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SVILUPPO DI DANNO EPATICO ACUTO DURANTE O DOPO LA TERAPIA CON GLUCOCORTICOIDI PER VIE ENDOVENOSA NEI PAZIENTI CON OFTALMOPATIA BASEDOWIANA: STUDIO EPIDEMIOLOGICO SU UN'AMPIA CASISTICA

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INDICE

Riassunto

pag. 2

Introduzione

pag. 4

Scopo della tesi

pag. 10

Pazienti e metodi

pag. 10

Risultati

pag. 13

Discussione

pag. 16

Bibliografia

pag. 20

Figure e tabelle

pag. 25

Legenda delle figure

pag. 29

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Riassunto

La terapia con glucocorticoidi (GC) ad alte dosi per via endovenosa (ev), introdotta per il trattamento dell’Oftalmopatia Basedowiana (OB) nel 1987, ha sostituito progressivamente la via di somministrazione orale in molto Centri di riferimento. Infatti, diversi studi hanno dimostrato una maggiore efficacia dei GCev rispetto ai GC per via orale, così come una minore prevalenza di effetti collaterali comuni. Tuttavia, nel corso del tempo sono stati riportati alcuni casi di danno epatico acuto (DEA), alcuni dei quali fatali, durante o dopo il trattamento con GCev. Queste osservazioni hanno sollevato dubbi sulla sicurezza di questa terapia, per cui, nel nostro Centro, sono state adottate alcune misure preventive, tra cui un’accurata valutazione epatologica prima del trattamento, la riduzione della dose, del numero e della frequenza di somministrazioni di GCev, e, per prevenire il cosiddetto rebound del sistema immunitario (uno dei possibili meccanismi di DEA), l’introduzione della terapia con GC per via orale dopo la terapia ev, ed eventualmente durante la terapia ev nei pazienti con positività per autoanticorpi associati all’epatite autoimmune.

Lo scopo del presente studio prospettico era di valutare la presenza di DEA in 376 pazienti consecutivi con OB candidati alla terapia con GCev tra il 2008 e il 2012. Di questi, 23 venivano esclusi per steatosi epatica grave (11 pazienti), cirrosi (un paziente), epatite virale cronica attiva (7 pazienti), o per controindicazioni non epatologiche (3 pazienti). Nei restanti 353 pazienti trattati con GCev venivano misurati gli enzimi epatici ogni due settimane fino a 3 mesi dopo il completamento della terapia, e poi una volta al mese fino a 6 mesi dal termine della terapia. Il DEA , definito dalla presenza di valori sierici di ALT ≥300 U/L, veniva osservato in quattro pazienti, per una morbilità complessiva dell’1,1 %. In un caso gli enzimi epatici rientravano nella norma spontaneamente e, in tre casi di sospetta epatite autoimmune, dopo terapia con GC per via orale. In nessun caso venivano rilevati segni di insufficienza epatica, sia dal punto di vista clinico che biochimico ed i pazienti erano

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completamente asintomatici. Presumibilmente a causa della bassa frequenza di DEA, non era possibile stabilire la presenza di eventuali fattori di rischio per lo sviluppo di DEA.

Considerato che prima del 2008 la frequenza stimata di DEA fatale era di circa lo 0.4%, concludevamo che, presumibilmente grazie alle nuove misure di prevenzione adottate, la mortalità per DEA si era ridotta, e più in generale, che utilizzando misure di prevenzione idonee, i GCev sono un trattamento relativamente sicuro per quanto riguarda il fegato.

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Introduzione

L’oftalmopatia basedowiana (OB) è la principale manifestazione extratiroidea delle tireopatie autoimmuni. E’ comunemente associata alla malattia di Graves-Basedow [Morbo di Basedow (MB)], raramente alla tiroidite cronica autoimmune, a ancora più raramente non è associata a tireopatie clinicamente evidenti (Euthyroid Graves’ Ophthalmopathy) (1). Tuttavia anche nella Euthyroid Graves’ Ophthalmopathy sono presenti quasi invariabilmente alterazioni tiroidee subcliniche, in particolare la positività degli autoanticorpi anti-tiroide (1).

