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La delazione e la conservazione dello stato (Siena 1311-1325)

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(1)

ISTITUTO STORICO ITALIANO

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(3)

Bullettino

DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO

PER IL MEDIO EVO

122

ROMA

NELLA SEDE DELL’ISTITUTO PALAZZO BORROMINI___

DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO

(4)

Gli organi della rivista valutano il valore scientifico dei contributi ricevuti e la loro coerenza con la tradizione del Bullettino. I saggi vengono poi sottoposti ad una doppia lettura al buio da parte di specialisti scelti nell’ambito del Comitato di lettura o individuati in base alle competenze necessarie. Gli auto-ri vengono informati del giudizio sul contauto-ributo in modo auto-riservato e debbono tener conto, ai fini della pubblicazione, degli interventi integrativi o correttivi suggeriti dai revisori anonimi.

Il Bullettino si ispira al Codice etico delle pubblicazioni scientifiche definito dal

Committee on Publication Ethics, consultabile al sito:

http://publicationethics.org/resources/guidelines

Direzione

Massimo Miglio

Comitato scientifico

Anna Benvenuti, François Bougard, Tommaso di Carpegna Falconieri, Ro sario Coluccia, Emanuele Conte, David Falvay, Luis Adão da Fonseca, Julian Gardner, Francisco Gimeno Blay, Antonio Giuliano, James Hankins, Jakub Kujawinski, José Maria Maestre Maestre, Werner Maleczek, Michael Matheus, Gherardo Ortalli, Gabriella Piccinni, Berardo Pio, Charles Radding, Giuseppe Sergi, Salvatore Settis, Chris Wickham

Segretaria: Anna Maria Oliva Comitato editoriale

Isa Lori Sanfilippo (responsabile scientifico), Salvatore Sansone (redattore capo), Anto -nella Dejure, Christian Grasso, Anna Maria Oliva

Contatti e info

redazione@isime.it

http://www.isime.it/index.php/pubblicazioni/bullettino-dell-istituto-storico-italia-no-per-il-medio-evo

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Nonostante la grave situazione di emergenza,

il Bullettino esce anche quest’anno regolarmente

prima della chiusura estiva.

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andare in ‘aéam, agiamia, Persia, per angelo Michele Piemontese . . . . cultura medica a Bari fra le età sveva e angioina. il contributo delle fonti scritte alla conoscenza di individui, sostanze, saperi, per Marco antonio siciliani . . . . la delazione e la conservazione dello stato (siena 1311-1325), per Roberta Mucciarelli . . . . lo stile delle lettere di lapo Mazzei a francesco datini tra formulari clas-sici e modelli mercantili, per Gloria camesasca . . . . Gli orsini del ramo di Manoppello nei documenti dell’archivio storico capitolino, per elisabetta Mori . . . . i negoziati di Venezia con abū al-‘abbās per il riscatto dei captivi (1386-1392). diplomazia, commercio e guerra di corsa nel Mediterraneo del trecento, per Riccardo facchini . . . . the letters of Giannozzo Manetti: context and chronology, with an edition of four new letters, per Brian J. Maxson . . . . caterina da siena. epistolario

Verso una nuova edizione delle lettere cateriniane. ulteriori rilevamenti sul rapporto tra i testimoni della raccolta Maconi, per francesca de cianni . . . . Ricostruire. dopo il terremoto. il Medioevo

terremoti: distruzioni e ricostruzioni nel Medioevo italiano (secoli V-XV), per emanuela Guidoboni . . . . le difficoltà tecniche e finanziarie della ricostruzione post-sismica: il ter-remoto del 1349 nell’italia centrale, per Bruno figliuolo . . . . Ricostruire dopo il terremoto fra tardo Medioevo e prima età Moderna. similarità e divergenze fra fonti storiche e lettura archeosismologica di alcuni contesti in Mugello (fi), per andrea arrighetti . . . . Paure immotivate, per Mario tozzi . . . .

contenuto del fascicolo

pag. 1 » 25 » 93 » 121 » 137 » 181 » 203 » 255 » 297 » 341 » 357 » 371

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MedieValisMo. centro studi Ricerche

“tra un manifesto e lo specchio”. Piccola storia del medievalismo tra dia-frammi, maniere e pretesti, per umberto longo . . . . cinque altri modi di sognare il medioevo. addenda a un testo celebre, per tommaso di carpegna falconieri . . . . Ravenna lirica. Pietre, avori, mosaici bizantini in prestito alla Fiamma di ottorino Respighi, per Geraldine leardi . . . . «damsel in distress». Medioevo, medievalismo e ruoli di genere nella cul-tura audiovisiva contemporanea, per francesca Roversi Monaco . . Medioevi inventati e medioevi alternativi negli stati uniti degli ultimi venti anni, per Matteo sanfilippo . . . . immagini . . . . Summaries . . . . » 383 » 407 » 435 » 455 » 477 » 499 » 525

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La delazione e la conservazione dello stato

(Siena 1311-1325)

1

Premessa

«Onde, se uno mi dicesse: “Ora tiemmi secreto ch’io voglio mettere fuoco in cotal luogo o tradire cotal terra o fare un altro grande male”, io no lo debbo ricevere né tenere, anzi impedirlo da quel male per qualunque modo io posso. E questo caso è massimamente ne’ mali che l’uomo vede che sono per fare. Ma, quanto è de’ mali già fatti, l’uomo dee essere più cauto in tacere, se non quando portasse troppo pericolo della fede e del ben comune»2.

Il processo di legittimazione sociale e politica della delazione come

locutio che porta allo scoperto ciò che costituisce un segreto, poté far

leva anche sui “modelli di virtù” veicolati da quella vasta letteratura laica e clericale che soprattutto a partire dal Duecento si preoccupò, a differenti livelli, di indicare le strade della salvezza, concorrendo a modellare i comportamenti sociali delle collettività urbane3. Il passo

estrapolato dal Pungilingua del pisano Domenico Cavalca che visse a

cavallo dei secoli XIII-XIV e vestì l’abito domenicano presso il locale convento di Santa Caterina, rappresentante – come l’ha definito Del

1Il presente lavoro costituisce una versione rivisitata e più ampia del contributo

pubblicato con il titolo Congiure e delazioni (Siena 1311-1325) nel volume collettaneo Riferire all’autorità. Denuncia e delazione fra medioevo ed età moderna, cur. M.G. MUZZARELLI,

Roma 2020, pp. 63-80.

2 Il Pungilingua di Domenico Cavalca (edizione), ed. M. ZANCHETTA, Università degli

Studi di Padova, Scuola di dottorato in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie (XXIII ciclo) 2011, disponibile on line: http://paduaresearch.cab.unipd.it/3327/1/ Tesi_completa.pdf. Il passo è tratto da Del peccato del rivelare i segreti capitolo XXIII, p. 241.

3 C. CASAGRANDE- S. VECCHIO, I peccati della lingua. Disciplina ed etica della parola

nella cultura medievale, Roma 1987; E. ARTIFONI, Segreti e amicizie nell’educazione civile

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Corno – della corrente più popolareggiante della scuola domenicana toscana4, illumina con precisione lo spazio derogatorio a quell’obbligo

di custodia del segreto che costituisce uno degli assi portanti dell’archi-tettura disciplinante della parola. Con un trattato, composto fra gli anni Trenta e Quaranta, che rimescola e ricombina in modo vivace e inno-vativo temi della notissima Summa virtutum ac vitiorum del domenicano

lionese Guglielmo Peraldo, il Cavalca offre al suo pubblico un utile vademecum pratico. Nel capitolo XXIII dedicato al «peccato di rivela-re segrivela-reti», cui si riferisce il passo, il frate non si limita a ripeterivela-re il prin-cipio erga omnes ormai codificato da una vitale tradizione (secreta nemini pandantur), ma disegnando le possibilità che si presentano a chi sia

messo a parte di una confidenza il cui oggetto, a suo dire, non potrà mai essere neutro (o sono «buone cose» o cattive), indica nell’attenta-to alla religione e al bene comune le ragioni della deroga, le cause che rendono la revelatio di una notizia ottenuta in via riservata o

riservatis-sima non solo lecita, ma doverosa. Così, venendo a conoscenza di talu-ne segrete «opere», ciascuno sarà chiamato a valutartalu-ne gli effetti per-ché – argomenta il frate –, se esse portassero «pericolo della Fede» o «altro scandolo», la loro divulgazione diventa necessaria al fine di impedirne la realizzazione («storpiar quello male»): una norma a vale-re per i «mali che si sono per favale-re», ma anche quando siano già consu-mati, per rendere possibile l’irrogazione della giusta pena. Notiamo che fra’ Domenico argomenta il suo pensiero attraverso esempi di pra-tica efficacia, tratti dall’arsenale del quotidiano, circostanze e casi che aderiscono al vissuto di chiunque, ai luoghi drammaticamente più comuni e più gravi dei crimina/peccata. Di fronte all’eresia, all’incendio

doloso e alla proditio il cristiano è liberato dal vincolo del silenzio,

affrancato dalla sanzione morale connessa al «pessimo tradimento» nei confronti di colui «il quale gli si fida» e chiamato ad agire, a parlare, in forza di una fedeltà più alta: quella verso la «Fede» e il «bene comune», temi che vanno dunque a disporsi, nella pastorale del domenicano, lungo lo stesso asse d’eccezione in cui valori/comportamenti del buon cristiano e del buon cittadino si connettono in un cogente modello che

4 C. DELCORNO, Predicazione volgare e volgarizzamenti, «Mélanges de l’École

françai-se de Rome. Moyen-Âge, Temps modernes», 89/2 (1977) pp. 679-689: 683, vedi anche DELCORNO, Cavalca Domenico, in Dizionario biografico degli Italiani, 22, Roma 1979, pp.

