INDICE
PARTE I: L’ECOGRAFIA TORACICA IN UTI
1. INTRODUZIONE 2. ECOGRAFIA DEL PARENCHIMA POLMONARE 2.1 Basi anatomiche, fisiche e fisiopatologiche 2.2 La sindrome alveolointerstiziale 2.3 Consolidamento alveolare 2.4 Valutazione ecografica del reclutamento alveolare 3. ALTRE APPLICAZIONI DELL’ECOGRAFIA TORACICA IN UTIPARTE II: STUDIO CLINICO
1. INTRODUZIONE 2. OBIETTIVI DELLO STUDIO 3. MATERIALI E METODI 4. RISULTATI 5. DISCUSSIONE 6. CONCLUSIONIBIBLIOGRAFIA
PARTE I: L’ECOGRAFIA TORACICA IN UTI
1.
INTRODUZIONE
Lo studio ecografico del polmone rappresenta una tecnica innovativa di notevole interesse in terapia intensiva poiché coniuga la semplicità di esecuzione con un’elevata sensibilità e specificità per la rilevazione delle più comuni patologie polmonari. Il polmone ha lentamente trovato un posto all’interno dell’ecografia nelle emergenze ed in terapia intensiva. La semplicità della tecnica rende inspiegabile il lento sviluppo di questa disciplina. Lo stesso possiamo dire per l’utilizzo degli ultrasuoni in generale in campo intensivo. Lichtenstein fin dal 1989, utilizzando i primi ecografi in commercio quindi ben lontani dalle moderne tecnologie, ha dato un contributo eccezionale allo sviluppo di uno strumento che permettesse il facile accesso al paziente critico nella sua interezza.
Per studiare la funzionalità del polmone, il medico di terapia intensiva utilizza comunemente nella pratica clinica strumenti come l’auscultazione, radiogrammi o la tomografia computerizzata. Tuttavia gli svantaggi di tali comuni tecniche sono noti. [1] I limiti dell’auscultazione del torace nel paziente critico sono stati recentemente valutati dallo stesso Lichtenstein in uno studio comparativo con radiografia del torace ed ecografia nel paziente critico affetto da ARDS. [2] La radiografia del torace, ottenuta in UTI obbligatoriamente a letto del paziente con paziente supino, presenta svantaggi riportati in numerosi studi. Tra i principali limiti troviamo il posizionamento della cassetta a contatto con la parete posteriore del torace, la sorgente del fascio di raggi X posta anteriormente e ad una distanza minore rispetto a quella raccomandata e spesso non tangenziale alla cupola diaframmatica. [2,3]
La TC del torace è considerata il gold standard non solo per la diagnosi di numerose patologie polmonari (pneumotorace, versamento pleurico, consolidamento, atelettasia, sindrome alveolointerstiziale) ma anche per la guida di procedure terapeutiche come il posizionamento di drenaggi nello pneumotorace, empiemi ed ascessi polmonari. L’avvento della TC multistrato ha permesso di ridurre il tempo di acquisizione delle
immagini, di migliorarne la risoluzione e ridurre l’esposizione a radiazioni ionizzanti. Tuttavia la TC richiede spesso il trasporto del paziente al dipartimento di radiodiagnostica, una procedura rischiosa nel paziente critico che richiede la presenza di personale medico ed un continuo monitoraggio cardiorespiratorio, inoltre espone il paziente a radiazioni ionizzanti, limitando la ripetibilità della procedura. [3] Le qualità degli ultrasuoni nello studio del torace, ecocardiografia esclusa, hanno iniziato solo recentemente ad essere apprezzate dalla grande comunità medica. Fonti rispettabili hanno ritenuto, ed in parte questa opinione persiste, che l’applicazione degli ultrasuoni nello studio del polmone sia limitata. L’ultima edizione di uno dei principali trattati di medicina interna riporta la seguente affermazione: “Because ultrasound energy is rapidly dissipated in air, ultrasound imaging is not useful for evaluation of the pulmonary parenchyma.” Harrison’s Principles of Internal Medicine 16th Edition, 2005 [4]
2.
