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Studio dell'effetto delle citochine sull'acetilazione delle proteine in isole pancreatiche umane

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

STUDIO DELL’EFFETTO DELLE

CITOCHINE SULL’ACETILAZIONE

DELLE PROTEINE IN ISOLE

PANCREATICHE UMANE

Relatore:

Candidato:

Prof.ssa Maria Rosa Mazzoni Tiziano Simonetti

Prof. Antonio Lucacchini

Correlatore:

Dott.ssa Federica Ciregia

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A mamma, per il sostegno ricevuto e per i valori trasmessi, in particolare l’onestà e l’umiltà.

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3

Solo gli inquieti sanno come è difficile sopravvivere alla tempesta e

non poter vivere senza.”

Emily Brontë

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4

INDICE

1. INTRODUZIONE... 6 1.1 IL DIABETE MELLITO ... 6 1.1.1 Il pancreas ... 6 1.1.2 Il pancreas esocrino ... 8 1.1.3 Il pancreas endocrino ... 9

1.1.4 L’insulina nella regolazione dell’omeostasi glucidica ... 11

1.1.5 GSIS: Glucose-Stimulated Insuline Secretion ... 15

1.1.6 Le incretine ... 16

1.1.7 Classificazione del DM... 17

1.1.8 Epidemiologia del DM ... 18

1.1.9 Diagnosi del DM ... 19

1.1.10 Patogenesi del DMT2 ... 20

1.1.11 Sintomi e complicanze del DMT2 ... 22

1.2 LA TERAPIA DEL DMT2 ... 25

1.2.1. TERAPIA NON FARMACOLOGICA ... 25

1.2.2 Terapia farmacologica ... 26

1.2.3 Terapia insulinica ... 28

1.3 INFIAMMAZIONE E DIABETE ... 30

1.3.1 La sindrome metabolica ... 30

1.3.2 L’obesità ... 32

1.3.3 Il ruolo delle citochine nell’infiammazione legata a DMT2 e ... 33

all’obesità ... 33

1.4 DMT2 E DANNO MITOCONDRIALE ... 41

1.4.1 Il diabete mitocondriale ... 41

1.4.2 Meccanismi di resistenza insulinica ... 42

1.4.3 Meccanismi di glucotossicità e lipotossicità ... 43

1.4.4 Una nuova PTM: l’acetilazione ... 45

1.5 LA PROTEMICA ... 49

2. SCOPO DELLA TESI ... 51

3. MATERIALI E METODI ... 52

3.1 MATERIALI E STRUMENTAZIONI ... 52

3.2 IL CAMPIONE ... 52

3.2.1 Preparazione del campione ... 53

(5)

5

3.3 ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE ... 57

3.3.1 Reidratazione delle strip ... 57

3.3.2 Prima dimensione-isoelettrofocalizzazione (IEF) ... 58

3.3.3 L’equilibratura... 58

3.3.4 Preparazione dei gel ... 59

3.3.5 Seconda dimensione-SDS-PAGE ... 60

3.4 Il WESTERN BLOT (WB) ... 61

3.4.1 Elettroblot su membrana di nitrocellulosa ... 61

3.4.2 Colorazione con rutenio ... 62

3.4.3 Fase di blocking ... 62

3.4.4 Anticorpi ... 63

3.4.5 Rivelazione enzimatica delle proteine di interesse... 63

3.4.6 Acquisizione delle membrane di nitrocellulosa ... 64

4. RISULTATI E DISCUSSIONE ... 65

4.1 I RISULTATI ... 65

4.1.1 Determinazione delle proteine acetilate in isole pancreatiche umane tramite elettroforesi bidimensionale e western blot. ... 65

4.1.2 Trattamento delle isole con citochine ... 67

4.1.3 Analisi comparativa dei profili bidimensionali delle proteine acetilate prima e dopo trattamento. ... 67

4.2 DISCUSSIONE ... 69

5. BIBLIOGRAFIA ... 73

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1. INTRODUZIONE

1.1 IL DIABETE MELLITO

Il diabete mellito (DM) comprende un gruppo di disturbi metabolici comuni che condividono il fenotipo dell’iperglicemia, derivante da una ridotta secrezione di insulina, una riduzione dell’utilizzo del glucosio e un incremento della produzione di glucosio. L’eziologia della malattia non è definita e la sua insorgenza è imputabile all’interazione di fattori genetici, ambientali e comportamentali. L’alterazione metabolica associata al DM causa modificazioni fisiopatologiche a vari organi (principalmente nefropatia, cecità, neuropatia e aterosclerosi), che gravano enormemente sulla persona affetta da tale patologia e sul sistema sanitario.(1) (2)

1.1.1 Il pancreas

Il pancreas [Figura 1] è una ghiandola voluminosa di colore rosa-grigiastro situata nella parte superiore dell’addome, in prossimità dell’ansa duodenale. È strutturalmente costituito da due ghiandole compenetrate fra loro, che presentano due funzioni distinte:

• Funzione esocrina: impegna circa l’80% del parenchima ed è finalizzata alla produzione del succo pancreatico, un secreto alcalino che contiene numerosi enzimi coinvolti nei processi digestivi.

• Funzione endocrina: impegna circa il 20% del parenchima e si occupa della produzione di ormoni, principalmente insulina e glucagone, deputati al controllo dell’omeostasi glicemica.

Il pancreas è situato davanti alla colonna vertebrale, all’altezza della I e della II vertebra lombare, e prende rapporto anteriormente con lo stomaco, a sinistra con la milza e a destra con il duodeno.

(7)

7 Nonostante la sua forma particolarmente irregolare, vi si distinguono abitualmente tre porzioni: una testa, un corpo ed una coda. La testa ed il corpo sono separate da una parte ristretta detta collo o istmo.

La testa del pancreas corrisponde all’estremità destra dell’organo e si inserisce nella concavità dell’ansa duodenale, con la quale contrae intimi rapporti. La faccia anteriore della testa del pancreas è rivestita dal peritoneo e risulta incrociata dalla linea d’inserzione del mesocolon trasverso; su di essa transitano le vene provenienti dalla parte destra del colon trasverso e dalla fessura colica destra, che si uniscono alle vene pancreaticoduodenali e alla vena gastroepiploica destra, tributarie della vena mesenterica superiore. La faccia posteriore della testa del pancreas è in rapporto con il coledoco e con un considerevole numero di vasi, che formano il piano vascolare retroviscerale. Questo comprende due organizzazioni vascolari: una superficiale, detta piano portale, ed una profonda, appartenente al sistema della vena cava inferiore.

Il corpo del pancreas ha una forma triangolare e si trova a ridosso della colonna vertebrale (I e II vertebra lombare).

La faccia anteriore del corpo del pancreas è rivestita dal peritoneo parietale posteriore, che forma la parete posteriore della borsa omentale, la quale media il rapporto con la parte posteriore dello stomaco.

La faccia posteriore è invece ricoperta dalla fascia di Treitz e contrae rapporto con numerosi vasi, fra cui i vasi lienali, la parte finale della vena mesenterica inferiore, l’aorta, i vasi mesenterici superiori e la vena renale sinistra. In più, questa porzione è in rapporto con il pilastro sinistro del diaframma, con il corpo surrenale sinistro e con il rene sinistro.

Infine la coda, variabile per forma ed estensione, rappresenta l’estremità sinistra del pancreas ed è addossata alla faccia interna della milza, talvolta in contatto diretto, talvolta separata da essa per mezzo di un intervallo che varia da 1 a 4 cm, rappresentato dal legamento pancreatico-lienale.(3)

(8)

8

1.1.2 Il pancreas esocrino

Il pancreas esocrino, a differenza di quello endocrino che presenta un volume pari all’1-2% dell’organo, rappresenta la componente più estesa del pancreas. Esso è responsabile della elaborazione e secrezione di un particolare succo digestivo ricco di acqua, elettroliti, enzimi proteolitici, glicolitici e lipolitici, che è successivamente riversato nella porzione duodenale.

La porzione esocrina del pancreas presenta la struttura di una ghiandola tubuloacinosa composta a secrezione sierosa, molto simile a quella di una ghiandola salivare e specificamente della parotide. Il tessuto connettivo che costituisce la sottile capsula di rivestimento dell’organo si approfonda nel parenchima pancreatico formando una rete di sepimenti di tessuto connettivo lasso, che delimitano, a volte in maniera incompleta, numerosi lobuli.

