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ISOTIOCIANATI NATURALI NELLA TERAPIA E NELLA CHEMOPREVENZIONE: FASI FARMACOLOGICHE, EVIDENZE PRECLINICHE E DATI CLINICI PRELIMINARI

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

CORSO DI LAUREA IN FARMACIA

ISOTIOCIANATI

NATURALI

NELLA TERAPIA E NELLA

CHEMOPREVENZIONE: FASI FARMACOLOGICHE,

EVIDENZE PRECLINICHE E DATI CLINICI PRELIMINARI

CANDIDATO BRUNILDA BACI

Relatore PROF. VINCENZO CALDERONE

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INDICE

CAPITOLO 1 – ISTOCIANATI NATURALI

1.1 GLI ISTOCIANATI ……… Pagina 4

CAPITOLO 2 – IL PROCESSO NEOPLASTICO

2.1 INTRODUZIONE ……….. Pagina 11

2.2 BIOLOGIA DELLA CRESCITA TUMORALE

...

Pagina 11

2.3 BIOLOGIA MOLECOLARE DEL CANCRO ………. Pagina 18

2.3.1 RECETTORI PER I FATTORI DI CRESCITA ……….. Pagina 18

2.3.2PROTEINE COINVOLTE NEI MECCANISMI DI TRASDUZIONE

DEL SEGNALE ……….. Pagina 19

2.3.3 PROTEINE CHE REGOLANO LA TRASCRIZIONE

E IL CICLO CELLULARE ……… Pagina 20 Cicline e chinasi clinica-dipendenti (CDK) ……….………. Pagina 20 La proteina p53 ..……… Pagina 22

2.3.4 L’APOPTOSI ……… Pagina 23 Le caspasi: proteasi di morte ………... Pagina 24 Segnali apoptotici di origine intracellulare ………..………. Pagina 25

CAPITOLO 3 – LA VIA DI SEGNALAZIONE Keap-1/Nrf-2/ARE

3.1 LA DIFESA ANTIOSSIDANTE .……… Pagina 27

3.2 ANTIOXIDANT RESPONSIVE ELEMENT (ARE)

E ARE-INDUTTORI .……… Pagina 28

3.3 RUOLO DELLA PROTEINA Nrf-2 ... Pagina 30

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3

IL SISTEMA KEAP1/Nrf-2 .……… Pagina 32

3.5 RUOLO DEL SULFORAFANO NELLA SEGNALAZIONE MEDIATA

DA KEAP-1/Nrf-2 ……….Pagina 34

CAPITOLO 4 – IMPIEGHI DEGLI ITC IN FARMACOLOGIA

ONCOLOGICA

4.1 ATTIVITA’ CHEMIOPROTETTIVA DEGLI IT ………..Pagina 36

4.2 ASSORBIMENTO DEGLI ITC DA PARTE DELLE CELLULE

CANCEROSE ……… Pagina 39

4.3 BERSAGLI MOLECOLARI DEGLI ITC ……… Pagina 42

4.3.1 FOCUS SUL SULFORAFANO ……… Pagina 44 Proliferazione e crescita cellulare ……… Pagina 44 Angiogenesi ………... Pagina 45 Morte cellulare mitocondriale ………... Pagina 45 Arresto del ciclo cellulare ………... Pagina 45 Invasione e metastasi ………... Pagina 45

CAPITOLO 5 – STUDI IN VITRO E IN VIVO SULL’EFFICACIA

DEL SULFORAFANO

5.1 POLIMORFISMI NEI GENI NRF2-BERSAGLIO ……….Pagina 46

5.2 EFFETTI DEL SULFORAFANO SUI GENI BERSAGLIO ……….. Pagina 48

5.3 EFFETTI CHEMIOPROTETTIVI ……… Pagina 48

5.4 RILEVANZA DEGLI STUDI IN VITRO ……… Pagina 49

5.5 DATI DEGLI STUDI CLINICI ……… Pagina 51

CONCLUSIONI ………

Pagina 59

BIBLIOGRAFIA

…………..………

Pagina 61

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CAPITOLO 1

ISOTIOCIANATI NATURALI

1.1 GLI ISOTIOCIANATI

Negli ultimi anni sta aumentando sempre più, tra i consumatori di tutto il mondo, l’attenzione verso la funzionalità degli alimenti. Pertanto, oggi si cerca di portare in tavola alimenti che, oltre ad essere nutritivi, siano anche attivi nella protezione della salute umana. A partire da questa necessità si è sviluppato il concetto di alimento funzionale, intendendo per funzionale “qualsiasi alimento o ingrediente in grado di conferire un beneficio alla salute al di là del suo valore tradizionale” (definizione dell’Institute of Medicine’s Food and Nutrition Board). Tra gli alimenti più studiati figurano i vegetali appartenenti alla famiglia delle Crucifere o

