• Non ci sono risultati.

Risposte comportamentali a componenti minori del feromone femminile di Bactrocera oleae (Rossi) (Diptera: Tephritidae)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Risposte comportamentali a componenti minori del feromone femminile di Bactrocera oleae (Rossi) (Diptera: Tephritidae)"

Copied!
51
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÁ

DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-ambientali

CORSO DI LAUREA IN PRODUZIONI AGROALIMENTARI E GESTIONE

DEGLI AGROECOSISTEMI

Curriculum Agricoltura Biologica e Multifunzionale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Risposte comportamentali a componenti minori del

feromone femminile di Bactrocera oleae (Rossi)

(Diptera: Tephritidae)

RELATORE:

Prof. Alfio Raspi

CORRELATORE:

Dott. Giovanni Benelli

Anno Accademico 2013/2014

CANDIDATO:

(2)

Indice

CAPITOLO 1 Introduzione ... 2

1.1 Inquadramento sistematico ... 3

1.2 Morfologia ... 5

1.3 Distribuzione geografica ... 8

1.4 Piante ospiti, parti attaccate e danni ... 9

1.5 Biologia ... 10

1.5.1 Chimica ecologica ... 12

1.6 Fattori naturali di limitazione ... 16

1.7 Difesa ... 17

1.7.1 Monitoraggio delle infestazioni ... 18

1.7.2 Monitoraggio della densità di popolazione ... 18

1.7.3 Mezzi agronomici ... 19

1.7.4 Mezzi chimici ... 20

1.7.5 Mezzi biologici ... 21

CAPITOLO 2 Bioattività dei semiochimici di B. oleae ... 31

2.1 Materiali e metodi ... 33 2.1.1 Allevamento di B. oleae ... 33 2.1.2 Esperimenti comportamentali ... 33 2.2 Risultati... 37 2.3 Discussione ... 40 Bibliografia ... 42 Sitografia ... 50

(3)

Capitolo 1

Introduzione

Nel vasto arcipelago di specie di insetti fitofagi viventi nell’agroecosistema oliveto,

Bactrocera oleae Rossi (Diptera: Tephritidae), Fig. 1, rappresenta il fitofago chiave in quasi

tutte le aree olivicole del Bacino Mediterraneo fin dalle più remote civiltà. Nonostante l’oliveto sia un agroecosistema dotato di una buona complessità biocenotica che lo rende molto simile ad un ecosistema naturale, i danni che la mosca determina sulla produzione sono spesso rilevanti. Recentemente, questo dittero è stato segnalato nel Sud della California da dove si è poi ampiamente diffuso, divenendo una costante minaccia anche per l’olivicoltura oltreoceano (Daane and Johnson 2010).

(4)

1.1 Inquadramento sistematico

B. oleae è un dittero brachicero appartenente alla famiglia Tephritidae. I tefritidi

comprendono specie di piccole dimensioni, con occhi iridescenti e con ali spesso maculate, con larghe macchie trasversali brune o giallastre oppure con punteggiature chiare su fondo scuro o viceversa. La nervatura costale presenta due fratture fra la nervatura omerale e l’estremità della radiale ciliata. La nervatura sottocostale è incompleta e visibile solo alla base; la prima cellula posteriore è aperta all’apice dell’ala e la cellula cubitale posteriore è generalmente appuntita e prolungata verso la base. Nelle femmine i segmenti distali dell’addome si modificano ai fini della ovideposizione. In particolare il VII urite è allungato e fuso a formare un oviscapo conico in cui è introflesso un ovopositore (VIII-IX urite) a forma di lancetta sclerificata atto a perforare e deporre l’uovo entro i tessuti vegetali. Le larve sono fitofaghe e possono svilupparsi nella polpa dei frutti (es: B. oleae, Ceratitis capitata Wiedemann, Rhagoletis cerasi Linnaeus, ecc.), scavano mine nelle foglie (es: Euleia heraclei Linnaeus), minano il fusto delle piante (es: Platyparea poeciloptera Schrank), sono spermatofaghe (es: Acanthiophilus helianthi Rossi), talune specie antofaghe con l’azione della saliva inducono la trasformazione del capolino fiorale in una galla (es: Myopites stylata Fabricius). Numerose specie di tefritidi sono altamente polifaghe, attaccando diverse colture da reddito, tra cui mango, pesco, melo, pero, agrumi, guava, avocado, pomodoro, peperone e cucurbitacee (White and Elson-Harris 1992; Liu et al. 2013). Altre specie invece si comportano da oligofaghe (Daane and Johnson 2010). In ogni caso, i danni alle produzioni sono spesso ingenti ed i frutti infestati diventano inedibili o cadono al suolo (Ekesi and Mohamed 2011). Numerosi Paesi, legati economicamente alle coltivazioni ortofrutticole, hanno imposto restrizioni severe nei confronti delle produzioni importate da Paesi infestati da particolari specie per evitare la loro pericolosa diffusione in nuovi areali. Molto spesso, l’obiettivo dei programmi di controllo è quello di eradicare la specie invasiva (Estes et al. 2012). Questi programmi sono basati il più delle volte sulla lotta chimica e sui moderni mezzi biotecnici. Il controllo biologico, invece, sembra trovare i suoi limiti nell’impossibilità di ottenere un abbattimento rapido delle specie dannose paragonabile a quello che si può avere con l’uso tradizionale di insetticidi (Daane and Johnson 2010; Canale and Benelli 2012; Lauzon and Potter 2012; Beris et al. 2013). Tuttavia le potenzialità della lotta biologica sono ancora largamente inesplorate. Risultati applicativi di rilevante importanza potrebbero derivare dalla più approfondita comprensione della biologia e in particolare dei rapporti intraspecifici di una specie. I programmi di lotta integrata, infatti, trarrebbero interessanti

(5)

vantaggi dallo studio della comunicazione sessuale dei tefritidi; ad esempio, la conoscenza dei processi che influiscono nella selezione sessuale potrebbe contribuire a potenziare la lotta autocida, selezionando, negli allevamenti di massa, genotipi con alto successo riproduttivo. Inoltre, è noto che non poche sostanze vegetali esercitano notevole potere di attrazione sulle varie specie di fitofagi vincolate alle piante che le contengono. Tali sostanze (designate come paraferomoni), possono influenzare, fisiologicamente o etologicamente, i sistemi di comunicazione dei tefritidi provocando una risposta non lontana da quella determinata dai feromoni (Renou and Guerrero 2000). Quindi, l’esposizione dei maschi ai paraferomoni, come fenil propanoidi (PPs), olio estratto dalle radici di ginger e trimedlure, potrebbe incrementare le probabilità di successo nell’accoppiamento da parte di insetti resi sterili utilizzati nei programmi di autocidio. I paraferomoni vengono anche impiegati nelle operazioni di monitoraggio e catture intensive, limitando gli effetti collaterali nei confronti dell’entomofauna non-target (Benelli et al. 2014b). Ad esempio l’Angelica officinalis contiene un principio chimico attrattivo per la C. capitata, successivamente ottenuto sinteticamente (trimedlure). Tale sostanza richiama fortemente il sesso maschile per attrazione non sessuale, ed è spesso usata per catture-spia. Infine, altro campo di applicazione potrebbe riguardare la possibilità di addestrare, in laboratorio, specie entomoparassite nel riconoscimento di alcuni feromoni rilasciati dalle femmine dei tefritidi nei siti di ovideposizione, al fine di incrementare l’azione di controllo svolta dai fattori biotici ( Benelli

et al. 2014b).

La famiglia Tephritidae comprende circa 4500 specie ripartite nelle tre sottofamiglie: Dacinae, Trypetinae e Tephritinae (Drew 1989). I Dacinae comprendono specie carpofaghe, le cui femmine ovidepongono in frutta in via di maturazione e le cui larve impupano negli stessi frutti o, più frequentemente, nel terreno. Il genere Dacus comprendeva circa 1000 specie. In seguito, la tribù dei Dacinae è stata divisa in tre generi:

Genere Dacus s. str.

Genere Bactrocera

Genere Monacrostichus

Il genere Dacus s str. e il genere Bactrocera differiscono principalmente per la conformazione dei tergiti addominali: i Dacus s. str. presentano gli urotergiti fusi mentre i Bactrocera hanno i tergiti liberi tranne i primi due che sono fusi a formare un sintergo. Le differenze tra i due generi, riguardano anche l’etologia e l’origine: i Dacus hanno origine Africana e le larve vivono a spese di capsule e bacelli di Asclepiadaceae, Apocynaceae; fiori e frutti di

(6)

Cucurbitaceae. Per la maggior parte, i Bactrocera sono originari di Asia tropicale, Australia, Sud del Pacifico. Questo genere comprende specie, generalmente carpofaghe, dannose per numerose colture; alcune specie sono polifaghe, come la Bactrocera cucurbitae Coquillett che utilizza almeno 125 piante ospiti o come la Bactrocera dorsalis Hendel (Drew 1989). B.

oleae, invece, nei nostri ambienti è fortemente infeudata al genere Olea, comportandosi come

specie monofaga (Canale and Raspi 2009).