577-586: 581. Per un profilo dell’autore e della sua opera vedi la Nota introduttiva di M. CICCUTO, Domenico Cavalca. Esempi, in Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento,

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pone quella lealtà civica-religiosa come prima e più necessaria rispetto a quella che sta alla base (deve stare alla base) dei legami privati: la fede

verso «i prossimi»5. Nelle comunità urbane del Due-Trecento il “tipo

ideale” era reso riconoscibile da una postura esistenziale specifica che consisteva nell’indirizzare il proprio agire con «perfetto chuore al bene dell’anima, ai comandamenti di Dio e al bene della repubrica»: una vita di virtù plasmata sull’esempio di costumi «boni e divoti e santi» che compendiava fedeltà al regime politico, obbedienza alle leggi civili, osservanza del dettato evangelico e moralità cristiana, il cui avverarsi impegnava il singolo non meno delle istituzioni, come argomentava l’anonimo estensore della cronaca senese, da cui è tratto il passo, com-mentando l’utilità pedagogica-civile dello Studio, oggetto di interventi dell’esecutivo6.

Di fronte al tribunale della propria coscienza il cittadino delatore insomma non aveva nulla da temere, anzi era la sua coscienza a spin-gerlo e persuaderlo che era bene rivelare, che era doveroso incolpare. E quale miglior terreno della salvaguardia dello stato buono e pacifico per l’esercizio del proprio “senso civico” diremmo oggi?7Nella

prati-ca dei comportamenti le cose però non sempre scivolavano sull’oliata via tracciata dai modelli e i poteri pubblici dovettero predisporre dei meccanismi per far parlare, per persuadere, per forzare chi sapeva a dire quello che sapeva rompendo il silenzio e anche il sigillo del segre-to8, come vedremo in queste brevi note.

5 La fiducia secondo i linguaggi del potere, cur. P. PRODI, Bologna 2007. Nel rapporto

privilegiato dall’amicizia ARTIFONI, Segreti e amicizie cit.

6 Cronaca senese dall’anno 1202 al 1362 con aggiunte posteriori fino al 1391 di autore

ano-nimo della metà del secolo XIV, in Cronache senesi, cur. A. LISINI- F. JACOMETTI, in R.I.S.2,

15/6, Bologna 1931-1939, pp. 41-161: citazioni a p. 121.

7Una discussione multidisciplinare e diacronica sulla controversa

corrisponden-za tra delazione e civismo in Citoyens et Délateurs. La délation peut-elle être civique? cur. J P.

BRODEUR- F. JOBARD, Paris 2005.

8Una bella discussione storiografica sulla funzione del segreto nella sfera pubblica

e nei processi di “costruzione” dell’individuo (della sua libertà, della sua interiorità, della sua soggezione), con amplissima bibliografia di riferimento, in J. CHIFFOLEAU,

Introduction. De la nécessité du secret dans la construction de l’espace (et du sujet) politique, in La neces-sità del segreto. Indagini sullo spazio politico nell’Italia medievale ed oltre, cur. J. CHIFFOLEAU- E.

HUBERT- R. MUCCIARELLI, Roma 2018, pp. 9-65; e dello stesso autore, CHIFFOLEAU, La

chiesa, il segreto e l’obbedienza. La costruzione del soggetto politico nel medioevo, Bologna 2010. Sul

silenzio, le sue specie, le sue pratiche si vedano almeno i contributi raccolti in Il Silenzio The Silence, «Micrologus», 18 (2010).

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Analisi recentissime hanno mostrato che denunziare segretamente un reato costituiva per gli uomini delle città repubblicane che vissero a cavallo dei due secoli una possibilità, veicolo e interfaccia di una Giustizia in espansione che necessitava di potenziare le sue reti infor-mative per reprimere i reati, tutti i reati: l’accusa segreta si impiantò nel tessuto sociale, nei luoghi di vita, di lavoro, dell’emotività e della devo-zione: pochissime erano le zone franche escluse dalla sorveglianza dif-fusa esercitata da accusatori segreti, fossero nominati dal giusdicente, fossero i “qualsiasi” che volessero denunziare, con garanzia di anoni-mato e di ricompensa, contravvenzioni alle norme di igiene urbana, eccessi suntuari e di taverna, furti, bestemmie, danni dati, truffe ali-mentari, frodi nella vendita al dettaglio, giochi violenti e d’azzardo, grida ai funerali, male usanze9. Come la storiografia ha messo in luce

fu a partire dagli anni Sessanta del Duecento che i nascenti regimi guel-fi nei comuni italiani assorbirono e duplicarono strumenti giuridici e ideologici nati per combattere l’eterodossia religiosa adeguandoli nella lotta ai nemici del comune: tra questi l’accusa segreta10. Per effetto di 9Oltre ai saggi compresi nel volume Riferire all’autorità cit., mi permetto di

rinvia-re a R. MUCCIARELLI, La lingua di Nacarino. Su delazioni e delatori nell’Italia comunale (Siena,

XIII-XIV secolo), in La necessità del segreto cit., pp. 185-237. Sull’uso della denunzia

ano-nima a Venezia e Genova in età moderna P. PRETO,Persona per hora secreta. Accusa e

dela-zione nella Repubblica di Venezia, Milano 2003; E. GRENDI, Lettere orbe. Anonimato e poteri

nel Seicento genovese, Palermo 1989. Una bella lettura antropologica sull’età

contempora-nea A. DEWERPE, Espion. Une anthropologie historique du secret d’État contemporain, Paris

1994. Nell’ampia bibliografia relativa alla trasformazione degli apparati giudiziari e del penale mi limito a rinviare a M. SBRICCOLI, “Vidi communiter observari”. L’emersione

di un ordine penale pubblico nelle città italiane del secolo XIII, «Quaderni fiorentini», 27 (1998),

pp. 231-268; A. ZORZI, Negoziazione penale, legittimazione giuridica e poteri urbani nell’Italia

comunale, in Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuri-dici tra tardo medioevo ed età moderna, cur. M. BELLABARBA- G. SCHWERHOFF- A. ZORZI,

Bologna-Berlin 2001, pp. 13-34; M. VALLERANI, La giustizia pubblica medievale, Bologna

2005.

10 G. MILANI, Uno snodo nella storia dell’esclusione. Urbano IV, la crociata contro Manfredi

e l’avvio di nuove diseguaglianze nell’Italia bassomedievale, in Cittadinanza e disuguaglianze econo-miche: le origini storiche di un problema europeo (XIII-XVI secolo), «Mélanges de l’École

fran-çaise de Rome - Moyen Âge» [En ligne], 125/2 (2013). Sull’uso dell’accusa anonima e

segreta nella repressione della dissidenza politica nella Siena di fine Duecento MUCCIARELLI, La lingua di Nacarino cit., pp. 185-237: 194 e ss. Su Firenze e in

partico-lare sull’attività degli Otto di Guardia e l’uso dell’accusa segreta tra fine Trecento e XV secolo, A. ZORZI, Ordine pubblico e amministrazione della giustizia nelle formazioni politiche

toscane tra Tre e Quattrocento, in Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazione, sviluppo, Pistoia

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processi imitativi e contaminativi, non solo gli statuti comunali, ma anche quelli di organismi comunitari e societari nati su base professio-nale o religiosa accolsero via via norme che in progressiva estensione prevedevano la delazione per reprimere i reati e garantire l’osservanza alle leggi del comune, dell’arte, della confraternita. Uno sguardo alle principali codificazioni statutarie dei grandi comuni italiani di fine Duecento e primo Trecento mostra la capacità di penetrazione del dispositivo delatorio, integrato in quella nuova logica intenzionalmen-te punitiva, espressione tipica di una giustizia di tipo egemonico che si afferma a partire da questo momento: grazie all’accusa segreta il reato anche più lieve poteva e doveva essere perseguito, perché anche il reato più lieve integrava un “minimo politico” e bisognava dunque che il suo autore fosse punito in quanto disobbediente agli statuti e nemico, sep-pur in minimo grado, dell’ordine11. Ça va sans dire che il punto estremo

dell’offensività politica e di messa in pericolo dell’ordo era

rappresenta-to dalla ribellione, dall’attentarappresenta-to allo starappresenta-to nella sua configurazione isti-tuzionale: qui la politicità del delitto è massima, la contrapposizione amico-nemico la più intensa, il legame di fedeltà al regime/stato reci-so: qui la delazione, come strumento al servizio del paradigma dell’ obe-dientia che struttura il patto fondativo suddito-sovrano, assume

carat-teri specifici.