ECOGRAFIA DEL PARENCHIMA POLMONARE
2.1 BASI ANATOMICHE, FISICHE E FISIOPATOLOGICHE Con l’ecografia il polmone normale può essere studiato solamente nella sua porzione più superficiale. Anatomicamente il polmone mostra una differenziazione assimilabile ad una struttura corticomidollare. La “corticale”, cioè i 34 cm periferici, è composta da lobuli polmonari separati tra di loro da sottili setti fibrosi definiti appunto setti interlobulari. [14] L’interstizio polmonare può essere suddiviso in tre compartimenti: il compartimento assiale o centrale che segue i vasi e le vie aeree maggiori, il compartimento periferico che interessa la pleura e va a costituire i setti interlobulari che separano i lobuli secondari, il compartimento parenchimale fine che circonda i dotti alveolari e collega tra di loro gli altri due compartimenti. [16] L’ecografia va quindi, nel polmone normale, ad indagare la porzione “corticale”, i lobuli secondari separati dai loro setti interalveolari. La fisica spiega come l’energia con cui viene riflesso un fascio di ultrasuoni incidente su di un piano formato da mezzi con impedenza acustica diversa (interfaccia), è correlato al gradiente di impedenza acustica tra i due mezzi. Nel caso del passaggio di un’onda acustica tra tessuti ed aria, la frazione di energia incidente che viene riflessa (R) assume il valore di circa 1, quindi la frazione di energia trasmessa in profondità (1R) è quasi nulla. Questo spiega come i campi polmonari normalmente areati siano poveri di reperti. Il polmone normale presenta una ecogenicità non marcata del fondo su cui si impongono linee orizzontali rappresentate da riverberi dovuti alla riflessione quasi totale dell’onda incidente sul piano della pleura viscerale e ai multipli rimbalzi dell’onda acustica tra la linea pleurica e il trasduttore (Fig. 1) [32]. Il traduttore percepisce la distanza temporale tra i riverberi come una distanza spaziale, cioè come provenienti da un’interfaccia posta ad una distanza doppia rispetto alla precedente, dando quindi la falsa impressione dellapresenza di ulteriori interfacce oltre la prima. [15] La semeiotica ecografica chiama queste false interfacce linee A (Fig. 2). Figura 1. Disegno che mostra l’origine dei riverberi. Il fascio ultrasonoro colpisce un lato del recipiente e ritorna al trasduttore. Gli ultrasuoni di ritorno producono l’eco B. Alcuni ultrasuoni di ritorno vengono riflessi dal trasduttore e tornano al bordo del recipiente. Da qui sono riflessi al trasduttore per la seconda volta e ciò produce un’eco più debole (B’) che costituisce un riverbero. [31] Figura 2. [13] Polmone normale. Le frecce indicano le linee A generate dai riverberi della linea pleurica.
Nel caso di ispessimento dei setti interlobulari subpleurici, come si verifica in una sindrome interstiziale, il gradiente di impedenza acustica (tra aria alveolare e setti edematosi) risulta nettamente incrementato. I riverberi in questo caso si generano a livello del setto interlobulare ispessito. Quando il fascio di ultrasuoni incide sul setto ispessito, viene riflesso determinando una serie di microriflessioni o risonanze che nell’insieme appaiono come riverberi verticali iperecogeni che originano dalla linea pleurica e si estendono in profondità a tutto schermo, denominati inizialmente “comete” o “comet tails”, oggi linee B (Fig. 34). [12,18]
Figura 3. Modificato da [16] Basi fisiche ed anatomiche ipotizzate nella genesi delle linee B ecografiche. Riflessione del fascio ultrasonoro da parte dei setti interlobulari ispessiti.