1.2 Morfologia

L’uovo (Fig. 2) è lungo 0,8 mm, fusiforme, di colore bianco opaco, con corion liscio. Presenta un piccolo tubercolo micropilare biancastro, importante nella respirazione dell’embrione (Mouzaki and Margaritis 1987; Mouzaki et al. 1991).

Fig. 2 – Uovo di B. oleae (foto: www7.inra.fr)

La larva raggiunge la maturità attraverso due mute, come è solito nei ditteri ciclorrafi. La larva di prima età è metapneustica mentre nella seconda e terza età è anfipneustica, con stigmi anteriori costituiti da pochi rami terminanti in poche (solo 2) o molte (fino a 50 ) piccole aperture; stigmi posteriori a forma di piastra con 3 aperture. La larva matura, di forma conica, apoda e bianca, misura 6-7 mm di lunghezza (Fig. 3). Presenta sensori anteriori biarticolati, con II articolo conico; sensori posteriori (palpi mascellari) con 8 sensilli. Scheletro cefalo-faringeo con apodemi dorsali e ventrali molto brevi, sclerite ipostomale triangolare, sclerite subipostomale assente, uncini falciformi.

(7)

Fig. 3 – Larve di III età di B. oleae (foto: D. Romano)

Il pupario ha forma di bariletto, di colore giallo-rossastro variabile fino al cremeo, con leggere solcature trasversali di segmentazione e di dimensioni pari a 4-5 mm di lunghezza. Il cambiamento del colore del pupario può anche essere utilizzato per stabilire l’età delle pupe stesse (Tzanakakis and Tsitsipis 1967) (Fig. 4).

Fig. 4 – Pupari di diversa età di B. oleae (foto: D. Romano)

L’adulto di B. oleae (Fig. 5) misura circa 5 mm di lunghezza. Presenta capo globoso e giallastro fornito di antenne chiare e moderatamente allungate; protorace nero opaco ricoperto di pubescenza grigia con tre linee longitudinali nerastre, maggiormente definite e complete nella femmina. Ali ialine con riflessi leggermente iridescenti, debolmente sfumate di nero

(8)

all’estremità e con una macchiolina nera posta a metà del margine costale. Scutello giallastro. Addome castano con macchie nerastre trasversali di ampiezza e numero variabili. L’estremità addominale della femmina è dotata di ovopositore di sostituzione telescopico, con uriti VIII e IX invaginati in un oviscapo conico derivante dal VII segmento addominale. Nel maschio sono ben distinguibili i primi 5 urotergiti, mentre i rimanenti sono ridotti e impegnati nella costituzione dell’armatura genitale; ai margini del III urite compaiono i pettini costituiti da 13 setole. In entrambi i sessi sono presenti due aree ghiandolari simmetriche sul V urotergite. Tali aree urotergali, tipiche della tribù dei Dacini, sono state riportate in letteratura come

ceromata o ceromae e utilizzate a scopi sistematici. Ciascuna ghiandola è costituita da una

cellula epidermica ipertrofica che confluisce in un dotto circolare (Raspi et al. 1997).

Fig. 5 – B. oleae: femmina adulta (sinistra) e maschio adulto (destra) (foto:

(9)

1.3 Distribuzione geografica

Di probabile origine asiatica, dove infesta “olivi selvatici” presenti intorno al 34° parallelo (Silvestri 1916), B. oleae avversa le zone olivicole della regione mediterranea fin dall’antichità. Già temuta dal mondo Ellenico e Latino, Vincenzo Briganti nella sua “Descrizione della struttura, mutazioni, vitto, e costumi della Mosca, che fora le Ulive,

illustrata da figure a tal’uopo diligentemente espresse”, osserva come Aristotele e Teofrasto

ben conoscessero i danni che “questa infesta razza” determina sulle drupe (Atti del Real Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze Naturali di Napoli 1822).

Lo stesso Plinio Il Vecchio, nella Naturalis Historia (Liber 17), descrive con essenziali notazioni i danni provocati dalle larve della mosca delle olive: “…Vermiculationem et poma

ipsa per se quibusdam (annis) sentiunt, mala, pira, mespila, punica. In oliva ancipiti eventu, quando sub cute innati fructum adimunt, augent, si in ipso nucleo fuere erodentes eum, gigni illos prohibent pluviae, quae fiunt post arcturum, eaedem si austrinae fuere, generant druppis quoque, quae maturescentes tum sunt praecipue caducae…”

B. oleae è diffusa in tutte le zone olivicole in Italia, Grecia, Spagna, Africa del Nord, in Sud

Africa e Medio Oriente; di recente è stata introdotta in America (California, Arizona, Messico, El Salvador, Argentina, Cile, Peru, Uruguay), Asia Centrale ed ancora assente in Australia. (Fig. 6).

(10)

1.4

Piante ospiti, parti attaccate e danni

B. oleae, insetto oligofago, vive a spese di diverse piante del genere Olea e della Phyllirea. La

specie, di origine esotica, manifesta un ciclo riproduttivo non sincronizzato con la fruttificazione dell’olivo, che è il suo ospite principale, manifestando due picchi riproduttivi, uno a fine inverno e l’altro a fine estate (Canale and Raspi 2009).

Le femmine compiono punture di ovodeposizione lasciando una ferita a V rovesciata, particolarmente visibile nelle olive verdi da tavola. Le larve scavano una galleria nella polpa della drupa provocando il raggrinzimento della parte danneggiata (Fig. 7). Le olive danneggiate quando sono ancora verdi rimangono sulla pianta, le altre vengono invase da muffe, soprattutto in presenza di elevata umidità ambientale, si deteriorano e finiscono per cadere al suolo. I danni compiuti dalla mosca sono legati alla densità delle sue popolazioni, alle condizioni ambientali, dal tipo di cultivar e dal grado di maturazione delle drupe, mentre la grandezza dei frutti non sarebbe influente in modo significativo (Kombargi et al. 1998). La percentuale d’infestazione delle olive quindi varia sensibilmente da un’annata all’altra, anche per la medesima zona. La perdita media annua di prodotto nel Bacino del Mediterraneo è del 30% (Mazomenos 1989).

Fig. 7 – Azione trofica della larva di B. oleae all’interno di un’oliva (foto: G. Dessì)

I danni che questo tefritide arreca sono di due tipi: diretto e indiretto. Il danno diretto consiste nella cascola delle drupe attaccate e nella sottrazione di polpa da parte delle larve che oscilla da 50 a 150 mg per frutto, pari a circa il 5% del peso delle olive (Michelakis and Neuenschwander 1983). In minima parte questo danno è compensato dalla pianta con l’aumento del peso delle drupe rimaste sulla pianta. Un’importanza economica rilevante

(11)

rivestono i danni indiretti, di carattere estetico per le olive da mensa, dato che le punture di ovideposizione e quelle sterili causano un deprezzamento del frutto, e di carattere qualitativo per le olive da olio, a causa delle alterazioni delle caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche dell’olio determinate dall’infestazione. Queste alterazioni sono rappresentate essenzialmente da un aumento dell’acidità e del numero di perossidi dell’olio, conseguente all’inquinamento microbico che si realizza attraverso le gallerie abbandonate dalle larve mature che impupano nel terreno.

Percentuali del 40% di olive bacate determinano un declassamento degli oli ottenuti in quanto vengono superati i limiti ammessi dalla legge per le costanti spettrofotometriche fissati per l’olio extravergine (Longo and Parlati 1993).

1.5 Biologia

Negli ambienti italiani B. oleae compie un numero variabile di generazioni in funzione delle regioni. Nelle zone pandacie (pan = tutto), la presenza di olivi di mole elevata che non consente la raccolta completa delle olive, la diffusione di olivi selvatici i cui frutti non vengono raccolti e l’esistenza di varietà con maturazione che si protrae nel tempo, permettono di esaltare il potenziale biotico del dittero. In queste zone, per lo più litorali, la mosca compie 6-7 generazioni all’anno.

