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Intercettazioni e immunità: limiti, condizioni di utilizzabilità, e tutela della riservatezza

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

INTERCETTAZIONI E IMMUNITA': LIMITI, CONDIZIONI

DI UTILIZZABILITA', E TUTELA DELLA RISERVATEZZA

Candidato

Relatore

Livio Oreste Concepito

Prof.ssa Valentina Bonini

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Alla mia famiglia, e alla tenacia di tutti gli studenti

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INDICE

INTRODUZIONE...pag. 4

CAPITOLO I - LA DISCIPLINA COSTITUZIONALE

Parte I - Libertà e segretezza delle comunicazioni: l'art. 15 della Costituzione e le norme codicistiche

Premessa...pag. 8 1.1 La rilevanza costituzionale della segretezza e riservatezza delle comunicazioni...pag. 11 1.2 Le garanzie poste a tutela della segretezza delle comunicazioni: riserva di legge e di giurisdizione...pag. 18 1.3 Intercettazioni, libertà di domicilio e libertà personale...pag. 26 1.4 L'attuazione dell'art. 15 Cost. nell'impianto del codice di procedura penale...pag. 29 1.5 Progetti di riforma del codice di procedura penale in materia di intercettazioni...pag. 39

Parte II - Intercettazioni e alte cariche dello Stato: l'art. 68 comma terzo della Costituzione

Premessa...pag. 52 2.1 Precedenti storici in materia di inviolabilità parlamentare, i lavori preparatori in seno all'Assemblea costituente e la versione originaria dell'art. 68 Cost...pag. 53 2.2 Il mutamento di ruolo della prerogativa dell'inviolabilità e la conseguente emersione di problematiche connesse all'art. 68 Cost...pag. 60

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2.3 L'attuale formulazione dell'art. 68 Cost.: la riforma operata dalla legge costituzionale 3/1993...pag. 66

CAPITOLO II - INTERCETTAZIONI NEI CONFRONTI DEI MEMBRI DEL PARLAMENTO

Parte I - La normativa sulle intercettazioni contenuta nella legge 140/2003 (cd. Lodo Maccanico-Schifani)

Premessa...pag. 71 1.1 Legge 140/2003: la disciplina positiva...pag. 77 1.2 La lettura estensiva dell'art. 68 Cost, secondo cui tale norma costituirebbe il fondamento delle intercettazioni indirette ex art. 6 legge 140/2003..pag. 90 1.3 Ulteriori problematiche derivanti dall'art. 6 della legge 140/2003 ed il suo rapportarsi rispetto alla disciplina codicistica...pag. 106 1.4 La richiesta di autorizzazione: i criteri di concessione...pag. 114 1.5 I tabulati di comunicazioni...pag. 118

Parte II - Modifiche giurisprudenziali all'assetto originario della legge 140/2003

2.1 La sentenza 163/2005 della Corte costituzionale sull'inapplicabilità della disciplina delle intercettazioni del parlamentare al semplice nuncius: il caso Colombo...pag. 130 2.2 L'ordinanza 389/2007 della Corte costituzionale sull'inapplicabilità della disciplina delle intercettazioni a chi non era parlamentare al momento della captazione...pag. 136 2.3 La sentenza 390/2007 della Corte costituzionale: il venir meno dell'obbligo

di integrale distruzione delle risultanze delle intercettazioni indirette e l'introduzione della categoria delle intercettazioni casuali...pag. 141

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2.4 Difficoltà di attuazione pratica della distinzione fra intercettazioni indirette e casuali: indicazioni sul punto nelle pronunce della Corte successive alla sentenza del 2007...pag. 156 2.5 Casi di “giurisprudenza parlamentare”...pag. 165

CAPITOLO III - INTERCETTAZIONI NEI CONFRONTI DEL PRESIDENTE DELLLA REPUBBLICA

Premessa...pag. 188 1.1 Procedimento d'accusa e giudizio innanzi alla Corte costituzionale: l'utilizzo dello strumento intercettivo...pag. 195 1.2 Il caso dell'intercettazione telefonica indiretta del Presidente Scalfaro...pag. 200 1.3 Il caso dell'intercettazione telefonica indiretta del Presidente Napolitano: la sentenza 1/2013 della Corte costituzionale...pag. 207

RIFLESSIONI CONCLUSIVE...pag. 235

BIBLIOGRAFIA...pag. 244

SITOGRAFIA...pag. 255

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INTRODUZIONE

La tematica delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni è oggetto, ormai da molto tempo, di attenzione non solo da parte degli studiosi di diritto, ma anche da parte dell'opinione pubblica: ed invero tale strumento investigativo, in special modo negli ultimi anni, oltre ad essere stato al centro di diverse polemiche nella società, ed in particolare nella politica, è anche stato materia di numerosi interventi finalizzati a riformarne la disciplina e il campo di applicazione. Lo scopo che questo elaborato si prefigge non è solo quello di effettuare un'analisi degli aspetti tecnici della materia, che si rivelerebbe arida disamina di norme, ma si cercherà, in prima battuta, di porre in relazione le norme di legge che governano questo settore con le disposizioni costituzionali concernenti la libertà e la segretezza delle comunicazioni, ed in secondo luogo si svolgerà, in via dinamica, una ricognizione dei più importanti casi di intercettazioni di comunicazioni realmente affacciatisi all'attenzione degli organi giudiziari e istituzionali.

La peculiarità di questo importante mezzo di ricerca della prova infatti si sostanzia nel suo essere intimamente legato allo sviluppo delle tecnologie: se da un lato questo fattore ha certamente favorito il sorgere di nuovi mezzi di confronto interpersonale, accrescendo di conseguenza anche le opportunità di comunicare più facilmente, dall'altro ha posto in maniera sempre più marcata il problema delle esigenze di riservatezza dei singoli.

Essendo questo un punto di fondamentale importanza, la cui trattazione non può in alcun modo essere esclusa neppure in uno scritto come questo che non ha ambizione di piena completezza sul punto, il primo capitolo sarà interamente dedicato all'inquadramento costituzionale della materia. Oggetto della prima parte dello stesso sarà quindi l'art. 15 della Costituzione, in quanto norma sulla quale, sul piano delle garanzie costituzionali, vanno a incidere maggiormente le

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problematiche innescate dai mezzi di ricerca della prova fortemente limitativi dei diritti di libertà e segretezza delle comunicazioni dei singoli quali sono le intercettazioni.

Queste ultime infatti, pur essendo uno strumento assai perfettamente funzionale ai fini della ricerca della prova, arrecano al contempo una lesione alla sfera di riservatezza dei cittadini: in conseguenza di ciò è necessario trovare il punto di incontro fra le esigenze di repressione dei reati e quelle di tutela della privacy dei soggetti privati. Connessa a questo aspetto, e pertanto trattata in successione, è la tematica della compatibilità con il dettato costituzionale delle norme del vigente codice di procedura penale in materia di intercettazioni: solo una volta compiuta la corretta ricostruzione della disciplina costituzionale delle comunicazioni riservate sarà possibile evidenziare i punti di maggiore frizione che in rapporto ad essa l'articolato codicistico presenta. Si noti in particolare che proprio attorno ai punti critici della disciplina attualmente in vigore ruotano tutte le prospettive di riforma del codice presentate nel corso degli anni, accomunate perlopiù dall'intento di evitare un'indisciplinata divulgazione dei verbali delle intercettazioni a mezzo degli organi di stampa.

Questa stessa esigenza di salvaguardia della libertà e segretezza delle comunicazioni che, come accennato, circonda il quivis de populo, si ripropone maggiormente per quei soggetti che ricoprono incarichi a livello istituzionale: entrando quindi dettagliatamente nel pieno dell'analisi che questo elaborato si propone, ovvero cercare di capire in quali modi le captazioni effettuate nei confronti dei soggetti preposti ai massimi livelli dell'organizzazione statale possano essere legittimamene ed utilmente utilizzate nell'ambito del procedimento penale, la seconda parte del primo capitolo sarà incentrata sull'analisi dell'art. 68 della Costituzione e sul rapporto tra le immunità parlamentari in esso previste e lo strumento delle intercettazioni, con particolare riferimento al terzo comma della disposizione citata e alle vicende che ne hanno caratterizzato la formulazione attuale. Con la riforma costituzionale attuata

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mediante la legge cost. 3/1993 infatti, si subordina l'impiego di tale strumento investigativo ad una apposita autorizzazione preventiva proveniente dalla Camera di appartenenza: cosi strutturata tuttavia, la riforma ha suscitato sin dalla sua entrata in vigore numerose critiche non solo da parte degli organi istituzionali, ma anche da parte del mondo accademico.

