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Training chirurgico in chirurgia vertebrale: analisi della letteratura e sviluppo di un simulatore paziente specifico

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie

in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

TRAINING CHIRURGICO IN CHIRURGIA VERTEBRALE:

ANALISI DELLA LETTERATURA E SVILUPPO

DI UN SIMULATORE PAZIENTE SPECIFICO

Relatore:

Prof. Paolo Domenico Parchi

Candidato:

Francesca Orzi

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RIASSUNTO

Il ricorso all’uso di simulatori per il training chirurgico ortopedico sta rivelandosi un’ot-tima alternativa in un contesto che rende sempre più difficoltoso al chirurgo inesperto collezionare esperienze formative nella quotidianità clinica.

Simulatori fisici (e ibridi) paziente specifici per la protesizzazione totale dell’anca sono già stati presentati dal centro EndoCAS ed hanno mostrato la loro appropriatezza nel trai-ning e nel plantrai-ning chirurgico. Obiettivo dello studio pilota oggetto di questa tesi è stato quello di sviluppare un simulatore fisico spinale e dimostrarne l’utilità e l’appropriatezza per il training nel posizionamento di viti peduncolari.

I simulatori fisici spinali utilizzati sono stati creati a partire da scansioni CT di pazienti reali successivamente segmentate tramite la Pipeline di segmentazione EndoCAS inte-grata al software open source ITK-SNAP 1.5. Le strutture segmentate sono state stampate in 3D con Stratasys Elite by Dimension che utilizza la tecnologia di modellazione a depo-sizione fusa (FDM). Le componenti sono state infine assemblate per la creazione dei phan-tom.

A seguire, la fase del test che ha coinvolto 5 specializzandi alla prima esperienza di trai-ning su simulatore e li ha impegnati nel posizionamento di viti peduncolari sotto la super-visione di un chirurgo esperto: sono state impiantate 32 viti totali, è stata utilizzata la strumentazione chirurgica standard, è stato valutato il posizionamento delle viti prima con tecnica fluoroscopica e radiografica e in ultimo con disassemblaggio del manichino. L’error rate registrato si è mostrato perfettamente in linea con quello riportato in lettera-tura.

Al termine del test sono stati sottoposti dei questionari di valutazione agli specializzandi: è stato valutato il realismo del simulatore e la sua appropriatezza per il training. In gene-rale, nonostante alcuni limiti di realismo di alcune strutture anatomiche riprodotte, la maggior parte del campione intervistato ha ritenuto il sistema di training adatto a con-sentire un’esecuzione verosimile del task simulato. La valutazione globale del simulatore

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fisico, invece, ha messo in luce il pieno accoglimento del sistema di training da parte degli specializzandi.

Questi risultati incoraggiano l’istituzione di corsi formativi su simulatore nel percorso specialistico e sostengono studi futuri mirati a valutare l’eventuale abbattimento della curva di apprendimento del task simulato su campioni più ampi.

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INDICE

CAPITOLO 1 ... 5

INTRODUZIONE: USO DEI SIMULATORI NEL TRAINING CHIRURGICO ORTOPEDICO... 5

CAPITOLO 2 ... 9

SISTEMI DI POSIZIONAMENTO DI VITI PEDUNCOLARI ... 9

INTRODUZIONE ... 9

STORIA DEI SISTEMI DI POSIZIONAMENTO ... 12

POSIZIONAMENTO MANUALE E COMPUTER ASSISTITO DI VITI PEDUNCOLARI ... 22

DIME PAZIENTE SPECIFICHE ... 41

CAPITOLO 3 ... 47

LEARNING CURVE: TRA LIMITI DEL TRAINING CLASSICO E NUOVE PROSPETTIVE 3D ... 47

CAPITOLO 4 ... 57

MATERIALE E METODO ... 57

CASI SELEZIONATI ... 57

SEGMENTAZIONE DELLE IMMAGINI ... 58

PROCESSO DI STAMPA 3D ... 65

ASSEMBLAGGIO DEL MANICHINO ... 65

IL TEST ... 74 CAPITOLO 5 ... 80 RISULTATI E DISCUSSIONE ... 80 CAPITOLO 6 ... 93 CONCLUSIONI ... 93 BIBLIOGRAFIA ... 96

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE: USO DEI SIMULATORI NEL TRAINING

CHIRURGICO ORTOPEDICO

L’incremento del costo al minuto del funzionamento della sala operatoria, la conseguente ricerca di tempi operatori più brevi, la crescente richiesta di sicurezza del paziente hanno reso sempre più difficile collezionare nella quotidianità clinica esperienze chirurgiche fondamentali per il training. Anche i rapidi cambiamenti in ambito sanitario e la continua evoluzione delle tecniche chirurgiche hanno reso difficile all’apprendista acquisire esperienza nel proprio campo. In aggiunta, la complessità degli interventi chirurgici data, non da ultimo, dall'introduzione della chirurgia mini invasiva, ha conosciuto un alto tasso di crescita. Tutto ciò ha portato ad un sempre maggiore utilizzo dei simulatori come alternativa nel training rispetto ai più classici modelli animali o preparati umani. Ad oggi il training su simulatore rappresenta la metodica più ampiamente adottata in campo sanitario, in quanto crea un ambiente di apprendimento sicuro e controllato in un’atmosfera non pressante e priva di rischi.1,2 L’approccio adottato nell’uso del simulatore è incentrato sull’apprendista e basato sul principio dell’ “apprendere dagli errori”: gli errori sono ammissibili durante la prova su simulatore in quanto non dannosi per il paziente. La simulazione offre inoltre l’opportunità di acquisire competenze in nuovi ambiti quali la gestione dell’errore, l’ottimizzazione della performance in sistemi complessi… 2

Il training su simulatore ha evidenziato i suoi effetti positivi su un'ampia gamma di abilità medico-chirurgiche attraverso un incremento della loro qualità e quindi un miglioramento nel trattamento del paziente e nell’outcome clinico.

Vantaggi

In comparazione ai modelli animali e ai preparati umani, il training su simulatore offre il vantaggio di avere scenari operativi sempre disponibili e replicabili. Inoltre, la

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simulazione offre la possibilità di acquisire una grande varietà di parametri che possono essere poi utilizzati per fornire un riscontro quali-quantitativo all'apprendista per permettere la valutazione della sua performance. I parametri di riferimento suddetti sono per esempio il tempo operatorio, l'esposizione a radiazioni o l'infrazione di strutture a rischio. I simulatori possono essere utilizzati come elementi di indagine su fattori influenzanti l’outcome dell’intervento (ad esempio le tecniche chirurgiche utilizzate, gli strumenti, ma anche reazioni avverse o inaspettate, stress o disturbi del sonno dell’operatore), senza esporre a rischio il paziente o il team chirurgico. Quindi è possibile operare uno stesso "paziente" ripetutamente, ad esempio con nuovi strumenti o nuove tecniche chirurgiche. Infine, negli scenari di simulazione si possono determinare e indagare condizioni non osservabili in condizioni reali sul paziente, poiché si verificano troppo raramente o perché eticamente non riproducibili in vivo. Gli esempi includono eventi imprevisti o indesiderati, interruzioni, mancanza di sonno o stress del personale chirurgico.1

Ruolo e tipi

I requisiti fondamentali per qualsiasi procedura chirurgica ortopedica comprendono la conoscenza dell’anatomia da parte dell’operatore, la selezione e l’uso corretto della strumentazione chirurgica adeguata a eseguire la procedura con successo, la accurata applicazione di forze in specifiche angolazioni per ottenere il risultato desiderato (in termini di profondità di foratura) tenendo in considerazione l’età del paziente, il sesso, la densità ossea su cui la forza sarà applicata.

Perciò, gli attuali simulatori vengono progettati per consentire una visualizzazione 3D paziente specifica delle strutture ossee complesse e dei tessuti molli e fornendo talvolta toolbox contenenti vari strumenti chirurgici. La maggior parte di questi sono dotati di interfacce aptiche, sistemi o sensori di posizione per fornire il senso del tatto e analizzare i parametri di forza e tracciare i movimenti dello strumento.

I simulatori, dunque, possono essere usati per l’insegnamento, il training e il consolidamento delle procedure chirurgiche e delle abilità psicomotorie. Per soddisfare le esigenze e richieste di cui sopra i simulatori medicali si sono rapidamente evoluti a partire dai primi manichini in plastica per arrivare poi a macchinari con tecnologia incorporata e, recentemente, assistenza computerizzata in grado di riprodurre scenari fisiologici e paziente relati.