Nelle zone merodacie (meros = parte), in genere interne e di alta collina, dove le condizioni sono meno favorevoli, il numero di generazioni scende a 2-3 per l’Umbria, 3-5 per la Toscana e 5-6 per la costa ligure occidentale. Nell’areale originario dell’olivo esistono anche le cosiddette zone adacie, cioè sempre prive di mosca delle olive, che sono quelle particolarmente fredde o particolarmente aride, situate quindi ai limiti nord e sud dello stesso areale. All’interno di ogni zona il ciclo biologico di B. oleae può svolgersi comunque in modo diverso in funzione dei microclimi specifici di ciascuna località. Le temperature variano anche a seconda delle parti della medesima pianta di olivo. Nelle ore meridiane estive, infatti, la temperatura della chioma sul lato sud può superare di oltre 8° C quella del centro della chioma. Differenze di vari gradi sono rilevabili anche nella temperatura della polpa di olive nere e verdi nello stesso settore della chioma. Tali differenze microclimatiche determinano, nelle larve di B. oleae nate nella polpa di olive esposte a sud, il raggiungimento della maturità anche due settimane prima di larve nate contemporaneamente sul lato nord della stessa pianta (Neuenschwander and Michelakis 1979). L’insetto può svernare da pupa all’interno del

(12)

pupario nel terreno, più raramente nelle drupe rimaste sull’albero o da adulto in ripari vari (case di campagna, frantoi). Gli adulti fanno la loro comparsa generalmente in primavera. Essi sono attivi durante le ore soleggiate e vivono a lungo nutrendosi di sostanze zuccherine, melata prodotta da Saissetia oleae Olivier, Euphyllura olivina Costa o altri omotteri, nettare di fiori, essudati di frutti maturi; le femmine si alimentano di batteri, pollini, succhi vegetali ricchi di sostanze azotate (Drew 1989). Dopo circa 5 giorni dall’accoppiamento, la femmina, guidata da stimoli visivi e chimici, ricerca le olive ed inizia ad ovideporre. Il primo attacco è pero fortemente condizionato dallo stato di recettività varietale e da svariati fattori ambientali (temperatura, livello igrometrico dell’aria, piogge, giacitura, esposizione e natura del terreno). Di solito vengono preferite le olive più grosse ma non ancora invaiate. All’atto della ovodeposizione la femmina affonda l’oviscapo nell’oliva, determinando una ferita profonda 0,5 mm in fondo alla quale viene deposto un uovo (Fig. 8).

Fig. 8 – Femmina di B. oleae durante l’atto di ovideposizione in una drupa (foto: G. Benelli)

Le uova sono cosparse dalla femmina di batteri simbionti e la larva neonata divorando parte del corion, ingerisce così i batteri che ospiterà in ampolle intestinali. Il periodo d’incubazione delle uova non supera in genere i 2-3 giorni (a 28-30°C) ma nel periodo invernale può prolungarsi fino a quasi 3 settimane (Neuenschwander and Michelakis 1979).

Normalmente viene deposto un solo uovo per drupa, ma con numero di olive limitato o in annate di forte infestazione, più femmine possono ovideporre nella medesima oliva. Il periodo di ovodeposizione si protrae per una decina di giorni, durante i quali ciascuna femmina può deporre 500 o più uova.

(13)

I tre stadi larvali vengono trascorsi all’interno della drupa dove la larva scava una galleria dapprima lineare, quindi con lume gradatamente crescente che interessa tutta la parte intorno al nocciolo.

La durata dello sviluppo larvale è fortemente influenzata dalla temperatura ambientale e passa da un paio di settimane con temperature intorno ai 25°C a oltre tre mesi con soli 12°C. Se l’oliva attaccata è ancora verde, la larva si impupa al suo interno dopo aver allargato la sua galleria in una loggia. In olive già mature o quasi, la larva di III età fuoriesce dall’oliva caduta a terra aprendosi un foro circolare del diametro di circa 2 mm per poi impupasi nel terreno e passare l’inverno a 5-6 cm di profondità.

1.5.1 Chimica ecologica

COMPORTAMENTO RIPRODUTTIVO

Le femmine di B. oleae sono oligogame e si accoppiano 1-3 volte nell’arco della loro vita (Cavalloro e Delrio 1970; Zouros amd Krimbas 1970). I maschi invece, sono poligami e si accoppiano se sono presenti femmine ricettive (Zervas 1982). Sia i maschi che le femmine raggiungono la maturità sessuale dopo circa una settimana.

La sequenza di eventi che porta all’accoppiamento può essere divisa essenzialmente in tre fasi: la prima fase è caratterizzata dalla ricerca del partner dove stimoli visivi e olfattivi giocando un ruolo fondamentale e culmina con l’arresto del maschio vicino la femmina; durante la seconda fase, la scelta della femmina di accoppiarsi o meno viene influenzata dalla qualità della vibrazione delle ali del maschio; nella terza fase predominano stimoli tattili ed il maschio cerca di accoppiarsi con la femmina (Benelli et al. 2012a).

Le femmine di B. oleae producono a livello dell’ampolla rettale un feromone sessuale costituito da una miscela di sostanze volatili di cui la più abbondante è 1,7-dioxaspiro[5.5]undecano (olean) (Baker et al. 1980). Questa sostanza è altamente attrattiva nei confronti dei maschi, contrariamente alla maggior parte degli altri tefritidi, in cui generalmente sono i maschi che producono sostanze attrattive per le femmine (Kitching et al. 1989; Fletcher and Kitching 1995; Wicker-Thomas 2007).

Particolarmente interessante è il fatto che l’olean venga prodotto anche nei maschi (Canale et

(14)

sfarfallamento. Tuttavia nei maschi il picco di produzione del feromone femminile raggiunge il massimo tra il 5° e l’8° giorno di vita e quindi al raggiungimento della maturazione delle gonadi. Dopo il raggiungimento della maturità sessuale, la produzione di olean nei maschi decresce sensibilmente fino a scomparire al 11° giorno di vità immaginale (Canale et al. 2012). Il perché anche i maschi di B. oleae producano l’olean è ancora poco chiaro. La sintesi del feromone sessuale femminile da parte dei maschi potrebbe fungere da segnale di aggregazione per i maschi, ma questa ipotesi non è mai stata verificata (Mazomenos and Pomonis 1983). Più probabilmente invece, i giovani maschi, ancora immaturi, mimano chimicamente le femmine con lo scopo di confondere i maschi maturi e quindi di riservarsi delle femmine (Benelli et al. 2013a). Infatti, raggiunta la maturità sessuale, i maschi di B.

oleae, non necessitando più del feromone femminile, ne bloccano la biosintesi (Benelli et al.

2013a).

Fino a non molto tempo fa, nessuna sostanza prodotta dai maschi di B. oleae ed attraente le femmine era stata mai identificata. La possibilità che i maschi attirassero le femmine, attraverso sostanze chimiche prodotte a livello dell’ampolla rettale, era stata intuita da De Marzo et al. (1978). Altri autori, invece, hanno escluso il coinvolgimento di sostanze estratte dalle ghiandole rettali dei maschi nella comunicazione sessuale (Mazomenos and Pomonis 1983). La prima evidenza di un prodotto maschile con azione attrattiva nei confronti delle femmine in B. oleae si deve a Carpita et al. (2012).

Terminata la sintesi di olean, infatti, i maschi di B. oleae ormai maturi iniziano a produrre, a livello dell’ampolla rettale, una sostanza peculiare del maschio altamente attrattiva per le femmine. Questo composto è rappresentato dallo (Z)-9-tricosene (muscalure), sostanza molto comune tra i ditteri (prodotto ad esempio dalle femmine di Musca domestica). Il maschio periodicamente sfrega l’estremità delle zampe metatoraciche in corrispondenza dell’apertura anale, con lo scopo di imbibire le setole antero-ventrali dei tarsi posteriori con il muscalure secreto dalle ghiandole rettali. Successivamente, strofina i tarsi posteriori sulle ghiandole urotergali, trasferendo su queste ultime il muscalure, con un apparente movimento di pulizia (Fig. 9).

(15)

Fig. 9 - Il peculiare comportamento di apparente pulizia nei maschi di B. oleae durante il

corteggiamento: a vibrazione delle ali in senso dorso-ventrale b raccolta delle secrezione rettale con i tarsi posteriori c trasferimento del muscalure sulle ghiandole urotergali per mezzo dei tarsi posteriori (Canale et al. 2013b)

Il muscalure, portato sulle ghiandole urotergali, si accumula in gocce alla base di peli associati con le ghiandole medesime che probabilmente, producendo idrocarburi, cere ed altri composti, stabilizzano il muscalure (meno volatile dell’olean) esaltandone le sue proprietà. Nel frattempo, l’area cubitale delle ali, dotata di setoline fitte ed arcuate, viene fatta sfregare con le grosse setole presenti sul III urotergite. Le vibrazioni prodotte, nella teoria classica, avrebbero la funzione di attrarre le femmine a corto raggio, ma probabilmente la loro funzione è anche legata a favorire la diffusione del muscalure (Canale et al. 2013b). La durata di questa fase precopulatrice è di circa 10 minuti. Successivamente, il maschio salta sulla femmina nel tentativo di accoppiarsi. Quando la femmina è ricettiva, rimane ferma permettendo la copula. Le femmine non disponibili, invece, fuggono quando il maschio cerca di accoppiarsi (Benelli

et al. 2012a). Gli accoppiamenti possono durare da 1 ora (30°C) a 5-7 ore (14°C) (Cavalloro

and Delrio 1970). Dopo l’accoppiamento, entrambi i sessi mostrano periodicamente un atteggiamento di pulizia. Non sembra esserci una preferenza, da parte dei maschi di B. oleae, per le femmine vergini o meno. Questo dipenderebbe dal fatto che la produzione femminile del feromone sessuale non cessa o diminuisce dopo l’accoppiamento (Canale et al. 2012; Benelli et al. 2012a).

