parte questa linea, alla quale già dal XVIII secolo si stava affiancando una nuova prospettiva di studio, interessata alla schiavitù per il suo ruolo economico, sociale, istituzionale nelle civiltà del passato: questo differente punto di vista incentivò da allora la raccolta di materiale documentario sullo schiavismo e portò man mano a ricercarne gli specifici caratteri di sviluppo, interessandosi principalmente al mondo romano, in misura invece molto inferiore al mondo greco ed ellenistico.

10 J. CH. DUMONT, Servus. Rome et l‟esclavage sous la République, Collection de l‟École Française de

Rome-103, Roma 1987, p. 1: «il faudrait sans doute mettre bout à bout plusieurs vies humaines pour lire tout ce qui a été écrit sur l‟esclavage antique».

11 Per G. CLEMENTE, Qualche osservazione sulla schiavitù romana, «Opus», 1, 1982, p. 187 e A. STORCHI

MARINO, Schiavitù e forme di dipendenza in Roma arcaica, in Schiavi e dipendenti nell‟ambito dell‟«oikos» e della «familia», Atti del XXII Colloquio GIREA, Pontignano (Siena) 1995, a c. di M.MOGGI-G.CORDIANO, Pisa

1997, p. 183 nota 1, l‟ampiezza bibliografica in merito alla schiavitù antica risulta addirittura “disperante”.

12 Vd. D. MUSTI, Prefazione alla trad. it. di Y. GARLAN, Les esclaves en Grèce ancienne, Paris 1982, p. VII. 13 A questo scopo ci siamo serviti sostanzialmente delle indicazioni fornite dal Dumont nella già citata

Introduction générale a Servus. Rome et l‟esclavage sous la République, pp. 2 ss. e in Y. GARLAN, Les esclaves en Grèce ancienne, Paris 1982 (trad. it. Gli schiavi nella Grecia antica, Milano 1984), pp. 7 ss. Per un panorama generale sulle opere relative alla storia della schiavitù dal Rinascimento fino alla prima metà del Novecento vd. i 1707 titoli elencati in J. VOGT-N.BROKMEYER, Bibliographie zur antiken Sklaverei, Bochum 1971; J. VOGT, Ancient slavery and the ideal of man, Oxford 1974; M. RASKOLNIKOFF, La recherche soviétique et l‟histoire économique et sociale du monde ellénistique et romain, Strasbourg 1975; N. BROKMEYER, Antike Sklaverei,

Darmstadt 1979; M. I. FINLEY, Schiavitù antica e ideologia moderna, Roma-Bari 1981 (trad. it. di Ancient

Slavery and Modern Ideology, London 1980).

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Fu con lo sviluppo dell‟economia capitalistica e con l‟opera critica di Marx ed Engels, a metà dell‟Ottocento, che il dibattito sulla schiavitù in età antica prese decisamente avvio; nell‟ottica comunista di Marx l‟umanità si è evoluta per tappe progressive, attraverso cicli iterati di lotta fra classi contrapposte15; conoscere le società precapitalistiche, secondo Marx, può di conseguenza essere utile a comprendere l‟origine del capitalismo stesso: da qui l‟esigenza di occuparsi della schiavitù nel mondo antico, che tuttavia Marx non analizzava con sistematicità, restando piuttosto ad un livello di comparazione generico, pur basato su una certa padronanza nella trattazione della storia e della letteratura greco-latina. Il marxismo traeva esempi dal mondo classico nella misura in cui questi esempi risultavano utili alla giustificazione della teoria di una storia basata sul conflitto di classi, ma il dibattito così inaugurato si è dimostrato in seguito terreno fecondo producendo i suoi frutti, a lungo termine, anche in direzioni divergenti dai presupposti iniziali.

Nell‟immediato l‟influsso dell‟ideologia marxista condizionò l‟opera di alcuni storici dell‟antichità vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo come Ciccotti16 e Salvioli17, e fornì nuovi spunti di riflessione ad alcuni sociologi come Karl Bücher18 e Max Weber19.

È però dopo la seconda guerra mondiale che vi è stata una crescita esponenziale di interesse nei confronti della schiavitù antica, soprattutto dietro la spinta di importanti istituti di ricerca, di varia nazionalità; secondo Dumont nella seconda metà del Novecento possono essere individuati, in campo internazionale, quattro principali filoni di riflessione: una corrente sovietica, contrapposta alla cosiddetta “scuola di Magonza” capeggiata da J. Vogt, una linea indipendente impostata dall‟opera di Moses I. Finley, infine la corrente rappresentata da un gruppo di studiosi occidentali di ispirazione marxista, attivi principalmente in Francia e in Italia, i quali però si sono riallacciati in modo non dogmatico alla critica comunista del capitalismo.

