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Intercettazioni nei confronti del Presidente della Repubblica

Premessa

Arrivati a questo punto della trattazione è doveroso soffermarsi, quale argomento conclusivo, sulla tematica delle intercettazioni in relazione alla più alta carica dello Stato, il Presidente della Repubblica. Questo non solo per il ruolo di primaria importanza che il Capo dello Stato assume all'interno dell'ordinamento, il che già per sè stesso giustificherebbe l'interesse, ma anche per attuare un confronto con i livelli di tutela apprestati per il cittadino comune e per i parlamentari, di cui abbiamo sinora trattato, al fine di verificare se vi siano e quali siano le differenze che caratterizzano le garanzie riservate ai vari soggetti. A tale scopo, appare opportuno effettuare una breve ricostruzione del ruolo e dello status assegnati al Presidente quale figura istituzionale di spicco dell'ordinamento: pertanto anche in questo caso sarà necessaria una disamina delle norme costituzionali preposte al regolamento della materia.

Occorre infatti tener presente che la figura del Capo dello Stato irrompe nel panorama giuridico italiano all'indomani dell'entrata in vigore della Costituzione, come un'innovazione radicale, ponendosi dunque in una logica di discontinuità rispetto alla figura del monarca delineata nello Statuto albertino: i poteri di quest'ultimo infatti presentavano il carattere dell'ambivalenza, oscillando fra il ruolo discreto del Re costituzionale e quello del sovrano quale supremo reggitore dello Stato nei momenti di crisi381.

Il pieno dispiegamento del principio democratico, e la trasformazione avvenuta nella forma di governo parlamentare, che, in una declinazione più matura, si è 381 Per rilievi più ampi sulla figura del Re nello Statuto albertino si veda Galeotti S. - Pezzini B., Presidente della Repubblica nella Costituzione italiana, in Digesto delle discipline pubblicistiche XI, Torino, 1996, pag. 419.

incentrata nella sovranità popolare e nel Parlamento, ha fatto si che nella Costituzione repubblicana non vi fosse più spazio per la tradizionale forza politica attribuita al Capo dello Stato (segno anche del carattere dell'imparzialità della funzione e dell'indipendenza da ogni altro potere), tanto che viene espressamente sancito nella Carta costituzionale all'art. 94, che il Governo viene a dipendere da un rapporto di fiducia che si instaura solo nei confronti delle Camere, e non più anche nei confronti del Capo dello Stato, come avveniva in vigenza del vecchio regime. Il fatto comunque che i Costituenti abbiano voluto mantenere, pur con funzioni ridotte e rinnovate, una figura del Capo dello Stato inserita in tutti i procedimenti costituzionali in cui si estrinseca la volontà sovrana dello Stato, gioca a favore del riconoscimento allo stesso di un ruolo e di una funzione propria: quella di garanzia e di rappresentanza dell'unità nazionale, senza che questo voglia dire che sia un organo rivestito solo di funzioni simbolico- rappresentative.

La carica rivestita dal Presidente, assumendo dunque in questo modo una configurazione garantistica, che si staglia al di sopra delle parti politiche e della potestà d'indirizzo politico e di governo, si è evoluta nel tempo. Si e passati infatti da una prima formulazione della concezione garantistica, individuata dalla dottrina in una funzione di controllo giuridico, cioè “obbiettivamente, anche se teleologicamente, vincolato dal diritto, e più precisamente dalla Costituzione”382,

facendo apparire quindi l'attività svolta dal Presidente come accessoria a quella del Parlamento e del Governo, ad una seconda formulazione in cui la stessa concezione si amplia come controllo e garanzia anche in via attiva.

Infatti, fra le caratteristiche che il Presidente della Repubblica ha ereditato dalla figura del monarca statutario, c'è anche la prerogativa dell'irresponsabilità, che si sostanzia nella necessità della controfirma di tutti i suoi atti da parte del Ministro competente il quale, facendo ciò, assume su se stesso la responsabilità giuridica e politica di fronte al Parlamento. Travalicando dunque i limiti angusti in cui era 382 Galeotti S. - Pezzini B., Presidente della Repubblica, cit., pag. 422.

