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ITALIANO Valutazione del ruolo svolto da geni sovraespressi nel mesotelioma tramite tecniche di RNA interference INGLESE Evaluation of up regulated genes in mesothelioma through RNA interference technique

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(1)

DIPARTIMENTO

DI

BIOLOGIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

BIOLOGIA MOLECOLARE E CELLULARE

TESI DI LAUREA

VALUTAZIONE DEL RUOLO SVOLTO

DA GENI SOVRAESPRESSI NEL

MESOTELIOMA TRAMITE

RNA INTERFERENCE

RELATORE

CANDIDATO

prof. Stefano Landi

Giovanni Giangreco

23 Luglio 2014

(2)

I

RIASSUNTO

Introduzione: Il mesotelioma pleurico maligno (MPM) è un raro carcinoma della pleura estremamente aggressivo. L’MPM è ritenuto un tumore occupazionale in quanto è stata ampiamente dimostrata la sua correlazione con l’esposizione all’asbesto. Tale neoplasia presenta una lunga fase di latenza, risulta difficilmente diagnosticabile in fase precoce ed è estremamente resistente ai classici trattamenti terapeutici. Per questo motivo cresce l’interesse per l’individuazione di biomarcatori diagnostici e prognostici.

Lavoro precedentemente svolto: La presente ricerca fa parte di un progetto più ampio il cui scopo è quello di individuare geni differenzialmente espressi tra tessuti di mesotelio sano e patologico. A tal proposito è stata effettuata sia una ricerca bibliografica mirante a raccogliere tutti i lavori di analisi trascrittomica sull’MPM, sia un Data Mining (DM) attraverso programmi bioinformatici. Tra i 931 geni candidati emersi, solo 119 si presentavano deregolati in almeno due studi e rientravano nell’analisi del DM, a denotare una bassa riproducibilità tra differenti lavori. Per questo è stata intrapresa una validazione sperimentale dei 119 geni tramite Real-Time RT-PCR in una serie indipendente di casi e controlli. I geni risultati positivi sono stati ulteriormente validati in 2 linee cellulari di MPM.

Scopo della tesi: Lo scopo della tesi è di studiare se 3 geni precedentemente identificati (CFB, CCNO e THBS2) svolgano un effettivo ruolo nella cancerogenesi dell’MPM.

Materiali e metodi: Sono stati condotti esperimenti di RNA interference su 5 linee cellulari di MPM ed una di mesotelio. Successivamente è stato valutato il fenotipo delle linee cellulari in termini di livelli di espressione dei trascritti e delle proteine (Real Time RT-PCR e Western Blot), apoptosi (Saggio dell’attività caspasica), invasività (Wound Healing Assay), capacità proliferativa (Saggio dell’SRB) e capacità di formare colonie (Colony Formation Assay).

Risultati: CFB sembra non corrispondere al gene guida della malignità delle linee cellulari di questa neoplasia e la sua sovraespressione potrebbe dunque essere definita un epifenomeno. CCNO sembra fungere da oncosoppressore in una linea cellulare di MPM ed una sua deplezione potrebbe in alcuni sotto-modelli tumorali causare un aumento della proliferazione e della capacità di formare colonie. Infine THBS2 sembra svolgere un ruolo importante nella sopravvivenza ed aggressione tumorale, aumentando l’apoptosi in una linea cellulare di MPM e diminuendo la proliferazione in un’altra. Conclusioni: Il lavoro ha confermato l’estrema eterogeneità dell’MPM, la quale rende difficile identificare marcatori specifici e sensibili con alte percentuali che valgano in maniera universale. Di grande interesse il ruolo di THBS2, il quale merita di essere ulteriormente investigato sia dal punto di vista biologico sia come marcatore diagnostico e/o terapeutico.

(3)

II

ABSTRACT

Introduction: Malignant Pleural Mesothelioma (MPM) is an uncommon cancer of the pleural surface. MPM is considered an occupational cancer, as it has been demonstrated a strong correlation with asbestos exposure. This tumor is characterized by: long latency period between first exposure and the occurrence of the neoplasia; hard early diagnosis; aggressive phenotype, resistant to classical therapeutic drugs. For this reasons the interest to search new diagnostic and prognostic markers is increasing.

Previous works already done: This work lies within a larger project with the aim of identifying genes differentially expressed between healthy and pathological mesothelium. In this regard a literature research was carried out, to identify studies on MPM trascriptomic analysis; it was also performed a Data Mining (DM) through the use of bioinformatic software programs. Overall 931 genes resulted deregulated in MPM, but only 119 of them were deregulated in at least 2 different publications and inserted in DM list, confirming a low reproducibility between different studies. For this reason an experimentally validation of the 119 genes was performed through Real Time RT-PCR in a case-control study. The genes resulted up-regulated, in a statistically significant way, were further analyzed in 2 different MPM cell lines.

Aim of the thesis: The purpose of this degree thesis is to investigate whether 3 genes previously identified (CFB, CCNO and THBS2) could play a role in the cancerogenesis of MPM.

Materials and methods: The expression of CFB, CCNO and THBS2 was investigated in a panel of 5 MPM cell lines and one normal mesothelial cell line, at mRNA and protein levels. Following transient transfections, a series of functional studies were performed. In particular the sulphorhodamine assay to assess cell proliferation, the Caspase luminescence assay to evaluate the apoptosis, and the Colony Formation Assay to investigate on the ability to form colonies. Finally, an in vitro cell migration assay was performed.

Results: As regards the silencing of CFB we did not observe any significant phenotypic changes. CCNO depletion caused an increased proliferation rate and greater colony formation capacity of a cancer cell line, showing a possible tumor suppressor role in some subsets of MPM. Finally transient THBS2-silencing caused decreased proliferation rate and reduced colony formation capacity in a cell line and triggered a marked increase in apoptosis in an other cell line.

Conclusions: These results highlight the extreme heterogeneity of MPM and suggest further investigation of THBS2 both from the biological standpoint and as a putative tumor marker.

(4)

III

INDICE

RIASSUNTO pag. I

ABSTRACT pag. II

INDICE pag. III

CAPITOLO I. INTRODUZIONE pag. 1

1.1 Mesotelio pag. 1

1.2 Mesotelioma Pleurico Maligno pag. 2

1.2.1 Fattori eziologici pag. 3

1.2.1.1 Asbesto pag. 3

1.2.1.2 Erionite pag. 8

1.2.1.3 Predisposizione genetica pag. 8

1.2.1.4 SV40 pag. 9

1.2.1.5 Radiazioni ionizzanti pag. 10

1.2.1.6 Fibre artificiali e nanotubi di carbonio pag. 10

1.2.2 Epidemiologia dell’MPM pag. 12

1.2.3 Basi molecolari dell’MPM pag. 15

1.2.3.1 Mutazioni somatiche pag. 15

1.2.3.2 Altri pathway deregolati pag. 19

1.2.4 Marcatori dell’MPM pag. 20

1.3 Introduzione al progetto di tesi pag. 23

CAPITOLO II. SCOPO DELLA TESI pag. 25

CAPITOLO III. MATERIALI E METODI pag. 26

3.1 Linee cellulari pag. 26

3.2 Analisi espressione genica pag. 26

3.2.1 Estrazione RNA da cellule pag. 26

3.2.2 Quantificazione RNA pag. 27

3.2.3 Sintesi cDNA pag. 28

3.2.4 Real Time RT-PCR pag. 28

3.3 Analisi espressione proteica pag. 31

(5)

IV

3.2.2 Quantificazione proteine pag. 31

3.2.3 Western Blot pag. 32

3.4 Trasfezioni e saggi funzionali pag. 33

3.4.1 Prodotti chimici pag. 33

3.4.2 Trasfezioni siRNA pag. 33

3.4.3 Saggio apoptotico pag. 34

3.4.4 Wound Healing Assay pag. 35

3.4.5 Saggio della Sulforodamina B (SRB) pag. 36

3.4.6 Colony Formation Assay pag. 36

3.5 Analisi statistica pag. 37

CAPITOLO IV. RISULTATI pag. 38

4.1 Prove di trasfettabilità pag. 38

4.2 Silenziamento di Complement Factor B (CFB) pag. 41

4.2.1 Espressione endogena di CFB pag. 42

4.2.2 Valutazione dell’espressione genica e proteica di CFB pag. 43 dopo silenziamento genico

4.2.3 Saggio apoptotico pag. 44

4.2.4 Wound Healing Assay pag. 44

4.2.5 Saggio della Sulforodamina B (SRB) pag. 45

4.2.6 Colony Formation Assay pag. 45

4.2.7 Riassunto risultati CFB pag. 46

4.3 Silenziamento di Cyclin O (CCNO) pag. 46

4.3.1 Espressione endogena di CCNO pag. 46

4.3.2 Valutazione dell’espressione genica e proteica di CCNO pag. 48 dopo silenziamento genico

4.3.3 Saggio apoptotico pag. 49

4.3.4 Wound Healing Assay pag. 50

4.3.5 Saggio della Sulforodamina B (SRB) pag. 52

4.3.6 Colony Formation Assay pag. 52

4.3.7 Riassunto risultati CCNO pag. 54

(6)

