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Monitoraggio dei pazienti in ventilazione artificiale

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Academic year: 2021

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Capitolo 3

Monitoraggio

dei

pazienti

in

ventilazione artificiale

Lo scopo del monitoraggio durante la ventilazione artificiale è quello di valutare se l’ossigenazione del paziente è adeguata in modo da adattare la tecnica al paziente nel miglior modo possibile.

Inoltre un monitoraggio costante permette di individuare eventuali alterazioni che possono insorgere a causa dello stato del paziente ed a causa della tecnica ventilatoria. (Raffe, 2002b ).

Metodi non invasivi per monitorare l’ossigeno (O2) e l’anidride carbonica (CO2) sono disponibili da più di quindici anni, lo sviluppo di queste tecnologie ha cambiato in modo significativo le abitudini nella clinica pratica.

Un monitoraggio invasivo ma molto indicativo della situazione reale dello stato di ossigenazione del paziente è l’emogasanalisi.

Il monitoraggio di un paziente in ventilazione artificiale dovrebbe comprendere la valutazione di pulsossimetria, capnografia, pressione arteriosa sistemica, pressione venosa centrale, temperatura, produzione di urina e valutazione dei gas ematici e degli elettroliti.

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3.1 Pulsiossimetro

Il pulsossimetro valuta un singolo passaggio nel processo di ossigenazione; infatti, la somministrazione di ossigeno e la ventilazione del paziente sono monitorizzati dagli strumenti e dagli allarmi presenti a livello della macchina anestesiologica (monitoraggio respiratorio, capnografia-capnometria). La saturazione parziale di ossigeno valuta la quantità di ossigeno che i polmoni riversano nel letto vascolare. Per l’ultimo stadio, la liberazione di ossigeno ai tessuti ed ai mitocondri, non esistono ancora metodi di valutazione applicabili (Bell, 2005).

In condizioni di somministrazione di ossigeno puro è importante considerare che una buona saturazione di ossigeno può essere registrata anche in presenza di elevate quantità di anidride carbonica nel sangue, sempre perché non correlata alle capacità ventilatorie del paziente.

Il pulsossimetro indica la quantità di ossigeno legato all’emoglobina e non la quantità presente nel sangue, che viene individuata dalla pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso (PaO2) (Haskins, 1999).

Il pulsossimetro misura la saturazione di ossigeno dell’emoglobina mediante l’applicazione di due principi fisici. Il primo (spettofotometria) consiste nella differenza di assorbimento della luce emessa a due diverse lunghezze d’onda da parte dell’emoglobina a seconda del suo grado di saturazione con ossigeno (Cattò et al, 1999). Secondo la legge di Beer-Lambert è possibile conoscere la concentrazione di una sostanza in una soluzione misurando

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l’intensità della luce dopo che questa ha attraversato il soluto, ovvero determinandone l’assorbanza; il pulsossimetro determina i valori di SpO2 sfruttando questa principio (Grubb, 2002).

Il secondo principio (pletismografia) sfrutta la presenza della componente pulsatile a livello tissutale dovuta al cambiamento di volume del sangue arterioso ad ogni battito; in questo modo lo strumento può distinguere l’assorbimento della luce del sangue arterioso dalla componente non pulsatile, rappresentata dai tessuti e dal flusso venoso e capillare (Hill et al., 2000).

Una delle principali caratteristiche del pulsossimetro è quella di essere un monitoraggio uditivo (presenta un suono associato alle pulsazioni e variazioni di tonalità a seconda del grado di saturazione) e non solo visivo (display). I monitoraggi visivi sono direzionali (possono essere osservati solo da un range limitato d posizioni) ed opzionali (possono essere eliminati spostando la visuale), mentre quelli uditivi sono ubiquitari (possono essere percepiti da ogni posizione nella stanza) ed obbligatori (non possono essere eliminati orientando l’attenzione uditiva).

La precisione dei monitoraggi per la pulsossimetria tra i valori di 70 e 100% è considerata massima con un errore variabile dal 2 all’8% a seconda dello strumento (Grubb, 2002).