relegato il ruolo del Presidente (un ruolo fondamentalmente negativo, che si manifestava in un non facere), dovuti alla pedissequa recezione, sancita dalla Costituzione, del meccanismo della proposta-controfirma del Ministro responsabile come condizione imprescindibile ai fini della validità degli atti di esercizio delle funzioni presidenziali, la concezione garantista allargava i propri confini mediante l'individuazione di tutti quegli atti che vengono in essere ad iniziativa propria del solo Presidente, ovvero i cd. atti tipicamente presidenziali, per i quali non potrebbe ammettersi, senza snaturare la funzione dell'atto, una proposta governativa. In questo modo il ruolo del Presidente si configura non solamente nelle forme di un controllo negativo, che si pone in essere tramite il

non facere presidenziale, ma anche nelle forme di un controllo attivo ad iniziativa

del Capo dello Stato; forme entrambe volte ad adempiere al compito di garantire i valori ed i principi della Costituzione, e di conseguenza la stabilità e l'unità dell'ordinamento383.

La natura di organo di garanzia e di potere neutro del Capo dello Stato, propria, come abbiamo visto, della concezione garantistica, non può non avere conseguenze sul piano della regolamentazione della responsabilità: per capire come questa sia strutturata, occorre partire dalla premessa per cui l'art. 4 dello Statuto albertino sanciva l'irresponsabilità del monarca, la cui persona era sacra ed inviolabile; principio questo che trovava il suo naturale completamento nella previsione della responsabilità dei ministri attraverso il meccanismo della controfirma.

383 Critiche alla concezione garantista sono state mosse da Esposito C., Capo dello Stato, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano, 1960, il quale, ritenendo la stessa appartenente al genere delle concezioni “mistiche” del Capo dello Stato, in contrapposizione a quelle “realistiche”, ne nega la caratteristica dell'imparzialità (che ne costituisce invece presupposto fondamentale), sulla base di due argomenti: da una parte, “l'imparzialità delle decisioni” sarebbe propria di tutte le “istituzioni costituzionali (e organi dipendenti) dello Stato” e non solo del Presidente della Repubblica (pag. 235), e di conseguenza, lo stesso Presidente non avrebbe il ruolo di “tutore della Costituzione”, dal momento che questo sarebbe compito proprio di tutti gli organi dello Stato; dall'altra, con un argomento di tipo realistico, l'impossibilità per il Presidente di assumere un atteggiamento imparziale sarebbe dato dai limiti inerenti la natura umana di chi ricopre in concreto la carica.

La Costituzione repubblicana sembra ribadire questo principio, proprio del parlamentarismo, all'art. 89 comma I, secondo cui “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è firmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”, e all'art. 90 comma I secondo cui “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Le due norme sono dunque da leggersi in un unicum384: la seconda prevede l'irresponsabilità

giuridica (penale, civile ed amministrativa) del Presidente per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, ad eccezione dei due casi espressamente previsti; la prima invece, tramite il meccanismo della controfirma ministeriale, è volta alla predisposizione di un meccanismo utile a coprire l'irresponsabilità del Presidente. Inizialmente il meccanismo della controfirma, tipico dei governi costituzionali, aveva agevolato la condivisione del potere di governo tra il re e i suoi ministri e, in un secondo momento, uno spostamento dello stesso potere al raccordo governo-parlamento, mantenendosi in via formale in capo al monarca, che rimaneva quindi irresponsabile, la titolarità della funzione esecutiva. Rappresentando la controfirma il mezzo tramite il quale si trasferivano le funzioni di direzione politica dal Capo dello Stato al governo, la dottrina prevalente al tempo dell'entrata in vigore della Costituzione lo considerava indissolubilmente collegato alla forma di governo parlamentare, a tal punto che un suo eventuale abbandono avrebbe avvicinato il rischio di fuoriuscire dal modello della Repubblica parlamentare per abbracciare quello della Repubblica presidenziale: per questo motivo lo stesso veniva introdotto in Costituzione, poiché confermava non solo la natura parlamentare della forma di governo, ma anche, e di conseguenza, la mancata partecipazione del Presidente alle funzioni di indirizzo

384 Tanto che, nel progetto presentato dal Comitato dei 75 all'Assemblea costituente, le due norme andavano a costituire una singola disposizione, l'art. 85 del progetto stesso. Sull'argomento si veda, fra gli altri, Giupponi T. F., Le immunità della politica, cit., pag. 161, e Carlassare L., sub art. 90, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 1983, pag. 155.

politico385.