L’analisi fa leva su un caso di studio (Siena nel primo Trecento) che consente, per il tramite di due “manifesti repressivi” promulgati rispettivamente nel 1311 e 1325, non solo di mettere a fuoco l’uso dello strumento delatorio nella politica repressiva del comune, ma anche il lavorìo di affinamento cui il dispositivo è sottoposto nell’ar-co dei quattordici anni che separano le due redazioni normative. I provvedimenti in questione sono rispettivamente estratti da due codi-ci di ordinamenta, termine che designa raccolte composite ed eterogenee

di norme aventi ambito di applicazione specifico che segnalano di

11Sul passaggio dalla giustizia negoziata e una egemonica tratteggiata da M.

Sbriccoli, si veda ad es. M. SBRICCOLI, Giustizia negoziata, giustizia egemonica. Riflessioni su

una nuova fase degli studi di storia della giustizia criminale, in Criminalità e giustizia cit., pp. 345

ss.; M. SBRICCOLI, «Vidi communiter observari» cit., pp. 231-260; sulla lesione

dell’interes-se pubblico e la necessaria irrogazione della pena: R.M. FRAHER, Preventing Crime in the

High Middle Ages: The Medieval Lawyers’ Search for Deterrence, in Popes, Teachers and Canon Law in the Middle Ages, cur. J.R. SWEENEY- S. CHODOROW, Ithaca and London 1989,

pp. 212 ss.

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volta in volta l’imporsi all’attenzione della comunità politica di temi e problemi sensibili, fatti oggetto di un intervento legislativo. Un inter-vento attuato attraverso uno strumento snello e solido al contempo: la forma dell’ordinamentum prevede la nomina di sapientes (che rimangono

anonimi) scelti di norma dall’esecutivo su mandato del consiglio, per l’elaborazione di un testo che sarebbe poi tornato all’assemblea consi-liare per l’approvazione; un testo che veniva letto ai consiliarii ma, nella

prassi, mai trascritto integralmente dal notaio nei registri delle delibe-razioni12. I provvedimenti in esame videro la luce all’indomani di un

tentativo sovversivo, dunque in un momento di forte fibrillazione poli-tico-sociale che mise sotto pressione il governo guelfo e lo costrinse ad una normativa d’attacco: per questo motivo aprono sul tema una fine-stra interessante, offrendo un punto di osservazione senza dubbio cir-coscritto, ma capace di restituire lo sforzo di reazione alla minaccia proditoria e contestualmente il ruolo centrale assegnato alla delazione come mezzo per reprimere il dissenso politico organizzato e smantel-lare le attività cospirative quali appaiono nella percezione/rappresen-tazione del legislatore; sì perchè in quella che appare una guerra totale – si tratta di vincere e guadagnare l’unica alternativa possibile al male, il bene, e il bene coincide con il «pacificum statum civitatis» – il dela-tore ha una funzione chiave, come ben si evince dal processo di aggiornamento e perfezionamento cui fu sottomesso nel periodo con-siderato.

2. Era il 15 marzo 1325 e l’esperienza aveva insegnato che l’ huma-num consilium non era sufficiente ad evitare i perniciosi effetti del

tradi-mento di quei cattivi figli della città che si rendevano autori e

compli-12 Gli «ordinamenta ne status pacificus turbetur» del 15 ottobre 1311 si trovano

a Siena, Archivio di Stato (d’ora in poi ASS), Statuti Siena 15, cc. 458r- 471r e poi

copia-ti in Statuti Siena 18, cc. 404r – 407r. La relativa delibera consiliare in ASS, Consiglio Generale 79, c. 111r. Il testo del 1325 ci è giunto per il tramite di un codice che

racco-glie ordinamenta degli anni 1323-1339 conservato in ASS, Statuti Siena 23, alle cc.

117r-120r della numerazione moderna (15 marzo 1324, stile senese): il codice è stato indi-cizzato, utilizzando la numerazione antica del codice, da M. ASCHERI- E. OTTAVIANI,

Le provvisioni della raccolta «Statuti 23» (1323-39) dell’Archivio di Stato di Siena: spoglio con un cenno sul procedimento legislativo, «Bullettino Senese di Storia Patria» (da ora BSSP), 88

(1981), pp. 206-233. Una lacuna nei registri del Consiglio generale che investe il I semestre del 1325 non consente di riscontrare l’andamento del dibattito e del voto sul testo degli ordinamenti redatti ed approvati nel 1325 a differenza del testo del 15 otto-bre 1311.

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ci di congiure e cospirazioni: dunque, poiché soltanto la più alta e cle-mente protezione accordata dalla Vergine e dal Cristo avrebbe consen-tito«sinistris casibus obviare», era necessario onorare e propiziare

l’in-tervento celeste con tutti i mezzi a disposizione13. E i mezzi a

disposi-zione che si offrivano alla comunità buona, stretta attorno al suo grup-po dirigente, erano quelli consueti: una messa solenne da celebrarsi nella chiesa cattedrale, investita dalla luce di grandi luminaria – cui tutti

i consiglieri del consiglio allargato della campana e del popolo di Siena avrebbero presenziato con l’offerta di un cero – e una elemosina, quantificata in 50 lire, da devolvere «sicut melius fieri poterit» agli ere-miti reclusi della città e del suburbio; un impegno finanziario che tra-duceva l’apprezzamento e il sostegno del comune verso quell’opera di quotidiana e pietosa intercessione presso “nostro signore Gesù Cristo” rappresentata dalle orazioni e dalle preghiere dei religiosi riconosciuta come essenziale. Si apre con questa dichiarazione, specchio dell’intrico che legava nella considerazione e nella prassi dei maturi comuni citta-dini azione politica e religiosità14, il lungo dispositivo normativo

frut-to del lavoro di una commissione di sapientes cui era stato demandato

il compito di individuare soluzioni e strumenti per neutralizzare l’azio-ne perturbatrice di quei gruppi eversivi che, l’azio-nel loro infittirsi, costitui-vano la nervatura più profonda della lotta politica e l’ologramma delle preoccupazioni di un regime di governo guelfo e di estrazione popo-lare-mercantile che poneva se stesso come oggetto della sua protezio-ne e della sua conservazioprotezio-ne, in cristallina simbiosi con la tenuta e la salvaguardia del bene comune, della giustizia, della vita quieta e pacifi-ca della città e dello stato.

La legislazione del 15 marzo 1325 è da mettere in relazione agli eventi delle settimane precedenti. Il 3 febbraio si era levato nel campo di Siena un rumore tale che «pareva che tutto el mondo andasse sotto

13Così l’incipit degli ordinamenti in ASS, Statuti Siena 23, alle cc. 117r-120r

nume-razione moderna (15 marzo 1324, stile senese).

14 Sul tema della religione civica si è misurata e si misura una vivace storiografia che

non è qui possibile citare, ma valga il rinvio all’utile messa a fuoco di A. RIGON, La

reli-gione civica nel Medioevo. Passato e presente di un tema di ricerca, in Scritti di storia medievale offerti a Maria Consiglia de Matteis, cur. B. PIO, Spoleto 2011, pp. 601-613. Sul caso senese fra i

molti contributi dell’autore vedi M. PELLEGRINI, La norma della pubblica pietà. Istituzioni

comunali, religione e pia loca nella normativa statutaria senese fino al Costituto volgare del 1309, in Siena nello specchio del suo costituto in volgare del 1309-10, cur. N. GIORDANO- G. PICCINNI,

Pisa 2014, pp. 249-294.