INTERAZIONE PIANTA-OSPITE

Il ciclo di B. oleae, essendo un organismo oligofago, è strettamente vincolato dalla pianta ospite che rilascia segnali chimici condizionando l’attività, la riproduzione e lo sviluppo dell’insetto. Un complesso di composti chimici di cui fanno parte anche le sostanze emesse

(16)

dalla microflora batterica superficiale, rivelano agli adulti della mosca la presenza dell’ospite. Anche l’oogenesi e l’ovideposizione sembrano essere influenzate da stimoli chimici. Le uova, infatti, si sviluppano poco prima che avvenga la loro deposizione e ciò porta a supporre che esistano sostanze chimiche, prodotte dall’oliva, che inducono lo sviluppo delle uova all’interno delle gonadi.

Questo stimolo viene percepito solo in seguito al contatto diretto fra B. oleae e l’oliva: perciò sono probabilmente coinvolti stimoli percepiti mediante sensilli chemiorecettori per contatto o anche olfattivi, ma efficaci solo nell’immediata prossimità del frutto. La maturazione delle gonadi e l’ovideposizione sembra siano indotte da sostanze chimiche collegate ai glucosidi fenolici, presenti nell’oliva o in estratti esanici dell’epicarpo, e loro derivati (Girolami et al. 1981; Coiutti 1993).

L’ovideposizione sembra essere esaltata con olive cosparse con oleoeuropeina, mentre invece, i composti fenolici delle acque di vegetazione (ortodifenoli derivanti dall’idrolisi dell’oleoeuropeina, pirocatecolo e acido glicolico) hanno mostrato potere repellente sull’ovideposizione in laboratorio (Girolami and Strapazzon 1982) al pari di quelli estratti dalla frazione oleosa del succo di oliva e contenenti benzaldeidi e acetofenoni. Inoltre, gli estratti di olive acerbe hanno una più elevata azione inibitrice sull’ovideposizione di quelli di olive mature e l’olio di olive mature è più repellente della frazione acquosa di olive acerbe (Girolami et al.1981). Kombargi et al. (1998) ha osservato come gli acidi triterpenici pentaciclici, acido oleanolico e maslinico in particolare, presenti in alta percentuale nella composizione della cera superficiale che riveste le drupe, possano esercitare un’azione inibitrice nei confronti dell’ovideposizione. L’ovideposizione viene invece stimolata da estratti d’olio ad alte concentrazioni e a maggiori diluizioni, mentre a concentrazione intermedia l’attività non è risultata costante.

La femmina di B. oleae, fino a quando sono disponibili olive sane, depone un solo uovo per oliva e tende a discriminare i frutti già attaccati. Ciò dipende dal fatto che la femmina dopo aver ovideposto, distribuisce sulla superficie dell’oliva il succo che fuoriesce dalla ferita provocata dall’ovopositore; tale succo, in parte assunto e poi rigurgitato attraverso il “bacio” della ferita, svolgerebbe un’azione deterrente per le successive ovideposizioni (Cirio 1971). L’inibizione da parte del succo di oliva nei confronti di successive ovideposizioni non è però assoluta; infatti, se tutte le olive sono infestate, le femmine depongono anche sui frutti già attaccati, anche se si osserva un calo nella fertilità. Inoltre è risultato che anche substrati d’agar dove aveva già deposto un’altra femmina sono poco accetti per successive

(17)

ovideposizioni; pertanto, le sostanze che inibiscono ulteriori ovideposizioni non sono contenute esclusivamente nel succo della drupa, ma potrebbero essere emesse dalle uova o rilasciate dalle femmine nel corso della puntura (De Nipoti 1991).

1.6 Fattori naturali di limitazione

Il potenziale biotico di B. oleae nell’area mediterranea è condizionato principalmente dai fattori abiotici (Raspi 2006). Le alte temperature estive in periodi di secco (>35°C) e quelle rigide invernali (<6-7°C) determinano la completa inattività degli adulti che per lunghi periodi può portare alla loro devitalizzazione.

Valori di umidità relativa molto bassi, associati ad alte temperature estive, conducono a una elevata mortalità delle uova e delle larve giovani (Delrio and Prota 1976), da attribuire alla riduzione del contenuto acquoso delle olive.

Anche il terreno, per struttura fisica, contenuto di umidità e di sostanze chimiche, può svolgere un ruolo limitante di primo piano. In particolare i terreni compatti ed argillosi ostacolano la fuoriuscita degli adulti al momento dello sfarfallamento.

La regolazione naturale delle popolazioni di B. oleae realizzata invece attraverso i fattori biotici ha un’incidenza minore. Infatti la mosca delle olive nel bacino del Mediterraneo non ha parassitoidi specifici essendo rinvenibili, sostanzialmente nel periodo estivo, 4 calcidoidei ectofagi idiobionti non strettamente ad essa infeudati (Raspi 2006): Pnigalio mediterraneus Ferr. e Del., Eupelmus urozonus Dalm., Eurytoma martellii Dom., Cyrtoptyx latipes Rond.. I calcidoidei menzionati sono estremamente polifagi ed avendo un ciclo asincrono rispetto a quello di B. oleae trascorrono l’inverno a spese di altre vittime come nel caso di E. urozonus che sverna all’interno delle galle prodotte su Inula viscosa dal dittero tefritide Myopites

stylata.

In aree olivicole costiere, si rinviene spontaneamente nel tardo autunno anche Psyttalia

concolor Szèpligeti (Imenottero braconide endofago coinobionte), la cui azione di

contenimento non garantisce significativamente la riduzione dell’infestazione (Canale and Raspi 2009).

La larva neonata di Prolasioptera berlesiana Paoli (Diptera: Cecidomyiidae) invece attacca l’uovo e lo succhia svuotandolo.

(18)

Il predatore Belonuchus formosus Grav. è un coleottero stafilinide che vive a spese della larva.

A contenere le popolazioni di B. oleae è anche l’alternanza di produzione delle olive. Infatti, in annate di scarica, una forte infestazione può determinare la cascola quasi totale entro dicembre con conseguente mancanza di olive vecchie e assenza delle generazioni primaverili, quindi, scarse popolazioni autunnali (Delrio and Prota 1990).

Allorquando la popolazione aumenta a dismisura e si verifica affollamento di individui, può manifestarsi un fenomeno competitivo autolimitante che porta ad un aumento della mortalità larvale e ad una diminuzione del peso delle pupe (Cirio and Gherardini 1984). È ovvio che questo fenomeno risulta di indubbia utilità ai fini della sopravvivenza della popolazione, anche se non sempre può evitare il crollo.

1.7 Difesa

La crescente sensibilità nei confronti della tutela dell’ambiente e della salute ha determinato anche per B. oleae un evolversi delle metodologie di controllo, dalla cosiddetta lotta chimica indiscriminata alla lotta integrata fino al più virtuoso controllo biologico.

In particolare, la lotta integrata, definita anche IPM (Integrated Pest Management), è una strategia con la quale si mantengono le popolazioni dei fitofagi al di sotto della soglia di danno, sfruttando meccanismi naturali di regolazione e utilizzando metodi di lotta accettabili dal punto di vista ecologico, economico e tossicologico (Delucchi 1989).

Il controllo razionale di B. oleae è reso difficile dall’alta fecondità delle femmine, dall’elevato numero di generazioni annue e dall’alta longevità degli adulti.

Per realizzare programmi di lotta contro questo tefritide è opportuno controllare la densità di popolazione degli adulti e i livelli di infestazione delle drupe per poi intervenire con i vari mezzi di difesa a disposizione.

(19)

1.7.1 Monitoraggio delle infestazioni

L’andamento delle infestazioni viene tradizionalmente rilevato mediante l’esame di un campione di drupe prelevato periodicamente, a partire dall’inizio degli attacchi. Per oliveti omogenei si preleva generalmente un campione ridotto di olive che possono essere analizzate mediante osservazione visiva. Le olive campionate in estate invece, vanno controllate possibilmente con una lente di ingrandimento o allo stereomicroscopio, in modo da rilevare le punture sterili e gli eventuali stadi preimmaginali.

Il campionamento dell’infestazione attiva (uova e larve di I e II età), va messa in atto in maniera diffusa sul territorio in quanto i danni vengono diversamente influenzati a seconda delle condizioni agro-ambientali (condizioni climatiche, varietà, posizione geografica, orografia ecc.) nonché dalle dimensioni delle drupe.