Il gruppo di ricerca sviluppatosi nell‟attuale ex-Unione Sovietica ed Europa dell‟Est, sulla base di un piano settennale di studi sulla schiavitù antica elaborato in U.R.S.S. a partire dal 1960, ha prodotto un nutrito numero di opere di difficile accesso, soprattutto per i problemi di reperibilità materiale oltre che per quelli legati alla conoscenza della lingua russa; esse sono rimaste a lungo ignote al mondo occidentale a causa della chiusura culturale determinata dalla guerra fredda, ma oggi disponiamo di un‟ampia analisi di questo materiale grazie all‟opera, in lingua francese, di M. Raskolnikoff20. Nel panorama russo emerge senz‟altro l‟opera di E. M. Štaerman, che oggi fa parte a pieno titolo della bibliografia di

15 Ecco uno dei capisaldi esposti da Marx e Engels nel famosissimo Manifesto del partito comunista del 1848:

«La storia di ogni società esistita fino a questo momento è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve oppressori ed oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle prime epoche della storia troviamo quasi dappertutto una completa divisione della società in varie caste, una multiforme gradazione delle posizioni sociali. Nell‟antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, maestri d‟arte, garzoni, servi della gleba, e per di più in quasi ciascuna di queste classi altre speciali gradazioni. La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti fra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche».

16 E. CICCOTTI, Il tramonto della schiavitù nel mondo antico, Torino 1899 (ristampato a Bari nel 1977 con una

introduzione di M. Mazza).

17 G. SALVIOLI, Il capitalismo antico, Bari 1929.

18 K. BÜCHER, Die Entstehung der Volkswirtschaft, Tübingen 1893. 19 M. WEBER, Die römische Agrargeschichte, Stuttgart 1891.

20 M. RASKOLNIKOFF, La recherche soviétique et l‟histoire économique et sociale du monde ellénistique et

romain, Strasbourg 1975; ID., Dix années de recherches soviétiques sur l‟histoire économique et sociale du monde romain, «Ktema», 5, 1980, pp. 3 ss.

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riferimento sulla schiavitù antica21. I problemi trattati da questo filone di studi hanno interessato essenzialmente la storia delle rivolte servili, riprendendo spesso il concetto di classe così come era stato applicato erroneamente da Marx al mondo antico; in realtà oggi riteniamo che una definizione di “classe” non possa essere applicata retroattivamente alle società antiche, o almeno non nei termini nei quali la concepiamo oggi.

Sempre nel clima della guerra fredda e in opposizione alla scuola sovietica, già dal 1951 si era sviluppata in Europa occidentale l‟iniziativa dell‟Accademia di Magonza, che vide tra i suoi promotori antimarxisti autori importanti come J. Vogt, e che al di là delle implicazioni ideologiche ebbe il grosso merito di produrre una serie di monografie incentrate su diversi aspetti dello schiavismo, sollevando temi interessanti come il rapporto dei ceti asserviti con la religione, la guerra come fonte primaria di reperimento di manodopera schiavile, lo studio della terminologia nelle fonti letterarie in materia di schiavi, infine raccogliendo un buon nucleo di documentazione relativa all‟utilizzazione del lavoro servile nel settore artigianale ed in particolare nelle fabbriche ceramiche.

J. Vogt, uno dei fondatori della scuola di Magonza, raggruppò i suoi scritti in una prima raccolta del 1965, Sklaverei und Humanität, poi tradotta in più lingue22; pur avendo sviluppato delle idee interessanti, tuttavia la propaganda ideologica antimarxista contro la scuola sovietica ha spinto spesso Vogt e i suoi seguaci a contraddirsi sulla base di conclusioni a priori, finalizzate soprattutto alla confutazione delle teorie marxiste.

Anche l‟opera di uno studioso americano, W. L. Westermann23, autore tra l‟altro della voce Sklaverei nella Real Encyclopädie del 193524, sembra inserirsi nel solco della polemica antisovietica tracciato dalla scuola di Magonza, fornendo da un lato validi spunti di documentazione, ma dimostrandosi incapace di comporre un quadro storico unitario, di riallacciare le informazioni raccolte all‟interno di una prospettiva d‟insieme.

A Moses I. Finley va invece riconosciuto doverosamente il merito di aver assunto nel panorama degli studi sullo schiavismo una propria posizione indipendente, in virtù di un‟autonomia di analisi e di giudizio, libera di esprimersi senza le costrizioni ideologiche che l‟appartenenza ad una scuola, oppure ad un centro di studi posto sotto le direttive statali può talvolta determinare, come nel caso del filone di studi sovietico sopra ricordato. Finley si concentrò essenzialmente sulla schiavitù nel mondo greco-romano, approfondendo gli aspetti socio-economici del fenomeno servile. Nel 1960 curò una raccolta di scritti, Slavery in Classical Antiquity25, dove venivano presentati anche contributi di Vogt e di Westermann; ad essa vanno aggiunti almeno due lavori personali, divenuti oggi classiche opere di riferimento sulla schiavitù: una sulla storia economica del mondo antico edita nel 197326 e l‟altra, di impostazione più specifica, edita nel 198027.

