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Progettazione, sintesi e valutazione funzionale di analoghi sintetici delle viniferine, utili per il trattamento di patologie cardiovascolari

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Indice

1 Introduzione

1.1 Premessa 1

1.2 Sistema circolatorio ed anatomia delle arterie 6

1.3 Il trasporto dei lipidi nel sangue 9

1.4 Patogenesi dell’aterosclerosi 11

1.5 Aterosclerosi ed infiammazione 16

1.6 Sintomatologia 20

1.7 Trattamento 22

1.8 Interazione del resveratrolo e delle viniferine con i meccanismi implicati nell’aterosclerosi 24

1.9 Proprietà antiinfiammatorie ed antiossidanti del resveratrolo e dei suoi dimeri 27

2 Introduzione alla parte sperimentale 2.1 Proprietà delle viniferine e utilizzo in campo farmaceutico 30

2.2 Sintesi dei polifenoli nei tessuti vegetali 32

2.3 Sintesi delle viniferine a partire dal resveratrolo 34

2.4 Progettazione e sintesi chimica di analoghi sintetici delle viniferine 36

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2.5 Valutazione funzionale 43

3 Parte sperimentale

3.1 Materiali e metodi 46 3.2 Procedure di sintesi, proprietà chimico-fisiche e

caratteristiche spettroscopiche 47

4 Conclusioni 60

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1 INTRODUZIONE:

1.1 Premessa

Una delle caratteristiche del regno vegetale è la capacità delle piante di sintetizzare numerosi prodotti detti metaboliti secondari che, pur non essendo essenziali per la crescita, lo sviluppo o la riproduzione dell’organismo, presentano specifiche funzioni.

A differenza dei metaboliti primari, i metaboliti secondari non vengono espressi in continuo dalla pianta ma solo in seguito a determinati stimoli esterni, sia di natura biotica (presenza e/o aggressione da parte di animali e/o microorganismi, patogeni e non) che abiotica (temperatura, umidità, radiazioni UV, presenza di inquinanti, salinità).

Le fitoalessine, ad esempio, sono sostanze implicate nella difesa chimica della pianta e la loro sintesi è indotta dalla presenza di molecole che segnalano alla pianta stessa l’attacco patogeno. Un’importante classe di questi composti è rappresentato dai derivati stilbenici. La caratteristica della vite di difendersi dall’attacco di agenti patogeni o dallo stress ossidativo è dovuta alla sintesi ed all’accumulo degli stessi stilbeni, che permettono alla pianta di adattarsi ai differenti ecosistemi. La biosintesi di questi composti è quindi ampiamente diffusa tra le specie vegetali.

Negli ultimi anni, gli stilbeni di origine vegetale, ed in particolare il derivato trans-3,5,4’-triidrossistilbene, o resveratrolo, hanno ricevuto grande attenzione da parte della comunità scientifica internazionale che, analizzando le numerose attività biologiche di questi composti, ne ha preconizzato un possibile utilizzo farmacologico.

Nelle piante, i derivati stilbenici, ed il resveratrolo in particolare, sono sintetizzati a partire da un precursore comune, l’acido trans-cinnamico, ottenuto attraverso la deaminazione ossidativa della L-fenilalanina, ad

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opera dell’enzima fenilalanina ammonio-liasi (PAL). La cinnamato 4-idrossilasi (C4I) converte poi l’acido trans-cinnamico in acido cumarico, che a sua volta fornisce il p-cumaroil-CoA per reazione con CoA libero ed intervento della 4-cumarato-CoA ligasi (4CL). Attraverso la condensazione sequenziale con tre molecole di malonil-CoA, catalizzata dell’enzima stilbene sintetasi (STS), il p-cumaroil-CoA subisce reazioni di ciclizzazione ed aromatizzazione, consentendo l’ottenimento del resveratrolo, come mostrato in figura 1.

In alternativa, l’acido cumarico può essere ottenuto anche dalla L-tirosina, per deaminazione ossidativa catalizzata dall’enzima tirosina ammonio-liasi (TAL).

Figura 1. Sintesi del Resveratrolo

Isolato per la prima volta dalle radici dell’elleboro bianco, Veratrum grandiflorum, il resveratrolo è presente in almeno 72 specie diverse di piante ed è ampiamente rappresentato nella buccia dell’uva, nelle arachidi, nei frutti di bosco.

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Il resveratrolo è stato dimostrato avere una potente azione antiossidante. Infatti, la presenza di questa sostanza nel vino rosso è associata ai benefici ottenuti dalle popolazioni che lo consumano abitualmente nella dieta. Sono note le proprietà cardioprotettive del resveratrolo e la presenza di questo composto nel vino rosso è in parte responsabile del fenomeno conosciuto come “Paradosso francese”. In Francia, nonostante ci sia infatti una dieta ad elevato contenuto di acidi grassi saturi, il consumo abituale di vino rosso riduce l’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari, che risulta quindi essere inferiore rispetto agli altri paesi.

Sono conosciute inoltre le proprietà antiinfiammatorie, antitumorali, protettive sulle cellule nervose, antiaggreganti, immunomodulatorie, antibatteriche ed antifungine del resveratrolo. Tutte queste attività sono dovute all’interazione di questa molecola con numerose vie sintetiche cellulari che interessano enzimi diversi, quali ad esempio ciclossigenasi, lipossigenasi e tirosine chinasi.

A partire dagli anni Ottanta, l’interesse nei confronti delle numerose attività del resveratrolo è cresciuto in maniera significativa. Nell’ultimo decennio, tuttavia, la ricerca si è rivolta più specificamente verso l’analisi delle differenti bioattività dei suoi oligomeri, con successivo studio delle loro potenziali applicazioni al fine di individuare nuovi derivati utili in campo farmaceutico.

Gli oligomeri del resveratrolo (figura 2) derivano dalla polimerizzazione di più unità stilbeniche, da due ad otto, e sono sintetizzati principalmente in cinque diverse specie di piante, Vitaceae, Leguminosae, Gnetaceae, Dipterocarpaceae e Cyperaceae, non solo come fitoalessine ma anche come prodotti del metabolismo del resveratrolo stesso.

Degli oligomeri ad oggi conosciuti, i più interessanti risultano essere gli isomeri - ed -viniferina (figura 3), prodotti nella pianta per condensazione di due molecole di resveratrolo. Questi composti, isolati per la prima volta nella Vitis vinifera, condividono con il resveratrolo la stessa efficacia funzionale. Studi in vitro ed in vivo hanno infatti dimostrato le loro proprietà antiinfiammatorie, antiossidanti, antitumorali, antifungine, antibatteriche ed antivirali.

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Tuttavia, mentre nel resveratrolo sono più marcate le proprietà antitumorali, i dimeri - ed -viniferina risultano più efficaci come antiinfiammatori ed antiossidanti. Pertanto, questi composti rappresentano degli ottimi candidati farmaci per il trattamento delle patologie cardiovascolari, che originano da uno stimolo infiammatorio e sono sostenute dallo stress ossidativo. Inoltre, la - ed  -viniferina costituiscono un’utile fonte di ispirazione per il chimico farmaceutico che, sviluppando analoghi sintetici, può migliorare l’efficacia funzionale, la selettività d’azione, la stabilità chimica e le proprietà farmacocinetiche di questi composti.

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1.2 Sistema circolatorio ed anatomia delle arterie

Il sistema cardiovascolare è estremamente importante per la vita di ciascun individuo: la sua funzione primaria è quella di portare ossigeno e nutrienti a tutte le cellule del corpo e rimuovere l’anidride carbonica ed i prodotti di rifiuto. Tale sistema è spesso indicato come sistema circolatorio perché il sangue compie un percorso quasi circolare.

Sebbene composto da un numero elevatissimo di vasi che ne complicano la struttura complessiva, il suo schema generale si può riassumere in due parti: il circolo polmonare, che connette i polmoni al cuore, ed il circolo sistemico, che connette il cuore a tutti gli organi del corpo.

Il cuore è rappresentato come due pompe separate che lavorano in serie, con la parte destra che pompa sangue ai polmoni, mentre la parte sinistra immette sangue diretto a tutti i tessuti dell’organismo (4).

