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Gilles Clément, Breve trattato sull'arte involontaria. Testi, disegni e fotografie.

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Spedizione in abbonamento postale / 70% Direzione commerciale imprese - Napoli

maggio 2020

numero 168

ISSN 0030-3305

Napoli: architettura internazionale anni ’70

- Telelavoro - Design quotidiano al tempo

della vulnerabilità diffusa - L’Opificio

Ber-tozzi & Casoni: estetica, concetto e

sa-pienza fabbrile - Tra il sacro e l’espositivo

Cucinare e consumare: la cucinacasa

-Quando i Giganti cadono.

Fenomenolo-gia della Memoria - Libri, riviste e mostre

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rivista quadrimestrale di selezione della critica d’arte contemporanea

Direttore: Renato De Fusco

Comitato scientifico Comitato redazionale

Philippe Daverio Roberta Amirante Kenneth Frampton Pasquale Belfiore Vittorio Gregotti Alessandro Castagnaro Juan Miguel Hernández León Imma Forino Aldo Masullo Francesca Rinaldi

Vanni Pasca Livio Sacchi

Franco Purini Alberto Terminio Joseph Rykwert Segretaria di redazione

Emma Labruna

Website e digitalizzazione

Ermes Multimedia digital design per la cultura

Concept: Renato Piccirillo

Sviluppo: Riccardo Marotta, Valeria Pazzanese

Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2

info: +39 081 7690783 - fax: +39 081 7705654

e-mail: rendefus@unina.it - elabruna@unina.it

Amministrazione: 80128 Napoli, Via B. Cavallino, 35/G

info: +39 081 5595114 - +39 081 5597681

e-mail: info@graficaelettronica.it

Abbonamento annuale: Italia e 50,00 - Estero e 70,00

Un fascicolo separato: Italia e 18,00 - Estero e 25,00

Un fascicolo arretrato: Italia e 20,00 - Estero e 27,00 Grafica Elettronica

All’indirizzo www.opcit.it è disponibile l’intera collezione della rivista dal numero 1 del settembre 1964 ad oggi

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turandosi in nuove forme di senso­ rialità, più tattili, più emozionali.

Partendo da grandi personalità come Karim Rashid o ancora Marcel Wanders ed il caso Moooi e citando l’iconismo teatrale provocatorio di Fabio Novembre, gli autori affronta-no il nuovo modo di interpretare l’antica diade artificio-natura, il neo-organicismo frattale, nonché la na-scita di un nuovo binomio: design-scienza. Ancora indagano sulle ricer-che portate avanti dai cd. designer enigmisti, miranti alla conquista di una nuova estetica industriale e sul fenomeno della globalizzazione.

Quest’ultima, generatrice a sua volta di tendenze discordanti, da un lato spinge verso la riscoperta delle tradizioni locali in termini di auto-produzione e neo-artigianalità, dal-l’altro induce al potenziamento del-la propria immagine attraverso pro-cessi di marketing e branding. A tal proposito fondamentale l’apporto del l’e-commerce che, oltre ad aprire nuovi canali di vendita e distribuzio-ne, rende il designer imprenditore di se stesso, esplicativo tra tutti il caso di Tom Dixon. Il capitolo termina con un approfondimento sul ruolo, tutt’oggi in espansione, del narrati-ve design nonché del social design.

Interessante, infine, cogliere il metodo adottato dagli autori anche confrontandolo con opere analoghe. Si notano così le differenze con il Di-zionario del design italiano, pubbli-cato nel 1995 da Anty Pansera e la Storia del design di Renato De Fusco del 1985, giunta ormai alla tredicesi-ma edizione del 2010 con Laterza. Nel primo caso, il tema è affrontato seguendo l’ordine alfabetico di desi-gner, opere e tendenze, il tutto crono-logicamente ordinato. Nel secondo, nonostante il titolo, non si tratta una vera e propria storia del design, bensì una sua fenomenologia che muove

da un punto di riferimento, espresso nella teoria del quadrifoglio, da un artificio storiografico o un tipo idea-le, secondo la lettura di De Fusco.