I vasi sanguigni e linfatici, i dotti escretori e i rami nervosi più grandi si distribuiscono all’interno del pancreas seguendo la trama dei setti connettivali. All’interno dei lobuli vi sono gli acini pancreatici, formati da un’unica fila di cellule di forma piramidale, dette cellule acinose o zimogeniche, poggianti su una sottile membrana basale.(4)

Le cellule acinose sono deputate a secernere la componente enzimatica del cosiddetto succo pancreatico, contenente enzimi necessari alla digestione dei carboidrati, delle proteine e dei grassi. La loro carenza provoca malassorbimento delle principali classi di alimenti. Fra i vari enzimi, i più importanti sono:

• la tripsina e la chimotripsina, proteasi secrete sotto forma di zimogeni inattivi detti tripsinogeno e chimotripsinogeno, attivate rispettivamente da una enterochinasi secreta dalla mucosa duodenale e dalla tripsina stessa. Prendono parte alla digestione delle proteine;

• α-amilasi, secreta in forma attiva, che scinde l’amido in piccoli oligosaccaridi:

(9)

9 La componente acquosa del succo pancreatico ricca in bicarbonato è secreta, invece, dai tubuli a fondo cieco che circondano gli acini ed ha come ruolo fondamentale quello di neutralizzare il contenuto duodenale. I sottili dotti che drenano gli acini sono chiamati dotti intercalari e terminano in dotti più grandi, i dotti intralobulari. Questi sfociano tutti in un unico dotto extratubulare, che terminando in canali di diametro sempre più grande, raggiunge infine il duodeno.(4)

1.1.3 Il pancreas endocrino

La porzione endocrina del pancreas umano è costituita da circa 1-2 milioni di ammassi di cellule sparse nel parenchima dell’organo, denominate isole di

Langerhans. La loro distribuzione non è omogenea: la coda contiene infatti un

numero maggiore di isole rispetto al corpo e alla testa. All’interno di ciascuna isola vi sono quattro tipi cellulari differenti, ciascuno dei quali è responsabile della sintesi e della secrezione di un ormone peptidico:

• Cellule α: costituiscono circa il 20% delle cellule insulari. Sintetizzano e secernono il glucagone, un ormone polipeptidico ad azione iperglicemizzante, in grado dunque di innalzare la concentrazione ematica di glucosio.

• Cellule β: rappresentano circa il 60-70% del totale e rilasciano insulina, un ormone polipeptidico che si trova complessato a ioni zinco all’interno di granuli. Questa antagonizza l’azione del glucagone, in quanto promuove l’ingresso e l’utilizzo nei processi di deposito del glucosio ed altri nutrienti da parte dei tessuti periferici, esercitando dunque un effetto ipoglicemizzante. Al loro interno è presente anche il GABA.

• Cellule δ: producono somatostatina, capace di inibire la secrezione di insulina e glucagone.

• Cellule F: secernono il polipeptide pancreatico, la cui sintesi è controllata prevalentemente dal sistema parasimpatico ed inibita

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10 dalla somatostatina. Si è ipotizzato un suo coinvolgimento nel metabolismo energetico.

Le cellule nelle isole del Langerhans presentano una disposizione non casuale: le cellule β risiedono al centro, mentre le α circondano queste ultime. Anche le cellule delta e F, sebbene più rare, tendono a disporsi all’esterno.

Le isole sono altamente vascolarizzate: il flusso ematico nelle arteriole che penetrano al centro dell’isola è molto elevato e si suddivide in una rete notevolmente anastomizzata di capillari fenestrati, da cui il sangue si raccoglie in venule che lo convogliano nella vena porta epatica. La vascolarizzazione a flusso centrifugo, insieme alla disposizione delle varie cellule, permette al sangue, che entra all’interno di ogni isola, di raggiungere dapprima le cellule beta; successivamente le alfa, le delta e le F. In questo modo, alle cellule non poste al centro, ovvero le “non-β” perverrà un’elevata quantità di insulina e GABA.

Le isole pancreatiche sono diffusamente innervate da fibre ortosimpatiche, parasimpatiche e sensoriali che raggiungono le singole cellule. Il sistema nervoso autonomo controlla in modo differente la secrezione delle cellule alfa e beta: il sistema parasimpatico fa aumentare sia la secrezione di insulina che quella di glucagone, mentre la stimolazione dell’ortosimpatico aumenta i livelli di glucagone e diminuisce quelli di insulina.(6)

Figura 1- Rappresentazione anatomica del pancreas con dettaglio al microscopio riguardante un’isola pancreatica umana trattata con ematossillina eosina.

(11)

11

1.1.4 L’insulina nella regolazione dell’omeostasi glucidica

L’omeostasi glucidica è ottenuta grazie all’esistenza di un equilibrio nella produzione di insulina e glucagone da parte del pancreas endocrino. Essi, infatti, sono i principali ormoni coinvolti nel controllo della concentrazione circolante di glucosio, ovvero della glicemia.

Il rapporto dei livelli circolanti di questi ormoni dirige il metabolismo cellulare da anabolico a catabolico o viceversa, a seconda delle necessità dell’organismo. La loro azione si integra a segnali ormonali e nervosi che provengono dal tratto gastrointestinale, dalle ghiandole surrenaliche e dal sistema nervoso centrale e ha come risultato finale l’accoppiamento fra l’utilizzazione di glucosio da parte dei tessuti e la sua produzione endogena (gluconeogenesi epatica), in modo da garantire una fluttuazione minima della glicemia nel tempo.

L’insulina è un ormone proteico codificato da un unico gene che, nell’uomo, è localizzato sul braccio corto del cromosoma 11. La proteina, del peso di 6 kDa, è costituita da due subunità lineari: catena A di 21 aminoacidi e catena B di 30 aminoacidi, unite da due ponti disolfuro (rispettivamente tra le cisteine A7-B7 e A20-B19). Un terzo ponte disolfuro unisce le cisteine 6 e 11 all’interno della catena A. Tutti e tre i ponti disolfuro sono essenziali per il mantenimento della corretta conformazione tridimensionale della molecola, necessaria per l’interazione con il recettore e la risposta dei tessuti bersaglio.

Come tutti gli ormoni proteici, l’insulina viene biosintetizzata nel reticolo endoplasmatico rugoso come preproforma a singola catena e viene trasformata in insulina matura durante il trasporto dal reticolo endoplasmatico all’apparato del Golgi e nelle vescicole di secrezione . Dopo il distacco del peptide dalla molecola nascente di preproinsulina, la proinsulina (la cui sequenza a partire dall’estremità ammino terminale è costituita dalla catena B, dal peptide C e dalla catena A) si ripiega su se stessa in modo tale che le catena A e B si trovino vicine nello spazio e che possano formarsi i ponti disolfuro. Nelle vescicole secretorie, l’insulina precipita formando dei cristalli

(12)

12 costituiti da sei molecole coordinate con due ioni zinco (unità esameriche). Questi complessi vengono circondati dal peptide C e da una piccola quota di proinsulina, mantenuti in soluzione. Dunque, l’esocitosi dei granuli libererà, oltre all’insulina, il peptide C, gli ioni zinco e una piccola quota di proinsulina. L’intero processo biosintetico dura alcune ore, mentre la secrezione di insulina in risposta ad uno stimolo è molto rapida (pochi minuti).

Sulla membrana plasmatica delle cellule β sono presenti i recettori per i numerosi neurotrasmettitori e ormoni in grado di stimolare o inibire la sintesi e la secrezione di insulina. Oltre a questi, vi sono sensori che misurano i livelli circolanti di glucosio, di alcuni amminoacidi e di acidi grassi e controllano la secrezione ormonale. Fra i principali modulatori della secrezione insulinica si riconoscono:

➢ gli stimolatori:

• il glucosio, la quantità di glucosio post-prandiale in circolo, infatti, rappresenta il principale stimolo per la secrezione dell’insulina;

• gli aminoacidi;

• le incretine (GIP, GLP1), che agiscono su un recettore accoppiato a proteine G stimolatorie;

• l’acetilcolina, che si lega al recettore di tipo muscarinico ,

• le catecolamine, le quali interagiscono col recettore β adrenergico accoppiato a proteine G stimolatorie,

• il glucagone, che agisce su recettori accoppiati a proteine G stimolatorie.

Tutti questi modulatori concorrono ad un’azione di tipo sinergico insieme al glucosio, che ha come risultato l’aumento della liberazione di insulina,

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13 ➢ gli inibitori:

• la somatostatina, che agisce sui recettori accoppiati a proteine G inibitorie;

• le catecolamine, che si legano al recettore α2 adrenergico accoppiato a proteine G inibitorie;

• la diminuzione della glicemia, sia per azione diretta sia per attivazione degli ormoni iperglicemizzanti;

• digiuno, esercizio fisico; azione mediata dalla diminuzione della glicemia.