I vasi che si allontanano dal cuore sono le arterie mentre quelli che vi ritornano sono le vene. Le arterie sono dunque canali membranosi circolari, adibiti al trasporto di sangue dal cuore verso i tessuti; allontanandosi da esso danno origine a rami che diminuiscono di diametro fino a sfociare nelle reti capillari. Nonostante ciò le arterie sono ben lontane dall’essere semplici condotti inerti. Infatti si tratta di strutture dinamiche, capaci di dilatarsi o restringersi in risposta a determinati stimoli. Il rivestimento di tutti i vasi è rappresentato da un sottile strato di endotelio che per molto tempo è stato considerato come una semplice barriera passiva, mentre recentemente è stato scoperto svolgere un’importante azione regolatrice nel controllo del flusso di sangue, nella crescita del vaso stesso e nel trasporto di sostanze. Le pareti delle arterie, mostrate in figura 4, sono costituite da tre strati concentrici che, dall’interno all’esterno sono: la tonaca intima, la tonaca media e la tonaca avventizia.

Gli elementi strutturali della parete arteriosa sono: l’endotelio, le fibre elastiche, le fibre collagene e le cellule muscolari.

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La tonaca intima è costituita dall’endotelio che forma il rivestimento epiteliale continuo, a scarso attrito, interno alle arterie; questo strato è costituito da cellule appiattite, di forma poligonale o allungate nel senso dell’asse del vaso. La tonaca media, la più spessa delle tre, caratterizza e condiziona il comportamento funzionale delle arterie in quanto nelle arterie di grosso calibro vi prevale il tessuto elastico mentre in quelle di piccolo e medio calibro (arteriole) prevale il tessuto muscolare.

La tonaca avventizia rappresenta l’ultimo rivestimento della parete arteriosa ed è costituita principalmente da fibroblasti e da fibre collagene orientate longitudinalmente. A separare queste tre tonache sono presenti due strati di fibre elastiche che prendono il nome di lamina elastica interna e lamina elastica esterna.

La cavità interna dell’arteria, in cui scorre il flusso ematico, è detta lume. Le arterie di grosso calibro, definite arterie elastiche, hanno un diametro compreso tra 7 mm e 3 cm e di questa classe fanno parte ad esempio l’aorta e le arterie carotidi comuni. Esse hanno una tonaca intima composta da un endotelio che poggia su di uno strato sotto endoteliale, costituito da connettivo con fibre di collagene ed elastiche intrecciate, rari fibroblasti e macrofagi. La tonaca media invece presenta numerose membrane elastiche disposte concentricamente e congiunte tra loro; negli spazi che si vengono a creare sono presenti fascetti di cellule muscolari lisce e fibre di collagene ed elastina. La tonaca avventizia è sottile e può contenere piccoli vasa vasorum (5). Le fibre elastiche all’interno della tonaca media sono in numero elevato e, perché si abbia la loro distensione, viene richiesta una elevata quantità di energia derivante dall’eiezione rapida del sangue che fuoriesce dal ventricolo sinistro ad alta pressione; la pressione generata durante la sistole ventricolare sinistra viene accumulata nelle pareti elastiche delle arterie e rilasciata lentamente dal loro ritorno elastico durante la diastole.

Questo meccanismo smorza le oscillazioni pressorie generate dal ventricolo e permette di mantenere una pressione ed un flusso di sangue continuo nei vasi

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sistemici (6). Le arterie muscolari o di medio calibro invece hanno un diametro compreso tra 0,1 e 7 mm; presentano una prevalente struttura muscolare, infatti la tonaca media forma circa la metà dello spessore della parete, ed anche in questo caso sono presenti vasa vasorum nello spessore della tonaca avventizia (5). Le arteriole sono pertanto vasi ad alta resistenza (piccolo diametro) che tramite la loro vasocostrizione o vasodilatazione distribuiscono il sangue selettivamente nelle diverse regioni dell’organismo. Quando il sangue raggiunge il letto dei capillari, la presenza di un epitelio permeabile e la bassa velocità del sangue, permettono lo scambio di nutrienti e gas, tra plasma, liquido interstiziale e cellule. Ciò avviene sia a livello del circolo sistemico che di quello polmonare con la differenza che lo scambio dei gas è invertito; il sangue si arricchisce di anidride carbonica a livello dei tessuti mentre riceve ossigeno a livello polmonare (4).

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1.3 Il trasporto dei lipidi nel sangue

I lipidi nel plasma sono trasportati da complessi macromolecolari chiamati lipoproteine.

Tali complessi sono particelle sferiche caratterizzate da una regione centrale idrofobica contenente esteri del colesterolo e trigliceridi, colesterolo non esterificato; fosfolipidi ed apoproteine invece circondano la parte centrale. I trigliceridi di origine alimentare, il colesterolo esterificato e non esterificato sono trasportati dai chilomicroni, i quali transitano nel dotto toracico verso il torrente circolatorio. Queste lipoproteine rilasciano i trigliceridi ai tessuti extraepatici attraverso reazioni di idrolisi catalizzate dal sistema delle lipasi lipoproteiche (LPL). Man mano il nucleo si riduce e dei chilomicroni restano solo lipidi di superficie e piccole apoproteine, le quali vengono trasferite alle HDL. Le HDL sono lipoproteine ad alta densità che assumono i lipidi dai chilomicroni e dalle VLDL ed il colesterolo dai tessuti periferici mediante una via che trasporta il colesterolo libero dalla membrana plasmatica delle cellule alle HDL e ne comporta anche l’esterificazione. Le HDL possono così veicolare il colesterolo al fegato rimuovendolo dai tessuti e dal torrente circolatorio.

Le VLDL sono lipoproteine, a densità molto bassa, secrete dal fegato, che trasportano trigliceridi ai tessuti periferici; i trigliceridi vengono idrolizzati ad acidi grassi liberi e delle VLDL rimangono solo frammenti minori che prendono il nome di IDL.

Alcune IDL sono captate dal fegato per endocitosi mentre le rimanenti vengono trasformate in LDL dalla lipasi epatica.

Le LDL sono lipoproteine a bassa densità che hanno il ruolo di trasportare dal fegato ai tessuti trigliceridi e colesterolo esterificato, come mostrato in figura 5. Pertanto le LDL, le VLDL e le IDL sono le lipoproteine che contengono apolipoproteina (apo) B-100, la quale permette di veicolare i lipidi nelle pareti delle arterie; tale caratteristica rende le suddette lipoproteine implicate nella formazione dell’ateroma.

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Le HDL, al contrario, esplicano diversi effetti antiaterogeni: esse partecipano a processi che allontanano il colesterolo dalla parete arteriosa ed inibiscono l’ossidazione di lipoproteine aterogene. È evidente che il fegato svolge un ruolo fondamentale nel bilancio del colesterolo, infatti a differenza di altre cellule, gli epatociti sono in grado di eliminare il colesterolo dalla circolazione plasmatica sia secernendolo nella bile che trasformandolo in acidi biliari (6).

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1.4 Patogenesi dell’aterosclerosi

L'aterosclerosi è un processo morboso a carico delle arterie, causato da un’elevata concentrazione di lipidi plasmatici, che ha la sua espressione caratteristica nella comparsa di placche focali rilevate, fibrolipidiche, note come placche aterosclerotiche o ateromi, consistenti in un ispessimento asimmetrico della tunica intima, ovvero lo strato più intero del vaso.

Tale patologia è la causa principale di morte negli Stati Uniti e negli altri Paesi occidentali.

Arteriosclerosi è un termine coniato dal patologo Jean Lobstein nel 1829 per descrivere l’ispessimento e l’aumento di consistenza della parete arteriosa, il termine aterosclerosi fu invece introdotto nel 1904 da Marchand per sottolineare la presenza dell’ateroma.

L’aterosclerosi infatti è una forma particolare dell’arteriosclerosi che colpisce principalmente le grosse arterie elastiche e muscolari, come l'aorta, le arterie coronarie, carotidi e cerebrali, mentre risulta assente nei capillari, nelle vene e nei vasi linfatici.

Macroscopicamente l'aterosclerosi si manifesta con tre lesioni elementari, che rappresentano le fasi evolutive della malattia:

 stria lipidica  placca fibrosa  lesione complicata

Le strie lipidiche sono le prime evidenze dell'alterazione della parete vasale nello sviluppo della patologia; esse si presentano in forma di punteggiature appena visibili, spesso allineate tra loro nel senso della lunghezza del vaso, oppure in forma di chiazze più evidenti con contorni irregolari. Sono lesioni reversibili per cui in presenza di fattori di rischio cardiovascolare possono progredire in lesioni più avanzate ed in mancanza di essi possono regredire.

