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Oryx and Crake, The Year of the Flood e MaddAddam: il mondo distopico e post-apocalittico di Margaret Atwood

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica Corso di Laurea Magistrale in

Letterature e Filologie Europee

Tesi di Laurea

Anno Accademico 2017/2018 Candidato:

Serena Longo

Relatore:

Chiar.mo Prof. Fausto Ciompi

Oryx and Crake, The Year of the Flood e MaddAddam: il

mondo distopico e post-apocalittico

di Margaret Atwood

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Alla mia famiglia, sia quella di Lucca sia quella di Livorno.

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1 LA LETTERATURA DISTOPICA 1

1.1 Utopia e distopia: tentativi di definizione 1

1.2 Sviluppi della letteratura utopica e distopica 6

1.3 Caratteristiche dei generi utopico e distopico 14

1.3.1 Il genere apocalittico e post-apocalittico 32

2 MARGARET ELEONOR ATWOOD 35

2.1 La formazione culturale 35

2.2 Margaret Atwood e la distopia 44

3 ORYX AND CRAKE (2003) 53

3.1 Sinossi dell’opera 54

3.2 La persistenza dell’umano entro il postumano 67

4 THE YEAR OF THE FLOOD (2009) 81

4.1 Sinossi dell’opera 82

4.2 Paratesto 97

4.3 L’eco-teologia dei God’s Gardeners 101

5 MADDADDAM (2013) 112

5.1 Sinossi dell’opera 113

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1 1 LA LETTERATURA DISTOPICA

1.1 Utopia e distopia: tentativi di definizione

Il termine “distopia”, composto di dis (due) e utopia,1 nasce come antonimo di “utopia”, la quale deriva dal greco ou (negazione, “non”) e topos (luogo),2 per cui letteralmente “luogo che non esiste”, “non luogo”. In seguito ad un errore dovuto alla somiglianza di pronuncia, in Inghilterra il termine ha ripreso il greco eu (buono) invece della particella negativa ou, per questo motivo il termine utopia è stato associato anche al concetto di buono, ideale. La nascita del termine distopia ha poi in seguito contribuito ad avvalorare e rafforzare questo secondo significato. L’utopia come genere letterario moderno è nata nel 1516 con l’opera di Thomas More Libellus vere

aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia, in cui l’autore descrive il viaggio immaginario di Raphael Hythlodaeus

(letteralmente: “dispensatore di bugie”) in una fittizia isola-regno, per cui un non luogo, abitata da una società ideale dal punto di vista sociale e politico, quindi anche luogo buono, perfetto. Arrigo Colombo definisce l’utopia come “progetto storico della società giusta e fraterna, il progetto che l’umanità persegue poieticamente lungo tutta la sua storia”.3 L’utopia quindi non è da intendersi soltanto come progetto di una società o di una città, come accade nell’opera di More, ma come “progetto storico”:

[L’utopia è] qualcosa che sta prima e più profondamente nella storia e nel suo farsi perché è il progetto dell’umanità intera, la sua pretensione verso la giustizia, da una condizione d’ingiustizia e indigenza e oppressione, ch’è la condizione popolare di sempre. L’idea di un progetto popolare implicito, che si annunzia prima in forme mitiche e folcloriche, e però perspicue,

1 Voce “distopia”, sito del Vocabolario Online Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/distopia2/,

consultato il 10/03/2018.

2 Secondo quanto riportato dal sito dell’Online Etymology Dictionary:

http://www.etymonline.com/index.php?term=utopia&allowed_in_frame=0 e dal sito delVocabolario Online Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/utopia/, consultati il 10/03/2018.

3 A. COLOMBO, “Su questi saggi e la loro genesi. Sull’utopia e la distopia”, in A. Colombo (a cura di)

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altamente significative; si esprime nella forma endemica della rivolta popolare. Si esplicita poi nella storia attraverso i movimenti di salvezza - il messianismo ebraico, il cristianesimo, il millenarismo, l’eresia medievale e moderna. Entra infine definitivamente nella storia con la Rivoluzione Inglese, col moderno processo di liberazione.4

Per quanto concerne invece la parola “distopia”, secondo il già citato Online Etymology Dictionary, la prima attestazione dell’uso del termine risale al 1868, durante un discorso alla British House of Commons da parte di John Stuart Mill, in cui il filosofo si scaglia contro la politica governativa in Irlanda: It is, perhaps, too

complimentary to call them Utopians, they ought rather to be called dys-topians, or caco-topians. What is commonly called Utopian is something too good to be practicable; but what they appear to favour is too bad to be practicable.5

Il Vocabolario Online Treccani definisce la distopia come “previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (equivale quindi a utopia negativa)”.6 La definizione della distopia come genere è stata a lungo dibattuta e non tutti sono concordi nel definirla in modo analogo. Arrigo Colombo sostiene che l’utopia e la distopia non debbano essere considerate allo stesso modo. La distopia è un genere a sé stante, profondamente diverso da quello dell’utopia e anzi, in aperta opposizione ad esso:

L’utopia è il progetto storico della società giusta e fraterna; la distopia è un modello di società perversa, costruito in vari modi ma particolarmente in due: rovesciando il topos della società in atto per denudarne il vizio e proiettarlo non come la società buona cui tendere, ma come la società malvagia da cui difendersi. […] Oppure proiettando tensioni perverse della

4 Ibidem, pp. 13-14.

5J. S. MILL, discorso alla camera dei comuni, Londra, 1868, p. 1517:

http://hansard.millbanksystems.com/commons/1868/mar/12/adjourned-debate#S3V0190P0_18680312_HOC_54, consultato il 15/03/2018.

6 Voce “distopia”, sito del Vocabolario Online Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/distopia2/,

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società in atto, potenziandole, portandole magari al parossismo in un modello di società malvagia da cui difendersi allo stesso modo.7

Secondo Colombo le “tensioni perverse” possono essere sostanzialmente due: il potere come controllo totale (si vedano le distopie totalitarie, Orwell in primis) oppure la tecnologia come strumento di degradazione, distruzione e catastrofe (tipica delle opere distopiche più recenti). Allo stesso modo, anche Erika Gottlieb sostiene che la letteratura distopica sia caratterizzata, di base, dalla presenza di un regime totalitario o comunque da un potere che si caratterizza come controllo totale:

[...] dystopian fiction looks at totalitarian dictatorship as its prototype, a society that puts its whole population continuously on trial, a society that finds its essence in concentration camps, that is, in disenfranchising and enslaving entire classes of its own citizens, a society that, by glorifying and justifying violence by law, preys upon itself. [...] dystopian society is what we would today call dysfunctional; it reveals the lack of the very qualities that traditionally justify or set the raison d'être for a community.8

Altri autori invece, come ad esempio Margaret Atwood, la pensano in modo completamente opposto. In un testo critico del 2011 l’autrice conia un neologismo che racchiude in sé la sua idea di fondo: “Ustopia is a word I made up by combining utopia

and dystopia – the imagined perfect society and its opposite – because, in my view, each contains a latent version of the other”.9 La Atwood definisce l’utopia come una società ideale, caratterizzata dalla totale assenza di piaghe sociali quali guerre, disuguaglianze, carestie, povertà e ineguaglianza di genere. Di contro, la distopia è il

“great bad place”, caratterizzato da “suffering, tyranny and oppression of all kinds”10. Secondo il pensiero della Atwood quindi, utopia e distopia sono strettamente connesse tra loro, possiamo definirle due facce della stessa medaglia, poiché:

7 A. COLOMBO, op. cit., p. 11.

8 E. GOTTLIEB, Dystopian Fiction East and West: Universe of Terror and Trial, Montreal,

McGill-Queen’s University Press, 2001, p. 41.

9 M. ATWOOD, In Other Worlds. SF and the Human Imagination, New York, Anchor Books, 2012, p.

66.