Finley seppe porsi dialetticamente in opposizione sia rispetto ai sovietici che alla scuola di Vogt; non pose alla base della sua analisi presupposti condizionati da un‟ideologia politica, tentando piuttosto di abbandonare il campo ristretto della teoria per cercare di formulare sintesi scientificamente documentate. Nonostante Finley costituisca un modello da imitare per la sua lucidità d‟analisi e per l‟attenzione dimostrata verso gli aspetti economici della

21 E.M.ŠTAERMAN-M.K.TROFIMOVA, La schiavitù nell‟Italia imperiale, I-III secolo, Roma 1975 (trad. it., con

prefazione di M. Mazza).

22 J. VOGT, Ancient Slavery and the ideal of Man, Oxford 1974.

23 W. L. WESTERMANN, The slave system of Greek and Roman antiquity, Philadelphia 1955. 24 Vd. W. L. WESTERMANN, RE, suppl. VI, 1935, coll. 894-1068, s. v. Sklaverei.

25 M. I. FINLEY, Slavery in Classical Antiquity, Cambridge 1960 (ried. 1964, 1968).

26 M. I. FINLEY, L‟economia degli antichi e dei moderni, Roma-Bari 1974 (trad. it. di The Ancient Economy,

London 1973).

27 M. I. FINLEY, Schiavitù antica e ideologia moderna, Roma-Bari 1981 (trad. it. di Ancient Slavery and Modern

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schiavitù antica, secondo i suoi critici peccò comunque nell‟aver voluto dare un‟immagine troppo monolitica, poco differenziata della schiavitù, individuando in linea di massima l‟opposizione tra due sole tipologie di schiavismo, la schiavitù-merce classica e quella di tipo comunitario, sul modello ilotico greco, mentre oggi si sottolinea piuttosto la variabilità e talvolta la coesistenza tra diverse forme di asservimento o di costrizione economica, differenziate non solo sulla base di fattori geografici e/o cronologici, ma a volte anche complementari tra loro28. Finley riconosceva come società autenticamente schiavistiche l‟Atene classica e la Roma imperialistica come le società schiavistiche del Sud degli Stati Uniti nel XIX secolo, utilizzando lo stesso modello di schiavitù-merce per l‟antichità come per la storia più recente; l‟errore in questo senso sta nell‟aver fatto un quadro monolitico di sintesi dell‟economia antica, nell‟aver ricercato un modello valevole per situazioni storicamente diverse, dimenticando le specificità che differenziano tra loro le comunità umane, nel tempo e nello spazio.

Anche nell‟Europa occidentale, negli anni Settanta del XX secolo, si è sviluppato sulla scia del pensiero marxista un filone di ricerche interessate alla schiavitù antica, ancora una volta focalizzando l‟attenzione documentaria sul mondo greco-romano, ma cercando di sottrarsi al dogmatismo ideologico sovietico: questi marxisti occidentali hanno prodotto una serie di lavori pubblicati in parte dall‟Istituto Gramsci nel 1978 in Analisi marxista e società antiche. Un posto di rilievo all‟interno di questo ambiente occupano ancora oggi i Colloques sur l‟esclavage, promossi dal 1970 al 1973 in Francia dal Centre de recherche d‟histoire ancienne di Besançon: la pubblicazione degli Atti di questi primi Convegni ha avuto il merito di raccogliere diversi contributi internazionali sul tema della schiavitù, mentre il limite principale del Centre di Besançon è stato, in quel momento e secondo J. Ch. Dumont, quello di aver applicato alle fonti letterarie classiche un metodo fallace di analisi linguistica, che conduceva a soluzioni ritenute semplicistiche, e perciò risultante privo di credibilità scientifica agli occhi della critica.

In Italia gli studiosi marxisti che si sono occupati di storia antica interessandosi della schiavitù hanno convogliato le loro ricerche in due importanti opere collettive, promosse sempre dalla sezione Antichistica dell‟Istituto Gramsci, fondato nel 1974: Società romana e produzione schiavistica29 e Società romana e Impero tardoantico30, due raccolte attente da un lato alle fonti letterarie e giuridiche, dall‟altro a quelle archeologiche ed epigrafiche, che combinate tra loro forniscono un quadro puntuale e differenziato regionalmente dell‟economia italica e degli scambi nel Mediterraneo dal II sec. a.C. al II sec. d.C. e ancora dall‟età Severiana alla fine del mondo antico.

