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RUOLO DEI POLIMORFISMI NEL GENE UGT1A NEL TRATTAMENTO CON IRINOTECANO DEL TUMORE DEL COLON-RETTO

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Per i bei momenti ricevuti,

per quelli che stiamo vivendo

e per quelli che verranno.

Insieme!

(3)

RIASSUNTO 1

PREMESSA 2

1 INTRODUZIONE 6

1.1 IL CARCINOMA DEL COLON-RETTO 6

1.1.1 La carcinogenesi colorettale 13

1.1.2 Classificazione 16

1.1.3 Il trattamento della malattia avanzata 20

1.1.3.1 Pazienti con metastasi resecabile 21

1.1.3.2 Pazienti con metastasi marginalmente o potenzialmente

resecabile

22

1.1.3.3 Pazienti con metastasi mai resecabile 25

1.1.3.4 Pazienti non operabili con malattia diffusa/indolente e senza

deterioramento del PS dovuto alla malattia

26

1.1.3.5 Pazienti con elevato rischio di tossicità per comorbidità o età o entrambe

28

1.1.4 Screening e diagnosi precoce 29

1.1.4.1 Test diagnostici 30 1.2 IRINOTECANO 32 1.2.1 Struttura molecolare 32 1.2.2 Anabolismo 36 1.2.3 Meccanismo d’azione 38 1.2.4 Catabolismo 42 1.2.5 Farmacocinetica 42 1.2.6 Impieghi terapeutici 44 1.2.7 Reazioni avverse 46 1.3 FARMACOGENETICA DEL CPT-11 49 1.3.1 UDP-glucuroniltransferasi (UGT) 51 1.3.2 UDP-glucuroniltransferasi 1 (UGT1) 52 1.3.3 UDP-glucuroniltransferasi 1 A (UGT1A) 54 1.3.4 UDP-glucuroniltransferasi 1 A1 (UGT1A1) 55 1.3.5 UDP-glucuroniltransferasi 1 A7 (UGT1A7) 57

(4)

3.1 Pazienti 61

3.2 Estrazione del DNA genomico 61

3.3 Amplificazione mediante PCR del DNA genomico 63

3.4 Analisi dei polimorfismi del gene UGT con sequenziamento automatico 65

3.5 Analisi dei dati 70

4 RISULTATI 72

5 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 78

(5)

L’irinotecano (CPT-11) è un farmaco chemioterapico utilizzato nel trattamento del carcinoma del colon-retto e per altri tumori solidi. È un profarmaco che viene trasformato nel suo metabolita attivo, SN-38, dall’enzima carbossilesterasi. L’uridina-glucuroniltransferasi (UGT) è l’enzima principalmente coinvolto nel metabolismo dell’SN-38.

Esistono numerose varianti genetiche dell’enzima UGT. Il paziente portatore del deficit enzimatico può manifestare gravi tossicità in seguito al trattamento chemioterapico, tra cui diarrea, neutropenia, iperbilirubinemia (sindrome di Gilbert) causata dalla variabilità genetica a livello della regione TATA BOX del promotore del gene UDP-glucuroniltransferasi A1.

Il mio progetto di ricerca ha avuto come obiettivo la valutazione e l’analisi della correlazione tra i polimorfismi del gene UGT e la tossicità dell’irinotecano in pazienti affetti da cancro colorettale.

I 58 pazienti affetti da carcinoma del colon-retto, presi in esame, sono stati trattati con i due principali regimi terapeutici utilizzati in pazienti colpiti da questa neoplasia: FOLFOXIRI, un’associazione di acido folinico, 5 fluorouracile, oxaliplatino e irinotecano; e FOLFIRI (acido folinico, 5 fluorouracile e irinotecano).

Per la genotipizzazione dei pazienti si è proceduti con il prelievo di sangue periferico da cui è stato estratto DNA genomico, amplificato tramite PCR, purificato e sequenziato. Sono stati evidenziati 4 polimorfismi maggiormente associati a tossicità: UGT1A*28 (TA) 6/7, UGT1A1*93 -3156 G>A, UGT1A7*3 387 T>G/ 391C/A, UGT1A7*12-57T>G.

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Il cancro colorettale (CRC) è una delle forme più frequenti di tumore solido in tutto il mondo, sia in termini di incidenza sia in termini di carico complessivo della malattia per la società. Circa l’80% dei carcinomi del colon-retto insorge a partire da lesioni precancerose (adenomi con componente displastica via via crescente). Gli stili di vita e la familiarità sono da tempo chiamati in causa quali fattori di aumento del rischio di incidenza di queste lesioni.

Ulteriori condizioni di rischio sono costituite dalla malattia di Crohn e dalla rettocolite ulcerosa. Circa un terzo dei tumori del colon-retto presenta caratteristiche di familiarità ascrivibile a suscettibilità ereditarie: solo una parte di questo rischio familiare (2-5%) è riconducibile a sindromi conosciute in cui sono state identificate mutazioni genetiche associate ad aumento del rischio di carcinoma colorettale

Esistono chiare evidenze che la riduzione della mortalità per carcinoma del colon-retto può essere ottenuta attraverso l'identificazione e il trattamento della neoplasia in stadio precoce e soprattutto con l'asportazione dei polipi adenomatosi che rappresentano la condizione di maggiore rischio per lo sviluppo del carcinoma del colon-retto. Infatti, la maggior parte dei tumori maligni intestinali sono adenocarcinomi e sono il risultato della trasformazione di un polipo adenomatoso attraverso la sequenza adenoma - carcinoma.

In Italia il carcinoma del colon-retto è uno dei tumori a maggiore insorgenza nella popolazione italiana. Tra i maschi si trova al terzo posto, preceduto da prostata e polmone (14% di tutti i nuovi tumori), nelle femmine al secondo posto,

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variando nelle diverse età tra l’8 e il 15% negli uomini e tra il 5 e il 17% nelle donne. La diffusione dei fattori di rischio, l’anticipazione diagnostica e l’aumento dell’età media della popolazione sono alla base della progressiva crescita dell’incidenza di questo tumore negli ultimi decenni. La sopravvivenza a 5 anni è correlata allo stadio della neoplasia: 90% circa nello stadio A di Dukes, 50 - 60% nel B, 35% circa nello stadio C e <5% nello stadio D che corrisponde alla malattia metastatica. Nel carcinoma del colon-retto la prognosi è in parte correlata alle dimensioni del tumore primitivo e in modo particolare al grado di atipia istologica, all'invasione linfonodale e parietale. È acquisizione recente che lo sviluppo, la crescita e l’eventuale trasformazione maligna dei polipi adenomatosi sono associate all'accumulo di alterazioni attivanti di oncogeni e silencing di geni oncosoppressori. Talune alterazioni genetiche, quando ereditate e presenti in tutte le cellule dell'organismo, predispongono all'insorgenza dei carcinomi del colon-retto ereditari. Più frequentemente i fattori ambientali alterano direttamente, nel corso della vita, il DNA delle cellule epiteliali della mucosa intestinale, inducendo e sostenendo la progressione tumorale. Il trattamento chemioterapico dopo resezione completa della neoplasia (terapia adiuvante) e della malattia avanzata si è arricchito nel tempo di nuovi farmaci ma ancora oggi la categoria più importante è costituita dall’irinotecano.

Il meccanismo di azione consiste nell’inibizione della topoisomerasi I, enzima ubiquitario in grado di alterare la topologia del DNA, ovvero il numero di avvolgimenti di un filamento sull’altro, rompendo transitoriamente una sola delle 3

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della popolazione trattata. La variabilità di risposta e tollerabilità alla terapia con irinotecano può dipendere da varie cause, tra cui fattori specifici del paziente (stato generale, età) e della malattia (stadio di diffusione, grading istologico). Da un punto di vista farmacologico l’interazione del farmaco con il bersaglio cellulare rappresenta l’elemento più rilevante per spiegare, da un punto di vista farmacodinamico, gli effetti cellulari del farmaco. Tuttavia anche la tossicità dei farmaci chemioterapici riveste un ruolo molto importante sia per la qualità di vita del paziente che per la risposta clinica. I polimorfismi nelle regioni 5’ e 3’ non trascritte (3’- e 5’-UTR) e nelle regioni codificanti del gene che codifica per l’UGT hanno significato funzionale in quanto influenzano l’attività trascrizionale del gene e la quantità di proteina prodotta. La revisione della letteratura suggerisce che l’analisi del DNA possa rappresentare un metodo affidabile per accertare il valore prognostico della uridina-glucuroniltransferasi sullo sviluppo di tossicità in seguito a trattamento con irinotecano nei pazienti con neoplasia del colon retto. Per tali motivi in questa tesi sono stati analizzati alcuni polimorfismi del gene UGT ed il risultato è stato correlato con la tossicità legata al trattamento con irinotecano manifestata nei pazienti in terapia.