Le due grandi innovazioni nel vo-lume di Dardi e Pasca interessano aspetti differenti. Da un lato, infatti, risaltano le loro Mappature contem-poranee, dall’altro, l’artificio narrati-vo del box tramite il quale ogni sezio-ne è affidata ad un argomento della fenomenologia del design quale ad esempio il profilo di un designer, l’e-sposizione di una tendenza e/o l’esa-me di un singolo oggetto. L’estrema utilità dell’opera, in un’epoca in cui si è abituati a recepire informazioni sintetiche ed istantaneamente tramite i diversi dispositivi elettronici, a svantaggio di una lineare e corretta sequenzialità degli eventi, la rende indispensabile ad ogni livello di in-formazione sul design; anche, in par-ticolar modo, nei tanti corsi universi-tari orientati alla disciplina.

Una piccola nota critica: così co-me è stata affrontata la trattazione dell’Identità giapponese sarebbe sta-to utile, per il letsta-tore, in un momensta-to di multiculturalità ed eterogeneità, avere un quadro sul l’o rien tamento assunto dai paesi emergenti come la Cina e l’India in merito a tali prodot-ti. Una digressione sul mondo orien-tale più profonda in un racconto, tendenzialmente, western-oriented.

F. F.

Gilles Clément, Breve trattato sul-l’arte involontaria. Testi, disegni e fotografie, Quodlibet, Roma 2019. Il cambiamento della nostra per-cezione del mondo naturale, il suo significato, la relazione con l’artifi-ciale e gli interrogativi sul destino dell’ambiente che ci circonda sono

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temi che attraversano oggi numero-se opere di artisti così come di archi-tetti, offrendo molteplici prospettive di riflessione. Se pensiamo alle di-rompenti opere di Land Art, che hanno cambiato l’approccio dell’a-zione architettonico-artistica e la sua posizione rispetto al paesaggio o alle immagini e ai lavori presenti nelle più recenti esposizioni interna-zionali – quali ad esempio la celebre Broken Nature. Design takes on hu-man survival (Triennale di Milano, 2019) –, che pongono inquietanti interrogativi sulle nostre responsa-bilità di essere umani rispetto ai non umani e all’ambiente, sembra che mai come nella contemporaneità siamo portati a riconsiderare in mo-do urgente e necessario il nostro rapporto con la natura e a fermare il nostro sguardo sul paesaggio. Re-centemente Klaus Littmann, ripren-dendo come spunto per la sua instal-lazione For Forest (Klagenfurt, 2019) un disegno di Max Peintner (The Unending Attraction of Nature, 1970-1971), ha ricoperto l’intera su-perficie del campo da calcio di uno stadio con un bosco di circa trecento alberi, lasciando agli spettatori il compito di osservare in silenzio questa monumentale opera, una sor-ta di memoriale del paesaggio con l’aspetto di una foresta ricreata ad arte in una situazione distopica, alienante e potentemente evocativa.

La recente riflessione di Gilles Clément sull’arte involontaria, pub-blicata nella forma di breve trattato edito da Quodlibet, si muove intor-no a simili tematiche, dove si me-scolano l’opera antropica e quella ambientale, lo sguardo critico del-l’uomo e l’ineluttabilità imprevedi-bile degli eventi atmosferici. Proce-de tuttavia in direzione opposta ri-spetto all’opera di Littmann e ci in-dica un’altra via per avvicinarci al

paesaggio, alla sua fragilità: la via della leggerezza.

Il libro è la traduzione in italiano di un saggio del 1997 (Traité succint de l’art involontaire) e costituisce innanzitutto un piccolo manifesto poetico, una sorta di raccolta intima di esperienze che a un primo sguar-do si avvicina sia alle esperienze fotografiche di alcuni autori del No-vecento, come ad esempio Luigi Ghirri, che hanno posto al centro della loro estetica la condizione marginale dei territori, sia alla mate-ria dell’informe delle sperimenta-zioni artistiche emerse a seguito del-le teorizzazioni di George Bataildel-le. Il piccolo formato e la struttura age-vole del volume, nel quale si alter-nano fotografie, brevi testi e schizzi tratteggiati in nero che sembrano appena affiorare dal fondo bianco dominante della pagina, fa pensare anche a un taccuino di viaggio che Clément ha completato negli anni e successivamente organizzato in otto sezioni − Voli, Accumuli, Isole, Co-struzioni, Erosioni, Installazioni, Tracce − grazie a un lavoro di sot-trazione e limatura, piuttosto che di aggiunta e densificazione.