Cenni sull’OB

Epidemiologia

L’OB ha un picco di incidenza tra i 30 e i 50 anni e colpisce con maggiore frequenza il sesso femminile, con un rapporto femmine/maschi di 3:1 (1, 2). I sintomi e i segni clinici dell’OB sono presenti in circa il 50% dei pazienti con MB (1-3). Nel 15% dei casi l’OB precede l’insorgenza dell’ipertiroidismo; il 40% dei soggetti sviluppa l’OB contemporaneamente all’ipertiroidismo. Il 45% dei soggetti che sono eutiroidei al momento della diagnosi di OB, sviluppa ipertiroidismo nei 18 mesi successivi (1). Un’oftalmopatia clinicamente rilevante è presente nel 25% dei soggetti affetti da Morbo di Basedow. Nella maggioranza dei casi l’OB è di grado lieve e non necessita di terapie maggiori (3). Tuttavia, nel 2-5% dei casi il quadro clinico è rilevante per cui sono necessarie terapie di tipo medico, radiante o chirurgico (3).

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Patogenesi

Nonostante gli sforzi di molti ricercatori, la patogenesi della OB non è ancora completamente nota, anche se la maggioranza degli autori concorda sul fatto che verosimilmente si tratti di una sindrome autoimmune (1, 2, 4, 5). Ciò è stato avvalorato da evidenze cliniche, istopatologiche e sierologiche, quali l’associazione con l’autoimmunità tiroidea, la presenza di una infiltrazione linfocitaria nei tessuti orbitari e la buona risposta ai trattamenti immunosoppressivi con glucocorticoidi (3, 4, 6). Tuttavia, la natura dell’antigene(i) responsabile(i) rimane ancora sconosciuta e i meccanismi molecolari che conducono ai cambiamenti istologici dei tessuti orbitari sono stati spiegati solo in parte (4, 7). Tra le varie ipotesi avanzate nel corso degli anni, quella maggiormente accreditata prevede che antigeni espressi costitutivamente dalle cellule epiteliali della tiroide e dai tessuti orbitari siano il bersaglio del sistema immunitario (1, 2, 4, 5). Il principale antigene candidato è il recettore dell’ormone tireotropo (TSH) (1, 2, 4, 5). Secondo un’altra ipotesi, antigeni tiroidei solubili, in particolare la tireoglobulina (Tg), raggiungerebbero i tessuti orbitari, divenendo in tale sede il bersaglio di una reazione autoimmune (8-10).

Anatomia Patologica

Nell’OB si osserva un aumento del volume del tessuto connettivo retroorbitario e dei muscoli extraoculari per diverse ragioni, tra cui i) l’infiltrato infiammatorio in sede retroorbitaria da parte di cellule mononucleate, soprattutto linfociti T; ii) l’edema infiammatorio e la tumefazione dei muscoli extraoculari; iii) l’accumulo di componenti della matrice extracellulare, in particolare di glicosaminoglicani idrofili (GAG) come l’acido ialuronico e il condroitin solfato, prodotti dai fibroblasti orbitari; e iv) l’aumentato numero di adipociti (infiltrazione grassa) (2, 11). Nelle fasi tardive della malattia è in genere presente fibrosi.

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L’ispessimento del grasso orbitario e dei muscoli è responsabile della proptosi (protrusione dei bulbi oculari) (1, 2, 4). Inoltre, l’ispessimento dei muscoli extraoculari può determinare limitazione della loro motilità, con conseguente strabismo e diplopia. In casi particolarmente gravi, l’ispessimento dei ventri muscolari e del grasso orbitario può determinare la compressione del nervo ottico con conseguenze funzionali di grado variabile.

Principali manifestazioni cliniche

Le manifestazioni cliniche della OB riflettono le alterazioni anatomo-patologiche dei tessuti orbitari (1, 2, 4). L’interessamento degli occhi può essere mono- o bilaterale; più frequentemente vengono colpiti entrambi gli occhi, a volte in tempi diversi.

I sintomi e i segni principali sono: i) esoftalmo (anche definito proptosi); ii) riduzione della motilità oculare; iii) diplopia; e iv) retrazione palpebrale con possibile lagoftalmo (incompleta chiusura delle palpebre), che può essere responsabile dell’insorgenza di ulcere corneali. Sono presenti inoltre numerose manifestazioni infiammatorie, quali i) dolore; ii) edema palpebrale e periorbitario; iii) edema congiuntivale (chemosi); iv) edema della caruncola; e v) iperemia palpebrale. L’attività della malattia viene definita mediante un punteggio denominato Clinical Activity Score (CAS), che si riferisce esclusivamente alle manifestazioni infiammatorie (12). Nei casi più gravi può essere presente compressione dei nervi ottici con conseguente comparsa di alterazioni varie dell’acuità visiva fino alla completa cecità.