V

4.4.1 Espressione endogena di THBS2 pag. 54

4.4.2 Valutazione dell’espressione genica e proteica di THBS2 pag. 55 dopo silenziamento genico

4.4.3 Saggio apoptotico pag. 56

4.4.4 Wound Healing Assay pag. 57

4.5.5 Saggio della Sulforodamina B (SRB) pag. 58

4.4.6 Colony Formation Assay pag. 59

4.4.7 Riassunto risultati THBS2 pag. 60

CAPITOLO V. DISCUSSIONE pag. 61

CAPITOLO VI. CONCLUSIONI pag. 68

RINGRAZIAMENTI pag. 69

(7)

1

I. INTRODUZIONE

1.1 Mesotelio

Il mesotelio è una membrana di origine mesodermica il cui ruolo principale è ricoprire alcuni organi interni dai quali ne deriva il nome:

• Pericardio, la membrana sierosa che riveste il cuore;

• Pleura, la membrana sierosa che riveste il polmone;

• Peritoneo, la membrana sierosa che riveste l’addome ed è in continuità con la vaginale del testicolo nello scroto per i maschi, mentre per le femmine è in continuità con il perimetrio che circonda l’utero.

La pleura è composta da un foglietto viscerale ed uno parietale (fig. 1) che creano uno spazio di circa 1 mm (la cavità pleurica) contenente il liquido pleurico necessario per il loro scorrimento in modo da garantire un’agevole dilatazione e contrazione dei polmoni.

Figura 1: Pleure

Dal punto di vista istologico la pleura è costituita da 2 strati: uno strato di cellule epiteliali pavimentose monostratificate, il mesotelio, ed uno strato connettivale sottostante. Può essere descritta secondo questo schema: uno strato di mesotelio viscerale in contatto con il polmone, in seguito una matrice connettivale che produce liquido pleurico nella cavità pleurica, successivamente si trova il connettivo della pleura parietale e per finire il mesotelio di quest’ultima, adeso alla gabbia toracica.

(8)

2 1.2 Mesotelioma Pleurico Maligno

Il mesotelioma pleurico maligno (MPM) è un tumore raro con una prognosi infausta [1]. L’età media di diagnosi risulta essere di circa 70 anni con una sopravvivenza di circa 9 mesi [2-3].

Esso presenta:

• Fase di inziazione e progressione molto lunga;

• Alte capacità metastatizzanti;

• Scarsa risposta alle terapie attualmente in uso.

Il paziente presenta sintomi iniziali molto aspecifici (dispnea, tosse, febbre, perdita di peso, affaticamento) [1]. Per questo motivo la diagnosi avviene generalmente dopo circa 3 - 6 mesi dalla loro comparsa [4-5]. Gli strumenti diagnostici normalmente utilizzati consistono nella tomografia computerizzata (CT), la risonanza magnetica nucleare (NMR), la fluorodeossiglucosio tomografia ad emissione di positroni (FDG-PET), la biopsia pleurica guidata da tomografia computerizzata e l’analisi citologica effettuata su liquido pleurico [6-7]. La diagnosi è spesso di difficile esecuzione dato che l’MPM presenta similarità con l’adenocarcinoma polmonare, soprattutto quando vi è infiltrazione nella pleura [4-5]. Inoltre attualmente non è ancora possibile effettuare una diagnosi precoce data l’assenza di marcatori affidabili [8].

Dal punto di vista istologico l’MPM è classificabile in 3 sottotipi: epitelioide, sarcomatoide e bifasico, ognuno dei quali è a sua volta suddivisibile in possibili sottogruppi [9].

Le caratteristiche tipiche dei principali istotipi possono essere riassunte così:

• L’epitelioide presenta cellule ovoidali, cubiche o poligonali che possono essere facilmente confondibili con cellule mesoteliali reattive non neoplastiche [10-12];

• Il sarcomatoide è solitamente costituito da cellule fusate, con tipiche immagini di cellule mitotiche, necrotiche e atipia citologica [12]. A volte possono essere trovati anche elementi derivanti da altri tessuti (osteosarcomi, rabdomiosarcomi, condrosarcomi) [10-13];

• Il bifasico presenta elementi di entrambi i sottotipi [10-12].

La frequenza dell’istotipo epitelioide si aggira tra il 60 e il 70% mentre quella del bifasico è tra il 10 e il 30%, del sarcomatoide invece intorno al 10% [3;14-16]. La sopravvivenza media ad 1 anno è del 46% per l’epitelioide, del 39% per il bifasico e del 19% per il sarcomatoide [15].

Tra le varie terapie utilizzate la chirurgia è ampiamente diffusa. La chemioterapia storicamente non ha fornito grandi risultati, ragion per cui è stata poco considerata nelle ricerche; tuttavia negli ultimi anni numerosi centri stanno affrontando trattamenti e trials clinici con l’uso di svariati farmaci in combinazione [17]. Tra essi troviamo il pemetrexed (inibitore di proteine per la sintesi del DNA), il

(9)

3 cisplatino (inibitore del ciclo cellulare essendo capace di legare in maniera aspecifica il DNA), la gemcitabina (un analogo della citosina che si incorpora nel DNA) e numerosi altri ancora [17-18]. La radioterapia non è molto utilizzata dal momento che l’MPM non è radiosensibile e che l’esposizione interesserebbe tutta la gabbia toracica con coinvolgimento di importanti organi [19-20]. Per aumentare l’efficienza dei trattamenti è quindi da tempo utilizzato il trattamento trimodale, basato sull’uso di chemioterapia, chirurgia e radioterapia, il quale ha prodotto i migliori risultati in particolare per i pazienti con istotipo epiteliale, con assenza di metastasi in linfonodi extrapleurici o con grado dal T1 al T3 – secondo il sistema di classificazione TNM universalmente condiviso dall’International Mesothelioma Interest Group (IMIG) – [4;6;17;19;21-22].

1.2.1 Fattori eziologici

La causa principale dell’MPM è l’esposizione all’asbesto [25], il cui ruolo fu definito principalmente grazie a studi epidemiologici di cui parleremo in seguito. Inoltre sono stati ipotizzati anche altri agenti come possibili cofattori nella comparsa della malattia.

1.2.1.1Asbesto

L’asbesto è un gruppo di minerali naturali silicati. Può essere suddiviso in 2 categorie: serpentini e anfiboli. Il gruppo dei serpentini a sua volta è composto principalmente dal crisotilo (noto come asbesto bianco); il gruppo degli anfiboli è invece costituito da: actinolite, grunerite (asbesto marrone), antofillite, crocidolite (asbesto blu) e tremolite [23]. Alla base di questi minerali c’è la presenza dello ione silicato (), a forma tetraedrica; a seconda di come ogni tetraedro si dispone

nello spazio ed interagisce con altri tetraedri si ottengono le varie tipologie di minerali. In particolare i serpentini hanno la forma di una lastra piatta e coordinano soprattutto ioni magnesio

(), gli anfiboli invece sono formati da una doppia catena allineata e coordinano vari cationi ( , , , , ,  ); all’interno dei due gruppi la distinzione tra le varie forme viene fatta in

base alla composizione chimica. La caratteristica principale di questi minerali silicati è la struttura filamentosa, difatti sono costituiti da un insieme di fibre flessibili molto lunghe (5 - 10 µm) e con un diametro relativamente piccolo (<1 µm) [23-24].

La forma più comune di asbesto trovata sia in natura sia in ambito industriale è il crisotile. In generale l’asbesto è rinvenibile nei sedimenti rocciosi (fig. 2) sia in forma pura sia come contaminanti di altri minerali; le forme anfiboliche di asbesto sono invece più rare sulla superficie

(10)

4 terrestre ed hanno distribuzione endemica in poche zone della Terra. L’asbesto può essere quindi naturalmente trovato nel suolo, nell’aria e nell’acqua [25].

Figura 2: Riserva naturale di amianto

Per quanto riguarda il suo potenziale cancerogenetico bisogna sottolineare che l’esposizione all’asbesto è dannosa se avviene per ingestione o inalazione, risulta invece minimo l’assorbimento se il contatto avviene epidermicamente. Il potere tossico aumenta all’aumentare della lunghezza ed al diminuire del diametro delle fibre: più sono sottili meglio penetrano e si depositano. In particolare si ritiene che fibre con diametro <1.5 µm e lunghezza >8 µm siano le più pericolose [26]. Resta poco chiaro perché l’MPM causato da asbesto colpisca la membrana parietale e non la viscerale [27]: le fibre di asbesto più strette sono capaci di entrare nel tratto respiratorio più in profondità, fino agli alveoli polmonari. A questo livello possono accumularsi e causare danno sia per la loro composizione chimica sia per l’attivazione della risposta infiammatoria [28]. La modalità mediante cui le fibre entrano nella pleura è ignota: si ipotizza che i macrofagi (incapaci di digerirle), migrando nella pleura, portino con sé l’asbesto, oppure che le fibre più strette siano capaci di passare l’epitelio ciliato polmonare senza interazione del sistema immunitario [28]. A questo punto le fibre per semplice spinta dei muscoli polmonari tendono a muoversi all’interno della cavità pleurica, rimanendo bloccate negli stomi presenti solo nella membrana parietale e quindi accumulandosi (fig. 3) [29].

