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Le Cure Primarie nella Programmazione di Zona/Distretto: dal macro-obiettivo al piano operativo per la presa in carico della cronicità

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Academic year: 2021

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LE CURE PRIMARIE NELLA

PROGRAMMAZIONE DI

ZONA/DISTRETTO:

DAL MACRO-OBIETTIVO AL

PIANO OPERATIVO PER LA

PRESA IN CARICO DELLA

CRONICITÁ

CANDIDATA:

RELATORE: Prof. Gaetano Privitera

Dott.ssa Lavinia Zezza CORRELATORE: Dott. Luigi Rossi

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INDICE

INTRODUZIONE………4

SEZIONE I………...………..…7

CAPITOLO 1 - Distretto e Programmazione: il panorama Nazionale e

Regionale………...………...…..…...7

1.1 Distretto e Programmazione in Regione Toscana……….…...…10

CAPITOLO 2 - Governance in Toscana……….…………..……..12

CAPITOLO 3 - PIS e PIZ………...…………..………...…..…15

CAPITOLO 4 - Elaborazione della programmazione………....…....17

4.1 Il profilo di salute……….…...….18

4.2 Programmazione quinquennale: Costruzione del Piano….……....21

4.3 Programmazione Operativa Annuale: attuazione del PIS/PIZ....25

4.4 Valutazione………... 28

CAPITOLO 5 – La programmazione della cronicità……….……...34

SEZIONE II – La programmazione della Zona/Distretto Piana di

Lucca……….41

CAPITOLO 6 – La costruzione dell’albero della programmazione…...41

CAPITOLO 7 – La cronicità nella programmazione delle Cure

Primarie……….….48

7.1- Miglioramento della qualità di vita del paziente cronico e

fragile………..………..……..51

7.2 - Garantire l'adeguata presa in carico sociosanitaria nei soggetti

non autosufficienti e ad alto grado di intensità assistenziale…………56

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7.4 - Potenziamento dell’assistenza sul territorio ………..….58

CAPITOLO 8 - Dal macro-obiettivo al piano operativo, un esempio

pratico: l’Attività Fisica Adattata ………66

DISCUSSIONE………...…………...73

CONCLUSIONI………..…………..…….79

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INTRODUZIONE

La gestione del paziente cronico è una questione di interesse sempre più preponderante in Sanità.

Se da una parte negli ultimi decenni stiamo assistendo ad un progressivo aumento dell’aspettativa di vita, dall’altra parte bisogna tenere conto di quanto questa vita venga effettivamente vissuta libera da malattia, da condizioni di disabilità e/o di non autosufficienza.

Infatti, mentre in alcuni casi, condizioni prima associate ad una maggiore letalità e mortalità sono diventate del tutto curabili, in molti altri casi sono invece state soltanto stabilizzate, rendendole di fatto delle condizioni long term.

L’incremento dell’aspettativa di vita, inoltre, ha comportato un aumento della popolazione anziana, con una conseguente maggiore probabilità di andare incontro a condizioni di fragilità, non autosufficienza e disabilità, e in generale all’insorgere di condizioni croniche e di comorbilità.

Una condizione di cronicità implica, come da definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, problemi di salute che richiedono un trattamento continuo durante un periodo di tempo da anni a decadi.

Quando si parla di fragilità, invece, si intende una determinata sindrome multifattoriale che può insorgere nell’anziano e comporta una riduzione della fisiologica riserva funzionale e della capacità di resistere a eventi stressanti ambientali. Questa condizione, che può sottintendere anche una situazione di cronicità come causa, concausa o conseguenza, comporta che uno stato di equilibrio possa essere mantenuto solo utilizzando al massimo le risorse del proprio organismo e/o dell’ambiente sociale circostante e predispone pertanto ad un elevato rischio di disabilità, ospedalizzazione, istituzionalizzazione e morte. Ci troviamo quindi attualmente a riscontrare un crescente aumento delle persone con bisogni assistenziali complessi, legato all’incremento della prevalenza delle condizioni sopra descritte.

In Italia le patologie croniche interessano circa il 25% della popolazione totale e assorbono il 75% dei costi e dei volumi di attività del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) [1].

Un tale livello di complessità richiede un approccio che non si limiti alla cura delle acuzie, in quanto i soli ricoveri estemporanei e ripetuti nel tempo comportano un rischio di aggravamento della fragilità già presente alla base.

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È invece necessaria una visione a 360° della condizione del paziente, che prenda in considerazione tutti gli aspetti che concorrono a crearla, in modo da poterla prevenire e gestire con gli strumenti più appropriati.

Il fine è quello di prevenire, per quanto possibile, situazioni che vadano in qualche modo ad alterare il fragile equilibrio creatosi, ed evitare quindi eventuali scompensi e aggravamenti della condizione preesistente o, quando questi vengano comunque a presentarsi, intervenire nel modo più tempestivo ed efficace per ripristinare una duratura stabilità.

Al centro dell’attenzione viene posta dunque la persona e la sua qualità di vita. Risulta, pertanto, evidente come un tale approccio prediliga gli ambienti prossimi alla vita del paziente, trovando di conseguenza nel territorio la sua sede di elezione per la presa in carico e la gestione della cronicità.

Le Cure Primarie giocano un ruolo cruciale in tal senso, trovandosi ad essere la prima e più diretta interfaccia tra la persona e il Servizio Sanitario.

Parlando di Cure Primarie è opportuno anzitutto precisare che tale terminologia può fare riferimento a due differenti accezioni.

Le Cure Primarie in senso stretto sono riconducibili a quella che in Italia è comunemente definita Medicina Territoriale, cioè l’insieme di prestazioni e attività proprie del primo livello di assistenza che vengono erogate prevalentemente da medici - siano essi Medici di Medicina Generale (MMG), Pediatri di Libera Scelta (PLS), Medici di Continuità Assistenziale e Specialisti Ambulatoriali - e anche da altri professionisti sociosanitari.

Tuttavia, il termine Cure Primarie, inteso come traduzione letterale del termine anglosassone Primary Care, assume un significato molto più ampio, andando a comprendere anche il complesso delle attività e delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie dirette alla promozione della salute e prevenzione, all’assistenza del paziente cronico e/o fragile e/o non autosufficiente e della sua famiglia e/o

caregiver, sia essa erogata a domicilio o in strutture semi-residenziali o

residenziali.

E sarà proprio quest’ultima la dimensione di Cure Primarie trattata in questo contesto, quella a cui in Italia si fa più comunemente riferimento col termine più ampio di Assistenza Primaria.

Mettere in atto le strategie per intercettare i pazienti a rischio, inserirli in un percorso personalizzato, che faccia concorrere tutte le strutture e gli stakeholder coinvolti in modo coordinato ed appropriato, garantendo una continuità assistenziale costante, è un lavoro complesso che richiede una accurata e solida programmazione alla base.

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Pertanto, una adeguata governance delle Cure Primarie diventa di fondamentale importanza.

Tale ruolo, in regione Toscana, è affidato all’ambito della Zona/Distretto alla quale, secondo la normativa vigente, compete un ruolo fondamentale nell’assetto della programmazione di specifiche attività riguardanti l’ambito sanitario e sociosanitario e, in particolare, la sanità territoriale.

Scopo di questa tesi sarà analizzare il processo programmatico di Zona/Distretto ed illustrare il ruolo strategico fondamentale che questo ricopre nell’ambito del governo dell’assistenza sanitaria territoriale, e in particolar modo nell’ambito della cronicità. In particolare, sarà descritta e discussa l’applicazione di tale processo nel contesto della Zona/Distretto Piana di Lucca, prendendo in esame la pianificazione relativa all’anno 2019.

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SEZIONE I

CAPITOLO 1

Distretto e Programmazione: il panorama Nazionale e Regionale

Il ruolo dei Distretti all’interno del Servizio Sanitario Nazionale ha subito molte modifiche ed è evoluto notevolmente nel corso degli anni.

A seguito della riforma del SSN con la Legge 833/78, si delinea la prima articolazione del Distretto e della sanità territoriale: nascono i “Distretti sanitari di base”, che sono definiti come “strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento”.