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But scratch the surface a little, and – or so I think – you see something like a yin and yang pattern; within each utopia, a concealed dystopia; within each dystopia, a hidden utopia, if only in the form of world as it existed before the bad guys took over […] As for the utopias, from Thomas More onwards, there is always provision made for the renegades, those who don’t or won’t follow the rules: prison, enslavement, exile, exclusion, or execution.11

Ogni utopia quindi, anche la più equa e perfetta, nasconde il suo lato distopico poiché il modello di società perfetto, per funzionare in modo impeccabile, ha bisogno di eliminare ogni possibile elemento di ribellione. Spesso l’eguaglianza viene raggiunta a costo della totale eliminazione di ogni individualità: chiunque non si adegui a questo stato di cose verrà in qualche modo messo a tacere in quanto pericoloso per l’equilibrio della società. Ne derivano quindi punizioni, esecuzioni ed esili; ecco quindi che emerge il lato negativo dell’utopia, sempre presente secondo la Atwood.

Frank Edward Manuel e sua moglie, Fritzi P. Manuel, sostengono sostanzialmente la stessa tesi quando, parlando dell’utopia e della distopia, affermano:

the satirical utopia, or what has been variously called the dystopia, anti-utopia, devolutionary anti-utopia, or counter-anti-utopia, cannot be entirely excluded from consideration […] If in the background of every utopia there is an anti-utopia, the existing world seen through the critical eyes of the utopia-composer, one mighty say conversely that in the background of many a dystopia there is a secret utopia.12

I critici più recenti sostengono quindi che l’utopia e la distopia siano strettamente connesse. D. Gordin, H. Tilley e G. Prakash affermano che lo sviluppo del genere distopico sia connesso all’espansione della letteratura fantascientifica o science fiction, nonché della letteratura politica e definiscono la distopia addirittura come “utopia’s twentieth-century doppelgänger”, aggiungendo:

11 Ibidem, pp. 85-86.

12 F. E. MANUEL, F. P. MANUEL, Utopian Thought in the Western World, Cambridge, The Belknap

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Despite the name, dystopia is not simply the opposite of utopia. A true opposite of utopia would be a society that is either completely unplanned or is planned to be deliberately terrifying and awful. Dystopia, tipically invoked, is neither of these things; rather, it is a utopia that has gone wrong, or a utopia that functions only for a particular segment of society. In a sense, despite their relatively recent literary and cinematic invention, dystopias resemble the actual societies historians encounter in their research: planned, but not planned all that well or justly.13

La distopia quindi non è semplicemente il contrario dell’utopia, come invece affermano altri critici, poiché il contrario dell’utopia darebbe origine ad una società completamente disorganizzata e non pianificata, oppure ad una società appositamente programmata per essere orribile; al contrario la distopia si configura come un’utopia fallita, che non è riuscita a raggiungere lo scopo che si era prefissata all’inizio, oppure che ci è sì riuscita, ma soltanto per un’esigua parte della società. Inoltre, una differenza fondamentale tra utopia e distopia risiederebbe nel fatto che l’utopia parla di un luogo altro, a volte futuro, avendo come fine quello di criticare il presente mentre la distopia ci parla semplicemente della realtà futura, additata come deprimente e cupa e il suo fine è quello di dare un avvertimento, di servire da monito per invitarci ad agire ora per evitare il peggio in futuro:

Every utopia always comes with its implied dystopia – whether the dystopia of the status quo, which the utopia is engineered to address, or a dystopia found in the way this specific utopia corrupts itself in practice. Yet a dystopia does not have to be a utopia inverted. In a universe subjected to increasing entropy, one finds that there are many more ways for planning to go wrong than to go right, more ways to generate dystopia than utopia. And, crucially, dystopia – precisely because it is so much more common – bears the apect of lived experience. People perceive their environments as dystopic, and alas they do so with depressing frequency. Whereas utopia takes us into a future and serves to indict the present, dystopia places us

13 M. D. GORDIN, H. TILLEY, G. PRAKASH, Utopia/Dystopia: Conditions of Historical Possibility,

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directly in a dark and depressing reality, conjuring up a terrifying future if we do not recognize and treat its symptoms in the here and now.14

La distopia si configura quindi come un genere il cui fine è quello di mostrare un futuro scenario terrificante, a cui l’umanità andrà sicuramente incontro se non prende dei provvedimenti subito, se non interviene nel presente per modificare il suo destino.

1.2 Sviluppi della letteratura utopica e distopica

Le storie della letteratura utopica e di quella distopica sono strettamente connesse, inscindibili l’una dall’altra: sia che si consideri la seconda come contraria specularmente alla prima e quindi come sua controparte negativa, sia che la si consideri semplicemente una delle due possibili forme, in questo caso quella negativa, a cui l’utopia può condurre, è innegabile che i due generi siano sempre stati connessi fin dal momento della loro genesi. Per questo motivo questa tesi si propone di analizzare la storia di entrambi. L’utopia come genere letterario nasce sostanzialmente come metodo per sfuggire al reale, visto come un luogo o come tempo deludente e negativo. Come afferma Trousson, l’utopia è “una forma di compensazione proposta alle disgrazie del tempo presente” e quella delle origini “si orienta da una parte verso il passato e dall’altra verso l’esotico”.15 L’uomo si è da sempre rivolto al passato, idealizzandolo: il presente è caratterizzato dall’iniquità e dall’infelicità mentre il passato è l’epoca ideale, un passato mitico, lontano nel tempo, un passato in cui non c’era il dolore, l’iniquità, persino la morte. È il mito dell’età dell’oro, di un’epoca anteriore al tempo stesso, costituita da un eterno presente felice e che non dipende dalla volontà umana bensì da quella divina. Essendo un dono degli dèi o di Dio, la sua continuazione presuppone l’osservanza di una legge divina o di un divieto (si pensi al tabù dell’albero della conoscenza e all’ infrazione ad esso da parte di Eva, oppure a Pandora, colpevole di aver aperto il celebre vaso). L’infrazione del patto tra uomini e dèi conduce in ogni caso ad un futuro negativo, alla degradazione del mondo e

14 Ibidem, p. 2.

15 R. TROUSSON, “La distopia e la sua storia” in A. Colombo (a cura di), Utopia e distopia, Bari,

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7 dell’uomo. Platone, nel Timeo e nel Crizia parla di due città ideali, Atene e Atlantide, città lontane nel passato, il cui segreto si è perduto; parla quindi di una perfezione ormai svanita e non più raggiungibile. Su questo punto la tradizione giudaico-cristiana sarà caratterizzata, di contro, dalla promessa di restituzione di questo mondo perfetto ed ideale: la terra promessa per il popolo giudaico sarà la giusta ricompensa dopo un lungo periodo di attesa e di espiazione dei peccati; allo stesso modo per i cristiani verrà un giorno in cui, come premio per una vita vissuta secondo i precetti di Dio, l’uomo ritroverà un’eternità felice ed immutabile. Un’altra possibilità di sfuggire ad un presente infelice è quella di rivolgersi non verso il passato bensì verso un altrove geografico-mitico. Solitamente un’isola, scoperta per caso da qualche viaggiatore (San Brandano, More, Swift), è il luogo in cui la felicità che caratterizzava l’età dell’oro del passato è riuscita in qualche modo a sopravvivere.