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Storia naturale

Come riportato sopra, l’OB può precedere l’ipertiroidismo del MB, seguirlo o insorgere contemporaneamente ad esso (13). In circa l’85% dei casi il tempo che intercorre tra l’esordio dell’OB e quello dell’ipertiroidismo non è superiore a 12 mesi (2). Nel corso del tempo l’OB presenta un andamento particolare che prevede una suddivisione in tre fasi: i) una fase iniziale di progressione e attività, caratterizzata dalla presenza di segni e sintomi infiammatori; ii) una fase intermedia di relativa stabilità; e iii) una fase tardiva in cui la sindrome tende a migliorare spontaneamente per poi mantenersi stabile nel tempo, verosimilmente a causa della fibrosi dei tessuti orbitari (14).

Terapia

Nell’OB i trattamenti aggressivi sono necessari solo nel 3-5% dei casi (forme gravi) (3). La terapia è per lo più medica, a base di glucocorticoidi (GC) ad alte dosi somministrati per via endovenosa (GCev) ad intervalli settimanali, fino ad arrivare ad una dose cumulativa di 4-8 g di metilprednisolone. L’associazione degli steroidi con la radioterapia esterna orbitaria (RT) consente di ottenere risultati migliori rispetto ai singoli trattamenti (15-17). Nei casi particolarmente gravi, soprattutto in presenza di neuropatia ottica e mancata risposta al trattamento medico e/o radiante, è indicata la terapia chirurgica [orbitotomia decompressiva (OTD)]. La OTD viene comunque utilizzata anche a scopo riabilitativo/estetico (18). Spesso, quando la OB è ormai inattiva, sono necessari interventi di chirurgia muscolare per correggere l’eventuale diplopia residua e/o di chirurgia palpebrale per correggere la retrazione palpebrale (19). Nelle forme lievi è in genere sufficiente la terapia locale con lubrificanti oculari e, in caso di lagoftalmo, il bendaggio oculare notturno (3). Inoltre, in uno studio recente multicentrico randomizzato, il selenio si è dimostrato efficace del determinare un miglioramento dell’OB di grado lieve (20).

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Terapia corticosteroidea e danno epatico acuto

La terapia con glucocorticoidi (GC) ad alte dosi, per via endovenosa (ev) è stata introdotta per il trattamento dell’oftalmopatia Basedowiana (OB) nel 1987 (21), diventando molto popolare e, almeno in alcuni Centri, sostituendo la via di somministrazione orale di GC (22, 23). Diversi studi hanno dimostrato una maggiore efficacia dei GCev rispetto ai GC per via orale, così come una minore prevalenza di effetti collaterali comuni, quali lo sviluppo di ipertensione, diabete, sindrome di Cushing iatrogena, infezioni delle vie urinarie, gastriti e disturbi psichici (22, 23). Tuttavia, a differenza della terapia orale, il trattamento con GCev è stato complicato da alcuni casi di danno epatico acuto (DEA), alcuni dei quali letali (24-29). Infatti, dopo l’osservazione due casi di DEA letale in pazienti con malattie autoimmuni (eritematosus lupus sistemico e dermatomiosite) (30), nel 2000 Weissel e Hauff riportavano un caso di insufficienza epatica acuta in una donna con OB durante GCev, il cui esito era la morte della paziente (24). Nel 2004 venivano osservati nel nostro Centro 7 casi di DEA, tre dei quali letali (25), ed alcuni altri casi di DEA non letali sono venivano riportati successivamente nel nostro ed in altri Centri (26-29).

Possibili meccanismi patogenetici del DEA associato a terapia con GC ev.

Le ipotesi patogenetiche sullo sviluppo del DEA durante o dopo la terapia con GCev sono fondamentalmente tre: i) epatite tossica, dovuta ad un danno diretto dell’epatocita da parte dei GC, con comparsa delle alterazioni isto-patologiche definite come “steatoepatite” (25, 30-31); ii) epatite virale, favorita dall’immunosoppressione indotta dai GC, specie in pazienti con precedente esposizione al virus epatotropi (25); e iii) epatite autoimmune, dovuta alla riattivazione del sistema immunitario al termine della terapia con GC ev dopo la

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immunosoppressione da essi indotta, con una presumibile maggiore frequenza in soggetti predisposti (32-34).

Dopo i casi iniziali di DEA, nel nostro come in altri Centri sono state introdotte una serie di misure volte a prevenire questo effetto collaterale, ovvero: i) riduzione della dose GC; ii) modificazione del protocollo terapeutico con una sola somministrazione settimanale anzichè due o tre; iii) esecuzione di una ecografia epatica di routine prima della terapia con GCev ed esclusione dei pazienti con grave steatosi epatica, condizione che potrebbe favorire un effetto tossico diretto del GC (30, 31); iv) somministrazione di GC orale dopo GCev, per evitare il

rebound del sistema immunitario; v) dosaggio degli autoanticorpi noti per essere associati

con l’epatite autoimmune (32-34); vi) somministrazione di GC per via orale durante la terapia con GCev, in pazienti in cui questi anticorpi risultavano positivi; vii) esclusione dei pazienti con epatite virale B o C attiva o con cirrosi.