La drupa, infatti, deve avere una dimensione tale da permettere il nutrimento da parte della larva; ad esempio, in annate particolarmente siccitose, soprattutto nelle regioni meridionali, le olive che hanno un limitato diametro, fanno si che le infestazioni non compaiono prima della metà dell’autunno; inoltre è frequente il verificarsi d’interruzioni delle infestazioni quando le temperature superano valori di 31-33°C (Guario 2001). La lotta larvicida detta anche curativa, si attua al superamento di una soglia d’infestazione attiva del 10-15% per le olive da olio; la soglia inferiore è da utilizzarsi quando predominano larve di II e III età, quella superiore quando predominano uova e larve di Iª età. Per le olive da mensa invece la soglia di intervento è dell’1%.

1.7.2 Monitoraggio della densità di popolazione

Il monitoraggio delle popolazioni degli adulti si realizza attraverso l’uso di trappole cromotropiche gialle, di trappole chemiotropiche o di trappole miste. Le trappole cromoattrattive consistono in pannelli di colore giallo invischiati di colla entomologica che però risultano non selettive, attirando numerosi altri insetti (Raspi and Malfatti 1984). La cattura avviene con azione meccanica esercitata dalla colla; questa deve possedere requisiti di inalterabilità nel tempo, unitamente alla resistenza ai danni da esposizione prolungata al sole e alle comuni intemperie. Le trappole chemiotropiche vengono innescate con feromoni, proteine idrolizzate o con sali di ammonio. Le trappole miste integrano l’azione cromotropica con l’attrazione esercitata dal feromone sessuale contenuto in un diffusore applicato al centro

(20)

del pannello. L’applicazione di tutte queste trappole però, non essendo selettive, può portare ad effetti indesiderati nei confronti degli entomofagi, tranne nel caso di trappole innescate con il feromone sessualmente specifico.

Le trappole sono fissate alle branche degli alberi, ad un'altezza di 1,5-2 m e ben visibili, esternamente alla chioma. Nell’oliveto vengono poste ad una distanza di 50-70 m l’una dall’altra.

Lo scopo del monitoraggio è quello di controllare la dinamica delle popolazioni di B. oleae per poter poi intervenire nel momento più opportuno. Il monitoraggio degli adulti serve soprattutto come segnale di attenzione, in quanto la soglia d’intervento deve poi essere valutata con il campionamento delle olive. Una volta accertata anche la presenza di uova e di larve vive nel mesocarpo delle drupe si può stabilire se sia stata raggiunta la soglia d’intervento (anticipata rispetto alla soglia del danno), e quindi sia necessario applicare interventi di difesa.

La soglia del danno si raggiunge nel momento in cui la diminuzione della produzione raggiunge un punto tale dopo il quale la perdita di prodotto causata dal fitofago comincia a superare il costo del trattamento. Il rischio che si verifichino delle esplosioni di popolazioni in tempi ristretti è elevato, quindi i campionamenti devono essere eseguiti settimanalmente, in modo tale da evitare il superamento della soglia d’intervento prima che si possa trattare.

1.7.3 Mezzi agronomici

Diverse sono le pratiche colturali che possono condurre, almeno in parte, a limitare i danni che B. oleae provoca alle produzioni. Raccogliere anticipatamente le olive, evitare la consociazione delle varietà da olio con quelle da mensa, fare ricorso a cultivar poco suscettibili, praticare delle lavorazioni superficiali del terreno, rappresentano gli accorgimenti di tipo agronomico che si possono adottare. Non poche volte una raccolta anticipata, seguita da una rapida frangitura, riesce a sottrarre buona parte del prodotto all’attacco del fitofago. Infatti, la maturazione commerciale delle olive precede la maturazione fisiologica. La raccolta può essere anticipata di circa un mese, come hanno dimostrato studi sui rapporti tra inolizione ed andamento delle popolazioni di B. oleae. La concentrazione di olio nelle drupe cresce fino all’invaiatura per poi diminuire. L’aumento della resa in olio derivante dalla posticipazione della raccolta è solo apparente: le olive in seguito alla disidratazione, diminuiscono in peso e proporzionalmente si arricchiscono in olio. Ai fini della lotta agronomica, molto importante è

(21)

lo studio del comportamento che le diverse varietà mostrano nei confronti degli attacchi dei fitofagi, in relazione ad un differente grado di suscettibilità (Delrio et al. 1994). Un’azione limitatrice è esercitata anche dalle lavorazioni del suolo che portano alla luce o interrano profondamente gli individui impupati nel terreno.

1.7.4 Mezzi chimici

Il controllo delle infestazioni di B. oleae è, ancora oggi, basato principalmente sulla lotta chimica.

Il ricorso a trattamenti chimici specifici deve però essere giustificato dal superamento della soglia d’intervento, rilevata con opportuni campionamenti.

I criteri di lotta che si possono adottare sono il metodo adulticida ed il metodo larvicida. La lotta adulticida si attua mediante l’azione attrattiva di tipo alimentare (idrolizzati proteici) in abbinamento a molecole insetticide. L’utilizzo di esche consente l’esecuzione di trattamenti limitati ad una parte della pianta, con risparmio di prodotto, riduzione dei residui nell’olio e minore inquinamento ambientale. I trattamenti sono efficaci soprattutto in ambienti secchi, poiché le sostanze ammoniacali contenute nell’esca mimano la presenza di acqua attirando l’insetto. La distribuzione delle esche proteiche avvelenate può essere ripetuta dopo 20 giorni, con l’esaurimento della capacità attrattiva della proteina idrolizzata, o a più breve termine se intervengono piogge dilavanti oppure se in seguito vengono registrate catture superiori a 5-10 adulti/trappola per settimana e l’infestazione tende a superare l’1-2% delle olive campionate. Recentemente si stanno diffondendo dei sistemi di lotta che prevedono l’utilizzo di dispositivi chimicamente innescati. Tali dispositivi sono in grado di attirare sia i maschi, erogando il feromone femminile, sia le femmine, mediante l’uso di bicarbonato di sodio. Questo tipo di strategia prende il nome di “lure and kill” proprio perché l’insetto, attirato dalle sostanze attrattive, viene a contatto con molecole insetticide (piretroidi) che imbibiscono il materiale di cui è costituito il dispositivo.

Di norma, i dispositivi vanno collocati uno per pianta e la valutazione della loro efficacia andrà fatta monitorando costantemente l’infestazione delle drupe, con campionamenti di 100 olive a ettaro prelevando casualmente una drupa per pianta.

La realizzazione della tecnica “lure and kill”, però, risulta complessa per molti olivicoltori (Benelli et al. 2014a); infatti, ad incidere maggiormente sono i costi medio-alti dei dispositivi e la necessità di manodopera per la loro collocazione. A questo si aggiunge la necessità di un

(22)

monitoraggio continuo dell’infestazione da parte di personale specializzato, per verificare che l’azione di contenimento operata sia efficace.

Ulteriori approfondimenti merita inoltre la valutazione dell’impatto che tale strategia di controllo ha sull’entomofauna utile. In particolare, il carbonato d’ammonio potrebbe costituire un attrattivo per differenti gruppi di insetti “non-target”, al contrario del feromone utilizzato che è generalmente molto selettivo.

Ovviamente si tratta di metodi preventivi e possono comportare il pericolo di un’imperfetta efficacia nel caso di improvvise e imponenti migrazioni del fitofago. Tale rischio diminuisce, comunque, operando su superfici molto vaste e precocemente rispetto all’inizio delle prime deposizioni che avvengono in giugno-luglio (Benelli et al. 2014a).

Molto spesso però le misure preventive non sono sufficienti a mantenere accettabili i livelli d’infestazione. In queste circostanze si interviene necessariamente con trattamenti “curativi” al fine di devitalizzare le larve, mediante l’impiego di insetticidi citotropici. La lotta larvicida si applica al raggiungimento di una soglia d’infestazione attiva pari al 10-15% per le olive da olio e dell’1-2% per olive da tavola.

L’efficacia del trattamento larvicida è elevata quando l’intervento è effettuato tempestivamente in presenza di larve di prima e seconda età, facilmente raggiungibili dall’insetticida.

Tra i principi attivi disponibili si trovano innanzi tutto il dimetoato e il fosmet, due fosforganici inibitori dell’acetilcolinesterasi, con intervalli di sicurezza pari rispettivamente a 28 e 30 giorni. Di recente è stato introdotto nel panorama anti-mosca il neonicotenoide imidacloprid, con formulati appositamente registrati allo scopo. Tra i piretroidi registrati su olivo per la lotta adulticida si ricordano la deltametrina e la lambda-cialotrina. Per quanto riguarda la cipermetrina, sono disponibili in commercio dei formulati utilizzabili su olivi non in produzione.