Generalmente l’accuratezza di questi strumenti presenta un errore di sottovalutazione in presenza di saturazione maggiore del 95%, mentre può sovrastimare valori al di sotto del 70% (Jacobson et al, 1992). Clinicamente

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però questa mancata accuratezza ha un valore relativo, in quanto in corso di ipossiemia risulta di maggiore rilevanza la capacità di identificazione dello stato ipossiemico piuttosto che la precisa stima di esso (Jacobson et al, 1992).

La rapidità della risposta ai cambiamenti di saturazione è influenzata dalla posizione della sonda nell’organismo: posizionamenti centrali della sonda (lingua, orecchio) rispondono in maniera più veloce registrando per esempio una desaturazione in circa 10 secondi, mentre per una sonda applicata alle estremità può risultare necessario un intervallo di tempo variabile tra i 30 ed i 90 secondi (Bell, 2005).

Limiti

Il movimento del paziente è una delle cause più comuni di artefatto nella lettura della pulsossimetria (Raffe, 2002a). Il movimento può essere suddiviso in estrinseco, movimento della sonda o del paziente (es. durante le manualità chirurgiche) od in intrinseco, dovuto al paziente stesso (tremori, contrazioni, fascicolazioni,). A volte è possibile che lo strumento sia tarato in modo da recepire anche piccoli movimenti che registra come eventi pulsatili nonostante non ve ne siano (Goldman, 2003).

La congestione venosa, soprattutto se causata da un rigurgito tricuspidale, può produrre una pulsazione venosa, che può essere erroneamente captata

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dal fotodetector, risultando un una lettura della saturazione non reale (Fearnley, 1995).

Il fotorecettore non è in grado di riconoscere la provenienza della luce, di conseguenza i LED si attivano alternativamente in modo da permettere al monitor di distinguere le due fonti di luce. La presenza di eccessiva luce ambientale sulla sonda può interferire con la lettura in quanto viene considerata come fonte appartenente al ciclo di emissione dei LED (Bell, 2005).

Alcune luci chirurgiche allo xenon possono fornire una saturazione del 100% con valori di frequenza del polso senza che la sonda sia collocata sul paziente (Grubb, 2002). Questo inconveniente può essere superato coprendo la sonda.

3.2 Capnometria da infrarossi

L’analisi a raggi infrarossi rappresenta un metodo quantitativo per la valutazione e la misurazione dei gas respiratori, questo principio è applicato soprattutto per la misurazione della CO2 nei gas respiratori.

Esistono due monitor per la misurazione della CO2: il capnometro ed il capnofgrafo.

Il capnometro fornisce solo il valore numerico della concentrazione della CO2 a fine espirazione (ETCO2).

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Il capnografo permette di visualizzare, oltre al valore numerico, anche il grafico dell’andamento della CO2 durante il ciclo respiratorio (Raffe, 2002a) La curva del capnografo di un singolo respiro può essere suddivisa in cinque punti differenti, A,B,C,D,E (Fig. 3.1).

Il tratto A-B è il livello basale (uguale a zero) che rappresenta il gas esalato, che si trova nello spazio morto anatomico, correlato alla fase di pausa inspiratoria.

Il tratto B-C, la porzione del grafico che sale ripidamente, rappresenta i gas, sia freschi che esalati, contenuti nelle vie aeree intermedie.

Il plateau, raffigurato dal tratto C-D, è invece rappresentativo del gas alveolare misto.

Il punto D, che distingue la fine del plateau, indica la vera concentrazione di CO2 presente a fine espirazione.

La ripida discesa della curva, tratto D-E, è associata con l’inspirazione e tende quindi a tornare rapidamente a valori uguali a zero.

Figura 3.1: Curva del capnografo

E D C B A 0 38 CO2 Tempo

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Cambiamenti nella curva del capnografo possono essere indice di alterazioni e/o patologie a carico di: circuito respiratorio, tracheotubo, apparato respiratorio e cardiovascolare (Tab. 3.1).