Purtroppo queste opere si occupano più dell‟economia di tipo schiavistico che degli schiavi in se stessi; essi invece sono divenuti più direttamente protagonisti degli studi sulle società antiche promossi durante gli ultimi decenni. In primo luogo, questo è sicuramente il caso dell‟importante monografia, già più volte citata, di J. Ch. Dumont, Servus. Rome et l‟esclavage sous la République, Roma 1987 e, più recentemente, del volume Schiavi e

28 Nell‟ampio spettro delle forme di dipendenza oggi distinguiamo non soltanto tra schiavitù-merce (la chattel

slavery anglosassone), servitù sacra, servitù intracomunitaria (ad es. servitù per debiti) o intercomunitaria (cioè tra comunità diverse: è il caso ad es. della servitù di tipo ilotico), o ancora tra società schiavistiche ed altre, come quelle ellenistiche, fondate saldamente sul modo di produzione asiatico (MPA), a metà strada tra libertà teorica e servitù assoluta; ricordiamo infatti che all‟interno di una stessa struttura economica potevano coesistere il modo di produzione più propriamente schiavistico e forme di lavoro salariato stagionale: è questo il caso delle stesse villae italiche, sede per eccellenza del sistema di produzione schiavistico, dove durante i periodi di lavoro più intenso (raccolto, vendemmia) si usufruiva ampiamente anche del salariato libero accanto al lavoro tradizionale degli schiavi.

29 AA.VV., Società romana e produzione schiavistica, a cura di A.GIARDINA-A.SCHIAVONE, III voll.,

Roma-Bari 1981.

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dipendenti nell‟ambito dell‟«oikos» e della «familia», Atti del XXII Colloquio GIREA (Groupe International de Recherches sur l‟Esclavage Antique), Pontignano (Siena) 1995, a cura di M. MOGGI-G.CORDIANO, Pisa 1997, dove sono affrontati i molti diversi aspetti della

vita degli schiavi, separando la realtà socio-economica più specificamente greca e magnogreca da quella romana, con attenzione particolare al contributo delle fonti letterarie teatrali a fianco di quelle storiche, filosofiche, accanto all‟epistolografia, ai trattati tecnici degli agronomi e ai testi giuridici, fornendo nuovi spunti di riflessione sui rapporti umani tra padroni e schiavi e sull‟esistenza quotidiana dei gruppi sociali inferiori, sulle pratiche della manomissione, sui problemi legati alla corretta comprensione della terminologia, articolata e complessa, spesso ambigua, utilizzata nelle fonti letterarie per indicare gli schiavi destinati a funzioni differenti. Una Tavola rotonda ricca di spunti di approfondimento sul tema dello schiavismo in età antica, dal titolo «Dépendants et esclaves dans l‟Afrique Mineure et l‟Egypte de l‟Antiquitè», (XXIII sessione annuale del GIREA di Besançon, all‟epoca diretto dal compianto Pierre Lévêque) si è inoltre svolta negli Anni Novanta ad Olbia all‟interno del Calendario dei lavori del XII Convegno Internazionale di Studi «L‟Africa Romana», curato per l‟Università degli Studi di Sassari da Attilio Mastino, i cui Atti, come di consueto regolarmente pubblicati e messi ad immediata disposizione della comunità scientifica internazionale, hanno raccolto gli importanti contributi offerti in questa sede da numerosi studiosi della storia del Mediterraneo antico, aprendo un‟ampia parentesi sulle peculiarità manifestate dal fenomeno servile in età romana nel mondo nordafricano31.

Alla figura tipicamente romana del libertus, con particolare attenzione alla fase repubblicana, è stata dedicata alla fine degli anni Sessanta del XX secolo l‟opera di S. Treggiari32; una importante monografia, incentrata ancora sull‟età romana repubblicana, con un interesse specifico per le differenti pratiche di manomissione, per la sfera giuridica, per il rapporto iterato di dipendenza dal vecchio dominus e per la capacità dei liberti di rivendicare, accanto ad una propria consistenza patrimoniale, anche un nucleo familiare effettivo, è stata realizzata da G. Fabre e pubblicata nel 1981 dall‟École Française de Rome con il titolo Libertus. Patrons et affranchis à Rome. Recherche sur les rapports patron-affranchi à la fin de la République romaine33.

Un settore di studi privilegiato è rappresentato poi dalle opere dedicate ai servi e ai liberti della familia Caesaris durante l‟epoca romana imperiale: opere imprescindibili in questo senso sono i contributi di P. R. C. Weaver34e di G. Boulvert35, con particolare attenzione ai dati ricavabili dalle fonti epigrafiche al fine di stabilire un primo approccio alla localizzazione, l‟estensione e l‟organizzazione amministrativa delle proprietà imperiali distribuite sul terreno provinciale, gestite spesso da questa privilegiata categoria di servi privati dell‟imperatore, che entrano man mano, a partire dall‟età Giulio-Claudia, a far parte come figure istituzionalmente riconosciute dell‟amministrazione burocratica e finanziaria dell‟impero romano, per essere progressivamente affiancati e poi definitivamente sostituiti da funzionari di estrazione equestre.