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sopra» chiosa il cronista: il grande giuoco dellepugnia che quelli di San

Martino e di Camollia avevano cominciato conquelli del terzo di Città

aveva tracimato: dai sassi si era passati ai bastoni, dai bastoni agli scudi, ai pavesi e alle collate, poi erano spuntate lance, spade e dardi, un fiume

di gente armata di lunghe lance e balestra e mannaie e falcioni aveva fatto irruzione dalle bocche della piazza e ingrossato la mischia. Il podestà e i suoi armati, allertati dai Nove, avevano misurato la loro impotenza di fronte alla violenza del tumulto e fu solo grazie al prov-videnziale intervento del vescovo e dei religiosi ivi arrivati che il rischio «che non si mutasse lo stato e andasero a terra e’ Nove» fu scongiura-to15. Due giorni dopo furono votate una serie di disposizioni a tutela

dell’ordine pubblico16. Ma la cosa non finì lì perché il 16 febbraio un

delatore rivelava ai Nove un trattato «el quale faceano e’ carnaioli con miser Agniolo di miser Granello de’ Talomei e miser Nicholò giudice». Un mese più tardi, il 15 marzo, il consiglio approvava il testo degli ordinamenti che si dispiegano in 14 capitula e pongono l’accento sulla

risposta repressiva dello stato, come esplicita il titolo sotto cui sono compresi: «pena cospirantium et exbannitorum ea occasione contra statum pacificum»: una risposta che si articolava su diversi piani, non ultimo il liturgico-devozionale come abbiamo visto17. Ma, prima di

ripercorrere il previsto iter poliziesco-giudiziario e il suo esito sanzio-natorio, soffermiamoci brevemente sulla definizione della minaccia proditoria la cui trama/intelaiatura testuale ricalca schemi noti del

les-15 Si vedano Cronaca senese dall’anno 1202 al 1362 con aggiunte posteriori fino al 1391 di

autore anonimo della metà del secolo XIV (d’ora in poi Cronaca di anonimo) e Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso detta la Cronaca Maggiore (d’ora in poi Cronaca di Agnolo di Tura), in Cronache senesi cit., rispettivamente alle pp. 41-161: 127-128 e

255-564: 417, da cui sono tratte le citazioni nel testo.

16 Tra le misure approvate il 5 febbraio il divieto di qualsiasi gioco di battaglia «qui

abusive dicitur ludus cum ex eo crimina oriantur» sotto minaccia di pene comprese tra 25 (per i minori fra i 10 e 14 anni) e 500 lire (nei casi più gravi di lancio di pietre da case, torri e palazzi con taglio della mano destra in caso di insolvenza); pena di morte e guasto e confisca dei beni per chi, contravvenendo al decreto, nel corso di un gioco proibito avesse appiccato il fuoco a case e fondaci; inasprimento delle sanzioni pecuniarie per detenzione illegale d’armi e parole ingiuriose contro podestà, capitano e capitano di guerra, nomina di accusatori segreti, obbligo del podestà di condurre periodiche inquisitiones sui contravventori con facoltà di procedere «per viam

accusa-tionis, denumptiationis et inquisitionis et qualibet eorum ut sibi videbitur» senza vin-colo all’osservanza «alicuius solennitatis substantialitatis» : il testo in ASS, Statuti Siena

23, cc. 113r-115r (1324 febbraio 5 stile senese).

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sico dell’infrazione politica che la storiografia giuridica, a partire dal saggio ormai classico di Mario Sbriccoli sul crimine di lesa maestà, ha contribuito a fissare e chiarire18. Il concetto di delitto politico poggia

sul nesso suddito-sovrano, rapporto fondato sulla “soggezione” e sulla “fedeltà” del primo verso il secondo; “ribellione” e “tradimento”, che si nutrono dell’inobedentia e si polarizzano sulle intenzioni

dell’avversa-rio manifestando eccezionali capacità espansive, ne sono premesse ideologiche necessarie: i due fenomeni, polmone dell’infrazione politi-ca, costituiscono la base comune del diritto penale politico dell’età di mezzo. Allo stato degli studi risulta che nell’Italia dei governi cittadini pochi abbiano utilizzato il denso sintagma del crimen laesae maiestatis per

definire i reati politici commessi contro la civitas: lo fecero, veicolando

e traducendo ambizioni, strategie di legittimazione, livelli di autoco-scienza civica, sulla scorta di exempla e sollecitazioni imperiali e

monar-chici, nella delicata fase del trapasso dagli ordinamenti comunali a quelli signorili e principeschi, i legislatori lombardi, come si evince dal-l’analisi di alcuni codici statutari della prima metà del secolo XIV19; ma,

anche non realizzandosi, l’esplicito richiamo, la repressione del dissen-so politico violento fece leva su linguaggi emergenziali e su fattispecie giuridiche riconducibili all’asse di quel «sistema dottrinario» che arriva-va dall’esperienza romana suscettibile di un utilissimo reimpiego per corroborare e legittimare il potere dello stato nel momento della sua messa in discussione20.

18 La riflessione sul tema è molto vasta, devo limitarmi qui a segnalare: M.

SBRICCOLI, Crimen Laesae Majestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza

pena-listica moderna, Milano 1974; S.H. CUTTLER, The law of treason and treason trials in later

medieval France, Cambridge 1981; J. CHIFFOLEAU, Sur le crime de majesté médiéval, in Genèse

de l’État moderne en Méditerranée. Approches historiques et anthropologique des pratiques et des représentations: actes des tables rondes tenues à Paris les 24, 25 et 26 septembre 1987 et les 18 et 19 mars 1988, Rome 1993, pp. 183-313; CHIFFOLEAU, Ecclesia de occultis non judicat?

L’Eglise, le secret, l’occulte du XIIème au XVème siècle, «Micrologus», 14 (2006), pp.

359-481; Y. THOMAS, L’institution de la majesté, «Revue de synthèse», 112 (1991), pp. 331-386;

THOMAS, Les procédures de la majesté. La torture et l’enquête depuis les Julio-Claudiens, in

Mélanges à la mémoire d’André Magdelain, cur. M. HUMBERT- Y. THOMAS, Paris 1999,

pp. 477-499.

19 F. CENGARLE, Lesa maestà all’ombra del Biscione. Dalle città lombarde ad una

‘monar-chia’ europea (1335-1447), Roma 2014. Compaiono rubricati per la prima volta come cri-men lese maiestatis lemma trascinato dalle costituzioni papali di Bonifacio VIII due atti

di sobillazione generale avvenuti a Bologna nel 1306 quando è attestato per la prima volta: VALLERANI, La giustizia pubblica medievale, Bologna 2005, pp. 260-261.

20 G. RUSSO, «Hic enim liber terribilis est». Profili egemonici del penale negli statuti

fio-rentini del primo Quattrocento, «Quaderni fiofio-rentini per la storia del pensiero giuridico LA DELAZIONE E LA CONSERVAZIONE DELLO STATO 101

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«Turbare vel movere statum pacificum»: nel discorso pubblico, nella narrazione giustificatrice delle norme sotto esame, il pacifico stato è la vittima e il bersaglio dell’azione cospirativa: azione che, desta-bilizzando l’ordinamento costituzionale necessario al mantenimento della vita sicura e quieta, si configura dunque come reato contro la col-lettività, contro i «cives civitatis qui desiderant in pace et quiete vive-re». Nessuna novità21. Se nelle compilazioni statutarie del primo

Trecento, l’attentato allo stato pacifico raccoglie diverse tipologie di reati, una lunga virtualmente inarrestabile catena di gesti e azioni che minacciano, diminuiscono, ledono, mettono in pericolo, offendono, turbano, disturbano la pace e l’ordine pubblico e costituiscono una minaccia per l’integrità del dominio territoriale, negli ordinamenti del 1311 e 1325 la grammatica evenemenziale ha selezionato e imposto all’attenzione dell’agenda politica il momento cospirativo, la coniuratio

contro lo stato, azione che mette inevitabilmente in circolo laproditio,

e con il tradimento dis-valori come «perfidia» – «iniquitas», «animi cor-ruptela»: turbando la pace la sedizione contraddice il bene politico del-l’ordine pubblico, connotandosi – recita esemplarmente il testo del 1311 – come «orribile peccatum» e «maleficium atrox», laddove atroci-tas segnala l’estrema gravità, l’ignominia, la virulenza di un crimine

rubricato nella sua doppia consistenza, maleficio e peccato, dunque lesivo dell’Ordine complessivo: ecco l’intricato compenetrarsi di poli-tica e morale, ecco il punto di sutura dell’incontro e della sovrapposi-zione di esperienze di potere e dunque di norme e di coazioni che isti-tuzioni ecclesiastiche e istiisti-tuzioni civili hanno concretizzato, configu-rando in modo peculiare e il rapporto fra sfera politica e sfera religio-sa e quello fra uomini, leggi, poteri22.

moderno», 47 (2018), pp. 391-435; sul caso veneziano, M. MAGNANI, La risposta di

Venezia alla rivolta di San Tito a Creta (1363-1366): un delitto di lesa maestà, «Mélanges de

l’École française de Rome - Moyen Âge» [En ligne], 127/1 (2015).

21 Sulla definizione del reato politico G. MILANI, L’esclusione dal Comune. Conflitti e

bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo, Roma 2003, pp. 42 e ss.