1.7.5 Mezzi biologici

La pressante esigenza di ridurre al massimo le perdite di produzione ha giustificato per decenni l’impiego massiccio dei fitofarmaci. Il trascorrere del tempo ha però fatto cogliere meglio le ombre della lotta chimica. L’uso irrazionale dei mezzi chimici a portato all’insorgere della resistenza da parte dei fitofagi, la soppressione dell’entomofauna utile, la comparsa di nuove specie dannose oltre ai rischi igienico-sanitari e ambientali.

(23)

La presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, ha fatto si che negli ultimi anni la lotta biologica stia vivendo una sempre più grande popolarità.

La lotta biologica è definita come “l’uso degli organismi viventi e/o dei loro prodotti, allo scopo di proteggere le piante dagli agenti biotici dannosi”.

I mezzi biologici rappresentano l’unica concreta alternativa all’uso dei fitofarmaci anche se certo non sono la soluzione a tutti i problemi della difesa.

Nel caso del settore olivicolo, l’agroecosistema oliveto ben si presta alla gestione biologica della difesa fitosanitaria, soprattutto in zone collinari interne dove la temperatura (alta e bassa) condiziona la velocità di sviluppo e la mortalità di B. oleae. Il controllo del tefritide con mezzi biologici, comunque, è abbastanza complesso in quanto il danno è essenzialmente provocato dall’azione trofica delle larve all’interno delle olive. Tale azione non consente alle sostanze attive, che non possiedono caratteristiche di penetrazione, di bloccare l’infestazione in atto.

Il miglior approccio consiste quindi, nell’intervenire con tutti quei mezzi in grado di ridurre l’entità delle popolazioni presenti nell’oliveto. Generalmente, le tecniche adottate sono rappresentate dall’utilizzo di trappole attivate con bicarbonato d’ammonio o feromone, avvelenate con insetticidi autorizzati nella lotta biologica.

Nel caso delle esche avvelenate, la miscela costituita dalla proteina idrolizzata più l’insetticida va distribuita sulla parte della chioma esposta a sud e solo su alcuni filari dell’oliveto.

Il metodo risulta essere mediamente efficace, con popolazioni poco numerose, mentre presenta alcuni punti critici con popolazioni e infestazioni elevate. L’inconveniente maggiore è legato alla scarsa persistenza degli insetticidi (specialmente le piretrine naturali), ed alla marcata dilavabilità della miscela, per cui si rendono indispensabili più interventi soprattutto dopo le piogge e durante i periodi di maggiore recettività delle drupe.

Tra le sostanze autorizzate vi sono piretrine naturali come anche isoflavonoidi estratti dalle radici di piante tropicali dei generi Derris, Longocharpus, Tephrosia (rotenone).

Queste piante erano conosciute già da tempo dalle popolazioni asiatiche e dell’America del Sud, che le utilizzavano come veleno per catturare i pesci in stagni o paludi, senza provocare effetti nefasti sugli uomini che se ne cibavano. Il rotenone era conosciuto anche nel Medioevo, soprattutto grazie agli scambi marittimi tra il Medio Oriente e i maggiori porti del Mediterraneo, sotto il nome di erba persiana. Inoltre da molti anni è utilizzato in numerosi laghi e serbatoi nell’Oregon, per rimuovere le specie indesiderate di pesci e ristabilire le industrie della pesca. Il rotenone è stato utilizzato per molti anni come insetticida sia nel

(24)

campo agricolo che nell’ambiente domestico, applicato ai raccolti e anche al bestiame per il controllo dei parassiti. L’approvvigionamento delle piante contenente questa sostanza risulta particolarmente difficile, in quanto si tratta di piante spontanee, per cui la raccolta è operata dai nativi che individuano scavano ed asciugano le radici da vendere poi ai grossisti. Il rotenone possiede una certa tossicità anche nei confronti degli insetti utili, anche se non risulta particolarmente aggressivo nei riguardi dei pronubi. Il meccanismo di azione si basa sull’inibizione dell’utilizzo dell’ossigeno a livello cellulare, con interferenze con l’attività respiratoria. Ultimamente il rotenone è stato al centro di vari dibattiti, in quanto accusato da alcuni ricercatori di essere esplicitamente collegato alle cause che portano all’insorgenza della malattia del Parkinson. Comunque in generale la sua tossicità è bassa, ed è dovuta soprattutto alla rapida fotodegradazione da parte dei raggi ultravioletti e dalla insolubilità in acqua (Hayes 1982).

Di recente autorizzazione, in regime di lotta biologica, sono diversi prodotti a base di spinosad, che è una sostanza ad azione insetticida attiva già a bassissime dosi. Questa sostanza viene prodotta dal metabolismo di colture artificiali di Saccharopolyspora spinosa ed è costituita da una miscela di due tossine. La formulazione di tale principio attivo, in combinazione con esche proteiche alimentari, permette di disporre di una soluzione pronta all’uso da sciogliere in acqua e distribuire sul 50% delle piante, alternando i filari e irrorando soltanto una parte della chioma, con uno spruzzo unico finalizzato a creare una chiazza di 30-40 cm di diametro. In genere, per il trattamento di 1 ha, vengono impiegati 1-1,2 litri di soluzione pronta (esca + spinosad) disciolti in 4 litri di acqua. Le basse dosi di principio attivo, i ridotti consumi d’acqua e i bassi costi di distribuzione, fanno si che ne derivino vantaggi sia ecologici che economici. La soluzione agisce per ingestione nei confronti di entrambi i sessi di B. oleae, che attratti dall’esca si alimentano e muoiono a distanza di poche ore dall’ingestione. I trattamenti andrebbero iniziati alla cattura dei primi adulti e ripetuti ogni 7-10 giorni. Trattandosi di un metodo adulticida e quindi preventivo, i migliori risultati si ottengono su ampie superfici e in annate con infestazioni non troppo elevate (Benelli et al. 2014a).

Alcune sperimentazioni condotte recentemente in serra fredda, hanno evidenziato la possibilità di utilizzare come sostanze bioattive insetticide oli essenziali estratti da piante, i quali abbinati con esche proteiche commerciali e carbossimetilcellulosa, hanno rivelato un’ottima azione insetticida per ingestione nei confronti degli adulti di B. oleae (Benelli et al. 2013b; Canale et al. 2013a).

(25)

Tra i metodi preventivi, si ricorda poi l’uso di sostanze di origine naturale ad azione repellente come il caolino. Il caolino è una argilla silicatica con azione anti-deponente e può essere impiegata durante tutta la stagione di difesa dalla mosca delle olive. Questa argilla viene sospesa in acqua al 3-5% e distribuita su tutta la chioma. La copertura del frutto deve essere il più possibile uniforme, in maniera da creare un film protettivo che ostacoli la deposizione delle uova da parte dell’insetto. I trattamenti vanno ripetuti generalmente una volta al mese ma in caso di piogge dilavanti saranno più frequenti. L’efficacia di tale metodo sembra essere incoraggiante soprattutto per gli scarsi effetti tossicologici nei confronti di organismi non-target anche se ad alte densità di popolazione del fitofago e in ambienti particolarmente piovosi o umidi però non riesce a frenare le ovideposizioni (Benelli et al. 2014a).

LOTTA BIOLOGICA CLASSICA

La lotta biologica classica, che adopera come suoi strumenti gli agenti di contenimento biotici, è percorribile nell’oliveto soprattutto attraverso i principi che regolano il mantenimento degli equilibri originari o ricostituiti. Si tratta di una serie di accorgimenti che si inquadrano più propriamente nelle metodologie della lotta integrata e che mirano ad esaltare il ruolo dei nemici naturali.

Diversi sono gli imenotteri della superfamiglia Chalcidoidea, spontaneamente presenti nell’oliveto che possono vivere a spese delle larve di B. oleae.

Eurytoma martellii Dom. è un noto parassitoide ectofago, solitario, polivoltino della mosca

delle olive. L’adulto ha il corpo lungo 2-4 mm , di colore nerastro, con occhi rosso scuro; la parte basale dello scapo antennale, quella distale dei femori e delle tibie e i tarsi sono di colore giallo scuro o biancastro; le ali sono ialine. Le antenne presentano 11 articoli. Le ali anteriori hanno la vena postmarginale poco più lunga della stigmatica e circa i 3/5 della marginale. Il torace presenta una marcata scultura foveolata; il gastro ha un breve peziolo, è compresso e quasi liscio. Può compiere 2-3 generazioni come parassita delle larve ed il suo ciclo biologico si compie in 20-30 giorni.

B. oleae rientra anche tra le vittime del calcidoideo eupelmide Eupelmus urozonus Dalm.,

parassitoide molto comune di vari insetti dannosi. Il suo comportamento larvale è da ectofago primario nel caso della mosca delle olive ma può comportarsi anche da parassita ectofago secondario, nonché pseudoendofago nel pupario dell’ospite. Non è raro lo sviluppo iperparassitico del maschio su parassitoidi primari della Saessetia oleae Oliv..