31 Vd. gli Atti della Tavola rotonda sul tema «Dépendants et esclaves dans l‟Afrique Mineure et l‟Egypte de

l‟Antiquitè» (XXIII Colloquio annuale del Groupe International de Recherches sur l‟Esclavage Antique, GIREA, di Besançon), in L‟Africa Romana, XII, Sassari 1998, p. 17, pp. 921 ss., p. 1569.

32 S. TREGGIARI, Roman Freedmen during the Late Repubblic, Oxford 1969.

33 G. FABRE, Libertus. Patrons et affranchis à Rome (Collection de l‟École Française de Rome, 50), Roma 1981.

Sui liberti vd. anche il recente volume di P. LÓPEZ BARJA DE QUIROGA, Historia de la manumisión en Roma. De los orígenes a los Severos (Gerión-Anejos. Serie de monografías, XI), Madrid 2007.

34 P. R. C. WEAVER, Augustorum libertus, «Historia», XIII, 1964, pp. 188 ss.; ID., Familia Caesaris. A social

study of the Emperor‟s Freedmen and Slaves, Cambridge 1972.

35 G. BOULVERT, Esclaves et affranchis imperiaux sous le Haut-Empire romain. Rôle politique et administratif,

Napoli 1970; ID., Domestique et fonctionnaire sous le Haut-Empire romain. La condition de l‟affranchi et de l‟esclave du prince, Paris 1974.

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Tra la fine del XX secolo e l‟inizio del nuovo millennio il progresso degli studi storici, giuridico-economici, letterari, archeologici ed epigrafici ha dunque inaugurato, per così dire, una nuova fase nella storia degli studi sulla schiavitù in età antica: finalmente il filone di ricerca sembra essersi emancipato dall‟ingombrante influenza delle teorie economico-politiche, che alle origini avevano profondamente segnato il solco entro il quale furono intraprese le prime ricerche su questo settore d‟indagine della storia e della società antica, tanto vasto ed affascinante quanto complesso e bisognoso di un approccio multidisciplinare ai problemi.

In particolare, le ricerche internazionali in Europa e nel Mondo oggi si sviluppano e si coordinano all‟interno di alcuni Centri di studio d‟eccellenza, la cui intensa attività può essere agevolmente seguita anche attraverso le pagine Internet curate ed aggiornate dalle singole strutture. Si tratta innanzitutto della Kommission für Geschichte des Altertums der Akademie der Wissenschaften und der Literatur dell‟Università di Mainz36, erede dell‟attività di J. Vogt, che sin dagli anni Sessanta del secolo scorso, tra le sue varie attività, cura la pubblicazione di un‟importante collana di studi e monografie dedicate alla schiavitù antica, Forschungen zur Antiken Sklaverei, collana alla quale appartiene un‟opera oggi ritenuta fondamentale per il progresso degli studi: Bibliographie zur Antiken Sklaverei, pubblicata in due volumi, dove sono raccolti i titoli di tutti gli studi editi sull‟argomento fino al 2003, anno della sua pubblicazione: l‟opera, che elenca più di 10.000 lavori, attualmente costituisce uno strumento di consultazione imprescindibile per quanti si occupano di questo ambito della ricerca storica37.

Parimenti intensa ed articolata è l‟attività, a Besançon in Francia, del più volte ricordato Groupe International de Recherche sur l‟Esclavage dans l‟Antiquité GIREA, che promuove regolarmente seminari interdisciplinari e soprattutto la pubblicazione dei Colloques sur l‟esclavage38, ormai giunti alla XXXIII edizione39, dei quali abbiamo già ricordato l‟imporanza nel panorama internazionale degli studi40.

In questo prestigioso scenario si è inserita recentemente anche l‟attività dell‟Università degli Studi di Sassari, grazie alla fruttuosa sinergia nata tra il Dipartimento di Scienze Giuridiche e il Dipartimento di Storia dell‟Ateneo sassarese: nel mese di ottobre 2009 è stato inaugurato presso l‟Aula Magna dell‟Università Centrale il I Convegno Interdisciplinare di Studi “Mercati e mercanti di schiavi tra archeologia e diritto”41; il Convegno ha avuto uno dei suoi momenti più significativi nella presentazione del costituendo Centro Interdisciplinare di Studi “Forme di dipendenza antiche e moderne nel mondo mediterraneo”, del quale sono stati sinteticamente presentati contenuti, linee e obiettivi di

36 http://www.adwmainz.de/index.php.