Talvolta anche in un polmone normale possono comparire dei rinforzi ecogeni verticali, fissi, che mascherano le linee A e che sono stati denominati linee Z. La loro natura è incerta. Anche linee B possono comparire nel soggetto normale senza avere significato clinico se di numero inferiore ad otto bilateralmente. [13]
La dimostrazione ecografica di una sindrome alveolointerstiziale bilaterale, cioè il riscontro di multiple linee B bilaterali, indirizza la diagnosi verso un edema polmonare acuto, configurando un quadro di “wet lung”. L’assenza di linee B ha una valore predittivo negativo assoluto per l’edema polmonare. Non è vero però il contrario, in quanto è stato evidenziato che anche l’espansione interstiziale di tipo flogistico, fibrotico, granulomatoso o neoplastico (linfangite) può produrre quadri di sindrome interstiziale ecografica con linee B multiple. [5] Alcuni particolari possono aiutare nell’orientamento della diagnosi. Oltre all’aiuto dell’anamnesi, della clinica e dell’ecocardiografia, l’etiologia cardiaca è suggerita dalla omogeneità della distribuzione delle linee B nei campi polmonari bilateralmente. In questi casi la linea pleurica si mantiene sottile e lineare a differenza dei casi di fibrosi in cui appare spessa ed irregolare [20]. Anche la presenza di versamento pleurico orienta verso l’edema cardiogenico, ed uno studio ha mostrato la modificazione del numero di linee B dopo terapia diuretica (furosemide) nei pazienti con edema polmonare cardiogenico e l’immodificabilità delle linee B da altra causa. [20]
2.2 LA SINDROME ALVEOLOINTERSTIZIALE
Questa sindrome include condizioni molto eterogenee con diffuso interessamento dell’interstizio e della barriera alveolocapillare con modificazione del rapporto tra interstizio e spazi aerei che porta ad una più o meno marcata insufficienza respiratoria. Tra queste condizioni troviamo patologie sia acute che croniche come la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), l’edema polmonare acuto, le polmoniti, la fibrosi polmonare. In uno studio condotto in una unità di terapia intensiva su pazienti con diagnosi di sindrome interstiziale, Lichtenstein dimostrò la stretta associazione tra la presenza di linee B ecografiche (allora chiamate ancora artefatti), l’ispessimento dei setti interlobulari alla TC e la diagnosi radiografica, concludendo che la rilevazione di linee B fosse un metodo piuttosto accurato per la diagnosi di sindrome alveolointerstiziale. [8] La fase interstiziale della sindrome determina una iniziale deaerazione polmonare col passaggio dal normale pattern caratterizzato da linee A alla comparsa di linee B multiple separate da una distanza corrispondente a quella che normalmente separa i setti interlobulari (circa 7 mm) (Fig. 5), probabilmente corrispondenti alle linee B di Kerley radiografiche (Fig. 6). [12]
Figura 5. [8] Edema polmonare acuto. Immagine TC: setti interlobulari ispessiti, regolarmente distanziati tra di loro, sono chiaramente visibili sulla superficie polmonare (frecce). Immagine eco: linee B rilevate nello stesso paziente sulla superficie anteriore del torace. Una distanza di circa 7 mm separa gli artefatti.
Figura 6. [11] Ecografia e radiografia di paziente con edema polmonare interstiziale.
La progressione della sindrome determina una ulteriore espansione dell’interstizio a scapito della componente aerea e l’iniziale allagamento alveolare. In questa fase le linee B tendono a confluire ad una distanza inferiore ai 7 mm (Fig. 7), fino al quadro del così detto white lung ecografico, corrispondente al quadro TC di ground glass.[8] Secondo la teoria di Avruch [18], la confluenza delle linee B potrebbe essere determinata dalla presenza di microbolle aeree risonanti in un contesto prevalentemente fluido.
Figura 7. [13] Linee B confluenti in un soggetto con edema polmonare cardiogeno.
Recenti studi [15,16] hanno correlato la presenza di linee B e la extra vascular lung water (EVLW) nei pazienti con edema polmonare acuto trovando una correlazione lineare tra lo score ecografico calcolato attraverso la somma delle comete nei campi polmonari esplorati e lo score radiografico (Tab. 1) e tra score ecografico, EVLW e PCWP (pressione polmonare di incuneamento) (Fig. 8910).
Figura 8. [11] Correlazione tra lo score radiolografico di EVLW e lo score ecografico.
Figura 9. [10] Correlazione lineare significativa tra score ecografico ed EVLW determinata col sistema PiCCO.
Tabella 1. [22] Score radiografico per la valutazione della EVLW.
Figura 10. [10] Correlazione lineare significativa tra score ecografico e wegde pressure determinata con l’uso di catetere arterioso polmonare.