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Consequenzialmente sono stati sviluppati e commercializzati molti tipi di simulatori di diversa complessità. Quelli esistenti, utilizzati nel training, possono essere fondamentalmente divisi in due gruppi: simulatori fisici e simulatori virtual-reality (VR).2,3

La simulazione che utilizza oggetti fisici generalmente include modelli di plastica, gomma e lattice disposti in particolari alloggiamenti. Questi oggetti sono utilizzati per riprodurre differenti organi e patologie e per consentire di eseguire tasks specifici (come incisione, sutura, resezioni, prelievi...). L'esecuzione ripetitiva di ogni singolo task permette all'apprendista di sviluppare la coordinazione visuo-manuale e le capacità motorie necessarie prima di entrare in contatto con il paziente reale. 3

L' interazione con l'anatomia simulata può essere considerata il principale vantaggio dei simulatori fisici che, d'altra parte, hanno il limite di rappresentare singole o poche strutture anatomiche standard e di dover essere nuovamente creati e acquistati dopo ogni prova. I simulatori fisici possono anche essere impiegati come ambiente di prova per la valutazione in vitro e la validazione di tecniche chirurgiche innovative (ad esempio per testare nuovi strumenti chirurgici, robot o sistemi di navigazione).

I simulatori a realtà virtuale, invece, riproducono virtualmente lo scenario chirurgico e permettono all'utente di interagire con le strutture anatomiche attraverso differenti interfacce che possono essere chirurgicamente realistiche o no e che possono o meno incorporare qualche tipo di feedback aptico. Sebbene durante l'ultima decade molte compagnie abbiano proposto simulatori virtuali, sfide tecniche ben definite devono essere ancora superate per permettere un training vario in un ambiente realistico computer-creato. Queste sfide includono lo sviluppo di interfacce chirurgiche e ambientazioni realistiche e, soprattutto, la riproduzione di interazioni realistiche tra gli oggetti e la rappresentazione del campo chirurgico. Risultati eccellenti sono oggetto di ricerca nella simulazione VR in campo dell'endoscopia e dei trattamenti endovascolari. 3 Negli ultimi anni, per superare i limiti dei due approcci precedentemente descritti, è stato sviluppato un nuovo concetto di simulazione: la simulazione ibrida. Questa combina modelli sintetici e VR per colmare il divario tra manichino sintetico e computer. Ciò elimina alcune difficoltà tecniche legate alla riproduzione della sensazione degli strumenti e dei tessuti umani mancante nella ambientazione completamente virtuale, mentre mantiene l'accesso ai vantaggi della computer-simulazione, in particolare alla

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valutazione della performance dell'apprendista, alla possibilità di arricchire la scena con elementi virtuali e di dare istruzioni per l'esecuzione dei tasks chirurgici. Questo tipo di simulatore necessita di sensori per valutare quantitativamente la performance dell'apprendista.

In questo ambito, accanto al concetto di “realtà aumentata” (AR), ampiamente utilizzato, è apparso con sempre maggiore frequenza in letteratura il termine di “mixed reality” (MR). Il termine fu coniato da Milgram e Kishino per definire, un campo della virtualità tra gli estremi di “realtà” e “realtà virtuale”. Se da un lato la realtà aumentata (AR) espande la realtà con un contenuto virtuale, la virtualità aumentata (AV) espande il contenuto virtuale intorno al campo reale. Il termine “mixed reality” viene pertanto usato quando non sia possibile adoperare una netta distinzione tra VR, AV o AR. 1

Scopo del presente lavoro è quello di valutare l’utilizzo di modelli tridimensionali paziente specifici reali (3D-printing) non solo come strumento di pianificazione chirurgica ma anche come strumento di training chirurgico in chirurgia vertebrale, specificamente nel posizionamento di viti peduncolari in interventi di stabilizzazione vertebrale.

La prima parte di questo elaborato tratterà dell’evoluzione dei sistemi di posizionamento di viti peduncolari (cap. 2);

seguirà la sezione riguardante l’analisi del processo di apprendimento del task in esame (cap. 3), la sezione “materiali e metodi” (cap. 4) con i risultati dei test eseguiti (cap.5) e la discussione finale (cap. 6).

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CAPITOLO 2

SISTEMI DI POSIZIONAMENTO DI VITI PEDUNCOLARI

INTRODUZIONE

Il posizionamento di viti rappresenta una procedura chirurgica ampiamente utilizzata per molti tipi di affezione spinale, tra cui fratture vertebrali, patologia discale degenerativa, tumori spinali, esiti di infezioni,4 spondilolistesi e scoliosi e il gold standard tra le tecniche ad approccio posteriore.

Se un tempo venivano usate solo sporadicamente nei casi di fratture toracolombari da Roy-Camille, ad oggi le viti sono i principali impianti per la stabilizzazione spinale in tutte le indicazioni e localizzazioni.

L’uso di viti peduncolari offre numerosi vantaggi, che includono il perfezionamento della correzione della deformità, riduzione del tasso di pseudoartrosi e del fallimento dell’impianto qualora non venga utilizzata la comune ortesi nel postoperatorio. Inoltre, le viti peduncolari possono apportare un miglioramento globale della stabilità e allo stesso tempo ripristinare l’altezza e l’allineamento vertebrale. Ad ogni modo, il fatto che l’uso delle viti riesca a produrre un buon effetto terapeutico, dipende da un accurato posizionamento (il posizionamento ideale prevede che la vite sia completamente contenuta all’interno del peduncolo in assenza di infrazioni). 4,5

Ed è al perfezionamento delle tecniche e degli strumenti utili al raggiungimento di tale accuratezza che la ricerca si è mossa.

Ciò si deve al fatto che il posizionamento della vite risulta difficoltoso per l’ampia variabilità anatomica della struttura peduncolare in forma, dimensioni e orientamento e un errore nel posizionamento può determinare l'inefficacia del trattamento o un grave danno alle strutture adiacenti, in special modo nel segmento toracico.

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A causa della prossimità del canale spinale e dei vasi circostanti, il mal posizionamento della vite può portare a disastrose complicanze in termini di sopravvivenza del paziente e instabilità della fissazione (si riporta un’incidenza di complicanze neurologiche compresa tra 1% e 3%). Per questo un accurato e sicuro posizionamento della vite nel peduncolo è uno step cruciale durante la chirurgia e dipende da molteplici fattori: l'esatta localizzazione del punto di entrata, l'asse di inserzione sul piano trasversale e sagittale, lunghezza della vite e suo diametro.

Attualmente le viti peduncolari vengono posizionate tramite la tecnica a mano libera o sotto guida fluoroscopica con un rischio variabile di mal posizionamento dipendente da molteplici fattori quali la presenza di deformità spinali e l'abilità del chirurgo (l’error rate riportato in letteratura è tra 10% e 40%).

Per ridurre il rischio di complicazioni migliorando l’accuratezza e la sicurezza dell’inserzione delle viti, sin dagli anni ’90 del secolo scorso, sono state sviluppate tecnologie computer-assistite per la chirurgia spinale. Sistemi di planning preoperatorio e di assistenza intraoperatoria (fluoroscopia 2D e 3D, CT RM interventistica, sistemi di navigazione, sistemi robotici e guide paziente specifiche stampate in 3D) sono oggi disponibili per il corretto posizionamento della strumentazione chirurgica e studi clinici hanno già dimostrato l‘efficacia di queste tecnologie di supporto in tal senso. 4

Recentemente è stato proposto un nuovo sistema di imaging 3D che può fungere da guida per il posizionamento, da sistema di valutazione o che può essere associato ad un altro sistema di navigazione: la tomografia computerizzata cone-beam consistente in un robot per angiografia interventistica adattato per la chirurgia spinale (Artis Zeego II, Siemens Healthcare, Forchheim, Germany). Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia nell’assistenza al posizionamento di viti peduncolari e nella valutazione intraoperatoria, con il vantaggio di rendere possibile il riposizionamento immediato della vite mal posizionata nello stesso setting chirurgico, riducendo così il tasso di reintervento.4

Una tecnica alternativa e promettente per il posizionamento della vite è il fissaggio di un cilindro cavo a guida del trapano e consta nell'uso di una piattaforma robotica. Questa tecnica riduce significativamente il tasso di mal posizionamento della vite ma, come accade per la gran parte delle soluzioni robotiche, è costosa e il suo uso richiede una curva di apprendimento che può risultare allungata. Infatti, per i piccoli ospedali che eseguono

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un limitato numero di stabilizzazione spinali all'anno, una piattaforma robotica potrebbe non essere funzionale.