Secondo Kumar16 il genere utopico vero e proprio, espresso dalla moderna opera di More, si distingue dalle altre opere a tema utopico in cui si mostravano città o società ideali o si esprimevano teorie politiche e sociali. La Republica di Platone non è un’opera utopica al pari di quella di More ma soltanto un esempio della tradizione ellenica della città ideale, in cui Platone narra della rivalità tra due antichi stati utopici, quello di Atlantide e quello di Atene. La differenza, a parere di Kumar, sta nel fatto che nell’opera di More non c’è soltanto la descrizione di un mondo ideale utilizzata come mero pretesto per disquisire sulle teorie e sui principi dell’utopia e del mondo ideale (aspetto che invece caratterizza le opere elleniche) ma anche, e questo ne costituisce l’aspetto più importante, la volontà di utilizzare queste descrizioni per convincere i lettori a credere alla loro esistenza e al fatto che funzionino. Il fine ultimo della vera utopia è quindi il desiderio di far conoscere, di insegnare qualcosa, di mostrare qual è la via verso la felicità. L’utopia come forma letteraria (di cui quella di More è l’emblema) è “ben lungi dall’essere un semplice racconto didattico e, grazie all’invenzione e non a dispetto di essa, questa forma era in grado di mostrare la vita e la società strutturate all’insegna del bene in tutta la loro complessità e spessore”.17 Il

16 K. KUMAR, Utopia e antiutopia, Ravenna, Longo Editore, 1995, p. 19, traduzione di R. Baccolini e

L. Gunella.

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8 critico, al contrario di quanto affermato da Trousson, sostiene che la tradizione ellenica e quella millenaristica giudaico-cristiana non stiano alla base del genere utopico, non ne costituiscano la sua origine, per quanto ne riconosca l’importanza. Secondo Kumar ne costituiscono l’inconscio, hanno fornito temi, sentimenti ed immagini all’utopia, ma non possono identificarsi con l’utopia stessa. Kumar opera anche una distinzione di tipo teorico tra l’utopia vera e propria - costituita da opere quali quella di More oppure Looking Backward di Bellamy - e quella che lui stesso definisce “teoria sociale utopica”, ovvero quella che viene associata ad alcuni pensatori del XVIII e XIX secolo quali Rousseau, Condorcet, Saint Simon, Comte, Fourier, fino ai pensatori anarchici come Marx, Engels e Kroptokin.

Ciò che questi pensatori hanno in comune con l’utopia vera e propria è la fede nella perfettibilità dell’uomo; essi ritraggono

società future dove le carestie, i conflitti e tutti gli ostacoli all’appagamento dell’uomo sono stati rimossi ed in questo senso differiscono dai pensatori liberali o conservatori per i quali la società resta un ostacolo costante e permanente alla completa libertà ed al totale appagamento e la condizione umana sarà sempre fonte di infelicità se non di angoscia.18

Nonostante questa convinzione di fondo, essi differiscono dai pensatori utopici veri e propri perché di fatto non hanno mai dato vita a quadri utopici nello stile di Thomas More. Questo perché, malgrado abbiano un temperamento utopico ed una forte propensione all’utopia, la loro teoria sociale opera in modo diverso rispetto alla vera utopia. La reale utopia infatti descrive dettagliatamente le società utopiche, dai punti di vista della loro organizzazione politica e sociale; i pensatori della teoria sociale utopica, d’altro canto, non hanno mai descritto come si configurerebbe, sul piano reale, la loro idea di utopia. Questo perché non hanno mai voluto, come afferma lo stesso Marx, “scrivere ricette per trattorie del futuro”.19 Se consideriamo, come da tradizione, l’opera di Thomas More come la prima vera opera del genere utopico moderno, possiamo notare che, dall’anno della sua pubblicazione, il 1516, in poi si sono

18 Ibidem, p. 19. 19 Ibidem, p. 20.

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9 susseguite tutta una serie di opere utopiche che l’hanno di fatto imitata o comunque hanno tratto ispirazione da essa, anche se soltanto al fine di criticarne o confutarne le teorie di base; alcuni esempi sono New Atlantis di Francis Bacon (1627), La città del

sole di Tommaso Campanella (1623) o The Anathomy of Melancholy di Robert Burton

(1621-1639). Verso la fine del 1600 compare una nuova tendenza all’interno del genere utopico, l’ucronia, ovvero la propensione ad ambientare le opere in un tempo altro, solitamente nel futuro. Uno dei testi più importanti che mostra questa nuova ambientazione è L’an 2240 di Louis-Sébastien Mercier, opera del 1771 in cui possiamo notare un’universalizzazione dell’utopia. La società utopica non è più relegata ad una piccola enclave, ad un’isola sperduta e sconosciuta ai più e scoperta soltanto per caso, ma è una realtà che caratterizza il mondo intero; l’utopia non è più fuori dal mondo, una realtà insulare ambientata in un altrove geografico-mitico ma è il mondo stesso ad essersi “utopizzato”. Questa nuova inclinazione è strettamente legata all’idea di progresso, complice la prima rivoluzione industriale inglese, che aveva contribuito alla diffusione dell’ideale di benessere generalizzato legato all’industrializzazione e al progresso della tecnica. Condorcet, enciclopedista e forte sostenitore del progresso e dell’idea della perfettibilità dell’uomo, sostiene:

among the causes of the progress of the human mind that are of the utmost importance to the general happiness, we must number the complete annihilation of the prejudices that have brought about an inequality of rights between the sexes, an inequality fatal even to the party in whose favour it works.20

Condorcet vede nel progresso della mente umana l’unica via per il raggiungimento di una società caratterizzata dal benessere generale; per la sua realizzazione è però necessario eliminare ogni pregiudizio tra gli uomini, compresi quelli che hanno portato alla diseguaglianza di genere. La fiducia nella perfettibilità e nel progresso la

20 J. LANDES, “The History of Feminism: Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, Marquis de

Condorcet”, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Stanford, Stanford University, 2009, https://plato.stanford.edu/entries/histfem-condorcet/, consultato il 24/03/2018.

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10 ritroviamo anche in altri pensatori del tempo, quali ad esempio Saint-Simon che, parlando della cosiddetta età dell’oro della razza umana, afferma:

The golden age of human race is not behind us but before us; it lies in the perfection of the social order. Our ancestor never saw it; our children will one day arrive there; it is for us to clear the way.21

Anche l’autore francese crede quindi fermamente che l’uomo debba cercare la felicità guardando al futuro e non più rivolgendosi al passato; l’ucronia è diventata una costante dei pensatori di quel periodo.

Sul finire del XVIII secolo si assiste ad un progressivo aumento di quelle che Kumar definisce espressioni della teoria sociale utopica: si diffondono manifesti,

pamphlet e trattati sociologici, frutto delle nuove scienze sociali allora emergenti.

Tutto questo a discapito della letteratura utopica, che vede via via scemare la produzione di romanzi afferenti al genere. Ciò accadde soprattutto per una ragione: gli uomini si erano convinti che l’utopia potesse essere tradotta in realtà, un pensiero catalizzato dalla rivoluzione industriale inglese – che aveva mostrato come i progressi in campo tecnico-industriale potessero cambiare il modo di concepire il lavoro e la produzione – e dalla rivoluzione francese, che aveva aperto la strada ad una nuova concezione di società fondata sulla libertà, l’uguaglianza e la fraternità sociale. Vari pensatori credevano fortemente che si potesse realizzare una società diversa e più giusta, basandosi anche e soprattutto sui principi delle nuove discipline che andavano costituendosi, quali la sociologia e l’economia politica. L’utopia non scomparve, cambiò solamente forma; adesso il fine non era più quello di mostrare mondi alternativi ma irreali, ma piuttosto quello di cercare i mezzi atti ad ottenere il suo compimento sul piano del reale.

Dal XIX secolo, di contro, si assiste ad un massiccio ritorno dell’utopia letteraria; questo cambiamento può spiegarsi facilmente se consideriamo il fatto che in quel periodo si iniziò a capire che la sua realizzazione non fosse più tanto vicina come si era pensato in precedenza; il socialismo dovette fare i conti con la

21 H. SAINT SIMON, “The Reorganization of the European Community”, F. Markhm (ed.) in Social

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11 consapevolezza che la sua vittoria non sarebbe stata imminente. Fu quindi costretto - sotto pressione popolare - a rappresentare il futuro socialista: le più importanti utopie letterarie della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo sono infatti tutte utopie socialiste. Da Looking Backward di E. Bellamy (1888) a News from Nowhere di W. Morris (1890), fino a A Modern Utopia di Wells (1905). L’utopia socialista finisce perciò per diventare l’unica forma di utopia del mondo industriale moderno.

