Introduzione
La perequazione urbanistica può essere affrontata ed esaminata sotto molteplici aspetti. Diverse sono le teorie e le posizioni che si sono delineate in merito a tale strumento.
Perequazione urbanistica è, secondo alcuni, una tecnica pianificatoria attraverso la quale si realizza l’equa distribuzione di costi/ vantaggi derivanti dalla pianificazione urbana ( operazione posta in essere dalla Pubblica Amministrazione), secondo altri è un obiettivo, una finalità.
La P.A., specialmente nell’ultimo ventennio, ha scelto di adempiere ai propri compiti, di raggiungere i propri obiettivi attraverso la ricerca del consenso dei privati cittadini, mirando ad eliminare, quanto più possibile, le discriminazioni tra proprietari che, essendo “colpiti” da vincoli urbanistici risultano “sconfitti” dal piano regolatore.
Attraverso l’analisi, condotta all’interno del seguente trattato, emergono non solo buoni propositi ma, soprattutto, l’adozione di un istituto, gestito su base regionale/ metropolitana, privo di una legislazione unitaria, statutaria.
Nonostante la Giurisprudenza si sia espressa in termini favorevoli, i quesiti da porsi necessariamente non sono pochi: lo strumento perequativo è costituzionalmente lecito?
Si può parlare di giustizia distributiva (obbiettivo decantato da chi applica questo strumento) quando da regione a regione c’è un divario di trattamento rispetto a soggetti parimenti meritevoli di tutela dal punto di vista costituzionale?
E’ corretto lasciare in balia di polemiche e contraddizioni uno strumento che, in maniera concreta, riguarda in prima persona i privati cittadini, contraenti deboli e volenterosi (a ragion veduta) di vedersi riconoscere il giusto valore del suolo di cui ne vantano piena proprietà?
L’analisi dello sviluppo storico, delle continue riforme legislative, del piano regolatore e dell’applicazione dello strumento perequativo a Firenze e Milano ci permetteranno di mettere in risalto luci ed ombre della perequazione urbanistica, di cui tanto si decanta l’efficacia, ma di cui realmente pochi riescono, mediante attenta analisi a dimostrarne l’efficacia applicativa, senza privarlo di quella natura costituzionale che, vista la portata nazionale, dovrebbe avere insita.
Ricostruire l’animus della l. 1150/ 1942 per arrivare al d.l. 70/2011, cercando di captare quelle che sono state esigenze e volontà; quello che è il quadro delineato e generico non può non occuparsi anche dei vari modelli perequativi, della differenza tra perequazione e compensazione, evitando così ulteriori polemiche e confusione.
Nell’ambito perequativo, assumono rilevanza gli effetti da questa prodotti, diventa infatti di primaria importanza non solo cercare l’accordo ma anche valutare quelli che sono aspetti giuridico-economici.
Non rientra in quelle che sono le intenzioni di chi scrive demonizzare questo strumento, vorrei essere equa e giusta nel far emergere le più disparate posizioni, si deve tener presente che quella che stiamo analizzando è comunque una disciplina tecnica e precisa, questo lo dimostra il fatto che per la stesura di un intero capitolo, il quarto, mi sono avvalsa di documentazione, schemi e grafici provenienti da studi di architetti, altri grandi professionisti protagonisti della polemica, calcoli e interessi sono alla base, questo genera scontro e contrasto.
La dottrina, a differenza della giurisprudenza, si spacca in due, una corrente si manifesta in aperto contrasto con questo strumento, accusandolo di investire interessi costituzionalmente garantiti e disciplinati; altra corrente dottrinale invece è portatrice di una posizione più mite, ritenendo la perequazione urbanistica una conformazione della proprietà privata, soggetta dunque a disciplina legislativa regionale.
E’ nobile il fatto che si vogliano evitare contenziosi amministrativi, derivanti da espropri ed indennizzi che più che accontentare, indispettiscono il cittadino, fanno perdere il senso di giustizia e protezione che lo Stato dovrebbe garantire; si sono spesi fiumi di parole da parte dei T.A.R., di avvocati e consulenti, ma non sarebbe stato meglio se il Parlamento si fosse assunto la responsabilità di creare una legge nazionale, con standard ed indici uguali da regione a regione, in modo da garantire al cittadino un punto di riferimento?
Ci può essere partecipazione, incontro di volontà quando c’è conoscenza completa da ambo le parti, quando a decidere si è liberi e a contrarre non si è deboli.