Un differente approccio imaging-guidato, meno costoso e meno complesso, è rappresentato dall'uso di modelli paziente specifici, simile all'approccio usato per gli impianti dentali o protesi di ginocchio.

La prima soluzione per il posizionamento delle viti transpeduncolari basato su modelli paziente specifici è stato proposto da Van Brussel e Radermarcher alla fine degli anni ’90. 6–8 Dopo tale esperienza pionieristica negli ultimi vent'anni sono state proposte numerose soluzioni da diversi autori.

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STORIA DEI SISTEMI DI POSIZIONAMENTO

L’interesse clinico e scientifico per le viti peduncolari nacque nei primi anni ’70 sotto un ampio consenso, che ne favorì l’utilizzo da parte dei chirurghi esperti.

In realtà, già nel 1967, furono Harrington e Tullos i primi autori negli Stati Uniti a descrivere la fissazione spinale con viti transpeduncolari in due casi pediatrici di spondilolistesi progressiva e sintomatica ridotta e stabilizzata con un Harrington A-frame integrato con viti peduncolari in L5 [fig.1]9,10. Le “viti di Lag”, posizionate attraverso i peduncoli di L5, furono collegate a barre di distrazione di Harrington come coadiuvanti nella riduzione dell’olistesi.

FIGURA 1Il primo caso riportato di posizionamento di viti peduncolari negli Stati Uniti, ref. Harrington

P.R & Tullos HS "riduzione di spondilolistesi grave nel bambino" 1969[9]

Nel 1970 Roy Camille, guidato da Judet, descrisse per primo l'uso di piastre posteriori con viti posizionate sagittalmente attraverso i peduncoli e i processi articolari 11–13. Questi riportò un tasso di successo vicino al 100% negli interventi di fusione lombosacrale. La sua strumentazione fu in grado di ridurre parzialmente gli slittamenti nelle spondilolistesi

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di alto grado. Questo lavoro rappresenta la pietra miliare per strumentazione con viti peduncolari [fig.2]

Figura 2 Roy Camille descrisse l'uso di piastre posteriori con inserzione delle viti attraverso il peduncolo Nel 1977 Magerl 14,15 elaborò un sistema di fissazione esterna transpedunolare del tratto basso toracico e lombare: “le fixateur externe”. Consisteva in due paia di lunghe viti di Schanz e un device di fissazione esterna regolabile. Le viti venivano posizionate con tecnica aperta o chiusa. Il device era costituito da due barre trasversali collegate da bacchette filettate fissate con piastre triangolari a chiusura e conferiva una rigida stabilità a tutto il sistema[fig.3]. Il fissatore esterno poteva essere applicato in distrazione, compressione, o in modalità neutra. Magerl scoprì inoltre che la stabilità del sistema era incrementata dal preinserimento delle viti di Schanz in distrazione e dall’ inserimento di viti translaminari attraverso le faccette articolari.

Ad un controllo eseguito su un totale di 52 pazienti trattati con questo sistema (42 casi di trauma spinale acuto, 8 osteomieliti, 2 decompressioni) non risultarono presenti infezioni profonde e tutte le irritazioni in corrispondenza del tratto superficiale delle viti si risolsero con il mantenimento delle viti in posizione o al momento della rimozione. Solo in un paziente si verificò l’allentamento delle viti che portò ad una rimozione prematura del device. Risultati ottimali, senza perdita di riduzione, furono ottenuti quando i device venivano tenuti in situ per 18-19 settimane in media. Nella maggior parte dei casi, i dischi intervertebrali danneggiati collassarono seguendo la rimozione del fissatore nonostante

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la fusione e il fissaggio delle viti alle faccette. Sebbene i risultati dell’uso di questo sistema fossero incoraggianti, non fu raccomandato per le comuni patologie spinali.

Figura 3 Sistema di fissaggio esterno di Magerl ("fixateur externe")

Sul modello di Magerl della fissazione esterna con viti di Schanz, nel 1984 Dick sviluppò un device interno simile, che chiamò “fixateur interne” (Fig.4)16. Anche questo sistema utilizzava viti di Schanz da 5mm al fine di creare lunghi bracci di leva per facilitare la riduzione manuale della frattura. Usando l’approccio posteriore, le lunghe viti di Schanz venivano inserite tramite i peduncoli nei corpi vertebrali, parallelamente al piatto e convergendo verso la linea mediana con un’inclinazione di 10°-15°. Venivano poi associate a delle bacchette filettate. I mandrini e i serraggi di connessione, mobili in ogni direzione, permettevano così di esercitare compressione, distrazione, cifotizzazione, lordosizzazione e rotazione per essere infine fissati con i dadi nella posizione desiderata. 16

I vantaggi riportati da Dick et al. nella presentazione di questo sistema furono:

• L’utilità di un lungo braccio di leva (viti di Schanz) nella riduzione anche di gravi dislocazioni spinali,

• il notevole miglioramento funzionale di 3 pazienti sottoposti a sostituzione di strumentazioni con lunghe barre con il più corto sistema del fissatore interno,

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• l’assenza di complicanze neurologiche o danni alle radici nervose nei 45 pazienti trattati,

• la possibile mobilizzazione di pazienti a 2-4 settimane dall’operazione, senza la necessità di confezionare busti in gesso o in plastica. [4]

Figura 4 Fixateur Interne. I lunghi bracci di leva rappresentati dalle viti di Schanz, sono tagliati in prossimità delle bacchette filettate, così la ferita chirurgica può essere suturata facilmente16

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Figura 5 Frattura da scoppio della seconda vertebra lombare con incompleta paraplegia. Riduzione e fissaggio con strumentazione f.i senza laminectomia. Il mielogramma post operatorio dimostra la riduzione anatomica della parete posteriore del canale spinale .

Nel 1986, Olerud riportò i risultati ottenuti su 18 pazienti sottoposti a stabilizzazione esterna per valutare il sollievo da un grave dolore lombare.17 Furono usate viti di Schanz connesse ad un fissatore di Hoffmann modificato. Per sedici pazienti (89%) fu riportato un notevole miglioramento. Egli suggerì che questo device potesse essere usato come trattamento definitivo dell’instabilità spinale o come trial clinico per determinare i livelli di fusione. Questo device poteva inoltre essere usato per determinare il grado di stabilità di fusioni precedenti. Otto pazienti che presentavano fusioni sintomatiche dolorose riferirono un marcato sollievo con la stabilizzazione.

Seguendo il progetto originario di Roy-Camille, et al., e le modifiche di Louis et al., furono presentati diversi altri progetti di sistemi di fissazione con viti transpeduncolari e piastre. Nel 1979 Muller descrisse per primo l’utilizzo in ambito spinale di una placca AO a compressione dinamica nata per fratture tibiali. Dal momento che l’interfaccia vite-piastra non era rigida potevano verificarsi microspostamenti. La placca AO per compressione tibiale dinamica (AO DCP plate) mostra nella sua lunghezza dei fori ovalari che permettono l’inserimento totale di viti da spongiosa di 6,5 mm con un maggior angolo di libertà. Successivamente, a più riprese, Thalgott riportò i risultati ottenuti nell’uso del AO DCP plate nella fusione spinale lombare evidenziando un alto tasso di successo della tecnica, soprattutto sui brevi segmenti (in oltre il 70% dei pazienti controllati si era

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ottenuta una fusione stabile con buon controllo della sintomatologia dolorosa); tuttavia il tasso di complicanze non fu trascurabile (infezioni 7-10%, rottura di una vite 5-10%,pseudoatrosi 5% , violazione di strutture nervose 7%) ma risultò sensibilmente ridotto in interventi successivi, indicando così l’esistenza dell’effetto “curva di apprendimento” e suggerendo la necessità di una formazione specifica dei chirurghi spinali in questa tecnica. 18–21

Nel 1982, Steffee sviluppò un sistema costituito da una piastra segmentale spinale e vite peduncolare che poteva essere usato dal tratto toracico distale al sacro con indicazione per instabilità e grave dolore alleviato dall’immobilizzazione22. Dopo un iniziale uso di piastre di neutralizzazione AO standard con buchi fissi, Steffee sviluppò un tipo di piastra scanalata longitudinalmente con alloggiamenti per le viti, facilitando così l'inserzione e il posizionamento di viti da spongiosa modificate [fig.6]. Lo stesso sottolineò l'importanza della sagomatura dei piatti al fine di riprodurre le curve fisiologiche della colonna e di usare la vite singola più larga adatta ad ogni peduncolo.