Il punto comune di tutte le vie di trasduzione del segnale che stimolano o inibiscono la liberazione di insulina è rispettivamente l’aumento o la diminuzione della concentrazione di calcio intracellulare. L’aumento di calcio, infatti, incrementa il movimento dei granuli lungo i microtubuli e quindi il loro spostamento verso la membrana cellulare. A questo livello, i granuli si legano a particolari proteine di ancoraggio che facilitano l’esocitosi di queste nel circolo sanguigno. Una volta liberate, le unità esameriche di insulina si dissociano rapidamente nei singoli monomeri e si ha l’aumento di insulinemia. L’insulina svolge il suo ruolo interagendo con i suoi recettori, situati prevalentemente negli organi bersaglio (fegato, muscolo e tessuto adiposo). Il recettore è una glicoproteina transmembrana di circa 340 kDa, appartenente alla famiglia dei recettori ad attività chinasica. E’ costituito da quattro subunità legate tra loro da ponti disolfuro. Mentre due subunità α sono completamente extracellulari e contengono il sito di legame per l’ormone, le β attraversano la membrana cellulare e possiedono nella porzione intracellulare un’elevata concentrazione di tirosine, la cui fosforilazione attiva il recettore. Il legame dell’insulina alle subunità alfa induce un cambiamento della conformazione dell’intera molecola, che smaschera i siti di legame per l’ATP sulle subunità β e la successiva autofosforilazione dei residui tirosinici presenti nel dominio catalitico di queste subunità. Ne deriva una cascata di fosforilazioni di altri substrati che genera una risposta pleiotropica, che oltre a diminuire la glicemia, stimola pure il trofismo cellulare.

(14)

14 Un possibile effetto, derivante dall’attivazione della fosfatidil inositolo-3 chinasi (PI-3 chinasi), che a sua volta fa aumentare i livelli di fosfoinositolo-3 fosfato (PI-3 fosfato), è quello di attivare la traslocazione delle vescicole contenenti i trasportatori del glucosio [GLUT4] verso la superficie cellulare sia fdcnel tessuto adiposo sia in quello muscolare.

I tessuti principalmente coinvolti nell’omeostasi glicemica sono il fegato, il muscolo e il tessuto adiposo, sui quali l’insulina esercita potenti effetti anabolizzanti, promuovendo in primis l’ingresso del glucosio e degli altri nutrienti e in un secondo momento i processi di deposito (glicogenosintesi, lipogenesi, sintesi proteica).(6)

A livello epatico lo stimolo insulinico promuove il processo di glicogenosintesi.

Una volta che i depositi epatici di glicogeno sono ricostituiti, l’eccesso di glucosio viene utilizzato per la sintesi di trigliceridi. Parallelamente, l’elevato rapporto insulina/glucagone inibisce le vie della glicogenolisi e della gluconeogenesi, promuovendo un effetto anti-chetogenico, e inibisce la lipolisi. Invece, il muscolo scheletrico rappresenta il tessuto più sensibile all’insulina. L’insulina stimola la captazione di glucosio da parte del muscolo scheletrico aumentando la traslocazione dei trasportatori GLUT4 preesistenti nelle membrane cellulari di questo tessuto. Il glucosio viene, poi, utilizzato per ricostituire i depositi di glicogeno oppure avviato alla via glicolitica per la produzione di energia. Parallelamente viene inibita la glicogenolisi. Infine, l’insulina a livello muscolare promuove la sintesi proteica e ne inibisce il catabolismo.

Nel tessuto adiposo l’insulina promuove il deposito degli acidi grassi liberi sotto forma di trigliceridi bloccando allo stesso tempo la lipolisi dei trigliceridi esterificati.(7)

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15

1.1.5 GSIS: Glucose-Stimulated Insuline Secretion

Il principale stimolo per la secrezione di insulina è la quantità di glucosio presente in circolo dopo un pasto, per questo si parla di Glucose-Stimulated Insuline Secretion (GSIS). L’aumento di rilascio di insulina è effettivamente direttamente proporzionale al carico glucidico. Questa relazione è resa possibile dalla presenza nelle cellule β di alcuni meccanismi che ”accoppiano” il metabolismo cellulare all’apertura di canali voltaggio-dipendenti per il calcio. L’intero processo può essere schematizzato in questo modo [Figura 2] : [1] Il glucosio circolante penetrato nella cellula per diffusione facilitata grazie al trasportatore GLUT2 viene trasformato in glucosio-6-fosfato (glucosio-6P) dalla glucochinasi e avviato alla glicolisi, [2] l’ossidazione del glucosio determina un rapido aumento dei livelli intracellulari di ATP, [3] una quantità maggiore di ATP si lega ad un particolare canale per il potassio ATP-dipendente (KATP) e ne determina la chiusura, [4] il blocco dell’uscita di questo

ione provoca la depolarizzazione della cellula, [5] la depolarizzazione causa l’apertura di canali voltaggio dipendenti e quindi l’ingresso di Ca2+ che

depolarizza ulteriormente la cellula, [6] l’aumento del Ca2+ citosolico attiva il

movimento dei granuli lungo i microtubuli e quindi fa aumentare la quantità di insulina secreta. Anche gli aminoacidi e gli acidi grassi che entrano nella cellula vengono convertiti in composti intermedi della glicolisi e dunque contribuiscono a far aumentare i livelli di ATP.

Studi condotti nel 1992 hanno però evidenziato come il meccanismo bifasico non sia dipendente in toto dall’apertura o chiusura dei canali KATP. Trattando

le cellule β con diazzossido (attivatore dei canali KATP), si è potuto vedere

effettivamente come il glucosio, seppur presente a basse concentrazioni, sia in grado di stimolare la secrezione insulinica grazie a meccanismi dipendenti dall’aumento della concentrazione di Ca2+ intracellulare e dal metabolismo

mitocondriale, indipendentemente dai canali KATP. In questo modo, si

spiegherebbe la quantità basale di insulina secreta a prescindere dal carico glucidico assunto.(8)

(16)

16

Figura 2- Secrezione dell’insulina. L’ingresso di glucosio e il suo utilizzo nella glicolisi aumentano i livelli di ATP che chiudono un canale del potassio ATP-dipendente (KATP). La depolarizzazione cellulare apre i canali voltaggio-dipendenti del calcio (VDCC). L’aumento della concentrazione intracellulare di calcio attiva il processo di esocitosi. Gli altri modulatori della secrezione cooperano alla variazione del calcio intracellulare disattivando (agonisti α-adrenergici, somatostatina) o attivando (agonisti β-α-adrenergici, glucagone, GIP, GLP1, acetilcolina) meccanismi di trasduzione del segnale.

1.1.6 Le incretine

Le incretine sono una classe di peptidi che prendono parte alla secrezione insulinica. Sono sintetizzate nel tratto gastrointestinale in risposta all’introduzione di nutrienti, in particolare ai carboidrati, che stimolano le cellule β pancreatiche. Le due principali incretine sono GLP-1 (peptide glucagone-simile di tipo 1) e GIP (il polipeptide insulinotropico glucosio-dipendente). Esse potenziano la secrezione insulinica post-prandiale, aumentando la sensibilità delle cellule β ai livelli di glucosio presenti nel torrente circolatorio.