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Scopo della tesi

L’obiettivo di questo studio era di valutare prospetticamente la frequenza di DEA in un’ampia popolazione di pazienti con OB sottoposti a terapia con GC ev, al fine di determinare la sicurezza di questo trattamento dopo l'introduzione delle misure di prevenzione di cui sopra. L’obiettivo secondario dello studio era l’identificazione di eventuali fattori di rischio per lo sviluppo di DEA.

Pazienti e metodi

Pazienti e valutazione pre GCev

Il disegno dello studio prevedeva la valutazione di tutti pazienti consecutivi candidati alla terapia con GCev per un periodo di 5 anni. Pertanto, dal 1 ° gennaio 2008 al 31 dicembre 2012 venivano inclusi nello studio 376 pazienti (103 maschi, 273 femmine, di età media 51,1 ± 11,6 anni, range: 17-79 anni.) con OB di grado moderato-grave, attiva, come definito sulla base ai criteri proposti dallo European Group On Graves Orbitopathy (EUGOGO) (35), candidati al trattamento con GCev ad alte dosi.

Circa due settimane prima del trattamento tutti i pazienti venivano sottoposti ai seguenti accertamenti: i) esami ematochimici di routine, tra cui, colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL, trigliceridi, aspartato (AST) e alanina (ALT) aminotransferasi, fosfatasi alcalina (ALP ), gamma-glutamil transferasi (GT), bilirubina totale e diretta; ii) esami di funzionalità tiroidea, tra cui FT3 e TSH; iii) marcatori sierici di esposizione al virus dell'epatite B (HBV) e C (HCV); iv) autoanticorpi noti per essere associati con l’epatite autoimmune (32-34), ovvero anticorpi anti-nucleo (ANA), anticorpi anti-mitocondrio (AMA), anticorpi anti-centromero (ACA), anticorpi microsomi epatici e renali (LKM), e anticorpi anti-muscolo liscio (ASMA); e v) ecografia epatica.

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Schemi di trattamento con GC ev e follow-up

Per le ragioni di seguito riportate, degli iniziali 376 pazienti candidati alla terapia con GCev, 23 non venivano sottoposti al trattamento. Pertanto, il numero totale di pazienti trattati con GCev era di 353 (94 maschi, 259 femmine, di età media 50,8 ± 11,5 anni, range: 17-79 anni.). Lo schema di trattamento prevedeva 12 infusioni settimanali di metilprednisolone acetato (MPA), alla dose di 15 mg / kg di peso corporeo per le prime 4 infusioni e di 7,5 mg / kg di peso corporeo per le ultime 8 infusioni; 24 pazienti ricevevano il trattamento due volte per la persistenza o recidiva di GO di grado moderato-grave, attiva.

A partire dal giorno dopo l'ultima infusione di MPA, tutti i pazienti venivano trattati con prednisone (P) per via orale, a partire da una dose di 40 mg a giorni alterni, con riduzione della dose ogni 10 giorni fino alla sospensione dopo 50 giorni di trattamento. I pazienti che presentavano positività per gli autoanticorpi nonorganospecifici venivano trattati con prednisone per via orale, alla dose di 40 mg al giorno, a partire dal giorno successivo alla terza infusione di MPA, al fine di prevenire il rebound del sistema immunitario. Questo trattamento veniva continuato fino alla fine della terapia con GCev, dopo di che veniva avviato lo stesso protocollo di trattamento con prednisone per via orale utilizzato per gli altri pazienti.

Tutti i pazienti venivano sottoposti a misurazione di AST, ALT, ALP, GGT, bilirubina totale e diretta ogni due settimane durante la terapia con GCev, così come ogni due settimane dopo il termine della terapia con GCev per 3 mesi, e successivamente una volta al mese fino a 6 mesi dopo la fine del trattamento.

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Obiettivi dello studio

L’obiettivo primario dello studio era di valutare la frequenza di un danno epatico clinicamente rilevante, definita come un aumento di ALT ≥ 300 U/l (36-38). Veniva considerata l’ALT, invece che l’AST, poichè espressione più affidabile di un danno epatico specifico, mentre l’AST può essere facilmente aumentata in condizioni come malattie cardiache o muscolari (36 -38).