Il XX secolo può essere considerato a ragione il secolo dei disastri e delle utopie fallite, che hanno contribuito a cancellare l’ottimismo utopico che invece aveva caratterizzato il secolo precedente. A partire dalle due guerre mondiali, per proseguire poi con il fascismo e il nazismo, fino ad arrivare allo spettro di una guerra nucleare durante il periodo della guerra fredda, il XX secolo è definitivamente riuscito a cancellare ogni afflato utopico o promessa di un futuro migliore attraverso il progresso o il miglioramento del genere umano. L’USA e l’URSS, i due più grandi esperimenti utopici del secolo, non sono riusciti a raggiungere i fini utopici che si erano precedentemente prefissati. Il definitivo crollo del regime socialista è stata la prova più eclatante che un regime di tipo utopico non potesse essere storicamente realizzabile. Sul piano letterario tutto ciò si è convertito non nella definitiva scomparsa del genere utopico, come sarebbe stato più che lecito pensare, ma si è invece assistito ad un cambiamento di contenuto, in particolare ad un ribaltamento verso l’anti-utopia, o distopia. Paradossalmente, si passa da un periodo in cui le utopie erano viste come il fine ultimo a cui tendere, il bene comune da realizzare, ad un periodo in cui emerge la paura che queste utopie si possano realizzare veramente. L’utopia non è più auspicabile, anzi diventa uno stato di cose da evitare con ogni mezzo. Lo stesso Huxley, ad epigrafe della sua opera Brave New World, pose un discorso di Nicolas Berdiaeff:

Les utopies apparaissent comme bien plus réalisables qu’on ne le croyait autrefois. Et nous nous trouvons actuellement devant une question bien autrement angoissante: Comment éviter leur réalisation définitive? ... Les utopies sont réalisables. La vie marche vers les utopies. Et peut-être un siècle nouveau commence-t-il, un siècle où les intellectuels et la classe

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cultivée rêveront aux moyens d’éviter les utopies et de retourner à une société non utopique, moins ‘pairfaite’ et plus libre.22

Già dalla fine del XIX secolo l’idea di progresso positivo dovuto allo svilupparsi della scienza e della tecnica subisce una battuta d’arresto. Prima la tecnologia e l’industrializzazione venivano viste come mezzo per raggiungere la felicità. Alcuni credevano che le macchine avrebbero risolto tutti i problemi dell’uomo e che avrebbero svolto ogni tipo di lavoro faticoso e manuale, lasciando in questo modo libera l’umanità di dedicarsi a passatempi a lei più consoni. Scrive O. Wilde:

[…] while Humanity will be amusing itself, or enjoying cultivated leisure – which, and not labour, is the aim of man- or making beautiful things, or reading beautiful things, or simply cotemplating the world with admiration and delight, machinery will be doing all the necessary and unpleasant work. The fact is, that civilisation requires slaves. The Greeks were quite right there. Unless there are slaves to do the ugly, horrible, uninteresting work, culture and contemplation became almost impossible. Human slavery is wrong, insecure, and demoralising. On mechanical slavery, on the slavery of machine, the future of the world depends.23

Tralasciando i fini estetici e puramente edonistici per cui Wilde auspicava l’avvento della società delle macchine, resta comunque il fatto che credesse nella bontà di questo tipo di futuro. Egli era fermamente convinto che le macchine potessero soppiantare l’uomo in tutte le attività più noiose o faticose, rendendolo quindi più libero di dedicarsi ai suoi interessi. Più avanti nel testo, parlando sempre della società delle macchine, aggiunge:

There will be great storages of force for every city, and for every house if required, and this force man will convert into heat, light, or motion, according to his needs. Is this Utopian? A map of the world that does not include Utopia is not worth even glancing at, for it leaves out the one country at which Humanity is always landing. And when Humanity lands

22 A. HUXLEY, Brave New World, London, Penguin, 1955, epigrafe, p. 2.

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there, it looks out, and, seeing a better country, sets sail. Progress is the realisation of Utopias.24

Questa linea di pensiero, condivisa da molti in quel periodo, non viene però sostenuta da altri, che vedono nel progressivo avvento delle macchine una corrispondente snaturalizzazione della natura umana. L’uomo si vede progressivamente privato di tutte quelle caratteristiche che lo identificano in quanto umano, prima tra tutte la sua individualità: ogni società utopica o distopica è caratterizzata dall’omogeneità e dal conformismo, gli uomini si confondono in una massa senza più unicità né connotati che li differenzino gli uni dagli altri. In molte opere si ricorre anche all’utilizzo di espedienti quali droghe, sostanze chimiche, condizionamenti mentali e ingegneria genetica, volti a creare un essere umano meno vulnerabile, senza difetti e più forte, di conseguenza quindi più felice, ma sempre a discapito della sua individualità. L’uomo diventa un oggetto, malleabile e modificabile a piacimento. Huxley, nella prefazione della seconda edizione di Brave New World del 1946, osserverà infatti:

This really revolutionary revolution is to be achieved, not in the external world, but in the souls and flesh of human beings. […] To bring about that revolution we require, among others, the following discoveries and inventions. […] a greatly improved technique of suggestion - through infant conditioning and, later, with the aid of drugs, such as scopolamine. […] a fully developed science of human differences, enabling government managers to assign any given individual to his or her proper place in the social and economic hierarchy. […] a substitute for alcohol and the other narcotics […] a foolproof system of eugenics, designed to standardize the human product and so to facilitate the task of the managers.25

La società di cui parla Huxley è alle porte. Gli uomini possiedono già tutti gli strumenti necessari per modificare fisicamente l’essere umano – definito addirittura “human product” - e condizionarlo dal punto di vista mentale. Il progresso è estremamente veloce: oggi assistiamo a cose che ci sarebbero sembrate impensabili pochi anni fa, figurarsi a cosa potremmo trovarci di fronte tra pochi anni. Gli strumenti ci sono già

24 Ibidem, p. 27.

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14 tutti, sta all’uomo decidere se e come utilizzarli. La distopia trova quindi terreno fertile in cui nascere e svilupparsi in un periodo storico caratterizzato dalla sfiducia verso l’utopia. I progetti utopici non hanno sortito il risultato sperato, la nuova società industriale inizia a mostrare i segni del declino dell’essere umano: alienazione, snaturalizzazione e perdita dell’individualità, con parallelo aumento del conformismo, dovuto anche e soprattutto alla nascita di un mezzo di comunicazione molto importante, destinato a diventare strumento di condizionamento mentale potentissimo, ovvero la pubblicità. Inoltre, la nascita di nuove scienze quali la psicologia e l’antropologia, e lo sviluppo del freudismo, contribuiscono ad aumentare la consapevolezza della natura umana, delle reali pulsioni che - anche se soltanto a livello inconscio, di quello che Freud chiamava Es, uno dei tre tòpoi psichici che lo psicoanalista tedesco individua, insieme all’Io e al SuperIo, - animano l’uomo e lo spingono a comportarsi in un certo modo piuttosto che in un altro. In particolare, l’Es è quello che Freud stesso definiva il fondamento della persona psichica, l’espressione dei bisogni pulsionali e istintuali dell’uomo, caratterizzato dalla volontà di ottenere il piacere a ogni costo. Privo di logicità e di moralità, l’Es designa la parte oscura della psiche, quell’insieme di pulsioni non organizzate che operano al di fuori di qualsiasi nozione di bene, di male o di moralità. Tutto ciò fa sì che la vera natura umana sia svelata: l’uomo non è più buono per natura (come credevano gli illuministi, in primis Jean Jacque Rousseau),26 ma anzi è dominato da pulsioni estremamente egoistiche e negative. Da premesse di questo genere, appare chiaro come la nascita della distopia fosse naturale e inevitabile.