Figura 6 sistema di posizionamento variabile della vite (sistema di Steffee)

Steffee affermò nella sua pubblicazione iniziale che il follow-up fu troppo corto per contribuire significativamente alla revisione retrospettiva. Nelle valutazioni cliniche funzionali riportò un risultato buono/eccellente nel 90%. Le complicanze in un follow-up preliminare di 120 pazienti furono rappresentate da: 7 infezioni di ferite profonde, 2

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radicolopatie secondarie al posizionamento dell’impianto, 8 cedimenti del sistema e 5 casi di pseudoartrosi con conseguente rimozione dei ferri. L’incidenza del fallimento dell’impianto decrebbe seguendo le continue modificazioni della strumentazione.

Nel 1986, Eduardo Luque introdusse un altro metodo di fissazione interpeduncolare segmentale utilizzando viti peduncolari connesse alle “Luque rods”. Furono progettate appositamente delle viti interpeduncolari che vennero poi posizionate in maniera bilaterale e segmentale così da consentire la fissazione di ogni vertebra tramite il peduncolo e all’interno del corpo vertebrale: in questo modo avveniva una ripartizione del carico su tutte e tre le colonne biomeccaniche. Attraverso l’azione del cacciavite inoltre lordosi, cifosi e rotazione potevano essere corrette entro i limiti di tolleranza dell’elasticità del disco. Anche la correzione della deviazione laterale poteva avvenire in maniera segmentale. Come rapporto preliminare furono presentati 20 casi di età compresa tra i 15 e i 55 anni con varie affezioni della colonna. Tutti vennero trattati con fissazione a vite interpeduncolare (ISF) e artrodesi. Il periodo medio di follow up fu di 15 mesi, quindi non fu possibile stabilire la percentuale di pseudoartrosi. La correzione della patologia occorse nell’80% con ripristino e mantenimento delle curve fisiologiche sagittali e non furono riportate complicazioni. [23] Nel 1988, Luque introdusse un nuovo sistema "semirigido" con vite cannulata e piastra fissurata [fig.7]. Egli sottolineò che la funzione del sistema era quella di una banda a tensione posteriore, e che la ripartizione del carico sulla colonna anteriore era necessaria per il mantenimento della stabilità. Perciò, tutti i pazienti strumentati per il trattamento delle fratture furono immobilizzati in busti in gesso per tre mesi o finché la frattura o la fusione non erano solidificate.24

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Figura 7 Metodo di fissaggio interpeduncolare semirigido di Luque

Sulla base di test biomeccanici dettagliati, Krag progettò un sistema vite peduncolare-rod chiamato “Vermont Spinal Fixator” (VSF)25. Egli sostenne che la qualità del fissaggio di viti interpeduncolari era superiore a quella del fissaggio standard di Harrington o Luque per i seguenti motivi:

1. Il VSF era progettato per difetti spinali di brevi segmenti, interessanti solo due-tre vertebre, non le cinque-sette vertebre tipicamente necessarie alle Harrington rods per ottenere un'adeguata stabilizzazione

2. Tridimensionalità: la fissazione sulle 3 colonne biomeccaniche fu ottenuta controllando i movimenti di flessione, estensione e rotazione;

Perciò, il sistema vite-piastra (o vite-rod) funzionava come un fissatore, non come un distrattore o compressore. Il sistema VSF, consistente in viti, morsetti articolati, bulloni e rods di connessione, produceva una fissazione rigida pur consentendo un certo grado di modificabilità nelle tre dimensioni. Per prevenirne l’allentamento, le filettature con cui il bullone della morsa ingranava la rod della morsa erano fatte con il modello speciale Spiralock. Vantaggi ulteriori di questo design includono la sua capacità di poter essere

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ripetutamente stretto, allentato e ristretto senza scadimento, la migliorata distribuzione di carico e la mancanza di un dado separato.

Un altro sistema introdotto negli anni ’80 fu quello di Wiltse. Consisteva in viti peduncolari connesse a delle rods di acciaio inossidabile tramite morsetti curvi [fig.8]26. Questo rappresentava un potenziale vantaggio rispetto agli altri sistemi che mostravano minore tolleranza verso i cambiamenti di direzione dei peduncoli. Il sistema di Wiltse, il fissatore interno AO e il VSF offrono una notevole flessibilità nell’orientamento della vite.

Figura 8 Sistema di fissaggio viti peduncolari di Wiltse

Altre forme di strumentazione posteriore che utilizzano viti peduncolari includono il sistema Cotrel-Dubousset,27 il sistema spinale ISOLAM, , il sistema Texas-Scottish-Rite Hospital28 e la strumentazione Zielke. Questi sistemi rappresentano la base concettuale di tutti gli impianti peduncolari spinali moderni [fig.9].

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21 Figura 9 Moderno sistema viti peduncolari

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POSIZIONAMENTO MANUALE E COMPUTER ASSISTITO DI VITI PEDUNCOLARI

I sistemi costituiti da viti peduncolari e rods rappresentano le strumentazioni spinali posteriori più applicate negli interventi di chirurgia spinale. Le indicazioni per il loro uso includono patologie congenite, deformità come scoliosi o ipercifosi, traumi, patologie spinali tumorali, infezioni e patologie degenerative. Inizialmente le viti peduncolari venivano esclusivamente usate nella colonna lombare per il maggior diametro dei peduncoli in questo tratto e il minor rischio di danneggiamento di strutture vitali. In seguito, considerando gli eccellenti risultati ottenuti a questo livello, l'uso di viti peduncolari è stato esteso al tratto toracico e cervicale. A causa però della presenza di una maggiore vicinanza delle strutture vitali ai peduncoli toracici, può essere ammesso un minor margine di errore in quest'area e il mal posizionamento può portare facilmente a danni più gravi (Fig. 10-11).

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Figura 11 Rapporti anatomici tra peduncoli vertebrali toracici e strutture neuro -vascolari

Il rischio di mal posizionamento è inoltre incrementato in caso di deformità spinali, condizioni in cui l'anatomia vertebrale può variare considerevolmente soprattutto nella zona medio-toracica dove i peduncoli sono più sottili e il midollo spinale è immediatamente adiacente al margine mediale dei peduncoli. Il tasso di malposizionamento riportato per le viti peduncolari si attesta tra 5 e 41% nel tratto lombare e tra 3 e 55% nel tratto toracico. 29–31

Per facilitare la valutazione del malposizionamento è stato creato un sistema classificativo dei vari gradi di infrazione peduncolare, ognuno associato ad un tasso di rischio di danneggiamento delle strutture nervose: un’ infrazione mediale del peduncolo di più di 4 mm è considerata potenzialmente ad alto rischio di danno alle strutture nervose; infrazioni inferiori a 4 mm sono considerate a minor rischio, quelle inferiori a 2 mm si collocano in una “safe zone” con un basso rischio di danno neurale (Fig.12) Comunque non esiste consenso unanime in letteratura riguardo alla cosiddetta safe zone perché tale classificazione può non essere rappresentativa delle reali conseguenze cliniche. Perciò, fino a che non ci sarà evidenza scientifica riguardo alla safe zone, l'accuratezza nel posizionamento delle viti peduncolare può essere definita solo quando la vite risulti completamente contenuta all'interno del peduncolo senza infrazione corticale. Per queste ragioni sono state descritte varie tecniche di posizionamento per migliorare l'accuratezza

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e ridurre il rischio. Le tecniche di inserimento possono essere distinte in tecniche a mano libera e tecniche immagini-guidate. Le prime possono essere eseguite utilizzando il trapano o il Probe.29

Figura 12 Classificazione dei gradi di violazione peduncolare

Nella tecnica mano libera può essere effettuato un controllo finale con raggi X per confermare il corretto posizionamento delle viti.29

Le tecniche immagini guidate includono l'assistenza fluoroscopica, la navigazione intraoperatoria e la chirurgia assistita dal robot.29

Entry points

Indipendentemente dalla tecnica usata è fondamentale una conoscenza dettagliata dell’anatomia per la corretta identificazione dei punti di repere. Nel tratto lombare, il punto di partenza è collocato nel punto di unione tra la pars interarticularis e il processo trasverso, subito lateralmente al processo mammillare o nel punto di incontro tra una

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linea verticale passante attraverso le faccette articolari e una linea orizzontale passante attraverso i processi trasversi. Asportando l'osso corticale in corrispondenza del punto di ingresso si espone l'osso spugnoso che può aiutare il chirurgo a trovare il peduncolo. Per S1 il punto di partenza è collocato a metà della linea che connette il forame dorsale di S1 e la porzione inferiore del processo articolare superiore di S1.