In principio realizzati solo in alcune aree del territorio nazionale, avevano scarsa autonomia e forti aspetti settoriali dovuti alla presenza di specifici Servizi.

Col successivo Decreto Legislativo n°502 del 1992, i Distretti vennero definiti come “articolazioni delle Unità Sanitarie Locali”, anche se ancora non erano state delineate nello specifico le caratteristiche organizzative.

Tuttavia, l’assistenza distrettuale veniva già individuata come una delle tre grandi aree fondamentali di offerta dei Livelli Essenziali di Assistenza, introdotti per la prima volta in questo stesso Decreto: Prevenzione, Distretto, Ospedale.

Col Decreto Legislativo n°229 del 1999, i Distretti cominciano ad acquisire una definizione più completa e dettagliata, ottenendo una identità ben precisa, una propria autonomia e un ruolo meglio definito nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale.

Vengono indicati alcuni fondamentali elementi che il Distretto deve garantire nel proprio territorio:

▪ i servizi di Assistenza Primaria, sia sanitaria che sociosanitaria;

▪ il coordinamento delle proprie attività con quelle degli altri Dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i Presidi Ospedalieri;

▪ un approccio multidisciplinare tra Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, servizi di Guardia Medica e Presidi Specialistici Ambulatoriali, al fine di garantire un appropriato percorso assistenziale.

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Viene demandata alle Regioni la responsabilità di disciplinare l’articolazione in Distretti delle singole Unità Sanitarie Locali (USL), così come l’organizzazione in dettaglio dell’attività distrettuale.

Per quanto concerne il ruolo all’interno dell’Azienda Sanitaria, nel D.L. viene stabilito che il Distretto è individuato nell’atto aziendale e che, nell’ambito delle risorse assegnate, è dotato di una propria autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separata all’interno del bilancio dell’Unità Sanitaria Locale.

A tale scopo viene introdotto il Programma delle Attività Territoriali (PAT), strumento finalizzato alla definizione della localizzazione di servizi, alla determinazione delle risorse per l’integrazione sociosanitaria e alla suddivisione delle quote tra Azienda Sanitaria e Comuni.

Il PAT è dunque lo strumento di programmazione del Distretto individuato dalla normativa nazionale.

Il suo scopo è quello di stabilire le modalità di controllo dei risultati ottenuti in termini di efficienza, efficacia ed economicità in merito agli obiettivi prefissati, in modo da apportare, ove si renda necessario, opportune modifiche correttive periodiche.

È inoltre l’ambito dove servizi sanitari distrettuali e sociali si integrano a livello di definizione di obiettivi e destinazione delle rispettive risorse, al fine di ottimizzarne l’impiego sulla base di una comune analisi dei bisogni di salute presenti sul territorio.

La normativa prevede che il PAT sia predisposto dal Direttore del Distretto: ▪ sulla base di indicatori demografici e socioeconomici e del contesto

epidemiologico territoriale, nonché sulla base dell’analisi di domanda e offerta dei servizi distrettuali nel territorio in oggetto;

▪ in accordo con il Comitato dei Sindaci per quanto concerne le attività sociosanitarie;

▪ coerentemente con la programmazione Regionale e Aziendale;

▪ attraverso il coordinamento con i responsabili dei Dipartimenti Territoriali e dei Presidi Ospedalieri dell’Azienda Sanitaria Locale;

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Il PAT proposto deve essere in ultima analisi approvato dal Direttore Generale. Al suo interno devono essere individuati i seguenti punti fondamentali:

▪ la localizzazione dei servizi a gestione diretta; ▪ le risorse per l’integrazione sociosanitaria;

▪ la localizzazione dei presidi per il territorio di competenza;

Il PAT è inoltre recepito nell’ambito degli Accordi Collettivi Nazionali (ACN) dei Medici di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta attualmente in vigore, ove è previsto che attività e servizi territoriali pertinenti la Medicina di Famiglia siano ricompresi nel PAT stesso.

Gli stessi Medici collaborano inoltre al monitoraggio delle iniziative previste dal PAT, attraverso i propri rappresentanti presenti nell’Ufficio di Coordinamento con il Direttore di Distretto.

Quelle appena descritte sono dunque le modalità previste dalla normativa nazionale vigente per quanto concerne la programmazione di Distretto.

Sono da considerarsi essenziali norme di riferimento, tuttavia non conferiscono un quadro esaustivo del processo programmatico Distrettuale, in quanto gli anni successivi al D.L. 229/99 sono stati caratterizzati da una sempre più forte autonomizzazione regionale secondaria a specifiche normative, tra le quali estremamente rilevante la Legge Costituzionale dell’Ottobre 2001 di modifica al titolo V della Costituzione, che ha comportato una progressiva diversificazione delle organizzazioni delle singole Regioni.

Tale processo ha comportato che sempre maggiore potere decisionale, in ambito di politiche gestionali e di programmazione sanitaria, fosse demandato alle singole Regioni, rendendo di fatto il quadro legislativo Regionale estremamente eterogeneo per quanto riguarda le norme sulla Programmazione di Distretto.

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10 1.1- Distretto e Programmazione in Regione Toscana

In Regione Toscana, l’assetto normativo relativo alle politiche sociali e sanitarie ha subito numerosi cambiamenti nel corso degli ultimi anni, orientandosi sempre di più verso una integrazione del servizio sanitario con quello sociale: tanto che in Toscana viene adottato il termine di Zona/Distretto (Z/D), enfatizzando in tal modo l’integrazione tra l’ambito sociale (Zona) e quello sanitario (Distretto). Tale approccio, che ricalca le direttive nazionali nei confronti del Servizio Sanitario, nasce da una valutazione del bisogno di salute meno strettamente legato ad aspetti di natura esclusivamente clinica e che prende, invece, in considerazione tutto il complesso contesto dei fattori che influiscono sull’individuo e sulla comunità e che ne vanno a costituire i determinanti della salute.

Lo stato di salute, come storicamente definito dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, non si limita infatti ad essere assenza di malattia, ma è il risultato di un benessere fisico, mentale e sociale, e come tale richiede una rete assistenziale complessa e integrata che tenga in considerazione questi aspetti e che li correli tra loro.

Nelle Zone/Distretto tali aspetti trovano la loro massima espressione, dato il ruolo centrale ricoperto in ambito territoriale nella valutazione dei bisogni sanitari e sociali delle comunità, di programmazione, organizzazione ed erogazione dei servizi inerenti alle reti territoriali sanitarie, sociosanitarie e sociali integrate.

L’offerta di servizi, la modalità di erogazione degli stessi e le risorse disponibili per farlo sono stabilite attraverso un processo di programmazione che coinvolge, a diversi livelli, una serie di organi e di figure istituzionali e professionali, afferenti a diverse aree di competenza, ed è normato in modo tale da aderire al nuovo assetto del Servizio Sanitario Regionale, risultato dalle numerose e progressive riforme a cui è stato sottoposto negli ultimi anni.

Tali riforme hanno comportato, tra l’altro, una ridefinizione della rete territoriale, di cui un esempio significativo è la costituzione, dal 1° gennaio 2016, delle tre grandi nuove Aziende USL, una per ciascuna Area vasta, che vanno ad accorpare le 12 esistenti in precedenza.

Un’altra importante modifica dell’assetto territoriale regionale, a partire dal 2017, riguarda la nuova zonizzazione delle preesistenti 34 Zone/Distretto in 26 nuovi ambiti (Zona/Distretto o Società della Salute) individuati all'interno delle tre nuove Aziende USL.

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È in questo contesto che si inserisce la normativa regionale vigente relativa alla programmazione.

La Regione Toscana ha adottato un modello programmatico che ha lo scopo di semplificare e ridurre al minimo il numero dei piani e programmi da elaborare, concentrandosi solo sui piani previsti dalla normativa nazionale o dell’Unione Europea.

Tale modello promuove una programmazione per progetti integrati, finalizzati ad essere strumenti di raccordo e sviluppo degli interventi e delle risorse finanziarie destinati ad una determinata tematica o ad un determinato ambito territoriale.