(11)

5

Figura 3: PM: Meccanismo di accumulo delle fibre di asbesto alla membrana parietale (PM)

Ricerche su animali modello e studi di associazione caso controllo hanno dimostrato che tutte le forme di asbesto sono cancerogene. Questo minerale oltre ad essere capace di causare MPM, può dar vita a numerose altre patologie: asbestosi, pleuriti, placche pleuriche, versamenti pleurici, cancro al polmone, cancro del tratto gastrointestinale, cancro alla laringe [23-25].

Se l’asbesto è considerato il principale fattore eziologico per l’MPM, si sospetta che la probabilità di contrarre la malattia possa aumentare in presenza di altri fattori di rischio. Non è noto il ruolo esercitato dal fumo di sigaretta, che risulta invece un importante fattore di rischio per il tumore polmonare. Sporadiche comparse di MPM in lavoratori di fabbriche di tabacco o filtri di sigarette [30-31] lasciano presagire un’interazione con l’asbesto, sia perché le fabbriche presentavano asbesto sia perché i filtri di sigarette contenevano asbesto [32], sebbene numerosi studi abbiano escluso una correlazione statistica tra fumo ed esposizione all’asbesto [33]. Le modalità presunte tramite cui asbesto e fumo di sigarette interagiscano sono poco chiare, ma si ritiene che possa essere coinvolta la produzione di ROS da  e da reazioni di trasferimento di elettroni indipendenti da 

ed  [34].

I meccanismi tramite cui le fibre di asbesto causano la patologia restano ancora poco chiari. Sono almeno 3 le teorie principali suggerite per descrivere le modalità attraverso cui l’asbesto agisce [27] (fig. 4):

(12)

6

Figura 4: Meccanismi possibili di patogenesi dell’asbesto

1) Produzione di Radicali Liberi dell’Ossigeno (ROS)

Le Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS) sono un gruppo di molecole che si formano in seguito a reazioni redox. Il loro ruolo è oramai studiato da decenni e si sa che a basse concentrazioni costituiscono degli importanti messaggeri secondari intracellulari, ad alte concentrazioni invece risultano molto dannosi, sia a livello degli acidi nucleici che delle proteine. È ampiamente risaputo che i ROS sono tra le cause dell’invecchiamento e del cancro [35]. Le fibre di asbesto sono capaci di produrre ROS – quindi danno cellulare – tramite possibili vie alternative:

− Sulla superficie delle fibre di asbesto è presente Ferro (). Lo ione ferroso ()

in presenza di  è ossidato a ione ferrico () portando alla formazione di

uno ione idrossido () e di un radicale idrossilico (.). Quest’ultimo è un forte

agente ossidante capace di danneggiare sia le proteine, sia gli acidi grassi, sia i carboidrati, sia il DNA attraverso reazioni redox [27;36];

− I macrofagi sono cellule fagocitiche che prendono parte ai processi dell’immunità innata ed acquisita. Una delle strategie per eliminare i patogeni consiste nell’attivare una risposta ossidativa basata sulla produzione dei ROS, i quali hanno il compito di danneggiare l’agente nocivo. I macrofagi quindi sono capaci di fagocitare le fibre ma non di digerirle, producendo ROS che si accumulano e causano danno al macrofago stesso ed alle cellule circostanti [27;36].

(13)

7 I ROS potrebbero essere anche alla base dell’interazione tra asbesto e abitudine al fumo di sigaretta nell’aumentare ulteriormente il rischio cancerogenetico. Infatti, Pryor e collaboratori hanno evidenziato una relazione diretta tra numero di nick a DNA chiuso circolare ed i livelli di radicale idrossilico catalizzato da , prodotti da asbesto e da una

soluzione acquosa di catrame di sigarette [34].

2) Infiammazione e produzione di citochine e fattori di crescita

Le citochine sono piccole proteine secrete da varie tipologie di cellule – fibroblasti, cellule endoteliali, cellule del sistema immunitario – e capaci di indurre numerosi pathways (risposta immunitaria, cancro, infiammazione, migrazione); i fattori di crescita sono molecole capaci di indurre proliferazione, migrazione e differenziamento cellulare. La presenza di fibre minerali dannose che non possono essere digerite porta alla formazione di uno stato infiammatorio cronico sia tramite l’attivazione di macrofagi sia tramite necrosi cellulare. Questi processi producono un’abbondanza di citochine e fattori di crescita, in particolare TNFα, TGFβ, IL-1β e PDGF, i quali causano un aumento dell’infiammazione che a sua volta rende il microambiente favorevole alla formazione neoplastica [27;37]. Le citochine sono secrete dai macrofagi in seguito a danno cellulare o tissutale ed il loro ruolo è quindi di attivare la risposta infiammatoria permettendone la riparazione: in particolare attivano fattori di trascrizione (come NF-κB, STAT3, HIF1α) che favoriscono la risposta immunitaria inducendo l’espressione di altre citochine, chemochine e prostaglandine; inoltre richiamano anche cellule dell’immunità (neutrofili, eosinofili e macrofagi) che favoriscono l’uccisione dei patogeni e conferiscono anche stimoli proliferativi ed angiogenetici per riparare il tessuto danneggiato. Qualora le difese cellulari non riescano a riparare il danno si può andare incontro ad un’attivazione cronica dell’infiammazione che comporta una stimolazione continua dei pathway di proliferazione cellulare e angiogenetici, fondamentali per la trasformazione e progressione neoplastica [38]. Nell’MPM è stato scoperto che TNFα è capace di attivare NF-κB, il quale favorisce la sopravvivenza cellulare e inibisce la citotossicità causata dall’asbesto [39].

3) Teoria del groviglio di asbesto

Una volta che le cellule mesoteliali entrano in contatto con le fibre di asbesto, queste ultime sono capaci di entrare sia nel citoplasma sia nel nucleo. Questo può portare ad

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8 un’interferenza con la normale formazione del fuso mitotico andando ad aggrovigliarsi con i cromosomi condensati e quindi indurre aneuploidie o altri tipi di anomalie cromosomiche [36].

1.2.1.2Erionite

Oltre all’esposizione all’asbesto, anche l’esposizione ad altri tipi di fibre minerali può favorire l’insorgenza di MPM. In particolare, è stata descritta una forte associazione tra esposizione ad erionite ed MPM. L’erionite è un minerale appartenente al gruppo degli zeoliti di forma fibrosa che si forma dall’alterazione delle rocce vulcaniche. La correlazione erionite – MPM è stata scoperta in alcuni villaggi della Cappadocia, una regione della Turchia, dove questo minerale è abbondante ed è usato per costruire case [40]. Sebbene sia di forma fibrosa come l’asbesto, differentemente da esso l’erionite non causa un aumento significativo di tumori polmonari [40-42]. Le modalità attraverso cui l’erionite agisce sono ancora lontane dall’essere spiegate, comunque – similmente a quanto menzionato per l’asbesto – l’erionite stimola i pathway dell’infiammazione attivando l’inflammasoma NLRP3 (un complesso enzimatico alla base dell’infiammazione) nelle cellule mesoteliali, con conseguente rilascio di citochine e fattori di crescita (come 6, 8, VEGF, IL-1β) [43]. Si ipotizza che il blocco del recettore di IL-1 potrebbe condurre ad una diminuzione della crescita e progressione dell’MPM, come suggerito da Hillegas e collaboratori [44].

1.2.1.3Predisposizione genetica

Un altro possibile fattore (o cofattore) eziologico è la predisposizione genetica, ossia il background genetico di ogni individuo. Risberg e collaboratori già nel 1980 ipotizzarono il coinvolgimento di fattori ereditari dopo aver trovato che tutti gli elementi di una famiglia intera (padre, 3 fratelli ed una sorella) erano deceduti per MPM [45]. Ascoli e collaboratori nel 1998 scoprirono la stessa correlazione parentale con 3 sorelle ed un cugino maschio affetti da MPM [48].

Un caso molto particolare è rappresentato dai villaggi della Cappadocia dove circa il 50% delle morti avvengono per MPM. La causa di questa elevata incidenza è attribuibile alla presenza di erionite, come già descritto nel paragrafo precedente, ma con essa non è possibile spiegare la presenza di una forte familiarità riscontrata. Indagando infatti i casi di MPM familiare in 526 individui ed estendendo l’analisi per 6 generazioni, è sembrato emergere che la suscettibilità all’MPM sia trasmissibile con un pattern di ereditarietà di tipo autosomico dominante [41;46].