L’obiettivo secondario dello studio era l’identificazione di eventuali fattori di rischio per lo sviluppo di danno epatico tra le seguenti variabili: sesso; età; dose cumulativa di MPA; stato tiroideo prima dei GCev; obesità (indice di massa corporea ≥ 30) prima dei GCev; indice di massa corporea pre GCev; malattie epatiche precedenti il trattamento di qualsiasi tipo; precedente esposizione a HBV o HCV; presenza di autoanticorpi non organo specifici; somministrazione di prednisone per via orale durante GCev; steatosi epatica pre GCev (all’ecografia dell’addome); diabete pre GCev; ipertensione pre GCev; dislipidemia pre GCev; colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL e trigliceridi pre GCev

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Risultati

Come accennato in precedenza, dei 376 pazienti candidati ala terapia con GCev, 23 non venivano sottoposti al trattamento. Undici di questi 23 pazienti avevano una grave steatosi epatica, valutata mediante l’ecografia epatica, e venivano quindi considerati a rischio di sviluppare una steatoepatite da GC (10, 11, 16). Uno veniva escluso a causa di una cirrosi alcool-correlata, che avrebbe potuto essere peggiorata dalla terapia con GCev. Sette pazienti venivano esclusi perché avevano una epatite virale cronica attiva, 4 HBV- e 3 HCV-correlata, che sarebbe potuta peggiorare a causa dell’immunosoppressione indotta dalla terapia con GCev. Infine, 3 pazienti venivano esclusi a causa di una ipertensione arteriosa scarsamente controllata ed uno a causa di una concomitante infezione da Herpes Zooster

I rimanenti 353 pazienti venivano trattati con GCev, di cui 343 completavano il trattamento, che veniva invece interrotto in 10 pazienti. In 6 casi il trattamento veniva interrotto per i seguenti motivi: ictus cerebrale (un paziente), ipertensione arteriosa (due pazienti), embolia polmonare (un paziente), gastrite (un paziente), neurite ottica con necessità di decompressione orbitaria (un paziente). In due pazienti la terapia con GCev veniva interrotta per lo sviluppo di DEA (ALT ≥ 300 U / l) e in due pazienti per un aumento degli enzimi epatici non sufficiente a soddisfare i criteri di DEA (valori di ALT <300 U/l). La dose cumulativa del MPA era 7,5 ± 1,2 gr., con un range da a 3,8-13,3 gr.

Compessivamente venivano rilevati 4 casi di DEA, per una morbilità del 1.1%. Le caratteristiche di questi pazienti sono riportate nelle Tabelle 1 e 2. In due casi il DEA si verificava durante la terapia con GCev, che, come sopra riportato, veniva interrotta; in due casi il DEA veniva osservato poco dopo il termine della terapia con GCev. Tutti i pazienti con DEA erano asintomatici. Uno di questi 4 pazienti presentava dati indicativi di una pregressa esposizione ad HBV, tuttavia senza segni di epatite attiva. Tutti i pazienti presentavano una steatosi lieve all’ecografia epatica. In un caso (LP), gli enzimi epatici

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rientravano spontaneamente nella norma ed il paziente era e restava completamente asintomatico (Tabella 1 e 2, fig. 1a). Nei restanti tre pazienti veniva sospettata una epatite autoimmune, per cui i pazienti venivano trattati con GC per via orale (Tabella 1 e 2, fig. 1b-d). In due di questi tre pazienti (Tabella 1 e 2, Fig. 1b e c), prima dell’inizio dei GCev, era stata riscontratata la positività degli ASMA e degli ANA, motivo per il quale era stata iniziata la terapia con prednisone per via orale a partire dal giorno successivo alla terza infusione di MPA. Dopo l’osservazione del DEA, che avveniva poco dopo l’inizio della terapia con predisone, tanto i GCev quanto il prednisone venivano sospesi. L’ulteriore incremento dell’ALT dopo la sospensione dei GC, unitamente alla positività degli anticorpi nonorganospecifici, poneva il sospetto di epatite autoimmune. Pertanto, pur in assenza di un riscontro bioptico certo che potesse suffragare tale sospetto, veniva stabilito di reintrodurre la terapia con GC per via orale, per ristabilire un qualche grado di immunosoppressione. Tale procedura veniva in effetti seguita da una riduzione, fino alla normalizzazione, degli enzimi epatici (Tabella 2, fig. 1b-c). Nel terzo paziente (Tabella 1 e 2, Fig. 1d), il DEA veniva osservato dopo la fine dei GCev, durante la terapia con prednisone per via orale. A causa della comparsa di DEA subito dopo la riduzione della dose di prednisone, veniva sospettata un’epatite autoimmune nonostante la negatività degli autoanticorpi nonorganospecifici e la mancanza di un riscontro bioptico (Tabella 1). Pertanto, venivano sommistrate dosi più elevate di prednisone per via orale, con successiva riduzione, fino alla normalizzazione degli enzimi epatici come nei due pazienti precedenti (Tabella 2, fig. 1d)