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12 CAPITOLO 2

Governance in Regione Toscana

Una simile pianificazione viene svolta attraverso una governance multilivello da parte di Regione, Aziende Sanitarie ed Enti Locali e, a ciascun livello, corrispondono specifici strumenti di programmazione.

In particolare, si distinguono tre livelli di governance istituzionale, rappresentati dalle rispettive Conferenze Integrate dei Sindaci: Regionale, Aziendale e Zonale. Il ruolo delle Conferenze è quello di formulare e/o approvare ai livelli di propria competenza gli atti della Programmazione, e in questo modo tradurre in obiettivi ed azioni definite le finalità istituzionali dei Comuni rappresentati.

A livello Regionale vengono definiti gli obiettivi generali e, sulla base di questi, si sviluppa poi a cascata il processo programmatico, che porta ad una definizione sempre più specifica e dettagliata di obiettivi e risorse, via via che ci si sposta verso una programmazione di livello più locale.

Il punto di riferimento, da cui si diparte tutto il sistema decisionale, è il Programma Regionale di Sviluppo: il PRS è lo strumento con cui la Regione definisce gli obiettivi da raggiungere nel quinquennio della legislatura vigente nei vari settori di sua competenza, indicando le strategie economiche, sociali, culturali, territoriali e ambientali.

In seguito all’approvazione del PRS, la Regione elabora il Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale (PSSIR) con il quale vengono definiti gli obiettivi di politica sanitaria e sociale regionale nell’ambito del PRS.

In questo contesto si inserisce la Conferenza Regionale dei Sindaci, che esprime parere sul PSSIR e sulle proposte di legge in materia sanitaria e sociale.

Passando dal livello Regionale a quello di Area Vasta, il Direttore della Programmazione, sulla base delle direttive della Giunta regionale, elabora il Piano di Area Vasta (PAV).

Il PAV è concepito in modo da armonizzarsi con il Piano Attuativo Locale (PAL) elaborato dall’Azienda USL corrispondente e con il Piano Attuativo Ospedaliero (PAO) delle Aziende Ospedaliero Universitarie di riferimento.

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In tale contesto si inserisce la Conferenza Aziendale dei Sindaci che:

▪ emana i propri indirizzi per l’elaborazione del PAV, ed esprime l’intesa sul PAV predisposto dal direttore della programmazione di Area Vasta;

▪ emana gli indirizzi per l’elaborazione del PAL, previa approvazione da parte della conferenza zonale dei sindaci (o della società della salute, ove presente);

▪ esprime parere sul PAO;

▪ approva i programmi annuali di attività del Direttore Generale dell’Azienda USL.

Passando, infine, dal livello di Area Vasta a quello di Zona, la Conferenza Zonale Integrata dei Sindaci (o l’assemblea della Società della Salute, ove attivata) è l’organo preposto alla programmazione degli obiettivi sanitari, sociosanitari e sociali integrati locali.

A tale scopo, emana gli indirizzi e approva il Piano integrato di Salute (PIS) e il Piano di Inclusione Zonale (PIZ).

Il PIS è lo strumento di programmazione integrata delle politiche sanitarie e sociali a livello zonale, mentre il PIZ è lo strumento di programmazione della funzione dei comuni in ambito sociale, esercitata nell’ambito della Zona/Distretto. I due Piani sono elaborati in modo tale da armonizzarsi con il PAL: le Aziende USL elaborano infatti il PAL recependo le indicazioni riportate nel PIS, e la Conferenza Zonale Integrata dei Sindaci, come detto sopra, esprime parere sul PAL.

Inoltre, nel PAL sono previsti due specifici dispositivi di programmazione che concepiti proprio per recepire i PIS zonali e ad armonizzarsi con essi.

Tali dispositivi sono il Programma Operativo delle Cure Primarie e l’Atto per l’Integrazione:

▪ il Programma Operativo delle Cure Primarie è lo strumento per la progettazione operativa del sistema dei servizi territoriali extra-ospedalieri. Al suo interno vengono definiti i programmi attuativi delle Cure Primarie, della Sanità d’Iniziativa, dei Presidi Distrettuali, delle Unità Complesse e delle forme associate della Medicina Generale; tale programma operativo definisce anche i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali delle cronicità e le relative modalità di lavoro interprofessionale;

▪ l’Atto per l’Integrazione, invece, è lo strumento di base della programmazione sociosanitaria con la compartecipazione diretta delle

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amministrazioni comunali e dell’azienda sanitaria. Al suo interno vengono definiti i programmi attuativi dei servizi e delle attività ad alta integrazione sociosanitaria determinando al contempo il relativo budget di livello zonale, costituito dalle risorse sanitarie e dalle risorse sociali; tale programma operativo definisce anche i percorsi di valutazione multidimensionale delle non autosufficienze e delle fragilità e le relative modalità di lavoro interprofessionale.

Entrambi i dispositivi all’interno del PAL sono articolati per zona, e in questo modo in ciascun ambito zonale è possibile allineare la specifica sezione zonale del Programma Operativo delle Cure Primarie, la specifica sezione zonale dell’Atto per l’Integrazione e il programma operativo del PIZ.

Il Piano Integrato di Salute è lo strumento che produce l’integrazione operativa tra queste tre sezioni e le orienta verso i bisogni di salute degli ambiti zonali, nel rispetto della programmazione economico-finanziaria relativa alle dotazioni e alle risorse zonali.

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15 CAPITOLO 3

PIS e PIZ

PIS e PIZ dunque, sono gli strumenti specifici della Programmazione Integrata nell’ambito di Zona.

Il PIS definisce gli obiettivi inerenti le politiche sanitarie, sociosanitarie e sociali zonali integrate e non, e in particolare:

▪ definisce gli obiettivi di salute e benessere, i relativi standard quantitativi e qualitativi, e ne individua le modalità attuative;

▪ definisce la rete dei servizi e degli interventi attivati sul territorio con indicazione delle capacità di intervento in termini sia di strutture che di servizi;

▪ definisce la distribuzione sul territorio dei presidi sanitari, e il fabbisogno di strutture residenziali e semiresidenziali;

▪ promuove l'integrazione delle Cure Primarie con il livello specialistico attraverso reti cliniche integrate e strutturate;

▪ individua le priorità di allocazione delle risorse provenienti dal Fondo Sanitario Regionale e di quelle dei Comuni;

▪ individua gli strumenti di valutazione di risultato relativi agli obiettivi specifici di Zona.

Il PIZ definisce la funzione esercitata in ambito sociale dai Comuni nella Zona/Distretto e, in particolare:

definisce le attività da perseguire tramite le reti del welfare territoriale e determina gli Obiettivi di Servizio;

▪ definisce i servizi per l’accesso e la presa in carico da parte della rete assistenziale;

▪ definisce i servizi e le misure per favorire la permanenza a domicilio; ▪ definisce i servizi per la prima infanzia e a carattere comunitario; ▪ definisce i servizi a carattere residenziale per le fragilità;

▪ definisce le misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito adottate a livello locale;

▪ definisce le modalità di organizzazione delle misure economiche di sostegno previste a livello nazionale e regionale;

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▪ definisce l’integrazione con i servizi e gli ambiti di attività relativi alle politiche abitative, dei trasporti, dell'educazione, dell'istruzione, della formazione professionale e del lavoro, culturali, ambientali ed urbanistiche, dello sport e del tempo libero, della ricerca, e si coordina con i relativi strumenti attuativi;

▪ individua le risorse necessarie in attuazione degli Obiettivi di Servizio, e anche quelle per l’eventuale realizzazione dei progetti innovativi promossi da soggetti del terzo settore;

▪ individua in ambito zonale gli enti destinatari delle risorse del Fondo Sociale Regionale.

La Conferenza Integrata Zonale dei Sindaci emana gli indirizzi per la stesura di PIS e PIZ.

Gli indirizzi vengono poi recepiti dall’organismo tecnico appositamente preposto, l’Ufficio di Piano Zonale, che elabora, sulla base delle indicazioni recepite, entrambi i Piani.