(15)

9 Inoltre, mutazioni ereditarie possono favorire l’insorgenza di MPM entro un quadro clinico più complesso. Nel 1998 fu scoperta la proteina BAP1 (BRCA associated protein 1), una deubiquitinasi ritenuta oncosoppressore, che risultava mutata in alcuni tumori, come il melanoma uveale e il carcinoma renale [47]. Di recente, si è sospettato che mutazioni ereditarie entro BAP1 fossero responsabili di malattie familiari dove il melanoma uveale coesisteva con l’MPM. In effetti, Testa e colleghi hanno dimostrato la presenza di queste mutazioni in due famiglie con alta incidenza di MPM. Inoltre BAP1 è stato anche trovato mutato somaticamente in alcuni pazienti affetti da MPM [48].

1.2.1.4SV40

Tra gli altri fattori eziologici che sono stati sospettati causare l’MPM (o esserne concausa) si annovera l’infezione da simian virus 40 (SV40), un virus a DNA (fig. 5).

Figura 5: SV40

Si ritiene che gran parte dei programmi di vaccinazione contro la poliomelite utilizzando il metodo Salk (Poliovirus inattivati) o Sabin (virus attenuati), tra il 1954 e il 1978, prodotti a partire da colture cellulari primarie di rene del Macaco Rhesus fossero contaminati da SV40 che è poi risultato anche oncogeneco per l’uomo [49-50]. L’alto potere oncogeno del SV40 è conferito da due 2 proteine: il piccolo antigene (tag) ed il grande antigene (TAG). È stato ampiamento dimostrato che TAG è capace di bloccare p53 e Rb, due fondamentali oncosoppressori cellulari. Uno studio condotto su pazienti egiziani affetti da MPM ha mostrato un’espressione alterata di p53 (il cui gene non è stato trovato mutato) nel 57.5% dei casi, il 50% di questi pazienti aveva sequenze del genoma virale ed è stata notata una correlazione tra esposizione all’asbesto e presenza di SV40 [51]. La proteina tag invece inibisce PP2A, una fosfatasi coinvolta in svariati pathways, e quindi è in grado di alterare profondamente innumerevoli processi cellulari fisiologici [43]. In aggiunta è stato da

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10 poco evidenziato che la formazione del complesso TAG-p53-pRb-p300 porta ad un aumento di espressione dell’insulin-like growth factor (IGF1), con conseguente aumento della crescita tumorale [52].

È stato univocamente dimostrato inoltre che l’SV40 svolge un ruolo fondamentale nella comparsa di tumori pleurici negli animali: Cicala e collaboratori nel 1993 hanno scoperto che iniezioni intrapleuriche di SV40 in roditori causano comparsa di MPM nel 100% dei casi [53]. Negli esseri umani i risultati sono molto più incerti in quanto studi epidemiologici su biopsie e linee cellulari danno risultati discordi: Carbone e collaboratori nel 1994 trovarono sequenze del virus in più della metà di biopsie di MPM; vari altri studi su linee cellulari hanno mostrato correlazione tra asbesto e SV40 nella trasformazione neoplastica [40;54-55]. D’altro canto alcuni studi epidemiologici non hanno mostrato connessione significativa tra SV40 e MPM [1;56]. Resta quindi incerto il reale ruolo dell’SV40 nell’MPM.

1.2.1.5Radiazioni ionizzanti

Si è ipotizzato che anche l’esposizione a radiazioni ionizzanti possa favorire lo sviluppo dell’MPM. Ai fini clinici, le più comuni esposizioni per l’uomo sono dovute ai raggi X e γ ma è importante anche l’esposizione ambientale dovuta al background naturale. L’ipotesi che le radiazioni ionizzanti possano costituire un fattore di rischio nell’insorgenza dell’MPM si deve ad uno studio di Roggli del 1997 in cui a 5 donne sottoposte a radioterapia per precedenti neoplasie fu diagnosticato l’ MPM senza una documentabile esposizione ad asbesto [40;57]. Un ulteriore studio ha preso in considerazione il decorso clinico di 2567 pazienti a 5 anni dal trattamento radioterapeutico contro il linfoma di Hodgkin e ha riportato un rischio di MPM 30 volte maggiore rispetto alla popolazione generale [58]. Attualmente quindi il ruolo delle radiazioni nell’adiuvare la comparsa del tumore merita sicuramente di essere approfondito.

1.2.1.6Fibre artificiali e nanotubi di carbonio

Dal momento in cui è stato bandito l’asbesto, numerosi materiali sono stati utilizzati per sostituire il suo utilizzo, in particolare le fibre minerali artificiali (lana di vetro, lana di roccia, fibre ceramiche refrattarie) hanno trovato largo impiego date le ottime proprietà fisiche e chimiche. Sfortunatamente anche queste fibre sono state supposte essere potenzialmente cancerogene, considerata l’estrema similarità della forma di queste con le fibre di asbesto [59]. Gli studi condotti non mostrano con chiarezza se questi materiali possano ritenersi fattori eziologici per la comparsa di tumori, ed in

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11 particolare di MPM. Lavori su animali modelli hanno valutato l’eventuale ruolo di questi minerali nella comparsa della neoplasia, in particolare Rossiter e colleghi hanno mostrato come l’esposizione a fibre ceramiche refrattarie in roditori sia capace di indurre MPM [60]. Studi epidemiologici invece hanno evidenziato come queste fibre non sembrino essere un fattore eziologico per l’MPM [61-62], bensì un cofattore capace di aumentare il rischio di insorgenza [63].

Di recente si sta considerando con preoccupazione la possibilità che l’utilizzo di nanotubi di carbonio possa generare un tipo di contaminazione ambientale diffusa che potrebbe avere conseguenze simili a quelle avute con l’utilizzo dell’asbesto. I nanotubi di carbonio (CNT) sono una forma allotropica del carbonio scoperta nel 1985; si possono classificare in due macrogruppi: i CNT a singola parete (SWCNT) ed i CNT a parete multipla (MWCNT). La loro duttilità è estremamente ampia dal momento che posseggono interessanti proprietà meccaniche, elastiche, di conduttività ed elettriche. Altrettanto ampi sono i loro usi attuali e futuri: microchip, LED, transistor, applicazioni biomediche. Il diametro di un nanotubo oscilla tra 0,7 e 10 µm, con un rapporto lunghezza diametro 132.000.000:1 [64]. Proprio per la somiglianza morfologica con l’asbesto si è supposto che possano agire in maniera simile ed essere anch’essi cancerogeni. Alcune pubblicazioni hanno dimostrato che gli MWCNT producono varie tipologie di reattività immunitarie, ma ancora è poco chiaro che effetti diano alle cellule mesoteliali. Comunque, recenti lavori hanno evidenziato che gli MWCNT presentano citotossicità in vitro e induzione dell’infiammazione e sviluppo dell’MPM in vivo. Nel 2008 Takagi e colleghi hanno trovato che gli MWCNT iniettati intraperitonealmente in topi p53 +/- causano MPM [65]. Nel 2009 Sakamoto e colleghi hanno dimostrato in ratti che iniezione intrascrotali di MWCNT sono la causa della comparsa di mesotelioma intraperitoneale diffuso [66]. In questi studi è stato anche evidenziato come cloni di cellule di MPM ottenute tramite cancerogenesi con nanotubi presentino spesso delezioni omozigoti del locus CDKN2A/2B, similmente a quanto osservato nell’MPM indotto da asbesto. Si sospetta che gli effetti biologici dipendano dal diametro del nanotubo, in quanto i nanotubi con diametro di circa 50 µm risultano più dannosi di quelli con diametri tra i 150 e i 200 µm. [27;67]. Sarà necessario approfondire gli studi su questa nuova tipologia di materiale per evitare di ritrovarsi nuovamente nella situazione causata dall’uso indiscriminato dell’asbesto.

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12 1.2.2 Epidemiologia dell’MPM

“La maggior parte delle patologie attualmente conosciute erano già note all’umanità dall’antichità, non è possibile dire lo stesso del mesotelioma.” J.E. Craighead [68]

Le prime informazioni sull’asbesto risalgono agli Egizi ed all’era Cristiana, la scoperta che questo minerale fosse resistente al fuoco catturò subito l’interesse dell’uomo, difatti molti vestiti erano composti da fibre di asbesto ed erano chiamati “lana di pietra” o “lana di salamandra” facendo riferimento alla falsa credenza che questo animale fosse resistente al fuoco (fig. 6).

