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Indagine sulla presenza di batteri patogeni in preparati alimentari della ristorazione collettiva e commerciale.

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RIASSUNTO

Con il termine inglese “foodborne desease” è inteso l’insieme di quelle patologie derivanti dal consumo di alimenti contaminati da forme batteriche , sporigene e non, capaci di produrre tossine e di incidere in maniera significativa sul sistema sanitario non solo nazionale, ma di ogni paese dell’Unione Europea. Scopo di questa tesi è stato quello di analizzare campioni alimentari provenienti dal sistema ristorativo, il quale si caratterizza in maniera articolata in molteplici attività commerciali, senza però dimenticare quella parte di ristorazione dedicata alla collettività (mense scolastiche, assistenziali, etc.). I 72 campioni analizzati erano caratterizzati da preparazioni a base vegetale, a base di carne, preparazioni miste, a base di uova, a base di pesce, prodotti da forno e prodotti lattiero caseari. La maggior parte delle preparazioni era costituita da matrici cotte, fatta eccezione per quei campioni a base vegetale, come insalate semplici e miste, ed i prodotti lattiero caseari. Un considerevole numero di campioni (27) proveniva dalla ristorazione scolastica/assistenziale; così come dalla ristorazione commerciale (17) e dalle attività di catering (14). Sono stati, inoltre, analizzati campioni provenienti dai centri di cottura (9), gastronomie (4) e supermercati (1). Le 504 prove microbiologiche effettuate avevano come scopo la ricerca dei seguenti microorganismi: Bacillus cereus, Staphylococcus aureus, Shigella spp., E.coli O157:H7, Campylobacter spp., Salmonella spp., Listeria monocytogenes. I risultati ottenuti mostrano che 3 dei 72 campioni (4%) risultano contaminati; 2 campioni da Bacillus cereus ed 1 campione da S. aureus. La presenza riscontrata in alcuni campioni di enterobatteriaceae ed altri microrganismi non patogeni ha però evidenziato la possibilità di contaminazioni secondarie all’interno del processo di preparazione dei pasti esaminati; contaminazione che forse poteva essere evitata nell’attenersi maggiormente ai protocolli HACCP previsti dalla legge nazionale e dai Regolamenti comunitari.

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1) INTRODUZIONE

Il tema della sicurezza alimentare è, oggi più che mai, al centro di molte vicende mediatiche che, negli ultimi anni, hanno interessato, in maniera negativa, gli alimenti.

L’Unione Europea, sensibilizzata da questi avvenimenti, ha emesso, negli anni, una serie di Regolamenti il cui scopo principale è stato quello di recuperare la fiducia del consumatore e tutelarne la salute.

Un alimento si definisce sicuro quando è esente da quei rischi che potrebbero provocare danni al consumatore (Zavanella ,2008).

I rischi, in cui si può incorrere, possono essere di natura fisica, chimica o biologica. I rischi di natura biologica includono batteri, miceti, virus, parassiti unicellulari ed un gran numero di sostanze tossiche prodotte dai medesimi agenti alcune non ancora ben conosciute (Zavanella, 2008).

Ogni anno nei paesi industrializzati circa il 30% della popolazione va incontro a patologie (foodborne disease) determinate dalla contaminazione microbica degli alimenti, con elevati costi sanitari, assicurativi e previdenziali (Gilli & Carraro, 2002). Queste patologie sono spesso causate da virus o batteri, produttori di tossine, responsabili di tossinfezioni alimentari.

La presenza di tali contaminanti è essenzialmente dovuta alla presenza di grandi quantità di microorganismi nelle materie prime o negli additivi degli alimenti e inoltre è favorita dalle condizioni in cui sono tenuti gli alimenti, che consentono la crescita la proliferazione e la produzione di tossine da parte dei microorganismi (Poli, 2002).

Nel 2009, in Piemonte, le cause principali di MTA sono state le tossinfezioni alimentari nel 75,7% degli episodi. Questi episodi sono stati caratterizzati da una gravità lievemente superiore alla media degli anni precedenti che però ha richiesto nel 24,8% dei casi un ricovero.

L’ASL di Milano ha dovuto far fronte, nel 2012, a ben 4 casi di tossinfezione alimentare che hanno coinvolto la ristorazione collettiva.

Mentre, nel 2004, in Toscana il caso più eclatante è stata la tossinfezione causata da una tossina di Staphylococcus aureus veicolata da una pasta fredda preparata

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3 con largo anticipo e conservata a temperatura ambiente in una comunità di recupero per tossicodipendenti. La percentuale di ricoveri, in quel caso, è stata del 91%; dato facilmente spiegabile con il tipo di utenza della comunità.

Osservando bene le statistiche non si può non notare come le tossinfezioni alimentari siano un grosso rischio per gli utenti del settore ristorativo. Nel 2004, in Toscana, la percentuale di ospedalizzazione legata al settore mense è stata del 70,7%; la percentuale di episodi che si è verificata a livello di ristorazione pubblica in Piemonte è stata del 31% nel 2009, mentre per lo stesso anno nessun caso è stato riportato nella ristorazione collettiva. Il 2012, secondo l’ASL di Milano, si è contraddistinto per 4 importanti tossinfezioni alimentari in ristorazioni collettive; 2 in ospedale, 1 in una caserma, 1 in un collegio. Per quell’anno la numerosità dei soggetti ha determinato un picco nel numero delle inchieste.

I cambiamenti negli stili di vita e gli impegni quotidiani portano le persone a consumare il proprio pranzo fuori casa servendosi della grande scelta di servizi che il settore della ristorazione offre. Per questo motivo è importante porre l’attenzione sull’importanza dei controlli microbiologici ed il rispetto delle norme previste nei piani di autocontrollo di ciascun esercizio.

Secondo il dizionario di Italiano, Sabatini Coletti, il termine Ristorazione indica quell’attività che ha come oggetto la preparazione e la distribuzione dei pasti in esercizi pubblici o in collettività. Risulta quindi evidente, già dalla definizione stessa, che è necessario fare una distinzione tra quegli esercizi pubblici che praticano una ristorazione di tipo commerciale da quelli che si occupano, invece, di ristorazione collettiva.

Con il termine “ristorazione commerciale” si definiscono gli esercizi aperti al pubblico che producono e vendono pasti, il cliente è colui che ordina e consuma il servizio (Voci, 2004).

Fanno parte della ristorazione collettiva la ristorazione tradizionale, la neo-ristorazione e la neo-ristorazione viaggiante.

All’atto pratico, la ristorazione commerciale si definisce come un grande insieme dotato di molti sottoinsiemi, basti pensare che la ristorazione tradizionale si compone a sua volta dalla ristorazione commerciale semplice e dalla ristorazione alberghiera. La ristorazione commerciale semplice si identifica con i più comuni esercizi ristorativi quali ristoranti di città, ristoranti di lusso, ristoranti tipici,

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4 trattorie e ristoranti-pizzeria etc…; mentre la ristorazione alberghiera, antica e tradizionale forma di ristorazione, si rivolge ad un gran numero di persone come ad esempio accade per le attività congressuali. A contraddistinguere la neo-ristorazione è invece la rapidità del servizio che si ritrova nei locali self-service, nei free-flow, nei fast-food, nelle pizzerie, nelle steak-house, nelle spaghetterie, nei pub con tavola calda, nelle rosticcerie, nelle friggitorie, nei takeway e bistrot ; mentre la ristorazione viaggiante si caratterizza per tutti quei servizi ristorativi offerti lungo i percorsi autostradali, nelle stazioni ferroviarie e aereoportuali, nonché su treni aerei e navi (Voci, 2004).

Se da un lato il consumatore sceglie la ristorazione commerciale come momento di svago e di convivialità dall’altro la scelta della ristorazione collettiva, è caratterizzata da uno stato di necessità per varie motivazioni.

I cambiamenti negli stili di vita, i ritmi frenetici e l’orario di lavoro non consentono ad alcuni tipi di utenti il rientro a casa per il pasto. Parliamo di un gran numero di interessati le cui aziende, scuole, ospedali si affidano alla ristorazione collettiva per soddisfare la necessità di nutrirsi.

Con il termine ristorazione collettiva ci si riferisce ad un tipo di ristorazione che rivolge la sua attività ad un numero abbastanza ampio di persone accomunate dall’interesse di usufruire del medesimo servizio, in quanto fanno parte dello stesso gruppo(lavoratori della stessa azienda, studenti della stessa università, degenti dello stesso ospedale etc..), (Voci, 2004).