Figura 13 Entry points a livello di S1

Nel tratto toracico, il punto di ingresso è identificato come il centro di un triangolo formato dalla pars interarticularis, il margine inferiore della faccetta articolare superiore e il margine mediale del processo trasverso. Salendo da T12 a T7 i punti di ingresso si fanno più mediali e cefalici, mentre sopra T7 sono più laterali e caudali. (Figg.13-14)

Tecniche di inserimento

In letteratura sono descritte tre principali tecniche di inserzione (funnel, slide e

in-and-out) e due principali traiettorie per la vite (lineare e anatomica).

La tecnica funnel fu descritta per la prima volta da Gaines 29,32e utilizza un punto di partenza all'interno del processo trasverso, creando un foro di 6-10 mm nella corticale posteriormente, offrendo una via diretta ed un'applicazione sicura delle viti peduncolari ad ogni livello della colonna.

La tecnica slide fu introdotta come variante della prima29,33. In questa tecnica, dopo la rimozione dell'osso spugnoso, la corticale della faccia anteriore del processo trasverso viene usata come “slide” (vetrino)per cercare il punto di ingresso nel peduncolo.

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Il terzo metodo conosciuto come in-and-out è una tecnica di posizionamento extra peduncolare dove viene utilizzato un punto di ingresso laterale e distante con una traiettoria con un alto grado di convergenza passante attraverso il processo trasverso e all'interno del corpo vertebrale tangente al peduncolo. Questa tecnica viene adottata occasionalmente in caso di gravi deformità o piccole dimensioni congenite del peduncolo in cui sussiste un alto rischio di frattura mediale dello stesso.

Per ciò che concerne le traiettorie delle viti, in quella lineare (o diretta) la direzione è parallela al piatto vertebrale superiore. Questa tecnica consente l’utilizzo di viti peduncolari monoassiali e conferisce una maggiore forza di trazione.

La traiettoria anatomica invece è diretta in direzione cefalocaudale e parallela a gli assi anatomici del peduncolo. Il punto di ingresso è collocato in posizione cefalica con la proiezione degli assi del peduncolo alla corticale dorsale della faccetta articolare superiore utilizzata come riferimento per la direzione. La traiettoria anatomica sebbene mostri una minore resistenza alla trazione, ha dimostrato essere utile in situazioni di salvataggio in cui sono stati tentati numerosi posizionamenti delle viti.

Figura 14 Punti di repere anatomici del tratto lombare per i punti di ingresso nel peduncolo. Il punto d’ingresso della vite peduncolare è definito come confluenza tra qualsiasi delle 4 linee: 1) parte interarticolare, 2)processo mammillare, 3)margine laterale della facceta articolare superiore, 4)metà del processo trasverso

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Figura 14 Punti di repere nel tratto toracico per i punti di ingresso nel peduncolo. I punti di ingresso delle viti peduncolari nei segmenti toracici inferiori sono definiti dalla determinazione dei punti di intersezione delle linee che passano dalla porzione mediale della faccetta articolare e la sommità del processo trasverso. Il punto di ingresso dovrà essere posto più lateralmente e caudalmente rispetto a questa intersezione. Più il livello toracico è prossimale, più il punto di ingresso si fa cefalico. Punti di repere:1) margine laterale della faccetta superiore, 2) margine laterale della faccetta inferiore, 3) cresta della pars intrearticularis e il processo trasverso

Tecniche a mano libera: trapano e probe

La fase iniziale di ogni inserzione di viti peduncolare è la creazione di un foro pilota, di cruciale importanza dal momento che determina la relazione biomeccanica tra l'osso e la superficie della vite.

Dopo l'identificazione del punto di ingresso specifico per la vertebra interessata, il probe viene collocato alla base dello stesso, dopodiché viene applicata una leggera pressione diretta ventro-lateralmente in modo da evitare la perforazione della parete mediale. Raggiunta una profondità di circa 15-20 mm, il probe viene rimosso e ruotato di 180° per dirigere la sua punta medialmente, all'interno del corpo vertebrale. Gioca un ruolo importante in questa fase il feedback tattile del chirurgo che dovrebbe percepire l’avanzamento della sonda nell’ osso trabecolare come progressivo e a bassa resistenza: un avanzamento improvviso significherebbe la frattura del peduncolo.

Durante ogni fase viene utilizzata una sonda con punta arrotondata per saggiare i cinque limiti ossei: il pavimento e la parete mediale, la laterale la superiore ed inferiore. Il

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principale vantaggio del probe è legato all’ azione compattante sull'osso. Talvolta, a causa delle maggiori dimensioni del probe rispetto a strumentazioni più fini e, di conseguenza, alla creazione di un foro più ampio, la procedura può esitare in un fallimento dell’azione della vite. (Fig.15)

Nella tecnica assistita da trapano, il foro pilota può essere creato tramite un leggero avanzamento della punta a bassa potenza. In questo modo il trapano agisce come una sonda, trovando la via a minor resistenza dentro peduncolo. I principali svantaggi sono correlati alla rimozione dell'osso dovuta all'effetto del trapano e all’affilatura del trapano che può provocare un improvviso danno alle strutture adiacenti. Il trapano crea un foro più piccolo rispetto quello del probe, che conferisce una migliore resistenza della vite e consente multipli tentativi di ricerca del peduncolo in caso di grave displasie peduncolare. Il trapano e il probe sono comunemente usati per la creazione del foro pilota ma i pro e i contro dell'uso dell'uno e dell'altro non sono ancora stati descritti in letteratura. Teoricamente, la creazione di un foro di minor diametro incrementa la qualità dell'osso intorno e consequenzialmente migliora la resistenza alla trazione della strumentazione. Non sono state trovate differenze nei valori di tale forza tra le viti impiantate all'interno di fori creati col trapano e quelle impiantate all'interno di fori creati con il probe. In caso di inserzione di viti peduncolare trapano-assistite, è preferibile creare un foro usando una punta di piccolo diametro per incrementare il grip della vite sull'osso.

La procedura a mano libera generalmente richiede una completa conoscenza dell'anatomia vertebrale ad ogni livello e un accurato planning preoperatorio. In pratica questa tecnica ha una curva di apprendimento più alta che può essere ottenuta da una pratica continua.

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29 Figura 15 tecnica di posizionamento a mano libera

Tecniche immagini-guidate: fluoroscopia, navigazione intraoperatoria e asistenza robotica

Il feedback tattile e la valutazione basata sull'esperienza sono di massima importanza quando si utilizzano tecniche non assistite. Anche per i chirurghi esperti, il mal posizionamento delle viti rappresenta una delle maggiori preoccupazioni nell'esecuzione di chirurgia spinale con un tasso di malposizionamento compreso tra il 5 e il 41% nel tratto lombare e tra il 3 e il 55% nel tratto toracico29–31

Con l'obiettivo di migliorare l'accuratezza dell'inserzione delle viti peduncolari, sono state sviluppate diverse tecniche di assistenza che possono essere classificate in tre categorie principali:

• tecnica ad assistenza TC e fluoroscopica, • navigazione intraoperatoria e

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Tecnica ad assistenza TC e fluoroscopica

Le immagini fluoroscopiche e TC sono le più comunemente usate poiché forniscono utili informazioni bidimensionali riguardo entrambi i punti di ingresso e la traiettoria (gli specialisti che ricorrono più frequentemente a questo strumento sono i chirurghi spinali, gli ortopedici e i neurochirurghi)8,34 . Inoltre, gli intensificatori di immagine sono facilmente accessibili nella gran parte delle sale operatorie e ciò favorisce l’adozione di tale tecnica.

Per ciò che concerne l’accuratezza del posizionamento di viti peduncolari, numerosi studi sostengono l’efficacia della guida TC o fluoroscopica: in una review della letteratura condotta da Gelalis et al., 29,30si riporta un tasso di viti ben posizionate (completamente contenute nel peduncolo) grazie alla fluoroscopia in un range che va dal 28 al 85% . Recentemente, Mason et al.29,35hanno riportato un’accuratezza di posizionamento media del 68,1% con la fluoroscopia convenzionale (in letteratura le percentuali di accuratezza variano considerevolmente da 28 a 94%).8

Rispetto alle procedure non assistite, il tasso di perforazione del peduncolo con chirurgia assistita è nettamente inferiore, così come il tasso di complicanze. Quanto asserito è stato messo in luce da una review di Shin et al. 8,36 sui sistemi di navigazione per il posizionamento di viti peduncolari: dalla revisione è emerso che in tutti i tratti spinali, il rischio di perforazione del peduncolo con la computer navigazione era nettamente inferiore rispetto all'inserzione non navigata.