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1 INTRODUZIONE

1.1 IL CARCINOMA DEL COLON-RETTO

Il cancro colorettale (CRC) è una delle forme più frequenti di tumore solido in tutto il mondo, sia in termini di incidenza sia in termini di carico complessivo della malattia per la società 1,2. Circa l’80% dei carcinomi del colon-retto insorge

a partire da lesioni precancerose (adenomi con componente displastica via via crescente). Gli stili di vita e la familiarità sono da tempo chiamati in causa quali fattori di aumento del rischio di incidenza di queste lesioni. Tra i primi spiccano fattori dietetici come il consumo di carni rosse e insaccati, farine e zuccheri raffinati, il sovrappeso e la ridotta attività fisica, il fumo e l’eccesso di alcol3. Una

protezione, oltre al controllo dei citati fattori di rischio, è conferita dal consumo di frutta e verdure, carboidrati non raffinati, vitamina D e calcio e dalla somministrazione di antinfiammatori non steroidei a dosi appropriate per lungo tempo4. Ulteriori condizioni di rischio sono costituite dalla malattia di Crohn e

dalla rettocolite ulcerosa5,6. Circa un terzo dei tumori del colon-retto presenta

caratteristiche di familiarità ascrivibile a suscettibilità ereditarie7: solo una parte di questo rischio familiare (2-5%) è riconducibile a sindromi conosciute in cui sono state identificate mutazioni genetiche associate ad aumento del rischio di carcinoma colorettale8,9. Fra queste le sindromi caratterizzate dall’insorgenza di

polipi - quali la poliposi adenomatosa familiare (FAP) - e quelle non poliposiche come la sindrome di Lynch. L’ereditarietà è per lo più su base autosomico-dominante. Per gli individui appartenenti a gruppi familiari a rischio non ancora inquadrati in sindromi definite, il rischio di ammalarsi di carcinoma del

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colon-7 retto è circa doppio rispetto alla popolazione generale nel caso in cui sia presente un consanguineo di I grado, e più che triplo qualora quest’ultimo abbia contratto il tumore prima dei 50 anni di eta10.

Mentre è chiaro che un metabolismo disturbato a livello di popolazione (obesità, inattività fisica, ecc.) ha un grande impatto sui modelli di malattia, è altresì chiaro che un metabolismo alterato ha conseguenze simili a livello cellulare e molecolare11. Il metabolismo cellulare è uno dei segni caratteristici del cancro

che risultano alterati durante la carcinogenesi. Nonostante i miglioramenti nella gestione chirurgica del cancro, il CRC rimane una malattia genetica e il progresso nella prevenzione, nella previsione e nella prognosi è suscettibile di essere sviluppato da una maggiore cognizione dei meccanismi molecolari alla base.

La comprensione delle tipiche caratteristiche genetiche del cancro è migliorata nel corso degli anni e ora include anche le caratteristiche della prossima generazione di riprogrammazione metabolica del cancro12. Tuttavia, il complesso quadro distintivo dei marker deve essere ancora del tutto chiarito13

insieme con la “genomica e la proteomica” specifiche per ogni tipo di cancro14-17. In Italia il carcinoma del colon-retto è uno dei tumori a maggiore insorgenza nella popolazione italiana18. Tra i maschi si trova al terzo posto, preceduto da

prostata e polmone (14% di tutti i nuovi tumori), nelle femmine al secondo posto, preceduto dalla mammella, con 14%. Nella classifica dei tumori più frequenti per gruppi di età il carcinoma del colon-retto occupa sempre posizioni elevate, variando nelle diverse età tra l’8 e il 15% negli uomini e tra il 5 e il 17% nelle donne. La diffusione dei fattori di rischio, l’anticipazione diagnostica e l’aumento dell’età media della popolazione sono alla base della progressiva crescita dell’incidenza di questo tumore negli ultimi decenni. L’andamento temporale per

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8 gli uomini è passato da un andamento stabile negli anni ’90 a +3,7/anno dal 2004, mentre nelle donne l’aumento (+0,8%/anno) appare omogeneo per tutto il periodo esaminato. Figure 1a-b.

Fig. 1a: Tumore del colon-retto nel sesso maschile

I-APC: 1996-1998: 3,5 (-1,6; 8,9) 1998-2004: 0,7 (-0,5; 1,8) 2004-2010: 3,7* (1,1; 6,4) M-APC: 1996-2010: –0,6* (–1,1; –0,1)

Fig. 1b: Tumore del colon-retto nel sesso femminile

I-APC: 1996-2010: 0.8* (0,1;1,5) M-APC: 1996-2010: -1.0* (-1,7; -0,3)

I confronti geografici nazionali mostrano un gradiente, che si sta tuttavia attenuando, dal Nord-Centro verso il Sud sia nei maschi (Sud –25% rispetto al Nord) che nelle femmine (Sud –20%) - Tabelle 1-2 - anch’esso coerente con la diversa presenza dei fattori in precedenza indicati.

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Tabella 1: AIRTUM 2006-2009. Tassi di incidenza standardizzati sulla popolazione europea per

area geografica e sesso.

Tabella 2: AIRTUM 2006-2009. Tassi di incidenza standardizzati sulla popolazione europea per

area geografica e sesso. Differenze percentuali rispetto al Nord.

Sulla base di queste considerazioni nel 2013 sono stati stimati oltre 20.000 decessi per carcinoma del colon-retto (di cui il 54% negli uomini), neoplasia al secondo posto nella mortalità per tumore (10% nei maschi, 12% nelle femmine) e tra il secondo e terzo posto nelle varie età della vita. La mortalità per questa patologia è in moderato calo sia per i maschi 0,6%/anno), che per le femmine (-1,0%/anno). Si è ridotto il gradiente Nord-Centro-Sud: nelle regioni settentrionali, centrali e meridionali i tassi standardizzati di mortalità per 100.000 sono rispettivamente di 24.7, 24.1 e 23.2 per i maschi e 14.5, 14.3, 14.4 per le femmine. Tabella 3-4.

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Tabella 3: AIRTUM 2006-2009. Tassi di mortalita standardizzati sulla popolazione

europea per area geografica e sesso.

Tabella 4: AIRTUM: AIRTUM 2006-2009. Tassi di mortalita standardizzati sulla

popolazione europea per area geografica e sesso. Differenze percentuali rispetto al Nord.

Il carcinoma del colon-retto presenta una prognosi sostanzialmente favorevole e progressivamente in aumento: dal 50% a 5 anni dei primi anni ’90 al 64% del 2005-2007 nei maschi a rispettivamente 51% e 63% nelle femmine. La probabilità di sopravvivere per ulteriori 5 anni aumenta dopo la diagnosi, essendo per i sopravviventi ad 1 e 5 anni rispettivamente 74% e 91% tra gli uomini e 74% e 92% tra le donne. Tabella 5. Le Regioni meridionali presentano indici di sopravvivenza inferiori di circa l’1-4% rispetto al Centro-Nord nei maschi e del 4-5% nelle femmine.

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Tabella 5: Probabilità di sopravvivere 5 anni a partire da un anno e da 5 anni dal

momento della diagnosi. Sopravvivenza relativa.

Sono quasi 300.000 i pazienti con pregressa diagnosi di carcinoma del colon-retto in Italia (51% maschi), al secondo posto tra tutti i tumori e pari al 13,2% di tutti i pazienti oncologici. Il 16% di questi si trova a ormai oltre 15 anni dalla diagnosi (e il 14% tra i 10 e i 15 anni), mentre la restante quota è equamente distribuita entro i 2, tra i 2-5 e i 5-10 anni (23-24% per ogni periodo). In considerazione della stabile lieve tendenza al decremento della mortalità osservata da ormai lungo periodo, sono soprattutto l’incidenza (con la sempre maggiore tendenza alla diagnosi precoce e alla diffusione dei programmi di screening di questi ultimi anni) e la sostanziale buona sopravvivenza (tendente al miglioramento) a condizionare i “numeri” delle persone che convivono con questo tipo di diagnosi e la loro distribuzione lungo la storia clinica, con evidenti diverse esigenze assistenziali e di sostegno nel follow-up. La maggior parte di queste persone si concentra nelle età più anziane, con una proporzione, oltre i 75 anni di età, di 2.722 casi ogni 100.000 abitanti, più che doppia rispetto alla fascia 60-74 anni e di 8,5 volte maggiore di quella 45-59. Notevoli differenze si registrano tra le regioni del Nord e dell’Italia centrale (rispettivamente 632/100.000 nel nord-ovest, 598 nel nord-est, 639 nel Centro) rispetto al Sud (317/100.000). Tabella 6.