37 Bibliographie zur antiken Sklaverei. Im Auftrag der Kommission für Geschichte des Altertums der Akademie

der Wissenschaften und der Literatur (Mainz). Herausgegeben von H. BELLEN und H. HEINEN; neu bearbeitet

von D. SCHÄFER und J. DEISSLER auf Grundlage der von E. HERRMANN in Verbindung mit N. BROCKMEYER

erstellten Ausgabe (Bochum 1983), II voll. (I: Bibliographie; II: Abkürzungsverzeichnis und register), Suttgart 2003 (Forschungen zur antiken Sklaverei, Beiheft 4).

38 http://ista.univ-fcomte.fr/girea/index.html.

39 Dipendenza ed emarginazione nel mondo antico e moderno (Dépendance et marginalisation de l‟antiquité à

l‟âge contemporaine), XXXIII Convegno Internazionale GIREA (Napoli-Ascea 30 settembre-3 ottobre 2009).

40 In ambito internazionale operano almeno altri due importanti Centri di studio che si occupano della diffusione

della schiavitù (antica, moderna e contemporanea): il Gilder Lehrman Center for the Study of Slavery, Resistance, and Abolition della Yale University (http://www.yale.edu/glc/index.htm), e l‟Institute for the Study of Slavery (ISOS) della University of Nottingham (http://ukcorr.org/isos/index.aspx).

41 M. R. CIMMA, [Resoconto sul] Convegno interdisciplinare di studi Mercati e mercanti di schiavi tra

archeologia e diritto (Sassari, Aula Magna dell‟Università 22-23 ottobre 2009), Coronache, in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione romana 8, 2009 [http://www.dirittoestoria.it/8/Cronache/Cimma-Mercati-mercanti-schiavi.htm]; R. ORTU, Chronica. Mercati e mercanti di schiavi fra archeologia e diritto (Sassari, 22-23 ottobre 2009), SDHI, LXXVI, 2010, c.d.s.

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ricerca: con l‟auspicio che lo studio della schiavitù antica possa aiutare a comprendere meglio la pericolosità della rinascita delle nuove forme di schiavitù contemporanea, e con l‟intento di promuovere fecondi rapporti di collaborazione scientifica tra la nascente struttura e i due Centri internazionali di ricerca tedesco e francese sopra ricordati. Il Centro si propone di guardare con maggior attenzione alla dimensione umana dei servi, alla storia degli umili; di studiare gli schiavi non soltanto come res, come “cose”, semplici oggetti di diritto, ma come persone, uomini, donne e bambini, con un vissuto proprio, e con vicende personali a volte davvero straordinarie. Una ricchezza di informazioni tratte dalla vita quotidiana ancora tutta da mettere in luce e da valorizzare, per comprendere meglio il mondo antico e forse anche il nostro mondo42.

Appare perciò ormai necessario superare definitivamente i pregiudizi ideologici, aprire il campo a nuove impostazioni di ricerca, guardare agli schiavi nell‟antichità non soltanto come beni economici e patrimoniali funzionali al sistema produttivo, ma considerandoli alla luce della loro reale capacità di interagire e di intrecciare relazioni interpersonali, se non giuridicamente almeno umanamente alla pari di tutti gli uomini liberi.

* * *

42 M.B.COCCO-S.FUSCO, Cronaca del Convegno Interdisciplinare di Studi “Mercati e mercanti di schiavi tra

archeologia e diritto”, Sassari 22 - 23 ottobre 2009, Notiziario, IVRA (Rivista Internazionale di Diritto Romano e Antico), LVIII (2010), pp. 512 ss.

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Al di là della consapevole impossibilità di trattare esaurientemente in questa sede la complessità degli aspetti e dei problemi attinenti alla diffusione dello schiavismo nel mondo antico (per i quali si rimanda, in sintesi, alla Bibliografia generale di riferimento), sembra comunque utile ricordare alcuni aspetti economici e sociali della schiavitù e del fenomeno dell‟affrancamento in età romana, soprattutto in relazione ad alcune caratteristiche di base comuni a tutte le aree romanizzate e agli aspetti che possono più direttamente trovare riscontro in terra sarda.

Il mondo antico sviluppò un vasto spettro di forme di dipendenza43, variabili nello spazio e nel tempo con ampio margine di sfumature; perciò lo schiavismo si presenta innanzitutto come un fenomeno estremamente difficile da circoscrivere, non essendo riconducibile a semplicistiche motivazioni causali, ma essendo piuttosto sorto ed evolutosi localmente all‟interno di un articolato incrocio fra elementi politico-militari, economici e culturali, fondato sull‟imprescindibile disuguaglianza che sta all‟origine strutturale delle società antiche, dove la dipendenza giuridica e psicologica era forte già ad un primo livello patriarcale familiare.