Conformazione curva Significato variazione

della curva

Cause dell’alterazione

Aumento del valore del tratto A-B

Aumento della frazione di CO2 inspirata

Calce sodata esausta, ri-respirazione dei gas presenti nello spazio morto

Tratto C-D con forma di picco (assenza del plateau)

Incompleto svuotamento delle vie respiratorie

Asma, ostruzioni delle vie aeree superiori/ tracheotubo, patologia ostruttiva polmonare cronica Abbassamento del plateau Diminuzione improvvisa dei valori di ETCO2

Tromboembolismo polmonare, ostruzione completa delle vie aeree, intubazione esofagea, arresto cardiopolmonare Diminuzione progressiva

del plateau

Diminuzione progressiva dei valori di ETCO2

Iperventilazione,

ipotermia, acidosi metabolica

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3.3 Pressione arteriosa sistemica

È uno dei parametri più significativi per la valutazione della funzionalità dell’apparato cardiovascolare, fornisce informazioni sullo stato emodinamico del paziente e sugli effetti dei vari farmaci utilizzati e dei vari trattamenti. La rilevazione della pressione arteriosa è un utile parametro per il monitoraggio degli effetti emodinamici della ventilazione artificiale, verifica l’aumento o la diminuzione della pressione del polso e ci fornisce indicazioni sull’ipotensione e l’ipertensione sistemica. Può essere misurata sia in maniera diretta (introduzione di un catetere all’interno di un’arteria), che indiretta (oscillometria, ecografia Doppler, fotopletismografi, tecnica auscultatoria mediante sfigmomanometro) (Binns et al, 1995).

3.4 Pressione venosa centrale

La pressione venosa centrale (PVC) è la pressione endoluminale della vena cava toracica e in assenza di ostruzioni vascolari è considerata essere equivalente alla pressione atriale destra (Aldrich et al., 1995). E’ un parametro molto utile, poiché fornisce indicazioni utili sulla funzionalità del cuore destro, sull’adeguatezza della somministrazione fluidica od ematica e sulla gittata cardiaca, nel caso di shock, insufficienza cardiaca e durante la ventilazione artificiale. Viene misurata attraverso l’introduzione di un catetere

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venoso centrale, generalmente, all’interno della vena giugulare, che viene sospinto fino all’atrio destro.

I valori normali della PVC nel cane sono compresi tra 0-10 cm H2O, indipendentemente dalla posizione del corpo (Muir et al.,1991).

Una PVC bassa (o in diminuzione), al di sotto di 0 cm di H2O, si verifica quando si ha una diminuzione della totalità del sangue venoso (riserva venosa centrale), indicando così ipovolemia, aumento della gittata cardiaca o vasodilatazione, questo può indicare che il paziente necessita di somministrazione di fluidi (colloidi o cristalloidi).

Se l’infusione di liquidi è accompagnata dai segni di un’appropriata perfusione periferica (valutazione del tempo di riempimento capillare, colore delle mucose, rilevazione della pressione ematica, produzione di urina) è possibile ritenere adeguata la funzionalità cardiaca.

Se invece, la somministrazione di fluidi è accompagnata a segni di perfusione inadeguata, aumento dell’acidosi metabolica ed edema polmonare, è necessario mettere in atto ulteriori terapie, volte a migliorare la funzionalità cardiaca.

Una PVC alta (o in aumento) con valori superiori a 12-15 cm di H2O, si ha quando la riserva venosa centrale è completamente saturata, indicando così ipervolemia, insufficienza cardiovascolare cardiogena con scarsa gittata cardiaca o vasocostrizione venosa (Johnson., 2003).

E’ opportuno rilevare che la PVC presenta valori più bassi all’inizio dell’inspirazione e valori più alti durante l’espirazione. Idealmente, la

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misurazione della PVC dovrebbe essere effettuata al termine dell’espirazione, in quanto le variazioni di pressione intrapleurica alterano la pressione endoluminale della vena cava craniale.

In animali che ricevono una ventilazione a pressione positiva intermittente (IPPV), la PVC è più elevata durante l’inspirazione e più bassa alla fine dell’espirazione; animali che ricevono una ventilazione a pressione positiva a fine espirazione (PEEP) presentano valori più elevati di PVC, poiché la pressione intratoracica non scende al valore della pressione atmosferica (De Laforcade et al., 2001). Infatti, la ventilazione a pressione positiva tende a far collassare i vasi intratoracici, il che fa diminuire sia il ritorno venoso al cuore, che la gittata cardiaca.

Questo effetto non è preoccupante in animali che presentano normali capacità emodinamiche compensatorie, nei pazienti ipovolemici o ipotesi, la ventilazione meccanica, può migliorare la funzionalità respiratoria, ma diminuire la gittata cardiaca, portando a progressiva ipotensione ed inadeguata perfusione tessutale (Moon et al. 1992).