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12

Tabella 6: Prevalenza completa (x 100.000 abitanti) per alcune delle principali sedi

tumorali, per area geografica (Stima al 1.1.2006, Airtum pool). I tumori in Italia, rapporto 2010: La prevalenza dei tumori in Italia: persone che convivono con un tumore, lungo sopravviventi e guariti. Epidemiol Prev 2010; 34(5-6): Suppl. 2

Un modesto aumento di prevalenza è stato osservato nell’ultimo decennio rispetto agli anni 90. Figura 2.

Figura 2: Tumore del colon, maschi e femmine

Incidenza maschi APC: 1996-2010 Mortalità maschi APC: 1996-2010 Incidenza femmine APC: 1996-2010 Mortalità femmine APC: 1996-2010

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13

1.1.1 LA CARCINOGENESI COLORETTALE

Da molto tempo è stato capito come il CRC si sviluppi da una normale mucosa del colon che va incontro a transizioni a livello genetico, causando neoplasia intraepiteliale e la crescita della lesione adenomatosica - figura 3 - che può o non può progredire verso il cancro invasivo19-22.

A tal riguardo è stato proposto un modello, la cosiddetta sequenza adenoma - carcinoma, che collega le alterazioni genetiche e il loro ordine di presentazione alle diverse fasi di sviluppo del tumore23. In contrasto con i primi modelli lineari

di CRC19, 21, la carcinogenesi è ormai riconosciuta essere oggetto di eterogeneità raggiunta attraverso almeno tre percorsi distinti: una “tradizionale” (sequenza adenoma-carcinoma), una “alternativa” e, più recentemente, il cosiddetto “serrated” pathway24, 25.

Il percorso 'tradizionale' si pensa coinvolga mutazioni nel gene APC (Adenomatous Polyposis Coli), perdita di eterozigosità e instabilità cromosomica.

Il percorso 'alternativo' potrebbe coinvolgere sia KRAS sia mutazioni in APC.

Il 'serrated' pathway evolve da cambiamenti di metilazione in CpG. Tipicamente comprende mutazioni di BRAF e ritardo di sviluppo del MSI26.

Mentre la via alternativa può sembrare più eterogenea e meno caratterizzata, i percorsi tradizionali e il serrated sembrano essere più omogenei e distinti. Tuttavia, questi percorsi si stanno evolvendo nella concettualizzazione24,25: non si verificano rigorosamente in isolamento e sono in qualche misura in sovrapposizione. Ciò spiega in qualche modo il loro utilizzo come marker clinici validi e robusti. Nel cancro del colon-retto le alterazioni implicate nella genesi del carcinoma invasivo avvengono in più step (modello multisteps) inteso come

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14 l'acquisizione da parte di una cellula iniziale di eventi mutazionali sequenziali che conferiscono un vantaggio selettivo di crescita al clone di cellule epiteliali alterate. L'accumulo di alterazioni genetiche, a carico delle cellule normali della mucosa intestinale, guida la trasformazione maligna dell'epitelio normale in adenocarcinoma, secondo la sequenza adenoma-carcinoma descritta nel modello di Volgelstein27,28. Figura 3.

Figura 3: Sequenza adenoma-carcinoma. Eventi molecolari responsabili della progressione neoplastica

nei carcinomi del colon.

MOMENTI DELL’EVOLUZIONE ALTERAZIONI GENOMICHE

Transizione da epitelio normale

a epitelio iperplastico cromosoma 5q (Gene FAP) Mutazione o delezione del Transizione da epitelio normale

adadenoma di classe I Ipometilazione del DNA

Transizione da adenoma di classe I ad

adenoma di classe II Mutazione 12q (gene K-ras) Transizione da adenoma di classe II

ad adenoma di classe III Delezione 18q (gene DCC) Transizione da adenoma di classe III a

carcinoma Delezione 17q (gene p53)

Transizione da carcinoma a carcinoma

metastatico Ulteriori danni genomici

Tabella 7: Evoluzione progressiva dell’adenoma del colon in carcinoma e correlazione delle tappe

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15 Questo modello spiega come non sia sufficiente una sola alterazione genetica, ma ne occorrono diverse, che devono accumularsi nella stessa cellula, affinché questa origini una massa tumorale. È chiaro quindi come ciascuna mutazione contribuisca allo sviluppo di un ambiente cellulare permissivo per alterazioni genetiche successive che conferiscono instabilità genetica, fenomeno critico nella carcinogenesi in quanto accelera il processo di evoluzione neoplastica attraverso l'aumento del tasso di mutazione. In una cellula normale l'integrità genomica è strettamente controllata e la divisione cellulare avviene esclusivamente se il materiale genetico è stato correttamente duplicato e distribuito nelle cellule figlie. Se i meccanismi di controllo del ciclo cellulare e/o quelli coinvolti nella riparazione del DNA danneggiato sono alterati, tale integrità genomica viene a mancare28,29.

Si possono distinguere due principali categorie di instabilità genetica:

1. L'instabilità cromosomica (CIN), o pathway tradizionale o “soppressor pathway”, caratterizza il 70-85% dei CRC. Questi tumori sono il risultato dall'accumulo di alterazioni cromosomiche numeriche e/o strutturali quali delezioni, inserzioni e perdita di eterozigosità. In particolare risultano alterati il gene che codifica per la proteina APC (Adenomatous Polyposis Coli), il proto-oncogene KRas e l'oncosoppressore p5330,31. Tale pathway di

instabilità cromosomica si applica per lo più alla carcinogenesi delle forme sporadiche di CRC ed è associato ad un decorso clinico più sfavorevole32. 2. L'instabilità dei microsatelliti (MSI), o pathway del DNA mismatch repair,

caratterizza il rimanente 20% dei CRC ed è associato a mutazioni germinali a carico dei geni che codificano per gli enzimi che operano la riparazione

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16 del DNA. In particolare, sono alterati i geni MSH (Human MutS Homolog) del sistema del mismatch repair (MMR) in grado di riconoscere e correggere gli appaiamenti errati. La scorretta funzionalità di tale sistema di riparazione porta all'accumulo di mutazioni soprattutto a livello dei microsatelliti, sequenze nucleotidiche ripetute in tandem nell'intero genoma. Tale pathway è responsabile della sindrome ereditaria dell'HNPCC, conosciuta anche come sindrome di Lyhch, ed è associato ad una sopravvivenza maggiore rispetto a quella stabilita per le forme tumorali caratterizzate dalla CIN28,33,35.

1.1.2 CLASSIFICAZIONE

L'incidenza di CRC è correlata con l'età. Il 90% dei casi sono riscontrati in soggetti con età superiore ai 50 anni35, con un picco di incidenza massimo verso

gli 80 anni. Nei giovani adulti i casi diagnosticati sono associati a condizioni di predisposizione familiare. L'età rappresenta dunque uno dei principali fattori di rischio per l'insorgenza del tumore al colon-retto. Altri fattori di rischio che concorrono a favorire lo sviluppo di questo tipo di tumore possono essere sia di origine ambientale sia genetica. In conformità a tali fattori, i tumori colon-rettali possono essere suddivisi in tre classi:

1. Tumori sporadici. Privi di storia di familiarità, questa classe di tumori rappresentano circa il 70% dei casi di CRC diagnosticati36 e la cui insorgenza è

legata principalmente a fattori ambientali, quali stile di vita e abitudini alimentari. Comunque, l'insorgenza di tali tumori, anche se in misura minore, può essere correlata alla presenza di alterazioni genetiche implicate nella

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17 trasformazione adenoma-carcinoma37.

2. Tumori ereditari: sono stati descritti con una percentuale minore del 10% e risultano legati alla presenza di mutazioni germinali responsabili di un aumentato rischio di sviluppare la malattia36. In particolare, tali tumori si

sviluppano in giovane età e, secondo la presenza o meno di polipi, si possono distinguere due diverse forme:

le forme associate a poliposi che comprendono la poliposi

adenomatosa familiare (FAP)38 a trasmissione ereditaria con carattere autosomico dominante e la sindrome poliposica amartomantosa39.

le forme non associate alla presenza di polipi sono invece

rappresentate dalla sindrome di Lynch di tipo I, conosciuta anche come cancro colorettale ereditario non poliposico (HNPCC) e dalla sindrome di Lynch di tipo II40.

3. Tumori familiari: costituiscono fino al 25% dei casi di CRC e comprendono i pazienti che hanno una storia di familiarità per tumore. Tale familiarità aumenta la predisposizione a sviluppare il tumore. Tuttavia, il rischio risulta minore di quello riscontrato per le forme ereditarie (4). I pazienti affetti da questa forma tumorale presentano alterazioni genetiche caratterizzate da una trasmissione autosomica recessiva. È stato osservato che mutazioni bialleliche a carico del gene MYH (MutY Human Homologue) - codificante per l'enzima implicato nella riparazione del DNA mediante escissione di basi - sono associate ad un aumentato rischio di sviluppare adenomi e carcinomi colorettali41.