Tali lesioni si vengono a formare come conseguenza della penetrazione e dell'accumulo di LDL nella tonaca intima della parete vasale; l'ossidazione di LDL

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e delle apolipoproteine (apoB100) promuove l'infiammazione con conseguente stimolo delle cellule vascolari a produrre molecole di adesione (VCAM-1) e sostanze atte al richiamo dei monociti ed al loro differenziamento in macrofagi. Questi ultimi stimolano l'ulteriore ossidazione delle LDL (LDL-ox) con modificazione della porzione proteica; tale avvenimento porta il macrofago ad incamerare grandi quantità di lipidi causa la perdita dell’autoregolazione con conseguente trasformazione di questo in cellula schiumosa, così definita per il citoplasma fortemente vacuolizzato e per la presenza di gocce lipidiche al suo interno.

Le LDL ossidate giocano un ruolo importante nell’aterogenesi, in quanto promuovono l’infiammazione e l’adesione dei lipidi alla parete dell’arteria. Le LDL ossidate inducono inoltre l'inibizione della vasodilatazione mediata da NO e l'inibizione della motilità dei macrofagi nell'intima mentre come conseguenza dell'attivazione della risposta immunitaria si ha il rilascio di citochine come l'interferone-ɣ, l'interleuchina-1 e il tumor necrosis factor.

In tale contesto è indotta la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla tonaca media alla tonaca intima, come mostrato in figura 6. Le cellule muscolari lisce, in sede intimale, subiscono sdifferenziamento assumendo capacità fagocitaria verso i materiali lipoproteici provenienti dal sangue e capacità di produrre mucopolisaccaridi e collageno; si vengono quindi a produrre le sostanze che andranno a comporre un cappuccio fibroso, il quale separa il core lipidico dal lume vasale per cui la stria lipidica progredisce nella placca fibro-lipidica.

Suddetto tipo di lesione, a differenza della stria, protrude nel lume vasale determinando un ostacolo al flusso ematico.

L'ateroma si compone quindi di un core, costituito da macrofagi ricchi di colesterolo e lipidi extracellulari, circondato da un “cappuccio” costituito dalle cellule muscolari lisce e da una matrice di fibre di collagene. Nelle zone di accumulo lipidico si ha quindi una distruzione graduale dei normali costituenti elastici e collageni del vaso.

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Figura 6. Rappresentazione dell’evoluzione dell’ateroma; si evidenziano l’ingresso del colesterolo nell’intima del vaso, l’adesione dei monociti alla parete dello stesso e la migrazione delle cellule muscolari nella tonaca intima.

L’indebolimento della parete che ne deriva provoca un’iperplasia compensatoria di questi apparati di resistenza. Si forma così al di sopra dell’ateroma un ispessimento connettivo-elastico che va incontro a fenomeni di sclerosi e ialinosi; pertanto un tessuto cicatriziale viene a sostituire le strutture elastiche e muscolari normali.

La placca aterosclerotica di per sé contribuisce a restringere il volume del vaso (stenosi) e tende a creare delle turbolenze nel flusso ematico comportando così il danneggiamento e la corrosione del vaso stesso.

Quando la condizione di stenosi si fa marcata il passaggio del sangue si fa difficoltoso e l’apporto di nutrienti ed ossigeno ai tessuti a valle dell’ateroma diviene carente.

A livello locale la placca aterosclerotica presenta pertanto una più o meno intensa attività immunitaria e infiammatoria, sostenuta dalla produzione locale di molecole di adesione quali citochine, chemochine, prostaglandine, angiotensina II, proteasi e radicali liberi dell'ossigeno.

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La lesione si presenta quindi come un accumulo di residui tissutali, inizialmente adiposi, che in seguito si arricchiscono di calcio; si vengono infatti a formare depositi calcarei in corrispondenza degli ateromi e delle aree necrotiche, con calcificazione granulare, o a placche, della parete vasale.

Nelle aree fibrocalcifiche si può assistere anche ad una condrificazione, per comparsa di isole di tessuto cartilagineo, o ad un’ossificazione che può essere focale o diffusa. Nei grandi ateromi, la parete arteriosa può andare incontro a processi di vascolarizzazione, infatti compaiono vasi e lacune sanguigne rivestite da endotelio.

Se le condizioni di stress persistono si viene ad assottigliare il rivestimento della placca aterosclerotica, rendendola incline alla rottura: questo ultimo evento trasforma la placca da stabile ad instabile.

La rottura del cappuccio fibroso è dovuta al rilascio di enzimi proteolitici (metalloproteinasi) ad opera dei macrofagi e comporta l'esposizione dell'interno della placca, ricco di materiale trombogeno, al torrente ematico, con la conseguente formazione di un trombo occludente. Tale condizione rappresenta una lesione complicata, ovvero lo stadio finale della patologia, e comporta l'ischemia o l'infarto dei tessuti vascolarizzati dall'arteria interessata dalla lesione (7). Un altro fattore importante nella patogenesi dell’aterosclerosi è rappresentato dalla proteina C-reattiva (PCR), una proteina prodotta dal fegato, indice di uno stato infiammatorio alterato.

Alti livelli di PCR nel sangue identificano i pazienti ad alto rischio di morte cardiaca, infarto del miocardio e rivascolarizzazione urgente. Recenti evidenze suggeriscono un possibile ruolo svolto dalla PCR nella patogenesi dell’aterosclerosi, come mostrato in figura 7. Tale proteina, infatti, si lega alla fosfocolina delle LDL ossidate, aumenta l’espressione di molecole di adesione nelle cellule endoteliali, aumenta l’up-take delle LDL nei macrofagi, inibisce l’espressione della ossido-nitrico sintetasi endoteliale aortica, e aumenta l’espressione e l’attività del PAI-1. Il PAI-1 (Plasminogen Activator Inhibitor 1) è un inibitore ad azione rapida della via di attivazione del plasminogeno e regola il

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processo di fibrinolisi. Elevate concentrazioni plasmatiche di PAI-1 sono associate ad un rischio aumentato per malattie cardiovascolari ma non è ancora del tutto chiarito se siano l'effetto di una sofferenza cardiovascolare oppure ne siano la causa determinante.

Figura 7. Ruolo della proteina C- reattiva nella progressione della placca aterosclerotica.

E' importante sottolineare inoltre che nell'aterosclerosi il funzionamento dell'endotelio è anormale, a causa di uno sbilanciamento tra sostanze vasocostrittrici (endotelina) e vasodilatatrici (acetilcolina), a favore delle prime. La disfunzione endoteliale gioca un ruolo rilevante nella patogenesi dell'aterosclerosi e costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di eventi ischemici. Le arterie coronariche normali possono dilatarsi in seguito ad ischemia in modo da aumentare l’apporto di ossigeno al miocardio, tale dilatazione è mediata dal monossido di azoto che agisce sulle cellule muscolari lisce della tonaca media delle arterie. Questa azione è diminuita da lipoproteine aterogene in diverse forme di iperlipidemie, aggravando le manifestazioni ischemiche dell’aterosclerosi (7).

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1.5 Aterosclerosi ed infiammazione

I processi infiammatori giocano un ruolo chiave nello sviluppo della placca aterosclerotica.

L’infiammazione si attiva a partire dal danno endoteliale che provoca il rilascio di mediatori chimici infiammatori: istamina, serotonina, leucochine, SRS-A (slow reacting substance of anaphylaxis), enzimi lisosomiali, linfochine e prostaglandine.

Contemporaneamente si viene a manifestare la vasodilatazione ed un incremento della permeabilità vascolare che facilita la migrazione dei leucociti e dei complessi implicati nella risposta immunitaria. Gli eicosanoidi sono composti derivati degli acidi grassi insaturi, coinvolti nei processi di infiammazione e comprendono le prostaglandine, trombossani, prostaciclina e leucotrieni.

Tutti questi composti derivano da una serie di processi biochimici che nel complesso prendono il nome di “cascata dell’acido arachidonico”. L’acido arachidonico è un derivato dell’acido linoleico che si trova esterificato a fosfolipide nelle membrane cellulari. Vari fattori di iniziazione interagiscono con proteine di membrana accoppiate a proteine G, attivando la fosfolipasi A2. Tale enzima comporta l’idrolisi dei fosfolipidi di membrana ed il conseguente rilascio di acido arachidonico.