Come chiarisce subito l’autore, la sua ricerca rifugge l’arte degli ar­

tisti e sorvola su quella parte di ar­ chitettura che spetta agli architet­ ti. Le combinazioni impreviste e

surreali di situazioni o di oggetti

organizzati conformemente alle regole d’armonia dettate dal caso,

che appaiono immediatamente dalle prime immagini de La signora ar-rugginita a Perth (Australia) e di un Barile nel fiume Aigue Blanche a Saint-Véran (Francia), costituiscono un chiaro invito a cercare l’arte lì dove normalmente non si trova, lon-tana dai musei e dalle esposizioni. Sin dall’inizio del libro Clément ci conduce a interrogare con curiosità

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opere poco considerate, perché

non premeditate, con uno sguardo

inedito guidato da una consapevo-lezza etica, prima che estetica, orientato verso un paesaggio insta-bile colto nella sua condizione mu-tevole di processo, anziché di scena-rio permanente e immobile.

Il tema del movimento si declina, in seguito, nella molteplicità di luo-ghi fotografati (Australia, Egitto, Madagascar, Namibia, Nuova Ze-landa, solo per citarne alcuni), nel-l’evoluzione degli oggetti (teli e sac-chetti di plastica fluttuanti, riflessi cangianti su superfici riflettenti, ap-parizioni subitanee di oggetti in luo-ghi inaspettati, ecc.) e nella meta-morfosi incessante di tutti gli ele-menti ambientali che li modificano, dove la parola stessa ambiēnte, par-ticipio presente di ambīre (andare intorno, circondare), evoca una si-tuazione di azione sinestetica e di moto. Il vento che anima le foglie degli alberi, il suono del fiume o il trasmutare di essenze tra un giardi-no e l’altro in una sorta di vagabon-daggio naturale o, se vogliamo, di auto-determinazione informale sono tematiche chiaramente rintracciabili e ampiamente sviluppate da Clé-ment nel testo del celebre Le Jardin en mouvement, de la Vallée au parc André-Citroën (1994), ma che in questo ultimo saggio conservano l’immediatezza di un’intuizione e di un sentire ancora non teorizzati: si ha qui piuttosto l’impressione di ac-compagnare l’autore in un viaggio alla ricerca dell’origine di un’idea.

I capitoli dei Voli e Accumuli de-finiscono ambiti assolutamente alea-tori, soprattutto perché contengono il più inafferrabile degli attori, il vento. In queste categorie si possono annoverare tutte le materie amorfe,

le sostanze di diversa granulome­ tria, la cui tendenza è quella di de­

fluire, come fanno la sabbia e l’ac­ qua. Gli esempi citati sono

testimo-nianze di momenti vissuti: La Risaia a Bali, Il campo da golf nel quartiere residenziale Mouille-Point (in Suda-frica) o Le Ouvèze (Vaison-la-Ro-maine), dove frammenti di teloni orticoli abbandonati dalla piena del fiume creano un effetto di «land-ar-tizzazione temporaneo», permetten-do infine alla città di ammirare gli scarti dei suoi rifiuti arenati e dispo-sti sulle rive come antichi ornamenti. Il capitolo Isole inquadra una con-dizione transitoria tra solido e liqui-do, che parla di emergenze isolate

che drammatizzano un carattere privato della loro natura, mentre i

brevi paragrafi su Il veld a Khorixas in Namibia, sul File ad Assuan in Egitto, su La duna a Tinfou in Ma-rocco testimoniano gli incontri im-provvisi con un elemento estrema-mente diverso rispetto al suo conte-sto e il sentimento di meraviglia che questo incontro crea nel l’osservatore.