MILANI, Banditi Malesardi e Ribelli. L’evoluzione del nemico politico nell’Italia comunale (secoli

XII-XIV), «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 38 (2009), I diritti dei nemici, cur. P. COSTA, pp. 109-140; MILANI, Le ragioni dell’esclusione: definire il

nemi-co pubblinemi-co nei nemi-comuni italiani, in Escludere per governare. L’esilio politinemi-co fra Medioevo e Risorgimento, cur. F. DIGIANNATALE, Firenze 2011, pp. 17-31. Le citazioni

rispettivamen-te dai rispettivamen-testi del 1311 (ASS, Statuti Siena 15, c. 458r) e 1325 (ASS, Statuti Siena 23, c. 117r).

22 P. PRODI, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra

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Il discorso sulla congiura costituisce un fuoco ordinatore dello spazio sociale: una lente attraverso la quale è possibile valutare e discri-minare l’indole degli uomini; uomini che, in virtù di quello schema binario che fa da architrave alla rappresentazione del nemico, vediamo disporsi gli uni sul fronte giusto della vita buona, quieta e sicura («qui volunt bene vivere et quiete et stare securi »), e gli altri sul terreno mal-vagio, corrotto, moralmente esecrabile della proditio, antipodo della

fedeltà e padre della ribellione, approdo estremo ed «esemplare occa-sione del comportamento proditorio» per riprendere Sbriccoli23.

L’avversario politico è etichettato, squalificato, iscritto nella categoria dei «traditori et ribelli et rompitori di pace et torbadori del pacifico stato del comune e del popolo di Siena»; l’avversario politico è un nemico della comunità perché il suo incallito, perverso agire («pravis conatibus») non realizza solo reati, ma creando divisioni, favorisce gli avversari esterni, mina la securitas e la pubblica tranquillità dei

consocia-ti («non possunt de statu suo vivere vel stare securi») segnando in tal modo la cesura, la fine del rapporto con la propria comunità di riferi-mento: il delitto contro lo stato (e contro la fede) è sempre un proble-ma di appartenenza, è sempre un gesto di abiura, rifiuto di un legame di filiazione, tradimento della mater dal cui grembo anche quel cattivo

figlio è stato politicamente e civilmente generato, insana progenie che ha ceduto alle lusinghe proditorie («filios proditionis») smarrendo la retta via («a recto tramite deviet»)24; nel crimine contro la

civitas-respu-blica agisce l’impietas25e certo non è casuale questo baluginare di

cultu-ra romanistica, questo modo semanticamente connotato agganciato

Atrocitas/Enormitas. Esquisse pour une histoire de la catégorie d’«énormité» ou de «crime

énor-me»du Moyen Âge à l’époque moderne, «Clio@Themis. Revue électronique d’histoire du

droit», 4 (marzo 2011), pp.1-76 (URL: http://www.cliothemis.com/Clio-Themis-numero-4).

23 Citazione da SBRICCOLI, Crimen cit., p. 149. Per la normativa sulla proditio vedi

il blocco di rubriche ne Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, cur. M. SALEMELSHEIKH, Città di Castello 2002 (d’ora in poi C 1309-10),

pp. V, 222-232 e 367, 412.

24 Ad esempio vedi C 1309-10, V, 222 e 223 ove si fa riferimento alla redazione

di un registro con i nomi di tutti i «traditori et ribelli et rompitori di pace et torbadori del pacifico stato del comune e del popolo di Siena». La citazione dai provvedimenti contro i ghibellini e loro simpatizzanti del 31 ottobre 1311 («ordinamenta per que pro-videtur quod nullus a recto tramite deviet et contra sue civitatis rem publicam possit operari sinistrum»): ASS, Statuti Siena 15, cc. 450r-454r.

25 Nel testo del 1325: ASS, Statuti Siena 23, c. 118r.

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alla sfera del sacrilegio (di nuovo il peccato contro Dio), capace di additare l’oltraggio religioso e l’oltraggio politico, usato da Cicerone per accusare e svilire i nemici della res publica e del suo sistema di

valo-ri – memorabile l’attacco a Verre, il malus civis per eccellenza, il

profa-natore dei templi affiancato da sgherri fraudolenti – nonché per quali-ficare il delitto di lesa maestà contro il principe26.

La mobilitazione dei buoni uomini, ricondotti a unità per contra-stare il pericolo comune, le insidie di chi vuole sovvertire l’ordine dello stato eliminando l’esecutivo che lo garantisce è dunque essenziale («necessarium est etiam ipsis bonis hominibus vigilare»): ma i titolari della difesa dell’ordine costituito sono primariamente i governanti, solo in subordine i boni cives («etiam»), e ai governanti spetta «ex

debi-to officii et provide administrationis rei publice» far sì che la terra che reggono sia «pacata et quieta»27, e in nome di questo supremo

interes-se da tutelare il governo deve impiegare ogni risorsa, è giustificato ad usare tutti i mezzi, il linguaggio e l’iter delle delibere sono quelli del-l’emergenza e dell’eccezione, ecco dunque il percorso giudiziario spe-ciale e le «gravissime pene» istituiti nel 131128.

A inizio ottobre di quell’anno, l’esecutivo, informato di una mac-chinazione di popolari e magnati in gran numero, aveva deciso con il

26 C. D’ALOJA, Legge di natura e lotta politica nell’opera di Cicerone, in Testi e problemi del

Giusnaturalismo romano, cur. D. MANTOVANI- A. SCHIAVONE, Pavia 2007, pp. 127-161:

135-136 e nota; J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire latin des relations et de partis politiques

sous la république, Paris 19722, p. 529 e ss; R.A. BAUMAN, Impietas in Principem. A Study

of Treason against the Roman Emperor with Special Reference to the First Century A.D.,

München 1974.

27 «In primis, cum ex debito offitii et provide administrationis incumbat

admini-stratoribus rei publice cuiuslibet province et cuiuslibet civitatis ut pacata sit et quieta provincia et civitas quas regunt, et hoc possint non difficile obtinere si eam purgent pravis hominibus (…)»: ASS, Statuti Siena 23, c. 113r, proemio alle misure poliziesche

e giudiziarie intraprese a tutela dell’ordine pubblico del 5 febbraio 1325, successive al gioco delle pugna.

28 Un’indagine sulla natura e la funzione dell’eccezione tra medioevo ed età

moderna nel numero monografico Sistemi di eccezione, «Studi storici», 131/2 (2009), cur.

M.VALLERANI, pp. 299-547; con riferimento alla prassi consiliare L. TANZINI,

Emergenza, eccezione, deroga: tecniche e retoriche del potere nei comuni toscani del XIV secolo, in Tecniche di potere nel tardo medioevo. Regimi comunali e signorie in Italia, cur. VALLERANI, Roma

2010, pp. 149-181; sul caso senese R. MUCCIARELLI, Casi di eccezione: pratiche politiche,

pra-tiche giudiziarie a Siena al tempo dei Nove. Una nota, in Honos alit artes. Studi per il settantesi-mo compleanno di Mario Ascheri, cur. P. MAFFEI- G.M. VARANINI, Reti medievali, 4 voll.,

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supporto dei sapienti della città che era preferibile interrompere le atti-vità della curia per la difficoltà di acclarare la verità ed il rischio di ina-sprire il malcontento e alimentare l’incendio della discordia29. Era

cominciato il viaggio a Roma di Enrico VII, le fazioni ghibelline bru-ciavano di eccitazione e speranza, le città guelfe si erano strette in lega per poter meglio difendere la loro sicurezza, per poter meglio far fron-te all’evidenfron-te pericolo: in questo clima di “resisfron-tenza” i Nove si indi-rizzarono verso una gestione pragmatica dei rischi che fece leva anche sulla faticosa via della mediazione, nel non facile tentativo di compor-re l’istanza conciliatrice con le richieste oltranziste di parte e la puntu-ra sempre viva di un sospetto anche alimentato ad arte, la necessità di un serrato controllo dei comportamenti deipotentes cittadini e di un

ter-ritorio punteggiato da pericolose enclaves signorili e filoimperiali da cui

si dipartivano raccordi e colleganze con i nemici pisani e aretini; fu in questo vischioso quadro contrassegnato da uno scontro politico tra l’ala moderata e quella oltranzista e radicale dei partigiani del papa, che furono emanate le norme severissime del 15 ottobre, norme che riten-go – senza potervi indulgere – debbano essere lette come specchio e approdo delle tensioni interne e dei tentativi di ridefinizione degli equi-libri del partito guelfo senese30. Nel cartello repressivo avrebbero

tro-vato posto le «gravissime pene personarum et averis» atte a dissuadere chiunque si fosse applicato a «commovere vel perturbare» lo stato pacifico, anche solo con il pensiero («vel solum cogitaret»)31: e le pene

gravissime prevedevano pena capitale, squalificazione infamante per il tramite della pittura in palatio, confisca dei beni, ineleggibilità ad uffici

e onori per i discendenti maschi fino al terzo grado. Anche il nucleo familiare del reo era così pesantemente colpito. La sanzione esempla-re si abbatte infine sui luoghi materiali della congiura, distrutti e

seque-29 ASS, Consiglio Generale 79, c. 106r (1311, ottobre 4).