In particolare GLP-1, incrementando la concentrazione intracellulare di AMPc, stimola la proliferazione delle cellule β e ne aumenta la differenziazione. Inoltre, agisce negativamente sulla secrezione del glucagone e sul rilascio delle riserve di glucosio da parte del fegato. A prescindere, però, dalla loro attività benefica, non possono essere utilizzate in terapia come tali data la loro breve emivita (pochi minuti), dovuta alla rapida inattivazione da parte dell’enzima dipeptidil peptidasi 4 (DPP-4). Per ovviare a questo inconveniente e

(17)

17 prolungarne l’emivita, si è ricorsi alla sintesi di analoghi con modifiche strutturali funzionali o ad una co-somministrazione con inibitori dell’enzima precedentemente citato. Per di più, gli studi condotti hanno evidenziato come il cosiddetto “effetto incretinico” sia dipendente dalla dose di glucosio somministrata.(9) (10) (11) (12)

1.1.7 Classificazione del DM

I precedenti schemi classificativi del DM si basavano sull’età di esordio della malattia o sulle modalità terapeutiche, al contrario le classificazioni odierne rispecchiano la maggiore comprensione della patogenesi di ciascuna variante. Le due principali classi del DM sono:

• il diabete di tipo 1 (DMT1), patologia autoimmune caratterizzata da un deficit assoluto di insulina causato dalla distruzione delle cellule β del pancreas;

• il diabete di tipo 2 (DMT2), causato dall’associazione tra una resistenza periferica all’azione dell’insulina e un’inadeguata risposta secretoria da parte delle cellule β del pancreas (“deficit relativo di insulina”).(1)

Altre forme di diabete esistenti sono:

• il diabete di tipo adulto a esordio giovanile ( Maturity-Onset Diabetes of

the Young, MODY), è un sottotipo di DMT2 caratterizzato da

ereditarietà autosomica dominante, insorgenza precoce dell’iperinsulinemia (di solito entro i 25 anni di età) e alterazione della secrezione insulinica. Sono state evidenziate mutazioni a livello di 6 loci, su differenti cromosomi; la forma più comune di diabete MODY si associa a mutazioni sul cromosoma 12, che prevede l’alterazione di un fattore di trascrizione nucleare epatico, il HNF-1α. Una seconda forma di diabete MODY è dovuta a mutazioni a livello del gene della glucochinasi, localizzato sul cromosoma 7, che porta ad una riduzione

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18 dei livelli di tale enzima. Infine, le forme meno comuni prevedono mutazioni a carico di altri fattori di trascrizione, quali 4α, HNF-1α, insulin promoter factor 1 (IPF-1), e NeuroD1.

• il diabete autoimmune a lenta evoluzione (latent autoimmune diabetes of the adult , LADA): è una forma di diabete su base autoimmunitaria a

lenta evoluzione verso l’insulino-dipendenza. Si tratta di un sottotipo di DMT1.(13)

• il diabete gestazionale (DMG), forma di diabete che si sviluppa o è diagnosticata durante la gravidanza e che esclude dunque il DM preesistente alla gravidanza. Si riscontra di solito durante l’ultimo trimestre, quando la placenta e gli ormoni relativi ad essa creano insulino-resistenza. Necessita di uno stretto controllo, in quanto piccoli aumenti di glicemia, se non trattati, possono avere gravi conseguenze sul feto. Di solito si risolve dopo il parto, ma espone la donna al rischio di contrarre DM nei successivi 10-20 anni.(14) (15)

1.1.8 Epidemiologia del DM

La percentuale di persone affette da DM rappresenta un dato in netto aumento in tutte le nazioni, tant’è che ha assunto i tratti di una vera e propria

pandemia. Questo fenomeno è favorito anche dall’incremento del tasso di

obesità e dal diffondersi sempre più di abitudini alimentari/comportamentali non corrette, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Solo nel 2013 si stimavano 382 milioni di persone affette da DM, dato che però è in continua crescita visto che dovrebbe salire a 592 milioni entro il 2035.(16)

Rispetto ai bianchi non ispanici, i nativi americani, gli afroamericani e gli ispanici hanno una probabilità 1.5-2 volte superiore di sviluppare la malattia nel corso della vita. Oltre a quanto già detto, il 90-95% dei pazienti diabetici soffre di DMT2 e la maggior parte di loro è in sovrappeso. Sebbene, tradizionalmente sia considerata una malattia tipica dell’adulto, la prevalenza

(19)

19 di questa tipologia di diabete sta aumentando in maniera allarmante nei bambini e negli adolescenti.(1)

L’impatto sulla sanità pubblica dunque è tutt’altro che trascurabile: secondo valutazioni dell’OMS la crescita annuale del diabete è stimabile intorno al 5-6%. I Paesi, che dovranno contrastare maggiormente questo fenomeno dilagante, saranno soprattutto quelli in via di sviluppo e quelli industrializzati come l’Italia sia perché l’età media della popolazione è sempre più in aumento sia perché l’incidenza di obesità nelle fasce di età medio-basse è un dato di fatto molto preoccupante.(23) Una stima recente ha suggerito che il DM sia la

quinta causa principale di morte nel mondo e che sia stato responsabile di quasi 4 milioni di morti nel 2010 (6,8% delle morti in tutto il mondo). Nonostante queste statistiche, però, il suo impatto negativo a livello della popolazione rimane sottostimato.(2)

1.1.9 Diagnosi del DM

La tolleranza al glucosio può essere valutata in base alla glicemia plasmatica a digiuno (fasting plasma glucose – FPG), alla risposta al test di carico orale con glucosio (OGTT) o alla percentuale di emoglobina glicata (HbA1C).

L’International Expert Committee, con membri designati dell’American Diabetes Association, dalla European Association for the Study of Diabetes e dalla International Diabetes Federation, ha definito criteri diagnostici per il DM basandosi sulle seguenti premesse:

1. Il FPG, la risposta ad un carico orale di glucosio (OGGT) e l’HbA1c variano tra i soggetti;

2. Il DM è definito come il livello di glicemia al quale si hanno le manifestazioni cliniche della patologia, e non come l’innalzamento della glicemia rispetto ai valori medi riscontrati nella popolazione normale.

(20)

20 • Una glicemia a digiuno <110 mg/dl è considerata normale;

• Una glicemia a digiuno ≥110 mg/dl ma <126 mg/dl è definita come

alterata glicemia a digiuno (impaired fasting glucose – IFG).

• Una glicemia a digiuno ≥126 mg/dl conferma la diagnosi di DM. I valori elevati di glucosio possono essere rivelati anche tramite OGTT.

Se dopo due ore da un carico orale di glucosio di 75g la glicemia assume valori superiori a 200 mg/dl si ha la conferma della diagnosi di DM.

Nel caso in cui tali valori siano compresi tra 140-200 mg/dl si parla invece di alterata tolleranza al glucosio (impaired glucose tolerance – IGT).(2)

Altro parametro introdotto recentemente è la percentuale di emoglobina glicosilata (HbA1c). Essa rappresenta la percentuale di emoglobina che si lega al glucosio. Il processo di glicosilazione riflette la concentrazione media di glucosio, alla quale è stata esposta l’emoglobina nei tre mesi precedenti, Questo parametro è particolarmente utile per valutare lo stato di controllo del diabete nel tempo. Se HbA1c >6.5% siamo in una situazione in cui il paziente è affetto da DM.(14) (17) (18) (19)

1.1.10 Patogenesi del DMT2

Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia complessa multifattoriale prototopica. I fattori ambientali, come la vita sedentaria e le abitudini alimentari, rivestono un ruolo importante. Anche i fattori genetici non sono trascurabili, in particolare il rischio di insorgenza della malattia presenta una percentuale maggiore del 50% nel momento in cui entrambi i genitori ne sono affetti.

Le caratteristiche di questa patologia sono: marcata iperglicemia, presenza di infiammazione cronica, insulino-resistenza, aumento della produzione epatica di glucosio e dei lipidi e danneggiamento delle funzioni mitocondriali nel muscolo.

(21)

21 L’insulino-resistenza precede lo sviluppo dell’iperglicemia ed è di solito accompagnata da iperfunzione delle cellule β compensatorie e da iperinsulinemia nelle fasi iniziali della patologia. Le cellule β pancreatiche, infatti, in un primo momento tentano di compensare l’insulino-resistenza con una ipersecrezione di insulina, che però viene a mancare nel momento in cui si ha l’apoptosi delle cellule β indotta dal sistema immunitario attraverso l’infiammazione cronica. Le conseguenze che ne derivano sono: un minor assorbimento del glucosio nel muscolo e del suo deposito sotto forma di glicogeno, una ridotta glicolisi e ossidazione degli acidi grassi nel fegato e incapacità di sopprimere la neoglucogenesi a livello epatico. Si instaura dunque un fenomeno detto glucotossicità, derivante da un innalzamento inarrestabile della glicemia.

L’insulino-resistenza è strettamente correlata all’obesità. Si è evidenziato che il rischio di diabete aumenta con l’incremento dell’indice di massa corporea (BMI). Non è rilevante solo la quantità assoluta di grasso corporeo, ma anche la sua distribuzione: l’obesità centrale (grasso addominale) innalza notevolmente la soglia di sensibilità dei tessuti all’ormone rispetto ai depositi adiposi periferici (gluteo/sottocutaneo).

L’infiammazione cronica avviene su due livelli: nel tessuto adiposo con formazione di adipochine e nelle cellule β pancreatiche, in cui vengono sintetizzate prevalentemente IL-1β (interleuchina-1β), IL-6 (interleuchina-6) e TNF-α (fattore di necrosi tumorale).