Invero, non è stata solo la riforma costituzionale a dare adito ad un vivace dibattito fra i commentatori: è sulla legge di attuazione anzi, la 140/2003, che si sono riversate in misura ancor più incisiva le valutazioni negative della dottrina, che ha considerato la disciplina di attuazione parzialmente affetta da incostituzionalità, in quanto operante una discutibile distinzione fra intercettazioni dirette e indirette.

A questi aspetti sarà dedicata pertanto la prima parte del secondo capitolo; la seconda invece, volgerà lo sguardo alle pronunce giurisdizionali che più delle altre hanno contribuito a delineare i confini della materia, non solo specificando e facendo luce su alcuni nodi problematici rinvenibili nella disciplina positiva della legge 140/2003, ma anche operando su di essa importanti modifiche rispetto all'assetto originario; tali interventi, come si vedrà, non sono stati comunque del tutto in grado di dissipare i dubbi e le incertezze che circondano la questione. In chiusura di capitolo, al fine di avere un approccio maggiormente pratico rispetto agli argomenti oggetto di trattazione, è sembrato doveroso fornire una panoramica il più possibile esaustiva dei casi di “giurisprudenza parlamentare” che si sono presentati dinanzi alle Camere dal 1993, anno della riforma costituzionale, ad oggi, individuando gli orientamenti prevalenti e quelle che sono state le direttrici comuni in base alle quali le Camere hanno deciso per la concessione o meno dell'autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni.

Il terzo capitolo infine, sarà integralmente dedicato alle ipotesi di intercettazioni riguardanti la figura del Presidente della Repubblica: del resto trattando di intercettazioni nei confronti di soggetti titolari di prerogative costituzionali, è

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sembrato imprescindibile lo svolgimento di un'analisi concernente le situazioni in cui ad essere coinvolta sia la prima carica dello Stato, anche allo scopo di evidenziare le differenze con le tutele apprestate in favore dei parlamentari. Pertanto, ai fini di un miglior inquadramento dell'argomento, è stata operata una breve ricostruzione del ruolo e dello status del Presidente, con specifico riferimento non solo alle prerogative riconosciute in capo allo stesso, ma dirigendo l'attenzione anche alle norme riguardanti il procedimento d'accusa e la possibilità che all'interno dello stesso siano effettuate intercettazioni sulle sue utenze. Nondimeno, è da segnalare sin d'ora che durante il corso dell'intera storia repubblicana la procedura per la messa in stato d'accusa del Capo dello Stato non è mai stata attivata, rimanendo in sostanza sempre priva di concreta applicazione, e che le uniche occasioni in cui è stato riscontrato il coinvolgimento del Presidente della Repubblica (di cui quella che ha avuto maggiore risonanza mediatica è stata sicuramente la vicenda che ha interessato il Presidente Giorgio Napolitano), hanno riguardato casi di intercettazioni disposte nell'ambito di procedimenti penali a carico di terzi in cui il Capo dello Stato compariva come casuale interlocutore.

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CAPITOLO I - La disciplina costituzionale

Parte I - Libertà e segretezza delle comunicazioni: l'art. 15 della Costituzione e le nor me del codice di procedura penale

Premessa

Tra gli strumenti approntati quali mezzi di ricerca della prova si è imposto in maniera predominante, sin dai primi sviluppi delle nuove tecnologie, l'utilizzo delle intercettazioni. E' uno strumento che già per sè stesso, per le modalità attraverso le quali si arriva alla captazione delle comunicazioni, esercita un grande fascino sull'utilizzatore ed invoglia ancor più al suo utilizzo. Questo suo largo impiego ha portato talvolta (e, da ultimo, purtroppo sempre più frequentemente) ad un utilizzo scorretto del mezzo intercettivo, rischiando di sfociare in un vero e proprio abuso dello stesso: non si deve dimenticare infatti che la ragion d'essere delle intercettazioni non è quella di vagliare la sussistenza di indizi di reato e andare cosi, attraverso tale via, alla loro ricerca, quanto quella di avallare l'esistenza di indizi già emersi1. E' indispensabile pertanto, per

comprendere e delimitare l'ambito di applicazione dell'istituto, partire da un'analisi di quello che è l'elemento fondante di ogni atto normativo nel nostro ordinamento, ovvero la Carta costituzionale, basandosi certamente dal dato testuale delle specifiche disposizioni sul tema, ma non trascurando, ai fini di una piena comprensione, il sostrato storico-politico da cui essa ha avuto origine. Dobbiamo inoltre considerare la particolare delicatezza del tema, che va a toccare caratteristiche determinative della libertà dell'individuo, e la conseguente accentuata sensibilità che ha accompagnato tutti gli interventi normativi succedutisi nel tempo, in misura maggiore rispetto ad altri ambiti.

Evocativa al riguardo è l'affermazione di Meuccio Ruini in sede costituente, 1 “L'intercettazione non può servire indiscriminatamente a controllare se il cittadino sta per violare una qualunque norma, ma semplicemente ad avere il conforto di una prova certa che egli abbia violato una rilevante norma penale.” Cosi Grevi V., Intercettazioni telefoniche e principi costituzionali, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1971, II, pag. 1076.

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secondo cui “nell'avvicinarsi ad una Costituzione si prova quasi un senso religioso”2. E' necessario quindi accostarsi ai principi espressi dalla carta in modo

tale da comprendere a fondo non solo la ratio posta a tutela dei diritti della persona, ma anche le correlate limitazioni all'uso di questo strumento cosi pervasivo dell'intimità dell'individuo. D'altronde è cosa nota sia l'accentuata attenzione che ha guidato il legislatore nel dare vita al complesso di norme in materia, sia la costante preoccupazione dei vari gruppi sociali affinché fosse mantenuta entro certi limiti l'erosione del proprio spazio di libertà, da effettuarsi il più possibile con trasparenza ed equilibrio. Questo perché, come in precedenza accennato, la Costituzione è frutto del suo tempo: l'epoca precedente era stata caratterizzata infatti da un largo uso di strumenti limitativi dei diritti della persona senza preoccuparsi di operare in un appropriato sistema di garanzie3, ed il loro

riconoscimento nella Costituzione è il segno della presa di consapevolezza da parte del popolo e delle istituzioni, che tali diritti, in quanto diritti pubblici soggettivi, sono azionabili anche nei confronti dell'entità statuale4.

E' da notare peraltro che neppure all'interno degli stessi ordinamenti liberali questi diritti di libertà avevano trovato una piena ed effettiva tutela. Ciò era dovuto a due fattori, e cioè da un lato la mancata puntualizzazione del loro contenuto, dall'altro il carattere flessibile, e quindi mutevole, proprio delle Costituzioni di quegli ordinamenti: basti pensare che lo stesso Statuto albertino 2 M. Ruini, Relazione del Presidente della Commissione al Progetto di Costituzione della Repubblica Italiana, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea Costituente, Vol. I, Roma, LXXVI.

3 Secondo attendibili testimonianze infatti, durante il regime fascista “presso le prefetture […] funzionava un centralino di intercettazione telefonica, per cui le comunicazioni di taluni numeri sempre, e di altri saltuariamente, a settori, erano captate e, occorrendo, stenografate.” Cosi Rossi P., Lineamenti di diritto penale costituzionale, Palermo, 1950, pag. 100.

4 Illuminante a riguardo è il discorso di Bettiol G., in Atti dell'Assemblea Costituente, seduta del 26 marzo 1947, pag. 2494 che in tema di diritti naturali, e quindi di rapporti civili, afferma che “sono proprio articoli che il popolo italiano ha voluto segnare col rosso del suo sangue […]. Si tratta della lotta dell'individuo […] contro lo strapotere statale, della lotta contro ogni forma statolatria che vorrebbe soffocare […] i diritti innati di libertà. […] Noi crediamo [che la personalità umana] porti con sé […] dei diritti che non possono assolutamente essere calpestati dal potere statale. Sono i famosi diritti naturali che sono stati strozzati in Europa negli ultimi venti anni dalle dittature che hanno imperversato”.