1.3 Caratteristiche dei generi utopico e distopico

Kumar afferma, nel suo Utopianism,27 che i generi utopico e distopico devono molto

ad altre tradizioni letterarie, in particolare al mito del paese di Cuccagna, a quello del

26 Per quanto riguarda la posizione di J. J. Rousseau si veda l’Emile, opera del 1762 in cui il pensatore

afferma che ogni cosa nata dalle mani del “Creatore” (quindi anche l’essere umano stesso) sia per sua natura buona; la degenerazione può avvenire invece soltanto a causa dell’intervento dell’uomo stesso.

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15 Paradiso e dell’Età dell’Oro, al Millenarismo e a quello della città ideale. Il paese di Cuccagna è il luogo ideale, ricordato in molti testi di ogni epoca, nel quale il benessere, l'abbondanza e il piacere sono alla portata di tutti. Il termine deriva28 dal latino medievale cocania e significa “paese dell’abbondanza”, nome probabilmente foggiato con una voce germanica indicante dolciumi (dal tedesco kuchen “dolce, torta”) e la terminazione -ania di nomi di regione. Cuccagna indica quindi un luogo favoloso ricco d’ogni cosa piacevole e di facile godimento, secondo una fantasia d’origine non sicura, che domina, in forma burlesca, nella letteratura del medioevo e agli inizi dell’età moderna: ‘che sia il paese di cuccagna questo?’,29 o anche ‘si legano le vigne con le salsicce, ed avevasi un'oca a denaio ed un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi’.30 Per estensione, indica un luogo pieno d’ogni ben di Dio, grande abbondanza d’ogni cosa, vita piacevole e allegra. A parere di Kumar, da questa tradizione l’utopia ha preso l’elemento del desiderio. Essendo caratterizzato dalla continua soddisfazione dei desideri e dal divertimento perpetuo, saremmo portati a pensare che un luogo del genere porti rapidamente a disordini; in realtà essi vengono evitati grazie alla continua abbondanza di tutto ciò che l’essere umano desidera, in particolare del cibo e del sesso, che scongiura qualsiasi moto di ribellione o di contrasto tra gli uomini.

I miti del Paradiso e dell’Età dell’Oro, invece, apportano la caratteristica dell’armonia. L’essere umano vive in uno stato di continua armonia e soddisfazione, secondo il principio di natura ed è dalla natura stessa che trae la soddisfazione a tutti i suoi desideri, che sono semplici in quanto l’uomo è stato creato da Dio proprio come essere semplice, perché vivesse in armonia con la natura e fosse appagato in tutti i suoi desideri da essa. Questi miti concepiscono l’uomo come “naturally a creature of few and simple needs, readily satisfied by the bounty of nature”,31 quindi scongiura ogni afflato di discordia o contrasto poiché l’uomo si sente naturalmente appagato e felice.

28Voce “cuccagna”, sito del Vocabolario Online Treccani:

http://www.treccani.it/vocabolario/cuccagna/, consultato il 26/03/2018.

29 A. MANZONI, I promessi Sposi, Torino, Ed. Il Capitello, 2004, p. 329. 30 G. BOCCACCIO, Decameron, Torino, Einaudi, 1992, p. 908.

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16 Uno dei fini dell’utopia è la stabilità, l’ordine, che viene ampiamente soddisfatto da questa visione dell’umano come essere semplice, caratterizzato dall’innocenza e dall’armonia. La perfetta rappresentazione di questa condizione umana la possiamo trovare proprio nella classica raffigurazione del Paradiso come giardino pieno di alberi da frutto, animali, fiori e acqua fresca, contraddistinto dalla bellezza e dalla fecondità. Nella Bibbia ad esempio troviamo:

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi da lì si divideva e formava quattro corsi.32

Il millenarismo, fortemente legato alla tradizione giudaica prima e cristiana poi, apporta invece l’elemento della speranza. Il millenarismo o chialismo (dal greco

chìlioi, "mille") è una credenza apocalittica cristiana caratterizzata dall’ “attesa del

regno di Cristo in terra, prima del giudizio finale, riservato ai soli giusti e, secondo la maggior parte dei computi, destinato a durare mille anni: originatasi nel messianismo giudaico, tale credenza fu assai diffusa nel cristianesimo primitivo, e poi ripresa in età moderna da alcune sette riformate, specialmente nel mondo anglosassone”.33 Il millenarismo, secondo Kumar, apporta all’utopia l’elemento della speranza poiché ogni sofferenza, ogni difficoltà che l’uomo deve sopportare, persino la catastrofe, sono passeggeri in quanto alla fine dei tempi ogni sofferenza cesserà e l’uomo troverà la pace e la serenità. Alcuni si preparano attivamente al nuovo stato di cose, altri preferiscono attendere passivamente la fine dei tempi; in ogni caso l’attuale condizione umana terminerà e seguirà un nuovo ordine di cose, di gran lunga migliore. La speranza in questo futuro migliore è quella che rende l’utopia una reale possibilità per il futuro e non soltanto una mera speculazione filosofica o un gioco intellettuale senza seguito.

32 Bibbia, Genesi 2, 8-10.

33Voce “millenarismo”, sito del Vocabolario Online Treccani:

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17 Infine, l’ultimo mito che secondo Kumar ha influenzato il genere utopico è quello della città ideale. Essa ha contribuito allo sviluppo del genere utopico introducendo al suo interno un elemento fondamentale, quello del design. La città ideale è da sempre caratterizzata da razionalità e ordine, il suo disegno urbanistico ha quasi sempre uno schema geometrico e regolare ed è delimitato da una separazione, solitamente delle mura. L’idea della città come luogo ideale e autosufficiente, ha caratterizzato la storia dell’umanità fin dalle sue origini. Già i greci utilizzavano, per la pianificazione delle loro città, il cosiddetto schema ippodameo34 (da Ippodamo da Mileto, inventore di questo tipo di pianificazione), costituito da strade principali (i

plateiai) che si intersecavano ortogonalmente con strade secondarie (gli stenopoi),

dando vita così ad una planimetria formata da aree quadrangolari o rettangolari disposte in modo ordinato e razionale. In un luogo sopraelevato sorgeva invece l’acropolis, il luogo sacro della città. Alcuni esempi di questo tipo di planimetria si possono trovare ancora oggi nel mezzogiorno d’Italia, laddove sorgevano colonie greche come a Siracusa, Taranto, Locri, oltre che ovviamente in Grecia o in zone vicine come Smirne in Turchia. I romani seguirono sostanzialmente lo stesso schema, con due strade principali che si intersecavano ortogonalmente tra loro, il cardo maximus (asse nord-sud) e il decumano maximus (asse est-ovest); solitamente al centro della città o, più raramente in modo più decentrato, nel punto di intersezione delle due strade maggiori veniva eretto il forum, il luogo centrale di ogni città romana, in cui si svolgevano il mercato, le assemblee, gli incontri d’affari e dove si praticava il culto nei templi. La stessa idea di città ideale continuò a permanere anche durante il Rinascimento, fu però solo un dibattito teorico, che portò a poche realizzazioni concrete quali Urbino o Ferrara. Il mito della città ideale è quello che a parere di Kumar ha apportato l’idea del design, della pianificazione urbana all’interno delle opere del genere utopico ed anche, aggiungerei, soprattutto distopico. L’idea della città come nucleo ordinato e razionale, in cui il controllo e l’ordine sono le peculiarità che meglio la contraddistinguono, sono tipiche delle opere distopiche, o anti-utopiche che dir si voglia, dei secoli XX e XXI. Secondo l’idea di Kumar quindi, il genere utopico e

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18 quello distopico sono influenzati da miti e tòpoi letterari passati, ma non si identificano solo ed esclusivamente con essi; al termine del primo capitolo infatti afferma:

Desire and design, harmony and hope: there certanly go into the making of utopia, as probably with any other social and political philosophy. Their particular carriers are therefore undoubtedly important in its own construction. But utopia does not simply recombine these elements. It has its own inventiveness. Once established, it provides a map of quite different possibilities for speculating on the human condition.35