Questi sono concepiti in modo da condividere la stessa impostazione strutturale dei contenuti che sono così ripartiti:

▪ impianto conoscitivo;

▪ azioni dedicate a strutturare il sistema dei servizi; ▪ definizione di obiettivi e di programmi attuativi; ▪ allocazione delle risorse;

▪ azioni di monitoraggio.

PIS e PIZ sono strettamente correlati tra loro, tanto che, ove possibile, viene data priorità a una elaborazione unica dei due piani, nel qual caso il PIZ viene ricompreso all’interno del PIS.

Una volta definiti dall’Ufficio di Piano, PIS e PIZ vengono approvati dalla Conferenza Integrata Zonale dei Sindaci e l’Azienda USL recepisce i PIS delle Zone ad essa afferenti, al fine di integrare ed armonizzare il proprio PAL.

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17 CAPITOLO 4

Elaborazione della Programmazione

L'avvio del processo di Programmazione Zonale è determinato da un Atto d'Indirizzo della Conferenza dei Sindaci, contenente le linee per la sua predisposizione ed un’ipotesi di massima delle risorse messe a disposizione per la realizzazione del PIS/PIZ stesso, nonché il percorso partecipativo relativo alla Programmazione.

Elaborazione ed attuazione del Piano avvengono in una serie di fasi logico temporali che possono essere così distinte:

1. fase conoscitiva, con la predisposizione del Profilo di Salute;

2. programmazione quinquennale, con la costruzione delle Schede di Piano; 3. programmazione annuale, con la costruzione delle Schede di Programma

Operativo Annuale;

4. monitoraggio e valutazione della programmazione quinquennale e annuale.

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18 4.1- Il Profilo di Salute

L’elaborazione del Profilo di Salute è una fase preliminare e propedeutica alla successiva pianificazione e programmazione, e consiste in una analisi del contesto nel quale si andrà ad operare, in modo da avere una fotografia della situazione attuale sulla base della quale saranno poi definiti gli obiettivi e le risorse più appropriati.

L’analisi si concentra su due aspetti fondamentali, sviluppati in due sezioni: la prima dedicata all’analisi del contesto sociosanitario e una seconda dedicata alla costruzione dell’offerta di servizi sociosanitari presenti sul territorio.

L’analisi di contesto sociosanitario

In questa prima fase viene valutato lo stato di salute della popolazione presente sul territorio di Zona interessato, e vengono analizzati tutti gli eventuali fattori extra-sanitari che possano in qualche modo concorrere ad influirvi.

Tale studio viene realizzato mediante l’utilizzo di macro-indicatori, alcuni relativi alla salute generale, ed altri con un focus specifico sulle problematiche sociali e sanitarie di particolari gruppi di popolazione.

Questa prima fase analitica fornisce inoltre dati demografici, sociali, economico-lavorativi ed ambientali volti al fine di valutare tutto il contesto extra-sanitario in grado di influenzare la salute della popolazione.

In particolare, nell’analisi di contesto si possono distinguere tre macroaree di interesse:

aspetto demografico:

stato di salute;

altri fattori che incidono sullo stato di salute

Aspetto demografico: è valutato attraverso indicatori generali sulla

composizione e struttura demografica della popolazione e, per alcune tipologie di utenza, sono dettagliati indicatori più specifici.

All’interno di questa area tematica, gli aspetti analizzati sono suddivisi in categorie, e a ciascuna di esse corrispondono set di indicatori specifici.

Le categorie descritte sono le seguenti:

o Caratteristiche demografiche della zona-distretto o L'andamento nel tempo della popolazione

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o I cittadini stranieri o La famiglia

o Le previsioni

Stato di salute:

È l’area tematica più strettamente correlata agli aspetti sanitari della popolazione in esame. La valutazione avviene tramite un set di macro-indicatori riconducibili a due principali categorie:

o I macro-indicatori dello stato di salute e benessere o Persone che ricorrono all'uso dell'ospedale

Altri fattori che incidono sullo stato di salute:

All’interno di questa area, rientrano tutte le valutazioni riguardanti i determinanti della salute, e i set di indicatori specifici sono raggruppabili e riconducibili alle seguenti categorie:

o I fattori ambientali

o Variabili socioeconomiche

o Fattori di rischio individuali e stili di vita o Criminalità e sicurezza

Costruzione dell’offerta di servizi sociosanitari

Questa seconda fase ha lo scopo di definire un quadro generale dei servizi offerti nella Zona/Distretto di riferimento.

L’analisi viene declinata per gruppi di popolazione, con una particolare attenzione a quelli con maggiori esigenze di integrazione tra assistenza sanitaria e assistenza sociale, quali anziani, minori, adulti affetti da disabilità o con problemi di povertà e marginalità, soggetti con problemi mentali o che fanno uso di sostanze stupefacenti.

Per ciascuna popolazione target di riferimento sono individuati e descritti i seguenti macro-livelli di servizi e interventi:

▪ accesso e presa in carico ▪ assistenza domiciliare ▪ assistenza residenziale ▪ assistenza semiresidenziale

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Ciascuno di questi macro-livelli è descritto nei tre ambiti sanitario, sociosanitario e sociale.

Anche in questa fase, l’analisi è effettuata mediante l’ausilio di indicatori, e ad ogni macro-livello ne corrisponde uno specifico set dedicato.

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21 4.2 - Programmazione quinquennale: Costruzione del Piano

È il momento in cui ha inizio il processo di programmazione vero e proprio: sulla base dei dati indicati nel Profilo di Salute, vengono individuati i bisogni della popolazione presente sul territorio in oggetto, vengono definiti gli obiettivi da raggiungere al fine di soddisfare tali bisogni e vengono individuate le azioni necessarie per raggiungerli; il tutto viene infine tradotto nella stesura di un programma pluriennale.

La costruzione del PIS/PIZ può essere riassunta nelle seguenti fasi logico-temporali:

a) individuazione dei problemi, dei bisogni e delle opportunità;

b) scelta delle priorità: obiettivi di salute e benessere e obiettivi di sistema; c) definizione delle azioni;

d) stesura della programmazione pluriennale.

a) Individuazione dei problemi, dei bisogni e delle opportunità

In primo luogo, grazie al quadro sintetico riportato nel Profilo di Salute, vengono esaminate le caratteristiche della rete dei servizi già presenti, valutando quali siano le risorse già disponibili tra quelle istituzionali e non istituzionali.

Successivamente vengono individuate le caratteristiche strutturali della domanda di servizi e quelle dell’utenza portatrice del bisogno.

Per ogni ambito e target di popolazione viene costruito un quadro sintetico dei problemi/bisogni e delle opportunità/risorse che caratterizzano le condizioni sociali, sanitarie e ambientali del territorio e della popolazione, e che la comunità riconosce come pertinenti al proprio stato di salute.

b) Scelta delle priorità: obiettivi di salute e benessere e obiettivi di sistema

Una volta definite le coppie problemi/bisogni e opportunità/risorse è necessario stabilire la priorità di intervento con la quale fornire risposta agli ambiti problematici individuati.

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I criteri per scegliere quali siano le coppie più importanti sono i seguenti:

▪ rilevanza sul territorio, gravità e frequenza del problema nella popolazione; ▪ risolvibilità tecnica del problema;

▪ possibilità di consolidamento e sviluppo delle cause che generano vantaggi; ▪ disponibilità sul territorio di competenze adeguate agli interventi;

▪ grado di condivisione degli obiettivi da parte dei soggetti che operano la

selezione;

▪ fattibilità economica dell’intervento; ▪ misurabilità dei risultati attesi;

▪ dimensione temporale degli effetti previsti dell’intervento;

▪ effetti sistemici dell’intervento, conseguenze prevedibili su altri settori del

sistema locale.

Le priorità vengono dunque individuate e, successivamente, tradotte in obiettivi quinquennali.

Questi, a seconda del processo o servizio preso in considerazione, potranno essere obiettivi di mantenimento oppure di miglioramento dell'efficacia e/o della efficienza del processo/servizio stesso.

c) Definizione delle azioni

Una volta stabiliti gli obiettivi, vengono delineate le azioni progettuali da sviluppare, finalizzate al raggiungimento degli stessi.

Le azioni possono essere avviate ex novo, se necessario, o essere realizzate in continuità con il passato.