Tra fattori di iniziazione è presente ad esempio l’interleuchina-1, un polipeptide prodotto dai leucociti, la quale media l’infiammazione incrementando l’attività della fosfolipasi A2. L’acido arachidonico liberato può essere coinvolto nell’azione di due sistemi enzimatici principali:

- ciclossigenasi (prostaglandina endoperossido sintetasi): porta alla produzione di prostaglandine, trombossani e prostaciclina.

- Lipoossigenasi: dà origine ai leucotrieni.

La ciclossigenasi (COX) presenta due isoforme: la COX-1 e la COX-2, entrambe ancorate alla membrana come dimeri, proteine che mostrano una elevata

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omologia strutturale. La differenza tra le due isoforme consiste nella presenza sulla COX-2 di un inserto di 18 amminoacidi all’estremità C-terminale, assente nell’altra isoforma. Inoltre l’amminoacido isoleucina, posto in posizione 434 e 523 nella COX-1 è sostituito con l’amminoacido valina nella COX-2, cosa che comporta un minor ingombro sterico.

La COX-1 è espressa costitutivamente ed è ampiamente distribuita all’interno dell’organismo; la sua funzione è quella di produrre prostaglandine necessarie per la mucosa gastrica e per il mantenimento della funzione renale, funzioni dette di housekeeping.

La COX-2 al contrario è un enzima inducibile, prodotto da un gene attivato come risposta immediata ai processi infiammatori. Infatti, in condizioni fisiologiche questa isoforma è poco presente ma la sua espressione può essere facilmente indotta dalle citochine nella muscolatura liscia vasale, nei fibroblasti e nelle cellule epiteliali; la COX-2 ha la funzione quindi di produrre prostaglandine al sito di infiammazione.

Il metabolismo dell’acido arachidonico ad opera delle COX, mostato in figura 8, porta alla formazione di prostaglandine, prostaciclina e trombossani attraverso vie metaboliche separate.

Figura 8. Schema di sintesi di prostaglandine, prostaciclina e trombossani a partire dall’acido arachinonico ad opera della ciclossigenasi.

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Le prostaglandine esplicano la propria funzione modificando la permeabilità capillare ed il tono vasale, inducendo vasodilatazione, così che ci sia un aumento di flusso ematico e di infiltrazione leucocitaria nella zona lesa. Anche la prostaciclina è un potente vasodilatatore ma possiede anche una azione antitrombotica quale inibitore dell’aggregazione piastrinica. I trombossani inducono l’attivazione dell’endotelio per il reclutamento, l’adesione e la migrazione leucocitaria. Inoltre, al contrario degli altri composti, presentano proprietà indesiderate di aggregazione piastrinica e vasocostrizione.

Il metabolismo dell’acido arachidonico da parte della lipossigenasi, mostrato in figura 9, porta alla produzione di acidi idrossieicosatetraenoici, convertiti rapidamente in derivati ossidrilici ed in leucotrieni. I leucotrieni sono i composti di maggiore interesse e sono prodotti dalla 5-lipossigenasi.

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In risposta all’infiammazione si ha l’aumento dei livelli di ioni calcio intracellulare, la liberazione di arachidonato e l’incorporazione di ossigeno molecolare da parte dell’enzima lipossigenasi, con formazione degli stessi lucotrieni (LTA4, LTB4, LTC4, LTD4, LTE4). I leucotrieni sono i promotori dell’adesione dei neutrofili all’endotelio vascolare e della loro migrazione transendoteliale; LTC4 e LTD4 inoltre sono potenti broncocostrittori e sono ora identificati come i principali costituenti della sostanza ad azione lenta dell’anafilassi (SRS-A) che è secreta nell’asma e nell’anafilasse ed è per questo che suscitano grande interesse.

Oltre ai trombossani, un altro gruppo di prodotti della 5-lipossigenasi sono le lipossine, il cui ruolo biologico non è stato ancora del tutto delucidato (6).

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1.6 Sintomatologia

Le manifestazioni cliniche dell’aterosclerosi sono quasi esclusivamente legate all’ischemia dei tessuti irrorati dai tronchi lesi per cui i sintomi variano sensibilmente in funzione delle arterie interessate, dell’estensione e della gravità del processo, come mostrato in figura 10.

Da un punto di vista generale si ritiene che l’aterosclerosi provochi manifestazioni cliniche solo quando si abbia:

- una riduzione del calibro vasale tale da determinare un ridotto afflusso di sangue nel territorio di distribuzione dell’arteria

- un’improvvisa occlusione del lume per trombosi o per emorragia intramurale

- un’embolia per distacco di particelle di trombi

- un cedimento della parete per la pressione del sangue, che porta alla dilatazione dell’arteria in forma di aneurisma fusiforme oppure al suo scollamento in forma di aneurisma dissecante.

Le manifestazioni cliniche dell’aterosclerosi prediligono il cuore, i polmoni, i reni, gli arti inferiori e l’intestino tenue. Così l’aterosclerosi coronarica è causa di angina pectoris, di miocardiosclerosi e di infarto del miocardio a seconda dei meccanismi che entrano in gioco per provocare l’ischemia.

A livello cerebrale si possono avere rammollimenti ischemici per trombosi, emorragie per rottura di vasi oppure atrofia cerebrale causata da ischemia parziale a lunga durata.

A livello degli arti inferiori si passa da semplici disturbi funzionali fino ai quadri conclamati della gangrena senile delle estremità.

L’incidenza delle complicanze cliniche della malattia aterosclerotica tende a distribuirsi in maniera disomogenea nella popolazione, colpendo la popolazione maschile più di quella femminile ed aumentando con il crescere dell’età in

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entrambi i sessi. L’incidenza di eventi riflette anche la presenza di condizioni, note come fattori di rischio, che ne aumentano più o meno gradualmente la probabilità di comparsa. I fattori di rischio più noti e studiati sono la presenza di elevati livelli di colesterolo plasmatico, l’ipertensione arteriosa ed il fumo di sigaretta; di importanza minore, ma non trascurabile, sono il diabete, il sovrappeso corporeo o l’obesità e l’inattività fisica.

In particolare, l’ipercolesterolemia aumenta il rischio di eventi coronarici, mentre l’ipertensione rappresenta soprattutto un potente fattore di rischio per l’ictus cerebrale. Il fumo di sigaretta aumenta in maniera considerevole l’incidenza di entrambe queste patologie e rappresenta un importante fattore di rischio per la comparsa delle arteriopatie obliteranti degli arti inferiori (7).

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1.7 Trattamento

E' stato inequivocabilmente dimostrato che la riduzione dei livelli plasmatici di LDL riduce il rischio di eventi clinici correlati a coronaropatie ed evidenze cliniche suggeriscono che la modificazione ossidativa che avviene nella parete delle arterie sia una tappa importante, se non indispensabile, per i processi aterosclerotici. Il trattamento farmacologico prevede l’utilizzo di differenti classi di farmaci in quanto non esiste una terapia unica per tale tipo di patologia: - farmaci ad azione sul metabolismo lipidico, utili data la strettissima

relazione tra alterazioni del metabolismo lipidico ed insorgenza della patologia (resine a scambio ionico, acido nicotinico e statine);

- farmaci ad azione fibrinolitica, utili soprattutto da un punto di vista profilattico, essendo in grado di impedire le apposizioni intimali di fibrina che stanno alla base della formazione della placca (streptochinasi);

- farmaci ad azione protettiva sulla parete vasale, utili nel prevenire le alterazioni della parete arteriosa, che giocano un ruolo importante nell’aterogenesi;

- farmaci anticoagulanti e antiaggreganti piastrinici, utili per prevenire la trombosi arteriosa e per evitarne l’estensione (eparina, farmaci anticoagulanti di tipo cumarinico ed acido acetilsalicilico);

- farmaci vasoattivi, utile l’utilizzo di farmaci vasodilatatori ma si può trattare di un’arma a doppio taglio poiché tali farmaci inducono una più o meno marcata ipotensione che può generare una diversificazione del flusso nei distretti circostanti, correttamente perfusi, aggravando la situazione di ischemia;

- farmaci antiipertensivi, utili a ridurre la pressione esercitata dal flusso ematico sulle pareti lese (beta-bloccanti, ACE-inibitori, diuretici dell’ansa e calcio antagonisti);

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- farmaci immunosoppressori ed antiproliferativi, utili a inibire l’iperplasia della tonaca intima (rapamicina, paclitaxel).