Le principali forme di ristorazione collettiva sono:

 la ristorazione aziendale

 la ristorazione scolastica

 la ristorazione socio sanitaria

 la ristorazione comunitaria

 la ristorazione assistenziale

All’interno della ristorazione collettiva viene mantenuto, tra utente ed azienda che eroga il servizio, un vincolo di continuità e sistematicità infatti il rapporto tra cliente ed azienda che produce il servizio non è occasionale ed esprime una continuità; al contrario nella ristorazione commerciale, i clienti non sono organizzati in comunità e fruiscono del servizio a seguito di un ordine o comanda, attraverso un rapporto diretto con l’unità ristorativa; ordine che può variare a

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5 seconda della scelta del menù facendo venire meno quel vincolo di sistematicità che riguarda maggiormente la ristorazione collettiva (Voci, 2004).

E’ necessario inoltre parlare anche di un altro genere di attività che si rifà al settore ristorativo e che spesso per la sua natura poliedrica crea non poca confusione: il settore catering. Quest’attività ha un raggio d’azione molto ampio: rifornimento di pasti, rifornimento di prodotti alimentari organizzazione di banchetti e rinfreschi etc.. Il termine catering deriva dall’inglese to cater cioè rifornire di cibo e bevande; nasce negli Usa non come attività commerciale ma come sistema gestionale delle mense aziendali ed oggi si rivolge agli esercizi della ristorazione commerciale, a tutte le forme della ristorazione collettiva e alla ristorazione viaggiante (Voci, 2004).

Ogni tipologia di Ristorazione presenta strutture ed organizzazione diversa a seconda del pasto che si va a produrre. Il centro di questa organizzazione è la cucina, luogo in cui le materie prime vengono lavate assemblate e cotte.

Tutto il processo produttivo viene quindi a svolgersi all’interno del “Centro Cucina” che risulta essere il cuore della struttura, e che, a seconda delle sue caratteristiche, è dotata di attrezzature differenti in relazione al pasto da produrre (Galli Volonterio, 2012).

I differenti tipi di strutture possono essere schematizzati nel seguente modo: 1) Cucina Tradizionale

Questo genere di struttura è tipica delle osterie e trattorie. Le attrezzature per la cottura dei cibi sono poste al centro del locale in cui lavorano un esiguo numero di persone. Gli alimenti utilizzati sono quelli della I, II e III gamma (Galli Volonterio, 2012)

2) Cucina Tradizionale Evoluta

Questo genere di struttura si rivolge ad un numero maggiore di clienti. Lo spazio dedicato alla cucina e diviso dal resto del locale. All’interno della cucina avvengono le fasi di conservazione, cottura e finizione dei pasti. Utilizzo di prodotti dalla I alla IV gamma (Galli Volonterio, 2012)

3) Centro Cottura

Impianto caratteristico della ristorazione industriale.

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6 Vengono utilizzate specifiche tecnologie.I pasti prodotti vengono consumati in altri luoghi.I pasti prodotti possono essere subito consegnati o anche surgelati (Galli Volonterio, 2012)

4) Cucina di Finizione

Questa struttura ha dimensioni limitate. Le lavorazioni sono brevi, facili e veloci per l’utilizzo di prodotti semilavorati ed un numero esiguo d’ingredienti. E’ la cucina della”neoristorazione” (Galli Volonterio, 2012)

I sistemi di produzione legati alla cottura e conservazione degli alimenti all’interno della ristorazione sono:

a. Sistema fresco-caldo

Sistema maggiormente utilizzato nei centri di cottura che hanno come utente finale le mense scolastiche, ospedaliere, militari e aziendali. Questo sistema ingloba tutte le fasi del ciclo produttivo (preparazione, cottura, assemblaggio e somministrazione). I pasti vengono cotti e preparati nelle ore antecedenti al consumo. Le temperature di conservazione sono di 60-65°C per i pasti caldi e di 4-10°C per le preparazioni fredde (Galli Volonterio, 2012)

b. Sistema refrigerato o cook and chill

La prima parte di lavorazione degli alimenti è simile al sistema fresco-caldo.Gli alimenti vengono poi raffreddati a 10°C ( a cuore) in 2 ore e poi conservati in frigo per 3 giorni. Il confezionamento dei pasti avviene sempre a temperature di refrigerazione (0-2°C) e può prevedere l’uso di miscele di gas (N, CO2 e O2) in questo modo i pasti possono essere conservati anche per 14-21 giorni. I pasti refrigerati possono essere distribuiti in luoghi molto distanti dai centri di cottura purchè trasportati da mezzi refrigerati dotati dotati di registratori di temperatura. Prima della somministrazione il piatto deve essere portato alla temperatura di 65°C (a cuore) consumato entro 2 ore (Galli Volonterio, 2012).

c. Sistema cook and freeze

Preparazione del pasto come nelle fasi del sistema fresco-caldo, segue poi un raffreddamento rapido alla temperatura di -18°C (a cuore). Consente una vita

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7 ristorazione dove è consentita solo la somministrazione del pasto (Galli Volonterio, 2012).

d. Sistema sotto vuoto

Questa metodologia è molto complessa è basata sulla programmazione di tutte le fasi ed il controllo dei parametri tempo temperatura. Vengono utilizzati alimenti interi o porzionati, difficilmente materie prime fragili come i prodotti ittici. Vengono utilizzati appositi sacchetti termoretraibili, termoresistenti, crioresistenti e termosaldabili. L’alimento posto nei sacchetti viene dapprima parzialmente cotto poi sigillato sotto vuoto e infine viene ultimata la cottura, in acqua o a vapore, a temperature che vanno dai 70 ai 100°C. La fase di raffreddamento dura 2 ore e l’alimento viene mantenuto a 10°C.Una volta raffreddato l’alimento può essere ulteriormente conservato alla temperatura di 3°C per 6-40 giorni, ma può anche essere congelato a -18°C per 6 mesi (Galli Volonterio, 2012).

e. Sistema Misto

A seconda della preparazione alimentare e dei requisiti igienico sanitari tutti i sistema su citati possono essere combinati tra loro a seconda delle esigenze e del menù stabilito. Un’attenta combinazione dei sistemi sopra descritti può garantire una flessibilità maggiore nelle preparazioni alimentari e ampliare l’offerta giornaliera dei menù (Galli Volonterio, 2012).

Alla luce della complessità oggettiva delle strutture e dei sistemi organizzativi della ristorazione sia collettiva che commerciale e il grande bacino d’utenza a cui tutte e due i sistemi ristorativi si rivolgono non risulta difficile comprendere il perché sia importante garantire alti standard qualitativi, sia microbiologici che nutrizionali, al consumatore finale.

Il tema della sicurezza alimentare all’interno del settore ristorativo è importante per tutte le ragioni fin qui descritte. Durante la somministrazione degli alimenti, garantire la sicurezza dell’alimento, è un prerequisito fondamentale dal quale non si può trascendere, tanto più che, secondo la Fipe, i consumi fuori casa delle famiglie italiane, nel 2012, mantengono un profilo incoraggiante soprattutto se confrontati con quelli registrati nei principali paesi europei.

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8 Garantire la sicurezza alimentare è stato uno degli obbiettivi che l’Unione Europea si è posta negli ultimi anni attraverso l’emanazione di nuovi Regolamenti i quali, per loro natura, vengono immediatamente applicati e recepiti dagli stati membri. Molto importanti sono i Regolamenti del così detto”Pacchetti igiene” del 2004, il Regolamento CE 178/2002 nonché il Decreto Legislativo 193 del 2007 che abroga la legge 155/97 e l’art. 2 della legge n. 283/62.

Sia il Regolamento 852/04, del pacchetto igiene, sia l’art. 17 del Regolamento 178/02 evidenziano come la responsabilità per la sicurezza degli alimenti incomba sull’operatore del settore alimentare (art. 1 Regolamento 852/04).

L’art 3 del Regolamento 178/02 definisce “operatore del settore alimentare”la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo. Gli strumenti necessari, dati all’operatore del settore alimentare, per garantire la sicurezza alimentare sono l’obbligo della stesura di un piano HACCP di controllo (art. 5 Reg. CE 852/04) e l’obbligo rintracciabilità degli alimenti garantita dall’art. 18 del Reg. CE 178/02. Secondo tale regolamento per rintracciabilità s’intende la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento o mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi di produzione, della trasformazione e della distribuzione. Il concetto di rintracciabilità si applica attraverso l’utilizzo di un giusto sistema di etichettatura degli alimenti e delle materie prime utilizzate che permetta di risalire al fornitore attraverso la stesura di apposita documentazione.