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aveva del tutto ignorato la tutela del rapporto di corrispondenza5, che troverà un

primo riconoscimento solo con la legge 604/1862. Abbiamo detto come al riconoscimento dei diritti dei cittadini corrisponda anche una loro limitazione: per quel che interessa in questa sede, è proprio nel bilanciamento fra libertà e segretezza delle comunicazioni da un lato, e opportunità di restringerle dall'altro, che si incardina l'istituto delle intercettazioni come punto di collegamento fra le due contrapposte esigenze; è necessario pertanto individuare non solo i limiti posti al legislatore nel legiferare in materia ma anche quelli imposti al giudice nell'interpretazione delle norme, in ossequio al principio della certezza del diritto; da queste premesse apparirà sicuramente più evidente il motivo per cui tutta la materia è sottoposta ad una doppia riserva, di legge, che attribuisce solo ed esclusivamente alla legge il potere di disciplinare la materia, e di giurisdizione, per cui è solo l'autorità giudiziaria che può valutare la sussistenza dei presupposti per adottare gli atti conseguenti.

Come ogni elemento giuridico che trova spazio all'interno dell'ordinamento, anche l'istituto delle intercettazioni radica il suo fondamento in determinati principi che sono contenuti nei primi articoli della Costituzione. Sarà necessario pertanto analizzare non solo quello più specificamente attinente all'argomento in esame, l'art. 15 Cost., da sempre oggetto di approfondite analisi sia da parte della giurisprudenza che da parte della dottrina, ma, in misura meno marcata, anche quelli che, pur non riguardando in maniera diretta le intercettazioni, hanno un margine di influenza su questo istituto, ovvero gli artt. 13 e 14 Cost.: il quadro cosi delineato costituisce il disegno sistematico composto rispettivamente, dalla libertà di comunicazione, libertà personale, e inviolabilità del domicilio, tutelati dal Costituente tramite il meccanismo della doppia riserva, di legge e di giurisdizione, e posti a minima ed inviolabile garanzia della libertà umana.

5 Cosi si esprimeva a tal proposito Lieber F., in La libertà civile e l'autogoverno, in Brunialti, La libertà nello stato moderno, Torino, 1890, pag. 173: “I nostri padri erano cosi poco al corrente del governo di polizia che nessuno pensò di annoverare, con la libertà di parola e di stampa, l'inviolabilità delle lettere”.

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1.1 La rilevanza costituzionale della segretezza e riservatezza delle comunicazioni “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”

Emerge chiaramente dal testo dell'art. 15 I comma Cost. la statuizione della doppia riserva, di legge e di giurisdizione, cui si era accennato poc'anzi, eretta a tutela degli “inviolabili” diritti di libertà e segretezza delle comunicazioni, che proprio perché tali, e perchè costituiscono un carattere essenziale della forma democratica dello stato, sono sottratti al procedimento di revisione costituzionale6.

E' fondamentale chiarire in primis, fermo restando che segretezza e libertà rappresentano due aspetti connessi ed interdipendenti del medesimo valore, al punto da potersi dire che la loro unione è coessenziale alla dignità umana, che essi presentano profili distinti e pertanto conservano la propria autonomia: è ben possibile infatti che vi siano limitazioni della sola libertà (es. il fermo della corrispondenza) o della sola segretezza (es. il controllo su una conversazione telefonica), o di entrambe (es. art. 616 c.p., che punisce al contempo sia la distruzione della corrispondenza sia la divulgazione del suo contenuto).

La duplicazione della tutela dunque, riferita sia alla segretezza che alla libertà, non è affatto una superflua ridondanza di termini. Se quindi sotto questo punto di vista si presentano come profili separati, è innegabile tuttavia che ciascuno di essi è garantito dal rispetto dell'altro, che viene quindi ad essere al contempo non solo il fine della tutela, ma anche mezzo della tutela stessa, e pertanto esse presentano caratteristiche comuni. Entrambe sono relative alla corrispondenza e a ogni altra forma di comunicazione: oggetto della loro tutela sono quindi (la libertà e la segretezza de)gli atti di trasmissione del pensiero. Opportuno e doveroso è poi il richiamo al pensiero della Corte Costituzionale7, secondo cui

6 Corte Cost., sent. 34/1973.

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esiste una forte interdipendenza fra gli elementi della libertà e segretezza delle comunicazioni e le fondamenta dei valori della personalità, rappresentando esse cosi, non solo una “presunzione iuris et de iure di intimità personale”8, ma anche

un aspetto della inviolabilità della persona stessa sotto il profilo dell'art. 2 Cost.: libertà e segretezza sono perciò garantite sia al singolo, che alle formazioni sociali in cui si sviluppa la sua personalità. Conseguentemente, speculare è anche la platea di destinatari cui si rivolgono: ne sono titolari tanto gli individui (siano essi cittadini, stranieri, o apolidi), quanto i soggetti collettivi privati (muniti o meno di personalità giuridica). Controversa è tuttavia la loro riferibilità allo Stato ed agli altri enti pubblici, anche se generalmente in dottrina si ritiene che questo sia possibile, grazie alla possibilità che il legislatore dia loro riconoscimento nelle norme di legge che regolano il funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Esaminati i punti comuni di segretezza e libertà, è necessaria un'analisi più dettagliata di entrambe. Cosa intendere per segretezza? Sulla base del prezioso contributo fornito da Italia9 possiamo in linea generale affermare che la tutela del

segreto si rivolge ai terzi estranei al rapporto di comunicazione, che hanno l'obbligo di non interferire e non devono porre in essere atti il cui risultato sia la conoscenza del contenuto di quella comunicazione: il segreto pertanto “è circoscritto alla sfera di ciò che è inaccessibile all'altrui conoscenza”10. Come

prontamente posto in evidenza dalla dottrina11 inoltre, la norma riconosce tale

diritto, tutelando quindi tanto il mero inviare quanto il ricevere un certo messaggio, non solo al mittente, ma anche al destinatario della comunicazione (a differenza di quanto accade nel caso dell'art. 21 Cost. - che tutela la libertà di manifestazione del pensiero: sarebbe pertanto sbagliato scorgere nell'art. 15 8 Italia V., Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963, pag.

91.

9 Secondo cui una definizione costituzionalmente accettabile di segretezza potrebbe essere la seguente: “Il diritto a che soggetti diversi dal destinatario non prendano illegittimamente conoscenza del contenuto di una corrispondenza o di una comunicazione.” Italia V., Libertà e segretezza, cit., 1963, pag. 91.

10Camon A., Le intercettazioni nel processo penale, Milano, 1996, pag. 34.

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Cost. una sottospecie dell'art. 21 Cost.12 - che dirige la sua tutela solo in direzione

di colui che è l'autore della manifestazione del pensiero). E' tuttavia da precisare che, per ciò che attiene alla corrispondenza scritta, sino al momento in cui essa non sia nella disponibilità del destinatario, spettano solo al mittente eventuali diritti su di essa.

Ad ogni modo ciò che viene in rilievo è il profilo oggettivo della segretezza della comunicazione, ovvero le modalità attraverso cui viene ad esistenza: nel caso di un dialogo fra persone in luogo aperto e affollato, non emerge il profilo della segretezza, perché chi parla accetta il rischio che altri sentano; ma se uno scambio di parole, verbale o telematico, avviene all'interno di una abitazione fra chi le pronuncia e chi ne è il destinatario, ecco che a quello scambio può efficacemente esser riconosciuto il carattere di segretezza, e l'ascolto da parte di terzi dovrebbe esser qualificato come intercettazione13. La segretezza rimane

pertanto finché il destinatario non abbia avuto conoscenza del messaggio: da tale momento infatti essa diventa un documento, rientrando quindi nella distinta disciplina prevista per ispezioni, perquisizioni, sequestro.