Il tessuto adiposo, difatti, non è un tessuto passivo, ma è in grado di produrre mediatori pro-infiammatori con modalità auto/paracrina o endocrina. Nello specifico, produce le adipochine, citochine che, oltre a regolare l’appetito, il peso corporeo, la spesa energetica e l’insulino-resistenza, reclutano macrofagi all’interno di esso. L’insulino-resistenza causa, pure, un aumento della secrezione dei trigliceridi e degli acidi grassi liberi (FFA- palmitico, stearico, oleico), che vengono utilizzati dal muscolo e dal fegato, il quale li converte in zuccheri attraverso il processo della gluconeogenesi (lipotossicità).

Nel pancreas, invece, le citochine portano da un lato a una diminuzione delle cellule β, dall’altro ad un aumento di quelle α e ciò induce l’aumento della

(22)

22 concentrazione di glucosio in circolo grazie alla liberazione di glucagone. Proprio il glucosio e gli acidi grassi liberi promuovono la formazione di IL-1β. Il danneggiamento mitocondriale avviene, al contrario, attraverso un difetto delle operazioni di deacetilazione e acetilazione delle proteine, che porta ad un aumento delle proteine acetilate (iperacetilazione). Ciò provoca un diverso assetto delle modificazioni post- traduzionali delle proteine mitocondriali, che ha come conseguenza una produzione eccessiva di ROS (specie reattive dell’ossigeno), necessarie ad un aumento esponenziale della produzione di IL-1β, grazie al loro accoppiamento con la proteina che interagisce con tioredossina (TXNIP). (1) (2) (20) (21) (22)

1.1.11 Sintomi e complicanze del DMT2

I sintomi più comuni del DMT2 sono:

• poliuria (aumento della quantità di urine emesse nelle 24 h) e nicturia (minzione durante le ore notturne, dovute ad un ridotto riassorbimento tubulare dell’acqua;

• Polidpsia, aumento del senso di sete dovuto alla disidratazione;

• Polifagia e perdita di peso, aumento del senso di fame e di dimagrimento, poiché il deficit di insulina comporta l’incapacità da parte dei tessuti di utilizzare i nutrienti.(14)

Le complicanze del DM sono numerose e hanno un impatto prevalentemente sul sistema cardiovascolare, sull’occhio, sul rene e sul sistema nervoso. Possono essere suddivise in acute e croniche.

(23)

23 Tra le complicanze acute citiamo:

➢ Chetoacidosi diabetica (CAD): la CAD è il risultato della combinazione di carenza insulinica, relativa o assoluta, ed eccesso di ormoni controregolatori (es. glucagone, catecolamine, cortisolo).

Può colpire sia i soggetti affetti da DM di tipo 1 che di tipo 2.

Il ridotto rapporto insulina/glucagone promuove la gluconeogenesi, la glicogenolisi e la formazione di corpi chetonici nel fegato, oltre ad incrementare il rilascio di nutrienti dal muscolo e dal tessuto adiposo verso il fegato.

La carenza di insulina o la mancanza della sua azione dovuta ad insulino-resistenza periferica spostano il metabolismo verso la produzione di glucosio, portano a riduzione dei livelli del trasportatore del glucosio GLUT4, alterando l’utilizzazione del glucosio nel muscolo scheletrico e nel tessuto adiposo.

La chetosi deriva da un massiccio incremento dei livelli di acidi grassi circolanti, che determina uno spostamento del metabolismo epatico verso la produzione di corpi chetonici.

A pH fisiologico i corpi chetonici sono presenti come chetoacidi e sono neutralizzati dai bicarbonati; quando però i depositi di bicarbonati si esauriscono si instaura la condizione di acidosi metabolica.

La CAD è dunque caratterizzata da iperglicemia, chetosi e acidosi metabolica.

➢ Stato iperosmolare iperglicemico (SII): colpisce prevalentemente i soggetti affetti da DMT2.

Il deficit relativo di insulina e l’inadeguato apporto idrico sono le cause principali dello SII.

La carenza insulinica incrementa la produzione epatica di glucosio attraverso la glicogenolisi e la gluconeogenesi, e altera l’utilizzazione del glucosio a livello del muscolo scheletrico.

(24)

24 L’iperglicemia induce una diuresi osmotica che determina una marcata riduzione del volume intravascolare, peggiorata dall’inadeguato apporto di liquidi.

Le complicanze croniche del DM, invece, colpiscono molti apparati e sono associate fortemente alla morbilità e alla mortalità, che questa malattia comporta. Le complicanze croniche possono essere suddivise in complicanze non vascolari e vascolari, le quali a loro volta si suddividono in microvascolari e macrovascolari. L’entità delle complicanze aumenta in funzione della durata e carico dell’iperglicemia. Purtroppo, le complicanze diventano manifeste solo nella seconda decade dell’iperglicemia, a tal punto che spesso momento della diagnosi e delle complicanze coincidono.

➢ complicanze microvascolari:

• malattia oculare (retinopatia non proliferativa/proliferativa, edema maculare);

• neuropatia (sensoriale e motoria, autonomica); • nefropatia. ➢ complicanze macrovascolari: • coronopatia; • arteriopatia periferica; • vascuopatia cerebrale. ➢ altre: • gastrointestinali: gastroparesi/diarrea; • genitorourinarie: uropatia/disfunzione sessuale;

• dermatologiche; • infezioni; • cataratta; • glaucoma; • malattia periodontale; • perdita udito.(2)

(25)

25

1.2 LA TERAPIA DEL DMT2

Il trattamento del DM è sempre più di pertinenza multidisciplinare: l’internista, il diabetologo; il nutrizionista e l’infermiere professionale devono cooperare sinergicamente, al fine di realizzare obiettivi terapeutici comuni che sono il raggiungimento del peso corporeo ideale, la correzione del difetto metabolico e la prevenzione o il ritardo delle complicanze croniche (micro e macrovascolari), così da aumentare la qualità e l’aspettativa di vita dell’individuo.(2)(14)

1.2.1. Terapia non farmacologica

Poichè il sovrappeso e l'obesità rappresentano fattori determinanti per il rischio di diabete Tipo 2, soprattutto se l’accumulo adiposo è localizzato a livello addominale, la riduzione del peso corporeo si è dimostrata un potente mezzo per migliorare la sensibilità all'insulina. Dato il ruolo centrale che l'insulino-resistenza gioca nella patogenesi del diabete Tipo 2, appare ovvia la funzione che dieta ed attività fisica devono svolgere nel piano terapeutico del paziente affetto da suddetta patologia. Inoltre, l'esercizio fisico eseguito regolarmente porta ad un aumento della massa e dell'afflusso di sangue a livello muscolare, traducendosi in una attivazione dei sistemi di trasporto del glucosio e della capacità ossidativa mitocondriale. Cruciali però nella prescrizione terapeutica (farmacologica e non) rimangono il processo educativo del paziente, la ricerca della motivazione, la condivisione degli obiettivi e del percorso terapeutico. In altre parole, si tenta di attuare un approccio terapeutico mirato e personalizzato e un rapporto medico-paziente, che sia in grado di aumentare la compliance del paziente alla cura.(23)

Gli schemi di trattamento oggi più accreditati fanno riferimento alle “raccomandazioni” proposte dall’American Diabetes Association (ADA) e dall’European Association for the Study of Diabetes (EASD). Diversamente dalle terapie monolitiche e restrittive adottate negli scorsi decenni, esse

(26)

26 prevedono il consumo di alimenti con basso indice glicemico (per indice glicemico si intende una stima dell’aumento post-prandiale della glicemia dopo il consumo di una certa quantità di un determinato alimento). Si incoraggia, infatti, i pazienti a utilizzare il conteggio dei carboidrati o i sistemi per valutare il contenuto nutrizionale di un pasto o di uno spuntino. In questo modo, si possono tenere le fluttuazioni di glucosio in un range abbastanza costante.(2) (12)

1.2.2 Terapia farmacologica

La terapia farmacologica rappresenta spesso uno step necessario quando la sola dieta e l’attività fisica non risultano sufficienti a contrastare l’iperglicemia. La prima non deve assolutamente portare all’esclusione della terapia non farmacologica, in quanto essa rappresenta una base terapeutica valida e necessaria.