Una delle caratteristiche distintive della letteratura utopica è senza dubbio il tema del viaggio; nei testi di matrice utopica c’è sempre un personaggio protagonista, il viaggiatore, che approda in una terra sconosciuta ma perfetta, dopo aver compiuto un lungo viaggio per mare, oppure nello spazio, o ancora all’interno dei propri sogni, dopo essersi addormentato. Quale che sia lo spazio o il tempo che abbia dovuto attraversare, il protagonista si trova a contatto con un mondo a lui estraneo ma che gli appare fin dal principio come migliore di quello da cui lui proviene. L’incontro con una società altra provoca inevitabilmente il sorgere di un confronto tra due diverse dimensioni che porta sempre all’esaltazione del nuovo ordine, superiore sia dal punto di vista tecnologico che politico e organizzativo, e alla critica del mondo di provenienza, che risulta peggiore in quanto connotato da ingiustizia, disuguaglianza e spesso anche arretratezza culturale. La nuova terra è solitamente isolata, nascosta ad occhi indiscreti; nessuno la conosce e anche il viaggiatore la scopre per caso, generalmente dopo essersi perso. L’esempio più esaustivo e conosciuto è proprio quello di More, che descrive l’isola di Utopia come segue:

The island of Utopia is in the middle two hundred miles broad, and holds almost at the same breadth over a great part of it, but it grows narrower towards both ends. Its figure is not unlike a crescent. Between its horns the sea comes in eleven miles broad, and spreads itself into a great bay, which is environed with land to the compass of about five hundred miles, and is well secured from winds. In this bay there is no great current; the

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whole coast is, as it were, one continued harbour, which gives all that live in the island great convenience for mutual commerce.36

L’isola ha l’insolita forma di una mezzaluna, si presenta come un porto continuo che corre da un’estremità all’altra dell’isola; questa sua forma permette alla costa di essere riparata dai venti sferzanti ma allo stesso tempo agevola il mutuo commercio tra una zona e l’altra dell’isola. La sua forma è quindi comoda e funzionale per tutti gli abitanti dell’isola. Nel descrivere Utopia però More aggiunge:

But the entry into the bay, occasioned by rocks on the one hand and shallows on the other, is very dangerous. In the middle of it there is one single rock which appears above water, and may, therefore, easily be avoided; and on the top of it there is a tower, in which a garrison is kept; the other rocks lie under water, and are very dangerous. The channel is known only to the natives; so that if any stranger should enter into the bay without one of their pilots he would run great danger of shipwreck.37

L’isola non solo viene descritta come isolata dal resto del mondo e impossibile da raggiungere da parte di chi non ne conosca l’esatta collocazione, ma in più gli abitanti stessi si adoperano con ogni mezzo a loro disposizione per far sì che rimanga occultata il più a lungo possibile.

Un altro esempio lo possiamo trovare in Gulliver’s Travels, in cui si narra l’approdo sull’isola fluttuante di Laputa:

[…] an island in the air, inhabited by men, who were able (as it should seem) to raise or sink, or put it into progressive motion, as they pleased. […] I could see the sides of it (the island) encompassed with several gradations of galleries, and stairs, at certain intervals, to descend from one to the other. In the lowest gallery, I beheld some people fishing with long angling rods, and others looking on. […] and the flying island being raised to a convenient height, the verge directly over me, a chain was let down

36 T. MORE, Utopia, London, Cassell & Co., 1901, Project Gutenberg eBook, p. 49:

http://www.gutenberg.org/ebooks/2130.

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from the lowest gallery, with a seat fastened to the bottom, to which I fixed myself, and was drawn up by pulleys.38

L’isola di Laputa è nascosta e può essere spostata a piacimento; i suoi abitanti, che sin da subito ci vengono descritti come “persons of quality”,39 sono un popolo estremamente evoluto sia in ambito culturale che anche e soprattutto in ambito scientifico-tecnologico. Grazie alle loro conoscenze sono riusciti a costruire un sistema con cui tenere sollevata da terra la loro isola e a spostarla ogni volta che lo desiderano tramite corde e pulegge.

In alcuni casi il viaggio non è geografico ma temporale. Ne è un esempio calzante Looking Backward di Edward Bellamy, in cui il protagonista si veglia nel 2000 dopo essersi addormentato nel 1887 in seguito ad una terapia ipnotica, che sarebbe dovuta servire a curare la sua insonnia ricorrente. Le persone che lo incontrano ovviamente non riescono a credere a quello che dice, ma lui sa di essere nato nel 1857:

I first saw the light in the city of Boston in the year 1857. "What!" you say, "eighteen fifty-seven? That is an odd slip. He means nineteen fifty-seven, of course." I beg pardon, but there is no mistake. It was about four in the afternoon of December the 26th, one day after Christmas, in the year 1857, not 1957, that I first breathed the east wind of Boston, which, I assure the reader, was at that remote period marked by the same penetrating quality characterizing it in the present year of grace, 2000.40

Al suo risveglio il protagonista si trova nel bel mezzo della Boston del 2000, esattamente centotredici anni dopo essersi addormentato, Boston è completamente cambiata, così come lo sono tutti gli Stati Uniti, che si sono trasformati in una società di stampo socialista: l’industria è stata nazionalizzata ed anche la distribuzione delle merci (che risulta analoga a quella odierna, mediata da internet), che sono equamente distribuite tra i cittadini allo stesso modo in cui sono distribuiti i soldi. Anche in questo

38 J. SWIFT, Gulliver’s Travels, Harmondsworth, Penguin Books, 1967, pp. 99-100. 39 Ibidem, p. 202.

40 E. BELLAMY, Looking Backwards 2000-1887, Cambridge, The Belknap Press of Harvard

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21 caso comunque, la società utopica è distante da quella attuale ed è impossibile da raggiungere poiché lontana, anche se stavolta sul piano temporale e non geografico.

Un secondo elemento che distingue le opere afferenti al genere utopico è, senza dubbio, il benessere generalizzato che caratterizza le società descritte. Per citare sempre l’opera cardine del genere, Utopia, in essa More descrive una società ideale in cui la proprietà privata, causa da sempre di disuguaglianza e di conflitto sociale, è stata abolita. Tutti gli abitanti sono, almeno teoricamente, sullo stesso piano; in realtà esistono gli schiavi, che però non sono tali per nascita oppure in quanto prigionieri di guerra, poiché presso gli utopici la schiavitù è soltanto una pena destinata a chi commette reati gravi. In verità, anche tra gli utopici ci sono alcune differenze di classe. Ad esempio, ci sono gli esenti dai lavori manuali, quelli che si sono dimostrati più meritevoli dal punto di vista culturale, quali gli uomini di lettere, i sacerdoti, gli ambasciatori e gli appartenenti alle istituzioni. Quello che però caratterizza il regno di Utopia è il benessere generale che pervade tutti gli strati sociali: non ci sono poveri, ognuno lavora sei ore al giorno e le restanti ore può dedicarle alle attività che più l’aggradano quali arte, studio o ad altro tipo di svaghi. In più, ogni abitante può accedere alle risorse secondo le proprie necessità poiché non c’è mai penuria di cibo in quanto tutti gli abitanti, comprese le donne, lavorano nell’agricoltura e nelle città. Utopia è un luogo felice anche perché vige la libertà di culto: ognuno può professare la religione che preferisce ed è anche libero di fare proselitismo, purché questo non venga attuato con metodi coercitivi o violenti; l’unico stile di vita che gli utopiani non approvano è l’ateismo. Infine, gli abitanti di Utopia sono un popolo pacifico. Non concepiscono la guerra se non esclusivamente come metodo di difesa per attacchi esterni, difatti non hanno un vero e proprio esercito ma sono gli stessi cittadini a difendere le proprie città in caso di bisogno. Pace, abbondanza di cibo e eguaglianza sono quindi gli elementi che contribuiscono a rendere le città utopiche luoghi contraddistinti dal benessere, dalla felicità e dalla prosperità.