La previsione dell'irresponsabilità del Presidente, è dunque intimamente legata all'istituto della controfirma: come per quest'ultimo, anche la previsione dell'irresponsabilità è connessa alla forma di governo parlamentare: il Presidente, non partecipando alla funzione di indirizzo politico, non può assumersi alcuna responsabilità politica, e di conseguenza l'irresponsabilità giuridica è dovuta all'impossibilità di imputare i riflessi giuridici di un atto a chi non lo ha deciso. In sostanza, “il Presidente della Repubblica [...] non è responsabile sotto alcun profilo per gli atti che gli sono riferiti perchè la responsabilità è dei ministri controfirmanti. E questi ultimi sono responsabili non per fatto altrui, bensì per fatto proprio, perchè in realtà la decisione degli atti presidenziali è loro, perchè, in definitiva, il nostro è un sistema parlamentare”386: in altri termini, la

controfirma è “insieme requisito di validità dell'atto, dislocazione effettiva del potere e strumento di sostanziale imputazione della responsabilità in capo al Governo”387.

Dubbi sulla validità di queste argomentazioni potrebbero sorgere qualora si consideri la presenza, all'interno dell'ordinamento, di atti ad iniziativa e deliberazione presidenziale (quali ad esempio la nomina dei giudici della Corte costituzionale ex art. 134 Cost. od anche il rinvio delle leggi al Parlamento ex art. 74 Cost.), appartenenti al ruolo tipico di garanzia del Presidente e per i quali non è condizionante la proposta del ministro. Ed invero in questi casi, il meccanismo della controfirma funziona in maniera difforme: per queste attribuzioni presidenziali, il binomio proposta-controfirma si è adattato in modo tale da eliminare la proposta, estranea e in contraddizione con la natura di questo tipo di atti, e la controfirma rimane quale elemento fondamentale per la validità formale dell'atto del Presidente, come certificazione della regolarità dell'esercizio delle 385 Cfr. Galeotti S. - Pezzini B., Presidente della Repubblica, cit., pag. 444.

386 Carlassare L., sub art. 90, cit., pag. 155.

attribuzioni presidenziali388. E a ben vedere il conferimento al Capo dello Stato di

autonomi poteri è andato di pari passo con l'evoluzione dell'istituto della controfirma, senza che ciò comportasse il venir meno del suo significato quale strumento di esclusione del Presidente dalle funzioni di indirizzo politico, confermando quindi l'assenza, in capo ad esso, di una responsabilità politico- istituzionale.

Del resto, tornando alla disciplina dell'irresponsabilità, questa, pur ponendosi in continuità con quanto avveniva in costanza di regime monarchico, in cui si configurava come assoluta a favore del re, in quanto avvinta alla persona del Capo dello Stato e dovuta in virtù del principio della legittimazione dinastica e, almeno in origine, della legittimazione per grazia divina389, con l'avvento della

Repubblica si distacca da questo modello originario. Infatti, in virtù del ruolo di garanzia e controllo affidato al Presidente della Repubblica, l'irresponsabilità non solo viene a collegarsi alle funzioni e non più alla persona che ricopre la carica390,

ma, inoltre, viene ad essere confinata entro il perimetro di questo eminente ruolo di garanzia, lasciando aperte le porte ad una doppia responsabilità, quella extrafunzionale, e quella per alto tradimento ed attentato alla Costituzione ex art. 90 Cost391.

In definitiva ciò che contraddistingue la posizione del Presidente è proprio la responsabilità penale costituzionale per le due ipotesi previste all'art. 90 Cost., che non configurano una eccezione alla sua irresponsabilità, ma sono semplicemente la conseguenza del principio in base al quale, come non è 388 Cfr. Galeotti S. - Pezzini B., Presidente della Repubblica, cit., pag. 446.

389 Concezione questa, espressa in maniera cristallina nel principio di derivazione anglosassone “King can not do wrong”: il Re non può fare male. Per più ampie considerazioni a riguardo si veda Zagrebelsky G., Procedimento e giudizi d'accusa, in Enciclopedia del diritto, XXXV, Milano, 1986, pag. 903.

390 Cfr. Mele M. E., Irresponsabilità penale del Capo dello Stato, in Orlandi R. e Pugiotto A., Immunità politiche e giustizia penale, Torino, 2005, pag. 292.