Infine, viene stabilito il quadro delle risorse che si intendono impiegare in proiezione quinquennale per il raggiungimento degli obiettivi, seguendo la priorità di investimento precedentemente determinata.

d) Stesura della programmazione pluriennale

Definiti gli obiettivi e le azioni da mettere in atto per realizzarli, vengono dettagliati i programmi veri e propri, nei quali vengono pianificate su un arco pluriennale le specifiche modalità di realizzazione degli obiettivi stessi, esplicitando mezzi, risorse e finalità.

Per quanto riguarda il PIS, le aree oggetto di programmazione sono quelle che costituiscono la connessione tra la Programmazione Integrata Zonale e il Piano

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Attuativo Locale, ovvero il programma operativo delle Cure Primarie e l’Atto per l’Integrazione Sociosanitaria.

A queste si aggiunge una terza, quella Socioassistenziale, che è oggetto di programmazione del PIZ, qualora questo venga elaborato in separata sede. Queste tre aree sono a loro volta suddivise per singoli settori assistenziali.

Sono infine presenti altre due ulteriori aree, non suddivise in settori: quella di Promozione e Prevenzione e quella di Contrasto alla Violenza di Genere. Quindi in tutto la programmazione è riconducibile alle seguenti cinque Aree:

Cure Primarie

Sociosanitario

Socioassistenziale

Promozione e Prevenzione

Contrasto alla Violenza di Genere

Ad ogni Area e Settore sono poi attribuite le specifiche risorse di parte sanitaria, di parte sociale e di altra provenienza, compresi i soggetti destinatari dei Fondi Regionali, Nazionali o di derivazione Europea.

Le risorse sono stabilite in base al Budget Integrato di Programmazione che, a sua volta, fa riferimento ai documenti contabili di previsione dell’azienda sanitaria locale, delle forme associate e dei singoli enti locali, articolati in tre annualità. In particolare, il Budget Integrato per la Programmazione Zonale è articolato sui tre suddetti esercizi finanziari ed è composto da:

▪ le risorse di competenza della AUSL, recate dal documento di riclassificazione aziendale delle risorse impiegate per Zona/Distretto; ▪ le risorse di competenza dei singoli enti locali afferenti all’ambito

territoriale della Zona/Distretto, indicate nei documenti di programmazione economico-finanziaria che riguardano le materie socioassistenziali e le materie sociali a rilevanza sanitaria;

▪ le risorse provenienti da ogni altro fondo regionale, statale o derivante dalla programmazione europea che riguardano le materie della sanità territoriale, sociosanitarie o socioassistenziali.

La stesura della programmazione pluriennale, così come descritta, è tradotta nell’elaborazione delle schede di Piano: in tali schede, ciascuna area si articola in due parti:

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▪ la prima parte riguarda la programmazione di obiettivi - attività - risorse in relazione ai servizi presenti nella zona, che vengono distinti secondo i diversi settori assistenziali e l’eventuale previsione di specifici setting; ▪ la seconda parte riguarda la programmazione di obiettivi, attività e

risorse in relazione all’eventuale sviluppo di percorsi assistenziali riferiti ai diversi settori.

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25 4.3 - Programmazione Operativa Annuale: attuazione del PIS/PIZ

Quanto definito nel Piano quinquennale deve essere a questo punto declinato in specifiche indicazioni operative.

In attuazione dello schema di massima delineato dalla programmazione pluriennale, la Programmazione Operativa Annuale di livello zonale (POA) specifica le azioni da attuare nell’anno di competenza.

A questo scopo esplicita le relazioni tra gli obiettivi programmati, le attività da realizzare effettivamente entro l’anno di competenza, la tipologia delle attività, la loro forma di gestione, i tempi di realizzazione e le risorse programmate, siano esse di parte sanitaria, di parte sociale o di altra provenienza (ad esempio fondi regionali).

La scheda POA è strutturata ricalcando lo stesso modello organizzativo del PIS/PIZ, infatti è ripartita sulle medesime cinque aree programmatiche:

Cure Primarie, Sociosanitario, Socioassistenziale, Promozione e Prevenzione, Contrasto alla Violenza di Genere.

Alle prime tre afferiscono differenti settori analoghi a quelli della programmazione pluriennale, e ciascun settore reca una scheda specifica, in modo da descrivere le attività che saranno realizzate effettivamente nell’anno di competenza.

L’elaborazione della Programmazione Operativa Annuale è competenza diretta delle Zone Distretto e Società della Salute, che definiscono autonomamente i propri progetti pur restando fedeli all’ambito delle indicazioni stabilite nella programmazione quinquennale.

L’impianto su cui viene elaborata la programmazione annuale è costituito da tre livelli logici:

I Livello: Obiettivo Strategico Generale

II Livello: Programma Operativo

III Livello: Scheda POA

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Figura 2: Livelli di programmazione. (Fonte ANCI Toscana)

Gli Obiettivi Generali rappresentano l’elemento di programmazione più prossimo alle competenze delle Conferenze Zonali Integrate e si riferiscono ai grandi orientamenti delle politiche locali sulla salute così come già definiti dalla programmazione generale del PIS/PIZ.

Costituiscono le modalità tecniche con cui le volontà dell’organo assembleare integrato vengono espresse sotto forma di obiettivi per la Programmazione Zonale Integrata, obiettivi resi operativi e concreti attraverso la conseguente Programmazione Operativa.

Gli Obiettivi Generali sono espressi in numero contenuto e ciascuno di loro agisce su un campo tematico molto vasto: ciascun Obiettivo Generale deve essere supportato per la messa in atto da uno o più Programmi Operativi.

Il Programma Operativo individua un gruppo coerente di azioni operative che vengono attuate secondo la finalizzazione definita nella descrizione del programma.

Un singolo Programma Operativo può essere connesso con una o più singole schede POA.

Ogni Programma Operativo è obbligatoriamente connesso almeno ad un Obiettivo Generale, e a sua volta un Obiettivo Generale deve avere come riferimento uno o più programmi operativi.

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La Scheda POA costituisce l’elemento operativo vero e proprio della programmazione, infatti ciascuna scheda POA è dedicata ad uno specifico progetto che la Zona Distretto ha intenzione di mettere in atto nel corso dell’anno. Nella scheda vengono pertanto esplicitate nel dettaglio le caratteristiche del progetto e le modalità attuative dello stesso.

In particolare, ciascuna scheda riporta: ▪ azioni PIS/PIZ;

▪ l’Area di Programmazione; ▪ il Settore prevalente;

▪ una descrizione dettagliata del progetto; ▪ la popolazione target a cui è rivolto; ▪ gli obiettivi specifici da raggiungere;

▪ la modalità di gestione (gestione diretta da parte di AUSL e/o da parte di altri enti);

▪ la tipologia dell’attività;

▪ una sezione dedicata al budget, dove vengono quantificate le risorse che si intendono investire nell’anno sul progetto e i relativi fondi di provenienza; ▪ il Dirigente o responsabile di Unità Funzionale responsabile del progetto. Ogni scheda deve essere poi messa in relazione a uno specifico Programma Operativo e quindi al relativo Obiettivo Generale.

Per ciascun POA, come già detto, vengono indicati un’Area ed un Settore prevalenti, che saranno gli stessi del Programma Operativo al quale la scheda POA è correlato.

Tuttavia, ai fini di una maggiore integrazione operativa dei sistemi zonali, il Programma Operativo può essere trasversale a più Aree o Settori di programmazione, pertanto le schede POA connesse ad uno stesso Programma possono afferire anche ad aree o settori diversi.

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28 4.4 - Valutazione

Una volta predisposto il Programma, è infine necessario definire le modalità con cui questo sarà monitorato e valutato.

Tale momento è fondamentale ai fini di un corretto utilizzo dello strumento programmatico, in quanto consente di non vanificare il tempo e le risorse investite nella elaborazione ed applicazione del programma stesso: i feedback ottenuti da un appropriato monitoraggio restituiscono una visione oggettiva dei risultati e fanno emergere eventuali criticità che, ove presenti, possono in tal modo essere opportunamente affrontate, indirizzando quindi la programmazione verso soluzioni più efficienti ed efficaci.