Da notare che a questa prima linea di pensiero, che scorge nella segretezza proprio la caratteristica delle comunicazioni sottoposte alla disciplina dell'art. 15 Cost. (e che comporta, come conseguenza, la fuoriuscita dall'ambito applicativo del disposto costituzionale in caso di utilizzo di un mezzo di trasmissione del pensiero inidoneo ad assicurare la segretezza), se ne contrappone una seconda per cui la segretezza è invece proprio la tecnica per garantire la libertà di espressione del pensiero (ed in questo caso il rinunciare ad essa non comporta in automatico la rinuncia alle altre garanzie previste all'art. 15 Cost.)14.

E' opportuno chiarire sin da ora un punto appena accennato ma che in realtà risulta essere centrale: quello della corretta individuazione della linea di confine 12Ma in senso contrario si veda Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero

nell'ordinamento italiano, Milano, 1958, pag. 23.

13Vele A., Le intercettazioni, cit., pag. 10.

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fra libertà di comunicazione e libertà di manifestazione del pensiero. In sostanza ciò che differenzia i due valori fondamentali è proprio l'elemento della segretezza. Come evidenzia efficacemente Pace, “nell'art. 21 sono tutelate quelle espressioni di pensiero che il soggetto intende manifestare e diffondere, e che quindi egli rende pubbliche […]; l'articolo in commento [l'art. 15 Cost. per l'appunto] garantisce le sole espressioni del pensiero [e quindi il contenuto della comunicazione] che non solo siano indirizzate a soggetti scientemente determinati, ma che siano state altresì sottratte alla conoscibilità dei terzi, con le normali cautele a disposizione del mittente”15. La distinzione è importante perché

solo la seconda è finalizzata “al perseguimento di valori connessi a valutazioni di pubblico interesse”16, e in definitiva il legislatore è tenuto ad approntare le

garanzie dell'art. 15 II comma solo quando è necessario infrangere la segretezza del contenuto della comunicazione.

Dello stesso avviso d'altronde è la Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 1030/1988 cosi esprime il suo pensiero: “l'essenziale distinzione tra i diritti di libertà garantiti dagli artt. 15 e 21 Cost. si incentra effettivamente […] sull'essere la comunicazione, nella prima ipotesi, diretta a destinatari predeterminati e tendente alla segretezza e, nell'altra, rivolta invece ad una pluralità indeterminata di soggetti.”

Secondo la medesima Corte tuttavia, le garanzie previste dal codice di procedura penale, traduzione pratica dell'art. 15 Cost., sarebbero si applicabili solo laddove si tratti del contenuto della conversazione, e non relativamente ad altri aspetti (cd. dati esteriori, relativi agli autori della comunicazione, al tempo e al luogo della stessa), ma al contempo nella stessa sentenza, la n. 81 del 1993, in materia di tabulati telefonici, si preoccupa di aggiungere che le garanzie apprestate dall'art. 15 Cost. sono tali da “ricomprendere non soltanto la segretezza del contenuto della comunicazione, ma anche quella relativa all'identità dei soggetti 15Pace A., sub art. 15, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 1977,

pag. 83.

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e ai riferimenti di tempo e di luogo della comunicazione stessa […]. Cosicché, in mancanza delle garanzie ivi previste, il precetto preclude la divulgazione […] delle notizie idonee a identificare i dati esteriori della conversazione telefonica (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa) dal momento che, facendone oggetto di uno specifico diritto costituzionale alla tutela della sfera privata attinente alla libertà e segretezza della comunicazione, ne affida la diffusione, in via di principio, all'esclusiva disponibilità dei soggetti interessati. [...] Se questa garanzia non ci fosse, infatti, risulterebbe vanificato il contenuto del diritto che l'art. 15 Cost. intende assicurare al patrimonio inviolabile di ogni persona in relazione a qualsiasi forma di comunicazione”.

Tuttavia secondo parte della dottrina17, ad analizzare più a fondo le affermazioni

della Corte, non si può trascurare un dato fondamentale, cioè che l'art. 15 Cost. si pone a tutela della libertà di comunicare riservatamente, ed è quindi naturale il dover escludere dall'oggetto della garanzia gli aspetti che risultano esterni alla comunicazione stessa. Altrimenti si arriverebbe alla conclusione paradossale, secondo cui, ad esempio, anche lo stesso gestore telefonico, per controllare il traffico telefonico ed emettere le relative bollette di pagamento, dovrebbe richiedere l'autorizzazione al magistrato.

Per chiudere sul punto della distinzione fra libertà di manifestazione di cui all'art. 21 Cost. e di comunicazione di cui all'art. 15 Cost., è interessante l'opinione che, partendo dal presupposto che la libertà di comunicazione comprende al suo interno numerose libertà, diverse e al contempo indirizzate verso un'unica direzione, gli artt. 15 e 21 Cost. andrebbero letti in maniera sistematica, e dunque ciò che caratterizzerebbe le comunicazioni sarebbero l'infungibilità e la delimitazione dei destinatari, ad integrazione della determinatezza degli stessi18.

Si è detto in apertura che la norma parla anche di libertà, e non solo di segretezza delle comunicazioni, elemento da intendersi come il diritto di avvalersi o meno 17Di Martino C. - Procaccianti T., Le intercettazioni telefoniche, Padova, 2001, pag. 5.

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(configurandosi quindi come un diritto di autodeterminazione) della possibilità di instaurare una comunicazione con il terzo o di astenervisi, senza che l'atto comunicativo sia oggetto di costrizioni, condizionamenti, inibizioni o interferenze altrui, ma che sia appunto libero da coercizioni sia da parte dei privati che dei poteri pubblici. Degna di nota, per il fine ragionamento che vi sottende, è la posizione di quella dottrina per cui se certamente, per quanto riguarda l'aspetto della segretezza, l'art. 15 Cost. non può esser ricompreso all'interno dell'art. 21 Cost., dal punto di vista della libertà non vi sono differenze, anzi, ci sono dipendenza e conformità tra la comunicazione ex art. 15 Cost. e la manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.19.

Per quanto riguarda il termine comunicazione, secondo una definizione ormai comunemente accettata, esso va inteso in relazione ai “rapporti psichici diretti ancorché mediati, consistenti nella trasmissione di idee e di notizie che una persona fa ad una o più altre persone col mezzo di cose atte a fissare, trasmettere e ricevere l'espressione del pensiero”20. Coessenziali quindi alla nozione di

comunicazione, secondo una prima interpretazione (estensiva) del termine, sono i caratteri della:

• intersoggettività o personalità, per cui la comunicazione deve avvenire ed indirizzarsi fra più individui determinati (anche da un mittente anonimo21),

e la certezza di questa volontà dell'autore del messaggio si realizza quando affida la sua comunicazione ad un mezzo adatto a trasmetterla; • attualità, relativa a un determinato periodo di tempo in cui essa si svolge

(fermo restando però che la natura privata e personale del messaggio rimane anche dopo la presa visione da parte del destinatario; può tuttavia 19“[...] comunicazione e manifestazione del pensiero si differenziano per ciò che concerne l'aspetto della “divulgazione”, l'aspetto, quindi, della “segretezza”; non si può affermare la stessa cosa per quanto riguarda, invece, l'aspetto della libertà, che, sia nel momento volitivo, sia nel momento della attuazione, è identico, riguardo alla comunicazione come riguardo alla manifestazione del pensiero.” Italia V., Libertà e segretezza, cit., 1963, pag. 46, nota 12.

20Barile P. - Cheli E., Corrispondenza (Libertà di), voce dell'Enc. dir., X, Milano, 1962.

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venir meno non solo per volontà condivisa di entrambe le parti ma anche allorquando assuma un significato storico, letterario o anche artistico22).

Secondo tale orientamento sarebbero irrilevanti il contenuto, l'oggetto, la forma e il mezzo utilizzato per la comunicazione, e di conseguenza oggetto della garanzia apprestata dall'art. 15 Cost. sarebbe qualsiasi forma di comunicazione, di modo che colui che la effettua è libero di scegliere l'oggetto e lo strumento di corrispondenza con cui trasmettere il pensiero. L'art. 15 Cost. dunque abbraccerebbe le comunicazioni: “a) in ogni caso effettuate tra presenti; b) attuate con l'uso di segni convenzionali o simbolici; c) attuate non solo mediante i tradizionali mezzi di trasmissione (servizio postale, telefono, […]) ma anche ricorrendo, ad esempio, ad un nuncius o ad un piccione viaggiatore”23.