Le Costruzioni ed Erosioni consi-derano esiti di azioni del lavoro dell’uomo sul territorio che sfuggono a una decisione e a un disegno pre-ventivi, ma sono piuttosto frutto di risposte dettate dall’urgenza e della gestione di una necessità improvvisa. Si ricordano gli esempi de Il bordo della strada verso lo Yuanmingyuan a nord di Pechino o La staccionata a Huonville (Tasmania), dove l’appa-rente solida e rigorosa disposizione degli elementi di una recinzione si trasforma, una volta soggetta al logo-rio del tempo, in una nuova composi-zione di forme deboli e usurate, pro-ducendo una sensazione di metabo-lizzazione ambientale che il tratto sempre più evanescente dello schizzo di Clément rappresenta con incredi-bile efficacia. Allo stesso modo l’e-sempio di Un Battello a Leticia in Colombia e del Porto di Montréal in

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Canada propongono gli effetti dell’e-rosione e della sua azione potentissi-ma di cambiamento del paesaggio.

Come nel caso de Le Jardin planétaire (1997), Clément si con-centra su manifestazioni a piccola scala per veicolare la comprensione di fenomeni che agiscono su dimen-sioni ben più ampie, dato che per il

paesaggio, l’erosione è rilievo, mo­ tore di un sistema in costante evo­ luzione, [mentre] per la città, l’ero­ sione costituisce rovina. D’altra

parte Clément, che si auto-definisce «giardiniere», nelle sue descrizioni lascia intravvedere una consapevo-lezza mai superficiale delle realtà che descrive e, oltre ai suoi selezio-nati oggetti d’arte involontaria, in-quadra precisamente con poche fra-si l’ambiente e le vaste dinamiche in cui essi si collocano.

Le Installazioni considerano ope-re che hanno un esito simile a quello dell’oggetto d’arte, ma ottenuto at-traverso elementi puntuali posti nel-lo spazio. L’Orice cassonetto in Na-mibia o La griglia di Wilpena in Australia sono forme modeste e osti-nate, nate da residui di installazioni dell’uomo. Le Tracce si collocano in un ambito definito tra desiderio e ca-so: ospitano tutte quelle arti involon-tarie che non trovano posto altrove [e che] finiscono sempre per scom­

parire, ma inscrivono la propria storia in quella, più generale, del­ l’evoluzione. In questa categoria

trovano spazio oggetti modificati dal tempo: ad esempio Il totem di Sandy Bay a Città del Capo o Le corde da legatrice a Creuse.

L’ultimo capitolo, Apparizioni, illustra una fragile commistione tra

forme e colori che, nel tempo di una foto, trasforma le componenti dello spazio in un quadro effime­ ro, come una raccolta di argilla nel

Letto del fiume Swakop in Namibia

o la coincidenza di texture tra la ca-micia di un passeggero e la poltrona dove si siede nella foto scattata nel Treno ad alta velocità, prima classe, Parigi-Marsiglia.

Il saggio di Clément, infine, la-scia emergere alcune questioni piut-tosto rilevanti, rispetto alle quali è inevitabile oggi prendere posizione e che sono state sviluppate anche nel suo Manifeste du Tiers-paysage (2004). Nell’indicarci la bellezza casuale che si realizza in spazi dove sono condizioni necessarie l’assen-za di autore, di un progetto o di una committenza e, in generale, si verifi-ca la manverifi-canza di una compiuta ge-stione esterna da parte dell’uomo, risulta inevitabile interrogare la no-stra smania interventista, la sogget-tività e il pensiero progettuale tota-lizzante. Clément con questo saggio sembra suggerire la possibilità di dare avvio a processi e pratiche che limitino il nostro fare ad alcuni ac-curati passaggi e simultaneamente accrescano la nostra conoscenza de-gli elementi naturali, per lasciare infine che questi agiscano ed evol-vano insieme, seguendo le banali

tappe della fabbricazione di un paesaggio. In uno scenario meno

antropocentrico, dove il senso di ogni azione umana è ridimensionato e privato della carica soggettiva, ma si dilata nel tempo ibridandosi con una serie di contingenze ambientali e casuali e dove chi progetta o dise-gna deve diventare meno artefice e più spettatore, rimane comunque la centralità assoluta del pensiero crea-tivo dell’uomo. Proprio a questo pensiero, che nasce da uno sguardo, Clé ment dedica la sua ricerca, poi-ché – scrive – è nello sguardo che si

costruisce il paesaggio, ed è nella memoria che ha la sua dimora.

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