Anche il sistema di autocontrollo deve essere redatto e documentato nonché aggiornato secondo le esigenze. All’interno del settore ristorativo l’operatore del settore alimentare deve,non solo, produrre alimenti ma assicurarsi della bontà di questi attraverso le corrette prassi igieniche e la stesura di un corretto piano HACCP, il quale preveda il mantenimento della catena del freddo, qualora servisse, e la corretta manipolazione e conservazione delle materie prime impiegate.

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LE TOSSINFEZIONI ALIMENTARI

L’attuazione di un corretto piano HACCP è fondamentale nelle produzioni alimentari, non da meno nella ristorazione. Lo ricordano il Reg. CE 852/04 il 178/02 e il Decreto Leg. 193/07, per quanto riguarda la legge italiana, ed infine, ma non meno importanti, i Regolamenti comunitari 2073/05 ed il 1441/07 sui parametri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. All’interno di quest’ultimi viene espresso in maniera chiara l’importanza di un piano di controllo efficace che, se ben attuato, si traduce in una migliore qualità microbica degli alimenti. E’ importante sottolineare come il, buon senso, dato dalla corretta applicazione dei regolamenti si traduca poi in meno rischi per il consumatore che spesso incorrere in tossinfezioni ed intossicazioni alimentari, la dove i requisiti microbiologici e le buone pratiche di lavoro non vengono rispettate. Basti pensare come già Carlo Magno nel suo Capitulare de Villis raccomandasse che le derrate destinate alla sua tavola fossero di buona qualità e preparate con grande cura ed igiene, e che le cucine i forni ed i torchi fossero tenuti ben funzionanti e puliti in modo da garantire un lavoro dignitoso (Giancarlo Signore, 2010). Indubbiamente Carlo Magno aveva a cuore la propria salute e quella dei suoi commensali. Le cucine in cui i pasti regali venivano prodotti sono simili alle cucine della moderna ristorazione e come tali richiedevano grande organizzazione. Oggi all’interno del comparto ristorativo si ricerca il gusto e la genuinità degli ingredienti, e ,di tali aspetti, si parla di più solo perché quello della sicurezza alimentare è un requisito che si da per scontato. Causa una serie di mancanze a livello organizzativo e gestionale si incorre in alcune patologie, oggi definite foodborne desease, o fenomeni tossinfettivi capaci di arrecare danno al consumatore. Responsabili di tali manifestazioni sono alcuni batteri , virus o parassiti capaci di produrre tossine.

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1.2 BACILLUS CEREUS

Il Bacillus cereus è un microorganismo, appartenente al genere Bacillus, responsabile di tossinfezioni alimentari.

Come i batteri appartenenti a questo genere è un gram-positivo, catalasi positivo, aerobio/anaerobio facoltativo e sporigeno (Scatassa et al., 2011). La caratteristica principale di Bacillus cereus è la sua capacità di produrre tossine che culminano con l’insorgenza di due differenti sindromi, una emetica e una diarroica. Secondo il parere del gruppo di esperti dell’EFSA solo alcuni ceppi di Bacillus cereus sono capaci di produrre la tossina emetica; mentre è più difficile individuare i ceppi produttori di tossina diarroica in quanto i meccanismi patogenetici della tossina sono complessi e di diversa natura. Infatti a causa della remissività dei sintomi in meno di 24 ore è molto difficile attuare un piano investigativo sui campioni incriminati. Ciò spiegherebbe perché non è facile rinvenire la tossina nei campioni di feci presi presi in esame (Drobniewski, 1993). A rendere più difficile la ricerca della tossina di Bacillus cereus nei campioni di feci è la similarità tra la sindrome diarroica del Bacillus cereus e la tossinfezione alimentare procurata da Clostridium perfrigens, nonostante le due enterotossine siano immunologicamente differenti (Drobniewski, 1993).

Bacillus cereus è un batterio ubiquitario per questo motivo ne viene riscontrata la presenza in un gran numero di prodotti alimentari. Oltre alle forme vegetative, nell’alimento, può essere rilevata la presenza di spore.

La sporulazione avviene quando non sussistono più le normali condizioni di sopravvivenza.

Bacillus Cereus è, infatti, un batterio dalla tipica forma a bastoncino delle dimensioni di 3-5 μm, si moltiplica in un range di temperatura che va da 4 a 50°C con optimum a 28-35°C; l’attività dell’acqua da lui richiesta è maggiore di 0,91 mentre si sviluppa a pH di 4,3-9,3 con optimum di 5 (Zavanella, 2008).

Al momento della sporulazione le spore ovali si trovano in posizione centrale o sub terminale; una volta rilasciate nell’ambiente resistono bene al calore ed al freddo, alla carenza di acqua ed ai trattamenti con radiazioni ionizzanti; inoltre, grazie alla loro natura idrofobica possono aderire alle superfici di lavoro (Giaccone, 2004).

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11 Tuttavia le spore possono germinare nei cibi umidi, a bassa acidità, con temperatura compresa tra i 4-5°C ed i 55°C (Parere EFSA).

Una volta germinate le spore di Bacillus cereus passano alla forma vegetativa con possibilità di produrre tossine. Come detto in precedenza le tossine prodotte da questo batterio sono causa di due sindromi: la sindrome emetica e la sindrome diarroica.

La tossina responsabile della sindrome emetica è un cereulide (Agata et al., 1995); un peptide altamente stabile del peso molecolare di circa 1,2 kDa, termostabile e resistente alla degradazione proteolitica (Drobnieski, 1993).

La sua formazione avviene durante la fase stazionaria quando la temperatura raggiunge i 25°o 30°C; a queste temperature è anche possibile che si abbia sporulazione. I sintomi di questa intossicazione sono: nausea, vomito e crampi addominali che possono durare fino a 24 ore (Drobnieski,1993). Esplica la sua azione tossica inibendo l’attività mitocondriale attraverso inibizione dell’ossidazione degli acidi grassi (Granum P.E., 2007).

La dose tossica riscontrata va da 0,01 a 1,28 μg/g; ed il batterio è capace di produrre tossina quando la sua concentrazione è di 107 – 108 UFC , ad una temperatura di 30-35°C (Agata et al., 2002).

Bassi livelli di tossina sono stati riscontrati nelle uova e carne e loro prodotti, in alimenti liquidi come latte e latte di soia; tuttavia la loro presenza risulta inibita in prodotti cotti con l’aceto, maionese e catchup, forse a causa del ph acido (Agata et al., 2002).

Per quanto riguarda la sindrome diarroica, questa sembra essere causata solo da due delle quattro enterotossine fin ora studiate di Bacillus cereus. Granum e Lund hanno identificato l’emolisina Hbl e l’enterotossina non emolitica Nhe come responsabili di questa sindrome (Granum et Lund, 1997).

L’emolisina Hbl è costituita da tre componenti B, L1 e L2, le quali unite determinano emolisi, citolisi, dermonecrosi, permeabilità vascolare e attività enterotossica (Jay, 2009).

Gli studi hanno evidenziato come siano necessarie tutte e tre le componenti per poter esplicare il potere tossico (Beecher et al., 1995), e come la proteina B sia fondamentale nel legarsi alle cellule bersaglio mentre le rimanenti unità esplicano il loro potere litico (Beecher et al., 1997).

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12 Per esplicare l’azione tossica sarebbero necessarie 107

cellule/ml, quando l’intervallo di pH è tra 6,0 e 8,5 (Jay, 2009) a temperature di 6°-21°C (Griffiths, 1990). I sintomi compaiono già dopo 6 ore dall’assunzione di cibo contaminato in quanto la tossina è già preformata nell’alimento (Jay, 2009).

Come l’emolisina Hbl anche la Nhe è composta da tre componenti: NheA, NheB ed NheC. La componente NheB sembra essere deputata a legarsi con la cellula bersaglio mentre NheC sembra funzioni come una sorta di catalizzatore o come elemento legante le altre due frazioni proteiche (Lindback et al., 2004).

Nella forma diarroica le tossine si liberano nell’intestino ricalcando lo stesso meccanismo del Clostridium perfringens (Giaccone, 2004); i sintomi sono caratterizzati da dolori addominali, crampi e feci acquose (Jay, 2009), si manifestano entro 8-16 ore e persistono per 6-12 (Hauschild AH et al., 1971). I cibi incriminati sono le pietanze a base di cereali, di carne cotta, verdure, latte riso e zuppe (Gilbert, 1979).