Brassicacae, costituita da piante erbacee e piccoli arbusti. Alla specie selvatica Brassica oleracea

appartengono numerose varietà che rientrano nella nostra alimentazione: cavolfiori (B. oleracea var.

botrytis),broccoli (B. oleracea var. italica), cavolini di Bruxelles (B. oleracea var. gemmifera), rape (B. oleracea var. gongylodes) (Fig.1). Questi ortaggi sono una fonte importante di micronutrienti, tra cui i folati

e la vitamina C. Tuttavia, ancor più di rilievo è il loro potenziale nutrigenomico, vale a dire la capacità dei loro componenti bioattivi di influenzare l’espressione genica nell’organismo umano allorché sono assunti con la dieta.

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5 Figura 1. Le varianti della specie Brassica oleracea: cavolfiori (B. oleracea var. botrytis),broccoli (B. oleracea var.

italica), cavolini di Bruxelles (B. oleracea var. gemmifera), rape (B. oleracea var. gongylodes).

I principali composti bioattivi contenuti nelle Crucifere sono gli isoticianati (ITC), generalmente presenti nei vegetali come precursori glucosinolati (GLS) (Fig.2).

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6 A livello chimico i GLS sono glucosidi, la cui porzione zuccherina è un β-D-tioglucosio. Nella struttura generale dei GLS sono individuabili, oltre al tiozucchero, un’ossima sulfonata e una catena di struttura variabile (R-), derivante, a livello biogenetico, da metionina, triptofano, fenilalanina o da vari aminoacidi ramificati. La struttura del gruppo R può essere estremamente diversificata e presentare gruppi alifatici (alchili e alchenili, ad esempio), aromatici (benzili semplici o sostituiti) ed eterociclici (indolo). Sono proprio questi gruppi a determinare le proprietà chimico-fisiche e la specificità dell'azione biologica degli ITC derivanti dall'idrolisi dei GLS.

I GLS sono generalmente presenti in tutte le parti della pianta ma con differenze sia qualitative che quantitative: ad esempio, nei fiori e nei semi la quantità totale può essere anche 10 volte superiore a quella riscontrata negli altri tessuti e può arrivare a costituire anche il 10% del contenuto totale. Inoltre, la composizione in GLS varia in funzione della specie, del clima e delle condizioni di coltivazione (Fahey et al., 2001). I GLS sono inodori e insapori ma per idrolisi enzimatica generano gli ITC, responsabili dell'odore pungente e del sapore piccante delle Crucifere. Nelle piante hanno funzione protettiva, in particolare i loro prodotti di degradazione hanno proprietà fungicide, battericide e nematocide.

Quando le cellule vengono danneggiate, (come ad esempio, durante la raccolta e il trasporto delle piante, i processi di trasformazione e preparazione dell'alimento vegetale, oppure con la masticazione) viene rilasciato l'enzima mirosinasi, una β-tioglucosidasi prodotta dalla stessa pianta ma contenuta in un compartimento diverso rispetto a quello del suo substrato (Fig.3).

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7 Figura 3: Diversa compartimentazione cellulare di glucosinolati e mirosinasi

L'enzima idrolizza il legame tioglucosidico producendo glucosio e un aglicone instabile, il tioidrossiammato-O-sulfonato, che, a seguito di un riarrangiamento spontaneo, porta a prodotti differenti, la cui struttura chimica dipende dalle condizioni di reazione (pH, presenza o meno di Fe2+ e specifiche proteine) e dalla

catena laterale dei GLS da cui originano (Fig.4).