Il mondo greco con Aristotele aveva teorizzato la schiavitù come ontologicamente ineliminabile44; il mondo romano, più pragmatico, aveva piuttosto la piena consapevolezza della necessità che legava la sua struttura economico-sociale allo schiavismo, e cercava di giustificarlo e proteggerlo ammettendo l‟uso della sorveglianza e, se necessario, anche della violenza repressiva per mantenere l‟ordine (coercitio)45.

Per l‟Editto degli edili curuli46 lo schiavo era una cosa, res in patrimonio; poteva essere venduto, acquistato, donato, affittato, ereditato come qualsiasi altro oggetto; il giurista Gaio ancora in età imperiale rivendicava il diritto di vita e di morte (ius vitae necisque) del padrone sul suo servus. Solo con il III sec. d.C. l‟interesse per la schiavitù si spostò da un piano economico-giuridico, incentrato solo sulla tutela dei diritti del dominus, a quello filantropico, soprattutto per influsso della filosofia stoica: per i giuristi di età Severiana lo schiavo cessò di essere un oggetto (res), pur restando in patrimonio; per Ulpiano la schiavitù non era più sancita per legge di natura, ma l‟uomo, libero in base allo ius naturale, poteva divenire schiavo di un altro uomo a causa del risultato di processi storici e convenzioni sociali, anche se universalmente accettate47.

In linea generale i Romani teorizzavano la distinzione tra servi e liberi; a loro volta i liberi lo erano per nascita (ingenui) o per effetto di un atto di manomissione (libertini) dovuto alla voluntas del padrone48.

La principale fonte di schiavi fu in ogni tempo senza dubbio la guerra49, ma specialmente in

età arcaica e prima dell‟espansione nel Mediterraneo ebbero un ruolo importante nel mondo romano anche le forme di servitù sacra50 e soprattutto la schiavitù per debiti (nexum)51.

43 Per una sintesi di carattere generale vd. J. ANDREAU-R.DESCAT, Esclave en Grèce et à Rome, Paris 2006. 44 Vd. ARISTOTELE, Politica 1, 5, 11: 1254 b 39 1255 a 2; il filosofo parlava di physis tou doulou, cioè della

“natura dello schiavo”, inferiore all‟uomo libero per legge di natura. Aristotele si mantenne costantemente su questa linea di pensiero: cfr. Politica 1, 5, 2: 1254 a, 21-22; Politica 1, 5, 3-4: 1254 a, 28-32; Politica 1, 5, 8: 1254 b, 19-20.

45 Del bisogno di tenere sotto controllo le masse servili potenzialmente sovversive parlava ad esempio CIC., De

re publica 3, 25, 37.

46 Tramandato dal giureconsulto tardorepubblicano Labeone e riportato da Ulpiano in Dig. 21, 1, 1, 1. Gli edili

curuli esponevano un apposito editto riguardante la vendita al mercato del bestiame e degli schiavi.

47 Vd. ULP. Dig. 1, 1, 4.

48 Cfr. GAIUS, Inst. 1, 9-12: [III. De condicione hominum.] Et quidem summa divisio de iure personarum haec

est, quod omnes homines aut liberi sunt aut servi. Rursus liberorum hominum alii ingenui sunt, alii libertini. Ingenui sunt, qui liberi nati sunt; libertini, qui ex iusta servitute manumissi sunt. Rursus libertinorum tria sunt genera: nam aut cives Romani aut Latini aut dediticiorum numero sunt.

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Il vero afflusso di schiavi a Roma cominciò nel III sec. a.C. dopo le guerre sannitiche ed aumentò esponenzialmente con le guerre puniche ed in Oriente; gli schiavi prigionieri erano venduti52 a migliaia sui mercati di Delo, Pozzuoli e nei principali porti del Mediterraneo53.

Anche nelle lunghe lotte per l‟assoggettamento definitivo dell‟isola devono essere stati catturati molti prigionieri, poi venduti sui mercati italici come schiavi di guerra: i Sardi venales del 177-176 a.C. dovevano essere di poco valore sia per il numero elevato, sia in quanto incapaci di parlare il latino e il greco54.

Per tutta l‟età repubblicana rapine e pirateria rifornirono il commercio della schiavitù-merce, mentre le unioni domestiche tra servi, sia nelle domus urbane che in campagna, accrescevano automaticamente il numero dei componenti della familia servile, visto che le relazioni di parentela fra schiavi (cognatio servilis) erano prive di validità giuridica55 e i figli naturali degli schiavi nascevano automaticamente schiavi56.