Questi tipi di trattamenti sono generalmente accostati ad una dieta a basso contenuto di grassi e che limiti l’assunzione di zuccheri. Inoltre negli ultimi anni è aumentata l’attenzione verso determinati cibi che si pensano essere utili nel trattamento di tale patologia. Ad esempio il consumo di alimenti contenenti omega 3, come pesce e semi di lino, è stato dimostrato contribuire a ridurre i livelli plasmatici di trigliceridi ed a prevenire la rottura della placca aterosclerotica.

Sono in uso anche terapie a base di sostanze naturali ad azione antiossidante quali la vitamina E; quantità farmacologiche di vitamina E (1600 mg al giorno) sembrano infatti proteggere le LDL dall’ossidazione. Inoltre studi epidemiologici sostengono che la implementazione con vitamina E riduce il rischio di malattia coronarica, in particolare è stato dimostrato che è proprio la dose aggiuntiva rispetto alla dieta a produrre l’effetto benefico. Anche se si parla spesso della caratteristica attività antiossidante della vitamina E a questo proposito, alla base di questo meccanismo potrebbe esservi un’azione antitrombotica.

L’approccio farmacologico rappresenta generalmente il trattamento di elezione nei pazienti affetti da angina mentre nel caso in cui si abbia a che fare con sindromi coronariche acute si ricorre all’intervento chirurgico. La terapia chirurgica è incentrata sul tentativo di rivascolarizzazione dei distretti in cui il flusso arterioso è inadeguato. Si fa ricorso ad interventi di disostruzione arteriosa, interventi sostitutivi di un tratto di arteria con protesi sintetiche o autologhe ed interventi di innesto protesico a by-pass (7).

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1.8 Interazione del Resveratrolo e delle Viniferine con i meccanismi implicati nell’aterosclerosi

Analizzando gli effetti del resveratrolo e dei sui dimeri , in particolare ε-viniferina, sulle cellule dell’endotelio vascolare (VECs) e sulla pressione arteriosa, si è dimostrato che questi composti riducono il rischio di incidenza di patologie cardiovascolari.

Il resveratrolo ed i suoi dimeri sono infatti implicati nella diminuzione dell’insorgenza di alcune coronaropatie come ad esempio l’aterosclerosi, in quanto inibiscono i meccanismi di ossidazione delle LDL, di aggregazione piastrinica e di proliferazione delle cellule muscolari lisce dei vasi. Lo stress ossidativo continuo dovuto al verificarsi di varie condizioni, crea una ferita sull’endotelio dei vasi sanguigni ed incrementa il rischio di ipertensione arteriosa. E’ stato dimostrato che sia lo stilbene che il suo dimero incrementano la riparazione della ferita a livello endoteliale mediante l’induzione della proliferazione cellulare e durante questa analisi è stato inoltre accertato che la viniferina risulta essere più potente del resveratrolo nell’indurre il suddetto effetto.

Dato che l’ossido nitrico gioca un ruolo importante nella proliferazione e nella migrazione delle VECs, sono stati studiati gli effetti dei polifenoli anche su questo piano (9). E’ stato riscontrato che sia il resveratrolo sia la ε-viniferina incrementano la produzione di NO in maniera tempo-dipendente, andando ad aumentare l’espressione genica dell’enzima NO sintetasi. Si è inoltre riscontrato che la quantità di NO prodotto dalla viniferina è significativamente maggiore di quella prodotta dalla stessa concentrazione di resveratrolo.

Nella formazione della placca aterosclerotica sono implicati non solo l’accumulo e l’ossidazione delle LDL ma anche il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) che induce sia la proliferazione dei fibroblasti nel punto in cui è avvenuta la lacerazione, sia la migrazione in loco di varie cellule tra cui i macrofagi.

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Sia lo stilbene che il suo dimero inibiscono la proliferazione e la migrazione cellulare indotta dal PDGF nelle cellule muscolari lisce dei vasi: questo effetto inibitorio si ha proprio grazie all’induzione dell’espressione dell’enzima NO sintetasi, con conseguente aumento dei livelli di ossido nitrico prodotti dall’organismo. Infatti gli effetti anti-proliferativi del resveratrolo e della ε-viniferina vengono meno saggiando i due composti in presenza di L-NAME, un derivato estereo dell’arginina in grado di inibire l’enzima iNOS (9), (8).

Durante queste indagini si è osservato inoltre che la ε-viniferina ed il resveratrolo prevengono la produzione intracellulare di ROS i quali sono strettamente associati nella patogenesi dell’aterosclerosi dato che contribuiscono alla proliferazione e la migrazione cellulare indotta dal PDGF.

Sono stati quindi esaminati gli effetti citoprotettivi di tali sostanze nei confronti dei radicali dell’ossigeno che inducono il danno cellulare; è stato infatti dimostrato che entrambi i composti riducono le concentrazioni di ROS nelle cellule dell’endotelio vascolare esposte a H2O2 (1). E’ stato anche riscontrato che

la viniferina risulta avere maggiore potenza rispetto al resveratrolo nell’attenuare la generazione di ROS nei VECs in quanto questo dimero incrementa l’attività degli enzimi antiossidanti conferendo una resistenza allo stress ossidativo.

Un ulteriore effetto del resveratrolo e della ε–viniferina è stato riscontrato nel trattamento di ratti spontaneamente ipertesi (SHRs) e di ratti Wistar-Kyoto (WKY) che differiscono tra loro per le dimensioni della massa cardiaca e ventricolare sinistra, le quali risultano essere notevolmente maggiori nei SHRs. Nel trattamento con resveratrolo si denota unicamente la riduzione della massa cardiaca mentre i SHRs trattati con ε-viniferina mostrano anche una notevole riduzione della massa ventricolare sinistra; anche in questo caso si evidenzia l’inferiore efficacia del resveratrolo rispetto al suo dimero.

Inoltre, a differenza del resveratrolo, la ε-viniferina possiede alcune proprietà che comportano l’abbassamento della pressione sanguigna; ad esempio la ε-viniferina presenta una potente azione di inibizione degli enzimi ACE (9). Questo

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effetto, sommato alla capacità di incrementare la produzione di NO, induce un abbassamento della pressione arteriosa, effetto che non si riscontra con il resveratrolo.

Un ulteriore effetto di questi due composti è l’induzione dell’espressione genica dell’enzima emeossigenasi-1, un enzima che presenta numerose funzioni tra le quali quelle protettive della parete arteriosa mediante la riduzione della proliferazione delle cellule muscolari lisce e l’induzione della riparazione dell’endotelio danneggiato.

Il resveratrolo e l’ε–viniferina attivano infatti alcune protein-chinasi (Akt, ERK) che, attraverso la fosforilazione di differenti substrati, inducono l’accumulo di un fattore di trascrizione (Nrf2) nella frazione nucleare delle cellule vascolari. Questo fattore di trascrizione è responsabile dell’up-regulation dell’espressione dell’emeossigenasi per cui si riscontrerà un aumento dell’enzima all’interno delle cellule vascolari (8), (9).

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1.6 Proprietà antiinfiammatorie ed antiossidanti del resveratrolo e dei suoi dimeri

La capacità antiossidante del resveratrolo e dei suoi dimeri è stata dimostrata attraverso il saggio del DPPH (difenilpicrilidrazide), come mostrato in figura 11. La prova consiste nel saggiare un campione contenente lo stilbene o le viniferine con una soluzione di DPPH il quale funge da fonte di elettroni radicalici. Trascorso un tempo prestabilito il saggio prevede l’analisi alla luce UV del campione ed in particolare si osserva la diminuzione del picco a 517 nm del radicale. Infatti i composti antiossidanti, che causano il trasferimento di un atomo di idrogeno al radicale, portano ad una decolorazione della soluzione contenente il DPPH proporzionale alla capacità antiossidante della sostanza in esame. L’indagine ha permesso di evidenziare che la presenza di un gruppo OH in para rispetto al sostituente alchilico aumenta le capacità antiossidanti, grazie alla delocalizzazione della carica radicalica sull’intera struttura, e che un altro fattore importante per l’attività antiossidante sia il numero degli stessi gruppi OH che sostituiscono l’anello aromatico (10,11).

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Oltre alle capacità antiossidanti, sono state analizzate le capacità del resveratrolo e delle viniferine di inibire gli enzimi coinvolti nel processo di infiammazione;. Recenti studi dimostrano che il resveratrolo inibisce irreversibilmente la Cox-1 perossidasi eliminando così la sintesi di tutte le prostaglandine prodotte da questa isoforma.