Nel DMT2 i farmaci usati sono gli ipoglicemizzanti orali, farmaci di prima scelta, che però sono del tutto inefficaci in caso di completa deficienza delle cellule β del pancreas. Agiscono iperattivando le poche cellule ancora funzionanti del pancreas e sensibilizzando i tessuti periferici alla captazione di insulina, Essi si distinguono in varie classi:

• le sulfaniluree, sono farmaci che stimolano la liberazione di insulina da parte delle cellule β e sensibilizzano i tessuti periferici all’insulina. Agiscono indipendentemente dall’assunzione di cibo e si legano al recettore per le sulfaniluree a livello dei canali di potassio ATP-dipendenti (KATP), espressi sulla membrana delle cellule β pancreatiche.

Il legame agonista-recettore provoca la chiusura dei canali KATP

causando depolarizzazione e dunque rilascio intracellulare di Ca2+ con

conseguente rilascio di insulina.

Esse, inoltre, sono in grado di esercitare il loro effetto ipoglicemizzante attraverso la competizione al legame dell’insulina con le proteine

(27)

27 plasmatiche. Sostituendosi ad essa, aumentano dunque i livelli plasmatici di insulina.

Si suddividono in sulfaniluree di:

-prima generazione: tolbutamide, clorpropamide, tolazamide; -seconda generazione: gliburide, glimepiride e glipizide.

• le biguanidi, rappresentate da metformina e fenformina, sono indicate in pazienti diabetici obesi poiché presentano un effetto blando anoressizzante. La molecola più prescritta è la metformina, in quanto presenta un profilo di tollerabilità più vantaggioso. Si definiscono farmaci “euglicemizzanti”, visto che non provocano mai ipoglicemia. Riducono la produzione epatica di glucosio mediante l’attivazione di proteinchinasi AMP dipendenti (AMPK) e sono in grado di ridurre le concentrazioni di glucosio plasmatico a digiuno migliorandone il suo utilizzo periferico. Inoltre, migliorano il profilo lipidico causando una modesta perdita di peso.

• I tiazolidinedioni, hanno un effetto ipoglicemizzante molto prolungato, per cui è sufficiente un’unica somministrazione nelle 24 h. Migliorano la sensibilità dei tessuti periferici (muscoli scheletrici e adipe) e del fegato all’insulina endogena, regolando così l’espressione dei geni che nelle cellule controllano il metabolismo di carboidrati e lipidi. I tiazolidinedioni agiscono attraverso il legame con specifici recettori nucleari, i PPARγ (peroxyisome proliferator-activated receptor-γ), la cui attivazione migliora l’effetto dell’insulina a livello del tessuto muscolare, adiposo ed epatico, dove cioè è più marcata la condizione di insulino-resistenza. Conseguentemente, si ha una riduzione notevole della glicemia sia a digiuno sia post-prandiale e anche dell’emoglobina glicosilata. I loro rappresentanti sono pioglitazone e rosiglitazone. Un effetto comune con l’uso di questi farmaci è un modesto aumento di peso,

(28)

28 che sembra paradossale visto che si accompagna a un miglioramento dell’insulino-resistenza, ma che è spiegato dal fatto che i glitazoni operano una profonda redistribuzione del tessuto adiposo, riducendo quello viscerale, metabolicamente dannoso e incrementando quello sottocutaneo, metabolicamente inerte.

• gli inibitori α-glucosidici, come acarbosio e miglitol. Assunti prima dei pasti, riducono l’assorbimento del glucosio inibendo l’α-glucosidasi, enzima che degrada gli oligosaccaridi in zuccheri semplici nel lume intestinale. Questi farmaci sono controindicati in casi di infiammazione acuta o cronica intestinale.

• gli incretinici, sono farmaci potenziatori dell’azione svolta da particolari ormoni, le incretine, che come precedentemente detto aumentano la secrezione di insulina indotta dal glucosio. Agiscono, infatti, diminuendo l’apoptosi delle cellule secerneti insulina e stimolandone la loro proliferazione. Inoltre, svolgono un’azione inibitoria sul glucagone e sulla neoglucogenesi epatica, rallentando il tempo di svuotamento gastrico. Sono molto utili in terapia, nel momento in cui l’apoptosi delle cellule β è causata dall’istaurarsi di un’infiammazione cronica che porta alla sintesi dell’IL-1β, dannosa per il pancreas. In terapia si somministrano agonisti iniettabili del recettore GPL-1 (peptide1-simile al glucagone) o si opera una co-somministrazione delle incretine insieme ad un inibitore della dipeptidil peptidasi 4 (DPP-4), enzima che degrada l’ormone incretinico. Fanno parte di questa classe exenatide e sitaglipitin.(2) (10)(15)

1.2.3 Terapia insulinica

La terapia insulinica (singola o in combinazione con ipoglicemizzanti orali) si inserisce nell’ambito farmacologico del DMT2 nel momento in cui la somministrazione di uno o più ipoglicemizzanti orali non è più sufficiente a

(29)

29 stabilizzare la glicemia. Ciò si verifica negli stadi avanzati della patologia, caratterizzati da una scarsa sintesi di insulina dovuta all’ingente apoptosi delle cellule β.

Le insuline presenti in commercio sono disponibili in siringhe o pompe da infusione per l’iniezione sottocutanea e differiscono principalmente per la loro durata d’azione.

Si distinguono:

• Insuline ad azione ultrarapida – insulina lispro e aspart: hanno emivita molto breve, che non supera le 4-5 ore. Data la loro rapida insorgenza d’azione, esse vengono iniettate poco prima del pasto ed hanno un effetto sulla glicemia post-prandiale molto simile a quello fisiologico; • Insulina ad azione rapida: è identica a quella umana in quanto

ottenuta mediante la tecnica del DNA ricombinante e cristallizzata con zinco. L’effetto si manifesta entro 30 minuti e raggiunge il picco dopo 2-3 ore dall’iniezione; generalmente ha una durata che varia dalle 5 alle 8 ore.

• Insuline ad azione intermedia – insulina NPH (Neutral Protamine Hagedorn): ha insorgenza di azione ritardata (circa 2-5 ore) e una durata d’azione di 4-12 ore. La sua azione ritardata è dovuta al fatto che l’insulina è complessata con protamina, la quale viene degradata da enzimi proteolitici al momento dell’iniezione.

• Insuline a lunga durata d’azione – insulina glargina: possiede un plateau protratto di concentrazione plasmatica con azione molto protratta. Questo farmaco è stato relizzato per la riproduzione di convenienti livelli basali di insulina. L’aggiunta di due molecole di arginina alla catena B carbossi-terminale e la sostituzione di glicina con asparagine nella posizione A21 crea un analogo dell’insulina che risulta solubile in soluzioni acide, che però precipita al pH neutro fisiologico dopo somministrazione sottocutanea. Si viene a creare un deposito di insulina che si dissolve lentamente nell’arco di 11-24 ore, garantendo un livello basso e costante di insulina circolante.

(30)

30 Difetto principale della terapia insulinica è rappresentato dalla crisi ipoglicemica, che è facilmente risolvibile mediante la somministrazione di glucosio.(23) (24)

1.3 INFIAMMAZIONE E DIABETE

Numerosi studi basati sulla popolazione hanno riconosciuto il processo infiammatorio come il punto di collegamento fra disturbi metabolici, obesità, aterosclerosi e DMT2. L’infiammazione dunque sembra rappresentare la base da cui si sviluppano varie patologie, in particolare il DMT2. Infatti, l’accumulo di macrofagi nel tessuto adiposo, l’origine comune di macrofagi e adipociti, la prevalenza periferica di cellule mononucleate e la stessa apoptosi delle cellule β del pancreas sono fonti di infiammazione presenti nell’eziologia del DMT2. L’insieme di fattori che espongono ad un aumento del rischio di contrarre DMT2 e malattie cardiovascolari (CVD-cardiovascular disease), noto come “sindrome metabolica”, vede nell’infiammazione una costante comune. (21) (25)

1.3.1 La sindrome metabolica

Con il termine “sindrome metabolica” si intende raggruppare un certo numero di fattori di rischio che, se co-presenti, culminano in varie patologie, tra cui il DMT2 e malattie a carico del sistema cardio-circolatorio, cancro, sindrome dell’ovario policistico (PCOS), apnea notturna, gotta. Essa presenta dunque un impatto socio-economico non trascurabile, tant’è che si parla di una vera e propria epidemia globale. La sedentarietà e una dieta ricca in grassi e carboidrati rappresentano i due fattori di rischio principali dello sviluppo di tale sindrome e culminano nell’obesità addominale e nell’insulino-resistenza, che sono parametri accertabili clinicamente.