Altro elemento imprescindibile del genere utopico, così come già precedentemente sottolineato da K. Kumar, è una pianificazione urbanistica ordinata e razionale. More descrive le 54 città di Utopia come luoghi estremamente organizzati ed efficienti:

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There are fifty-four cities in the island, all large and well built, the manners, customs, and laws of which are the same, and they are all contrived as near in the same manner as the ground on which they stand will allow. The nearest lie at least twenty-four miles’ distance from one another, and the most remote are not so far distant but that a man can go on foot in one day from it to that which lies next it.41

Le varie città sorgono alla stessa distanza l’una dall’altra e sono facilmente raggiungibili a piedi dai cittadini in una sola giornata di cammino; inoltre sono ampie e ben costruite, nonché regolamentate dalle stesse leggi. Tutti i loro abitanti hanno gli stessi usi e costumi, per cui non ci sono neppure differenze culturali di alcun genere tra di loro. Nel descrivere nel dettaglio le città di Utopia, More sembra avere in mente lo schema classico di pianificazione urbanistica dei centri abitati, greco o romano che sia, caratterizzato da una disposizione estremamente ordinata delle strade e dalla presenza di una piazza centrale, luogo cardine della vita dei cittadini. Scrive infatti:

Every city is divided into four equal parts, and in the middle of each there is a market-place. […] places appointed near some running water for killing their beasts and for washing away their filth, which is done by their slaves; […] They have belonging to every town four hospitals, that are built without their walls, and are so large that they may pass for little towns; by this means, if they had ever such a number of sick persons, they could lodge them conveniently, and at such a distance that such of them as are sick of infectious diseases may be kept so far from the rest that there can be no danger of contagion.42

Le città del regno di Utopia hanno tutte lo stesso schema di pianificazione urbanistica – ogni città è divisa in quattro parti, al centro di ognuna della quali c’è una mercato – e sono appositamente progettare per evitare che epidemie o sporcizia possano contagiare l’ambiente urbano: ci sono appositi luoghi fuori città deputati alla macellazione degli animali e alla loro pulizia, compiti che tra l’altro spettano agli schiavi poiché agli utopici sono interdette questo tipo di attività; gli ospedali sono

41 T. MORE, op. cit. pp. 50-51. 42 Ibidem, p. 66.

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23 molto grandi, in modo che possa trovare assistenza un gran numero di pazienti e che essi non si contagino l’uno con l’altro. Tutto ciò assicura il benessere di tutti gli abitanti dell’isola e contribuisce alla loro serenità e tranquillità. More descrive anche la capitale Amaurot, posta al centro dell’isola, e nel farlo indica la presenza di fiumi e di giardini rigogliosi (la vicinanza ad un corso d’acqua e l’esistenza di giardini sono elementi che da sempre hanno caratterizzato il mito del Paradiso Terrestre o Eden, strettamente connesso al genere utopico) nonché di mura difensive estremamente efficienti:

It lies upon the side of a hill, or, rather, a rising ground. Its figure is almost square, for from the one side of it, which shoots up almost to the top of the hill, it runs down, in a descent for two miles, to the river Anider […] The inhabitants have fortified the fountain-head of this river, which springs a little without the towns […] they have great cisterns for receiving the rain-water, which supplies the want of the other. The town is compassed with a high and thick wall, in which there are many towers and forts.43

La capitale è leggermente diversa dalle altre città in quanto presenta la necessità di dover essere difesa, per cui possiede mura fortificate e fossati che la proteggono da eventuali attacchi da parte di nemici, anche se improbabili. Per il resto, anche la capitale è ordinata e organizzata in modo regolare ed estremamente efficiente, per far fronte alle necessità di acqua e cibo di tutti i suoi abitanti. Anche Bellamy, nel suo

Looking Backward descrive la nuova Boston del 2000:

At my feet lay a great city. Miles of broad streets, shaded by trees and lined with fine buildings, for the most part not in continuous blocks but set in larger or smaller inclosures, stretched in every direction. Every quarter contained large open squares filled with trees, among which statues glistened and fountains flashed in the late afternoon sun. Public buildings of a colossal size and an architectural grandeur unparalleled in my day raised their stately piles on every side. […] That blue ribbon winding away to the sunset, was it not the sinuous Charles?44

43 Ibidem, pp. 53-54.

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24 L’autore descrive l’ambiente cittadino come un agglomerato di edifici disposti in modo regolare ed ordinato, alcuni di grandezza colossale e di grande bellezza architettonica, alternati a piazze, spazi verdi e fontane; anche in questo caso poi un fiume, il Charles, è presente all’interno della città.

Abbiamo già sottolineato come il genere distopico presenti una società estremamente negativa, che per certi versi può essere considerata come l’opposto dell’utopia. In realtà, a livello letterario, il passaggio dall’utopia alla distopia è avvenuto in modo naturale nel corso dei secoli XIX e XX; dopo il fallimento delle utopie novecentesche e il massiccio sviluppo dell’industrializzazione, della scienza e della tecnologia, la letteratura ha iniziato ad interessarsi a queste nuove caratteristiche della società moderna, esprimendo idee e soprattutto paure relative ad essa.

Una delle caratteristiche pregnanti del genere è la presenza di un ambiente oppressivo e di un governo totalitario e tentacolare, che riesce a controllare, come anche a dirigere, la vita delle persone. Uno dei primi esempi di romanzi di questo genere è sicuramente Lord of the World di R. H. Benson, del 1907, in cui la propaganda viene attuata dal regime attraverso telegrafi senza fili – che riescono a trasmettere solo messaggi di testo – e con giornali e cartelloni affissi sui muri delle città. La propaganda è quindi limitata, soprattutto per quanto riguarda le immagini, che invece saranno lo strumento principale dei regimi totalitari dopo l’avvento della televisione e quindi della pubblicità. In 1984 di George Orwell, lo strumento principe di propaganda e di controllo dei cittadini è proprio la pubblicità. Nel testo Orwell ci mostra un mondo tripartito – a seguito della guerra nucleare che ha sconvolto il pianeta, pochi anni dopo la seconda guerra mondiale – in Oceania (che comprende i paesi anglofoni e la parte meridionale dell’Africa), Eurasia (costituita da Europa e Russia) ed Eastasia (Cina, Mongolia, Giappone, India e Birmania). Questa divisione ricalca sostanzialmente quella presente nel romanzo di Benson, in cui il mondo era diviso in: European

Confederation (Europa e colonie dell’Africa), Eastern Empire (principalmente Cina e

Giappone) e American Republic (nord, centro e sud America). Il romanzo di Orwell è ambientato a Londra, in cui l’IngSoc, ovvero il partito unico al potere, amministra la società e tiene sotto controllo tutti i cittadini: ogni ambito della vita umana è sorvegliato dal partito attraverso schermi dotati di telecamere, installati per legge

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25 all’interno di ogni abitazione o edificio pubblico, con cui il Big Brother può controllare i membri della società, annullando di fatto ogni possibile forma di privacy, e nel contempo attuare propaganda per il regime. Il Big Brother, presente ovunque sui teleschermi e sui manifesti, viene descritto con connotati che molto ricordano Hitler e Stalin:

the face of Big Brother, black-haired, black-moustachio'd, full of power and mysterious calm, and so vast that it almost filled up the screen.45

Il regime lotta assiduamente contro il pensiero eterodosso. Tutti devono credere a ciò che afferma il partito, nonostante cambi spesso versione, anche nei documenti ufficiali, per adattarla di volta in volta ai suoi interessi. Qual è quindi la verità? Nella società descritta da Orwell è solo quella che l’IngSoc suggerisce:

But where did that knowledge exist? Only in his own consciousness, which in any case must soon be annihilated. And if all others accepted the lie which the Party imposed - if all records told the same tale - then the lie passed into history and became truth. 'Who controls the past,' ran the Party slogan, 'controls the future: who controls the present controls the past.' And yet the past, though of its nature alterable, never had been altered. Whatever was true now was true from everlasting to everlasting. It was quite simple. All that was needed was an unending series of victories over your own memory. 'Reality control', they called it: in Newspeak, 'doublethink'.46