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18 La classificazione di Bormann distingue il CRC dal punto di vista dell’aspetto macroscopico in 4 forme:

- carcinoma polipoide ben circoscritto, forma vegetante; - carcinoma ulcerato a margini rilevati, forma ulcerata;

- carcinoma ulcerato a margini rilevati ed estesi, forma ulcero-infiltrante; - carcinoma diffuso, infiltrante e stenosante, forma anulare-stenosante. Mentre i tumori a sede prossimale tendono ad avere più frequentemente aspetto vegetante e crescita all’interno del lume intestinale, quelli che insorgono nei tratti distali dell’intestino si presentano spesso sotto forma di carcinomi infiltranti con esiti stenosanti a seguito della diffusione circonferenziale e dell’intensa reazione desmoplastica peritumorale.

Secondo la classificazione istologica del WHO42 microscopicamente è

possibile distinguere:

- adenocarcinoma, costituito da strutture ghiandolari di dimensioni e configurazione variabili;

- adenocarcinoma mucoide (o mucinoso), caratterizzato dalla presenza di abbondante muco extracellulare, che costituisce più del 50% del volume tumorale;

- carcinoma a cellule con castone (signet-ring cell carcinoma), costituito per il 50% da cellule con castone, contraddistinte da un voluminoso vacuolo intracitoplasmatico di muco che sposta il nucleo in periferia; - carcinoma midollare, prevalentemente costituito da lamine e trabecole

solide di cellule in genere regolari e con modeste atipie nucleari e caratterizzato dalla presenza di numerosi linfociti intraepiteliali;

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19 differenziazione epiteliale;

- carcinoma a piccole cellule, con caratteristiche morfologiche e biologiche simili a quelle del carcinoma a piccole cellule polmonare;

- carcinoma adenosquamoso;

- carcinoma squamoso.

Il grading caratterizza le neoplasie in base alla differenziazione cellulare. Si distinguono neoplasie:

- di grado 1 ben differenziate, G1;

- di grado 2 moderatamente differenziate, G2; - di grado 3 scarsamente indifferenziate, G3; - di grado 4 indifferenziate, G4.

I parametri considerati sono la conservazione della polarità del nucleo, la configurazione delle ghiandole, il pattern di crescita, l’infiltrazione infiammatoria e la reazione desmoplastica. Altri parametri istologici che vengono presi in considerazione nel CRC, soprattutto in funzione di una correlazione con il decorso clinico, sono: l’invasione vascolare e perineurale43, il tipo di crescita (espansiva

od infiltrativa), il grado di infiltrazione linfocitaria al margine di invasione, la presenza di aggregati nodulari linfocitari peritumorali (reazione linfocitaria “tipo Crohn”), il numero di linfociti compenetranti le cellule neoplastiche (tumor infiltrating lymphocytes o TIL).

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1.1.3 IL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA AVANZATA

È ormai noto che il mCRC rappresenti una condizione patologica eterogenea dal punto di vista clinico, chirurgico e biomolecolare. Il suo trattamento necessita quindi di un approccio multidisciplinare che si avvalga di agenti citotossici e biologici nuovi così come di tecniche interventistiche innovative sempre più efficaci, chirurgiche e non, per il trattamento della malattia metastatica limitata.

Da questo punto di vista il farmaco cardine è ancora oggi rappresentato dal 5-fluorouracile (5FU), generalmente in associazione a leucovirina (LV). Inoltre, la somministrazione infusionale si è dimostrata vantaggiosa rispetto a quella in bolo, sia in termini di efficacia sia di sicurezza. Negli ultimi dieci anni è stato dimostrato che l’aggiunta di un altro farmaco, come l’irinotecano o l’oxaliplatino, alla monochemioterapia con 5FU/LV aumenta l’attività della chemioterapia, tanto che i regimi di combinazione con due farmaci sono universalmente accettati come opzione standard per il trattamento di prima linea del mCRC44-46.

Nella gestione del paziente, la scelta del clinico deve tener conto dell’obiettivo che è ragionevole immaginare di poter raggiungere con la terapia. Esso può variare sulla base delle caratteristiche del paziente e della neoplasia: dalla guarigione completa, all’aumento della sopravvivenza e al miglioramento della qualità della vita, fino alla sola palliazione.

In relazione al paziente, i fattori determinanti sono rappresentati dall’età, dal performance status (PS), dalla funzionalità epatica, dalla presenza di comorbidità e dalle sue stesse aspettative. In relazione alla neoplasia è opportuno stimarne principalmente l’attuale o potenziale resecabilità e l’aggressività.

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21 In base a questi parametri è possibile classificare:

- pazienti con metastasi resecabili immediatamente;

- pazienti con metastasi marginalmente o potenzialmente resecabili;

- pazienti con i) malattia diffusa/aggressiva e mai operabili per estensione di malattia; ii) deterioramento del PS dovuto alla malattia o entrambe le caratteristiche;

- Pazienti con malattia diffusa/indolente e senza deterioramento del PS dovuto alla malattia;

- Pazienti con elevato rischio di tossicità per comorbidità o età o entrambe. È bene evidenziare che la strategia di trattamento risulta fortemente influenzata dall’appartenenza a questi gruppi.

1.1.3.1 PAZIENTI CON METASTASI RESECABILI

Il 10-20% dei pazienti con CRC si presenta con metastasi epatiche immediatamente resecabili al momento della diagnosi. In linea generale, rientrano in questo gruppo pazienti con interessamento epatico limitato (fino a circa 4 lesioni confinate ad un unico lobo), margini adeguati da un punto di vista radiologico e assenza di coinvolgimento dei linfonodi portali.

In attesa dei risultati di specifici studi randomizzati, in questi pazienti è possibile effettuare indifferentemente una chemioterapia adiuvante post-resezione o una chemioterapia peri-operatoria (in entrambi i casi basata sulla combinazione di fluoropirimidine e oxaliplatino e per 6 mesi complessivi di trattamento).

(26)

22

1.1.3.2 PAZIENTI CON METASTASI MARGINALMENTE O

POTENZIALMENTE RESECABILI

In questo gruppo troviamo sia i) pazienti in cui la resezione è tecnicamente fattibile ma i margini appaiono inadeguati radiologicamente e sono presenti uno o più importanti fattori prognostici negativi (pazienti marginalmente operabili) sia ii) pazienti in cui la chirurgia sulle metastasi potrebbe essere attuabile ma solo a patto di una riduzione del volume tumorale e/o della scomparsa di alcune lesioni (epatiche o extra-epatiche).

È stato dimostrato che una chemioterapia di prima linea aggressiva con regimi di combinazione (doppiette o triplette o doppiette + farmaci biologici) può condurre, in caso di risposta, alla resezione radicale delle metastasi, dando a questi sottogruppi di pazienti una chance di sopravvivenza a lungo termine o di guarigione.

Elemento chiave in questo caso è rappresentato dalla riduzione di volume della neoplasia, come riportato da un’interessante analisi retrospettiva che ha dimostrato una correlazione diretta tra il tasso di risposta alla chemioterapia di prima linea e il tasso di resezioni radicali post-chemioterapia47.

Nello studio del Groupe Cooperateur Multidisciplinaire en Oncologie (GERCOR) pazienti con mCRC sono stati randomizzati a ricevere un trattamento in prima linea per la malattia metastatica con FOLFIRI ogni 2 settimane seguito da FOLFOX-6 ogni 2 settimane alla progressione (braccio A) oppure a ricevere prima FOLFOX-6 e poi FOLFIRI (braccio B). Entrambi i bracci hanno dimostrato efficacia e attività sovrapponibili con una sopravvivenza mediana di 21.5 mesi nel braccio A e di 20.6 mesi nel braccio B. Il tasso di resezioni era più alto nel braccio

(27)

23 B (9% vs 22%, p=0.029) ma l’aumento di resezioni R0 non si è dimostrato statisticamente significativo (7% vs 13%, p=0.26). Le doppiette possono quindi essere considerate sostanzialmente equivalenti nel setting neoadiuvante.

Lo studio GERCOR ha inoltre suggerito che l’esposizione dei pazienti con mCRC a tutti e tre i farmaci più attivi, indipendentemente dalla sequenza con cui vengono utilizzati, è associata a risultati decisamente positivi in termini di sopravvivenza. Inoltre un’analisi combinata di sette studi di fase III48 ha dimostrato che se i pazienti ricevono tutti e tre i farmaci attivi (in maniera concomitante o sequenziale) durante la malattia hanno un vantaggio in sopravvivenza. La stessa analisi mostra come nel trattamento sequenziale, non tutti i pazienti che progrediscono dopo la chemioterapia di prima linea potranno ricevere il trattamento di seconda linea e quindi non saranno esposti ai tre farmaci. Sulla base di queste considerazioni e allo scopo di migliorare l’attività dei regimi convenzionali di trattamento di prima linea Falcone e Coll hanno condotto, in pazienti con metastasi inizialmente non resecabili, uno studio di fase I-II per valutare l’attività di un regime chemioterapico a base di irinotecano e oxaliplatino, LV e 5FU in infusione cronomodulata49, seguito poi da uno studio di fase II in cui è stato sviluppato un regime di associazione semplificato con la tripletta (FOLFOXIRI)50.