30 Per un’analisi delle vicende senesi durante la discesa di Enrico VII può

veder-si B. GELLI, Per sospetto dello ‘nperadore. Siena e i Nove all’avvento di Enrico VII di

Lussemburgo (1311-1313), «Bullettino senese di storia patria», 120 (2013), pp. 217-229 e

in prospettiva più ampia G. MILANI, Giustizia, politica e società nei comuni italiani al tempo

di Enrico VII, in Enrico VII, Dante e Pisa a 700 anni dalla morte dell’imperatore e dalla

Monarchia(1313-2013), cur. G. PETRALIA- M. SANTAGATA, Ravenna 2016, pp.

359-371. Per la resistenza/rebellio delle città guelfe all’imperatore, A. DE BENEDICTIS,

Tumulti. Moltitudini ribelli in età moderna, Bologna 2013, pp. 107-121.

31 In questi termini si esprime la delibera il cui iter in ASS, Consiglio generale 79, cc.

106r-110v e 111r-112v.

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strati. Il podestà, incaricato di una periodica inquisitio, è autorizzato ad

agire fuori dalla procedura ordinaria («non habeat necesse servare illas solempnitates processus que in aliis malleficiis requiruntur»), usando ogni espediente per l’acclaramento della verità («tam per testes legipti-mos quam per inditia, tormenta, presumptiones et quibuslibet aliis aminiculis, viis et modis quibus melius potest, iure comuni quam iure municipali»); ai testimoni  «contra tales malefactores» è garantito l’ano-nimato («ita quod numquam possit sciri quis quoddam dictum dixerit») affinchè possano «liberamente» e senza timore alcuno dire la verità. Non meno duro il trattamento sanzionatorio – pena capitale, rogo del cadavere e confisca del patrimonio – per il notaio artefice dell’ instru-mentum proditorio trattato alla stregua di falsario, traditore e complice

(«tamquam falsarius, proditor et particeps»): una norma tesa a colpire duramente l’uso distorto e deviato della publica fides del notaio spesa

non al servizio dell’istituzione legittima, del regolare svolgersi della vita associata e dei bisogni della collettività, ma di oscure organizzazioni che intendono scelleratamente suggellare con un patto scritto il loro scellerato proposito di rovesciare il comune e provocare la rovina della città32.

«Ligas, settas, conspirationes, coniurationes, proditionem et tracta-tus» sono il bersaglio delle misure legislative e l’ossessione degli orga-ni politici: alternativo e dunque politicamente, pericolosamente, con-correnziale è l’associazionismo in cui si organizza il dissenso e poco importa che all’alba dell’esperienza comunale simili coniurationes

abbia-no offerto riparo e cemento ai cittadini (e certo abbia-non “tutti” i

cittadi-32 «De pena notarii et alterius persone facientis instrumentum, scripturam vel

dic-tamen de predictis. Item quod quicumque notarius vel alia persona rogaverit vel fece-rit aliquod instrumentum vel scripturam sive dictavefece-rit de predictis coniuratione, septa, conspiratione vel prodictione ad instantiam alicuius in aliquo predictorum malleficio-rum culpabilis, debeat tamquam falsarius, proditor et particeps predictomalleficio-rum mallefi-ciorum reputari et simili pena capitis et bonorum publicatione puniri. Et post decapi-tationem corpus eius debeat comburi»: ASS, Statuti Siena 15, c. 458v (15 ottobre 1311).

Eguale trattamento per i notai che avevano rogato l’accordo fra congiurati nelle dispo-sizioni successive alla rivolta del 1318 : V. COSTANTINI, Siena 1318 : la congiura di

«car-naioli »,notai e magnati contro il governo dei Nove, «Studi storici» 52 (2011), pp. 239-252:

234. Le pene riservate ai falsari in C 1309-10, V, 296 («Che li falsatori de le monete et de le carte s’ardano» con riferimento a coloro che «scientemente publicano o fanno carte false […] o falsificano li libri autentici del comune») prevedevano rogo, guasto e confisca dei beni, bando perpetuo per i contumaci. Successivamente recepita in ASS,

Statuti Siena 26, III, 341, c. 182r-v («De pena facientis iuram, sectam vel

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ni) contro i centri legittimi di esercizio del potere (vescovi, conti, Impero), cittadini organizzati in associazioni giurate che stavano, anche loro, “eversivamente”, rivendicando per sé la titolarità di poteri e funzioni connessi con la sovranità; o anzi, forse proprio per questo, nessuno meglio di chi oggi esercita quelle funzioni di governo sa quan-to possano essere virtualmente e potenzialmente pericolose tali con-greghe; ecco che allora la radicata diffidenza verso assembramenti di gente e conventicole acquisisce adesso un deciso tono di condanna, comincia la caccia, la città deve essere setacciata, nel marzo 1325, all’in-domani del gioco delle pugna, podestà e capitano di guerra avviano periodiche inquisitiones per intercettare, con l’ausilio di accusatori

segre-ti scelsegre-ti fra i “buoni uomini” della città e nominasegre-ti per contrada – secondo un consolidato protocollo33– raduni di «persone sospette» –

sospette secondo il loro apprezzamento34– e «de sola conventione et

cohadunantie punire et condepnare»: la riunione in “qualsiasi luogo” di uomini ignoti o di ambigua reputazione politica diventa penalmen-te rilevanpenalmen-te: prima ancora che essi dispieghino una qualsiasi azione, indipendentemente dall’acclaramento delle intenzioni dei coadunati, podestà e capitano di guerra devono punire di pena pecuniaria, com-presa entro le 100 lire, «sicut sibi videtur», valutando le circostanze, la specificità del caso, il profilo dell’uomo. La norma sarà recepita nello statuto degli anni 1324-134435.

33 Di spie e accusatori segreti, per rispondere alle crisi di consenso e prevenire

focolai di ribellione contro il regime guelfo si avvale anche il capitano del Popolo: ASS,

Capitano del Popolo 1, c. 36v, senza data, ma da riferire al potenziamento della

magistra-tura voluto nel 1313 («De ponendis spiis ad inveniendum proditores) poi confluito in ASS, Statuti Siena 29, c. 24r-v e in ASS, Statuti Siena 26, III («De accusatoribus

secre-tis»). Per i poteri in materia al capitano di guerra: ASS, Statuti Siena 23, cc. 117r-120r.

34 Sulla costruzione del “sospetto versus appariscente” rinvio al bel saggio di E.

HUBERT, Il progetto di una società evidente. Riconoscere le persone e le cose nello spazio politico

(XII-XIV secolo), in La necessità del segreto, pp. 239-265: 251 e ss.

35 ASS, Statuti Siena 26, III, 353, c. 184r-v («De inquisitione facienda contra

suspectos convenientes ad invicem, et de accusatoribus secretis»); sulla datazione e la redazione dello statuto V. CAPELLI- A. GIORGI, Gli statuti del Comune di Siena fino allo

«Statuto del Buongoverno» (secoli XIII-XIV), «Mélanges de l’École française de Rome

- Moyen Âge» [Online], 126/2 (2014). Tutela dell’ordine pubblico, repressione del dis-senso e politica poliziesca del governo dei Nove in W. BOWSKY, The medieval commune

and internal violence: police, power and public safety in Siena, 1287-1355, «American Historical

Review», 73 (1967), pp. 1-17; W. BOWSKY, The Anatomy of Rebellion in Fourteenth-Century

Siena: from Commune to Signory?, in Violence and Civil Disorder in Italian Cities, 1200-1550,

cur. L. MARTINES, Berkeley 1972, pp. 229-272; R. MUCCIARELLI, Tecniche di vigilanza,

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Ma il ricorso a spie ed accusatori segreti scelti fra gli uomini buoni della città, ovvero fedeli al regime, sul cui operato le fonti non soccor-rono, non è sufficiente a penetrare la galassia organizzata del dissenso e bloccarne i disegni eversivi.