Un’altra citotossina è stata isolata da alcuni ceppi di Bacillus cereus responsabile di una intossicazione alimentare che uccise 3 persone; la citotossina K (CytK). Sembra che questa citotossina presenti carattere necrotico ed emolitico e sia molto simile alla β-tossina di Clostridium perfreingens di tipo C (Lund et al., 2000). Mentre non si hanno ancora conferme che le enterotossine T ed FM siano effettivamente in grado di scatenare la sindrome diarroica (Giaccone, 2004). Le cause nell’insorgenza di queste sindromi sono la mancanza di un’adeguata sanificazione degli ambienti della cucina e delle materie prime nonché la cattiva gestione dei cibi cotti nelle fasi di raffreddamento e refrigerazione. Questo perché cellule di Bacillus cereus possono, durante la loro fase vegetativa, produrre biofilm; inoltre durante la formazione del biofilm potrebbe avvenire la sporulazione. Le spore protette da biofilm si sono dimostrate molto più resistenti agli stress esterni comprese le normali procedure di sanificazione (Ryu et Beuchat, 2005).

Il Bacillus cereus nell’uomo non è solo causa di tossinfezioni alimentari. Le infezioni non gastrointestinali si dividono in sistemiche e locali; le sistemiche sono caratterizzate da setticemie, endocarditi, infezioni respiratorie e del sistema nervoso centrale. Mentre le infezioni locali si riscontrano nelle ferite postoperatorie, ustioni, ascessi, traumi, congiuntiviti, endoftalmiti, cheratiti, osteomieliti ed artriti (Drobnieski, 1993).

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13 Nei bovini, Bacillus cereus, è responsabile di gravi affezioni a carico della mammella (Poli, 2002).

1.3 STAPHYLOCOCCUS AUREUS

Si tratta di batteri Gram-positivi, appartenenti alla famiglia delle Staphylococcaceae, hanno forma sferica e sono immobili (sprovvisti di ciglia e flagelli). Aerobi o anaerobi facoltativi, non sono batteri esigenti dal punto di vista metabolico, infatti necessitano per la loro nutrizione di alcuni composti organici. Gli amminoacidi sono richiesti come fonte di azoto; tra le vitamine B sono necessarie tiamina e acido nicotinico. Durante la crescita in condizioni di anaerobiosi, sembrano richiedere uracile. Non hanno particolari esigenze nutritive, in un terreno minimo per la crescita aerobia e la produzione di enterotossina, il glutammato monosodico viene utilizzato come fonte di C, N e di energia. Tale mezzo contiene soltanto tre amminoacidi (arginina, cisteina e fenilalanina) e quattro vitamine (pantotenato, biotina, niacina e tiamina). Per quanto riguarda il pH, S. aureus può crescere nel range 4,0-9,8, ma l’optimum è tra 6-7; l’esatto valore minimo di pH per la crescita dipende da quanto tutti gli altri parametri si trovano a livelli ottimali. Gli stafiloccocchi, rispetto a qualsiasi altro batterio non alofilo (molte specie tollerano concentrazioni saline fino al 10%), sono unici per la capacità di crescere a valori più bassi di aw (valore minimo 0,86) (Jay, 2009). Tra i diversi fattori di virulenza e patogenicità di S. aureus, vanno ricordati i fattori di adesione che permettono di interagine con la cellula ospite grazie a diverse proteine che risiedono nella parete cellulare, tra queste il glicocalice con azione antifagocitaria nei confronti dei macrofagi e dei neutrofili, gli acidi tecoici e peptidoglicano, nonchè la proteina A. Il glicocalice è presente prevalentemente in Staphylococcus epidermidis e Staphylococcus aureus, e ha la struttura di una vera e propria capsula (Bistoni F., 2008). Gli acidi tecoici ed il peptidoglicano, oltre a dare una sorta di rigidità e resistenza alla parete cellulare, inibiscono la chemiotassi delle cellule infiammatorie, attivano il complemento e stimolano la produzione di anticorpi (Waldvogel F.A., 2005). Mentre la proteina A si presenta come una molecola basica presente in molti ceppi da Staphylococcus aureus, che esplica anch’essa funzione antifagocitaria nei confronti dei granulociti attraverso

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14 un meccanismo che le permette di legarsi al frammento Fc delle immunoglobuline G; agisce inoltre nelle reazioni di ipersensibilità (Waldvogel F.A., 2005). S. aureus produce inoltre una serie di enzimi in grado di favorire la sua attività patogena, tra questi:

 Stafilochinasi o Fibrinolisina che trasforma il plasminogeno in plasmina.

 Lipasi che degrada gli acidi grassi dell’epidermide.

 Nucleasi o Termonucleasi che idrolizza i legami fosfodiestere fra le sub unità nucleotidiche.

 Ialuronidasi che depolarizza l’acido ialuronico interstiziale.

 Catalasi che converte il perossido di idrogeno in acqua e ossigeno.

 Coagulasi che, trasformando il fibrinogeno in fibrina, ha la capacità di coagulare il sangue.

 Coagulasi legata che permette ai batteri la formazione di ammassi.

 Beta-lattamasi che inattivano gli antibiotici beta-lattamici.

Penicillasi che fornisce resistenza a S. aureus alla benzil-penicillina (Ruffo G., 1998)

Oltre a tutti questi fattori di patogenicità, S.aureus è in grado di sintetizzare:

 leucocidina-PV che, alterando la permeabilità della membrana cellulare, porta a morte i leucociti (Filadoro F., 1991).

 Tossine epidermolitiche (ET-A ed ET-B) responsabili della “Sindrome della pelle ustionata” riscontrata soprattutto in neonati e bambini (Koneman E., 1997).

 Tossina della sindrome da shock tossico capace di indurre nel soggetto colpito: febbre, raffreddore, mal di gola, congiuntivite, cefalea, cefalea, ipotensione, diarrea e problemi renali (Waldvogel F.A., 1995).

Emolisine α, β, γ e δ, la cui azione patogena è legata alla loro capacità di lisare gli eritrociti, globuli bianchi e piastrine(α); inibire la chemiotassi dei monociti e lisare i macrofagi(β); indurre emolisi(γ); indurre emolisi e danneggiare strutture cellulari(δ).

 Enterotossine .

Oltre alle esotossine, S. aureus sintetizza almeno 18 tipi di enterotossine (Zuccon F., 2003). Queste molecole risultano igroscopiche, facilmente solubili, nella cui struttura prevale acido aspartico, acido glutammico, lisina e tirosina (Ottaviani F.,

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15 2003); sono suddivise in due gruppi secondo la loro struttura antigenica e la loro modalità d’azione. Il primo gruppo è il più numeroso e comprende enterotossine di tipo emetico: SEA, SEB, SEC, distinto a sua volta in sottotipo C1, C2 ,C3, seguono poi SED e SEE. Particolarmente comune nelle tossinfezioni umane è l’enterotossina SEA, capace di causare vere e proprie epidemie (Zuccon F., 2003). Appartengono al secondo gruppo invece le tossine G, H, I, J, K, L, M, N, O, P, Q, R e U identificate solo di recente il cui meccanismo non risulta ancora chiaro (Ruzickova V. et al., 2008).

Non tutte le enterotossine vengono prodotte dallo Staphylococcus aureus e non tutte assieme; risulta importante che ci siano le condizioni ottimali per la crescita batterica come ad esempio il pH e l’ indice aw. E’ stato dimostrato che SEA sia prodotta quando il batterio è in fase L, mentre ciò non avviene per SEB (Czop et al., 1970). Altri studi hanno dimostrato come per la produzione di SEB, C, D è richiesta la presenza di un gene agr per la produzione massimale. Nella regolazione dell’espressione della tossinogenesi in S. aureus, oltre ai quattro loci agr, sono implicati loci xpr (exoprotein regulator), sar (staphylococcal accessory regulator) e sae (staphylococcal aureus exoprotein expression) (Ottaviani F., 2003).