Lo studio pilota ha arruolato 42 pazienti, di cui 11 sono stati sottoposti a resezione della malattia residua, il trattamento ha dimostrato di avere tossicità accettabili e maneggevoli, sono state riscontrate una PFS e un OS rispettivamente di 10.4 e 26.5 mesi. Nello studio di fase II è stato riscontrato un RR del 72% (95% IC 0.53-0.86), un tasso di resezione radicale delle metastasi post chemioterapia del 25% e dopo un follow-up mediano di 18.1 mesi, una PFS mediana di 10.8

(28)

24 mesi e una OS mediana di 28.4 mesi.

L’analisi combinata di entrambi gli studi ha dimostrato inoltre che nel 26% dei pazienti è stato possibile effettuare dopo la chemioterapia una resezione secondaria R0 da sola (16%) o associata a RFA (10%) della malattia residua51, permettendo di ottenere un tasso di sopravvivenza a 4 anni del 37%.

Partendo da questi risultati il Gruppo Oncologico Nord Ovest (G.O.N.O.) ha messo a confronto, in uno studio multicentrico di fase III il regime semplificato di FOLFOXIRI con il regime standard FOLFIRI, arruolando 244 pazienti con CRC con metastasi inizialmente non resecabili52. Va detto che nei pazienti che

ricevevano FOLFIRI era raccomandato un trattamento a base di oxaliplatino al momento della progressione.

Il trattamento con la tripletta ha dato luogo a un RR del 66% vs 41% del braccio di controllo con solo FOLFIRI (p=0.002) e a un maggior numero di resezioni radicali delle metastasi (15% vs 6%; p=0.033); nei pazienti con metastasi confinate al fegato, il tasso di resezioni R0 è stato del 36% per la tripletta vs 12% per la doppietta. Anche all’analisi multivariata è stato confermato il ruolo determinante della tripletta nel condurre a resezioni R0 (HR 3.1; 95% IC 1.2-7.9; p=0.018). E’ stato osservato inoltre un aumento della PFS (9.8 vs 6.9 mesi; HR 0.63; p=0.006) e dell’OS (22.6 vs 16.7; HR 0.70; p=0.032), il trattamento ha comportato un aumento della neurotossicità di grado 3 (19% vs 0%; p<0.001) e della neutropenia di grado 3/4 (50% vs 28%; p<0.001). Una nuova analisi retrospettiva condotta sui 196 pazienti trattati nell’ambito dei tre studi citati con il regime FOLFOXIRI, ha mostrato che il 19% dei pazienti sono successivamente andati incontro a chirurgia secondaria R0 (+/-RFA) sulle metastasi (tale percentuale saliva al 34% considerando pazienti con malattia

(29)

25 confinata al fegato). Dopo un follow-up mediano di 67 mesi la sopravvivenza a 5 e 8 anni era rispettivamente del 42% e 33%53.

È bene tener presente nella gestione globale del paziente che la terapia sistemica può causare specifiche tossicità epatiche, in particolare, il trattamento con oxaliplatino è associato a dilatazione sinusoidale54, quello con irinotecano a

steatoepatite55, anche se in realtà non è mai stata dimostrata chiaramente una

relazione diretta tra intensità della chemioterapia e morbidità o mortalità post-resezione56, le complicanze sembrano aumentare con trattamenti prolungati57.

1.1.3.3 PAZIENTI CON METASTASI MAI RESECABILI

Pazienti con i) malattia diffusa/aggressiva e mai operabili per estensione di malattia o con ii) deterioramento del PS dovuto alla malattia o entrambe le caratteristiche. Tra i fattori prognostici negativi da considerare per stimare l’aggressività

della malattia bisogna valutare: la modalità di comparsa delle metastasi, sincrone o metacrone, il numero delle sedi di malattia, livelli elevati di LDH, ALP e leucociti, bassi livelli di emoglobina, condizioni generali scadute a causa della neoplasia58.

Goldberg e Coll59 hanno mostrato in un’analisi combinata di nove studi di

prima linea in pazienti con mCRC che il PS 2 è un fattore prognostico negativo ma non influenza il beneficio ottenuto con le terapie di combinazione. Infatti, nei pazienti con PS di grado 0-1 la PFS mediana era di 7.2 vs 4.9 mesi nei pazienti con PS 2 (HR 1.52, 95% CI 1.38-1.66, p<0.0001), ma i soggetti con PS 2 trattati con terapia di combinazione ottenevano una PFS mediana di 5.8 mesi, significativamente superiore rispetto alla mediana di 3.6 mesi dei pazienti trattati in monoterapia (HR 0.78, 95% CI 0.62-0.98, p< 0.0001). In particolare, le

(30)

26 doppiette con 5FU infusionale e oxaliplatino o irinotecano confrontate con il trattamento con 5FU in monochemioterapia hanno mostrato una maggiore attività in tutti i soggetti trattati, ma i pazienti con PS 2 ne hanno tratto il beneficio relativo maggiore (pazienti PS 0-1 PFS 8.7 mesi vs 6.3 mesi HR 0.72, 95% CI 0.67-0.77, p< 0.0001; pazienti PS 2 PFS 6.9 mesi vs 3.2 mesi, HR 0.64; 95% CI 0.50-0.81, p< 0.0003; all’analisi di interazione p=0.039) a prezzo di un incremento di nausea, vomito e mortalità a 60 giorni. Grothey e Coll hanno valutato l’effetto terapia di combinazione più aggressiva in prima linea nei pazienti che a causa del cattivo PS o dell’aggressività della malattia avranno poche possibilità di ricevere un trattamento di seconda linea.

Anche in questo gruppo di pazienti una terapia di combinazione a 2 o 3 farmaci in prima linea risulta essere la strategia preferibile. L’utilizzo della tripletta può permettere ai pazienti di beneficiare degli effetti dei tre farmaci più attivi contemporaneamente. Anche in questo caso bisogna tener conto dell’obiettivo che si vuole raggiungere con la terapia, la strategia più efficace infatti può determinare una rapida riduzione dei sintomi e ritardare l’insorgenza dell’insufficienza epatica, se c’è un coinvolgimento importante del fegato a prezzo però di un’aumentata tossicità.

1.1.3.4 PAZIENTI NON OPERABILI CON MALATTIA

DIFFUSA/INDOLENTE E SENZA DETERIORAMENTO DEL PS DOVUTO ALLA MALATTIA

I pazienti con queste caratteristiche rappresentano un gruppo consistente dei soggetti affetti da mCRC. L’obiettivo primario della terapia in questo caso è di

(31)

27 prolungare il più possibile la sopravvivenza senza compromettere la qualità di vita, posticipando la comparsa della fase sintomatica e non esponendo i pazienti a tossicità inutili. I trial FOCUS e CAIRO hanno mostrato che in questi gruppi selezionati di pazienti le strategie che utilizzano un singolo farmaco in prima linea seguito poi da una doppietta non sono inferiori in termini di OS a strategie che utilizzano la doppietta in prima linea.

Il trial FOCUS60 ha assegnato 2135 pazienti a 3 strategie di trattamento:

- Strategia sequenziale a singolo agente: 5FU seguito alla progressione da irinotecano (Braccio A);

- Strategia sequenziale con doppietta in seconda linea: 5FU seguito da FOLFIRI (Braccio B) o da FOLFOX (Braccio D);

- Strategia di combinazione con doppietta in prima linea: FOLFIRI (Braccio C) e FOLFOX (Braccio E).

I pazienti nel braccio A hanno avuto l’outcome peggiore con un OS di 13.9 mesi vs 15.0 mesi dei pazienti nel braccio B, 15.2 del braccio D, 16.7 mesi del braccio C e 15.4 mesi del braccio E. Il confronto di ogni gruppo con il braccio di controllo ha mostrato che solo i pazienti del gruppo C avevano un vantaggio statisticamente significativo (p=0.01), il confronto globale di non inferiorità tra braccio B+D (terapia sequenziale con doppietta in seconda linea) e braccio C+E (terapia di combinazione con doppietta in prima linea) ha mostrato un HR di 1.06, 90% CI 0.97-1.17.

Sulla base di questi dati gli autori hanno proposto che nel setting non curativo in prima linea bisogna utilizzare il trattamento più tollerabile, l’approccio sequenziale con la doppietta in prima o seconda linea sono entrambi validi e possono essere proposti al paziente.