Una seconda interpretazione (restrittiva) che viene da alcuni data al termine24,

asserisce che oggetto di tutela sarebbero solo le comunicazioni di pensiero generalmente riconoscibili come tali, che, per quanto riguarda l'intersoggettività, rechino in sè questo requisito, ma delle quali è possibile fare in modo che i terzi non ne vengano a conoscenza mediante le normali cautele da parte del mittente: conseguente sarebbe la distinzione fra: “a) comunicazioni che utilizzano mezzi i quali assicurano, almeno tendenzialmente, la libertà e la segretezza; b) comunicazioni che invece, per il mezzo prescelto, perdono il requisito intrinseco della segretezza (ad es. la cartolina postale)”25 e quindi sono pur sempre rivolte a

un destinatario specifico ma non rientrano nella garanzia dell'art. 15 Cost. Per quanto attiene al carattere dell'attualità invece, esso sussisterebbe solo dal momento in cui si concretizza l'intenzione del mittente di far ricevere al destinatario il messaggio fino all'acquisizione della sua conoscenza da parte di quest'ultimo.

Quindi, in concreto, sarebbero costituzionalmente tutelate le comunicazioni: a) 22 Barile P. - Cheli E., Corrispondenza (libertà di), cit., pag. 745.

23 Bartole S. - Bin R., Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, pag. 121.

24Per tutti, Pace A., sub art. 15, in Commentario alla Costituzione, cit. pag. 85ss.

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effettuate attraverso segni simbolici a patto che siano generalmente riconoscibili (es. l'alfabeto Morse); b) attraverso busta sigillata, che, si noti, potrebbe anche esser vuota senza perdere il carattere di segretezza per tale ragione; c) conversazioni che avvengono in modi tali da garantirne la segretezza (es. due soggetti che si appartino e parlino sottovoce).

Viceversa, escluse dalla garanzia costituzionale sarebbero: a) comunicazioni mediante segni simbolici non generalmente riconoscibili; b) cartoline contenute in busta non chiusa; c) conversazioni a voce alta in presenza di terzi senza curarsi di adottare precauzioni per impedirne un eventuale ascolto; d) pacchi e colli, considerati non adatti alla trasmissione dei messaggi. La Corte Costituzionale, all'interno della sopracitata sentenza 81/1993, ha dimostrato di aderire alla prima linea interpretativa, affermando esplicitamente che “la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l'assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico”. E del resto l'impostazione fornita dalla Corte appare condivisibile, considerando che lo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione consente che uno stesso strumento possa esser impiegato sia per comunicazioni rivolte a più destinatari, sia per quelle riservate.

1.2 Le garanzie poste a tutela della segretezza delle comunicazioni: riserva di

legge e di giurisdizione

Dopo aver esaminato quelli che sono i punti cardine dell'art. 15 Cost., espressi al primo comma, va evidenziato che al secondo comma, ai fini di una loro piena ed efficace tutela, è predisposto un complesso di garanzie, di cui il nucleo fondante è costituito proprio dalla riserva di legge e di giurisdizione: la libertà di comunicazione infatti non può trovare altre limitazioni se non quelle necessarie

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per soddisfare il diverso interesse, ma altrettanto primario e costituzionalmente rilevante, relativo alla prevenzione e repressione dei reati.

Preliminarmente, è interessante notare come l'iter che portò all'approvazione di questo secondo comma (ma più in generale dell'intera disposizione, tanto che secondo il giudizio di molti autori, sia a ridosso dell'entrata in vigore della Carta costituzionale, sia più recentemente, questa sarebbe da considerarsi “la norma più tecnicamente infelice di tutta la Costituzione”26) fu alquanto travagliato,

segno della particolare cautela con la quale già in sede costituente ci si avvicinava all’argomento. Dopo un'iniziale decisione di collocare la libertà di corrispondenza in un articolo a sè dedicato (anch'esso sin da subito soggetto a modifiche), il Comitato di redazione previde un suo assorbimento in un articolo unificato per le tre libertà (personale, di domicilio e di corrispondenza), con l'importante conseguenza che anche per la libertà di corrispondenza, come per le altre due, sarebbero stati legittimi interventi provvisori dell'autorità di pubblica sicurezza in casi di eccezionale urgenza. In seguito, su proposta dell'On. Perassi, nel progetto dei 75 si tornò a prediligere una collocazione separata delle tre libertà27,

giungendo a questa formulazione primigenia dell'art. 15 Cost. (corrispondente all'art. 9 del progetto di costituzione): “la libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione sono garantite. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nei casi stabiliti dalla legge.” Si ebbero discussioni molto vivaci sul testo della disposizione, che spaziavano dal rimprovero per la mancata inserzione nel testo di un esplicito riferimento alle intercettazioni telefoniche, alla possibilità, ed al rischio che questo poteva comportare, che la polizia potesse intervenire in qualsiasi momento per intercettare la corrispondenza28.

26Italia V., Libertà e segretezza, cit., pag. 111; Vele A., Le intercettazioni, cit., pag. 11, nota 17.

27Non senza discussioni peraltro: l'On. Ruini infatti osservò che cosi facendo si rinunciava al vantaggio (presente invece in caso di considerazione unitaria delle tre libertà) per cui “la polizia non potrà prendere alcun provvedimento, ad esempio, di sequestro di corrispondenza, senza darne notizia all'autorità giudiziaria, che esercita un sindacato”.

28Si vedano gli interventi, avvenuti nel corso dell'Adunanza plenaria del 24 gennaio 1947, degli On. Perassi, Giua, Conti, Einaudi, Fuschini, Uberti e Mancini.

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Le ulteriori modifiche alla disposizione trassero la loro origine dalle proposte dell'On. Condorelli, il quale propose di sopprimere la seconda parte dell'articolo e, in caso di mancata approvazione dell'emendamento, di aggiungere le parole “ed in pendenza di procedimento penale” (intendendo escludere anche la semplice inchiesta penale). A sostegno delle sue argomentazioni l'On. Condorelli addusse la motivazione per cui anche per la libertà di corrispondenza dovessero valere le regole stabilite per le due precedenti, affermando che “può esser limitata la libertà e la segretezza di corrispondenza, in conseguenza necessaria delle limitazioni della libertà personale e della libertà domiciliare, nei casi in cui la Costituzione prevede che queste libertà, possano essere limitate. […] Bisogna affermare pienamente ed illimitatamente questa libertà e segretezza di corrispondenza senza aggiungere altre limitazioni a quelle necessariamente derivanti dalle limitazioni previste alla libertà personale e domiciliare”. Proseguendo nell'intervento l'On. Condorelli affermò anche che “in sostanza i redattori di questo articolo della costituzione si sono preoccupati della opportunità di non limitare eccessivamente l'attività dell'Autorità giudiziaria nella scoperta dei reati”29: evidente quindi la preoccupazione di assicurare un

bilanciamento fra libertà e segretezza della corrispondenza, e repressione dei reati. Infine, in sede di coordinamento finale il presidente della Commissione, l'On. Ruini, propose la soppressione dell'emendamento e l'aggiunta delle parole “secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”: la sua proposta fu accolta soltanto in parte, in quanto fu eliminato l'emendamento Condorelli, ma dell'inciso proposto dal presidente rimasero soltanto le parole “con le garanzie stabilite dalla legge”, con una dicitura che corrisponde appunto a quella attuale.

Ecco quindi emergere, dall'analisi delle ripetute modifiche che hanno portato all'approvazione dell'art. 15 Cost., la volontà del Costituente di individuare i limiti dell'inviolabilità della libertà e segretezza delle comunicazioni, per evitare, come 29Seduta antimeridiana dell'Assemblea Costituente di venerdì 11 aprile 1947.

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del resto già più volte evidenziato, che si ripetessero le attività inquisitorie del regime fascista, in cui, vale la pena ribadirlo, era assente qualsiasi regolamentazione di un idoneo sistema di garanzie.