Figura 6: Rappresentazione della salamandra e della sua resistenza al fuoco

Durante la Prima e la Seconda Rivoluzione Industriale l’uso dell’asbesto aumentò in maniera esponenziale proprio grazie alle sue peculari proprietà come l’essere ignifugo [25;68-70]. Con l’avvento del XX Secolo e delle due Guerre Mondiali la richiesta di asbesto incrementò e tra gli utilizzi specifici se ne fece largo uso nella costruzione delle navi da guerra [68]. Il Dr. Montague Murray fu il primo a riportare – tra l’Ottocento e il Novecento – un caso di morte dovuta ad esposizione all’asbesto per asbestosi. La prima pubblicazione in cui si dimostrava una correlazione certa tra danno ai polmoni ed asbesto fu del 1930: in questa si dimostrò che più del 25% degli interventi di chirurgia toracica riguardava lavoratori di fabbriche affetti da asbestosi [71]. Nel 1960 Wagner fu il primo a comprendere e dimostrare che realmente l’asbesto era l’agente eziologico dell’MPM: nella Provincia del Capo Occidentale, una regione del Sud Africa, dal 1956 al 1960 osservò 33 casi di MPM, 32 dei quali correlabili all’esposizione all’asbesto [72]. Considerati gli interessi che l’asbesto muoveva, nessuno si curò di questa pubblicazione avvenuta in una regione remota dell’emisfero Australe [68].

Una delle cause dell’ardua dimostrazione della correlazione tra MPM ed asbesto fu anche l’ambiguità iniziale nella diagnosi dei casi e nella definizione di questo carcinoma. Il nome stesso non comparve prima del 1930 proposto da Klemprer e Rabin [68]. I primi a bandire l’uso

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13 dell’asbesto furono gli Stati Uniti d’America nel 1979 [1]. L’Italia è stato il secondo maggior produttore di asbesto in Europa, dopo l’Unione Sovietica, ed il primo della Comunità Europea. Solo a partire dal 1986 furono imposte limitazioni all’uso dell’asbesto e nel 1992 è stato definitivamente bandito [73]. Dal 1993 l’Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza sul Lavoro (ISPESL) ha istituito il Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM), con lo scopo di registrare, studiare e analizzare tutti i casi certi o presunti di MPM che avvengono in Italia [2;74]. Questa competenza dal 2010 è passata all’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL).

Fornire dati certi a livello mondiale sulle incidenze di MPM non è facile per vari motivi. Infatti è spesso confondibile con altre patologie e non tutte le nazioni dispongono di commissioni apposite che si occupano della registrazione dei casi. Inoltre, nei paesi in via di sviluppo l’uso dell’asbesto è tuttora consentito e in aumento [75]. Ad oggi, la maggior parte dei decessi avviene negli USA e nell’Europa Occidentale, zone in cui lo sviluppo commerciale ha fatto sì che fiorissero nei decenni passati fabbriche di amianto [76]. Secondo Discroll e colleghi il numero di presunte morti è di circa 43.000 all’anno nel mondo, di cui 700 in Australia, 700 in Giappone, 2.600 negli USA e 5.000 nell’Europa Occidentale. La WHO (World Health Organization) ha registrato dal 1994 al 2008 92.253 soggetti morti di MPM, in maggioranza a carico della pleura, e l’età media di decesso si attesta intorno ai 70 anni [75-76].

Per quanto riguarda l’Italia è stato pubblicato il Quarto Rapporto del ReNaM aggiornato a Ottobre 2012 e comprendente 15.845 casi registrati tra il 1993 ed il 2008, il 93% dei quali è a carico della pleura. Il 69,3% dei soggetti presenta un’esposizione all’amianto di tipo professionale, il 4,4% familiare, il 4,3% ambientale, l’1,6% extra lavorativa di svago o hobby, mentre per il 20,5% l’esposizione è ignota. Circa le esposizioni professionali i settori maggiormente coinvolti sono: l’edilizia (15,2% dei casi), la metalmeccanica (7,7%), la metallurgia (4,3%), le attività di fabbricazione di prodotti in metallo (5,8%), i cantieri navali (7,5%), l’industria di produzione del cemento-amianto (Ethernit, 3,2%), l’industria tessile (6,9%), la costruzione e riparazione di rotabili ferroviari (3,4%) e le costruzioni correlate con la difesa militare (4 %) [2]. Le regioni con un maggior numero di casi sono Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Toscana e Puglia [2]. In dettaglio si nota che più del 70% dei casi ambientali era residente in Piemonte, Puglia o Lombardia al momento della diagnosi, correlabile al fatto che le maggiori fabbriche di amianto si trovavano soprattutto nelle suddette regioni. Per quanto riguarda invece l’esposizione familiare Piemonte, Liguria e Veneto coprono circa i due terzi dei casi. Infine per quanto riguarda l’esposizione professionale le regioni più colpite sono Piemonte, Lombardia e Liguria [2].

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14 Secondo la WHO il rapporto tra uomini e donne affetti da MPM è 3,6:1 [76]. In Italia il tasso d’incidenza standardizzato (rispetto alla popolazione italiana residente nel 2001) nel 2008 corrisponde a 3,55 ogni 100.000 abitanti per gli uomini e 1,35 per le donne, con un rapporto di 2,6:1, anche se c’è una grande variabilità a seconda delle regioni [2]. Al giorno d’oggi non è ancora stato chiarito se i due sessi mostrino una differente suscettibilità allo sviluppo della malattia a parità di esposizione all’asbesto, anche se le femmine sembrano avere delle sopravvivenze più lunghe rispetto ai maschi [77] e ciò sembra essere dovuto all’espressione del recettore β estrogenico (ER-β) [78].

Sebbene sia classificato come tumore raro l’incidenza dell’MPM nel mondo sta aumentando (fig. 7) sia a causa della lunga fase di latenza tra la prima esposizione all’asbesto e la comparsa della malattia (in media circa 40 anni) [2;3], sia perché questo minerale è tutt’ora utilizzato nei paesi in via di sviluppo [24;40;79].

Figura 7: Tassi di incidenza di: Canada, Germania, Gran Bretagna e Italia (da sx a dx e dall’alto al basso)

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15 Si prevede che la maggior parte dei paesi (ad esclusione di UK e USA) non sono ancora entrati nel picco di incidenza. Per l’Italia sono stati proposti vari modelli che prevedono un picco intorno al 2020-2025 [80], in linea con quelli previsti per gli altri paesi dell’Europa Occidentale (fig. 8).

Figura 8: Previsioni picchi d’incidenza in alcuni paesi Europei

1.2.3 Basi molecolari dell’MPM

1.2.3.1Mutazioni somatiche

Al fine di individuare biomarcatori per la diagnosi ed il monitoraggio della neoplasia, oltre che come potenziali target terapeutici, è di fondamentale importanza comprenderne i meccanismi molecolari. L’MPM, così come altri tipi di tumori studiati nell’uomo, presenta un’eterogeneità riguardo alle lesioni somatiche riscontrate. Pertanto non è semplice identificare un pattern comune che contraddistingua questa patologia; tuttavia alcune alterazioni somatiche possono essere riscontrate in una quota di pazienti. Una di esse è l’inattivazione del gene CDKN2A/ARF (sul cromosoma 9p21.3) il quale codifica per due trascritti diversi (p14arf e p16ink4a); questi a causa di due promotori alternativi presentano differenti esoni iniziali (1α per p16ink4a ed 1β per p14arf) mentre condividono gli esoni 2 e 3 [81]. Oltre il 70% dei casi di MPM mostra inattivazioni del locus per delezione o ipermetilazione del promotore [82-84], con una correlazione evidente a seconda del sottotipo istologico: nell’epitelioide si trova inattivato nel 70% dei casi, nel bifasico e nel sarcomatoide il 100% dei casi [27;82]. Uno studio condotto su topi ingegnerizzati ha mostrato che la perdita di p14arf e non di p16inka aumenta significativamente la comparsa di MPM, suggerendone un ruolo attivo in vivo [85]. Un ulteriore studio su MPM peritoneale di ratto (indotto fornendo eccesso di ferro tramite saccarato ferrico) ha mostrato la comparsa di delezioni omozigoti di CDKN2A/2B confermando ulteriormente la necessità di silenziare il locus per la comparsa del MPM [27;86]. Dal punto di vista funzionale p14ink4a è coinvolto nella regolazione di p53, invece p16ink4a collabora con Rb. In caso di danno al DNA p53 viene fosforilato ed acetilato

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16 permettendone la stabilizzazione ed evitando il riconoscimento da parte di MDM2. A sua volta MDM2 è inibito da p14arf, attivato da oncogeni (fig. 9). Risulta quindi evidente che la perdita di p14arf porti alla non attivazione di p53 in seguito all’attivazione di specifici oncogeni. Il fatto che solo il 20-25% dei casi presenta mutazioni di TP53 supporta questo modello molecolare [27;82;87]. Per quanto riguarda P16inka, questo rappresenta un oncosoppressore coinvolto nel pathway di Rb. Il suo compito è di bloccare il ciclo cellulare nella fase G1 in caso di danni alla cellula, ciò andando a bloccare il complesso ciclina D – cdk 4/6 (fig. 9). La perdita di questa proteina conferisce quindi un notevole vantaggio al processo di trasformazione tumorale. Nell’MPM il blocco del pathway del Rb è ottenuto tramite la delezione di p16inka, conferendo alla cellula la possibilità di proliferazione continua [27;43;88].