Nel giusto contesto clinico, in particolar modo nel paziente cardiologico dispnoico su cui vertono la maggior parte degli studi, la concentrazione di linee B sui campi polmonari permette una stima dell’impegno edematoso dell’interstizio, della gravità della dispnea e della progressione e regressione dei reperti osservati con adeguata terapia, consentendo una valutazione semiquantitativa dell’acqua extravascolare polmonare. Uno studio ha messo in evidenza, sempre in ambito cardiologico, una correlazione lineare tra score ecografico e disfunzione ventricolare sinistra valutata attraverso la frazione di eiezione. [19]
Una correlazione lineare positiva è stata osservata anche tra score ecografico e dosaggio del NTproBNP in uno studio in attesa di pubblicazione condotto su pazienti con dispnea cardiogena, suggerendo l’accuratezza dell’immagine ecografica nella diagnosi differenziale della dispnea. [23]
Nel paziente di terapia intensiva la sindrome alveolointerstiziale è un problema clinico frequente. Fondamentalmente in questo contesto le cause sono tre: edema polmonare cardiogeno, iperidratazione (infusione di liquidi, insufficienza renale), aumentata permeabilità della barriera alveolocapillare (ALI/ARDS). La quantizzazione della volemia nel paziente critico non è di facile gestione. L’integrazione dei dati ecocardiografici, del quadro ecografico polmonare, della quantizzazione della volumetria e della dinamica della vena cava inferiore, possono fornire elementi utili per l’orientamento delle decisioni terapeutiche. [5,20]
Un pattern differente di linee B può permettere la differenziazione dell’edema polmonare cardiogenico da quello lesione (ALI/ARDS). Caratteristica di acute lung injury e della acute respiratory distress syndrome è la disomogeneità nella distribuzione delle lesioni polmonari. L’ecografia del polmone in questi casi infatti mostra una non omogenea distribuzione delle linee B che appaiono ravvicinate o addensate fino al quadro del white lung, mentre altre aree polmonari possono essere risparmiate (skip area). Questo tipo di distribuzione si discosta dalla omogenea distribuzione delle linee B caratteristica dell’edema polmonare cardiogeno (Fig. 11). [5,20] Altre caratteristiche ecografiche dell’edema lesionale sono la marcata riduzione dello
sliding pleurico e la comparsa del lung pulse, segni di un irrigidimento polmonare e la presenza di addensamenti sottopleurici di variabile volume. Figura 11. Confronto tra quadri ecografici di edema lesionale ed edema cardiogeno. A. Quadro di ARDS: sulla destra sono visibile linee A, segno di normale aerazione polmonare; al centro dell’immagine sono visibili linee B, segno di sindrome interstiziale; sulla sinistra è presente un piccolo addensamento subpleurico (freccia). B. Quadro di edema cardiogeno: linee B uniformemente distribuite. In terapia intensiva inoltre, di fronte ad un paziente dispnoico è di fondamentale importanza distinguere tra edema polmonare cardiogeno ed una riesacerbazione da broncopneumopatia cronica ostruttiva. Lichtenstein in un suo studio [9] ha osservato l’assenza di linee B nel 92% dei pazienti dispnoici con riesacerbazione di BPCO, tuttavia in questi pazienti è possibile che si sviluppino fibrosi interstiziale, flogosi o che si sovrappongano interstiziopatie di altra natura; questi fattori potrebbero render conto di quella quota di pazienti con BPCO che presentavano una sindrome interstiziale ecografica.
2.3 CONSOLIDAMENTO ALVEOLARE Il consolidamento alveolare, sia esso determinato da edema polmonare massivo, polmonite, contusione polmonare, atelettasia od altro, presenta una importante perdita di areazione per sostituzione degli spazi aerei con materiale liquido, semiliquido o solido (trasudato, essudato, sangue, pus, tessuto neoplastico). Riguarda frequentemente il paziente ricoverato in UTI e non sempre è accuratamente rilevato dal radiogramma al letto del paziente, per cui necessita spesso di una indagine TC. In ecografia quello che è visualizzabile è ciò che esclude l’aria dal tessuto, è proprio l’addensamento alveolare che consente l’espressione morfologica del parenchima, altrimenti non visibile per l’eccesso dei riverberi dell’aria alveolare. Il consolidamento ha un pattern ecografico simile a quello del fegato (si parla di epatizzazione) e non modifica il suo volume con gli atti respiratori. Il consolidamento polmonare crea una finestra acustica che permette la visualizzazione del tessuto polmonare in profondità. All’interno dell’addensamento ecografico possono essere visibili i bronchi che generano l’evidenza dei broncogrammi aerei dinamici, descritti come elementi puntiformi o strie ecogene la cui ecogenicità aumento con l’inspirazione (segno di natura non ostruttiva del consolidamento) (Fig. 1213). [1,5,6] Figura 12. [13] Piccole aree subpleuriche di addensamento (frecce).