I valori di aw in cui viene prodotta SEA variano molto su molti alimenti e spesso viene prodotta anche per valori relativamente bassi. Al contrario SEB è strettamente legata al valore di aw, mentre SAC risulta sensibile sia ai valori aw sia alla temperatura. Ma nel loro stato attivo resistono bene all’azione di enzimi proteolitici (Bergdoll, 1989) capacità che gli da anche la possibilità di superare la barriera gastrica ed esplicare azione patogena. La temperatura ottimale per la sintesi di enterotossine si aggira attorno ai 37°-38°C. Secondo la Food and Drugs Administration la produzione di enterotossine avverrebbe per concentrazioni di Staphylococcus aureus pari a 105 CFU, mentre altri studi dimostrano come il range si aggiri da 105 a 108 CFU (Seo et Bohach, 2007).

Le cellule batteriche di Staphylococcus aureus sono estremamente sensibili al calore, cosa che non avviene per le sue enterotossine che sono termoresistenti e permangono negli alimenti anche dopo trattamenti termici; tuttavia i trattamenti termici utilizzati dall’industria, ad eccezione della pastorizzazione, consentono la distruzione delle enterotossine qualora fossero presenti. I sintomi dell’intossicazione alimentare da stafilococco si sviluppano normalmente entro

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16 quattro ore dall’ingestione del cibo contaminato. I sintomi più comuni sono nausea, vomito, crampi addominali , diarrea, sudorazione, cefalea, e perdurano in genere da 24 a 48 ore; il tasso di mortalità è assai basso o nullo. Il trattamento per i soggetti sani consiste normalmente nel riposo e nel mantenimento del bilancio idrico. La dimostrazione di un’intossicazione stafilococcica di origine alimentare si ottiene isolando gli stafilococchi enterotossigeni dai residui degli alimenti coinvolti e dalle feci dei soggetti colpiti. Si dovrebbe anche tentare di isolare l’enterotossina dagli alimenti sospetti, specialmente quando il numero di cellule vitali è scarso. La quantità minima di enterotossina necessaria per causare la malattia nell’uomo è di circa 20 ng. Questi microrganismi possono ritrovarsi in un’ampia gamma di alimenti non sottoposti a trattamenti termici per determinarne la distruzione. Un gran numero di alimenti è stato associato a epidemie di gastroenteriti stafilococciche; generalmente si tratta di prodotti manipolati e non adeguatamente refrigerati dopo la preparazione, si tratta generalmente di prodotti dolciari, gelati e creme. In linea generale, gli stafilococchi non competono bene con la normale microflora indigena della maggior parte degli alimenti; tale fenomeno si osserva in particolare per gli alimenti che contengono un numero elevato di batteri lattici e le cui condizioni consentono lo sviluppo di questi ultimi. Quando gli alimenti suscettibili vengono prodotti mantenendo basso il numero di stafilococchi, rimarranno privi di enterotossine e di altri pericoli responsabili di intossicazione alimentare se vengono conservati, fino al momento del consumo, a temperature non superiori a 4,4 °C oppure non inferiori a 60°C. Tra i fattori chiave causanti intossicazione alimentare di origine stafilococcica devono essere menzionati una refrigerazione inadeguata, la preparazione degli alimenti con troppo anticipo rispetto al momento previsto per la somministrazione, la scarsa igiene personale di operatori infetti, la cottura o il trattamento termico inadeguato ed il mantenimento dei cibi in caldo a temperature favorevoli per la crescita batterica. La refrigerazione inadeguata comprende il 25,5% dei fattori scatenanti; gli alimenti suscettibili non devono essere tenuti a temperature comprese nel range di crescita degli stafilococchi per più di 3-4 ore (Jay, 2009).

Nei centri cucina della ristorazione collettiva l’igiene degli operatori e delle superfici, nonché il rispetto delle temperature di raffreddamento e refrigerazione può divenire elemento chiave nella prevenzione di queste patologie. In Texas, un’insalata di pollo contaminata da Staphylococcus aureus ha colpito 1,364 su

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17 5,824 bambini di una scuola elementare. Secondo il resoconto dell’FDA il pollo era stato cotto, disossato e sminuzzato il pomeriggio precedente al pasto ed era poi stato conservato in pentole di alluminio in frigorifero alla temperatura di 5 a 7°C. La contaminazione è avvenuta probabilmente durante la fase di disossamento attraverso la manipolazione del pollo da parte di soggetti portatori; le temperature di raffreddamento e conservazione non adeguate hanno contribuito alla proliferazione batterica. Secondo l’FDA prevenire questo incidente era possibile eseguendo screening sugli addetti al disosso, eseguendo un raffreddamento rapido del pollo e mantenendo il tutto ad un’adeguata temperatura di refrigerazione. Il genere Staphylococcus comprende oltre 30 specie, 18 delle quali rivestono un reale o potenziale interesse per gli alimenti e sono:

Tab1. (Jay J.M., 2009). Specie e sottospecie di stafilococco per le quali è nota la produzione di coagulasi, nucleasi e/o enterotossine.

Microrganismi Coagulasi Nucleasi Enterotossina Emolisina Mannitolo G+C (%) S.aureus subs.anaerobius + TS ? + ? 31.7 S.aureus subs.aureus + TS + + + 32/36 S.intermedius + TS + + (+) 32/36 S.hyicus (+) TS + - - 33/34 S.delphini + - + + 39 S.schleiferi subsp.coagulans + TS + (+) 35/37 S.schleiferi subsp.schleiferi - TS + - 37 S.caprae - TL + (+) - 36.1 S.chromogens - -w + - v 33/34 S.cohnii - - + - v 36/38 S.epidermidis - - + v - 30/37 S.haemolyticus - TL + + v 34/36 S.lentus - + - + 30/36 S.saprophyticus - - + - + 31/36 S.sciuri - + - + 30/36

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S.simulans - V v + 34/38

S.warneri - TL + -w + 34/35

S.xylosus - ? + + v 30/36

Legenda: +=positivo; -=negativo; -w=negativo o debolmente positivo; (+) reazione debole; v=variabile; TS=termostabile; TL=termolabile

Tra le specie coagulasi-positive, S.intermedius è nota per la sua produzione di enterotossine; è presente nelle vie nasali e sulla pelle di carnivori e cavalli, ma raramente nell’uomo.. Circa la metà delle specie di Staphylococcus risiede sull’uomo , in particolare, in prossimità delle narici, sulle ascelle e sulle aree inguinale e perineale (per esempio S.cohnii subsp. cohnii) o sull’uomo e altri animali (per esempio S.aureus). La manipolazione endogena di alimenti rappresenta la fonte di contaminazione principale, in particolare se la manipolazione è ad opera dei cosiddetti portatori nasali (le cui vie nasali sono colonizzate da stafilococchi) e degli individui affetti da foruncoli e pustole su mani e braccia. La maggior parte degli animali domestici ospita S. aureus.che sprime il massimo della sua patogenicità nella mastite stafilococcica che interessa le vacche da latte: se il latte prodotto da vacche infette viene consumato o utilizzato nella fabbricazione di formaggio, la probabilità di contrarre un’intossicazione alimentare sono elevatissime. La cute umana costituisce l’habitat sia per S. epidermidis sia per S. haemolyticus (quest’ultimo è associato a infezioni). S. hyicus si trova sulla pelle del maiale, dove può causare lesioni, ed è stato anche riscontrato nel latte e nel pollame. In generale la presenza, anche solo limitata, degli stafilococchi deve essere considerata in qualsiasi alimento di origine animale o che sia stato manipolato dall’uomo, a meno che non siano stati applicati trattamenti termici per determinarne la distruzione (Jay, 2009).

1.4 SHIGELLA SPP.

Il genere Shigella appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae; filogeneticamente molto più simili alla escherichie che alle salmonelle se ne ricordano solo quattro specie : S. dysenteriae, S. flexneri, S. boydii ed S. sonne (Jay, 2009).

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19 Dalla caratteristica forma a bastoncino,questi batteri sono, Gram-negativi, immobili (Zavanella, 2008); producono acido solo dagli zuccheri, non crescono utilizzando citrato come unica fonte di carbonio, non crescono su KCN agar e non producono H2S (Jay, 2009).

Sono anche mannitolo positive ad eccezione di Shigella dysenteriae (Poli, 2002). Le quattro specie più importanti di questo genere, Shigella dysenteriae, S. flexneri, S.boydii e S.sonnei, sono raggruppate in 4 gruppi sierologici(Gruppo A,B,C,D) in base al loro antigene somatico O. Shigella dysenteriae appartiene al gruppo A, S. flexneri al gruppo B, S.boydii al gruppo C e S.sonnei al gruppo D; solo S. dysenteriae tipo 1 differisce da tutti gli altri sierotipi in quanto possiede il gene responsabile della produzione di una potente citotossina, la Shiga tossina. Ciò che fa differenziare le Shigelle dagli altri batteri enterici è la loro incapacità a fermentare il lattosio o ad utilizzare l’acido citrico come unica fonte di carbonio. Non producono idrogeno solforato ad eccezione di Shigella flexneri sierotipo 6 e S. boydii sierotipo 13 e 14; inoltre non producono gas dalla fermentazione del glucosio. Per le loro caratteristiche biochimiche e la loro patogenicità questi batteri risultano essere molto simili ai ceppi enteroinvasivi di Escherichia coli(EIEC) (Lampel et Maurelli, 2007).