Tale processo costituisce dunque un cardine per quanto concerne la governance locale, ma non solo: le valutazioni Zonali convergono infatti in un sistema di monitoraggio più ampio Regionale che a sua volta afferisce ad un altro di livello Nazionale, con modalità e strumenti di seguito illustrati.

La Regione delibera in merito alla valutazione per quanto riguarda sia il livello Regionale che Zonale.

In Regione Toscana la L.R. 40/2005 all’articolo 2 definisce la valutazione come “il complesso degli strumenti che la Regione e i soggetti del sistema adottano per verificare il raggiungimento degli obiettivi della programmazione, ossia i risultati conseguiti misurabili in termini di livelli di salute della popolazione, efficacia e qualità delle cure, appropriatezza ed efficienza dei servizi erogati”.

Gli articoli successivi della legge definiscono soggetti, obiettivi e livelli in cui si declina il processo di valutazione nel contesto sociosanitario Regionale.

All’articolo 10 si afferma che alla Giunta Regionale spetta il compito di individuare le procedure e le modalità di valutazione della qualità delle prestazioni e dei percorsi assistenziali con particolare riferimento ai seguenti profili:

▪ i risultati complessivi delle Aziende USL e delle Società della Salute in termini di appropriatezza, di soddisfazione dell’utenza e degli operatori, di economicità della gestione;

▪ i risultati specifici raggiunti dalle strutture organizzative aziendali ed in particolare dei dipartimenti assistenziali integrati delle Aziende Ospedaliero Universitarie in relazione agli obiettivi della programmazione aziendale ed alle funzioni attribuite all’azienda dalle disposizioni regionali;

▪ i risultati specifici raggiunti dalle Società della Salute per l’organizzazione e l’erogazione di attività di assistenza territoriale, di prestazioni ad alta

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integrazione sociosanitaria e di prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, individuate dalla Programmazione Regionale;

▪ la qualità clinica delle prestazioni erogate, anche in relazione ad obiettivi di eccellenza.

L’articolo 21 della succitata Legge entra specificamente nel merito della valutazione degli obiettivi di Zona/Distretto: la norma stabilisce che gli strumenti di valutazione di risultato relativi agli obiettivi specifici di Zona devono essere individuati nel PIS, proprio perché il processo di valutazione ha la finalità di accertare il grado di raggiungimento degli obiettivi specifici e la loro congruità con gli obiettivi di salute del PIS stesso.

Pertanto, nel PIS dovrà essere già specificato quale sarà la modalità e quali saranno gli strumenti di monitoraggio e valutazione che saranno utilizzati per accertarsi che gli obiettivi previsti dal programma siano effettivamente raggiunti. L’azione di monitoraggio/verifica implica l’impegno costante di rilevazione dei dati economici e sociali avente l’obiettivo di registrare, aggiornare ed elaborare in modo sistematico, secondo procedure individuate, le informazioni utili e indispensabili per registrare l’andamento delle diverse aree programmatorie e l’aderenza al raggiungimento dei risultati previsti.

L’azione di valutazione assume la funzione strategica di giudizio dell’esperienza pianificatoria in corso e produce atti di conferma o correzione di quanto si sta realizzando.

In particolare, viene svolta attraverso tre fasi specifiche:

• la valutazione ex ante, caratterizzata dalla individuazione delle condizioni di partenza, dei bisogni presenti e rilevati e della progettualità da intraprendere ritenuta più adeguata. Avviene dunque nella fase preliminare di stesura della programmazione quinquennale, ed ha anche il compito di verificare la conformità dei contenuti previsti nelle scelte pianificatorie con quanto previsto dagli indirizzi Regionali;

• la valutazione in itinere, ovvero in corso di operatività della programmazione stessa. In questa fase viene effettuato il monitoraggio di processo che controlla l’andamento dei risultati in corso d’opera relativi alla pianificazione nelle sue diverse componenti programmatorie e progettuali, al fine di individuare criticità e punti di forza utili per intraprendere strategie migliorative che tengano conto anche delle eventuali modificazioni del contesto. Tale momento valutativo avviene

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annualmente e coincide con la valutazione dei Piani Operativi Annuali, di modo che i risultati ottenuti possono essere utilizzati per implementare la pianificazione relativa all’anno seguente;

• la valutazione ex post, finalizzata a individuare i risultati ottenuti a seguito della realizzazione del PIS/PIZ, anche con riferimento all’insieme delle risorse impiegate, in modo da orientare le successive scelte di Piano. La valutazione effettuata al termine del quinquennio di validità del PIS/PIZ assume dunque un significato particolare stante l’impegno a definire la nuova edizione del Piano con tutti gli elementi ad esso costitutivi che dovranno tener conto del mutamento nel frattempo avvenuto delle caratteristiche riguardanti il contesto decisionale.

La valutazione dei risultati è competenza dell'Assemblea della Società della Salute, o della Conferenza Zonale dei Sindaci Integrata ove non costituita la SdS, e trova fondamento sia sulla percezione che i soggetti istituzionali e della partecipazione hanno dei mutamenti intervenuti per effetto del PIS/PIZ, sia sui valori quantitativi assunti dagli indicatori appositamente progettati per la valutazione.

La Regione Toscana, come descritto nel Piano Socio Sanitario 2010-2015, fin dal 2005 ha adottato il Sistema di Valutazione della Performance della Sanità, strumento progettato e implementato dal Laboratorio Management e Sanità della Scuola Superiore Sant’Anna, con cui la Regione orienta e governa il sistema misurando la capacità di ogni azienda di essere strategicamente efficace ed efficiente, sia rispetto al territorio in cui opera, sia nell’ambito del sistema regionale in cui è inserita.

Così come esplicita l’articolo 4 dell’Allegato n.1 della Delibera Regionale 229 del 22-03-2016 (Attività di valutazione), il Laboratorio MeS della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa collabora con la Regione Toscana nell’attività di valutazione del sistema sanitario regionale anche negli ambiti di azione delle zone distretto. Il sistema si focalizza su diverse attività e responsabilità che il distretto è chiamato a garantire e monitora la qualità, l’appropriatezza, l’efficacia e l’efficienza dei diversi livelli di assistenza e cura relativamente alle attività territoriali.

Ogni anno, quindi, le Zone/Distretto e SdS hanno a disposizione un set di indicatori comuni, standardizzati e condivisi con i diversi livelli di governo, rappresentati in maniera sintetica dal “bersaglio” di Zona/Distretto e SdS e nel “pentagramma” dei percorsi del cittadino, descritti in maniera dettagliata nella piattaforma online e nel report cartaceo che il Laboratorio MeS redige.

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Tale sistema costituisce quindi per le Società della Salute e le Zone/Distretto uno strumento standardizzato che supporta la valutazione annuale ed il monitoraggio semestrale, laddove possibile, dei risultati delle attività, con riferimento specifico agli obiettivi regionali definiti in maniera pluriennale e annualmente dai policy maker, nonché degli obiettivi più specificatamente zonali ricompresi negli indicatori individuati.

Passando dal livello Zonale a quello Regionale e poi Nazionale ci sono altri aspetti e requisiti da soddisfare per quanto attiene monitoraggio e valutazione, in particolare:

il monitoraggio degli Obiettivi di Servizio;

la relazione sullo Stato di Salute;

la valutazione di esito.

Il monitoraggio degli Obiettivi di Servizio

Gli Obiettivi di servizio sono lo strumento con cui a livello Nazionale viene monitorato l’operato delle singole Regioni. Sono Obiettivi specifici da raggiungere a livello Regionale e sono monitorati attraverso specifici indicatori. La Regione esprime infatti anche il proprio ruolo di valutatore in relazione alla propria funzione di esercizio del governo complessivo del sistema integrato di interventi e servizi sanitari, sociosanitari e sociali a livello regionale.

Per quanto riguarda l’erogazione delle prestazioni e dei servizi sanitari e il raggiungimento di determinati obiettivi, il riferimento nazionale è costituito dai LEA.