Come riportato sopra, in altri due pazienti si verificava un lieve aumento dell’ALT durante la terapia con GCev e per questo motivo la terapia con GCev veniva arbitrariamente interrotta, benchè l'aumento dell’ALT non fosse sufficiente a soddisfare i criteri di DEA. Il picco di ALT più alto rilevato in questi due pazienti era infatti di 145 U/l. In tutti e due questi casi gli enzimi epatici tornavano spontaneamente entro il range di normalità. Naturalmente

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non è possibile stabilire se l’eventuale proseguimento della terapia con GC ev avrebbe potuto determinare un peggioramente della situazione e la comparsa di un DEA vero e proprio.

Presumibilmente a causa della bassissima frequenza di DEA, non era possibile stabilire una relazione statisticamente significativa tra DEA e il sesso, l'età, la dose di MPA, lo stato tiroideo, l’obesità, l’IMC, le malattie epatiche precedenti, l'esposizione a HBV o HCV, gli autoanticorpi nonorganspecifici, la somministrazione di prednisone durante e dopo GCev, la steatosi epatica, il diabete, l'ipertensione, l’iperlipemia, il colesterolo ed i trigliceridi.

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Discussione

L'osservazione di alcuni casi di DEA durante o dopo la terapia con GCev in pazienti con OB aveva sollevato dubbi sulla sicurezza di questo tipo di trattamento (4-8). Si tratta ovviamente di un problema importante, considerato che i GC in generale, e più recentemente i GCev, sono una delle modalità di trattamento più comunemente impiegate per l’OB moderata-grave e attiva (2, 3). A partire dal 2008, al fine di prevenire il DEA, nel nostro Centro sono state arbitrariamente messe in atto alcune misure preventive. Lo scopo del presente studio prospettico era di determinare la frequenza del DEA dopo l'introduzione di tali misure preventive in una grande serie di pazienti con OB consecutivi candidati alla terapia con GCev reclutati in un periodo di 5 anni.

Venivano complessivamente osservati 4/353 casi di DEA, per una morbilità dello 1,1%. In passato (25), avevamo osservato 7 casi di DEA in circa 800 pazienti trattati con GCev, nei quali tuttavia non erano stati eseguiti sistematicamente gli esami di funzionalità epatica durante e dopo la terapia staroidea. Pertanto, non è possibile confrontare la morbilità di questo studio con la nostra casistica precedente. Tuttavia, mentre nella nostra casistica precedente veniva rilevata una mortalità dovuta al DEA di circa lo 0,4% (~14% considerando solo i pazienti con DEA) (25), nel presente studio non veniva registrato alcun decesso per DEA. Pertanto, possiamo concludere che le misure di prevenzione utilizzate si associavano quanto meno ad una riduzione della mortalità per DEA.

Nel presente studio la terapia con GCev veniva sospesa in due pazienti per aumento delle transaminasi non sufficinte a soddisfare i criteri del DEA. In entrambi i casi il quadro tornava nella norma spontaneamente. Naturalmente non è possibile escludere che se la terapia con GCev fosse stata continuata si sarebbe riscontrato un DEA verio e proprio secondo i criteri adottati. In ogni caso, anche se questo fosse accaduto, la frequenza di DEA sarebbe aumentata solo di poco, ovvero fino all’ 1,7%.

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L'effetto tossico diretto dei GC sugli epatociti, probabilmente dose-dipendente, potrebbe essere in qualche modo favorito da una pre-esistente steatosi epatica (30-32). Pertanto, tra gli accertamenti eseguiti in previsione del trattamento con GCev, era stata introdotta l’ecografia epatica, sulla base della quale venivano esclusi 11 pazienti con steatosi grave. Venivano inoltre esclusi un paziente con cirrosi epatica e 7 pazienti con epatite virale attiva, condizioni che avrebbero potuto peggiorare a causa del trattamento con GC. Ovviamente non è possibile stabilire se l’esclusione di questi pazienti abbia avuto un impatto sulla frequenza del DEA poichè non sarebbe stato eticamente accettabile somministrare i GCev ai pazienti esclusi, benchè non sia mai stato dimostrato che questi rappresentino dei fattori di rischio certi per lo sviluppo di DEA.