(26)

La femmina ha il corpo slanciato, di colore verdastro, le antenne nerastre, il torace e il gastro con riflessi rameici, le tibie e femori medi giallo scuro, l’estremità dei femori anteriori e posteriori e i tarsi, biancastri, le ali ialine; la parte sporgente dell’ovopositore, alla base e distalmente è nerastra e nel tratto mediano è chiara. Le antenne sono di 13 articoli. Il maschio è più scuro e più piccolo della femmina, con gli articoli del funicolo antennale più lunghi che larghi.

Lo sviluppo larvale si realizza attraverso 5 stadi. In natura l’E. urozonus svolge più generazioni annuali. Può essere allevato in laboratorio su C. capitata. È ben nota la modalità di svernamento di questo imenottero all’interno delle galle prodotte su Inula viscosa dal dittero tefritide Myopites stylata. Inula viscosa è un’asteracea infestante comune negli oliveti. La sua presenza potrebbe quindi favorire l’azione di contenimento svolta da E. urozonus. Altro calcidoideo parassitoide ectofago della mosca delle olive è lo Pteromalidae Cyrtoptyx latipes Rond.. La femmina ha il corpo di colore nero azzurrognolo, il gastro nero violaceo,

con riflessi verde dorato alla base, le zampe nerastre, con l’apice dei femori, delle tibie e dei tarsi biancastri e le ali ialine. Le antenne sono di 13 articoli. Il gastro ha forma ovato-conica, lungo quanto capo e torace presi insieme. La femmina depone le uova in prossimità o sulla larva del dittero dopo averla immobilizzata; compie tre generazioni, ognuna della durata di 18-30 giorni a seconda delle condizioni climatiche.

Il Pnigalio agraules Walk. (= P. mediterraneus Ferr. E Del.) è tra i più comuni parassitoidi ectofagi di B. oleae. La femmina ha il corpo di colore verdastro, con la faccia anteriore del capo violaceo splendente, le ali ialine, le zampe con le coxe bruno verdastre e il resto di colore giallognolo. Le antenne sono di 10 articoli, con quelli del funicolo sub cilindrici e la clava breve, poco più lunga dell’ultimo articolo del funicolo. Le ali anteriori hanno la vena postmarginale lunga un terzo della marginale e un mezzo della stigmatica. L’ovopositore sporge appena dal gastro. Il corpo è lungo 2,5-3,5 mm. Il maschio è simile alla femmina, ma presenta i primi tre articoli del funicolo ciascuno provvisto di un ramo che raggiunge quasi l’estremità della clava. La larva di questo calcidoideo si caratterizza per la presenza sul capo di due protuberanze coniche.

Il metodo inondativo è stato sperimentato nei confronti della mosca delle olive, con Psyttalia

concolor (Fam. Braconidae), una specie ottenuta da Marchal in Tunisia dalle pupe di B. oleae

e descritta poi nel 1910 da Szèpligeti. Si tratta di un parassitoide endofago larvopupale solitario di vari ditteri tefritidi, tra cui anche B. oleae. L’adulto, di colore castano chiaro, è lungo 3-4 mm. Le antenne e la parte distale delle tibie posteriori e i tarsi sono di colore

(27)

fulvo-bruno. L’ovopositore è sporgente per poco meno della lunghezza del gastro. I primi tentativi di acclimatazione del parassitoide nell’Italia meridionale si devono a Filippo Silvestri che inizio a distribuire il braconide, di provenienza africana, dal 1914 al 1928-29 in Calabria, Puglia, Campania, Lazio e Sicilia. Monasterno, nel 1931, ottenne una nuova specie da pupe di

B. oleae in Sicilia e descritta come Opius siculus; successivamente però si rivelò sinonimo di P. concolor (Fischer 1958). Di particolare rilievo è stata l’attività pluriennale intrapresa

intorno al 1960 dall’Istituto di Entomologia agraria dell’Università di Palermo, che ha intrapreso un vasto programma sull’impiego di P. concolor nel controllo della mosca delle olive e che rappresenta il primo esperimento di lotta biologica su grande scala in Italia. Tuttavia, il metodo inondativo è estremamente complesso e il più delle volte, come in questo caso, per avere successo non basta produrre un fattore biotico e distribuirlo in massa.

Questa specie è stata segnalata anche in varie regioni del Mediterraneo, oltre che nell’Africa orientale e occidentale. In Campania essa è stata accertata ove non erano state effettuate distribuzioni. La popolazione di questo braconide, nell’Italia meridionale e nelle isole, è estremamente variabile da un anno all’altro in rapporto a quella di B. oleae. Ciò è dovuto non sempre in conseguenza delle fluttuazioni che interessano il tefritide. P. concolor è in genere rinvenibile nel tardo autunno, allorquando la popolazione della mosca delle olive raggiunge i livelli più alti. A interferire sull’azione di P. concolor sono anche i parassitoidi ectofagi del fitofago, in particolare di E. urozonus. Nell’ambiente toscano, P. concolor appena liberato tende ad allontanarsi rapidamente dall’oliveto. Probabilmente questa tendenza alla dispersione è legata alla ricerca, in altra biocenosi, della vittima o delle vittime a cui il braconide è più strettamente legato (Raspi 1993). Un ospite possibile potrebbe essere la Carpomya incompleta Becker, su cui è stato trovato in Eritrea (Silvestri 1916) e in Sicilia (Monastero 1968).

Studi più recenti hanno approfondito gli aspetti della chimica ecologica e dei meccanismi che influiscono nella interazione trofica pianta-fitofago-entomofago. In generale, infatti, la femmina del parassitoide neosfarfallata, essendo dotata di un programma estremamente rigido e preciso, inizia la ricerca dell’ospite sotto spinta endogena ed è guidata da stimoli ambientali di natura chimica, fisica e nutrizionale. Un ruolo fondamentale, nella localizzazione dell’ospite da parte di P. concolor, è svolto da sostanze emesse dal fitofago e dalla pianta, agenti come messaggeri per il linguaggio chimico interspecifico. In particolare, alcune sostanze volatili prodotte dai frutti attaccati da C. capitata (herbivore induced plant volatiles) esercitano una forte azione attrattiva nei confronti di P. concolor, fungendo quindi da sinomoni (Benelli et al. 2012c). Nella ricerca dell’ospite sembra influire anche il fattore

(28)

esperienza. Benelli e Canale (2012) hanno dimostrato come le femmine di P. concolor, dopo un periodo di addestramento, siano in grado di associare un colore alle larve di C. capitata. Questa abilità non è innata ma si manifesta solo negli esemplari “istruiti”. L’apprendimento di stimoli visivi sembra essere limitato ai colori mentre non si manifesta con forme o figure. La sequenza di eventi che porta alla ovideposizione da parte di P. concolor è stata approfondita da Canale e Benelli (2012) ed è riconducibile a:

 fase di latenza;

 fase di walking & drumming;

fase di probing;

fase di ovideposizione;

La latenza rappresenta la prima fase e dura circa 40-50 secondi, da quando viene inserito il sacchetto con le larve dell’ospite. Durante questa fase, la femmina rimane ferma, le antenne sono tenute verticali, aperte e rivolte in avanti. I palpi invece possono essere paralleli o perpendicolari alla superficie. Nella fase di walking & drumming, la femmina cammina velocemente battendo le antenne in modo alternato sulla superficie e toccandola con l’ultimo segmento antennale. I palpi, invece, sono tenuti ortogonali alla superficie senza toccarla. Durante la fase di probing, la femmina si ferma e le antenne vengono divaricate e tenute parallele alla superficie. Successivamente, la femmina introduce la terebra nel corpo dell’ospite. Se la larva non è idonea, allora l’ovopositore viene estratto entro 10 secondi. Se la femmina accetta la larva, l’ovopositore rimane all’interno dell’ospite per circa 30-40 secondi ovideponendo l’uovo, sempre uno solo per volta (fase di ovideposizione). In questo parassitoide, le antenne rappresentano le strutture maggiormente coinvolte nel processo di localizzazione dell’ospite, anche se non si può escludere il coinvolgimento anche dei palpi e dei pretarsi. Inoltre, un ruolo importante nella localizzazione e riconoscimento dell’ospite è svolto dall’ovopositore (Canale and Raspi 2000). Le femmine di P. concolor manifestano un’abilità innata nel riconoscere larve già parassitizate. Questa abilità potrebbe aiutare le femmine ad ottimizzare la decisone di ovideposizione evitando gli ospiti superparassitizzati che potrebbero limitare il numero e la qualità della progenie. Tuttavia, P. concolor non evita il superparassitismo che sembra essere invece una strategia in determinate condizioni. Infatti, in larve di III età di C. capitata, sono necessarie due uova/ospite per ottenere lo sfarfallamento del braconide. Nelle larve di II età di C. capitata, invece, è necessaria una sola ovideposizione. Le larve mature dell’ospite sono più robuste e oppongono una maggiore resistenza alla parassitizzazione; il superparassitismo aiuterebbe le femmine di P. concolor a

(29)

superare la difesa fisiologica dell’ospite e ad incrementare così il loro successo riproduttivo. Questo aspetto, oltre a chiarire il comportamento di localizzazione dell’ospite, potrebbe migliorare le tecniche di allevamento del parassitoide attraverso la regolazione di alcuni parametri. Infatti, il superparassitismo dipende dalla densità dell’ospite, dalla densità del parassitoide e dal tempo di esposizione (Benelli et al. 2012b). Il superparassitismo in laboratorio è necessario per ottenere la massima resa, poiché si usano larve di C. capitata di III età più facili da ottenere. In campo invece è conveniente liberare P. concolor con presenza massima di larve di I e II età, in quanto, la III età larvale dura poco ed in C. capitata le larve mature si approfondiscono troppo nel frutto.