Devono essere garantite appropriatezza, adeguato livello qualitativo ed efficienza e a tale scopo è predisposto uno specifico monitoraggio dell’assistenza sanitaria erogata dalle Regioni sul territorio nazionale, che avviene attraverso una serie di informazioni raccolte e opportunamente elaborate e rappresentate sotto forma di indicatori, le quali consentono di leggere importanti aspetti dell’assistenza sanitaria, inclusi quelli di qualità, appropriatezza e costo.

La misurabilità dei risultati di salute e dell’impatto degli interventi sanitari è una condizione essenziale per l’efficienza e l’efficacia dell’azione di coloro che erogano le prestazioni sanitarie.

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Come già discusso, tenere sotto controllo il livello quantitativo di raggiungimento degli obiettivi e dei benefici finali attesi rende possibile un intervento tempestivo sulle criticità e getta le basi per il miglioramento del sistema.

Più complesso però è invece l’aspetto riguardante la misurabilità degli obiettivi in ambito sociale, in quanto manca ad oggi una definizione nazionale di Livelli Essenziali delle prestazioni sociali che consenta la realizzazione un sistema dei servizi sociali in grado di garantire diritti certi ai cittadini sul territorio nazionale. Tale aspetto del monitoraggio è quindi ad oggi demandato alle Regioni, non essendoci una precisa normativa Nazionale.

In Regione Toscana, l’articolo 29 della legge regionale 41/2005 disciplina il Piano d’Inclusione Zonale, e al comma 1 definisce tra i suoi compiti anche quello di determinare gli Obiettivi di Servizio, mentre al comma 6 esplicita le funzioni di programmazione del PIZ in relazione alle risorse: “Il PIZ individua le risorse necessarie alla realizzazione delle attività e degli interventi previsti in attuazione degli Obiettivi di Servizio, nonché alla realizzazione dei progetti innovativi promossi anche da soggetti del terzo settore”.

Pertanto, la Pianificazione Zonale dovrà contenere l’indicazione dei contenuti attuativi e delle fasi temporali di effettiva realizzazione degli obiettivi di interesse Regionale.

Parte importante dell’azione di valutazione regionale è costituita anche dalla raccolta di informazioni e di indicazioni utili per la successiva definizione della Pianificazione Regionale e per l’esercizio di una funzione di supporto e accompagnamento alle eventuali situazioni locali di difficoltà organizzativo strategiche.

La relazione sullo Stato di salute

Come previsto dell'art 20 L.R. 40/2005 “La relazione sullo stato di salute è il documento di monitoraggio e di valutazione dei servizi e delle attività sanitarie territoriali e sociali, che la Società della Salute, ove costituita, o la Conferenza Zonale dei Sindaci redige annualmente”.

Il direttore della SdS predispone lo schema della relazione annuale della società della salute, il comitato di partecipazione esprime parere sullo schema di relazione annuale della società della salute entro trenta giorni dal suo ricevimento ed è trasmessa alla Giunta regionale nei quindici giorni successivi alla sua approvazione.

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La relazione annuale delle Zone Distretto non costituite in Società della Salute è invece affidata alla AUSL.

Si tratta dunque di una rendicontazione annuale alla Regione da parte delle singole Zone riguardante il monitoraggio di tutte le prestazioni di ambito sociosanitario.

Valutazione di esito

La valutazione degli esiti riguarda l'impatto che le politiche sociosanitarie hanno su ogni singolo ambito zonale; richiede una standardizzazione degli indicatori e una struttura sistemica definita a livello regionale in collaborazione con gli osservatori regionali.

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34 CAPITOLO 5

La programmazione della cronicità

Come già inizialmente discusso, una condizione di cronicità implica un quadro complesso di bisogni assistenziali, che richiedono molteplici mezzi, risorse e figure professionali al fine di poter essere soddisfatti.

In figura è rappresentata una stratificazione della popolazione affetta da patologie croniche in base allo stadio di sviluppo delle stesse, alle eventuali comorbidità presenti, e al livello di complessità crescente in termini di assistenza, definendo una percentuale di prevalenza media per tali sottoclassi.

Figura 3: “Extended Kaiser Pyramid”, differenzia la popolazione con patologia cronica in sottogruppi (sub-target) sulla base dello stadio di sviluppo della stessa, definendo una percentuale di prevalenza media per tali sottoclassi. (Fonte PNC)

Le strategie di intervento richieste sono diverse a seconda dei differenti bisogni dei sottogruppi, e saranno volte non solo alla gestione della condizione sottostante, ma anche a prevenirne il più possibile la progressione agli stadi successivi.

In particolar modo, è prioritario prevenire la progressione verso il gruppo costituito dal 7-8% di pazienti più complessi posti all’apice della piramide, che

Patients with

severe complications (7-8%)

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rappresentano il target che assorbe il maggior numero di risorse, non solo anzitutto in termini di salute ma anche da un punto di vista economico.

La percentuale maggiore, costituita dai pazienti classificati a minor rischio, richiede interventi volti prioritariamente al supporto della autogestione della propria condizione, facilitando la consapevolezza del paziente nei confronti della propria patologia e mettendogli a disposizione gli strumenti preventivi, terapeutici e comportamentali che gli consentano di gestire e controllare autonomamente la propria situazione.

La percentuale costituita dai pazienti ad alto rischio, situati nella zona intermedia della piramide, necessita invece anche di assistenza diretta mirata alla gestione della patologia. Si rende quindi necessario più frequentemente e maggiormente l’intervento attivo da parte di specifiche figure professionali e il ricorso a strutture sanitarie e/o assistenziali allo scopo di controllare pienamente la condizione determinata da una o più patologie sottostanti.

La percentuale di casi con gravi complicanze, posta al vertice della piramide, è la più piccola ma, come già detto, la più complessa in termini di gestione, ed è anche quella che assorbe il maggior numero di risorse. La gestione è estremamente personalizzata sulla base del singolo caso, richiede il forte intervento multidisciplinare da parte di molteplici figure professionali ed assistenziali e il frequente ricorso a strutture territoriali ed ospedaliere.

Come ribadito anche nell’attuale Piano Nazionale Cronicità (PNC), un’adeguata gestione della cronicità necessita quindi di un sistema di assistenza continuativa, multidimensionale, multidisciplinare e multilivello, che possa permettere la realizzazione di progetti di cura personalizzati a lungo termine, la razionalizzazione dell’uso delle risorse e il miglioramento della qualità di vita, prevenendo le disabilità e la non autosufficienza, e che sia centrata sui bisogni globali, non solo clinici.

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I punti fondamentali promossi dal PNC sono in particolare:

a) la piena valorizzazione della rete assistenziale, riorganizzando strutture e servizi disponibili e riqualificando la rete dei professionisti. La rete va rifunzionalizzata soprattutto in una visione di continuità assistenziale, modulata per ciascun paziente sulla base dello stadio evolutivo, sul grado di complessità della patologia e sui relativi bisogni socioassistenziali;

b) una maggiore flessibilità dei modelli organizzativi e operativi, che preveda una forte integrazione tra cure primarie e specialistiche e tra ospedale e territorio, con servizi strutturati e organizzati, reti specialistiche multidisciplinari, team professionali dedicati e modelli di integrazione sociosanitaria.

c) l’approccio integrato sin dalle fasi iniziali della presa in carico, con l’ingresso precoce nel Percorso Diagnostico-Terapeutico-Assistenziale (PDTA) e nel percorso di welfare integrato al quale partecipano tutti gli attori coinvolti, con l’attivazione di setting diversi in funzione del diverso grado di complessità assistenziale e delle necessità del paziente;

d) una stadiazione in base al grado di sviluppo della patologia e dei relativi bisogni socioassistenziali, utilizzando PDTA e piani di cura personalizzati, monitorabili attraverso indicatori di processo e di esito, multidimensionali e centrati sul paziente, gestiti con approccio proattivo;

e) l’empowerment, l’ability to cope, ed il self-care, leve fondamentali per l’efficacia e l’efficienza del sistema con il contributo delle associazioni di tutela dei malati e del volontariato attivo, attraverso programmi di educazione documentabili e monitorabili, nel presupposto che pazienti consapevoli ed esperti siano in grado di gestire la propria qualità di vita al massimo delle loro potenzialità.