La diffusione della schiavitù a Roma raggiunse l‟apice tra I sec. a.C. e I sec. d.C., quando il numero dei servi è stato quantificato in diversi milioni, toccando circa il 30% della popolazione totale. Ma già entro lo stesso I sec. a.C. la soppressione della pirateria da un lato e la fine dell‟espansionismo nel Mediterraneo dall‟altro diedero di fatto avvio alla crisi dello schiavismo; del resto esso non aveva mantenuto ovunque un ruolo economico prevalente: lo

49 R. ORTU, Praeda bellica: la guerra tra economia e diritto nell‟antica Roma, in Diritto @ Storia. Rivista

internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione romana, 4, 2005 [http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Ortu-Praeda-bellica.htm].

50 Le fonti epigrafiche mostrano che le Vestali, i Pontefici, i Feziali, il collegium dei Fratres Arvales avevano fin

da età arcaica servi e liberti publici che adempivano a sevizi relativi ai riti e ai templi (calatores, victimarii, scribae, ecc.): cfr. B. SCARDIGLI, Servi privati delle Vestali?, in Schiavi e dipendenti nell‟ambito dell‟«oikos» e della «familia», Atti del XXII Colloquio GIREA, Pontignano (Siena) 1995, a c. di M.MOGGI-G.CORDIANO, Pisa

1997, pp. 233 ss.; un caso a parte è rappresentato dalla prostituzione sacra, praticata nei porti del Mediterraneo già in età preromana, con importanti significati legati alla sfera del commercio: vd. S. RIBICHINI, Al servizio di Astarte. Ierodulia e prostituzione sacra nei culti fenici e punici, in El mundo púnico. Religión, Antropología y Cultura material. Actas del II Congreso Internacional del Mundo Púnico (Cartagena 2000), Estudios Orientales 5-6 (2001-2002), a cura di A- GONZÁLEZ BLANCO-G.MATILLA SÉIQUER-A.EGEA VIVANCOS, Murcia 2004, pp.

55 ss.; C. PANZETTI, La prostituzione sacra nell‟Italia antica, Imola 2006.

51 L‟assegnazione giudiziale al creditore del debitore insolvente (addictio) fu abolita nel 326 a.C. con la lex

Poetelia Papiria; cfr. A. STORCHI MARINO, Schiavitù e forme di dipendenza in Roma arcaica, in Schiavi e

dipendenti nell‟ambito dell‟«oikos» e della «familia», cit., pp. 183 ss.

52 Conosciamo due forme di vendita: sub corona (“vendere come schiavi i prigionieri di guerra”: sub corona

deriva della coroncina posta sulla loro testa; vd. R. ORTU, Praeda bellica: la guerra tra economia e diritto nell‟antica Roma, cit., par. 4 e nota 125) o sub hasta (“vendere all‟asta, all‟incanto”: l‟asta infissa nel terreno probabilmente indicava la legittimità del mercato, del luogo pubblico di vendita); vd. anche K.-W.WELWEI, Sub

corona vendere. Quellenkritische Studien zu Kriegsgefangenschaft und Sklaverei in Rom bis zum Ende des Hannibalkrieges, Stuttgart 2000.

53 Sul commercio di schiavi e, in particolare, sull‟obbligo da parte del venditore di dichiarare eventuali

caratteristiche e difetti del servus da acquistare, vd. R. ORTU, “Qui mancipia vendunt, certiores faciant

emptores”. Ricerche in tema di garanzia per vizi nella compravendita di schiavi, Università degli Studi di Sassari - Dipartimento di Scienze Giuridiche - Pubblicazioni del Seminario di Diritto romano, n. 15, Torino 2001; EAD., Aiunt aediles ... : dichiarazioni del venditore e vizi della cosa venduta nell‟editto de mancipiis

emundis vendundis, Università degli Studi di Sassari - Dipartimento di Scienze Giuridiche - Pubblicazioni del Seminario di Diritto romano, n. 19, Torino 2008.

54 Cfr. A. MASTINO, Ricchi e poveri, in Storia della Sardegna antica, Nuoro 2005, p. 191.

55 Vd. ULP. Ep. 5, 5: cum servis nullum est conubium; l‟unione illegittima tra servi infatti non costituiva iustum

matrimonium, ma era qualificata come contubernium e non dava origine a diritti neppure sulla prole generata; cfr. anche, per l‟aspetto dotale dell‟unione, Dig. 23, 3, 3: dotis appellatio non refertur ad ea matrimonia, quae consistere non possunt: neque enim dos sine matrimonio esse potest. Ubicumque igitur matrimonii nomen non est, nec dos est. Vd. G. FABRE, Remarques sur la vie familiale des affranchis privés aux deux derniers siècles de

la République: problèmes juridiques et sociologiques, in Actes du Colloque 1971 sur l‟esclavage, Paris 1972, pp. 239 ss.

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