La pressione venosa centrale, può essere di notevole aiuto per differenziare la pressione ematica arteriosa bassa dovuta ad ipovolemia, da quella dovuta ad insufficienza cardiaca (Johnson, 2003).

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3.5 Emogasanalisi

L’emogasanalisi fornisce i valori del pH, dei gas ematici arteriosi, e degli elettroliti.

pH: è l’espressione dell’inverso del logaritmo della concentrazione di

idrogenioni; è il riflesso dell’equilibrio tra il bicarbonato (HCO3- ) e la CO2. Un aumento degli ioni idrogeno è associato con la diminuzione del pH e viceversa.

L’equazione di Henderson-Hasselbalch:

pH= pKa + log [HCO3-]/ [CO2 totale]

fa capire quanto sia importante non il valore assoluto di questi parametri ma bensì il rapporto esistente tra loro, che rappresenta ciò che determina il pH. Il pH è regolato da diversi meccanismi; nei compartimenti intracellulare ed extracellulare i due più importanti sistemi per la regolazione del pH sono rappresentati dalle proteine e dal sistema tampone dei bicarbonati. Inoltre la respirazione e la regolazione renale possono influire sul pH.

I normali valori di pH sono 7.35-7.45.

Un pH inferiore a 7.35 indica di acidemia, mentre se superiore a 7.45 alcalemia.

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PaO2: è la pressione parziale di ossigeno disciolta nel sangue arterioso, espressa in mm Hg. Essa non rivela quanto ossigeno si trova nel sangue ma solo la pressione esercitata dall’ossigeno disciolto. Il range normale per un paziente che respira aria ambiente e si trova a livello del mare è 80-110 mm Hg. Un valore di PaO2 inferiore a 80 è indice di ipossiemia.

Per valutare l’efficacia dell’ematosi a livello polmonare è necessario calcolare il gradiente alveolo-arterioso o gradiente A-a.

Esso indica la differenza di tensione di ossigeno tra l’alveolo (A) e l’arteria (a). Questa valutazione fornisce informazioni sulla capacità di trasporto dell’ossigeno nel sangue. Un normale gradiente A-a ha un valore compreso tra 0 e 15 mm Hg, quando la frazione di ossigeno inspirato (FiO2) è di 0,21. Un valore superiore indica una incapacità polmonare ad ossigenare il sangue.

Per calcolare questo gradiente basta applicare la formula: A= (pressione barometrica-47) (0.21) –PaCO2/0.8

a=PaO2

Questa formula non risulta applicabile qualora la FiO2 sia superiore a 0,21, ovvero nel caso di somministrazione di ossigeno. In questo caso allora è possibile ricorrere al rapporto PaO2/FiO2, che deve risultare superiore a 300. Valori inferiori a 200 indicano una insufficienza respiratoria grave.

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Un altro metodo per valutare la PaO2 nei pazienti sottoposti ad ossigenoterapia è quella di moltiplicare la FiO2 per 5: il risultato rappresenta i valori attesi di PaO2; valori inferiori sono indice di ipossia.

PaCO2: è la pressione parziale di CO2 disciolta nel plasma del sangue arteriosi ed è espressa in mm Hg. Riflette l’equilibrio tra la ventilazione alveolare minuto e la produzione metabolica di CO2. Il range normale nel sangue arterioso è 35-45 mm Hg. Valori di PaCO2 inferiori a 35 mm Hg indicano ipocapnia mentre valori superiori a 45 ipercapnia.

Equilibrio acido-base: può essere valutato attraverso la presenza di

bicarbonato e dell’eccesso di basi. I range normali per i bicarbonati e per l’eccesso di basi sono 18-24 mmol/L e 0± 4 mEq/L.

Un valore di HCO3- inferiore a 18 o un eccesso di basi minore di –4 sono indicativi di uno stato di acidosi metabolica, mentre valori di HCO3- maggiori di 24 od un eccesso di basi maggiori di 4 riflettono alcalosi metabolica.

Figura

Figura 3.1: Curva del capnografo
Tabella 3.1:Variazioni nella curva del capnografo

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