La presa in carico della cronicità si basa dunque essenzialmente su due differenti livelli fondanti:

▪ il primo è quello che costituisce l’offerta reale, ovvero le singole prestazioni e servizi disponibili;

▪ il secondo riguarda invece la pianificazione ed ottimizzazione dell’utilizzo appropriato di tali risorse, costruita sulla base del bisogno reale e delle caratteristiche specifiche del singolo utente ed orientata verso un’ottica di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, nonché finalizzata a garantire la migliore qualità di vita possibile per il paziente e per i caregiver.

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Il bisogno reale in questa visione è pertanto definito dalla malattia e dal suo stadio, ma anche dalla compresenza di una o più patologie, dalla presenza o meno di vari livelli di autonomia, autosufficienza e/o fragilità, dal contesto sociale ed economico.

L’offerta che deve rendersi disponibile può dunque essere riassunta nelle seguenti categorie:

▪ interventi e strumenti rivolti a facilitare l’autogestione e l’empowerment ▪ assistenza domiciliare

▪ figure professionali di riferimento appropriate al contesto clinico e assistenziale

▪ presidi distrettuali appropriati per livello di complessità ▪ supporto alla non autosufficienza

Il paziente deve essere intercettato il più precocemente possibile e avere un accesso pianificato a tali servizi sulla base del suo bisogno globale, favorendo il più possibile la gestione al proprio domicilio ed evitando il più possibile ospedalizzazione e ricoveri.

Come suggerito nell’Expanded Chronic Care Model si rende quindi necessario un approccio proattivo da parte del personale sanitario nei confronti dei pazienti, di modo che questi diventino parte integrante del processo assistenziale.

Il Piano Sanitario Regionale 2008-2010 ha recepito quanto indicato nell’ECCM passando da un modello di medicina d’attesa, dove il bisogno di cure si trasforma in domanda, ad una presa in carico proattiva del paziente cronico.

A tale scopo è prevista la Sanità di Iniziativa e l’inserimento del paziente all’interno di PDTA costruiti ad hoc, nei quali tutti gli interventi clinico-assistenziali e di supporto necessari a controllare al meglio la condizione del paziente e la sua qualità di vita sono programmati e monitorati, e prevedono il MMG di riferimento (figura medica più prossima al paziente e al suo domicilio) come coordinatore del percorso.

Nella figura seguente è riportato un altro modello di stratificazione delle varie classi di rischio, (Adjusted Clinical Group ACG) che confronta gruppi di individui con problemi simili dal punto di vista dell’impatto assistenziale e del profilo generale di morbilità.

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Figura 4: Adjusted Clinical Group ACG. (Fonte PNC)

Il sistema classifica i pazienti in categorie che raggruppano problemi di salute simili dal punto di vista assistenziale, indipendentemente dal consumo di risorse effettuato, e li stratifica poi in sei categorie in base al carico o peso assistenziale dovuto alle malattie co-presenti.

Tale modello evidenzia bene come lo stato di salute globale del paziente, e quindi il suo livello di rischio, sia determinato non solo dalla presenza e stadiazione della singola patologia, ma anche dalla eventuale presenza di comorbidità e dalla complessità totale che ne deriva.

Evidenzia inoltre la relazione tra il livello di rischio e il carico assistenziale richiesto, che cresce esponenzialmente muovendosi dalla base verso il vertice della piramide, e gli interventi necessari nei vari stadi per una buona presa in carico del paziente, passando da interventi volti principalmente a favorire l’autogestione da parte del paziente (self-management), a percorsi più complessi dedicati alla gestione della patologia, (disease-management) per arrivare infine a percorsi mirati e personalizzati sul caso specifico (case-management) nelle situazioni di particolare complessità, dove non è più sufficiente gestire la singola

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malattia ma la condizione globale che deriva da una concorrenzialità di più quadri morbosi e ciò che ne consegue.

Il binario guida della programmazione degli interventi è rappresentato dalla storia naturale di malattia, che consente di individuare gli snodi più critici nella gestione della patologia stessa e di stratificare i pazienti nelle varie sottoclassi, in base alla loro storia clinica.

Figura 5: Fasi della storia naturale di malattia. (Fonte PNC)

Partendo da questa dovranno poi essere approfondite sul singolo paziente le altre variabili, individuali e sociali, includendo così tutti gli aspetti in grado di incidere sulla storia personale di ciascun individuo in relazione alla propria cronicità.

Figura 6: Costruzione del Percorso Assistenziale come strumento di traduzione della storia naturale e dei suoi snodi critici in prassi assistenziale. (Fonte PNC)

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Il Percorso Assistenziale (schematizzato sopra in figura) rappresenta, quindi, lo strumento di traduzione della storia naturale e dei suoi snodi critici nella pratica assistenziale. Permette di evidenziare le fasi dell’assistenza e, all’interno di queste, i principali prodotti assistenziali che i diversi attori del sistema salute dovranno garantire attraverso le loro attività.

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SEZIONE II

La programmazione della Zona/Distretto Piana di Lucca

Quanto finora illustrato è l’impianto su cui è strutturato il processo di costruzione della programmazione. In questa sezione si prenderà in esame come tale processo sia stato declinato nel contesto territoriale della Zona/Distretto Piana di Lucca per l’anno 2019, con un focus particolare sull’Area Cure Primarie e il ruolo centrale da questa ricoperto nell’ambito della presa in carico della cronicità.

CAPITOLO 6

La costruzione dell’albero della programmazione

Come detto in precedenza, la Programmazione Operativa Annuale zonale è competenza della singola Zona/Distretto, che in completa autonomia pianifica i propri progetti in base alle specifiche esigenze del proprio territorio di riferimento.

Nel 2018 la Z/D Piana di Lucca ha definito un Gruppo di Lavoro dedicato all’elaborazione della programmazione annuale per l’anno 2019.

A tale gruppo hanno preso parte diverse figure professionali di ambito sanitario, sociale e amministrativo, e in particolare: due Medici della AUSL di ambito Cure Primarie, tre Assistenti Sociali comunali, due Assistenti Sociali della AUSL, due amministrativi comunali e di AUSL, un Infermiere, un medico in formazione specialistica e il Direttore di Zona Distretto.

Il Gruppo, lavorando col contributo sinergico di ciascuna diversa competenza, ha prodotto la Programmazione Annuale zonale prevista per l’ambito territoriale della Piana di Lucca per l’anno 2019, dettagliando Obiettivi, Programmi e le relative Schede POA, e mettendoli tra loro in relazione secondo l’albero schematico precedentemente illustrato.

L’elaborazione è avvenuta tendendo come punto di partenza il Profilo di Salute territoriale, con la finalità di costruire una rete di servizi e di offerta su misura per le esigenze della Zona.

La Programmazione è stata strutturata partendo dall’impianto della Programmazione Annuale del 2018 ed analizzando le valutazioni relative alle Programmazioni degli anni precedenti, in modo da operare, là dove opportuno, modifiche volte a migliorare ed implementare l’assetto programmatico già presente, nonché a finalizzarlo ed aggiornarlo alle necessità territoriali più attuali.

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Il programma è stato redatto sullo specifico portale web Regionale dedicato, il quale presenta per ciascuna sezione dei moduli precompilabili secondo le linee guida Regionali più recenti.

Figura 7: Portale web Regionale dedicato alla compilazione della Programmazione Operativa Annuale zonale.

Alla fine di dicembre 2018 la Zona Distretto della Piana di Lucca ha presentato la propria Programmazione Annuale per l’anno 2019, riassunta nell’albero programmatico estratto dal portale medesimo e visibile nelle figure seguenti.

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Figura 8.3: Albero della Programmazione Operativa 2019 Z/D Piana di Lucca (parte III).

Sono stati stabiliti 11 Obiettivi Generali, 48 Programmi Operativi e 128 Schede POA, di cui: 39 Schede afferenti all’Area Cure Primarie, 29 all’Area Socio-Sanitaria, 41 all’Area Socio-Assistenziale, 15 all’Area Prevenzione e Promozione, 4 all’Area Contrasto Violenza di Genere.

Riferimenti

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