Storicamente, Raeven fu il primo a mettere a punto il concetto della cosiddetta Sindome X nel 1998 (poi ribattezzata dallo stesso Raeven sindrome metabolica), ipotizzando che potesse avere un ruolo centrale, se non

(31)

31 scatenante, nella CVD e nel DMT2 attraverso un meccanismo di insulino-resistenza. I parametri su cui si basò per descriverla furono: iperglicemia, insulino-resistenza, ipertensione, ridotta concentrazione di colesterolo HDL (high density lipoproteins) e un incremento di trigliceridi-VLDL. Nel definire tale sindrome, però, omise l’obesità, in particolare quella addominale, ritenuta oggigiorno una delle componenti principali della sindrome metabolica.

Nell’ambito scientifico, molte organizzazioni internazionali ed èquipes di esperti si attivarono al fine di conferire criteri oggettivi con cui diagnosticare quella che oggi viene definita una delle più grandi sfide mondiali riguardo la salute pubblica.

La prima fu la World Health Organization (WHO) nel 1999, prendendo in esame l’insulino-resistenza e il diabete o ridotta tolleranza al glucosio come componenti centrali insieme ad almeno due di questi parametri: ipertensione, aumento dei trigliceridi e/o decremento del colesterolo HDL, obesità (misurata in termini della circonferenza vita/anca o dell’indice di massa corporea) e microalbuminuria.

Nel 2001, però, la National Cholesterol Education Program: Adult Treatment Panel III (NCEP, ATPIII) prese le distanze dalla WHO, ritenendo strumenti utili alla diagnosi la presenza di almeno tre di questi componenti:

- obesità centrale, misurata in base alla circonferenza della vita≥102 cm nell’uomo e ≥ 88 cm nella donna;

- pressione arteriosa, con pressione arteriosa sistolica≥130 mmHg e diastolica ≥ 85 mmHg;

- trigliceridi, >150 mg/dl;

- colesterolo HDL, <40 mg/dl nell’uomo e <50 mg/dl nella donna; - glicemia, ≥110 mg/dl.

Tali parametri sono stati leggermente modificati nel 2006 da un gruppo di esperti della American Heart Association (AHA) e del National Heart, Blood

(32)

32

and Lung Institute (NHBLI),del National Istitute of Health (NIH) , che hanno

decretato un abbassamento della soglia dell’iperglicemia da 110 mg/dl a 100mg/dl.

L’obesità centrale, secondo criteri alternativi proposti dall’ International

Diabetes Federation (IDF), viene posta al centro della sindrome metabolica,

constatando che, per la diagnosi della sindrome, debbano comunque essere presenti altre due alterazioni: disglicemia, bassi livelli di HDL, elevati trigliceridi e/o ipertensione

Inevitabilmente, queste due visioni riguardo il medesimo argomento resero impossibile il confronto tra i vari studi condotti, creando una frattura consistente nel mondo scientifico.

Inoltre, variabili come sesso, età ed etnie devono essere tenute di conto nel momento in cui si conducono tali studi .(26) (27) (28) (29)

1.3.2 L’obesità

L’obesità è una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, che ha ripercussioni sulla salute e può contribuire ad una riduzione dell’aspettativa di vita. Nel corso degli anni, questo fenomeno ha assunto proporzioni sempre più grandi fino a delineare una vera e propria pandemia. Sebbene si tratti di una patologia tipica della cosiddetta “società del benessere”, ovvero dei Paesi industrializzati come USA e UK, paradossalmente è presente ed è in crescita costante in quei Paesi in cui ancora si parla di malnutrizione come Somalia ed Angola.(23) (30)

Stando alle stime pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la prevalenza dell’obesità a livello mondiale è raddoppiata dal 1980 ad oggi. Nel 2014 più di 1.9 miliardi di persone con età maggiore di 18 anni erano in sovrappeso e fra queste più di 600 milioni erano obese. Inoltre, sempre nello stesso anno 41 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni di età erano sovrappeso o obesi.(31)

(33)

33 A seconda della zona anatomica interessata, si possono classificare due tipi di obesità: quella androide, tipica del maschio e caratterizzata da un aumento di adipe a livello dell’addome e quella ginoide, caratteristica del sesso femminile e localizzata a livello dei fianchi. Questo divario di genere, dovuto agli ormoni sessuali, però, tende a scomparire con l’avanzare dell’età, in quanto si ha una re-distribuzione corporea dell’adipe, che va a confluire nell’addome.

Dal punto di vista clinico, questa differenza è cruciale: infatti, l’obesità androide è strettamente correlata al DMT2 e a CVD. Ciò, è causato dall’attività endocrina svolta dal tessuto adiposo, che porta all’aumento di molecole pro-infiammatorie a discapito dell’adiponectina e dunque ad uno stato infiammatorio cronico, con liberazione di citochine come TNF-α; IL-1β e IL-6. Si ritiene dunque che l’effetto che l’obesità addominale esercita sul sistema immunitario, che culmina in un’infiammazione diffusa e prolungata nel tempo e che causa insulino-resistenza, sia alla base del rischio di contrarre DMT2.(21) (32) (33)

1.3.3 Il ruolo delle citochine nell’infiammazione legata a DMT2 e all’obesità

Dagli studi condotti è, ormai, evidente che la presenza di un blando livello di infiammazione cronica è un aspetto comune a patologie come il DMT2 e l’obesità.(34)In particolare, le cellule immunitarie presentano interconnessioni

con il sistema metabolico, a tal punto che riescono ad adattare le loro funzioni in base ai nutrienti presenti.

L’infiammazione in quanto tale non è da ritenersi un evento pericoloso per la salute, anzi essa svolge un ruolo protettivo dell’organismo allontanando l’agente patogeno o riparando i tessuti danneggiati. Ma, se prolungata nel tempo, porta alla distruzione delle cellule tissutali come nel caso delle cellule β nel DMT2.

(34)

34 In tutto l’organismo

Un aumento cronico dei livelli di glicemia in pazienti obesi o comunque insulino-resistenti, unito all’aumento della concentrazione plasmatica dei nutrienti e in particolare degli FFA, comporta un’infiammazione localizzata a livello degli organi coinvolti nell’omeostasi del glucosio (tessuto adiposo, fegato, vasi sanguigni, muscolo e isole pancreatiche). Gli FFA interagendo con i recettori di tipo Toll (TLR) possono indurre uno stato pro-infiammatorio. In particolare, il loro legame con TLR indipendenti scatena uno stato infiammatorio con produzione di ROS (specie reattive dell’ossigeno), che da una parte inducono stress chinasico, dall’altra portano alla formazione di “NPLR3 Inflammasomes” che a sua volta attiva il sistema delle IL-1.

Da studi in vitro su cellule pancreatiche umane e di topo è emerso che lo stato pro-infiammatorio è causato dall’attivazione dei recettori delle IL-1, indotto dai ROS. Somministrando, difatti, un antagonista di questi recettori, si inibisce la produzione sia di citochine che di chemochine in presenza degli FFA.

Anche l’iperglicemia gioca un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria. Per spiegare questo fenomeno sono stati ipotizzati due meccanismi. Il primo prevede la formazione dei prodotti finali della glicosilazione avanzata (advanced glycation end-products; AGEs), i quali stimolando il recettore RAGE attivano la trascrizione del fattore NF-KB (nuclear factor

kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) e comporta lo stress delle chinasi ERK1 e ERK2 e

induce la formazione di ROS. I recettori RAGE sono espressi in vari tipi di cellule come quelle dei macrofagi, della muscolatura liscia, le cellule T, i podociti, i cardiomiociti e i neuroni. Dal secondo meccanismo scaturiscono i ROS, sintetizzati quando l’eccesso di glucosio viene metabolizzato ad ATP, i quali agiscono sulla via dell’IL-1β.

Nelle isole pancreatiche

Il primo segno evidente di infiammazione nelle cellule pancreatiche è rappresentato dall’apoptosi delle cellule β grazie all’effetto dell’iperglicemia.

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35 La stimolazione del recettore Fas comporta l’attivazione del sistema delle IL-1β [Figura 3], prodotte dalle stesse isole pancreatiche e che a loro volta reclutano altre componenti del sistema immunitario. Il danno è visibile da una sezione tissutale caratterizzata da fibrosi per accumulo di depositi amiloidi, risultato dell’infiammazione cronica.