Azione entomofaga sulle larve di B. oleae è svolta anche dal coleottero Belonuchus formosus Grav., specie di origine sudamericana. Questo coleottero stafilinide fu introdotto in Italia dal Silvestri (1939-1941) per il controllo di vari ditteri tefritidi.

Interessante è l’azione del dittero Prolasioptera berlesiana Paoli (Fam. Cecidomyiidae). Questo dittero era ritenuto dannoso all’olivo, ma Silvestri, con i suoi studi, ha dimostrato che esso può essere considerato un insetto utile. P. berlesiana si rinviene comunemente sul lentisco in rapporto a pseudogalle prodotte dall’acaro Eriophyes stefanii Nal. o da Psillidi. Secondo Silvestri, il cecidomide è richiamato sull’olivo dalla metà di giugno, allorquando B.

oleae pratica le prime ovideposizioni dell’annata. La femmina di Prolasioptera introduce il

proprio uovo accanto a quello dell’ospite, nelle ferite di ovideposizione del tefritide. La larva neonata del cecidomide si alimenta succhiando l’uovo di B. oleae. Successivamente, però, passa ad alimentarsi del micelio del fungo Camarosporium dalmaticum Thümb., con cui vive in simbiosi. Questo fungo, agente del marciume delle druope, invade la ferita di ovideposizione. Nelle olive attaccate dal fungo si sviluppa una tacca infossata dapprima molle e grigio-rossastra, poi infossata e suberificata. Le olive infette da Camarosposium vanno soggette a cascola. La P. berlesiana può svilupparsi anche solo a spese del fungo se essa si trova in altri tipi di ferite presenti sulle olive (lesioni da grandine, fori di sfarfallamento di B.

oleae, etc.) L’utilità della cecidomia dovuta alla sua attività antidacica viene quindi molto

diminuita dalla sua associazione simbiotica con il fungo. Pertanto, soprattutto nella produzione di olive da tavola è necessario procedere ad una tempestiva eliminazione dell’infestazione di B. oleae che è quasi sempre alla base degli attacchi di Prolasioptera.

(30)

LOTTA MICROBIOLOGICA

Anche alcuni microrganismi, come il batterio Bacillus thuringiensis e il fungo Beauveria

bassiana, risultano tossici per la mosca delle olive. Da campioni di suolo provenienti dalla

Spagna, Grecia e Italia sono stati isolati alcuni ceppi di B. thuringiensis attivi su adulti e/o larve di B. oleae. Il B. thuringiensis è stato impiegato in miscela con esche proteiche per combattere gli adulti della mosca delle olive e in esperimenti condotti in Italia con 10 trattamenti ha mantenuto la popolazione di adulti ad un livello inferiore a quello del testimone, mentre in Grecia è stata dimostrata una protezione significativa delle drupe con l’applicazione di 4-6 trattamenti (Delrio et al. 2002).

Il fungo entomopatogeno B. bassiana è risultato tossico per ingestione sugli adulti di B. oleae in laboratorio ed ha ridotto l’infestazione anche in prove di campo effettuate con 3 trattamenti in condizioni di bassa infestazione (Anagnou-Veroniki et al. 2005). In esperimenti condotti recentemente in diverse regioni italiane con trattamenti settimanali con prodotti a base di B.

bassiana è stato ottenuto un controllo della mosca delle olive comparabile e in qualche caso

maggiore a quello dello standard chimico, con un’efficacia del 60-92% (Benuzzi et al. 2005). Questi microrganismi potrebbero svolgere un ruolo importante per la difesa delle produzioni olivicole biologiche anche se occorre approfondire ulteriormente tali aspetti per esprimere una valutazione attendibile sulle potenzialità della lotta microbiologica nel controllo di B. oleae.

LOTTA BIOLOGICA MODERNA

Nuove e interessanti strategie di controllo sono rappresentate dalla confusione sessuale e dalla tecnica autocida. Pur rispondendo ai criteri per il riconoscimento di mezzi biologici, l’uso di feromoni e l’autocidio hanno meritato la definizione di mezzi biotecnici in quanto richiedono l’impiego di mezzi tecnici come erogatori o dispenser, impianti di irradiazione, etc.. Il loro principale uso è espresso dalla manipolazione dei rapporti intraspecifici.

La confusione sessuale si attua tramite diffusori di materiale plastico impregnato del feromone o microcapsule distribuite ampiamente nell’ambiente e liberanti gradualmente il feromone stesso. L’erogazione del feromone sessuale determina un eccesso di sostanza feromonica nell’aria sufficiente a rendere casuale l’eventuale incontro tra i due sessi. La confusione sessuale determina quindi, la riduzione del numero totale degli accoppiamenti, con una conseguente riduzione della popolazione in campo (Canale and Raspi 2009). In Italia questo metodo è entrato nella pratica applicazione nel 1989 con l’uso di dispenser eroganti

(31)

feromoni sessuali di Cydia molesta Bsk. e di Anarsia lineatella Zl. nei pescheti ed ha oggi interessanti applicazioni nel frutteto e nel vigneto (Canale and Raspi 2009). Questo metodo fornisce buoni risultati su ampie superfici, che minimizzano, in proporzione,gli effetti delle ovideposizioni di femmine fecondate provenienti dalle aree limitrofe non trattate. Si tratta di un metodo di difesa altamente selettivo che non interferisce sugli equilibri entomatici dell’agroecosistema. Nell’ottica di un possibile impiego di questo metodo per il controllo biologico di B. oleae, diverse sono le ricerche finalizzate a colmare le informazioni carenti riguardanti la complessa composizione semiochimica di questa specie, in particolare per quanto riguarda i feromoni sessuali (Raspi 2006). La lotta autocida prevede la distribuzione di un gran numero di individui (generalmente maschi), resi sterili con l’impiego di sostanze chimiche sterilizzanti o con l’impiego di radiazioni atomiche. È necessario che i maschi sterilizzati mantengano inalterata la vitalità e la capacità di competizione con i maschi presenti in natura per gli accoppiamenti, al fine di provocare il progressivo collasso numerico della popolazione. La lotta autocida determina abbassamenti talora notevolissimi di popolazioni di specie viventi in aree circoscritte e rappresenta l’unica strategia in grado di eradicare la popolazione di una specie da un areale. L’eradicazione di una specie può essere devastante dal punto di vista ecologico e si rende giustificabile solo nel caso essa non sia originaria dell’areale in cui si intende applicare il metodo. Questa tecnica, utilizzata con successo già contro numerosi ditteri, potrebbe essere auspicabile in ambiente mediterraneo contro B. oleae, in virtù della sua oligofagia e della bassa densità delle popolazioni all’inizio del periodo estivo. Rimangono però da superare alcune problematiche di carattere tecnico-economico come ad esempio l’allevamento della specie, in gran numero e a costi contenuti, su un substrato artificiale (Canale and Raspi 2009).

Riferimenti

Documenti correlati

Con riferimento a quest’ultimo sono state segnalate, da un lato, le criticità di quello che viene ormai considerato da molti un “condono permanente” e, dall’altro, l’utilità

In order to do it we calculate the minimal system of generators of all 3 × 3 minors of J G , we intersect the corresponding variety with V (I G ), we �nd a minimal base of generators

We consider here the case of a densely populated belt whose proper eccentricity distribution, after the approach of the planet, has been collisionally damped. In this scenario, most

The Identity, the Variance Identity, the Market model, and the Constant Correlation are the most efficient target matrices towards which to shrink, while the EWMA is the worst for

Escludendo le prime 6 generazioni, dove il numero di ripetizioni degli antenati non è significativo poiché il campione è troppo piccolo perché anche una sola ripetizione non conduca

After having evaluated the effects of dietary CLA on fatty acid metabolism and endocannabinoid levels in the liver of Zucker rats, we analyzed plasma samples

The PROVE IT–TIMI 22 (Pravastatin or Atorvastatin Evaluation and Infection Therapy–Thrombolysis In Myo- cardial Infarction 22) study enrolled 4,162 ACS patients and randomized them