(32)

28 Confronti con altre casistiche in popolazioni analoghe fanno considerare come i risultati in termini di OS ottenuti in questi studi siano piuttosto deludenti (OS mediane decisamente inferiori ai 20 mesi ottenute con i trattamenti con doppietta o tripletta in prima linea). E’ da notare che solo pochi pazienti inseriti in questo studio abbiano ricevuto i tre farmaci: il 19% nei bracci B e D e il 33% nei bracci C ed E.

Lo studio CAIRO61 ha randomizzato 820 pazienti a ricevere

sequenzialmente capecitabina (1a linea), irinotecano (2a) e

capecitabina+oxaliplatino (3a) oppure capecitabina+irinotecano (1a) e capecitabina+oxaliplatino a progressione (2a).

La differenza tra i due gruppi in termini di OS mediana non ha raggiunto la significatività statistica (16.3 vs 17.3 nei due bracci rispettivamente, p=0.3281, HR 0.92, 95% CI 0.79-1.08).

In conclusione, ad oggi, una strategia che preveda l’impiego up-front di una doppietta rimane nonostante i dati degli studi FOCUS e CAIRO la più praticata anche in pazienti non resecabili con un buon PS e con malattia poco aggressiva, sebbene sia un dato di fatto che strategie meno aggressive possano essere considerate delle alternative percorribili in casi selezionati.

1.1.3.5 PAZIENTI CON ELEVATO RISCHIO DI TOSSICITÀ PER COMORBIDITÀ O ETÀ O ENTRAMBE

I dati relativi a questo gruppo di pazienti sono piuttosto scarsi, infatti i pazienti anziani o con insufficienza epatica o renale o altre comorbidità importanti sono spesso esclusi o poco rappresentati nei trials clinici. In questa categoria di

(33)

29 pazienti elementi decisionali fondamentali sono l’esperienza del medico e le aspettative del paziente. Le strategie utilizzate possono essere: la terapia di supporto, la chemioterapia con singolo farmaco o di combinazione entrambe con dosaggi modificati empiricamente.

1.1.4 SCREENING E DIAGNOSI PRECOCE

Le attuali conoscenze sul CRC dimostrano come la sua evoluzione sia lenta. Infatti, la maggior parte dei CRC sono adenocarcinomi e derivano dalla trasformazione di un polipo adenomatoso attraverso la sequenza adenoma-carcinoma. E' acquisizione recente che lo sviluppo, la crescita e l’eventuale trasformazione maligna dei polipi adenomatosi sono associate all'accumulo di alterazioni di oncogeni e geni oncosoppressori. Talune alterazioni genetiche, quando ereditate e presenti in tutte le cellule dell'organismo, predispongono all'insorgenza dei CRC ereditari. Per questo motivo, lo screening è uno strumento importante per la diagnosi precoce e per organizzare una migliore strategia terapeutica. Esistono chiare evidenze che la riduzione della mortalità per CRC può essere ottenuta attraverso l'identificazione e il trattamento della neoplasia in stadio precoce e soprattutto con l'asportazione dei polipi adenomatosi, precursori del CRC.

Più frequentemente i fattori ambientali alterano direttamente, nel corso della vita, il DNA delle cellule epiteliali della mucosa intestinale, inducendo o favorendo la progressione tumorale. L'obiettivo di questi screening è quello di ridurre in modo significativo l'incidenza e la mortalità per carcinoma colorettale attraverso varie strategie:

(34)

30

 Prevenzione primaria

 Prevenzione secondaria

 Diagnosi precoce

 Sorveglianza di soggetti a rischio elevato

 Informazione della popolazione

I programma di screening del colon-retto sono rivolti solitamente a uomini e donne dai 50 ai 69 anni di età. È un intervento di prevenzione attiva mediante il test di ricerca di sangue occulto nelle feci e successiva colonscopia nei casi positivi, con ripetizione regolare ogni due anni. Lo screening può consentire il riscontro e la rimozione di precursori (adenomi) prima della trasformazione in carcinoma e la diagnosi di carcinomi in stadio iniziale, con conseguente riduzione della mortalità sia per riduzione dell’incidenza che per il riscontro di carcinomi in stadi più iniziali, e quindi suscettibili di guarigione dopo terapia. I programmi di screening regionali presentano marcate differenze di estensione tra Nord e Sud dell’Italia: dati riferiti all’anno 2011 mostrano un coinvolgimento di circa il 69% della popolazione in età 50-69 anni, con un 55% di persone che ricevono effettivamente la lettera dinvito62.

1.1.4.1 TEST DIAGNOSTICI

Ricerca di sangue occulto nelle feci

Si tratta di un test di screening da effettuare annualmente. Deve essere fatto su tre defecazioni consecutive; se positivo il corretto approfondimento diagnostico è la colonscopia, in alternativa la rettosigmoidoscopia e il clisma opaco a doppio contrasto.

(35)

31  Rettosigmoidoscopia

La rettosigmoidoscopia si avvale di un endoscopio per esplorare la parte terminale dell’intestino crasso (colon sigma e retto). I polipi evidenziati possono essere asportati endoscopicamente; ma comunque deve essere consigliata l’esplorazione di tutto il colon, con colonscopia, per escludere altre proliferazioni nei distretti non esplorati. L’unione di questa tecnica di screening con la precedente aumenta in percentuale il riconoscimento di lesioni neoplastiche.

Clisma a doppio contrasto

È una radiografia dell’intestino, previa introduzione di una miscela di aria e bario, che funge da mezzo di contrasto. Non può essere considerato un valido test di screening dal momento che può non evidenziare piccoli polipi, non permette l’esecuzione di biopsie, né l’asportazione di polipi. Nei casi dubbi è sempre indicata l’esecuzione di colonscopia.

Colonscopia

Questo esame permette la visualizzazione di tutto il colon, l’identificazione e asportazione di tutti i polipi nonché la possibilità di effettuare biopsie. Non mancano degli svantaggi che includono la preparazione, il disagio per il paziente, potenziali complicanze, i costi e la possibile carenza di strutture. In virtù del lungo effetto protettivo e dell’alta sensibilità la colonscopia può essere considerata il più efficace test di screening. Per ovviare al disagio derivante da una colonscopia normale recentemente è stata messa a punto la colonscopia virtuale, un esame di tomografia assiale computerizzata (TAC) dell’addome, eseguito dopo aver disteso il colon con aria o anidride carbonica. Completato l’esame, le immagini TAC sono inviate a un computer ed elaborate da un software dedicato che consente la

(36)

32 visualizzazione della superficie interna del colon in 2 e 3 dimensioni. In caso di riscontro di polipi o tumori il soggetto dovrà comunque eseguire una colonscopia tradizionale per la biopsia o una polipectomia.

1.2 IRINOTECANO

1.2.1 STRUTTURA MOLECOLARE

L’irinotecano (CPT-11- Figura 4) è uno dei farmaci antitumorali più utilizzati in oncologia. È impiegato da solo o in associazione con altri farmaci nel trattamento di varie neoplasie ma in particolare nel carcinoma colon-retto. È un profarmaco ed è un derivato semisintetico della camptotecina, che agisce come inibitore della topoisomerasi I. Le topoisomerasi sono enzimi ubiquitari, presenti in eucarioti, procarioti e virus, che hanno il compito di risolvere i superavvolgimenti del DNA per permettere lo svolgimento delle funzioni cellulari vitali: replicazione, trascrizione e mitosi63.

(37)

33 Le topoisomerasi I sono l’unico bersaglio di una classe di droghe della famiglia dei chinoloni, che hanno come capostipite la camptotecina64-65. La

camptotecina è un alcaloide indolo monoterpenoide presente nella corteccia, nel legno e nei frutti di una pianta asiatica della famiglia delle Nyssaceae, la Camptotheca acuminata66. Questa molecola presenta un sistema di anelli penta

ciclico che comprende una subunità chinolinica (anelli A e B) fusa attraverso due anelli interposti (C e D) ad un anello terminale α-idrossi-δ-lattone con un centro chirale nella posizione C- 2066 (E) (figura 5). Studi di rimozione degli anelli A, A-B o A-A-B e C hanno mostrato che i composti tetra, tri e biciclici che si vengono a formare sono privi di attività inibitoria67; mentre l’aggiunta di un ulteriore anello,

con la formazione di derivati esaciclici, non determina alcuna alterazione dell’efficacia. Quindi lo scheletro di cinque anelli rappresenta la struttura minima richiesta per l’attività del farmaco68 e la sua configurazione planare è essenziale

per l’inibizione della topoisomerasi I.