In base all’ipotesi secondo cui il DEA potrebbe essere determinato da un effetto tossico diretto dei GC, la sua insorgenza dovrebbe essere dose-dipendente, motivo per cui, dopo l’osservazione dei primi casi di DEA, erano state ridotte le dosi di MPA, il numero e la frequenza delle somministrazioni. In una recente indagine tra i membri dell'EUGOGO (28), così come in una recente meta-analisi (23), non venivano osservati eventi avversi fatali, tra cui il DEA, in pazienti con OB sottoposti a GCev quando le dosi cumulative di MPA erano inferiori a 8 gr. Nel presente studio solo 24 pazienti venivano trattati con dosi superiori a 8 gr, ed erano tutti stati trattati due volte (il secondo trattamento ad almeno un anno dal primo) per la persistenza o recidiva di OB di grado moderato-grave, attiva. Le dosi cumulative in questi pazienti variavano da 8,5 a 13,3 gr e dei quattro casi di DEA osservati, uno (Fig. 1d) apparteneva a questo piccolo sottogruppo (dose cumulativa di MPA 12,5 gr) e peraltro era uno dei tre pazienti in cui era stato sospettata una epatite autoimmune. Pertanto, in accordo con i dati della letteratura (23-28), le nostre osservazioni sembra confermare che l’impiego di una dose cumulativa di MPA inferiore agli 8 gr. prevenga la mortalità per DEA.

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immunitario dopo la soppressione indotta dai GC. In letteratura sono stati descritti almeno due casi di DEA di origine autoimmune in pazienti con OB (26, 27), entrambi trattati con GC per via orale al fine di ristabilire un qualche grado di immunosoppressione, con succesiva remissione del DEA. Anche i nostri 3 pazienti con sospetto diagnostico di epatite autoimmune venivano trattati con GC per via orale, con remissione del quadro e ritorno delle transaminasi entro i limiti della norma. In questi pazienti il sospetto di epatite autoimmune era basato sulla presenza di autoanticorpi nonorganospecifici in due casi, e sul peggioramento del DEA dopo riduzione della dose di prednisone per os nel terzo. Naturalmente, in assenza di un riscontro bioptico, non possiamo essere certi della diagnosi di epatite autoimmune, anche se la risposta alla terapia con prednisone per via orale sembra confermarla. Al fine di prevedere e possibilmente prevenire il rischio di epatite autoimmune, in tutti pazienti di questo studio, prima del trattamento, venivano dosati gli autoanticorpi nonorganospecifici correlati con l’epatite autoimmune (32-34), e, a tutti i pazienti venivano somministrati GC per via orale dopo il termine della terapia ev per evitare il rebound del sistema immunitario. Inoltre, i pazienti che presentavano la positività degli autoanticorpi nonorganspecifici venivano trattati con GC per via orale anche durante la terapia ev. La positività degli anticorpi nonorganospecifici veniva riscontratata in 83 pazienti (23.5%), di cui, come riportato sopra, due (2.4%) presentavano un DEA. Benchè non vi fosse una differenza statisticamente significativa tra pazienti con o senza autoanticorpi nonorganospecifici, la frequenza di DEA sembra essere doppia nei primi e sono evidentemente necessari ulteriori studi su casistiche più ampie volti a stabilire se gli anticorpi nonorganospecifici rappresentino un fattore di rischio certo. Naturalmente non è possibile stabilire se la somministrazione di GC per os durante e/o dopo la terapia ev sia stata efficace nel prevenire la comparsa di DEA in un numero maggiore di pazienti, anche se, la riduzione della mortalità per DEA rispetto alla nostra casistica precedente (25) potrebbe indicarlo.

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Sulla base dei nostri risultati è possibile concludere che i GCev siano un trattamento relativamente sicuro per il fegato e che può essere somministrato ai pazienti con OB dopo un'accurata selezione e con la messa in atto di una serie di misure preventive che si sono rivelate efficaci nel ridurre la mortalità per DEA e possibilmente anche la morbilità. Come illustrato nella Fig. 2, prima del trattamento consigliamo di effettuare una ecografia del fegato e di escludere i pazienti con steatosi grave, così come quelli con cirrosi o epatite virale attiva. Consigliamo inoltre di effettuare un dosaggio degli anticorpi nonorganospecifici e di somministrare GC per via orale durante il trattamento ev nei pazienti in cui tali anticorpi sono dosabili, e/o dopo trattamento ev in tutti i pazienti, allo scopo di prevenire il rebound del sistema immunitario. Infine, consigliamo di usare dosi cumulative di MPA inferiori a 8 gr. e di monitorare i pazienti rigorosamente durante e dopo GCev per valutare prontamente, e possibilmente curare il DEA con GC per os nei casi di epatite autoimmune.