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8 Accanto alla mirosinasi presente nelle piante, sono state identificate mirosinasi nei funghi, negli afidi e nei batteri, in particolare batteri presenti nella microflora animale e umana. Ciò è molto importante, perché, con la cottura dei cibi, la mirosinasi dei tessuti vegetali viene inattivata e i GLS, ingeriti intatti, vengono convertiti a ITC dalla mirosinasi della microflora intestinale.

L'assorbimento degli ITC da parte degli enterociti della mucosa intestinale dipende da diversi fattori, quali la concentrazione dei GLS nel vegetale, i trattamenti subiti dal cibo, la natura della matrice alimentare, l'efficienza dei processi idrolitici (Conaway et al., 2000). Una volta assorbiti, gli ITC sono coniugati a livello epatico con diversi composti endogeni, quali glutatione, acido glucuronico e, in misura minore, solfato. I coniugati sono poi metabolizzati ad acidi mercapturici ed escreti con le urine. La valutazione dei livelli urinari di questi metaboliti fornisce informazioni sull'assorbimento degli ITC. Nel complesso, l'assorbimento e l'escrezione degli ITC risultano superiori per alimenti derivanti da vegetali crudi rispetto a quelli derivanti da vegetali cotti (Conaway et al., 2000). Questo dato è interpretabile alla luce del fatto che la mirosinasi dei tessuti vegetali è sensibile al calore. Pertanto, per contrastare l'inattivazione termica dell'enzima, occorre preferire alla bollitura brevi cotture a vapore. Inoltre, la biodisponibilità degli ITC è notevolmente ridotta quando l'idrolisi dei loro precursori segue l'ingestione dell'alimento. Infatti, anche se la flora batterica intestinale possiede attività mirosinasica, l'enzima batterico agisce solo su una piccola parte dei glucosinolati complessivamente ingeriti. Infine, occorre ricordare che trattamenti antiobiotici o stati infiammatori possono ridurre notevolmente la flora batterica intestinale, influenzando l'idrolisi enzimatica.

L'interesse della ricerca scientifica nei confronti degli ITC è dovuto alla loro azione chemopreventiva contro diversi tumori maligni, quali il cancro al pancreas, alla prostata, all'ovaio, al seno. Tra gli ITC con azione anticancro ricordiamo l'allilisotiocianato (AITC) (Fig.5), responsabile dell'odore pungente e del sapore piccante di salsa wasabi, mostarda e senape, il benzilisotiocianato (BITC) (Fig.6), il fenetilisotiocianato (PEITC) (Fig.7) e il sulforafano (SFN) (Fig.8). Si tratta di composti estremamente reattivi, per la presenza di un atomo di carbonio sp, legato, tramite due doppi legami, a zolfo e azoto, elementi più elettronegativi del carbonio stesso. Pertanto l'atomo di carbonio sp acquisisce spiccato carattere elettrofilo e può subire facilmente attacco nucleofilo da parte delle funzioni amminiche di altri composti.

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9 Figura 5. Allilisotiocianato (AITC)

Figura 6. Benzilisotiocianato (BITC)

Figura 7. Fenetilisotiocianato (PEITC)

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10 Tra gli ITC, il sulforafano, [(-)-1-isotiocianato-(4R)-(metilsulfinil)butano], contenuto nei broccoli e derivante dall'idrolisi del precursore inattivo glucorafanina (Fig.9), è l'isotiocianato naturale più ampiamente studiato, in quanto responsabile di numerosi effetti benefici sulla salute e dell'attività chemopreventiva dei broccoli. L'attività biologica di questi composti, in particolare il loro impiego come agenti chemopreventivi, verrà discussa nel capitolo successivo.

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CAPITOLO 2

IL PROCESSO NEOPLASTICO

2.1 INTRODUZIONE

L’oncologia (dal greco oncos = tumore) è lo studio delle neoplasie ovvero, secondo la definizione dell’oncologo britannico Willis, delle “masse anomale di tessuto la cui crescita eccessiva è scoordinata rispetto a quella del tessuto normale e persiste nella sua eccessività anche dopo la cessazione degli stimoli che l’hanno provocata” (Willis, 1952). La massa tumorale si comporta in modo afinalistico, cresce a spese dell’ospite ed è virtualmente in autonomia. Devasta l’ospite, in quanto le cellule neoplastiche competono con le cellule dei tessuti normali per l’approvvigionamento energetico e nutritivo.