La selettività dell’inibizione verso la COX- 1, e non verso la COX- 2, può contribuire alle proprietà cardioprotettive del resveratrolo. E’ stato ipotizzato che il meccanismo d’azione del resveratrolo sia di tipo “hit-and-run”, per cui non è necessaria l’inclusione della molecola nell’enzima, e che avvenga la formazione di un radicale sulla porzione m-idrochinonica (radicale m-semichinonico) sul sito attivo della perossidasi. Questo radicale non può essere stabilizzato dalla struttura dell’anello per cui si suppone che la mancata stabilizzazione faciliti la generazione di un radicale sulla proteina, il quale porterà all’inattivazione dell’enzima. Questo tipo di meccanismo ricorda infatti la auto-inattivazione degli enzimi.

La COX- 2 è un catalizzatore più potente rispetto alla COX- 1 verso l’ossidazione della porzione m-idrochinonica per cui questa isoforma non è suscettibile all’azione dello stilbene (11,12).

Un altro enzima coinvolto nel metabolismo ossidativo dell’acido arachidonico è la lipossigenasi, che porta alla sintesi dei leucotrieni e delle lipossine. Questi composti mediano la risposta infiammatoria nelle allergie, nell’asma e nell’artrite, e sono implicati nella formazione delle lesioni aterosclerotiche e nei processi carcinogeni.

E’ stato dimostrato che il resveratrolo mostra una potente attività inibitoria nei confronti dell’attività ossigenasica del suddetto enzima, come mostrato in figura 12, ma non ha effetti sull’attività perossidasica.

Lo stilbene viene infatti ossidato dalla lipossigenasi (attività perossidasica) ed in questa forma è capace di inibire l’attività ossidasica dell’enzima. La lipossigenasi gioca un ruolo importante nel meccanismo di ossidazione degli acidi grassi

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polinsaturi presenti nei cibi per cui il resveratrolo ed i suoi derivati possono avere un potenziale utilizzo sia in campo farmacologico sia come additivi nei cibi (3).

Figura 12. Rappresentazione grafica della dipendenza tra la concentrazione di resveratrolo ossidato e l’attività ossigenasica della lipossigenasi

Per tutte queste motivazioni, la nostra ricerca si pone come obbiettivo quello di progettare e sintetizzare analoghi sintetici stabili della ε- e δ-viniferina, che siano capaci di contrastare i fenomeni di infiammazione responsabili delle disfunzioni a livello del sistema cardiovascolare e possano quindi essere impiegati come nuovi candidati farmaci per il trattamento dell’aterosclerosi.

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INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE

2.1 Proprietà delle viniferine e utilizzo in campo farmaceutico e cosmetico.

Nell’ultimo ventennio, l’attenzione scientifica verso composti naturali polifenolici a struttura stilbenica è aumentata esponenzialmente in quanto si è osservato che queste molecole offrono potenziali benefici su un elevato numero di patologie quali l’aterosclerosi, l’artrite reumatoide, alcune forme tumorali ed i processi neurodegenerativi.

Gli effetti protettivi nei confronti di patologie a carico del sistema cardiovascolare associati al consumo abituale di vino rosso sono primariamente dovuti alla presenza in esso del derivato stilbenico resveratrolo e dei suoi derivati dimerici, le viniferine, che giocano un ruolo fondamentale nella risoluzione dei processi coinvolti nell'infiammazione cardiaca.

Questi composti inibiscono i meccanismi di ossidazione delle LDL, l’aggregazione piastrinica e la proliferazione delle cellule muscolari lisce dei vasi. Inoltre, incrementano la riparazione della ferita a livello endoteliale mediante l’induzione della proliferazione cellulare e risultano essere dei potenti antiossidanti. Grazie a questi studi, è stato inoltre accertato che le viniferine risultano essere più potenti del resveratrolo stesso nell’indurre i suddetti effetti (9,10).

Le proprietà antiinfiammatorie ed antiossidanti di questo tipo di polifenoli hanno suscitato l’attenzione del mondo scientifico internazionale, tanto che sono state create linee che utilizzano esclusivamente questi composti per la produzione di integratori e prodotti di cosmesi.

Un esempio di ciò lo possiamo ritrovare nel marchio Caudalìe, una nota azienda cosmeceutica nata a Bordeaux, in Francia, e conosciuta in tutto il mondo per aver legato l’efficacia dei propri prodotti alle proprietà benefiche riscontrate nei componenti della vite e dell’uva.

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Dopo aver depositato un brevetto sull’estrazione e sulla stabilizzazione dei polifenoli dalle vinacce dell’uva (brevetto numero WO9903816), alcuni ricercatori francesi hanno fondato il marchio Caudalìe.

Questa azienda è stata la prima nel riuscire a stabilizzare i polifenoli antiossidanti, dimostratisi diecimila volte più attivi della vitamina E, e ad aver utilizzato il resveratrolo in un prodotto di cosmesi con un’azione anti-età grazie alle proprietà antiossidanti dello stesso, evidenziate in figura 13.

Anche la ricerca Caudalìe ha quindi confermato che il resveratrolo è in grado di inibire la degenerazione cellulare. Inoltre, ha dimostrato che la biodisponibilità cutanea del resveratrolo può essere aumentata grazie alla sua stabilizzazione con acido linoleico.

Figura 13. Effetti funzionali dei polifenoli dell’uva

Dopo gli studi iniziali sul resveratrolo, la ricerca Caudalìe ha spostato la propria attenzione sulle viniferine, dimostrandone l’azione antiossidante attraverso un confronto con la vitamina C (14), e le ha quindi utilizzate per la produzione di prodotti cosmetici per la cura della pelle.

Oltre a Caudalìe, anche altre aziende internazionali hanno utilizzato i polifenoli della vite per produrre medicamenti fitoterapici. Boehringer Ingelheim, ad esempio, produce integratori a base di flavonoidi estratti dalle foglie di vite rossa, utilizzati per il trattamento coadiuvante e sintomatico dei disturbi alla circolazione sanguigna venosa grazie alla capacità degli stessi estratti di proteggere e rafforzare le pareti dei vasi sanguigni, di aumentarne l’elasticità e di ridurre la formazione di edemi.

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32

2.2 Sintesi dei polifenoli nei tessuti vegetali.

La disponibilità naturale degli stilbeni e dei suoi derivati nei tessuti vegetali è molto limitata, basti pensare che sono necessari 200 chilogrammi di tralci d’uva per ricavare all’incirca 50 grammi di resveratrolo puro. Per questo, negli anni, si sono ricercati metodi che inducessero l’aumento della sintesi di questi composti nelle varie specie naturali.

Ad esempio è stato riscontrato che il trattamento delle radici pelose dell’arachide e dell’uva moscata con elicitori biotici induce nella pianta la sintesi dei composti stilbenici in quantità equiparabili a quelle provocate da un’infezione fungina del tessuto vegetale. L’elicitore infatti è un agente in grado di indurre nelle piante la produzione di metaboliti secondari implicati nella difesa chimica della pianta stessa. Nella suddetta ricerca è stato utilizzato lo jasmonato di metile, un fitormone presente in molte specie vegetali e derivato dall’acido linoleico.

Lo jasmonato di metile è una sostanza implicata nello sviluppo del polline, dei semi e nella difesa della pianta dallo stress chimico, fisico e biotico proprio perché la sua presenza implica la produzione di sostanze che determinano la resistenza sistemica indotta.

Un’ altra sostanza utilizzata come elicitore in questo studio è stato il perossido di idrogeno, che permette di avere un’idea della produzione degli stilbeni da parte del tessuto vegetale in presenza di uno stress ossidativo.

Durante tale studio l’attenzione si è anche rivolta verso l’espressione del gene relativo alla biosintesi degli stilbeni sotto l’azione del jasmonato di metile e del perossido di idrogeno, comparando i differenti risultati ottenuti a seconda del tipo di stress a cui è sottoposta la pianta, biotico o abiotico, come mostrato in figura 14.

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Figura 14. Rappresentazione grafica del tempo impiegato per la produzione del resveratrolo e della ε- viniferina dopo il trattamento con lo jasmonato di metile sia nel tessuto vegetale che nel terreno di coltura.

Lo studio in oggetto ha quindi consentito di verificare che la stimolazione del tessuto, da parte sia del jasmonato di metile che del perossido di idrogeno, induce l’aumento della produzione di fenilpropanoidi ed in particolare si evidenzia che la sintesi di ε-viniferina risulta essere maggiore rispetto a quella del resveratrolo, sia nel tessuto che nel terreno di coltura (5).