Per valutare al meglio l'anatomia in fase intraoperatoria è stata sviluppata la fluoroscopia 3D utilizzando software in grado di fondere numerose immagini fluoroscopiche consecutive da differenti angolazioni. Sebbene sia incrementata l'esposizione a radiazioni, il tasso di accuratezza risulta incrementato al 95,5% con l’uso della fluoroscopia 3D con valori notevolmente più alti ad ogni livello spinale rispetto alla fluoroscopia convenzionale.29

La fluoroscopia tridimensionale è superiore anche alla guida basata su TC perché le immagini sono registrate istantaneamente durante la procedura di acquisizione. Per di più, questo sistema può aggiornare in tempo reale la posizione della colonna durante le procedure chirurgiche. Di conseguenza, la fluoroscopia tridimensionale può rappresentare un vantaggio nel posizionamento delle viti per via percutanea.

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I chirurghi possono operare con maggior sicurezza perché i sistemi di navigazione come la fluoroscopia 3D consentono la selezione e il controllo in tempo reale della traiettoria ottimale della vite e del punto di ingresso per l'inserzione.

Un esempio di sistema di navigazione 3D è rappresentato da computer navigazione basata su Iso-C3D C-arm (Siemens Munich, Germany) e la computer-navigazione basata su O-arm (Medtronic, Inc., Louisville, CO, USA). (Fig 16)

L’ O-arm è uno scanner TC che fornisce l'imaging intraoperatorio delle viti. L’O-arm genera un dataset volumetrico tridimensionale che può essere visionato sottoforma di immagini in proiezione coronale, sagittale o trasversa, come uno scanning TC.

In questo sistema viene coregistrato un punto di riferimento o un repere anatomico con un’acquisizione TC e viene collegato ad un software di navigazione.

Recentemente Ughwanogho et al.8,37 hanno comparato l’inserzione di viti peduncolari con e senza navigazione usando il sistema O-arm e ne hanno stimato la relativa accuratezza. Hanno riportato che il 4,9% delle viti impiantate senza navigazione doveva essere rimosso in fase intraoperatoria, rispetto allo 0,6% di quelle impiantate con navigazione. Riportarono inoltre che una frattura mediale significativa del peduncolo (corrispondente ad un’escursione del diametro della vite del 50%) era almeno 8 volte più probabile senza navigazione. Lo studio ha permesso di concludere che la guida imaging conduce ad un più accurato posizionamento delle viti peduncolari.

Ci sono comunque alcuni svantaggi dei sistemi di navigazione 3D: la qualità delle immagini, che talvolta non è ottimale specialmente nei pazienti obesi o osteopenici e il costo che riguarda la fluoroscopia 3D, il sistema di navigazione, il letto in fibra di carbonio.

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32 Figura 16 O-Arm

Navigazione intraoperatoria

La chirurgia con navigazione intraoperatoria o computer assisted surgery (CAS) è basata sulla combinazione di markers e immagini acquisite prima dell'operazione in modo da guidare il chirurgo sull’ anatomia del paziente in tempo reale. (Figg. 17-18)

Lo scopo di queste procedure è di ridurre il tasso di errore rendendo le tecniche più riproducibili. La tecnica ideale di navigazione intraoperatoria dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: facile accessibilità nel teatro operatorio, accuratezza, semplicità, riproducibilità durante l'operazione, compatibilità con tutte le forme di chirurgia spinale, capacità di registrazione e memorizzazione dei dati e dovrebbe esporre il meno possibile personale chirurgico e paziente. 8

Con i sistemi di navigazione si può non solo incrementare l’accuratezza di posizionamento delle viti, ma anche potenziare le abilità chirurgiche in modo da poter usare viti con diametro massimo possibile per il peduncolo e ridurre il danno potenziale a strutture nervose critiche. I vantaggi del ricorso a tali sistemi includono anche la

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possibilità per il chirurgo di mantenersi a distanza dal campo operatorio riducendo così l’esposizione a radiazioni e il rischio infettivo.

Sono stati riportati ottimi risultati in termini di accuratezza nell'applicazione della navigazione intraoperatoria per il posizionamento di viti peduncolari. In diversi studi sono stati riportati i migliori risultati nel posizionamento con la navigazione CAS rispetto alla tecnica mano libera, con un'alta significatività statistica (p < 0.00001). Nonostante i risultati incoraggianti trovati da molti autori si dibatte ancora se questo incremento di accuratezza implichi un miglior outcome del paziente.

Inoltre, sono stati evidenziati molti svantaggi correlati all'utilizzo del CAS come i cambiamenti nella geometria dovuti al cambiamento di posizione del paziente dall’acquisizione preoperatoria al momento dell’intervento o ai movimenti del paziente stesso durante gli atti respiratori. Inoltre, possono sussistere delle imprecisioni di registrazione dei sistemi ottici o elettromagnetici di tracciamento.

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34 Figura 18 Planning preoperatorio sui sistemi di navigazione

Chirurgia robot-assistita

Recentemente è stato sviluppato un terzo tipo di assistenza al posizionamento delle viti peduncolari: la chirurgia robot-assistita (RAS). Sebbene i sistemi robotici siano impiegati da più di 10 anni in molte specialità chirurgiche, solo recentemente sono stati introdotti nella chirurgia spinale.

Nascono per superare il limite principale limite dell’uso di C-arm o CT: l’alta esposizione a radiazioni. La sicurezza dei sistemi robotici è stata confermata da diversi trials clinici e studi.

Il sistema attualmente disponibile più largamente usato e studiato per la chirurgia spinale è rappresentato daMazor SpineAssist/Renaissance®. Fa parte della categoria di robot chirurgici “modello a controllo condiviso in co-autonomia” in cui sia il chirurgo che il robot, in concomitanza, controllano i gesti chirurgici (esistono altre due categorie di robot chirurgici: quella dei “sistemi di tele-chirurgia”, di cui fa parte il robot DaVinci, con una stazione di controllo remoto da cui il chirurgo controlla ogni movimento della macchina e quella dei “sistemi controllati da supervisore” in cui la macchina è preprogrammata con le azioni che vengono eseguite autonomamente dalla macchina sotto stretto controllo da parte del chirurgo). 38–40

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SpineAssist/Renaissance include un robot miniaturizzato in grado di muovere il suo effettore terminale, che alloggia il manicotto di guida per il trapano, con 6 gradi di libertà, diversi sistemi di montaggio, e la workstation con il sistema di guida e il software da sincronizzare con un sistema di navigazione computer-assistito. Fu sviluppato inizialmente per superare i limiti degli esistenti sistemi di navigazione.

Ad ogni modo, anche tempi recenti, i sistemi robotici hanno avuto applicazioni limitate nella chirurgia spinale a causa della difficoltosa visualizzazione, dei costi, della necessità di un training adeguato, e dello sviluppo di tecniche mini invasive che rappresentano un'alternativa fruibile e più largamente utilizzata.

Alcuni studi hanno riportato un incremento dell’accuratezza, un decremento delle potenziali complicanze chirurgiche e una ridotta esposizione a radiazioni durante l'operazione. Tuttavia, una recente metanalisi ha riportato che non ci sono differenze in accuratezza tra la tecnica robot assistita e il posizionamento convenzionale a mano libera (sia esso percutaneo o open), sebbene alla tecnica RAS venga riconosciuto un grande potenziale di crescita. 29

La precisione dei sistemi di guida robotica per il posizionamento accurato di viti peduncolari è stata ampiamente validata in numerosi studi.

Sukovich et al.41 furono i primi a riportare l’esperienza clinica con il sistema Mazor. Nello studio condotto da Pechlivanis et al.,42 31 pazienti furono sottoposti ad un intervento di PLIF percutaneo (minimamente invasivo) del tratto spinale lombare utilizzando il device Spine Assist.

Il posizionamento degli impianti fu definito clinicamente accettabile nel 98% dei casi sulla base dell'imaging a raggi X intraoperatorio. L'imaging post operatorio dimostrò che il 98,3% delle viti cadeva all'interno di una safe-zone, mentre il 9% delle viti aveva sfondato il peduncolo fino a 2 mm. Le viti restanti avevano sfondato il peduncolo tra 2 e 4 millimetri, mentre in due soli casi ci fu uno sfondamento superiore a 4 mm.