2.2 BIOLOGIA DELLA CRESCITA TUMORALE

La storia naturale della maggior parte dei tumori maligni può essere divisa in quattro fasi:

* trasformazione maligna della cellula bersaglio;

* crescita della cellula trasformata (progressione/proliferazione della neoplasia);

* invasione locale;

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Generalmente la massa tumorale ha origine monoclonale, nel senso che è costituita dalla discendenza clonale di una singola cellula trasformata. La trasformazione è il processo per cui una cellula sana subisce una modificazione indotta da sostanze cancerogene e diventa cellula tumorale. La fase di progressione/proliferazione è rappresentata dalle successive divisioni mitotiche della cellula trasformata: sono necessarie almeno 30 duplicazioni per generare una massa neoplastica di 109 cellule (del peso di circa 1 g), che rappresenta la più piccola massa rilevabile clinicamente. Durante la fase iniziale di crescita del tumore la grande maggioranza delle cellule trasformate fa parte del compartimento proliferativo (Fig.10). Con il crescere del tumore, un numero sempre maggiore di cellule lascia questo compartimento per diminuzione/mancanza di substrati nutritivi e si differenzia entrando in fase di quiescenza (fase G0). La maggior parte delle cellule di un tumore

sono bloccate in fase G0 o G1. Pertanto la velocità di proliferazione tumorale è determinata dal

rapporto tra produzione e perdita cellulare.

Figura 10. Rappresentazione schematica della crescita tumorale

Un fattore limitante la crescita dei tumori è l’apporto ematico. In assenza di vascolarizzazione i tumori non possono superare dimensioni di 1 o 2 mm di diametro o di spessore, essendo questa la distanza massima attraverso cui l’ossigeno e gli apporti nutritivi possono diffondere dai vasi. In assenza di vascolarizzazione le cellule tumorali diventano ipossiche e l’ipossia induce l’apoptosi

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attivando la proteina p53. La neovascolarizzazione produce due effetti sulla crescita tumorale: la perfusione fornisce ossigeno e supporti nutritivi, mentre le cellule endoteliali neoformate stimolano la crescita delle cellule tumorali adiacenti secernendo polipeptidi, quali il fattore di crescita insulino-simile, il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), il fattore di crescita dei granulociti e dei macrofagi (GM-CSF) e l’interleuchina 1 (IL-1) (Rak et al., 1995).

L’angiogenesi è un evento indispensabile non solo per la continua crescita tumorale ma anche per la formazione delle metastasi, perché senza accesso al sistema vascolare le cellule tumorali non possono metastatizzare. I fattori angiogenetici possono essere prodotti dalle cellule tumorali stesse o dalle cellule infiammatorie che infiltrano la neoplasia. I due fattori più importanti sono il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) e il fattore di crescita basico dei fibroblasti (bFGF). Le cellule tumorali producono anche fattori anti-angiogenetici, quali, ad esempio, la trombospondina-1. Dati clinici e sperimentali indicano che nelle fasi iniziali di crescita tumorale non si ha angiogenesi. I tumori rimangono in situ senza sviluppare alcun supporto vascolare per mesi o per anni. Dopo di che, probabilmente a causa di un accumulo di mutazioni, alcune cellule contenute all’interno della neoplasia acquistano un fenotipo angiogenetico. Il gene p53 “wild-type” sembra inibire l’angiogenesi inducendo la sintesi della trombospondina-1. A seguito dell’inattivazione di p53, conseguente all’acquisizione di mutazioni su entrambi gli alleli (evento comune in molte neoplasie maligne), i livelli di trombospondina-1 crollano drasticamente, spostando il bilancio a favore dei fattori angiogenetici. La crescita tumorale è pertanto controllata dal bilancio tra fattori che stimolano e fattori che inibiscono l’angiogenesi.