391 Carlassare L., sub art. 90, cit., pag. 150, asserisce invero che nel rapporto regola-eccezione fra responsabilità ed irresponsabilità, quest'ultima costituirebbe l'eccezione, poiché il principio democratico non consente l'esistenza di soggetti immuni, e pertanto la responsabilità del Presidente si dovrebbe porre quale regola.

ammissibile che egli sia responsabile per ciò che non fa, cosi deve esserlo per ciò che può e deve fare in virtù del ruolo che è chiamato a ricoprire.

L'art. 134 Cost. demanda il giudizio per l'accertamento della responsabilità del Presidente della Repubblica alla Corte costituzionale, subordinandolo tuttavia ex art. 90 II comma Cost., alla previa deliberazione della messa in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri: pertanto nel prosieguo di trattazione sarà necessario analizzare, a grandi linee, le peculiarità di tale procedimento di accusa, con particolare riferimento agli aspetti relativi alla possibilità di poter utilizzare il mezzo delle intercettazioni quale strumento di indagine.

E' utile tuttavia una precisazione, data la delicatezza dell'argomento. Come opportunamente rilevato392, l'ipotesi di commissione dei reati presidenziali ex art.

90 Cost. deve essere considerata, in virtù dell'alto ruolo affidato al Presidente della Repubblica e benché non si escluda del tutto il caso di una effettiva realizzazione, di remota concretizzazione e circoscritta ad un ambito puramente accademico393, valutando le situazioni in cui il Capo dello Stato sconfini oltre i

limiti delle sue attribuzioni costituzionali come inquadrabili nella strada del conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, piuttosto che nelle figurae criminis previste nella citata norma costituzionale.

392 Si veda Spadaro A., La Corte “giudice” (immaginario?) dei reati presidenziali, in Ciarlo P., Pitruzzella G. e Tarchi R. (a cura di), Giudici e giurisdizioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 1997, pag. 418.

393 Senza contare le difficoltà cui vanno incontro gli operatori giuridici nell'individuazione dei comportamenti concreti che possono essere efficacemente ricondotti alle ipotesi di responsabilità presidenziale. Due soluzioni sono state prospettate in dottrina. La prima è la teoria penalistica, secondo cui “alto tradimento” e “attentato alla Costituzione” sarebbero solamente le fattispecie criminose così espressamente denominate dalla legislazione penale. La seconda è la teoria autonomistica o costituzionalistica, in base alla quale le stesse due nozioni si configurerebbero quali figure autonome di reato, che si ricaverebbero direttamente dalla Costituzione e non identificabili invece solamente con le fattispecie di reato previste dalle leggi penali. Per questi rilievi si veda Veronesi P., Responsabilità penale costituzionale del Presidente della Repubblica (giudizio sulla), in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIII, Torino, 1997, pag. 279 e 280, ed anche Carlassare L., sub art. 90, cit., pag. 165 e 169.

1.1 Procedimento d'accusa e giudizio innanzi alla Corte costituzionale: l'utilizzo

dello strumento intercettivo

Dunque, come si è accennato, l'accertamento della responsabilità del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione è deferito dall'art. 134 Cost. alla Corte costituzionale, subordinandolo alla preventiva valutazione del Parlamento in seduta comune che deve deliberare la messa in stato d'accusa del Presidente. Si tratta di un'ipotesi di deroga alla giurisdizione ordinaria, invero l'unica ormai, dal momento che, modificando gli artt. 96 e 134 Cost., la legge cost. n. 1/1989, ha tolto alla cognizione della Corte costituzionale la competenza per i reati ministeriali, facendola rientrare nell'alveo del giudizio comune. Ed in effetti il giudizio di cui si tratta è un istituto che appartiene alla c.d. “giustizia politica”, che si caratterizza non solo per il soggetto sottoposto a giudizio e per la peculiare natura dei reati giudicati, degli organi di accusa e di giudizio, ma anche per la particolarità delle regole che ne disciplinano lo svolgimento394.

Due precisazioni ad ogni modo meritano di essere fatte: anzitutto, non vi è una conformità di opinioni riguardo l'attuale significato dell'istituto, tanto che l'opportunità del suo perdurare è posta in discussione da più parti395; inoltre si

deve tenere conto del fatto che ad oggi tale procedimento non ha mai trovato concreta applicazione.