Gli ordinamenta del 1311 codificheranno per la prima volta nella

storia del comune un dispositivo di incoraggiamento alla delazione, finalizzata alla repressione dei “trattati” contro lo stato, di natura sia attributiva che privativa: chiunque ne avesse reso noto per primo gli

autori sarebbe stato premiato: per l’informatore estraneo ai fatti crimi-nosi era prevista l’attribuzione di un vantaggio pecuniario fissato in 500 lire, per il correo dissociato l’impunità. L’identità del solerte infor-matore (il più solerte) sarebbe rimasta segreta. La norma non dà indi-cazioni sul modus o le cautele da adottare nella ricezione dell’accusa

(aperta a tutti), né sul valore probatorio della parola dell’informatore, né su un eventuale discrimine di attendibilità tra le dichiarazioni del

socius criminis “pentito” e quelle dell’informatore non coinvolto - la loro fides insomma - tema che la dottrina non aveva mancato di

disciplina-re36. Qui il legislatore si preoccupa soltanto di far arrivare al banco del

giudice il contributo informativo di quecumque persona, contributo che

avrebbe consentito alla curia di proseguire le indagini sulla base dei poteri inquisitori e dei metodi di prova consentiti dagli statuti che, come abbiamo visto, prevedevano per questa fattispecie di reato il ricorso alla procedura extra ordinem e alla tortura37.

strumenti di polizia e forme del controllo sociale nell’Italia comunale. Appunto su un caso di studio (Siena fra XIII e XIV secolo), «Studi storici», 56/2 (2015), pp. 325-348; P. GRILLO,

L’ordine della città. Controllo del territorio e repressione del crimine nell’Italia comunale (secoli XIII-XIV), Roma 2017.

36 Nell’ampia bibliografia si veda G. CHIODI, Tortura ‘in caput alterius’, confessione

‘contra alios’ e testimonianza del correo nel processo criminale medievale. Nascita e primi sviluppi dei criteri del diritto comune (secoli XII-XIV), in Interpretare il Digesto: storia e metodi, cur. D.

MANTOVANI- A. PADOASCHIOPPA, Pavia 2014, pp. 673-728.

37Sulla tortura giudiziaria, strumento fondamentale del processo penale,

nell’am-pia bibliografia, a partire dal classico P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune,

I, Milano 1953 e II, Milano 1954, si veda M. SBRICCOLI, “Tormentum id est torquere

men-tem”. Processo inquisitorio e interrogatorio per tortura nell’Italia comunale, in La parola all’accusa-to, cur. J.-C. MAIRE-VIGUEUR- C. PARAVICINIBAGLIANI, Palermo 1991, pp. 17-32, ora

in M. SBRICCOLI, Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), II,

Milano 2009, pp. 111-130. Sulla fama negativa dell’imputato e uso della tortura nella riflessione di Gandino, VALLERANI, La giustizia pubblica medievale cit., pp. 99-100.

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«Item ad hoc ut culpabilis in aliquo predictorum malleficiorum late-re vel evadelate-re non possit, statuimus quod quecumque persona primo manifestaverit aliquem culpabilem in aliquo predictorum malleficio-rum, si ipsa persona culpabilis fuerit, parcatur ei et nullam penam patiatur, si autem non fuerit culpabilis, habere debeat de pecunia comunis Senarum 500 libras denariorum quas camerarius et IIII ei solvere teneantur. Et eius nomen teneatur secretum»38.

Gli ordinamenti del 15 marzo 1325 recuperano il dispositivo con un più raffinato livello di elaborazione: chi avesse rivelato al podestà, capitano di guerra, capitano del popolo o direttamente ai Nove il nome degli autori del complotto destinato a sovvertire lo stato pacifico col-pendo i suoi più alti magistrati, prima che esso dispiegasse i suoi effet-ti, anche se coinvolto nel trattato – vengono qui adombrati tre diversi livelli della compartecipazione criminosa («particeps, conscius vel trac-tator») – avrebbe goduto dell’abolizione della pena come ricompensa per il comportamento “degno di lode”; i magistrati avrebbero potuto riconoscere al delatore non implicato, o a qualcuno in sua vece, «clam», ovvero in modalità riservata, occulta, non-pubblica, un premio in denaro fino alla ragguardevole soglia di 500 fiorini d’oro vincolando il camerario i provveditori di Biccherna, che dovevano procedere all’esborso entro tre giorni, ad agire sempre «secrete»39.

38 ASS, Statuti Siena 15, c. 459v sotto la rubrica «Quod primo manifestanti

parca-tur set si non culpabilis habeat 500 libras et nomen eius sit secretum».

39 ASS, Statuti Siena 23, c. 117v: «[…] quicumque revelaverit domino potestati vel

domino capitaneo guerre vel domino capitaneo popoli vel dominis Novem defensori-bus et gubernatoridefensori-bus comunis et popoli Senarum aliquem vel aliquos qui aliquam sec-tam, conspirationem, coniurationem, ligam vel tractatum fecerit seu faceret vel faceret in dampnum vel periculum vel subversionem ipsorum rectorum vel dominorum Novem vel status pacifici civitatis Senarum, etiam si fuerit ipsius tractatus coniurato-ris et conspirationis, lige vel sette particeps conscius vel tractator dum modo illam vel illum revelet ante quam attentaretur per tales conspiratores […] illa ad actum perdu-cere vel effectum; cum laude sit dignus donetur et premio ab omni sit et esse debeat pena irrita et exclusus […]. Et nichilominus dominus potestas, dominus capitaneus guerre, dominus capitaneus popoli et quilibet eorum cui sic revelaverit si culpabilis non fuerit possint cum conscientia tamen dictorum dominorum Novem et ipsi domi-ni Novem, si eisdem fuerit revelatum, possint illi talia revelanti udomi-ni vel pluribus vel alte-ri pro eo ut dominis Novem placebit clam, ita quod non possit talis revelans esse notus, usque in quantitatem quingentorum florenorum de auro de pecunia et avere comunis Senarum facere loco premii provideri […]». Il dispositivo fu copiato con poche variazioni, nello statuto del 1324-44 (ASS, Statuti Siena 26, III, 342, cc.

181v-182r «De premio manifestantis conspirationem»).

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Rispetto al testo del 1311 quello del 1325 mostra un maggior livel-lo di definizione ed alcuni elementi di novità : la norma fornisce det-tagli procedurali prima assenti (chi sono i rettori abilitati a ricevere l’ac-cusa, quali le modalità e i tempi dell’esborso del premio); trasforma il riconoscimento in denaro da fisso a discrezionale, stabilita la soglia massima che viene più che triplicata (da 500 lire a 500 fiorini d’oro cor-rispondenti ad oltre 1700 lire); specifica che i benefici premiali avran-no effetto avran-non più a vantaggio di chi «per primo» rivelasse il complot-to, ma soltanto se l’accusa venga mossa «prima»  dell’esecuzione del reato; accenna infine al diverso coinvolgimento delle persone nel fatto criminoso: il proposito della norma è positivo, dunque non possiamo chiederle se ai tre livelli individuati corrisponda un trattamento sanzio-natorio differente, qui si tratta di determinare premi per incentivare la collaborazione con le autorità e promuovere un’attitudine sociale alla denunzia. Anche e soprattutto da parte dei soggetti direttamente infor-mati o che concorrono in diverso grado alla realizzazione del reato perchè la congiura contro lo stato non è reato che possa essere com-messo da una sola persona: qui, grazie all’enfasi posta sull’encomiabi-lità del gesto del correo («cum laude sit dignus donetur et premio ab omni sit et esse debeat pena exclusus») il legislatore mira ad arruolare chi, essendo parte dell’organizzazione collettiva criminale ha una conoscenza immediata e diretta dei fatti: la promessa non è solo e sem-plicemente l’impunità (come nel testo del 1311), perchè, grazie alla delazione, il soggetto che parla contro i suoi complici è liberato dal pesante fardello del disvalore sociale del suo comportamento prodito-rio, la macchia tolta, la dignità restituita: il premio svolge una funzione performativa. Quanta distanza, verrebbe da dire, rispetto all’atteggia-mento di sfiducia culturale dei grandi trattatisti del Seicento – di cui anche Manzoni si fece interprete – nei confronti delle dichiarazioni del correo che accusi i propri complici40! Una forte sottolineatura

ideolo-gica da imputare all’urgenza della situazione che sarà eliminata nello statuto del 1324-44.

E tuttavia il testo del 1325 si spinge oltre. Il discorso appena abbozzato sui consci - participes - tractatores prosegue, il legislatore ci

con-duce e si concon-duce dentro la chimica dei trattati, nella corrente capace

40 M. VARVARO, Il valore probatorio delle dichiarazioni del correo: un percorso storico, «Iuris

Antiqui Historia. An international Journal on Ancient Law», 3 (2011), pp. 33-48: il rife-rimento alla posizione di Manzoni, nel IV capitolo della Storia della colonna infame, che

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di agglutinare attorno al fuoco dell’idea l’energia degli uomini, massa di manovra necessaria per passare dall’ideazione alla realizzazione del progetto sovversivo. Nel Trecento sette, leghe, cospirazioni, congiure e trattati riconoscono, verticalmente, gerarchicamente, i loro capi, ma si tengono solo grazie ad un’ampia base che li sorregge e realizza. L’arruolamento passa attraverso parole, abbocchi, inviti, pressioni, accordi. Il lemma latino coniuratio rinvia alla forma dell’obbligazione,

alla natura del rito adottato per stringere il vincolo associativo, il giura-mento, la «con-giurazione», che si intreccia qui come altrove nel lin-guaggio politico trecentesco – si scorra ad esempio il racconto del Villani41– con la «cospirazione» (conspiratio). L’atto sovversivo non ha

nulla di spontaneo, è preceduto e preparato dalla costituzione di «leghe», «sette», organismi granulari, faziosi, viziati dalla parzialità, i cui aderenti concordano, negoziano, si accordano (tractatus) contro42.