Con il termine progressione neoplastica si intende un processo ordinato che, partendo dalla lesione preneoplastica evolve al tumore maligno fino ad arrivare al cancro invasivo. Questo fenomeno biologico è correlato alla progressiva comparsa di sottopopolazioni cellulari che differiscono tra loro per diverse caratteristiche fenotipiche, quali l’invasività, la capacità di accrescimento e di formare metastasi, il cariotipo, la sensibilità agli ormoni e la risposta ai farmaci antiblastici. Quindi,

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sebbene l’origine della maggior parte delle neoplasie sia monoclonale, quando un tumore diventa clinicamente evidente le cellule che lo compongono sono diventate estremamente eterogenee. Secondo molti ricercatori le cellule trasformate sono geneticamente instabili, quindi suscettibili ad una elevata quantità di mutazioni casuali che insorgono spontaneamente durante l’espansione clonale. Si formano così sottocloni sottoposti alla pressione selettiva di tipo immunitario e non immunitario. In questo modo il tumore, crescendo, si arricchirà dei sottocloni che riescono meglio a sopravvivere, crescere, invadere e dare metastasi; quindi, con la crescita, ne aumenterà l’aggressività.

L’invasività e la capacità di produrre metastasi costituiscono le caratteristiche biologiche specifiche dei tumori maligni. Per staccarsi dalla massa primitiva, entrare nei vasi sanguigni o linfatici e produrre una neoplasia secondaria che cresce a distanza le cellule tumorali devono attraversare una serie di fasi che, nel complesso, costituiscono la cascata metastatica (Fig.11).

Il primo passaggio della cascata metastatica consiste nell’invasione della matrice extracellulare e avviene attraverso le seguenti fasi, di cui le prime tre costituiscono la transizione

epitelio-mesenchimale (EMT):

* distacco delle cellule tumorali le une dalle altre;

* attacco alle componenti della matrice;

* degradazione della matrice extracellulare;

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15 Figura 11. La cascata metastatica

Con il termine transizione epitelio-mesenchimale si intende un processo biologico che permette ad una cellula epiteliale morfologicamente polarizzata, che di solito interagisce con la lamina basale tramite la sua superficie basolaterale, di subire diverse alterazioni biochimiche che le permettono di assumere un fenotipo mesenchimale, caratterizzato da aumentata capacità migratoria, invasività, resistenza all’apoptosi, produzione aumentata di componenti della matrice extracellulare (ECM). Generalmente, le cellule normali sono ben attaccate le une alle altre mediante diversi tipi di molecole di adesione, fra cui le caderine, una famiglia di glicoproteine transmembrana (Jiang, 1996). In diversi tumori epiteliali, compresi i carcinomi del colon e della mammella, si osserva una diminuita espressione delle caderine E, che probabilmente riduce la capacità delle cellule di aderire le une alle altre, favorendo il distacco dal tumore primitivo e l’avanzamento nel tessuto circostante.

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Persa l’adesività, le cellule tumorali possono aderire alla membrana basale mediante i recettori per la laminina; mentre le cellule epiteliali normali esprimono recettori per la laminina solo sul polo cellulare rivolto verso la membrana basale, le cellule carcinomatose, avendo acquisito fenotipo mesenchimale, hanno un numero più elevato di recettori che risultano distribuiti tutto attorno la membrana cellulare (Price et al., 2001). Le cellule tumorali esprimono anche le integrine, che possono fungere da recettori per diversi componenti della matrice extracellulare, tra cui, ad esempio, la fibronectina (Ziober et al., 1999).

Figura 12. Rappresentazione schematica della transizione epitelio-mesenchimale (EMT)

Le cellule tumorali secernono enzimi proteolitici in grado di degradare le componenti della matrice extracellulare (Price et al., 2001). Sono note tre classi di proteasi: proteasi seriniche, proteasi cisteiniche e metalloproteinasi della matrice (MMP); a quest’ultima classe appartiene la collagenasi di tipo IV (MMP-2), che scinde il collagene di tipo IV delle membrane basali epiteliali e vascolari.

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Fibronectina e laminina sono invece degradate da catepsina D (proteasi serinica) e attivatore del plasminogeno (proteasi cisteinica).