In 1984 è persino vietato tenere un diario poiché, non essendo controllabile e aggiornabile dal partito, risulterebbe pericoloso per la verità, o almeno per quella che il regime pretende che sia considerata come tale. Inoltre, per controllare meglio i cittadini e riconoscerli immediatamente, tutti sono obbligati a vestire una tuta azzurra numerata. Stessa identica cosa avviene nell’altra grande opera di Orwell, Animal

Farm, in cui i sette comandamenti alla base della società degli animali con il tempo

vengono modificati e adattati alle nuove esigenze, a mano a mano che la classe dirigente, quella dei maiali, cambia e si antropomorfizza. Il comandamento “no animal

45 G. ORWELL, 1984, New York, Harcourt Brace & Company, 1949, p. 15. 46 Ibidem, p. 29.

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26 shall sleep in a bed”, ad esempio, diventa “no animal shall sleep in a bed with sheets”, oppure “no animal shall drink alcohol” si trasforma in “no animal shall drink alcohol to excess”. In 1984 la società è divisa in tre classi sociali: i membri del partito interno, ovvero il ceto sociale più elevato; quelli del partito esterno, ceto costituito da tutti i funzionari e burocrati del regime, che svolgono il loro lavoro all’interno dei quattro ministeri (ministry of peace, ministry of plenty, ministry of love e ministry of truth); infine i prolet, ovvero la classe lavoratrice. Anche in Brave New World di Huxley ci troviamo di fronte ad una società formatasi a seguito di una guerra mondiale, stavolta avvenuta negli anni ’40 del Novecento. Anche in questo caso le persone sono obbligate a vestire in un certo modo, la popolazione è divisa in caste e ad ognuna è stato assegnato un colore ben preciso che non può essere cambiato. Altro esempio di controllo della società attraverso l’uso di specifici capi di abbigliamento lo possiamo trovare in The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood. Nel romanzo le maids, ovvero le uniche donne rimaste fertili, devono obbligatoriamente mettere il proprio corpo al servizio dei commanders, uomini appartenenti al ceto più alto della società, al fine di fornire loro un erede. Queste donne devono indossare sempre mantelli rossi e copricapi bianchi, in modo da essere distinte dalle legittime mogli, che indossano sempre il blu, o dalle marthas (cuoche e serve), che vestono invece di verde. Anche in The Sleeper

Awakes di H. G. Wells, gli appartenenti alla classe lavoratrice indossano abiti di colori

diversi in base alla funzione che devono svolgere. Le persone sono quindi private della loro individualità, appartengono ad una casta da cui non possono uscire e devono indossare vestiti di un determinato colore per essere immediatamente riconoscibili dalla società. La divisione in classi sociali ben definite è un elemento che caratterizza anche A Modern Utopia di Wells, in cui, su un pianeta identico in tutto e per tutto al nostro, vivono delle persone che sono copie esatte di quelle presenti sul nostro pianeta; queste persone sono distinte in cinque strati sociali: i poietics, persone creative e caratterizzate da una spiccata inventiva; i kinetics, i dulls e i bases, la classe sociale più bassa; infine i samurai, che costituiscono la classe sociale che governa la società.

The Children of Men di P. D. James mette in scena la società inglese del 2021 in cui

spicca la classe sociale degli Omegas, ovvero i nati dopo il 1994, anno in cui sono nati gli ultimi bambini del mondo, dopodiché la razza umana è diventata completamente

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27 sterile. Non più in grado di riprodursi, le persone hanno iniziato a trattare i cuccioli dei propri animali domestici come dei figli: gli animali diventano dei veri e propri surrogati di bambini, con tanto di vestitini da neonato, carrozzine e vere e proprie cerimonie di battesimo. Gli Omegas emigrati in Inghilterra, chiamati sojourners, vengono invece sfruttati come lavoratori fino al compimento dei sessant’anni, dopodiché vengono fatti forzatamente espatriare. Sessant’anni è il limite massimo di età anche per gli altri, che attraverso la cerimonia del quietus, un suicidio di massa imposto attraverso l’annegamento, vengono eliminati. Tornando a Brave New World, il condizionamento mentale della popolazione si fa ancora più sottile perché non sono le persone ad essere manipolate ma gli embrioni stessi. La società è divisa in classi sociali denominate Alpha, Beta, Gamma, Delta, Epsilon, ognuna delle quali ha precise caratteristiche e un determinato destino, che gli è stato attribuito prima della nascita:

“We also predestine and condition. We decant our babies as socialized human beings, as Alphas or Epsilons, as future sewage workers or future.” He was going to say “future World controllers,” but correcting himself, said “future Directors of Hatcheries,” instead. […] “Heat conditioning,” said Mr. Foster. Hot tunnels alternated with cool tunnels. […] “We condition them to thrive on heat,” concluded Mr. Foster. “Our colleagues upstairs will teach them to love it.” “And that,” put in the Director sententiously, “that is the secret of happiness and virtue-liking what you’ve got to do. All conditioning aims at that: making people like their unescapable social destiny.”47

Le persone vengono di fatto “progettate” nei laboratori al fine di creare una popolazione che sia efficiente, che le classi sociali siano ben distinte e che soprattutto ognuno sia felice di svolgere il proprio lavoro senza lamentarsi. Quelle che solitamente vengono chiamate tendenze naturali e aspirazioni di un soggetto sono di fatto annullate dalla progettazione precedente la nascita. In questa società ognuno ha un destino sociale precostituito, deciso dal regime e non mutabile. Inoltre, il condizionamento continua anche durante il corso della vita con la somministrazione della soma, una droga euforizzante ma priva di effetti collaterali, che viene assunta al bisogno sotto

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28 forma di tavolette oppure aggiunta alle bevande o ancora, spruzzata nell’aria come aerosol. La soma serve a rendere le persone più felici e tranquille e viene descritta come la soluzione ad ogni problema: “there is always soma, delicious soma, half a gramme for a half-holiday, a gramme for a week-end, two grammes for a trip to the gorgeous East, three for a dark eternity on the moon”.48

La droga è quindi un altro elemento che caratterizza la letteratura distopica; nella trilogia MaddAddam di M. Atwood, la droga viene utilizzata, miscelata ad alcol, all’interno dei night club, per tenere buoni i clienti. Una droga molto potente poi, il BlyssPluss, che promette esperienze sessuali mai provate prima e protezione completa da malattie sessualmente trasmissibili, sarà la causa della quasi estinzione della razza umana. In The Shockwave Rider di J. Brunner molti cittadini fanno uso di tranquillanti per arginare l’overload che spesso li colpisce e che consiste sostanzialmente in un sovraccarico di informazioni nella mente delle persone. Anche il protagonista, Nick, fa uso di tranquillanti di tanto in tanto. Anche in Fahrenheit 451 di Bradbury la droga costituisce una parte importante della vita dei protagonisti. In particolar modo Mildred, la moglie del protagonista, ne fa un uso massiccio, tanto da arrivare a rischiare di morire per overdose. In questo caso la droga non è fornita dallo stato come nel testo di Huxley, ma non ne viene neppure scoraggiato l’uso; serve alla popolazione per evadere da una vita vuota e priva di senso; aiuta a non pensare alla propria esistenza, stessa funzione che viene svolta anche dalla tv. Mildred, infatti, passa le sue giornate a guardare le sue serie tv preferite, senza preoccuparsi minimamente di ciò che accade fuori dalla sua casa.

Di fatto, il controllo mentale pre e post-nascita, assieme alla tecnologia e allo sviluppo del conformismo, porta, nel testo di Huxley così come in molti altri afferenti allo stesso genere letterario, ad una disumanizzazione generalizzata; gli uomini si vedono privati, anche se inconsapevolmente, delle caratteristiche che li definiscono come tali: il libero pensiero, le attitudini naturali, persino il sesso e la procreazione sono regolamentate e decise dai regimi totalitari. L’uso di contraccettivi e la procreazione in vitro divengono spesso la norma imposta e la popolazione viene

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