Altre caratteristiche possono però alterare la citotossicità evidenziando un decremento nell’efficacia, quali modificazioni dell’anello E, che coinvolgono il 20-(S)-idrossile o il gruppo α-idrossilattonico, modificazioni del gruppo piridone dell’anello D, sostituzioni nella posizione 12 dell’anello A o la saturazione dell’anello B69-72 al contrario, ben tollerate e spesso stimolatrici della tossicità del

farmaco sono le sostituzioni nelle posizioni 9, 10 e 11 dell’anello A73,74. Ad

esempio la camptotecina presente in natura nella forma 20 (S) è in grado d’inibire la topoisomerasi I 10-100 volte più potentemente dell’isomero 20 (R)75. Un’ulteriore caratteristica strutturale importante riguarda il gruppo α-idrossilattonico dell’anello E che è soggetto ad idrolisi spontanea e reversibile portando all’apertura dell’anello, forma carbossilata, a pH neutro o alcalino.

(38)

34 Quindi in soluzione si viene a creare un equilibrio dinamico pH dipendente tra la forma lattonica ad anello chiuso e quella carbossilica. Figura 5.

Figura 5. Struttura della molecola della camptotecina

La forma carbossilica, molto più solubile, è considerata quasi del tutto inattiva, mentre la forma lattonica è quella che presenta un’attività citotossica più elevata, ma una solubilità inferiore76,77. In alcuni distretti dell’organismo umano in

cui vi è un’alta acidità (ad esempio la vescica), l’acido carbossilico si converte in lattone, comportando forti effetti collaterali come gravi cistiti emorragiche. Inoltre, la sua scarsa solubilità ha comportato problemi nella somministrazione, tanto che la sua sperimentazione clinica è stata fermata nel 1972. Per questi motivi la camptotecina non è impiegata nella cura di alcuni tumori come quello delle ovaie e quello colon-rettale, ma si preferiscono dei suoi derivati maggiormente solubili come il topotecano e l’irinotecano.

L’irinotecano (7-etil-10[4-(1-piperidin)-1-piperidin]

carbonilossicamptotecina), o Camptosar è attivo contro il cancro dei polmoni, della cervice e delle ovaie78. La caratteristica peculiare di questa droga è la sua

A B C D E 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23

(39)

35 estesa catena laterale dipiperidinica, che rende il farmaco molto solubile, ma sostanzialmente inattivo, e l’eliminazione di questa, grazie all’attività di carbossilesterasi (soprattutto nel fegato e nel distretto gastrointestinale), determina la formazione del metabolita attivo SN-38, che è 1000 volte più potente dell’irinotecano. Figura 6.

Figura 6. Equilibrio della CPT-11 e dell’ SN-38 in forma lattonica e carbossilata

L’attivazione dell’irinotecano avviene tramite l’attacco della Ser-OH della carbossilesterasi (Step 1) con formazione dell’SN-38 e 4PP carbossilato; quest’ultimo idrolizza spontaneamente a 4PP e CO2 dopo la fase 279. Figura 7.

(40)

36

Figura 7. Attivazione di CPT-11

1.2.2 ANABOLISMO

L’attivazione del metabolita SN-38 dipende dalle isoforme della carbossilesterasi 1 (hCE1) e 2 (hCE2), la cui attività rimuove il gruppo dipiperidinico dalla molecola (Figura 8). L’hCE1 differisce solo per sei aminoacidi dall’hCE279.

L'importanza di hCE (in particolare l'isoforma 2) nell'attivazione del farmaco e nell'effetto citotossico è stata dimostrata in studi preclinici80,81.

Tuttavia, uno studio recente dimostra che l'alta espressione della hCE1 nel fegato contribuisce l’attivazione del CPT-11 fino al 50%, nonostante che l’isoforma è 100 volte meno efficiente che hCE282. Gli stessi autori riferiscono che nei

fumatori, gli estratti microsomiali di polmone sono più efficienti nella attivazione della droga, e quindi sosteniamo il ruolo di fumo come possibile fattore di

(41)

37 variabilità nei CPT-11 farmacocinetica. L'attività di misura del plasma hCE non sembra associato con l'esposizione relativa di tessuti in SN-3883, nonostante

l'espressione hCE2 in cellule periferiche mononucleate del CPT-11 prevede l'attivazione in SN-3884. Il rapporto della concentrazione plasmatica di

CPT-11/SN-38 è di circa 10:1, ma vale la pena notare che l'irinotecano ha un'attività citotossica trascurabile se confrontato con il principale metabolita SN-38 (100-1000 volte più potente del farmaco profarmaco) 85.

Figura 8. Meccanismo di attivazione metabolica del CPT-11 che deve essere trasformato

(mediante de-esterificazione) in SN-38 per esercitare la sua attività citotossica

I percorsi alternativi del metabolismo del CPT-11 coinvolgono le isoforme CYP (principalmente 3A4)86, con la produzione di

7-etil-10-[4-N-(acido5-aminopentanoico)-1-piperidino]-carbonilossi-camptotecina (APC) e 7-etil-10-(4-amino-1-piperidino)-carbonilossi-camptotecina (NPC), essendo quest'ultima ulteriormente trasformato in SN-38 dai microsomi del fegato e carbossilesterasi

(42)

38 del fegato. Altri 4 metaboliti minori, denominato M1 fino a M4, sono stati identificati in campioni di urine dei pazienti trattati con CPT-11, e studi in vitro hanno dimostrato che le isoforme CYP3A4 e CYP3A5 contribuiscono alla loro produzione partendo dall’irinotecano86. Figura 9.

Figura 9. Biotrasformazione del CPT-11

1.2.3 MECCANISMO D’AZIONE

Le DNA topoisomerasi sono una classe di enzimi ubiquitari presenti in tutti gli organismi viventi87. Il ruolo fondamentale delle topoisomerasi deriva dalla

struttura a doppia elica del DNA: per molti processi che richiedono l’accesso alle informazioni contenute nell’acido nucleico, i due filamenti devono essere separati temporaneamente - come nel caso della trascrizione o della ricombinazione - o

(43)

39 permanentemente - come nella replicazione; durante questi eventi, il DNA subisce degli stress torsionali che portano a dei superavvolgimenti della molecola e, per poter essere correttamente processato, deve diventare accessibile alle polimerasi o ai componenti del complesso della trascrizione. Le DNA topoisomerasi risolvono i problemi topologici permettendo la conversione di un isomero topologico in un altro: reazione comune a tutte le topoisomerasi è il taglio temporaneo del DNA con conseguente formazione di un legame fosfodiestereo transiente tra un residuo tirosinico presente nell’enzima e l’acido nucleico, la conversione della molecola di DNA in un suo isomero topologico e la successiva saldatura della rottura precedentemente introdotta. Figura 10.

Figura 10. Meccanismo d’azione della Topoisomerasi I

La DNA topoisomerasi umana I appartiene alla sottofamiglia delle topoisomerasi di tipo IB. Strutturalmente la proteina di 91 KDa è divisa in quattro domini distinti (Figura 11):

• un dominio N-terminale di 214 amminoacidi, responsabile dell’attività di rilassamento, che costituisce una regione idrofila, non strutturata e altamente sensibile alle proteasi;

(44)

40 i residui catalitici ad eccezione della tirosina del sito attivo;

• un linker domain di 77 amminoacidi, sensibile alle proteasi e poco conservato;

• un dominio C-terminale altamente conservato, di 53 amminoacidi, che comprende la tirosina in posizione 723 del sito attivo.

Figura 11. Domini strutturali della topoisomerasi I umana: si possono distinguere un dominio N-terminale (bianco), un

core domain (grigio), un linker domain (righe diagonali) e un dominio C-terminale (nero)

In vivo l’azione di tale farmaco porta all’arresto del ciclo cellulare in fase G2 o ad apoptosi in fase S. Irinotecano e SN-38 esercitano un effetto citotossico contro le cellule vincolante la topoisomerasi I , enzima nucleare, compromettendo la sua funzione ligasi88. Il complesso ternario (metabolita) / topoisomerasi I /

DNA diventa presto stabilizzato e si rompe il singolo filamento all'interno della doppia elica del DNA e porta alla morte cellulare. Figura 12.

L’identificazione delle topoisomerasi come bersaglio critico di farmaci antitumorali risale a metà degli anni ’80: in seguito all’osservazione che certi composti inducevano delle lesioni al DNA in cellule di cancro in vivo89, tali lesioni vennero identificate come rotture a singolo e a doppio filamento associate

(45)

41 alle topoisomerasi. I farmaci erano in grado di interferire con il meccanismo di rottura-saldatura proprio del ciclo catalitico dell’enzima, bloccandolo in una

conformazione intermedia chiamata “cleavage complex”90. In questa

conformazione, l’enzima è legato covalentemente al DNA, mascherando il sito di taglio: gli inibitori delle topoisomerasi I stabilizzano il legame covalente tra l’enzima e l’estremità 3’ del DNA91.