La riserva di legge, come esplicitamente affermato dalla Corte costituzionale30, è

una riserva assoluta: tale previsione è di vitale importanza, in quanto in questo modo si preclude la possibilità che l'esecutivo intervenga mediante atti normativi secondari in questo che è un settore fondamentale in un ordinamento liberal democratico. Essa inoltre non va intesa in senso strettamente formale o generico, altrimenti il dettato costituzionale non risulterebbe appagato dal mero fatto che le limitazioni alla libertà e segretezza fossero contenute in una legge che ne ammettesse l'esperibilità tramite atto motivato: sono necessarie infatti delle garanzie ulteriori, e rilevante a tal proposito è la posizione assunta da coloro31,

secondo cui rispetto all'art. 13 Cost., l'art. 15 II comma Cost. postulerebbe una tutela maggiore rispetto alla semplice determinazione dei casi e modi nei quali è ammissibile la restrizione del valore tutelato.

Molto utili ai fini di individuare quali siano queste garanzie ulteriori, è la sentenza della Corte costituzionale 34/1973: viene chiarito, in primo luogo, non solo che la libertà di comunicazione può esser limitata solo in virtù di “effettive esigenze proprie di amministrazione della giustizia” e di “fondati motivi” che facciano ritenere che tali limitazioni saranno utili per il prosieguo delle indagini, ma anche che è necessario che siano approntate “garanzie che attengono alla predisposizione anche materiale dei servizi tecnici necessari per le intercettazioni telefoniche”, cosicché l'autorità possa effettuare il controllo necessario a verificare che si proceda solo alle intercettazioni autorizzate e nei limiti 30La libertà di comunicazione non può infatti subire restrizioni semprechè “sia rispettata la garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge [...]”. Corte Cost. sent. 366/1991.

31 Vele A., Le intercettazioni, cit., pag. 12; cfr. anche Marinelli C., Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Torino, 2007, pag. 69; ed ancora Bruno P., Intercettazioni di comunicazioni o conversazioni, in Digesto delle discipline penalistiche, VII, Torino, 1993, pag. 182.

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dell'autorizzazione e garanzie relative “al controllo sulla legittimità del decreto di autorizzazione”. Da ultimo la Corte si preoccupa di sottolineare l'importanza della determinazione sia degli scopi della limitazione sia della durata massima della stessa e della giustificazione di eventuali proroghe. Questo perché, in mancanza di tali garanzie, in primo luogo si avrebbe un pregiudizio non solo ai danni dell'indagato, ma anche del terzo, ed inoltre si determinerebbe “una sorta di rinvio in bianco alla potestà del giudice, le cui decisioni sarebbero praticamente incontrollabili”32.

Per quanto riguarda invece la riserva di giurisdizione, è opportuno effettuare un raffronto con le norme immediatamente precedenti l'art. 15 Cost. Infatti, negli artt. 13 e 14 Cost. è prevista la possibilità di limitare le pur sempre inviolabili libertà, quella personale e di domicilio, nei casi di urgenza, da parte degli organi di polizia (con convalida dell'autorità giudiziaria), senza la necessità di dover attendere l'atto motivato. Per la libertà di comunicazione invece questo non è possibile: non solo è unicamente l'atto dell'autorità giudiziaria che può spingersi a tanto (mentre sotto la vigenza dei precedenti codici di rito, sia quello del 1913, sia quello del 1930, era possibile una limitazione da parte della polizia giudiziaria, alla quale ora sono riservati solo compiti meramente esecutivi), ma esso deve anche giungere prima o eventualmente contemporaneamente alla limitazione, e non anche dopo di essa, non potendosi dunque configurare come un atto di ratifica o di convalida.

Scartando la semplicistica opinione secondo cui si sarebbe trattato di una svista del legislatore dovuta a fattori contingenti (quali improvvisi cambi di maggioranza che ebbero luogo durante il corso dei lavori preparatori), e quella per cui la libertà di comunicazione ha un valore di più elevato rango rispetto alle prime due (instaurando cosi una gerarchia che però non trova riscontro nelle fonti, e pertanto non ha ragione di esistere), il motivo per cui il costituente ha riservato a questa maggiori argini di tutela è da ricercarsi nella circostanza per cui, a 32Illuminati G., La disciplina processuale delle intercettazioni, Milano, 1983, pag. 7.

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differenza che nelle altre due, nella libertà di comunicazione l'indagato non è l'unico soggetto colpito dalle restrizioni disposte: esse vanno a incidere anche sul destinatario della comunicazione, configurandosi quindi come un diritto di libertà ad esercizio intersoggettivo, dato appunto il coinvolgimento di altri soggetti. Sono quindi diverse, sotto il profilo oggettivo, le tecniche di limitazione.

Non solo: dal momento che l'inquisito è soggetto inconsapevole delle misure che restringono la propria libertà, egli non può efficacemente assistervi o farsi difendere, come accade invece per le perquisizioni33. Questo mancato

inserimento, all'interno della norma, di un meccanismo che preveda la possibilità di adottare provvedimenti di necessità ed urgenza, è stato duramente criticato tuttavia da parte della dottrina: alcuni34 hanno sottolineato che “la formula è fin

troppo assoluta, date le esigenze di polizia che in alcuni casi particolari avrebbero pur dovuto essere prese in considerazione”, mentre altri35 hanno affermato che

“per aver voluto tutelare troppo il diritto dell'individuo si rischia in certe ipotesi di non tutelarlo affatto, recando un serio pregiudizio all'efficienza delle pubbliche autorità”, in quanto pur essendo consapevoli di quanto fosse sentito, al momento della redazione della Carta costituzionale, il senso di avversione contro le limitazioni di libertà incarnatosi, durante il regime fascista, nell'“illimitato potere di blocco ed intercettazione telefonica, non si riesce a capire come ad un cosi grave eccesso in senso opposto possa essere giunta quella stessa Costituzione che ebbe come sua più grande virtù l'equilibrio”.

Tralasciando queste che sono opinioni pur autorevoli ma minoritarie, ciò che preme ad ogni modo sottolineare è l'importanza della motivazione che accompagna il provvedimento autorizzativo, elemento in cui si sostanzia concretamente la riserva di giurisdizione e che, esponendo le ragioni in fatto e in diritto che sono alla base della sua emissione, deve consentire ai destinatari un 33Per tutti, Camon A., Le intercettazioni, cit., pag. 3.

34Biscaretti di Ruffia P., Diritto Costituzionale, Napoli, 1950, pag. 222.

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efficace controllo dell'operato del giudice in modo tale da poter attivare, in caso di avvenuta violazione, i controlli e i rimedi previsti all'art. 111 VI e VII comma Cost., con cui l'art. 15 Cost. è evidentemente collegato sotto il profilo della necessità della motivazione e del correlato regime di impugnabilità36. In fin dei

conti, non sembra sbagliato ritenere che quella di giurisdizione, come del resto anche quella di legge, sia una riserva assoluta, come efficacemente messo in luce da Mortati37: si esclude perciò la possibilità di una estensione in via interpretativa

della disciplina di polizia preventiva prevista per gli art. 13 e 14 Cost.

Ultimo punto da chiarire è quello relativo al significato da attribuire all'espressione “autorità giudiziaria”, in quanto due linee di pensiero si contrappongono.

La prima, secondo cui solo l'organo giudicante può comprimere la libertà di comunicazione, adduce a sostegno di questa tesi non solo il fatto che la medesima espressione è utilizzata (e interpretata) per gli artt. 13 e 14 Cost. in senso restrittivo, ma anche il fatto che l'art. 111 VII comma Cost. prevede che i provvedimenti incidenti sulla libertà personale siano presi dagli organi giurisdizionali, e dunque non vi sarebbe motivo di scostarsi da tale previsione in materia di intercettazioni38.

La seconda39, e prevalente opinione, vi ricomprende oltre al giudice, anche il

pubblico ministero. Secondo tale tesi, i dubbi prospettati in dottrina circa l'impossibilità di esercitare il potere di disporre le intercettazioni, per un organo diverso dal giudice, quale il pubblico ministero, che esprime la funzione di accusa, e dunque non imparziale, sarebbero infondati. Questo perché “la omnicomprensività [dell'espressione “autorità giudiziaria”] significa anche e 36Tanto che in dottrina sono stati avanzati dubbi sull'utilità di inserire anche nell'art. 15 un esplicito riferimento alla motivazione, dubbi tuttavia infondati se si considera la particolare attenzione riposta nello specificare i limiti della libertà e segretezza delle comunicazioni.

37 Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, pag. 970.