Shigella dysenteriae è il principale responsabile della dissenteria bacillare, L’assunzione di soli 10 ufc di Shigella dysenterie possono bastare per determinare l’infezione (Jay, 2009).

La Shigellosi, negli esseri umani, è caratterizzata da forme severe di dissenteria; le quali sono accompagnate anche dalla presenza di sangue nelle feci. Molte persone presentano inoltre febbre e crampi addominali 1 o 2 giorni dopo l’esposizione al batterio che si risolvono in genere dopo 5-7 giorni e in molti casi non necessitano di ospedalizzazione; in altri casi la patologia è asintomatica ed il soggetto continua a rilasciare il batterio tramite le feci (Schneider et al., 2005).

Le cellule bersaglio delle shigelle sono le cellule della mucosa del colon. La loro colonizzazione comincia con l’attraversamento dello strato epiteliale mediante le cellule M; una volta attraversata la cellula M il batterio viene fagocitato dai macrofagi naturalmente presenti in loco, nei quali inducono apoptosi; grazie a questo meccanismo raggiungono il polo basolaterale delle cellule epiteliali (enterociti) e lo colonizzano. Le shigelle riescono non solo ad invadere le cellule

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20 epiteliali ma a diffondere attraverso esse formando delle sporgenze che le facilito nella diffusione da cellula a cellula; infatti una volta invase le cellule bersaglio si moltiplicano con un tempo di generazione di circa 40 minuti e grazie alla polimerizzazione di molecole di actina, all’estremità del polo batterico, si muovono da una cellula epiteliale all’altra senza versarsi nello spazio esterno. Sia durante apoptosi dei macrofagi che durante la colonizzazione degli enterociti vengono rilasciati fattori di richiamo per le cellule del sistema immunitario come citochine e fattori chemio tattici rispettivamente IL-1,IL-18 ed IL-8 i quali esplicano azione pro-infiammatoria e richiamano cellule polimorfo nucleate sul sito di invasione. La migrazione di cellule polimorfo nucleate attraverso la barrira epiteliale destabilizza la barriera stessa aumentando la capacità invasiva delle cellule batteriche (Parsot, 2005).

La dissenteria compare durante la fase iniziale di colonizzazione degli enterociti ma è il passaggio del batterio da una cellula all’altra che crea maggiori danni. Le cellule ulcerato formano micro ascessi che fondendo assieme formano ascessi più grandi; man mano che l’infezione procede e le cellule colpite muoiono compaiono nelle feci tracce ematiche, pus e muco. Mentre Shigella dysenteriae produce forme patologiche più gravi S. sonnei produce forme più lievi. Shigella flexneri e S. boydii producono invece forme patologiche sia severe che lievi. L’isolamento di Shigella dai campioni di feci sembra essere facile rispetto all’isolamento di Shigella dai campioni alimentari; questo perché l’alimento presenta in se sia caratteristiche fisiche che di composizione differenti (Lampel et Maurelli, 2007). Ad esempio il quantitativo in grassi, il ph o la presenza di sale e la flora microbica autoctona dell’alimento rendono più difficile l’isolamento della Shigella. Non esistono quindi alimenti specifici da incriminare nell’insorgenza di Shigellosi, nonostante questo la Shigella è stata ritrovata in alcuni tipi di insalata come insalata di patate, insalata di pollo come pure molluschi. L’isolamento di Shigella nei campioni alimentare risulta tuttavia più complesso rispetto all’isolamento effettuato da campioni di altra natura come ad esempio campioni fecali. Alcune caratteristiche intrinseche degli alimenti come il contenuto in grassi, il ph o il quantitativo in sale o ancora la naturale flora microbica dell’alimento, possono influenzare l’isolamento di Shigella. Alcuni studi in vitro hanno mostrato come Shigella riesca a sopravvivere alcune ore in condizioni di ph tra 2 e 3. Mentre l’ambiente acido non pone le basi per la crescita di Shigella, ph neutri ne

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21 consentono il rilevamento anche dopo 100 giorni. Per quanto riguarda la temperatura sono ben tollerate temperature fino a -20°C; infatti la sopravvivenza del batterio, che riesce bene a sopravvivere ma non a crescere, è risultata essere maggiore nei cibi surgelati o refrigerati rispetto ai cibi conservati a temperatura ambiente (Lampel et Maurelli, 2007). La sopravvivenza e la crescita del batterio vengono invece bloccate dalla presenza di Sali fino al 5.2% a ph di 5.0; da 300-700 mg di NaNO2/litro; da 0,5-1,5 mg di NaClO/litro in acqua a 4°C. La colonizzazione dei cibi da parte di Shigella avviane attraverso ciclo fecale-orale. Il patogeno è introdotto nel cibo attraverso manipolazione di soggetti infetti con una scarsa igiene personale. Il cibo manipolato da questi soggetti viene contaminato sia durante la fase di produzione sia, in secondo momento, durante la fase di passaggio tra centro di produzione e consumatore. I normali sistemi HACCP usati in molti processi produttivi riescono a ridurre sensibilmente la presenza di patogeni nei cibi, ma per batteri come Shigella potrebbero non essere sufficienti (Lampel et Maurelli, 2007).

Secondo alcuni ricercatori dell’università della Florida una corretta igiene personale ed il lavaggio frequente delle mani, soprattutto prima di manipolare cibi, è il modo più efficace di prevenire forme di shigellosi; come anche evitare di nuotare in stagni, e piscine non correttamente trattate in cui possono avvenire ingestioni accidentali di acqua infetta. E’ inoltre importante, soprattutto nei viaggi in paesi a rischio, bere solo acqua trattata o bollita (Schneider et al., 2005).

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1.5 ESCHERICHIA COLI

Secondo quanto riportato sul Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology, Escherichia coli è una delle cinque specie che compone il genere Escherichia e che appartine alla famiglia delle Enterobacteriaceae. Le sue caratteristiche principali possono essere così riassunte:

 Forma bacillare, disposto singolarmente o in coppia

 Gram-negativo

 Dimensioni 1,1-1,5x 2,0-6,0

 Talvolta capsulato

 Prevalentemente mobile

 Anaerobio facoltativo

 Metabolismo respiratorio o fermentativo

 Temperatura di crescita 37°C

 Fermenta glucosio e carboidrati con produzione di acido e gas

 Ossidasi negativo

 Catalasi positivo

 Rosso metile positivo

 Voges- Proskauer negativo

 Da reazione negativa al citrato, urea, lipasi, e alla formazione di acido solfidrico

 Riduce nitrati e nitriti

 Fermenta arabinosio, maltosio, mannite, mannosio, ramnosio, trealosio, xilosio. La membrana esterna è costituita da un lipopolisaccaride il quale a sua volta si compone di tre diverse parti; un polisaccaride O (antigene somatico), un core polisaccaridico ed un lipide A. La distinzione dei vari gruppi sierologici viene effettuata grazie alla distinzione tra tre diversi antigeni presenti sulla superficie batterica; l’antigene somatico O termostabile, l’antigene flagellare H di natura proteica e termolabile e l’antigene capsulare K anch’esso di natura proteica e termolabile. Non tutti gli E.coli sono patogeni per l’uomo ma quelli patogeni presentano alcune caratteristiche di virulenza come la possibilità di aderire ai microvilli intestinali attraverso la produzione di pili, fimbrie e adesine; lo scopo è quello di aderire bene all’epitelio intestinale resistendo al fenomeno della peristalsi. Oltre alla capacità di aderire all’epitelio intestinale alcuni ceppi sono in

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23 grado di colonizzare gli enterociti del colon, moltiplicandosi all’interno di essi per poi distruggerli; il meccanismo d’azione di questi ceppi è simile a quello perpetuato dalle Shigelle. I ceppi di E.coli patogeni inoltre sono capaci di produrre una serie di tossine che esplicano la loro azione tossica non solo nell’uomo ma anche in molti animali da produzione. Le tossine fin ora riscontrate sono:

1. Enterotossine ST termostabili 2. Enterotossina LT termolabile 3. Verocitotossine

4. Citotossine necrotizzanti

Mentre le prime due tossine sono responsabili di ipersecrezione e rapida e prolungata diarrea le Verocitotossine sono responsabili di enterite emorragica e SEU(Sindrome emolitico uremica); le citotossine sono responsabili di patologie non solo intestinali (Zavanella, 2009).