La quantità di resveratrolo accumulata nel tempo può inoltre essere descritta da una curva a campana, che presenta una picco tra le 12 e le 18 ore dal trattamento.

Se invece mettiamo in relazione la quantità di ε-viniferina accumulata con il tempo, questa non segue un andamento lineare. Al contrario, si evidenzia che il composto di interesse viene prodotto in grandi quantità per un tempo prolungato.

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34

2.3 Sintesi delle viniferine a partire dal resveratrolo.

Oltre ad indurre la biosintesi dei polifenoli di interesse nei tessuti vegetali, alcuni ricercatori hanno cercato di sintetizzare le viniferine a partire dal monomero di riferimento, il resveratrolo o 5-[2-(4-idrossifenil)vinil]-1,3-diidrossibenzene. Un esempio di tale sintesi, mostrato in figura 15, è stato proposto da Sako e collaboratori nel 2004 (15). Esso prevede una reazione non enzimatica che utilizza agenti ossidanti metallici, come l’acetato di argento, per attivare la reazione di dimerizzazione del resveratrolo ed ottenere così il prodotto desiderato, la -viniferina o 5-{5-[2-(3,5-diidrossifenil)vinil]-2-(4-idrossifenil)-2,3-diidrobenzofuran-3-il}-1,3-diidrossibenzene, che è isolata come miscela racemica.

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35

La reazione può essere ragionevolmente spiegata mediante un meccanismo radicalico: un singolo elettrone viene trasferito dal catione argento alla molecola di resveratrolo, permettendo l’accoppiamento regio-selettivo dei fenossiradicali così formati.

Successivamente, la ciclizzazione della molecola porta alla formazione della miscela racemica di δ-viniferina. Una volta terminata la sintesi si isola il dimero desiderato grazie ad una cromatografia su colonna, utilizzando come fase stazionaria gel di silice, e si recupera il composto di interesse con una resa complessiva dell’80% circa (15).

Viste la bassa disponibilità delle viniferine nei prodotti naturali, nonché le difficoltà pratiche riscontrate nell’estrarre grandi quantità di polifenoli dai tessuti vegetali e nel sintetizzare queste stesse molecole in laboratorio, risulta particolarmente interessante ed utile sviluppare bioisosteri sintetici dei composti di interesse.

Questi, mantenendo inalterata l’efficacia funzionale degli analoghi naturali, possono essere sintetizzati in grande quantità, e quindi essere impiegati come candidati farmaci per il trattamento di patologie di larga diffusione quali quelle a carico del sistema cardiovascolare.

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2.4 Progettazione e sintesi chimica di analoghi sintetici delle viniferine

I dimeri del resveratrolo, - e -viniferina, possiedono spiccate proprietà antiossidanti e cardioprotettive.

Le proprietà antiossidanti sono assicurate dalla presenza delle funzioni fenoliche. Infatti, il carattere acido del gruppo OH, unito alla capacità dell’anello aromatico di delocalizzare cariche spaiate, consente a queste molecole di donare con facilità l’idrogeno del proprio gruppo fenolico ai radicali liberi dell’ossigeno ed esercitare così la propria azione antiossidante.

Le proprietà cardioprotettive sono dovute alla capacità di modulare l’attività e/o l’espressione di enzimi coinvolti nell’eziopatogenesi dell’aterosclerosi (NO sintasi, cicloossigenasi, emeossigenasi). Tuttavia, gli studi condotti ad oggi non hanno ancora evidenziato nel dettaglio il meccanismo di interazione con gli enzimi target a livello molecolare. Pertanto, relativamente a questi composti naturali, non è ancora possibile individuare porzioni farmacoforiche chiave che, nello sviluppo di analoghi sintetici, devono necessariamente essere mantenute inalterate per conservare l’efficacia funzionale dei derivati originali.

Facendo riferimento alle strutture della - e -viniferina, mostrate in figura 16, e intendendo progettare derivati sintetici analoghi dei naturali, è stato ritenuto interessante modificare il nucleo eterociclico centrale, che da 2,3-diidrobenzofuranico è stato cambiato in imidazo[1,2-a]piridinico (figura 17).

O OH OH HO -viniferina O OH OH HO -viniferina OH OH HO HO

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37 O

N N

Figura 17. Nuclei eterociclici a confronto.

Il nucleo eterociclico scelto, oltre ad essere di semplice ottenimento sintetico, consente di mantenere inalterato il percorso di sostituzione proprio dei composti naturali di partenza. Infatti, come mostrato in figura 18, l’anello può essere facilmente sostituito nelle posizioni 2 e 3, così da ricreare le caratteristiche strutturali delle - e -viniferine.

O

N N

Figura 18. Nuclei eterociclici a confronto.

Ulteriori sostituenti possono poi essere inseriti nelle diverse posizioni della porzione piridinica dell’eterociclo, consentendo uno studio dei rapporti struttura-attività per questa nuova classe di composti.

Infine, la presenza dell’insaturazione nella posizione 2-3, assente nei derivati naturali, può rivelarsi utile ai fini dell’efficacia antiossidante dei nuovi composti, in quanto consente di ampliare la delocalizzazione elettronica che favorisce la reazione con i radicali liberi dell’ossigeno.

Studi precedenti, condotti dal nostro gruppo di ricerca sugli inibitori dell’aldoso reduttasi, hanno dimostrato che il nucleo eterociclico centrale di composti naturali può essere vantaggiosamente sostituito da bioisosteri azotati, ad ottenere derivati sintetici nuovi addirittura più efficaci degli analoghi di partenza (16,17).

I derivati pirido[1,2-a]pirimidinonici PPP, mostrati in figura 18, sono stati progettati come bioisosteri del flavonolo naturale quercetina e, rispetto a

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38

questa, hanno dimostrato una maggiore attività inibitoria nei confronti dell’enzima target, aldoso reduttasi ed una maggiore efficacia antiossidante.

Figura 19. Quercetina e nucleo pirido[1,2-a]pirimidinonico.

A partire da queste considerazioni, il lavoro sperimentale oggetto di questa tesi di laurea è stato dedicato alla sintesi di nuovi derivati imidazo[1,2-a]piridinici, di formula generale 1, sostituiti nelle posizioni 2, 3 6 e 7 dell’eterociclo con gruppi analoghi a quelli presenti nei composti naturali di riferimento.

N N R1 R2 R3 R4 R1 = OCH3 R2 = H, OCH3 R3 = R4 = H OCH 3 OH OH 1

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39

La sintesi dei composti progettati ha previsto dapprima l’ottenimento del nucleo eterociclico 2-sostituito, 2-(4-metossifenil)imidazo[1,2-a]piridina, 3a,b, che è stato sintetizzato secondo le indicazioni della letteratura (18) fondendo, a 80 °C, un’opportuna 2-aminopiridina commerciale, 2a,b, con il 2-bromo-4’-metossiacetofenone (Schema 1). Schema 1 N R1 NH2 Br O OCH3 N N R1 OCH3 fusione 80°C 2a: R1=Br, R2=H 2b: R1=H, R2=Br R2 3a: R1=Br, R2=H 3b: R1=H, R2=Br R2

La reazione è stata condotta con due diversi derivati piridinici, sostituiti con un atomo di bromo nella posizione 5 (2a) oppure nella posizione 4 (2b), così da ottenere i corrispondenti derivati eterociclici 6- oppure 7-sostituiti, rispettivamente 3a,b.

Un’analoga reazione, condotta a partire dalla 2-amino-6-bromopiridina 2c per giungere all’ottenimento del derivato eterociclico 5-bromo sostituito, 3c, non ha prodotto il risultato desiderato.

Infatti, ponendo a reagire i due composti nelle condizioni sperimentali descritte in precedenza si ottiene il derivato 4, 1-(4-bromofenil)-2-(6-bromopiridin-2-ilamino)etanone, che è isolato in buone rese come unico prodotto di reazione (Schema 2).

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40 Schema 2 N NH2 Br O OCH3 N N OCH3 2c 3c Br N N H fusione 80°C Br O Br 4 Br

La presenza dell’atomo di bromo nei derivati 3a,b consente di utilizzare questi stessi composti in una reazione di cross-coupling, che permette di inserire un sostituente identico a quello dei derivati naturali sulla porzione piridinica dell’eterociclo centrale.