Occorre dunque infiltrarsi più da presso nella turbolenza, sfruttando l’anello debole della catena, perché nonostante le precauzioni dei con-giurati, nonostante l’imposizione della credentia, il momento

dell’arruo-lamento apre una breccia nel segreto della congiura43, in quel varco

occorre introdursi e da lì premere sui convitati al nefando banchetto per farsi dire, avere i nomi, conoscere i dettagli. È necessario che il comune sappia, è necessario ricondurre l’ignoto al noto

disinnescando-ne la minaccia, chiamando la collettività alla delaziodisinnescando-ne per disinnescando- neutralizza-re i flussi distruttivi dell’ordine.

«Cum expediat comuni Senarum procurare conatus malorum et impiorum hominum esse notos qui nituntur ipsum comunem et civi-tatem subvertere ligas settas conspirationes coniurationes et tracta-tus faciendo in pernitiem statracta-tus prefati comunis. Et aliquando con-41 GIOVANNIVILLANI, Nuova cronica, cur. G. PORTA, 3 voll., Parma 1990: a titolo

esemplificativo: III, lib.12, CXVIII, p. 231.

42 P. PRODI, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale

dell’Occidente, Bologna 1992, p. 161. Utile raffronto con le congiure ordite contro i

tiranni nel Trecento italiano in J.-C. MAIREVIGUEUR, Le rivolte cittadine contro i “tiranni,

inRivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento: un confronto, cur. M. BOURIN- G.

CHERUBINI- G. PINTO, Firenze 2008, pp. 351-380. Uno sguardo sull’Europa

moder-na, Complots et conjurations dans l’Europe moderne, Actes du colloque international

organi-sé a Rome (Rome, 30 septembre-2 octobre 1993), ed. Y.M. BERCÉ - E. FASANO

GUARINI, Rome 1996.

43 La confessione di un trattato da parte di un congiurato, con i particolari della

dinamica della circolazione dell’informazione in ASS, Concistoro 2171, fasc. 15;

collo-qui e accordi fra congiurati e imposizione del segreto: ASS, Biccherna 738, c. 3v. LA DELAZIONE E LA CONSERVAZIONE DELLO STATO 111

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tingat quod ista talia aliquibus revelantur qui licet huiusmodi tracta-tibus conspirationibus ligis atque settis denegent dessentire, ipsos tamen tractatus conspirationes ligas et settas vel que eis de ista mate-ria dicuntur non audent sed negligunt revelare ex quo comunem pre-dictum posset periculum incurrere quod evitaret si predicta fierent sibi nota (…)»44.

3. Fermiamoci e facciamo un passo indietro. La pedagogia del domenicano con cui si è aperto questo contributo («Onde se uno mi dicesse: io voglio … tradire cotale terra io no lo debbo ricevere né tenere, anzi impedirlo da quel male, per qualunque modo io posso») trova nel passo appena citato la sua contropastorale: dove sono i buoni e solleciti cittadini di quella adamantina mitopoiesi, pronti a rivelare le insidie e i pericoli rappresentati da sette e congiure in pernitiem dello

stato? Nonostante qualche incoerenza sintattica, il giustificativo della norma mette limpidamente in scena tutti gli attori ma non l’happy end:

ci sono le congiure, c’è la rivelazione del segreto della congiura e ci sono gli aliqui, depositari delle informazioni, fotografati nella loro

pas-sività, nella loro inerzia, nella loro negligenza, uomini non ancora com-promessi ma compromissibili («denegent dessentire»), che fino a quel momento non si sono esposti, uomini che dissimulano, uomini che benchè in possesso di gravi notizie di reato omettono di denunziare, che ben si guardano dall’informare. Di fronte a questi soggetti reticen-ti che definirei congiurareticen-ti in potenza la norma promozionale mostra la corda, smarrisce l’efficacia: bisogna rendere sanzionabile la mancata informazione, il silenzio, la mala taciturnitas di chi sa45. La nuova

dispo-sizione fissò una pena di 500 lire (o carcere a vita in caso di insolven-za) e il termine massimo di un giorno o di tre per chi «tentatus vel requisitus ad aliquam settam» in città o «extra civitatem» non comuni-casse ai giusdicenti o ai Nove direttamente i particolari del trattato «contra honorem et pacificum statum civitatis»46: una disposizione che,

44 ASS, Statuti Siena 23, c. 118r.

45C. CASAGRANDE, La mala taciturnitas tra il dovere della correzione e il piacere

dell’affa-bilità, «Micrologus», 18 (2010), Il Silenzio. The Silence cit., pp. 225-239; M. PRANDI, Una

figura testuale del silenzio: la reticenza, in Dimensioni della linguistica, cur. M.E. CONTE- A.

GIACALONE-RAMAT- P. RAMAT, Milano 1990, pp. 217-239.

46 «Quicumque fuerit tentatus vel requisitus ad aliquam settam coniurationem

cospirationem ligam vel tractatum contra honorem et pacificum statum civitatis Senarum teneatur et debeat talem seu tales qui eum tentaret vel tentarent aut ad predic-ta requirerent revelare domino potespredic-tati aut domino capipredic-taneo guerre aut domino

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capi-agganciandosi all’altra, dava vita a un combinato disposto di pressioni persuasive e dissuasive miranti per un verso a incoraggiare, tramite pre-mia, l’accusa e dall’altro a scoraggiare silenti complicità, sanzionando

pesantemente i comportamenti omissivi.

La confezione e l’avverarsi di un trattato era il risultato di modali-tà e livelli di coinvolgimento ideali e materiali differenti; era l’amalga-ma temporanea e incandescente, spesso inafferrabile nelle occasioni e nei percorsi, grazie al quale di volta in volta si combinano volontà e comportamenti nel contesto mutevole di condizioni “ambientali” (politiche, sociali, psicologiche) in cui le dinamiche di relazione (amici-zia, vicinanza, timore, soggezione) si intrecciano a pulsioni, passioni, interessi, sogni.

Manno, Pietro e un terzo detto Materazzino di Corsignano stavano per strada. A un certo punto viene loro incontro un compaesano, Paruta di Sozzino, insieme a certi altri, che dice: ma lo sapete che l’imperatore sta per arrivare dalle nostre parti? Vogliamo approfittar-ne tutti noi, insieme? Quando vedremo buon fare, e gli uomini saran-no fuori a lavorare, saccheggeremo il castello e lo consegneremo all’imperatore, sicuro che ne avremo tutti i soldi che chiederemo! I tre pensarono e rifletterono bene alle parole che avevano sentito: e dissero di sì. A quel punto Materazzino precisò che lui voleva per sé la casa di donna Parenzina, la figlia di Geri, con tutte le masserizie e le cose che ci stavano dentro; al che anche Manno disse: quanto a me prenderò la casa di donna Sapia […]47

Senza voler attribuire tipicità a comportamenti che potrebbero esserne privi, ritengo tuttavia che nella società politica sotto

osserva-taneo popoli vel dominis Novem defensoribus et gubernatoribus comunis et popoli Senarum incontinenti, videlicet ea die vel sequenti qua tentatus et requisitus fuerit ad predicta, si idem talis requisitus vel tentatus fuerit in civitate Senarum; si vero fuerit extra civitatem Senarum teneatur et debeat […] revelare et denumptiare domino pote-stati vel domino capitaneo guerre vel domino capitaneo popoli aut dominis Novem predictis infra tres dies computata die qua fuerit sic, ut dictum est, tentatus vel requisi-tus; quod si predicta ut dictum est non fecerit […] puniatur et condepnetur dictus talis sic tentatus et requisitus qui ut dictum est non revelaverit […] in quingentis libris dena-riorum senensium. Et si dictas 500 libras […] non solverit infra mensem […] condep-netur ad perpetuum carcerem et non possit perpetuo per viam vel modum oblationis vel aliquam aliam viam vel modum nisi solum per solutionem faciendam per eum vel alium eius nomine a dictis carceribus relaxare». ASS, Statuti Siena 23, c. 118r-v.

47 Traduco dal dispositivo di oblazione dei tre carcerati, condannati per aver

trat-tato e ordinato «contra honorem et bonum statum civitatis Senarum et eius comita-tus», in ASS, Consiglio generale 473, c. 50v (1366 dicembre 24).

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