Figura 13. [6] a. Broncogramma aereo visibile all’eco, al disopra del diaframma (D) e del fegato (L). b. Visione TC corrispondente che mostra il consolidamento nel lobo inferiore dx con un broncogramma aereo. L’atelettasia polmonare, oltre a generare come i consolidamenti di altra natura una finestra acustica, presenta delle caratteristiche peculiari. Il segno del lung pulse (Fig. 14), percezione dell’attività cardiaca a livello della linea pleurica, si accompagna alla scomparsa dei broncogrammi aerei dinamici per il riassorbimento gassoso e alla comparsa di bronchi a decorso parallelo che perdono il tipico aspetto arborescente, per la riduzione del volume polmonare tipico dell’atelettasia (Fig. 15). In caso di natura ostruttiva, il broncogramma appare anecogeno per l’assenza di componente aerea al suo interno (broncogramma fluido) (Fig. 16)
Figura 15. [5] Decorso parallelo dei bronchi (frecce) in un atelettasia.
Figura 16. [5] Broncogrammi fluidi in paziente con polmonite postostruttiva. Nel contestodel consolidamento si evidenziano alcune strutture tubulari anecogene.
2.4 VALUTAZIONE ECOGRAFICA DEL RECLUTAMENTO ALVEOLARE
L’ecografia del polmone ha recentemente mostrato [21] la sua utilità nella valutazione quantitativa della reaerazione polmonare in pazienti critici con polmonite associata al ventilatore dopo terapia antibiotica. Dodici regioni di interesse sono state valutate prima e dopo la terapia e a ciascuna è stato attribuito uno score in base al grado di aerazione: normale, sindrome interstiziale, sindrome alveolointerstiziale, consolidamento alveolare. E’ stata osservata una stretta correlazione tra la reaerazione valutata con la TC e con la ecografia. Tuttavia, essendo questo l’unico studio sul tema, sono necessarie ulteriori conferme, come suggeriscono gli stessi autori, per la valutazione della capacità degli ultrasuoni di misurare il reclutamento alveolare determinato ad esempio dall’uso della PEEP o da manovre di reclutamento. [3]
In conclusione: “l’aerazione del tessuto è la chiave della rappresentazione delle immagini in ecografia polmonare”. [5]
Quanta più aria è contenuta nel polmone maggiori saranno gli artefatti ecografici, quanto meno è areato il polmone più immagini parenchiamali si genereranno. Poiché il polmone normale ha un grado di aerazione superiore al 95%, è naturale che esso appaia non strutturato agli ultrasuoni, mentre la sua progressiva riduzione di contenuto aereo genera tutti i gradi di passaggio tra campi artefattuali costituiti da linee B a puri addensamenti di aspetto parenchimale. [5] La Fig. 17 illustra graficamente questo peculiare aspetto dell’ecografia toracica.
3.
ALTRE APPLICAZIONI DELL’ECOGRAFIA TORACICA IN UTI
Tra tutte le attuali indicazioni dell’ecografia nello studio del torace, la più datata è sicuramente il versamento pleurico. Uno studio sentinella del 1967 prospettò l’utilizzo della tecnica in questo campo e per molti anni fu la sua unica applicazione, anche se ad oggi non in tutti gli istituti viene sfruttata. [1] Il versamento pleurico può essere individuato tramite un approccio subcostale tramite l’ecografia dell’addome oppure direttamente attraverso gli spazi intercostali. Normalmente il cavo pleurico è virtuale, quindi non indagabile con gli ultrasuoni. Il classico criterio diagnostico è il rilevamento di una immagine anecogena ed omogenea al di sopra del diaframma. Tuttavia la perfetta transonicità ed omogeneità è osservabile solo nei trasudati, in quanto la presenza di fibrina, di cellule o detriti in sospensione produce degli echi mobili nel liquido con gli atti respiratori, oppure sedimentazioni anche con aspetto strutturato. L’ecografia quindi permette non solo la diagnosi, ma anche una valutazione della natura del versamento (trasudato od essudato), oltre che una stima piuttosto accurata del volume del liquido. Non di minor importanza è l’utilità dell’ecografo nella guida della toracentesi al letto del paziente. Nel paziente critico la rapidità di diagnosi e la tempestività terapeutica hanno ovvie implicazioni. L’ecografia è in questo campo superiore alla radiografia in ogni aspetto: la radiografia raramente è in grado di distinguere piccoli versamenti; nell’esperienza di Lichtenstein circa 1/3 dei versamenti di pazienti ventilati visibili all’eco erano occulti all’rx; non permette una valutazione di volume; un versamento di natura essudativa può essere interpretato come un addensamento parenchimale. [1,3,5]Figura 19. [1] Immagine MMode di un veramento pleurico. Mostra la variazione dinamica durante la respirazione della distanza tra pleura viscerale e parietale. Il