Figura 9: Inattivazione dei pathway di p53 ed Rb nell’MPM

Un ulteriore gene trovato frequentemente mutato nell’MPM è BAP1 (BRCA associated protein 1), una deubiquitinasi localizzata sul cromosoma 3p21 [47] ed il cui prodotto proteico è coinvolto con la risposta al danno al DNA, con il ciclo cellulare e con le modifiche cromatiniche [43]. BAP1 è stato trovato alterato in alcuni tumori, come il melanoma uveale e il carcinoma renale [47] e si pensa che svolga il ruolo di oncosoppressore. Come già detto BAP1 è stato trovato mutato nella linea germinale di due famiglie con alta incidenza di mesotelioma, inoltre la sua alterazione è stata riscontrata nell’84% dei casi di melanoma uveale metastatizzante [48]. Uno studio del 2012 ha mostrato la perdita biallelica di BAP1(delezioni, mutazioni puntiformi) nel 61% dei casi di pazienti affetti da MPM, correlandolo in particolare con la comparsa del sottotipo epitelioide [89]. In controtendenza uno studio del 2014 ha affermato che più alta risultava l’espressione di BAP1 wild type minore era la probabilità di sopravvivenza [90]. Dal punto di vista funzionale sembra che Bap1 intervenga nelle modifiche istoniche collaborando con ASXL1 per formare il Polycomb complex,

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17 un complesso che deubiquitinizza la lisina 119 dell’istone H2A, regolando l’espressione genetica [27;91].

Un altro gene importante nell’MPM è NF2, le cui mutazioni a livello di linea germinale sono alla base della Neurofibromatosi di tipo 2, una sindrome di predisposizione tumorale dominante ereditaria caratterizzata da schwannoma bilaterale vestibolare dell’ottavo nervo cranico, e da altri tumori come meningiomi ed ependimomi [92]. Il prodotto di NF2 è una proteina chiamata Merlin. Il meccanismo più comune di inattivazione del gene, sito sul cromosoma 22q12 [92], è la mutazione omozigote, riscontrata nel 40-50% dei casi di MPM [27;82]. NF2 può essere spento anche mediante altri meccanismi: l’iperattivazione dell’oncogene CPI-17, una chinasi che blocca la fosfatasi di Merlin causando quindi la fosforilazione ed inattivazione di Merlin stesso; l’espressione di una variante di splicing di NF2 senza attività di oncosoppressore [93]. Gli studi in vivo su topi confermano l’importanza del silenziamento di NF2 per la comparsa dell’MPM. Altomare e colleghi hanno mostrato che topi NF2 +/- esibiscono una più veloce comparsa del tumore rispetto ai wild type [94]. Inoltre sono stati trovati due casi di persone affette da MPM e da Neurofibromatosi di tipo 2, entrambi presentavano perdita del gene NF2 ed avevano un passato caratterizzato da esposizione all’asbesto, portando gli autori degli studi a suggerire che i portatori di mutazioni del gene siano più suscettibili alla comparsa dell’MPM [95-96].

Merlin regola negativamente i pathway di Hippo (coinvolto nel coinvolto nella crescita e nell’omoeostasi tissutale, regolando quindi proliferazione cellulare ed apoptosi [97]) e di PI3K/AKT/MTOR. Quest’ultimo rappresenta una delle vie regolatorie più importanti in assoluto per la cellula in quanto regola processi come la sintesi proteica e lipidica, il metabolismo, l’apoptosi, l’autofagia, l’organizzazione citoscheletrica, la motilità e la proliferazione cellulare (fig. 10) [43;98-99].

Figura 10: Il pathway di PI3K/AKT/mTOR ed i suoi collegamenti con la via di RAS, con Merlin e con PTEN

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18 In presenza di fattori di crescita che attivano recettori tirosin chinasici o recettori accoppiati a proteine G si ha attivazione di PI3K (fosfoinositide 3 chinasi). PI3K è una lipide chinasi che fosforila il gruppo 3’ ossidrilico di fosfoinositidi e fosfatidilinositoli, dei quali il più importante è il PIP3 (fosfatidilinositolo 3,4,5 trifosfato), un secondo messaggero intracellulare [100]. Un regolatore negativo di questo step è PTEN, il quale defosforila PIP3 in PIP2 (fosfatidilinositolo 4,5 bisfosfato). PIP3 favorisce la traslocazione di AKT (una serina treonina chinasi che regola sopravvivenza, apoptosi e metabolismo) sulla membrana citoplasmatica, necessaria per permettere la sua fosforilazione ed attivazione da parte di una chinasi [43;99]. mTOR invece è una serina treonina chinasi che svolge il suo ruolo all’interno dei complessi mTORC1 e mTORC2. Questa proteina deve il proprio nome alla sensibilità alla rapamicina, un farmaco immunosoppressore [99]. mTOR è collegato al pathway di PI3K/AKT in quanto:

• PIP3 attiva AKT, il quale a sua volta attiva mTORC1 tramite due vie alternative: la via della RHEB GTPasi ed il blocco dell inibitore di mTOR, pras40;

• mTORC2 attiva per fosforilazione mTORC1.

Il pathway di PI3K/AKT/MTOR è spesso trovato alterato in vari tipi di tumori, sia indirettamente a causa di overespressione di fattori di crescita che iperattivano la via, sia direttamente tramite mutazioni che bloccano oncosoppressori o attivano protooncogeni.

Uno studio del 2010 ha correlato la ridotta espressione dell’mRNA di PIK3CA, codificante per la subunità catalitica p110α di PI3K e frequentemente mutato in altri tumori umani [101], con una più lunga sopravvivenza di pazienti affetti da MPM [102]. Altri studi hanno mostrato che circa il 60% delle linee cellulari di MPM hanno una attivazione di AKT [103]. Inoltre è stato anche riportato che PTEN sia spesso deleto in tessuti di MPM, meccanismo che favorirebbe l’espressione di AKT [103-105]. Uno studio di tissue microarray ha indicato che PTEN è mutato in circa il 60% dei casi di MPM ed per questo è stato proposto come potenziale biomarker prognostico [106]. Infine mTOR, oltre ad essere collegato a Merlin, svolge un ruolo fondamentale nelle vie di trasduzione del segnale. Infatti si è visto come l’uso della rapamicina diminuisca la resistenza apoptotica in più del 50% dei casi di MPM [107-108].

Con la recente introduzione delle nuove metodiche di sequenziamento (next generation sequencing, NGS) ad alta resa sono stati identificati altri geni che presentano mutazioni somatiche potenzialmente rilevanti per il processo di progressione tumorale dell’MPM. Sugarbaker e colleghi nel 2008 hanno sfruttato il pirosequenziamento massimo del trascrittoma per analizzare le possibili mutazioni negli RNA ed i differenti livelli di espressione tra MPM, adenocarcinoma polmonare e

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19 tessuto polmonare sano; i risultati hanno mostrato la scoperta di numerosi geni mai riscontrati in precedenza, come XRCC6, PDZK1IP1, ACTR1A e AVEN [109]. Dong e colleghi nel 2009, attraverso il pirosequenziamento massimo del trascrittoma ed un’intensa analisi bioinformatica dei dati, hanno analizzato le giunzioni esoniche differenzialmente espresse a causa di splicing alternativo tra MPM e polmone sano; i risultati hanno suggerito l’importanza specialmente dei geni ACTG2 e CDK4 [110]. Inoltre uno studio di sequenziamento dell’RNA ha scoperto la presenza di un trascritto derivante dalla fusione dei geni EWSR1 ed YY1 (il primo sito sul cromosoma 14, il secondo sul 22), difatti questi geni appartengono a loci persi in più del 35% degli MPM [111]. Un ulteriore studio di sequenziamento esonico incentrato su 13 geni appartenenti al pathway di Hedgehog (HH) ha scoperto nuove mutazioni nei geni PTCH1, SUFU e SMO associate all’MPM [112]. Infine uno studio di Genome Wide Association Study (GWAS) condotto indipendentemente prima su 428 casi di MPM e 1.269 controlli Australiani, poi su 392 casi e 397 controlli Italiani, ha portato alla scoperta di 3 geni non statisticamente significativi ma interessanti per il rischio di MPM (SDK1, CRTAM e RASGRF2) [113]. Risulta evidente che questi geni identificati tramite NGS non presentino un’alta prevalenza nelle casistiche riportate il letteratura, rinforzando l’idea che l’MPM sia un tumore che presenta una ampia eterogeneità riguardo alla sua patologia molecolare.

1.2.3.2Altri pathways deregolati

Un pathway alterato nell’MPM interessa la via di RAS. La famiglia delle proteine RAS contiene numerosi polipeptidi, i più importanti sono N, K ed H RAS [114]; questi rappresentano dei potenti protooncogeni trovati spesso mutati in moltissimi tipi di tumore, con frequenze che vanno dal 90% nell’adenocarcinoma pancreatico, al 30% nell’adenocarcinoma polmonare [115]. Nell’MPM i principali geni alterati sono ERK1/2, in particolare sono state sovraespresse le forme fosforilate di circa il 25%, suggerendo un ruolo attivo nella deregolazione di questo pathway [116]. In animali modello esposti ad asbesto si è osservata iperattivazione di ERK1/2 rispetto ad animali esposti a particelle non patogeniche [117]. Interessante uno studio in vitro in cui si mostra che ERK2 è fondamentale per la trasformazione e l’omeostasi del sottotipo epiteliode di MPM, suggerendo anche ruoli differenti per ERK1 ed ERK2 [118].