Deficit neurologici furono riscontrati in quattro pazienti, ma ai controlli seguenti della stabilizzazione questi deficit andarono incontro a risoluzione.

Nello studio pubblicato da Ringel et al. nel 201244, l'accuratezza dell'impianto di viti peduncolari nel tratto lombosacrale robot assistito (RO) fu valutata in comparazione alla tecnica convenzionale a mano libera (freehand FH).In questo studio l'accuratezza della tecnica convenzionale a mano libera fu superiore rispetto a quella robot assistita.

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L'ancoraggio del robot alla colonna sembra essere un aspetto vulnerabile e potenzialmente causa del mal posizionamento delle viti così come lo scivolamento della cannula di impianto nel punto di ingresso della vite.

Hu45 ha valutato gli outcomes del posizionamento di viti robot assistito in una serie consecutiva di 102 pazienti. Delle 960 viti impiantate utilizzando il robot, 949 (98,9%) furono impiantate con buon esito e accuratezza mentre 11 (1,1%) furono mal posizionate nonostante la maggior parte dei pazienti avessero delle significative deformità spinali e/o pregressi interventi chirurgici spinali.

Nel 2013 Marcus et al.46 pubblicarono una review sistematica in cui valutarono criticamente i benefici percepiti del posizionamento di viti peduncolari robot assistito in comparazione alla tecnica convenzionale fluoroscopia guidata: al termine della loro revisione gli autori conclusero che non c'era una evidenza sufficiente a raccomandare inequivocabilmente una tecnica chirurgica rispetto all'altra.

Nel 2011, Devito descrisse l'utilità di questa tecnologia nella popolazione pediatrica con una serie casi di 120 scoliosi negli adolescenti. Con l'uso della tecnologia robotica, ci fu un tasso di accettabilità del 99,7% dei 1815 impianti.

Kantelhardt et al. 47 comperarono la chirurgia a mano libera con i robot Mazor in 112 casi riportando che la tecnologia robotica aveva mostrato un incrementata accuratezza. Nel 2013 Hu et al45, dimostrarono un'accuratezza del 98,9% per 960 viti peduncolare posizionate con il sistema robotico.

Roser et al.48 in modo simile mostrarono un'accuratezza del 98,5% in casi trattati per via percutanea.

Un’ampia coorte retrospettiva di 3271 impianti eseguiti in 14 centri non solo attestò l'accuratezza con Mazor al 98,3% mal registrò un'esposizione a radiazioni del 74% in meno rispetto alla guida fluoroscopica.

Uno studio condotto in Turchia ha riportato una accuratezza del 98,8% nella vertebral

augmentation robot-assistita.

In Russia Dreval et al.49 hanno dimostrato che l'uso dell'assistenza robotica consente interventi spinali sicuri affidabili e altamente accurati includendo chirurgia mini invasiva, interventi transpeduncolari percutanei, vertebroplastica e biopsie vertebrali.

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Zahrawi ha riportato un’accuratezza del 100% comparata al 97,1% della tecnica a mano libera in 198 pazienti sottoposti ad intervento di fusione spinale percutanea per patologie spinali degenerative.

In uno tra i trials programmati in modo migliore, 234 viti furono inserite in 12 cadaveri con il sistema robotico e 197 in 10 campioni nel controllo dimostrando una minor deviazione della vite incremento di accuratezza del posizionamento percutaneo del 58%. In una recente review sistematica presentata da Joseph et al.50, 21 studi hanno valutato autenticato l'accuratezza della tecnologia.

Keric et al.51, hanno riportato un 96,9% di accuratezza dopo la valutazione di 2067 viti impiantate in due centri in Germania.

Molliqay et al.52, hanno trovato il posizionamento di viti peduncolari nel tratto toracolombare robot guidato con Mazor Spineassist più accurato rispetto alla tecnica mano libera.

Uno studio svedese ha comparato l'assistenza robotica, l’O-arm e la tecnica a mano libera con guida fluoroscopica e non ha riscontrato significatività statistica nel l'accuratezza del posizionamento nelle tre tecniche.

Allo stesso modo uno studio di Fan et al. 53 che ha comparato tecnologia robotica, O-arm e assistenza fluoroscopica non ha riportato un chiaro vantaggio in termini di accuratezza. Tuttavia, in uno studio più recente in cui sono state comparate l'assistenza robotica, le dime a guida del trapano e sistemi di navigazione CT è stata riscontrata una accuratezza sostanzialmente maggiore (96% per SpineAssist, 90,6% per le dime e 93% per i sistemi CT).

Per ciò che concerne il tasso di complicanze nella chirurgia robot assistita, questo è significativamente inferiore rispetto a quello della chirurgia con assistenza fluoroscopica. Altri vantaggi di questa tecnologia includono una minimale dissezione muscolare, retrazione e sanguinamento che possono condurre ad un minor tasso di complicazioni in tra e post procedurali con minor dolore, deformazione e rigidità.

Alcuni studi dimostrano che l'inserzione robotica delle viti permette al chirurgo di scongiurare il pericolo di danneggiamento delle faccette articolari, il che può comportare dei vantaggi biomeccanici che nel lungo termine prevengono l'occorrenza di patologie nei segmenti adiacenti. Con questa tecnologia il minor dolore post operatorio riduce l'utilizzo post chirurgico di farmaci oppioidi.

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Non vengono riportate riduzioni dei tempi di ricovero post operatorio se non in uno studio condotto da Kantelhardt47 in cui si riporta una riduzione della durata media del ricovero del 27%.

Un altro vantaggio di questa tecnologia è quello di minimizzare il ricorso alla fluoroscopia intraoperatoria e di ridurne i tempi (almeno un minuto per ogni caso compensando così l'esposizione durante la CT preoperatoria richiesta per il planning.

Anche il tasso di revisione per una complicanza o reinterventi di correzione sono significativamente ridotti rispetto a tecniche a mano libera mini invasive (in uno studio comparativo tra chirurgia a mano libera e robot assistita di 112 casi, si riporta una riduzione di reintervento del 46%).

Si riporta inoltre una riduzione dei tempi operatori, altro contributo al contenimento dei costi (basti pensare che il costo al minuto della sala operatoria va da 80 a 100 $ mediamente).

Alcuni studi hanno valutato la curva di apprendimento del chirurgo nella chirurgia robotica spinale.

Devito et al.,43 hanno riportato un incremento dell'abilità del chirurgo nel posizionamento di viti con robot con il corrispettivo aumento del numero di procedure nella loro coorte. Hu et al.54 hanno trovato che il tasso di posizionamenti ottimali diveniva migliore dopo 30 procedure con una minore necessità di conversione alla tecnica mano libera. L'accuratezza nel posizionamento delle viti tra i chirurghi incrementava con il numero di procedure compiute con una migliore accuratezza nella seconda metà delle loro coorti. Fu riportato anche un decremento del tempo di posizionamento per ciascuna vite in diversi studi.

Ulteriori procedure sono state recentemente testate usando il sistema robotico Da Vinci (Intuitive Surgical Inc., Sunnyvale, CA, USA) includendo laminectomia, laminotomia, discectomia e riparazioni durali su un modello porcino in vivo. Nello stesso modello è stata anche usata la procedura ALIF. Attualmente il sistema robotico Da Vinci non è stato testato per il posizionamento di viti transpeduncolari.

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Figura 19 Esempi di malposizionamento di viti peduncolari. Nelle immagini in alto si può osservare il conflitto tra la vite e la radice di s1; in quelle in basso, il conflitto tra la vite e il midollo spinale.

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40 Figura 21 Sistema robotico semiattivo Spine Assist

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DIME PAZIENTE SPECIFICHE

La prima soluzione per il posizionamento di viti peduncolari basata su dime paziente specifiche fu proposta da Van Brussel e Rademarker alla fine degli anni ‘90. Dopo quest'esperienza pionieristica negli ultimi vent'anni sono state proposte varie soluzioni da parte di diversi autori. (Fig.22-23)

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42 Figura 23 Creazione della guida chirurgica con stampante 3D

DESIGN DELLA DIMA

Ad oggi si distinguono due principali categorie di dime guida in base ai rapporti contratti tra template e superficie ossea vertebrale: dime a contatto completo e quelle a basso contatto.