sinusoid sign è anche un indice di bassa
viscosità del versamento. [1] Le caratteristiche ultrasonografiche di pneumotorace sono state descritte per la prima volta alla fine degli anni ’80. Molti studi hanno dimostrato come la diagnosi ecografica di pneumotorace a letto del paziente sia più efficiente rispetto alla diagnosi radiografica con paziente supino. [3] Lo pneumotorace è molto comune nel paziente critico potendo derivare da eventi traumatici, procedure iatrogene, patologie acquisite o da barotrauma. La diagnosi clinica di pneumotorace è conosciuta (iperfonesi plessica, riduzione del murmure vescicolare, dispnea, segni di ipertensione venosa), tanto che ne i casi critici può essere superfluo attendere il responso degli esami strumentali, che comunque nel 2030% dei casi non confermano il sospetto clinico. La diagnosi strumentale di pneumotorace è basata abitualmente sulla radiografia del torace, che nel paziente critico, supino, riduce la sua sensibilità fino a valori del 50%. Il significato clinico dei così detti pneumotorace occulti è stato dibattuto, ma è riconociuto che nel paziente sottoposto a ventilazione meccanica anche uno pneumotorace di piccole dimensioni può aggravarsi notevolmente. Il ruolo della TC nella diagnosi di piccoli pneumotorace è insostituibile ma gravata dalle limitazioni che pone il soggetto instabile. La presenza di pneumotorace nel paziente supino va ricercata partendo dalle regioni paracardiache dove tende a raccogliersi la falda aerea anche se di piccole dimensioni. Successivamente la ricerca va estensa a tutta la sede anteriore e laterale. I segni ecografici di pneumotorace sono la scomparsa del “gliding sign” o “sliding sign”, indicanti lo scorrimento di una pleura sull’altra, segno di contatto tra polmone e parete toracica; la scomparsa di una lesione sottostante prima visibile o di linee B prima presenti; scomparsa della tipica ecogenicità parenchimale e sostituzione di questa con
artefatti trasversali fissi da riverbero aereo puro; la presenza del “lung point” cioè di un punto in cui il normale aspetto del gliding viene improvvisamente sostituito da una linea pleurica immobile.
Anche un solo, inequivocabile lung point è patognomonico di pneumotorace mentre l’assenza di lung points non esclude lo pneumotorace, anzi è tipica dello pneumotorace massivo, con totale collasso polmonare. [1,5]
Il confronto tra la modalità MMode nel parenchima polmonare normale e nello pneumotorace aiuta nell’identificare l’assenza dello scorrimento pleurico (Figura ).
Figura 20. [1] Polmone normale. A sinistra: scansione longitudinale di uno spazio intercostale, sono visibili le linee A. A destra: MMode, le frecce indicano la linea pleurica, al di sotto il pattern determinato dallo scorrimento pleurico.
Figura 21. [1] Pneumotorace. L’assenza dello slinding sign può essere evidenziato utilizzando l’MMode (a destra) che mostra esclusivamente linee orizzontali indicanti la completa assenza di movimento al di sopra e al di sotto della linea pleurica (frecce). Figura 22. [1] Lung point. A destra: un improvviso cambiamento è visibile nel punto in cui il polmone collassato, sottoposto ad un aumento di volume durante l’inspirazione, raggiunge la parete.
Gli ultimi studi condotti hanno mostrato l’ottima capacità degli ultrasuoni nel diagnosticare lo pneumotorace con una sensibilità tra il 94100% ed una specificità tra il 97100%. [5]
L’applicazione principale dell’ecografia nello studio dello pneumotorace è l’emergenza, campo in cui potrebbe soppiantare la radiografia. Un’altra applicazione è sicuramente il monitoraggio di pazienti ventilati artificialmente o sottoposti a manovre come il cateterismo venoso centrale o la toracentesi. [1]