Quindi, ponendo a reagire la 6-bromo-2-(4-metossifenil)imidazo[1,2-a]piridina 3a con il 4-vinilanisolo, prodotto commerciale, si ottiene la corrispondente (E)-2-(4-metossifenil)-6-(4-metossistiril)imidazo[1,2-a]piridina, 5a (Schema 3).

Analogamente, il derivato 7-sostituito 3b fornisce la (E)-2-(4-metossifenil)-7-(4-metossistiril)imidazo[1,2-a]piridina 5b quanto è fatto reagire nelle stesse condizioni sperimentali (Schema 4).

Schema 3 Pd(OAc)2 PPh3 Et3N DMF / 100°C 3a OCH3 N N Br OCH3 N N OCH3 H3CO 5a

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41 Schema 4 Pd(OAc)2 PPh3 Et3N DMF / 100°C 3b OCH3 N N OCH3 N N OCH3 5b Br H3CO

Le reazioni sono condotte nelle condizioni di Heck (19), che prevedono l’utilizzo di un catalizzatore organo-palladio, Pd(OAc)2, un legante, PPh3, ed una base, Et3N.

I derivati così ottenuti, 5a,b, possiedono entrambi due funzioni metossiliche, presenti sia sull’anello fenilico in posizione 2 che su quello pendente nella posizione 6 oppure 7.

Le funzioni metossiliche, a loro volta, possono essere trasformate in funzioni ossidriliche, così da conferire proprietà antiossidanti ai corrispondenti prodotti ottenuti.

Trattando quindi gli eterocicli 5a,b con un eccesso di tribromuro di boro, a freddo, si deproteggono entrambe le funzioni ossidriliche presenti sugli anelli aromatici e si recuperano puri i corrispondenti derivati fenolici 6a,b (Schemi 5 e 6 rispettivamente). Schema 5 5a N N OCH3 H3CO 6a BBr3 CH2Cl2 N N OH HO

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42 Schema 6 N N OH 6b HO BBr3 CH2Cl2 N N OCH3 5b H3CO

Infine, per mimare più strettamente le caratteristiche strutturali dei composti naturali di riferimento, - e -viniferina, i composti sin qui ottenuti devono essere arricchiti con un ulteriore anello aromatico, inserito nella posizione 3 del nucleo imidazopiridinico.

A questo scopo, gli eterocicli di-sostituiti 5a,b sono stati fatti reagire con N-bromosuccinimmide, a caldo, così da ottenere i derivati 7a,b, caratterizzati dalla presenza di un atomo di bromo nella posizione 3 del nucleo (Schemi 7 ed 8).

Schema 7 5a N N OCH3 H3CO 7a NBS CHCl3 N N OCH 3 H3CO Br Schema 8 5b N N OCH3 7b NBS CHCl3 N N OCH3 Br H3CO H3CO

I prodotti 7a,b così ottenuti saranno poi impiegati in una reazione di cross-coupling secondo Suzuki, così da fornire nuovi derivati 2,3-difenilsostituiti.

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43

2.5 Valutazione funzionale degli analoghi sintetici delle viniferine.

I derivati imidazopiridinici, sviluppati in questa tesi sperimentale come analoghi sintetici delle viniferine, sono stati valutati per le loro proprietà antiossidanti. A questo scopo, è stato impiegato il saggio TBARS (thiobarbituric acid reactive substances). L’attacco dei radicali liberi ai lipidi polinsaturi presenti nelle membrane biologiche determina l’avvio del processo di perossidazione lipidica, un processo di deterioramento O2-dipendente che porta alla formazione di perossidi lipidici e dei loro sottoprodotti. Tra questi la malonilaldeide (MDA) è il maggior prodotto terminale derivante dalla rottura degli acidi grassi e dei relativi esteri (20).

Il saggio TBARS sfrutta la reattività chimica della MDA con l’acido tiobarbiturico (TBA), coinvolti in una spontanea reazione di addizione nucleofila. La condensazione di queste due molecole origina un addotto facilmente rilevabile spettrofotometricamente ad una lunghezza d’onda di 532 nm. La formazione di MDA in omogenato di cervello di ratto è stata indotta mediante il sistema ossidante Fe(III)/acido ascorbico, incubando la miscela di reazione a 37°C per 30 minuti per mimare le condizioni fisiologiche e determinare così la completa perossidazione lipidica.

La formazione del cromogeno è stata indotta aggiungendo acido tiobarbiturico (TBA) ed acido cloridrico e riscaldando a 90° per 10 minuti, per accelerare la formazione dell’addotto. La separazione dell’addotto organico dalla fase acquosa è avvenuta mediante aggiunta di n-BuOH e centrifugazione per 5 minuti. L’entità della perossidazione è stata quantificata valutando l’assorbanza a 523 nm dei cromogeni formatisi in presenza di 10 μn di composto. Come standard di riferimento è stata usata la -viniferina , scelta per l’analogia strutturale con i composti da saggiare.

Dai valori di assorbanza ottenuti sono state ricavate le mmol di MDA prodotte in 10 mg di tessuto, facendo riferimento ad una retta di taratura. Questa è stata costruita utilizzando quantità scalari crescenti di cromogeno, ottenute per

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reazione di uno standard di riferimento, il dimetilacetale della malondialdeide, con acido tiobarbiturico, nelle stesse condizioni del saggio.

Il saggio è partito utilizzando una concentrazione di 100 micro molare; i composti da saggiare sono stati solubilizzati in metanolo ed a tale concentrazione i composti 5 a,b e 7 a,b sono risultati insolubili per cui non è stato possibile saggiarli. Tuttavia è stato possibile saggiare i composti 6 a,b hanno mostrato un attività antiossidante pressoché paragonabile a quella della viniferina e il composto 6 a si è dimostrato leggermente più attivo rispetto al composto 6 b. Per poter valutare ulteriormente l’attività antiossidante dei composti sintetizzati, considerati i promettenti risultati, è stato condotto un ulteriore saggio TBARS ma ad una concentrazione inferiore rispetto a quella di partenza ovvero 10 micro molare. A questa concentrazione è stato possibile saggiare anche i composti 5

a,b perché solubili nel solvente utilizzato; al contrario non è stato possibile

saggiare i composti 7 a,b poiché risultavano essere insolubili anche nonostante l’aggiunta di un 10% di dimetilsolfossido per favorire la solubilizzazione.

I composti saggiati hanno prodotto differenti risultati in base ai sostituenti presenti sull’anello. I composti 6 a,b che presentano funzioni fenoliche mostrano una spiccata capacità antiossidante anche a concentrazioni minori in quanto risultano capaci di donare con facilità l’idrogeno del proprio gruppo fenolico ai radicali liberi dell’ossigeno. Al contrario i composti 5 a,b risultano meno attivi in quanto viene a mancare il carattere acido del gruppo OH (figura 20). I risultati ottenuti ci permettono di stabilire che i composti 6 a,b possono essere presi come capostipiti di una nuova classe di farmaci in quanto si pensa che l’ulteriore sostituzione in posizione 3 dell’eterociclo con gruppi catecolici, con gruppi benzilici sostituiti ossidrili in entrambe le posizioni meta o in posizione meta e para ci permetta di ottenere composti presumibilmente più attivi della vinferina.

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45 Att ività Bas ale Ferr o/vi t CM Vin iferi na 1 00 M6a 1 00 M6b 1 00 MVin iferi na 1 0 M5a 1 0 M5b 1 0 M6a 1 0 M6b 1 0 0 5 10 15 n m o l M D A /1 0 m g t e s s u to

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PARTE SPERIMENTALE

3.1 Materiali e metodi.

La caratterizzazione dei nuovi composti sintetizzati è stata fatta mediante l’utilizzo di metodi chimico-fisici e spettroscopici.

I punti di fusione dei composti ottenuti sono stati determinati con un apparecchio Reichert Köfler e non sono corretti.

Gli spettri di risonanza magnetica al protone (1H-NMR) sono stati ottenuti con uno spettrometro Bruker Ultrashield 400 (400-MHz), solubilizzando il campione da analizzare in dimetilsolfossido esadeuterato (DMSO-d6); la presenza di protoni scambiabili è stata determinata mediante l’aggiunta di acqua deuterata (D2O). Le cromatografie analitiche su strato sottile (T.L.C.) sono state eseguite su fogli di alluminio ricoperti di silice (MERK60, F-254, spessore 0,2 mm).

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