I ceppi di E.coli patogeni vengono divisi in categorie a seconda delle loro caratteristiche di virulenza ed alle manifestazioni cliniche che generano negli uomini e negli animali ed al sierogruppo O. Possono provocare forme gastroenteriche e per questo possono essere distinti in:

E. coli enteropatogeni EPEC

E.coli enterotossigeni ETEC

E.coli enteroemorragici EHEC

E.coli enteroinvasivi EIEC

E.coli enteroaggreganti EAEC

E. coli aggregante diffusa DAEC

E.coli sistemici

- I ceppi di E.coli appartenenti al ceppo ETEC sono capaci di produrre sia tossine termolabili che termostabili attraverso cui generano nel soggetto colpito stati infiammatori, diarrea acquosa con forte perdita di liquidi. Le cellule bersaglio delle tossine sono le cellule dell’intestino tenue; la tossina LT-I si lega ad esse grazie alle sue due sub unità molto affini al recettore ganglioside GM1 e alle glicoproteine di superficie. Grazie a questo meccanismo di ancoraggio la sub unità A della tossina LT-I entra all’interno della cellula aumentando la produzione di

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24 adenilato ciclasi; alternando gli scambi ionici e facendo perdere molti liquidi alla cellula. Il risultato è l’insorgenza di una diarrea acquosa e di uno stato infiammatorio della mucosa dovuto alla produzione di prostaglandine e citochine promosso dall’azione della tossina. Anche le tossine termostabili STa ed STb esplicano la loro azione attraverso un’ipersecrezione di fluidi (Zavanella, 2009). - I ceppi EPEC esplicano la loro azione patogena producendo adesine come l’intimina che gli consentono di aderire bene alla mucosa intestinale. Per far meglio aderire l’intimina alle cellule intestinale i batteri di questo ceppo sono capaci di secernere una proteina detta Tir, che viene poi inserita nella membrana delle cellule intestinali (Zavanella, 2009).

- I ceppi EIEC esplicano la loro azione in maniera simile a quello delle shighelle; entrano all’interno dell’epitelio del colon attraverso vacuoli, si moltiplicano nel citoplasma e migrano da una cellula adiacente all’altra portando a morte le cellule colpite. Per la loro motilità utilizzano filamenti di actina con un meccanismo simile a quello di Listeria monocytogenes (Zavanella, 2009).

- I ceppi EHEC sono particolarmente patogeni, basti pensare che per l’insorgenza della forma diarroica bastano 100 unità formanti se il sierotipo in causa è il ceppo O157:H7. Questi batteri possono produrre tossine molto simili a quelle prodotte dalla Shigelle; Stx ed Stx-2. Le tossine esplicano la loro azione legandosi ad un glicolipide molto presente sulle cellule intestinali e renali; attraverso il legame con questa struttura denominata Gb3 sono capaci di distruggere i villi intestinali e creare così una diminuzione nell’assorbimento dei nutrienti e dei liquidi. Alla produzione della tossina Stx-2 viene associata l’insorgenza della sindrome emolitico uremica; una delle complicanze più temute in quanto la tossina va a legarsi ai recettori Gb3 dei glomeruli renali provocando insufficienza renale acuta. La tossina stimola inoltre la produzione di altri recettori Gb3 ed una serie di molecole pro infiammatorie. Dall’assunzione di cibo contaminato al manifestarsi della patologia passano dai 3 ai 4 giorni dopo di che si manifestano diarrea sanguinolenta, dolori addominali, vomito, trombocitopenia ed anemia emolitica microangiopatica. I sintomi possono persistere per 10 giorni in cui è comunque possibile che si presentino complicanze o morte. Cibi incriminati in questa sindrome sembrano essere la carne bovina, latte, acqua , vegetali e frutta. Particolarmente esposti sono i bambini e le categorie a rischio (Zavanella, 2009).

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25 - I ceppi EAEC sono dotati di organi di aderenza come fasci di fimbrie grazie ai quali aderiscono tra loro formando una struttura a mattoni. Sono capaci di stimolare la secrezione di muco e creare biofilm stratificati sulle cellule dell’intestino tenue. Anche se sembra non producano tossine, la loro azione patogena è esplicata dal fatto che la struttura del microvillo viene ad accorciarsi richiamando cellule mo nucleate ed emorragie (Zavanella, 2009).

- I ceppi DAEC in vivo sono anch’essi capaci di accorciare i villi intestinali facendosi inglobare dalle cellule intestinali (Zavanella, 2009).

Tra i ceppi sopra descritti il più citato è sicuramente l’E.coli O157:H7 appartenente ai ceppi EHEC; questo perché già dagli anni 80’ si è reso responsabile di varie forme tossinfettive ma soprattutto si è reso responsabile della SEU( sindrome emolitico uremica) e della CE (colite emorragica).

L’E.coli O157:H7 si presenta mobile, anaerobio facoltativo, sorbitolo negativo e MUG-negativo, con temperatura preferenziale di crescita di 37°C. Capace di predurre due tipi di tossine Stx-1 ed Stx-2, sono necessarie solo poche cellule batteriche (da 10 a 100) perché si manifesti la patologia. Il sito di moltiplicazione sono le cellule del colon che venendo aggredite dal batterio danno origine ad una colite di tipo emorragica. L’incubazione della malattia va dai 3 ai 5 giorni, nei quali l’ammalato elimina il batterio attraverso le feci. Alimenti a rischio sono stati considerati la carne cruda o poco cotta, le verdure ed il latte consumati crudi (Zavanella, 2008).

Nonostante prediliga pH neutri per il suo sviluppo sembra che il batterio tolleri bene gli stress acidi offerti dal sistema gastrico rendendolo maggiormente patogeno per l’uomo. Alcuni studi hanno evidenziato come sia capace di resistere all’interno di salumi fermentati e predotti come la mayonnaise o il cidro di mele. Anche se il trattamenti con il calore come la cottura delle carni o la pastorizzazione del latte mette a riparo dall’E.coli O157:H7, vari rilevamenti hanno evidenziato la presenza del batterio all’interno dell’ambiente di allevamento (Meng J. et al., 2007).

All’interno degli allevamenti il fattore predisponente alla proliferazione del batterio sembra essere proprio l’alimentazione che se spinta in maniera significativa verso un alto contenuto in amido produrrebbe un aumento della concentrazione di batteri nelle feci. Al contrario un’alimentazione in cui si prediligono i cereali porterebbe alla proliferazione a livello del colon di ceppi

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26 acido resistenti; dunque l’optimum sarebbe bilanciare bene la razione introducendo anche il fieno (Jay, 2009).

Animali che eliminano il batterio attraverso le feci hanno maggior possibilità di inquinare il latte; mentre errori nella macellazione possono contaminare le carcasse. Attraverso un giusto processo di pastorizzazione il rischio viene scongiurato essendo i ceppi EHEC più termosensibili della maggior parte delle salmonelle (Jay, 2009).

Per quanto riguarda la carne un giusto processo di cottura pone al riparo dal batterio tuttavia negli Stati Uniti le carcasse di manzo vengono sottoposte a radiazioni di 4.5 kGy per le carni refrigerate, 7.5 kGy per quella surgelata (Meng J. et al., 2007).

1.6 LISTERIA MONOCYTOGENES

Le listerie sono bacilli Gram-positivi, molto simili ai microrganismi del genere Brochothrix. Entrambi i generi sono catalasi positivi e tendono a essere associati in natura assieme al Lactobacillus. Tutti e tre i generi producono acido lattico da glucosio e altri zuccheri fermentescibili; tuttavia, a differenza di Listeria e Brochothrix, i lattobacilli sono catalasi negativi. Listeria è suddivisa in 6 specie (L. monocytogenes, L.innocua, L.seeligeri, L.welshimeri, L.ivanovii, L.grayi). L. ivanovii è rappresentata da due sottospecie, L. ivanovii subsp. ivanovii e L. ivanovii subsp. londoniensis; la prima si distingue dalla seconda per la capacità di fermentare il ribosio, ma non l’ N-acetil-β-D-mannosamina. Gli acidi teicoici del tipo poli (ribitolfosfato) rappresentano i polimeri accessori prevalenti nelle parete cellulare di Listeria spp. L’acido lipoteicoico di L. grayi è del tipo modificato, distinguendola ulteriormente dalle altre specie. Sembra che gli acidi teicoici vengano riconosciuti dai batteriofagi come ligandi associati alla parete cellulare Le esigenze nutrizionali delle listerie sono comuni a quelle di molti altri batteri Gram-positivi (Jay, 2009).