38 A sostegno di questa tesi, Balducci P., Le garanzie nelle intercettazioni fra Costituzione e legge ordinaria, Milano, 2002, pag. 45.

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soprattutto equivalenza ai fini specifici per i quali essa è posta ed è quindi percorribile dal legislatore ordinario l'unica strada dell'attribuzione piena […] del potere di intercettazione […] sia al pubblico ministero sia all'organo giurisdizionale40.

D'altronde compito della costituzione è creare limiti ai pubblici poteri a tutela delle libertà fondamentali, mentre compito del legislatore ordinario è disciplinare minuziosamente gli istituti: di conseguenza dalla semplice locuzione “autorità giudiziaria” si può solo desumere un divieto di superare l'ambito letterale del termine, come avverrebbe ad esempio se agli organi di polizia fosse concesso il potere di disporre intercettazioni, ma non anche un eventuale divieto di fare distinzioni funzionali fra gli organi ricompresi nella formula. Sarebbe peraltro sbagliato interpretare “autorità giudiziaria” come “autorità giurisdizionale”, dato che non solo la dottrina, ma anche la giurisprudenza della Corte costituzionale lo escludono: quest'ultima in particolare, nella sentenza 81/1993, riferendosi a interventi che, pur collocandosi al di fuori dell'ambito delle intercettazioni in senso stretto, vanno a intaccare il valore della segretezza, ha ritenuto per essi necessario “un atto dell'autorità giudiziaria, sia questa il pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari o il giudice del dibattimento”.

Il potere di limitazione quindi, è proprio solo dell'autorità giudiziaria, che ne è, e ne rimane titolare anche se in casi particolari la legge ordinaria può attribuire la possibilità di delegarne l'esercizio concreto ad altri soggetti secondo valutazione discrezionale dell'autorità stessa, fermo restando che in ogni caso l'atto motivato deve necessariamente provenire da questa. Da sottolineare, per ciò che concerne più da vicino la figura del giudice, che fra le due interpretazioni che sostengono rispettivamente, la prima, che il giudice che ha il potere di limitare la comunicazione sia solo quello penale, e la seconda, che invece questo potere spetta ad ogni autorità giudiziaria ordinaria, Italia è a favore della prima. Infatti, egli sostiene, nonostante molti dei poteri sulla libertà e segretezza delle 40 Taormina C., Diritto processuale penale, Torino, 1995, I, pag. 323ss.

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comunicazioni siano attribuiti dalle leggi ordinarie al giudice penale, non vi è ostacolo nell'art. 15 II comma Cost. che neghi l'attribuzione di poteri di limitazione al giudice costituzionale, civile od amministrativo41.

1.3 Intercettazioni, libertà di domicilio e libertà personale

Occorre dedicare attenzione, come accennato, anche agli artt. 14 e 13 Cost., che pur non attinenti specificamente al tema, offrono degli interessanti spunti di riflessione ai fini di un corretto inquadramento costituzionale della materia. L'art. 14 Cost., che riguarda la libertà di domicilio, recita:

“Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”.

La norma assume rilevanza ogni qualvolta si debba rapportare a modalità di indagine che prevedano una intromissione contro la volontà del proprietario “nei luoghi che rappresentano la proiezione spaziale della persona”42 (la dottrina

tende a evidenziare il collegamento fra il domicilio e la libertà personale, dal momento che in esso si realizzano i presupposti spaziali attraverso cui si esplicano le prime forme di sviluppo della personalità, individuali o associate). Tenendo conto dell'assenza, all'interno dell'ordinamento, di una definizione normativa del concetto di domicilio, secondo la dottrina è tale “ogni luogo di cui la persona fisica o giuridica abbia legittimamente la disponibilità, per lo 41Ad ulteriore sostegno della teoria l'autore riporta l'art. 12 del R.D. 645/1936 (abrogato tuttavia dal D.P.R. 171/1972), il codice postale e delle telecomunicazioni, il quale afferma che “la pubblica autorità, nei casi e modi previsti dalla legge, ha facoltà di prendere visione, avere copia e procedere al sequestro della corrispondenza”. Il fatto che la norma si riferisca ad autorità giurisdizionali e non, “costituisce indubbiamente un'altra argomentazione per escludere che l'autorità giudiziaria dell'art, 15 Cost. sia soltanto l'autorità giudiziaria in sede penale”. Italia V., Libertà e segretezza, cit., pag. 19.

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svolgimento di attività connesse alla vita privata o di relazione e dal quale intenda escludere i terzi”43.

Fatte queste dovute premesse, il punto focale che interessa qui mettere in luce, è che, in base al tenore letterale del secondo comma della norma, fra gli atti restrittivi della libertà domiciliare che sarebbe possibile porre in essere, sembrano essere ricompresi, secondo una logica tassativa riconducibile a quella del numerus clausus, solo quelli espressamente indicati (ispezioni, perquisizioni, sequestri), lasciando escluse proprio le intercettazioni domiciliari. Si è dunque sostenuto in dottrina, basandosi proprio sull'omessa annoverazione delle intercettazioni nel catalogo della norma, che la disciplina predisposta dall'articolo 266 II comma c.p.p. sarebbe incompatibile col tenore della norma costituzionale; pertanto solo tramite una revisione dell'art. 14 Cost. con il procedimento previsto all'art. 138 Cost sarebbe possibile ovviare al problema (cosa peraltro difficilmente realizzabile in quanto si tratterebbe di diritti inviolabili, come tali sottratti al procedimento di revisione costituzionale). Di diverso avviso tuttavia è la giurisprudenza, secondo cui le intercettazioni nel domicilio sarebbero praticabili sulla base di un bilanciamento di interessi: l'inviolabilità del domicilio “va correlata alla facoltà attribuita alla legge ordinaria di prevedere e regolare intromissioni nel privato anche con la limitazione di ogni forma di comunicazione (art. 15 Cost) per atto motivato dell'autorità giudiziaria, limitazione conseguente al privilegio che compete all'interesse pubblico la cui attuazione è demandata al p.m. dalla costituzione (art. 112 Cost.)44”.

L'art. 13 Cost. invece, sulla libertà personale, è cosi formulato:

“La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, nè qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati 43 Caretti P. - De Siervo U., Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 2006, pag. 602.

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tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.”

Già ad un prima lettura salta subito all'occhio come la norma in questione sia l'archetipo da cui sia la libertà domiciliare, sia la libertà di corrispondenza, abbiano tratto il loro sistema di garanzie basandosi su quello costruito all'interno dell'art. 13 Cost. Proprio per quanto attiene alla libertà di corrispondenza, si può rilevare come la disposizione non sia stata esaminata approfonditamente all'interno dei vari studi condotti in tema di intercettazioni. Questo perchè esse non si contraddistinguono per essere un mezzo di ricerca della prova di natura coercitiva (come l'ispezione o la perquisizione), ma per il fatto che incidono sulla segretezza delle comunicazioni e, talvolta, come in precedenza visto, sulla inviolabilità domiciliare. Discorso diverso per i mezzi investigativi atipici, per i quali, proprio perchè non contemplati espressamente, è necessaria un'attenta disamina sotto i profili dell'an e del quantum volta a verificare se collidano con la libertà personale dell'individuo. Bisogna tuttavia sottolineare che quanto appena detto vale in misura meno stringente per i mezzi atipici affini alle intercettazioni, proprio perchè questa vicinanza è tale da escludere profili di interferenza, tenendo sempre presente però che anche per essi, in qualità di mezzi atipici, un esame circa il rispetto delle garanzie dell'art. 13 Cost. va pur sempre effettuato.

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1.4 L'attuazione dell'art. 15 Cost. nell'impianto del codice di procedura penale Terminata l'analisi dei principi costituzionali espressi in seno all'art. 15 Cost., si tratta di vedere come (e se) essi abbiano trovato una adeguata attuazione all'interno dell'articolato normativo racchiuso nell'attuale codice di procedura penale, partendo da due considerazioni: il codice, come detto, non fornisce esplicitamente una definizione di intercettazione, che andrà quindi ricavata fra le righe dell'articolato normativo; interventi in materia devono inoltre sempre avvenire in conformità alle prescrizioni dell'art. 15 Cost45.