In conseguenza della revisione costituzionale operata con l. cost. 1/1989, la funzione accusatoria del Parlamento in seduta comune rimane solo per i reati di cui all'art. 90 Cost., e non più per i reati ministeriali. La deliberazione di messa in stato d'accusa, che ex art. 90 II comma Cost. deve essere assunta a maggioranza 394 Cfr. Mele M. E., Irresponsabilità penale, cit., pag. 313.

395 Contrario alla qualificazione di tale giustizia come “politica” infatti è Spadaro A., La Corte “giudice”, cit., pag. 398, secondo il quale proprio per il soggetto giudicato, l'organo dell'accusa, la natura dei reati contestati e il tribunale giudicante, si potrebbe correttamente parlare di una giustizia “speciale”, ma non appunto “politica”, il cui residuare sarebbe dovuto a ragioni storiche di continuità funzionale del Capo dello Stato, ma comunque non più idonee a giustificare la conservazione di questo modello. Si veda anche, per un'analisi più dettagliata, Zagrebelsky G., Procedimento e giudizi d'accusa, cit., pag. 899.

assoluta dei propri membri, in base al novellato art. 12 della l. cost. 1/1953, deve anche essere adottata previa relazione del Comitato per i giudizi d'accusa, formato dai componenti delle Giunte per le autorizzazioni a procedere di Camera e Senato, presieduto dal Presidente dell'una o dell'altra Giunta, che si alternano per ciascuna legislatura.

L'intero procedimento, regolato dalla legge cost. 1/1953 e dalla legge 219/1989, prende le mosse con la presentazione di denunce, referti o rapporti che riguardino i reati di alto tradimento ed attentato alla Costituzione: essi devono essere presentati, o fatti pervenire immediatamente, al Presidente della Camera che li trasmette al Comitato, mentre le denunce dei membri del Parlamento devono essere presentate al Presidente della Camera di appartenenza. Peculiarità della procedura è che ad essa può essere dato impulso anche d'ufficio dallo stesso Comitato, dandone notizia al Presidente della Camera dei deputati. Come che sia, in base all'art. 9 I comma della legge 219/1989, il Comitato provvede ad effettuare le indagini, anche mediante delega ai suoi componenti, non solo nei confronti del Capo dello Stato, ma anche verso ogni soggetto concorrente alla commissione dei reati di cui all'art. 90 Cost., con gli stessi poteri d'indagine che sono attribuiti al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari (art. 5 comma IV e art. 1 legge 219/1989). Per quanto riguarda la durata delle indagini, è previsto un termine per la loro conclusione pari alla durata di cinque mesi, salvo che il Comitato decida di prorogarne il decorso di tre mesi a causa della loro eventuale complessità, ed in ogni caso, laddove vi sia stata richiesta da almeno quaranta membri, il Parlamento può decidere che il Comitato effettui, in una durata non superiore a tre mesi, un supplemento delle indagini. Infine, vi è un regime di segretezza che copre gli atti di indagine fino alla decisione adottata all'esito del procedimento, e dunque non possono in alcun modo essere divulgati (art. 11 comma II della legge 219/1989).

Converrà soffermarsi sulla tematica delle indagini, dal momento che proprio per quel che riguarda le intercettazioni (e più in generale anche gli altri atti invasivi

quali strumenti di indagine) la legge ne permette un utilizzo soggetto a limitazioni. Se infatti è vero che talvolta si rende necessario l'impiego di questi strumenti ai fini di un proficuo accertamento dei reati presidenziali di cui all'art. 90 Cost., la cui rilevanza, vale la pena ribadirlo, non è solo penale e quindi personale, ma anche istituzionale, è certamente vero anche che il loro essere strumenti cosi penetranti ne ha reso opportuno un uso più prudente. Dunque l'art. 7 comma II della legge 219/1989 prevede, in generale, che i provvedimenti che dispongono intercettazioni telefoniche o di altre forme di comunicazione (nonché quelli relativi ad altre misure restrittive della libertà personale) debbano in ogni caso essere deliberati dal Comitato: nei confronti del Presidente della Repubblica, “se non dopo che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione della Carica” (art. 7 comma III della citata legge), mentre nei confronti di altri soggetti, in qualsiasi momento.

Nella fase propriamente delle indagini tuttavia, sulla base del comma IV dell'art.

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