L’MPM è un tumore con alta resistenza all’apoptosi, perciò molti studi si sono concentrati sulla comprensione di questo pathway. L’induzione dell’apoptosi trattando linee cellulari di MPM solo con il recettore di morte TRAIL non ha molto effetto, mentre l’effetto combinato con farmaci (come doxorubicina, cisplatino, gemcitabina) induce nelle cellule significativo tasso apoptotico [119]. È interessante notare che gli sferoidi tumorali sono molto più resistenti all’apoptosi delle cellule su

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20 monostrato, anche in seguito a trattamenti con TRAIL e farmaci [120]. Per quanto riguarda la via intrinseca, BCL-2 risulta poco espresso, mentre BCL-XL e BAX sono spesso trovati sovraespressi [121-122], suggerendo quindi che il rapporto BCL-2/BAX non rappresenta un buon indicatore apoptotico nell’MPM. Sono stati anche trovati sottoespressi i geni proapoptotici BID e BIM rispettivamente nel 37% e 18% dei casi di MPM [123]. Infine tra i geni interessanti che conferiscono resistenza all’apoptosi vi è MCL-1, scoperto da Yuan nel trattamento di linee cellulari di MPM con inibitori proteasomici [124-125].

Nell’MPM è stato dimostrato che lo stato epigenetico è ampiamente correlato sia con la comparsa della malattia, sia con l’esito della stessa. In particolare uno studio ha mostrato come sia possibile discriminare MPM da pleura sana a partire dallo stato epigenetico valutando la metilazione di 1.505 CpG loci associati a più di 800 tumori attraverso la tecnica del sodio bisolfito [126]. Anche in un altro studio è stata trovata differente metilazione dei promotori tra tessuto sano e malato in alcuni importanti geni quali CDH1, FHIT, RARβ, CDKN2A [127]. Una pubblicazione ha inoltre dimostrato che i geni EZH2 e EED siano overespressi nell’MPM. Le proteine codificate da questi geni fanno parte del complesso Polycomb, responsabile del silenziamento di numerosi altri loci e la sovraespressione di EZH2 è stata correlata con una peggiore prognosi. L’inibizione farmacologica del prodotto di questi geni porta ad una generale diminuzione dei livelli di metilazione della lisina 27 dell’istone 3 ed inibisce proliferazione, migrazione, clonogenicità e tumorigenicità delle cellule di MPM [128].

Polycomb gioca anche un ruolo nella risposta all’ipossia. Nell’MPM le condizioni ipossiche sono state studiate relativamente poco. Nel 2006 Klabatsa e colleghi hanno mostrato come l’MPM esprima HIF1α, mentre cellule mesoteliali sane non lo esprimono, confermando quindi l’ipotesi che l’MPM sia un tumore che si sviluppa in condizioni di bassa concentrazione di . Lo stesso studio

ha però anche evidenziato come HIF1α non possa essere considerato un buon predittore di sopravvivenza [129]. Un’ulteriore pubblicazione ha mostrato che sia in condizioni ipossiche che normossiche le cellule di MPM esprimono il pathway di Notch e che questo conferisca vantaggi proliferativi al tumore, in particolare è stato dimostrano come Notch1 attivi la via di PI3K/AKT/MTOR mentre Notch2 tenda a frenarla, ciò sia in condizioni di normossia sia in ipossia [130].

1.2.4 Marcatori dell’MPM

I markers tumorali sono molecole che si ritrovano in concentrazioni sufficientemente alterate nel sangue periferico, nelle urine o nei tessuti in seguito alla presenza di neoplasie tali da permettere

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21 un’agevole distinzione tra “affetti” e “non affetti”. Esistono markers “generici”, i quali aumentano in presenza di un generico tumore, e markers “specifici”, classificabili a seconda della tipologia di tumore. I markers, quando presentano elevate sensibilità e specificità, sono di fondamentale importanza per la diagnosi e l’identificazione; la presenza di uno che permetta una diagnosi precoce dell’MPM garantirebbe un enorme vantaggio nella lotta alla patologia. Idealmente markers che permettano di identificare non solo la presenza o assenza della patologia, ma anche il sottotipo istologico, potrebbero aiutare moltissimo nell’indirizzare il trattamento terapeutico più adeguato per il paziente.

Al giorno d’oggi non esistono marcatori, sia a livello sierico che tissutale, in grado di identificare con alta sensibilità e specificità l’MPM [131]. In seguito alle biopsie si impiegano markers citologici che permettono di comprendere se il tessuto affetto consiste in parenchima polmonare oppure è di origine mesoteliale: i più importanti sono la calretinina (CALB2) e Wilms’tumor-1 antigen (WT1). Una volta accertato che il tessuto è di derivazione mesoteliale, è necessario comprendere se sia di tipo patologico o meno. Il marker più utilizzato in questo ambito è l’Epithelial membrane antigen (EMA) [4] – noto anche come CA15-3 e mucin-1 –. In particolare l’anticorpo E29 di EMA risulta molto efficace nell’identificazione dell’MPM con una sensibilità del 75% ed una specificità del 100% rispetto al tessuto reattivo mesoteliale [132]; la vimentina invece sembra dare risultati interessanti nella distinzione tra MPM e metastasi pleuriche dell’adenocarcinoma polmonare [133].

Tra i marcatori proposti e degni di nota vi sono la mesotelina e l’osteopontina [17].

La soluble mesothelin-related proteins (SMRP) è una forma solubile della mesotelina, una glicoproteina di membrana delle cellule mesoteliali. Fu suggerita inizialmente nel 2003 come marker date le elevate concentrazioni ritrovate a livello sierico nell’84% dei pazienti affetti da MPM ed in meno del 2% dei pazienti colpiti da altre patologie polmonari o pleurali [4;134]. Il ruolo biologico della mesotelina è tuttora ignoto, così come non si conosce il motivo per cui la si ritrovi, sia interamente sia suoi peptidi, nel sangue. Una prima ipotesi suggerisce la presenza di una variante di splicing anomala che ne causi l’impossibilità di restare legata alla membrana plasmatica; una seconda ipotesi afferma che le SMRP siano frammenti tagliati proteoliticamente della mesotelina di membrana [135]. Ulteriori studi hanno correlato i suoi livelli con l’andamento della malattia e la risposta a trattamenti terapeutici ma hanno mostrato la poca sensibilità del marker [136].

Per quanto riguarda l’osteopontina, anch’essa una glicoproteina delle cellule mesoteliali, è risultata essere un predittore negativo di sopravvivenza nell’MPM [137], ma possiede un basso potenziale diagnostico [17;138]. In particolare l’osteopontina è capace di discriminare tra pazienti esposti

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22 all’asbesto e pazienti con MPM precoce [139], un altro studio ha però evidenziato come non sia capace di differenziare il MPM da altre tipologie di patologie della pleura [140].

Esistono vari altri marcatori investigati, tra questi VEGF sembra essere molto interessante: la sua concentrazione sierica è stata trovata significativamente più alta su 51 casi affetti da MPM rispetto a 42 controlli affetti da asbestosi o placche pleuriche [141]. Anche alcuni miRNA sono stati ipotizzati come potenziali marker tumorali, tra questi Santarelli e colleghi hanno proposto il miR-126 come strumento utile per la diagnosi precoce dell’MPM: a partire da uno screening di un gruppo di potenziali miRNA misregolati, il MiR-126 è risultato essere presente in alte concentrazioni nel sangue di pazienti affetti da MPM ed assente invece sia in pazienti esposti all’asbesto sia in persone sane. È stato inoltre visto come i livelli del miRNA siano correlati con i livelli di VEGF e che il contemporaneo screening di Mir-126 e SMRP costituiscano uno strumento molto potente per la diagnosi dell’MPM [142].

La tabella 1 elenca alcuni i markers più promettenti al momento.

Tabella 1: Marker tumorali per l’MPM

Sebbene quindi vi siano molti studi al riguardo, data la complessità dell’MPM, l’aspecificità dei sintomi iniziali e la lunga fase di latenza, la ricerca di marker tumorali sensibili e specifici risulta una sfida ancora aperta.