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(25)

Tabelle e Figure

Tabella 1.

Caratteristiche generali, condizioni associate ed esami ematochimici nei 4 pazienti con oftalmopatia basedowiana (OB) che sviluppavano un danno epatico acuto (DEA) surante o dopo la terapia con glucocorticoidi per via endovenosa.

ID Sesso Età (aa) Stato tiroideo Ipertensione Arteriosa Diabete mellito

Dislipidemia IMC Steatosi

epatica

Ab NOS HV

L.P. Maschio 61 Eu No No No 27 Si Nessuno HBV‡

A.R. Femmina 78 Eu Si Si Si 19 Si ASMA* 1:80 Nessuno

M.R. Femmina 53 Eu No No Si 19 Si

ANA**

1:320

Nessuno

G.M. Maschio 46 Eu No No Si 24 Si Nessuno Nessuno

Eu: eutiroidismo

IMC: indice di massa corporea

NOS Ab: autoanticorpi non organospecifici HV: positività per virus epatotropi

*ASMA: autoanticorpi anti muscolo liscio. **ANA: autoanticorpi anti nucleo.

‡HBV: Virus dell’epatite B. Questo paziente presentava una epatite HBV non attiva al momento della somministrazione di GCev (negatività dell’HBV-DNA) e durante tutto il periodo della somministrazione di GCev.

(26)

Tabella 2.

caratteristiche della terapia con glucocorticoidi (GC) endovena (ev) e dei dati epatologici in quattro pazienti con danno epatico acuto (DEA)

ID Dose di MPA* (gr) GC per via orale dopo GCev GC per via orale durante GCev Diagnosi (settimane) Durata DEA (settimane) ALT† al picco (U/l) Terapia del DEA Esito Dopo l’inizio di GCev Dopo la fine di GCev L.P. 8 Si No 13 1 14,3 357 Nessuna Remissione A.R. 6.35 Si Si 8.2 - 11.3 490 Sospensione GCev e per os,

poi GC per os

Remissione

M.R. 3.82 Si Si 6.3 - 20 325

Sospensione GCev e per os,

poi GC per os

Remissione

G.M‡ 12.5 Si No 14 2.3 13.4 415 GC per os Remissione

*MPA: metilprednisolone acetato.

† ALT: alanina aminotransferasi

‡ Paziente G.M. veniva trattato in due tempi con somministrazioni di GCev a distanza di circa 1 anno una dall’altra.

(27)

Figura 1

0 100 200 300 400 500 600 0 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 31 Patient ID: LP Time (weeks) A L T (U /L ) Start MPA P* 40 gr End MPA P* 30 gr P* 20 gr Stop P* 0 100 200 300 400 500 600 0 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 31 Patient ID: MG Time (weeks) A L T (U /L ) Start MPA P* 40 gr End MPA P* 40 gr P* 30 gr P* 20 gr P* 10 gr P* 50 gr P* 30 gr P* 20 gr P* 10 gr Stop P* 0 100 200 300 400 500 600 0 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 31 Patient ID: AR Time (weeks) A L T (U /L ) Start MPA P* 40 gr Stop MPA and P* P* 40 gr P* 30 gr P* 20 gr P* 10 gr P* 5 gr Stop P* 0 100 200 300 400 500 600 0 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 31 Patient ID: MR Time (weeks) A L T (U /L ) Start MPA P* 40 gr Stop ivGC and P* P* 40 gr P* 30 gr P* 20 gr P* 10 gr P* 5 gr Stop P*

(28)

Pazienti candidati per GCev Ecografia addome NOS Ab Screening HBV HCV Steatosi grave Cirrosi Non Steatosi Grave GCev Indosabili Dosabili GC per os durante GCev Non epatite attiva Epatite attiva No GCev o GCev con terapia antivirale No GCev NoGC per os durante GCev GCev

Figura 2

(29)

Legenda delle figure

Figure 1. Andamento della alanina aminostransferasi (ALT) sierica in quattro pazienti con danno epatico acuto (DEA) durante o dopo la terapia con metilprednisolone acetato (MPA) per via endovenosa (ev). P: prednisone

Figure 2. Misure preventive consigliate per prevenire il danno epatico acuto in pazienti candidati alla terapia con glucocorticoidi per via endovenosa (GCev) ad alte dosi. NOS AB: autoanticorpi nonorganspecifici

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