Sebbene la listeria maggiormente descritta sia Listeria monocytogenes non è errato pensare che le altre specie di listeria abbiano esigenze di crescita molto simile alle sue. Risultano essenziali almeno quattro vitamine del gruppo B – biotina, riboflavina, tiamina e acido tiottico (acido α-lipoico, un fattore di crescita per

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27 alcuni batteri e protozoi) – e gli amminoacidi cisteina, glutammina, isoleucina, leucina e valina. Il glucosio stimola la crescita di tutte le specie, con produzione di acido L(+)-lattico. Non è scontato che alcune listerie metabolizzino carboidrati semplici e complessi oltre alla famosa via metabolica di Embden-Meyerhof. Listeria spp. è simile agli enterococchi per la capacità di:

 idrolizzare l’esculina e crescere in presenza del 10 o del 40% (w/v) di bile

 crescere in presenzadel 10% circa di NaCl,

 crescere in presenza dello 0,025% di tallio acetato e

 crescere in presenza dello 0,04% di tellurito di potassio

A differenza degli enterococchi non si sviluppa in presenza dello 0,02% di sodio azide e possiedono un’idrolasi per i sali biliari, che consente loro di crescere nella cistifellea. Benchè il ferro sia importante nella crescita in vivo, L. monocytogenes non sembra possedere specifici composti che legano il ferro e soddisfa il proprio fabbisogno attraverso la mobilizzazione riducente del ferro libero legandolo ai recettori di superficie (Jay, 2009).

L. monocytogenes contamina prevalentemente prodotti alimentari freschi di origine animale o vegetale in concentrazioni variabili, come per esempio è avvenuto in latte crudo, formaggi molli, carne fresca e congelata, pollame e prodotti ittici e su prodotti ortofrutticoli. Dato l’elevato numero di epidemie verificatesi in passato e che hanno riguardato prevalentemente latte e prodotti lattiero-caseari, la manipolazione di questi prodotti ha ricevuto grande attenzione. Per quanto riguarda le altre Listeria spp. negli alimenti, L. innocua è piuttosto comune in carni, latte, prodotti ittici congelati, formaggi semiduri, uova intere e ortaggi; in generale, è la specie isolata più frequentemente nei prodotti lattiero-caseari. Sono microrganismi diffusi in natura che possiamo ritrovare in vegetali in decomposizione, nel suolo, nelle feci di animali, nei liquami, negli insilati e nelle acque. Tra le specie di listeria, L. monocytogenes è il patogeno d’interesse per l’uomo. Nonostante Lysteria monocitogenes risulti molto patogena per l’uomo ciò non avviene per le cavie, mentre L. innocua, L. welshimeri e L. seeligeri sono non-patogene, nonostante quest’ultima produca un’emolisina. In generale, i ceppi patogeni/virulenti di L. monocytogenes producono beta-emolisi in agar sangue e acido da ramnosio ma non da xilosio (Jay, 2009).

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28 Il fattore di virulenza più significativo associato a L. monocytogenes e la listeriolisina O (LLO). L’attività emolitica di Listeria dipende da una specifica sostanza responsabile della β-emolisi degli eritrociti e della distruzione delle cellule fagocitiche dalle quali sono inglobati nei ceppi risultati patogeni. LLO si ritrova in tutti i ceppi di L. monocytogenes, compresi alcuni non emolitici, ma non in L. welshimeri o in L. grayi. L. ivanovii e L. seeligeri producono esotossine tiolo-dipendenti, simili ma non identiche alla LLO. L. ivanovii ne produce grandi quantità, mentre L. seeligeri quantità modeste. La citolisina tiolo-dipendente di L. ivanovii è la ivanolisina O (ILO). Il microrganismo, solo dopo essersi introdotto in sede intestinale, invade i tessuti, inclusa la placenta nelle donne gravide, e penetra nel circolo ematico, attraverso il quale raggiunge altre cellule suscettibili nell’organismo. Poiché la sua modalità d’ azione prevede l’entrata e la colonizzazione delle cellule bersaglio, deve prima penetrare nelle cellule suscettibili e, quindi, possedere gli strumenti per replicarsi all’interno di esse (Jay, 2009).

Nel caso dei fagociti, la penetrazione avviene in due stadi: 1. Direttamente nei fagosomi

2. Dai fagosomi nel citoplasma del fagocita

Mentre la penetrazione e l’internalizzazione in cellule che non effettuano fagocitosi avviene attraverso l’internalizzazione che richiede proteine legate alla superficie del batterio; denominate In1A e In1B78, che facilitano l’ingresso di L. monocytogenes nelle cellule dell’ospite. La proteina In1A, internalina A, che ha come recettore di superficie nei mammiferi la Ecaderina, è richiesta per la penetrazione in cellule epiteliali coltivate; la In1B, internalina B, è necessaria per l’invasione di epatociti di topo coltivati. L. monocytogenes sopravvive all’interno dei macrofagi lisando la membrana fagolisosomiale e liberandosi nel citoplasma (citosol); tale processo è in parte facilitato dalla LLO. Una volta all’interno del citosol, la proteina di superficie ActA (codificata da actA) accorre in aiuto per la formazione di code di actina, che spingono il microrganismo verso la membrana citoplasmatica. A livello della membrana, si formano vacuoli a doppia membrana. Con la LLO e le due fosfolipasi batteriche (fosfolipasi C, fosfatidilinositolo-specifica), i batteri vengono liberati e il processo viene ripetuto in seguito alla penetrazione dei batteri nelle cellule ospiti adiacenti. Grazie alla formazione di una struttura specifica, denominata filopodio, le cellule di Listeria monocytogenes

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29 riescono a diffondersi, senza che il batterio debba lasciare le parti interne delle cellule ospiti. Non appare ancora chiaro il significato di un componente lipidico della membrana cellulare (LPS) di L. monocytogenes che fa si che condivida almeno una proprietà con il lipopolisaccaride (LPS) tipico dei batteri Gram-negativi. Questa sostanza identifica è l’acido lipoteicoico (LTA). Questa frazione di LTA rappresenta il 6% circa del peso secco delle cellule ed è associata alla membrana plasmatica (Jay, 2009).

Alcuni Paesi hanno fissato dei limiti legali per il numero tollerabile di microrganismi negli alimenti, in particolare nei prodotti pronti al consumo, mentre altri hanno suggerito linee guida o criteri non legalmente vincolanti. Sono invece gli Stati Uniti ad attuare la politica piu restrittiva, in base alla quale L. monocytogenes è considerata un “adulterante”; ovvero qualsiasi prodotto trovato positivo può essere soggetto a richiamo e sequestro. Questo tipo di comportamento prevede una tolleranza zero: assenza del microrganismo in campioni di 25 g, che equivale a n = 5, c = 0 in un piano di campionamento. Non tutti i ceppi di questo microrganismo causano malattia nell’uomo; inoltre i prodotti a base di carne e pollame possono essere gestiti in modi differenti dai diversi consumatori. (Jay, 2009)

1.7 CAMPYLOBACTER SPP.

I campilobatteri sono correlati al genere Arcobacter, tra di loro il più conosciuto per il suo potere patogeno è Campylobacter jejuni; un bacillo sottile e ricurvo, Gram-negativo, che può presentare la tipica forma a esse o a spirale, dotato di un singolo flagello polare su una o su entrambe le estremità cellulari. A differenza delle altre specie di campylobatteri resiste alla cefalosporina ed idrolizza l’ippurato. Un tempo era studiato soprattutto dai veterinari come causa di aborto nel bestiame; oggi Campylobacter jejuni è tra i patogeni responsabili di molte tossinfezioni in campo alimentare. Questo batterio, possiede un metabolismo respiratorio, si presenta come ossidasi e catalasi negativo, inibito dallo presenza di NaCl al 3,5% o da temperature sui 25°C, temperatura ottimale di crescita sono i 40°C; è inoltre un batterio microaerofilo che richiede per la crescita quantità di

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