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23 1.3Introduzione al progetto di tesi

Lo studio di questa tesi rientra in un progetto più ampio il cui scopo è di identificare geni cruciali per la comparsa e la progressione dell’MPM poiché sono ancora poco chiari i meccanismi molecolari alla base di questa neoplasia. La maggior parte degli studi condotti sull’MPM sono stati rivolti all’identificazione di geni o locus mutati [48;83;109;111-112] o deleti [82;84;89]. Nel presente progetto di ricerca si tenta di indentificare alterazioni molecolari seguendo un approccio basato sulla differenza di espressione genica tra tessuti sani e malati. Per far ciò è stato in precedenza effettuato un profondo studio della letteratura scientifica focalizzando l’attenzione sugli studi di trascrittomica. In questa maniera sono stati vagliati un alto numero di trascritti senza formulare nessuna ipotesi a priori. Ogni studio è stato valutato e caratterizzato ponendo maggiore enfasi soprattutto ai seguenti parametri: la tipologia di piattaforma microarray utilizzata, il numero e la tipologia dei campioni, il fold-change, la valenza statistica dei geni deregolati. È stato inoltre effettuato un Data Mining (DM) utilizzando 3 differenti strumenti bioinformatici (Coremine, SNPs3D, and GeneProspector).

In seguito sono stati confrontati i risultati degli studi di trascrittomica e del DM per selezionare un ristretto numero di geni significativamente deregolati nell’MPM. Il criterio principale per scegliere un gene è stato di essere ripetutamente trovato differenzialmente espresso negli studi di trascrittomica e di essere presente nella lista ottenuta dal DM: 931 geni sono stati trovati in almeno una pubblicazione ma solo 119 sono risultati deregolati in almeno due pubblicazioni e compresi nel DM. Alcuni dei più interessanti sono: PTGS, BIRC5, ASS1, JUNB, CCNO, MCM2, AURKA, FGF2, CFB, MKI67, THBS2, CAV1, SFRP1, CCNB1, CDK4 e MSLN. Inoltre è stato trovato un sottogruppo di geni che potrebbe spiegare, almeno in parte, la resistenza del tumore al cisplatino (ASS1, JUNB, PTGS2, EEF2, SULF1, TOP2A, AURKA, BIRC5, CAV1, IFITM1, PCNA e PKM2). Quindi i 119 geni sono stati ulteriormente validati studiandone l’espressione genica, tramite Real-Time RT-PCR, su tessuti di MPM e sano: quelli risultati statisticamente deregolati sono stati e sono tuttora studiati su linee cellulari di MPM [143]. Da questo lavoro è emerso un piccolo gruppo di geni che risultava deregolato anche nelle linee cellulari e tra essi, abbiamo posto la nostra attenzione su CCNO, THBS2 e CFB.

Non dobbiamo dimenticare che la deregolazione osservata potrebbe essere un epifenomeno subordinato ma non trainante la crescita tumorale. Per questo motivo, abbiamo ritenuto doveroso verificare sperimentalmente se la deplezione dei trascritti di questi geni in linee cellulari di MPM alterasse o meno alcune delle caratteristiche di malignità. L’ipotesi di partenza è che se il gene viene deregolato come epifenomeno non si dovrebbero osservare alterazioni fenotipiche di rilievo

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24 dopo deplezione. Se il gene esercita un qualche ruolo nella tumorigenesi, ci si aspetta che la sua

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II. SCOPO DELLA TESI

Lo scopo della tesi è di valutare l’effetto del silenziamento di THBS2, CCNO e CFB tramite tecniche di RNA interference su linee cellulari di MPM e di mesotelio normale immortalizzato. Si è studiato come la deplezione di questi targets possa modulare il fenotipo maligno delle cellule di MPM in termini di proliferazione, apoptosi, migrazione e capacità aggregante.

Il lavoro si integra in un progetto di più ampio respiro il cui obiettivo è di identificare nuovi geni che giochino un ruolo cruciale nei processi di iniziazione, mantenimento e progressione dell’MPM. Lo studio quindi, oltre ad investigare il ruolo dei suddetti geni nell’MPM, potrebbe fornire alla comunità scientifica nuovi marcatori diagnostici e putativi marcatori terapeutici.

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III. MATERIALI E METODI

3.1 Linee cellulari

Sono state usate 5 linee cellulari di MPM (Mero-14, Mero-25, IstMes2, NCI-H28 e Ren) ed una linea cellulare di mesotelio normale immortalizzato (MeT-5A). Il sottotipo istologico delle Mero-14, Mero-25, IstMes2 e Ren è epitelioide, per le NCI-H28 risulta ignoto.

Mero-14, Mero-25 e IstMes2 sono state gentilmente donate dall’Ospedale Universitario San Martino (Genova, Italia). Le MeT-5A e le NCI-H28 sono state acquistate dall’ATCC (American Type Culture Collection) e gentilmente donate da collaboratori del Dipartimenti di Farmacia dell’Università di Pisa. Le Ren sono state gentilmente donate dall’Università di Novara. L’identità di Mero-14, Mero-25, NCI-H28, Ren e Met-5A è stata verificata analizzando i markers genetici previo invio del campione alla BMR Genomics (Padova, Italia). Le IstMes2 invece sono una linea cellulare ottenuta localmente e non è disponibile alcuna certificazione.

Mero-14, Mero-25, and IstMes2 sono state cresciute in DMEM medium (Lonza, Basilea, Svizzera) con aggiunta del 10% di siero bovino fetale (Sigma Aldrich Corp., St Louis, Missouri, USA) e 1% Pen-Strep (Lonza, Basilea, Svizzera). Le NCI-H28 e Ren sono state cresciute in RPMI 1640 medium (Gibco, Life Technologies, Carlsbas, California, USA) con aggiunta del 10% di siero bovino fetale (Sigma Aldrich Corp. St Louis, Missouri, USA) e 1% Pen-Strep (Lonza, Basilea, Svizzera). Le MeT-5A sono state cresciute in Medium199 con HEPES (Life Technologies, Carlsbas, California, USA) con aggiunta di EGF (fattori di crescita dell’epidermide, 3.3 nM , Life Technologies, Carlsbas, California, USA), idrocortisone (400 nM, Sigma Aldrich Corp. St Louis, Carlsbas, California, USA), insulina (870 nM, Life Technologies, Carlsbas, California, USA), 10% di siero bovino fetale (Sigma Aldrich Corp. St Louis, Missouri, USA) e 1% Pen-Strep (Lonza, Basilea, Svizzera).

Sono state tutte mantenute in incubatore a 37°C con atmosfera umidificata e 5%  (Forma* 311 Direct Heat  Incubator, Thermo Scientific, Waltham, Massachussetts, USA).

3.2 Analisi espressione genica

3.2.1 Estrazione RNA da cellule

L’RNA totale dalle linee cellulari di MPM é stato estratto usando l’RNeasy Mini Kit (Qiagen, Venlo, Olanda) seguendo il protocollo standard. Il test si basa sul metodo della guanidina

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27 tiocianato: la guanidina tiocinato è un agente denaturante che permette sia la lisi cellulare sia l’inattivazione delle proteine. L’estrazione avviene attraverso l’utilizzo di colonnine che hanno alta affinità per l’RNA > 200 bp e permettono di separare questi ultimi dai detriti.

Il protocollo consiste in:

• ottenere il pellet di cellule per centrifugazione a 1100 rpm 8 minuti;

• aggiungere 350 µl di una soluzione con il buffer di lisi RLT e β-mercaptoetanolo per ogni campione ed in seguito con l’aiuto di una siringa degradare il pellet ed omogeneizzare il tutto;

• aggiungere 350 µl di etanolo al 70% e trasferire il tutto nella RNeasy Mini spin column;

• centrifugare a 10.000 rpm per 15’’ e poi scartare l’eluato;

• procedere con l’aggiunta di 700 µl del buffer di lavaggio RW1;

• centrifugare a 10.000 rpm per 15’’ e scartare eluato;

• aggiungere 500 µl buffer di lavaggio RPE;

• centrifugare a 10.000 rpm per 15’’ e scartare eluato;

• aggiungere 500 µl buffer di lavaggio RPE;

• centrifugare a 10.000 rpm per 2’;

• cambiare tubo di scarico e centrifugare a vuoto a 13.000 rpm per 1’;

• eluire l’RNA estratto con  RNasi Free attraverso la centrifugazione per 10.000 rpm a 1’.

3.2.2. Quantificazione RNA

La concentrazione di RNA estratto è stata misurata spettrofotometricamente (SmartSpec 3000, Bio-Rad Laboratories, Hercules, California, USA). Ogni campione è stato diluito 1:70 ed è stato misurato almeno due volte. La lettura è stata effettuata registrando i valori di assorbanza a 260 nm (A260). Sono stati inoltre valutati i rapporti A260/A280 per osservare eventuali contaminazioni da proteine e A260/A230 per impurità come fenolo e carboidrati. I valori medi di assorbanza registrati sono stati convertiti poi in concentrazioni attraverso la seguente formula:

 / = 260 ∗ 40 ∗ 70

1000

La seguente formula è stata ricavata dalla legge di Lambert-Beer: 70 è il fattore di diluizione utilizzato; 40 è la concentrazione espressa in µg/ml di una soluzione standard di RNA con assorbanza unitaria a & = 260 '(; 1000 è il fattore necessario per avere la concentrazione µg/µl.

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