Interessante, anche ai fini di una migliore comprensione, può essere una pur breve ricostruzione della disciplina prevista dai vecchi codici del 1913 e del 1930 prima dell'introduzione della Costituzione nel 1948 e del codice Vassalli nel 1988. In particolare nel codice del 1913, la disciplina sulle intercettazioni, per evidenti ragioni connesse allo sviluppo tecnologico e alla scarsa diffusione degli attuali strumenti di comunicazione di massa, era regolata in maniera indiretta e con una formulazione quasi superficiale: l'utilizzo del telefono (indicato come “comunicazione a distanza fra privati”) e la possibilità di effettuare intercettazioni erano disciplinati nello specifico agli art. 170 c.p.p., il quale, al comma terzo, consentiva agli ufficiali di polizia giudiziaria “per i fini del loro servizio” di “accedere agli uffici telefonici per intercettare o impedire comunicazioni od assumerne cognizione” (autorizzandoli quindi ad effettuare interventi di propria iniziativa, mentre oggi come visto, sono solo titolari di compiti meramente esecutivi), e 238 c.p.p., il quale, sempre al comma terzo, attribuiva tale medesimo potere al giudice istruttore.

Sostanzialmente invariata ed anzi, accentuata in misura maggiore sotto il profilo repressivo a discapito degli aspetti garantistici, rimaneva la disciplina originaria all'interno del codice Rocco, emanato in pieno regime fascista: “una normativa fluida ed indeterminata risultava, invece, estremamente congeniale alle esigenze 45Come efficacemente affermato, “non potrà addivenirsi ad intercettazioni telefoniche al di fuori

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del regime fascista, il cui apparato repressivo avrebbe fatto un cosi largo uso dei controlli telefonici ai fini della sorveglianza politica”46. L'art. 339 c.p.p. infatti

consentiva al giudice istruttore e al p.m. “piena libertà di accesso presso qualsiasi ufficio o impianto telefonico e telegrafico, allo scopo di trasmettere messaggi, operare intercettazioni, ed assumere non meglio specificate altre informazioni”47,

mentre dal canto suo l'art. 226 III comma c.p.p. attribuiva lo stesso potere agli ufficiali di polizia giudiziaria, che “per i fini del loro servizio” potevano accedere agli uffici o impianti telefonici di pubblico servizio “per trasmettere o intercettare o impedire comunicazioni, prenderne cognizione o assumere altre informazioni”. Per cui l'unica concreta novità rispetto al previgente codice era l'esplicito riconoscimento in capo al p.m. del potere di delegare il compimento delle operazioni ad un ufficiale di polizia giudiziaria, fattispecie peraltro già riconosciuta in via interpretativa anche nel vecchio sistema. Risulta evidente dunque che, l'istituto, cosi congegnato, non solo era inadeguato a tenere il passo dinanzi ai continui avanzamenti tecnologici, ma anche, e soprattutto, che era del tutto in controtendenza con i principi liberal-democratici tanto fortemente esaltati nella Costituzione; nonostante questo, il primo intervento normativo di adeguamento della legislazione ordinaria alla Carta Costituzionale avverrà solo qualche anno dopo il suo ingresso nell'ordinamento.

Fu infatti solo con la legge 517 del 1955 che si ebbe l'introduzione di un quarto comma all'art. 226 c.p.p., il quale rese obbligatoria l'adozione di un'autorizzazione giudiziaria motivata per il compimento di tutte le operazioni intercettive, soprattutto quelle compiute dalla polizia giudiziaria. L'art. 339 c.p.p. invece fu diviso in due commi, di cui il primo disciplinava la delega da parte del giudice all'ufficiale di polizia giudiziaria, dell'attività di intercettazione, mentre il secondo aggiungeva che “l'accesso [della polizia giudiziaria agli impianti telefonici pubblici] è disposto con decreto motivato”. Tali interpolazioni tuttavia, pur 46Bruno P., Intercettazioni, cit., pag. 181.

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adeguate sotto un punto di vista strettamente formale (è stato asserito infatti che le riforme operate dalla legge del 1955, “quantunque non abbiano operato una specifica “concretizzazione” dell'art. 15 II comma, hanno tuttavia inciso sull'antica normativa nelle parti che risultavano direttamente incompatibili con la previsione costituzionale”48) non erano esenti da imperfezioni, sin da subito evidenziate

dalla dottrina49. Se del resto appariva conforme alla riserva di giurisdizione

espressa nell'art. 15 II comma Cost. la previsione dell'“atto motivato” dell'autorità giudiziaria, “più delicato potrebbe apparire, invece, [...] il discorso intorno alle “garanzie stabilite dalla legge”, che lo stesso II comma dell'art. 15 Cost. configura quale “ulteriore garanzia” per l'individuo [...]”50.

A questi rilievi critici della dottrina peraltro sarà dato seguito solo venti anni più tardi con una storica pronuncia della Corte Costituzionale, la sentenza 34 del 1973, che affrontò in termini organici il problema51. In essa non soltanto si

afferma che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono dichiarate inviolabili dal primo comma dell'art. 15 Cost., ma anche che lo stesso “enuncia anche espressamente che "la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge" (comma secondo)”, sottolineando che sono due gli interessi che trovano protezione nella norma costituzionale: “quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall'art. 2 Cost., e quello connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati.” La sentenza quindi prosegue affermando quello che si rivelerà essere un punto cardine dell'intera disciplina delle intercettazioni: 48Grevi V., Intercettazioni telefoniche, cit., pag. 1071.

49Criticata era l'assenza di criteri guida utili al giudice per l'emanazione del provvedimento autorizzativo, come lo era del resto la mancata previsione di rimedi nel caso di carenza di motivazione da parte sua. Cfr. Giocoli L., Le recenti riforme processuali penali, in Rivista Penale, 1956, I, pag. 80.

50Grevi V., Intercettazioni telefoniche, cit., pag. 1071.

51Spunto per la pronuncia della sentenza della Corte fu un'ordinanza emessa dal Tribunale di Bolzano con la quale si sollevava la questione di legittimità dell'art. 226 ultimo comma in riferimento agli artt. 15 e 24 della Costituzione - questione di legittimità poi ritenuta infondata.

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“nel testo dell'art. 15 figurano puntualmente indicate le condizioni necessarie a legittimare dette limitazioni e la disposizione contenuta nell'art. 226, ultimo comma, del codice di procedura penale è stata modificata dal legislatore (legge 18 giugno 1955, n. 517) proprio per armonizzarla al disposto costituzionale. A termini di detto articolo gli ufficiali di polizia giudiziaria, nel corso degli atti investigativi preliminari all'istruttoria, possono procedere ad intercettazioni telefoniche non di propria iniziativa ma solo a seguito di apposita autorizzazione dell'autorità giudiziaria che la rilascia con decreto motivato. […] Nel nostro sistema quindi la compressione del diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche, che l'intercettazione innegabilmente comporta, non resta affidata all'organo di polizia, ma si attua sotto il diretto controllo del giudice.”

In sostanza, i punti focali della sentenza ruotano attorno a due perni: il primo, relativo all'atto motivato dell'autorità giudiziaria, per cui esso può essere emanato solo laddove ve ne sia assoluta necessità e ciò risulti proficuo ai fini del proseguimento delle indagini; il secondo, relativo alle “altre garanzie” da stabilirsi con legge, che secondo la Corte avrebbero dovuto dipanarsi in tali direzioni: determinazione dei casi e modi della misura limitativa; individuazione degli scopi della stessa, con la relativa indicazione della durata e della motivazione; “predisposizione materiale dei servizi tecnici necessari” (ovvero l'individuazione degli impianti di captazione), in modo da semplificare il controllo dell'autorità giudiziaria; sindacabilità del decreto di autorizzazione; attribuzione del segreto alle risultanze delle intercettazioni (specie a quelle non rilevanti ai fini del relativo processo) e “eliminazione del materiale non pertinente”.

I moniti e gli auspici della Corte vennero recepiti dal legislatore in tempi rapidi, dato che l'anno successivo fu emanata la legge 98 del 1974, che mutò radicalmente l'apparato normativo. Adeguandosi ai criteri dettati dalla Corte, essa elencava tassativamente le fattispecie indagabili tramite l'istituto delle intercettazioni, stabiliva termini perentori (quantificati in quindici giorni prorogabili per un massimo di due volte) e dettagliate norme ai fini

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