Figura 3- Risposta del sistema immunitario allo stress metabolico nelle isole pancreatiche. Diversamente dalle altre, le cellule β presentano un’elevata attività mitocondriale dovuta sia alla sensibilità al glucosio sia alla secrezione dell’ insulina mediante l’ossidazione del glucosio. Modificazioni post-traduzionali delle proteine mitocondriali culminano in un deficit della sirtuina 3 (SIRT-3) con conseguente produzione dei ROS, che insieme alla proteina che interagisce con la tioredossina (TXNIP) stimolano la sintesi di IL-1β.

Nel tessuto adiposo

Negli ultimi anni è stato appurato che il tessuto adiposo rappresenta un sito infiammatorio nel caso di pazienti obesi [Figura 4]. Al suo interno sono riscontrabili vari mediatori e fattori dell’infiammazione, tuttavia le cause scatenanti la flogosi sono ancora sconosciute e potrebbero coinvolgere meccanismi diversi, ma che cooperano in modo sinergico. In risposta ai cambiamenti delle dimensioni cellulari, si è visto che gli adipociti sono in grado di secernere citochine e chemochine. L’ipertrofia sembrerebbe portare

(36)

36 alla morte dell’adipocita e al conseguente rilascio del contenuto del citosol nello spazio extracellulare, causando una risposta immunitaria. I macrofagi osservati tendono a circondare le cellule apoptotiche formando strutture simili a corone. Inoltre, si ritiene che la flogosi indotta da FFA e dalle ceramidi dipenda da meccanismi che coinvolgono i recettori TLR o NLRP3 inflamasome. Un’ipotesi ancora non confermata è quella che l’ipossia, derivante dalla pressione esercitata dalla massa adiposa sui vasi sanguigni, sia in grado di stimolare la trascrizione genica a livello degli adipociti delle cellule immunitarie. In alternativa, lo stesso stress cellulare, in particolare quello relativo al reticolo endoplasmatico e correlato alla sua autofagocitosi potrebbe essere un meccanismo possibile così come le incretine.

Figura 4- Risposta del sistema nel tessuto adiposo in presenza di obesità.

A livello intra-vasale

L’aterosclerosi è una patologia fortemente collegata all’obesità e alla dislipidemia grazie alla stretta correlazione clinica che sussiste tra i livelli di LDL e la formazione di placche ateromatose. Tra i vari meccanismi che prendono parte alla flogosi, il sistema IL-1β è presente anche in questo caso, in particolare nelle malattie coronariche dovute ad ischemia [Figura 5]. Oltretutto, le placche ateromatose contribuiscono ad una sovraespressione

(37)

37 della caspasi-1, che svolge un importante ruolo nell’attivazione di IL-1β. Infatti, la formazione delle placche sembrerebbe coincidere con l’inizio della riposta del sistema immunitario: i macrofagi fagociterebbero i cristalli di colesterolo con successiva rottura dei lisosomi e rilascio nel citosol del contenuto proteolitico con conseguente attivazione di NLPR3 inflamasome. Persino IL-1α sembrerebbe secreta attraverso un meccanismo indipendente dalla caspasi 1 e da NLPR3.

L’effetto deleterio di entrambe le citochine e dell’aterosclerosi è contrastato da Nrf2 (NF-E2-related factor 2), il quale svolge un meccanismo di difesa dell’organismo aumentando gli enzimi antiossidanti.(35)

Figura 5- Attivazione del sistema immunitario provocata dall’ateroma.

Il DMT2 principalmente prevede l’espressione di tre tipi di citochine che esercitano la loro attività nelle isole pancreatiche: IL-1β, IL-6 e TNF-α.

IL-1β, interleuchina-1β, è considerata la maggior responsabile dell’induzione

del danno e dell’apoptosi delle cellule β pancreatiche. Infatti, i suoi effetti sono tempo-dipendenti: se espressa per un periodo limitato, fa sì che si attuino tutti i meccanismi che risolvono gli eventuali danni provocati dallo stress metabolico, se invece si mantiene inalterata nel tempo porta all’apoptosi. Le

(38)

38 cellule beta, dunque, diminuiscono e perdono massa e ciò influisce negativamente sui livelli di insulina secreta. La sua sintesi è stimolata da livelli crescenti di glucosio e degli FFA.

Studi effettuati sul ratto GK con un difetto delle cellule β che in età avanzata si traduce in insulino-resistenza dei tessuti, mostrano come la somministrazione di un antagonista del recettore IL-1 (IL-1Ra) riduca l’iperglicemia e stimoli la funzione delle cellule pancreatiche “deficitarie”. Alti livelli di IL-1β si traducono in una sovraespressione di citochine pro-infiammatorie (IL-6, TNFα), chemochine (KC, MCP-1, MIP-1α), MyD88, NFkBp65, TLR-2 e -4 nelle isole pancreatiche. IL-1Ra è capace di inibire la

sintesi di IL-6, KC, MCP-1 e MIP-1α fra il 35 e il 50% ed è in grado di contrastare gli effetti del palmitato e dell’eventuale associazione palmitato-glucosio, inibendo ulteriormente il rilascio di IL-6.

IL-6, interleuchina IL-6, è sovraepressa in caso di obesità ed è considerata un

parametro predittivo di possibile sviluppo di DMT2. E’ in grado di aumentare il numero di cellule α, innalzando i livelli di glucagone. Ciò non sembrerebbe svolgere un effetto negativo, bensì si ipotizza che possa rappresentare un sistema compensatorio dell’organismo, mirato ad aumentare la proliferazione delle cellule β in modo da mantenere l’omeostasi.(20) (36)

TNF α, fattore di necrosi tumorale α, secreto principalmente dai macrofagi che

si insediano nel tessuto adiposo. I suoi livelli aumentano nell’obesità viscerale, contribuisce ad aumentare l’insulino-resistenza da parte del tessuto adiposo e la produzione della reactive-protein C (CRP), segno di un’infiammazione in corso. Esperimenti in vitro riportano che a livello della muscolatura liscia e dell’endotelio promuove l’adesione delle molecole e delle citochine per attivazione dell’NF-kB,(37)

Ma le citochine e le chemochine sono solo una componente di un sistema molto più complesso e strutturato, ovvero quello delle adipochine. Queste comprendono una vastissima serie di composti, differenti per struttura e funzione, fra cui ormoni, regolatori del metabolismo glucidico e lipidico,

(39)

39 regolatori dell’omeostasi del glucosio; proteine del sistema del complemento e proteine coinvolte nell’angiogenesi,

Sono responsabili delle interazioni tra il tessuto adiposo, il tessuto muscolare, i surreni e il sistema nervoso centrale e simpatico; contribuiscono inoltre al controllo del bilancio energetico dell’organismo e della sensibilità all’insulina, alla regolazione della pressione arteriosa, alla risposta immunitaria e all’angiogenesi.

Costituiscono, quindi, una rete di regolazione dell’infiammazione, dell’attività insulinica e del metabolismo glucidico a livello locale e sistemico.(38)

Sono sintetizzate dal tessuto adiposo bianco, che nell’adulto prevale rispetto a quello bruno e presentano proprietà sia pro-infiammatorie sia anti-infiammatorie. Scoperte recenti hanno evidenziato come un’alterazione della produzione di adipochine da parte del tessuto bianco causata dalla disfunzione dell’aumento del tessuto adiposo a livello viscerale possa portare all’insorgenza delle complicanze dell’obesità come il DMT2.

Tra le varie adipochine troviamo:

-la leptina, agendo sull’ipotalamo controlla il peso corporeo, il senso di sazietà e i depositi di grasso. I suoi livelli sono proporzionali ai livelli di insulina e la sua sintesi è indotta da citochine come IL-1 e il TNF. Un deficit di questo ormone o comunque un difetto a livello dei suoi recettori aumenta il fabbisogno energetico, sfociando in una maggiore probabilità di contrarre precocemente obesità, iperglicemia, ipogonadismo e iperfagia. Al contrario, alte concentrazioni di leptina in pazienti obesi non sono funzionali ad aumentare il senso di sazietà, poiché si istaura una certa resistenza nei confronti di questo ormone, che si verifica probabilmente a livello della barriera emato-encefalica (BEE) e a livello neuronale grazie a un difetto dei suoi recettori.

-la resistina, è espressa prevalentemente nelle cellule mononucleate, ma anche nel muscolo, nelle cellule pancreatiche e negli adipociti. Stimola il sistema immunitario a produrre fattori come IL-1, IL-6. IL-12 e TNF attraverso un meccanismo NF-kB dipendente. Il suo mRNA è espresso in vari siti

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