Durante la fase S, SN38 interagisce con il transitorio cleavable complex tra DNA e topoisomerasi I (Top-I), stabilizzando e impedendo la ricucitura del filamento tagliato e la dissociazione del complesso DNA-Top-I, procurando danni al DNA, l'arresto G2, o apoptosi92.

(46)

42

1.2.4 CATABOLISMO

SN-38, il metabolita attivo del CPT-11, è substrato di uridina-glucuroniltransferasi (UGT) isoforma 1A193, e, come riportato da alcuni autori, di

isoforme 1A7 e 1A994-95. L’SN-38 glucuronide (SN-38glu) è principalmente

escreto per via biliare, mentre la clearance renale rappresenta solo il 30% del totale della clearance dell’SN-3896. Il passaggio di CPT-11 e SN-38 dal fegato al sistema biliare è assicurato dalla presenza di trasportatori transmembrana appartenenti alla superfamiglia ABC97; ma ABCG2 sembra giocare un ruolo limitato della farmacocinetica di irinotecano98. All'interno del lume intestinale,

CPT-11 e SN-38 vengono rilasciati dai trasportatori e sono glucuronati dalle beta-glucuronidasi prodotte dalla flora intestinale, e il metabolita attivo può essere ulteriormente assorbito o può esercitare un effetto citotossico contro l'epitelio intestinale con la comparsa seguenti di diarrea. Nel plasma, le concentrazioni di SN-38 sono superiori a quelli della specie non coniugata, ma entrambi i metaboliti hanno emivita terminale (47,0 ± 7,9 e 39,2 ± 24,3 h, rispettivamente) più lungo di quello calcolato per il farmaco di origine99. L’SN-38G è escreto per via biliare e de-coniugato anche esso da beta-glucuronidasi in SN-38 nell’intestino100.

1.2.5 FARMACOCINETICA

Lo studio della farmacocinetica del CPT-11 riveste particolare importanza per quanto riguarda la scelta di modalità e vie di somministrazione disponibili per questo farmaco. Chiaramente, la disponibilità di un’adatta formulazione orale di CPT-11 permetterebbe un uso più conveniente. Quando il fegato e intestino

(47)

43 umano sono state incubate con CPT-11, il farmaco è stato per lo più idrolizzato in SN38 dal fegato, duodeno, digiuno e ileo e meno da colon e retto101-102.

Poiché è stato scoperto che le CEs sono ampiamente espresse nel fegato umano e nel tratto gastro-intestinale, può essere possibile somministrare l’irinotecano per via orale101,103, in modo efficace, prendendo in considerazione che potrebbe avere

luogo il sostanziale metabolismo presistemico. Il basso pH dello stomaco può essere favorevole per la conservazione del CPT-11 nella sua forma lattonica101.

La somministrazione intraperitoneale (i.p.) del CPT-11 è stata studiata di recente e può avere qualche vantaggio oltre alla via i.v. .Se la somministrazione i.p. di CPT-11 non dimostra di avere maggiore tossicità locale, questa via potrebbe essere una risorsa per la terapia adiuvante del tumore del colon-retto. La via endovenosa è quella più usata per la somministrazione del CPT-11. Molti studi hanno esaminato l’escrezione di CPT-11 nella bile, feci, e urine sia sull’uomo che sugli animali.

Nelle urine, CPT-11, APC e SN-38G sono i composti principali rilevati entro 24 ore dopo la somministrazione dell’irinotecano96,104. Il CPT- 11

rappresenta circa il 10-22% della dose somministrata e SN-38 contribuisce solo per 0,18-0,43%96,105,106. Coerente con la natura altamente polare del gruppo dell’acido glucuronico e una maggiore solubilità in acqua, SN-38G può essere escreto rapidamente per via renale104. L'escrezione cumulativa di APC e NPC è

molto basso, pari a meno di 1% della dose104. Questo suggerisce che la maggior

parte del CPT-11 e dei suoi metaboliti sono escreti durante le prime 24 ore dopo la somministrazione, mentre la valutazione del recupero urinario radiomarcato del CPT-11 oltre 196 ore ha inoltre dimostrato che l'escrezione è pressoché completa entro 48 ore96(Tabella 8). In alcuni pazienti sono stati misurate le concentrazioni

(48)

44 di CPT-11 e SN-38 nella bile96,105,106. La secrezione biliare di CPT- 11, SN-38 e SN-38G varia rispettivamente tra 3-22%, 0,1-0,9% e 0,6-1,1% (100). L’NCP è stato rilevato anche nella bile in concentrazioni molto basse107. L'escrezione fecale

è la principale via di eliminazione del farmaco, con 63,7% del farmaco somministrato recuperato96. Le concentrazioni inaspettatamente elevate di SN-38

e le concentrazioni basse di SN-38G nei campioni fecali sono suggestivi per l’attività sostanziale della beta-glucuronidasi nell’intestino umano e, di conseguenza, il rapporto SN-38/SN-38G era relativamente alto in tutti i pazienti96,104. SN-38, APC e NPC sono escreti principalmente con le feci; 2,5% e 1,7% rispettivamente per SN-38 e NPC104.

Tabella 8. Escrezione urinaria e fecale del CPT-11 e metaboliti

1.2.6 IMPIEGHI TERAPEUTICI

Il CPT-11 è approvato per l’uso clinico nel trattamento del carcinoma colo-rettale in seconda linea dopo trattamento con fluoropirimidine. In un ampio studio di fase III multicentrico su 385 pazienti, il trattamento con la combinazione CPT-11/5-FU/LV si è associata ad una più alta percentuale di risposta (35 vs 22%), maggiore durata del tempo alla progressione (86,7 vs 4,4 mesi) e più lunga

Compound Urine Feces Total

CPT-11 22.4 ± 5.50 32.3 ± 4.47 54.7 SN-38G 3.02 ± 0.77 0.27 ± 0.17 3.29 SN-38 0.43 ± 0.12 8.24 ± 2.51 8.67 APC 2.23 ± 1.53 8.29 ± 2.95 10.5 NPC 0.14 ± 0.08 1.36 ± 0.94 1.50 Total compounds 30.2 ± 6.60 62.0 ± 7.60 92.2 Not extracted 1.25 ± 1.55 9.86 ± 3.77 11.1

(49)

45 sopravvivenza (17,4 vs 14,1 mesi) rispetto alla terapia con solo 5-FU/LV108. Nonostante la maggiore incidenza di tossicità ematologica di grado 3-4 (29 vs 21%) e diarrea (23 vs 11%), l’aggiunta di CPT-11 non ha comportato un peggioramento della qualità di vita. Un secondo studio randomizzato ha invece confrontato CPT-11 in associazione a 5-FU/LV e in bolo con un regime standard di 5-FU/LV in bolo e con CPT-11 da solo108. L’aggiunta di CPT-11 si è tradotta in un vantaggio statisticamente significativo in termini di risposte obiettive (39 vs 21%), tempo alla progressione (7,0 vs 4,3 mesi) e sopravvivenza mediana (14,8 vs 12,6 mesi)108.

Uno studio multicentrico del North Central Center Treatment Group ha invece confrontato IFL (CPT-11 e 5-FU/LV) con FOLFOX e IROX (CPT-11 e oxaliplatino ogni tre settimane) nel trattamento di prima linea della malattia avanzata108. Il regime FOLFOX ha dimostrato un prolungamento significativo

della sopravvivenza mediana (15 vs 19,5 mesi) rispetto a IFL mentre lo schema IROX si è dimostrato lievemente superiore a IFL ma significativamente meno efficace di FOLFOX in termini di tempo alla progressione, risposte obiettive e sopravvivenza mediana108. Inoltre IROX e IFL hanno presentato una maggiore

incidenza di tossicità (soprattutto diarrea e neutropenia) ad eccezione della neuropatia periferica. Uno studio randomizzato ha confrontato invece FOLFIRI seguito da FOLFOX alla progressione di malattia con la sequenza inversa. Nei 226 pazienti trattati non si sono evidenziate differenze significative in termini di tempo alla progressione dopo la prima linea , tasso di risposte obiettive in prima linea e sopravvivenza mediana108. FOLFOX dopo progressione si è invece

dimostrato superiore a FOLFIRI per quanto riguarda tempo alla progressione (4,2 vs 2,5 mesi) e risposte obiettive (15 vs 4,5%). Da segnalare che in entrambi gli

Figura

Tabella 1: AIRTUM 2006-2009. Tassi di incidenza standardizzati sulla popolazione europea per  area geografica e sesso.
Tabella  4:  AIRTUM:  AIRTUM  2006-2009.  Tassi  di  mortalita  standardizzati  sulla  popolazione  europea  per  area  geografica  e  sesso
Tabella  5:  Probabilità  di  sopravvivere  5  anni  a  partire  da  un  anno  e  da  5  anni  dal  momento della diagnosi
Figura 2: Tumore del colon, maschi e femmine
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