Design Full contact

In questo caso la superficie della dima viene creata come l'inverso della superficie posteriore vertebrale, così da permettere potenzialmente una quasi perfetta aderenza all'osso (soluzione lock-and-key); questo tipo di soluzione mira ad ottenere una perfetta stabilità della dima sull'osso ma necessita di una meticolosa rimozione dei tessuti molli che incrementa l'invasività dell'intervento [fig.24]

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Figura 24 Design Full Contact: la superficie della dima è creata come l'inverso della superficie posteriore della vertebra, perciò risulta quasi perfettamente aderente all'osso (strategia Lock-and-Key)

Low contact design

In questo caso ci sono solo piccole aree di contatto tra la dima e l'osso vertebrale per ridurre i problemi legati alla rimozione dei tessuti molli [fig. 25]. In questo tipo di dima è importante la scelta della sede e del numero dei punti di supporto al fine di ottenere il giusto equilibrio tra facilità di posizionamento, ridotta invasività (preservazione dei tessuti molli) e stabilità della dima (se creano pochi punti di supporto possono occorrere instabilità della dima e posizioni falsamente stabili che conducono a malposizionamento delle viti). Per quanto concerne la sede dei punti di supporto, la maggior parte delle soluzioni proposte utilizzano il processo spinoso come principale riferimento per incrementare l'accuratezza e posizionamento della dima sulla vertebra. Ulteriori punti di supporto possono essere aggiunti sulla lamina vertebrale, sui processi articolari o sui processi trasversi. Come suggerito dagli studi di Ferrari,55 per eliminare l'instabilità della dima è necessario utilizzare un numero ridondante di punti di contatto e solo quando tutti i punti di supporto sono perfettamente in contatto con la superficie ossea della dima questa risulta nella giusta posizione. In questo tipo di dime durante la procedura chirurgica è importante evitare qualsiasi inclinazione della dima, specialmente sul piano trasversale. Questo può essere ottenuto grazie ad una rimozione precisa dei tessuti molli al livello dei punti di contatto sull'osso e tramite l'applicazione di una moderata pressione sulla dima per fissarla sulla vertebra.

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Figura 25 Design Low Contact: l'uso di un limitato numero di punti di supporto può determinare instabilità della dima e posizionamenti falsamente stabili che portano ad un malposizioanmento delle viti

Figura 26 Planning preoperatorio e progettazione della dima utilizzando il software di segmentazione ITKSnap 1.5

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45 Figura 27 Punti di supporto

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Si conclude così questa prima parte descrittiva dei sistemi di posizionamento delle viti peduncolari in interventi stabilizzazione vertebrale.

Dalle informazioni ricavate da questa analisi della letteratura, appare chiaro come il chirurgo vertebrale in formazione si trovi a dover affrontare un lungo e articolato percorso di apprendimento.

Nei capitoli successivi verranno trattati gli argomenti pertinenti al lavoro condotto, facendo riferimento al processo di apprendimento di questa tecnica tramite training classico e su simulatore.

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CAPITOLO 3

LEARNING CURVE: TRA LIMITI DEL TRAINING CLASSICO E

NUOVE PROSPETTIVE 3D

L’acquisizione di una determinata abilità è il risultato dell’esecuzione ripetuta di un’azione in un determinato arco temporale. Per stabilire se l’abilità è stata acquisita viene introdotto il concetto di “curva di apprendimento”, ossia il rapporto tra tempo necessario per l’apprendimento e la quantità di informazioni correttamente apprese. Concettualmente implica che l’eseguire ripetutamente un nuovo compito porti ad un miglioramento della capacità di eseguire il compito stesso. I miglioramenti delle prestazioni sono generalmente notevoli all'inizio e diminuiscono col tempo raggiungendo uno stato stazionario noto come asintoto. Graficamente, nella curva di apprendimento si distinguono 3 fasi fondamentali:

• fase 1 (cognitivo-verbale) si caratterizza per l'acquisizione di uno scema di movimento che porta ad abbandonare strategie inadeguate per strategie adeguate, incrementando l’adeguatezza della performance;

• fase 2 (associativa), in cui le strategie precedentemente acquisite e appropriate alla situazione vengono rafforzate e quelle inappropriate vengono indebolite; • fase 3 (autonomia), in cui l’abilità può essere eseguita senza che eventuali

interferenze influenzino la procedura (durante questa fase le competenze vengono incrementate sebbene si registri un rallentamento del tasso di miglioramento (asintoto) (Fig. 1)56,57

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FIGURA 1 Rappresentazione grafica della curva di apprendimento con le sue fasi

Studi recenti in diverse specialità chirurgiche e, in particolar modo, in chirurgia spinale hanno tentato di identificare la curva di apprendimento per diverse procedure chirurgiche per definire al meglio i requisiti di formazione.

Nowitzke58 ha trovato l'asintoto per la discectomia microendoscopica lombare attestandolo a circa 30 casi; Newton et al.59 hanno collocato l’asintoto ad un valore simile di casi per la toracoscopia spinale in ambito pediatrico. Stambough, Gertzbein e Robbins60 hanno descritto una curva di apprendimento per il posizionamento di viti peduncolari; tuttavia nessuno ha definito il numero effettivo di viti o di casi necessari per acquisire la competenza necessaria in questa abilità.

A questo ha mirato un ampio e completo studio australiano condotto da Gonzalvo et al. Nel 2008 Gonzalvo et al.61 intrapresero uno studio per accertare l’esistenza di una curva di apprendimento per il posizionamento di viti peduncolari e per stabilire il numero di viti/casi necessari ad un chirurgo inesperto per acquisire la capacità di intraprendere una fissazione interna. Nello studio sono stati inclusi tutti i casi trattati da uno Spinal Surgery

Fellow (SSF, titolo sovrapponibile a quello dello specializzando), senza precedente

esperienza nel posizionamento di viti peduncolari, sotto la supervisione di un Attending

Spinal Consultant (ASC, un chirurgo ortopedico o neurochirurgo esperto). Sono stati

esclusi invece i pazienti che non avevano a disposizione esami radiologici o che avevano deformità spinali sul piano coronale senza una scansione TC disponibile.

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L'accuratezza del posizionamento delle viti peduncolari è stata analizzata utilizzando il Fisher exact test (significatività statistica con P<0.01). Il κ statistico è stato usato per valutare l'accordo tra gli osservatori in cieco. Un κ=1 indicava l'accordo completo e un κ=0 indicava che qualsiasi accordo osservabile era attribuibile al caso.

Ai fini della classificazione, i segmenti spinali sono stati divisi in regioni: la toracica superiore (Upper Thoracic, UT) da T1 a T6, toracica inferiore (Lower Thoracic, LT) da T7 a T12 e lombosacrale da L1 a S2.

Ai SSF sono state fornite indicazioni sull’inserimento della vite, sul diametro della vite in ogni vertebra e su ogni complicanza post operatoria correlata al mal posizionamento delle viti stesse.

Il posizionamento delle viti peduncolari è stato valutato sulle radiografie post operatorie (nelle proiezioni antero-posteriore e latero-laterale) o tramite TC (sui piani assiale e sagittale) utilizzando una scala di valutazione. Questo è stato fatto da due osservatori indipendenti in cieco: un radiologo e un chirurgo spinale non coinvolti in nessuno dei casi. Ogni caso, consistente in diverse immagini, è stato etichettato con un numero e presentato agli osservatori in ordine casuale. Non sono state fornite informazioni cliniche. Gli osservatori hanno valutato prima la radiografia e successivamente la TC (quando disponibile). Gli è stato chiesto di non modificare la loro valutazione della radiografia dopo la presa visione della TC. Sono state valutate anche le viti peduncolari posizionate dall’ASC e dal SSF negli stessi casi. Gli esami di imaging sono stati esclusi se almeno uno degli osservatori considerava la qualità dell’esame troppo scarsa per valutare la posizione delle viti peduncolari.

Il posizionamento delle viti sulla radiografia è stato classificato come “RX1” (“accettabile”, vite completamente contenuta nel peduncolo o presenza di infrazione del peduncolo o del corpo vertebrale da parte di ≤ 30% del diametro della vite) e “RX2” (“mal posizionata” - almeno il 30% del diametro della vite al di fuori del peduncolo o del corpo vertebrale). La perforazione della parete anteriore del sacro non è stata considerata come RX2.

Le stesse definizioni sono state usate per valutare il posizionamento delle viti sulla TC: TC1=accettabile, TC2=mal posizionata. TC1 è stato ulteriormente suddiviso in TC1A e TC1B: TC1 A (corretto) è stato utilizzato per quelle viti completamente contenute nel peduncolo o nel corpo vertebrale e TC1 B (borderline) è stato usato per quelle viti in cui

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