Completata la degradazione della membrana basale e della matrice extracellulare, le cellule tumorali possono migrare. La migrazione sembra essere mediata da due categorie di molecole: i fattori di motilità prodotti dalle cellule tumorali e i prodotti derivanti dalla degradazione della matrice. Questi ultimi hanno attività angiogenica, chemiotattica e promuovente la crescita. L’attività chemiotattica sembra favorire la migrazione delle cellule tumorali attraverso la matrice degradata. Il secondo passaggio della cascata metastatica è rappresentato dalla disseminazione vascolare e dall’impianto delle cellule tumorali. Una volta immesse in circolo, le cellule tumorali sono particolarmente vulnerabili alla distruzione da parte dei sistemi di difesa immunitari naturali e acquisiti. In circolo le cellule tumorali tendono ad aggregarsi in gruppi; questo fenomeno è favorito dall’adesione omotopica tra le cellule tumorali e dall’adesione eterotopica tra le cellule tumorali e le cellule del sangue, in particolare le piastrine. L’arresto e l’uscita dai vasi degli emboli neoplastici in siti distanti dal tumore primitivo implica la loro adesione all’endotelio vasale seguita dall’attraversamento della membrana basale. In questo processo sono coinvolte molecole di adesione ed enzimi proteolitici. Particolarmente importante è la molecola di adesione CD44, espressa sui linfociti T normali ed usata da queste cellule per migrare in siti specifici del tessuto linfatico. Alcuni dati suggeriscono che nei carcinomi del colon ed in altre neoplasie un’aumentata espressione di CD44 possa favorire la formazione di metastasi.

Il punto in cui le cellule tumorali circolanti escono dai capillari e formano insediamenti secondari dipende, almeno in parte, dalla localizzazione anatomica del tumore primario. Numerose osservazioni tuttavia indicano che le naturali vie di drenaggio non sono sufficienti a spiegare del tutto il tropismo d’organo che caratterizza la distribuzione delle metastasi.

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2.3 BIOLOGIA MOLECOLARE DEL CANCRO

Le proteine coinvolte nell’eziopatologia del cancro sono numerosissime. In questo paragrafo ne vengono trattate solo alcune, ovvero quelle che rappresentato il bersaglio molecolare degli ITC in generale e del sulforafano in particolare.

2.3.1 Recettori per i fattori di crescita

Molti oncogeni codificano per i recettori dei fattori di crescita, una famiglia di proteine coinvolte nella trasduzione del segnale. Si tratta di proteine transmembrana costituite da una componente extracellulare che lega il ligando e da un dominio citoplasmatico ad attività tirosin-chinasica.

In condizioni normali l’attività enzimatica di questi recettori viene attivata in maniera transitoria dal legame con lo specifico fattore di crescita e porta alla fosforilazioe dei residui di Tirosina di diversi substrati bersaglio che fanno parte della cascata di attivazione mitotica. Per contro, la versione di questi recettori codificata dagli oncogeni è caratterizzata da un persistente stato di attivazione anche in assenza del legame con il fattore di crescita. Pertanto, i recettori mutati inviano di continuo segnali mitogeni alla cellula.

In diversi tumori è possibile riscontrare l’iperespressione delle forme normali dei recettori per i fattori di crescita. Tre membri della famiglia dei recettori per il fattore di crescita epiteliale (EGF) sono quelli più comunemente coinvolti in questo processo (Salomon et al., 1995): si tratta di Her1 (EGFR), Her2 e Her3. Her1 è iperespresso in più dell’80% dei carcinomi del polmone a cellule squamose, mentre Her2 e Her3 nei carcinomi della mammella e dell’ovaio.

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2.3.2 Proteine coinvolte nei meccanismi di trasduzione del segnale

Le MAP-chinasi (proteine chinasi attivate da mitogeno) sono enzimi che fosforilano specifici aminoacidi di proteine bersaglio. Intervengono nella trasmissione al nucleo dei segnali ricevuti dalla membrana plasmatica. Sono coinvolte nella trasduzione del segnale ricevuto dalle oncoproteine ras, che svolgono un ruolo importante nel processo di proliferazione cellulare indotto da fattori di crescita. Le ras sono localizzate sul versante citosolico della membrana plasmatica e, tramite una proteina “ponte”, sono collegate ai recettori per i fattori di crescita. In assenza di stimolazione la proteina ras lega GDP ed è quiescente; quando le cellule vengono stimolate dai fattori di crescita la

ras viene attivata scambiando GDP con GTP. La ras attiva innesca a sua volta la cascata delle

MAP-chinasi, previo reclutamento della proteina citosolica raf-1. Le MAP-chinasi così attivate trasmettono il segnale al nucleo, promuovendo la trascrizione di specifici geni e la proliferazione cellulare (Fig.13).

Nelle cellule normali lo stato di attivazione della proteina ras è transitorio, perché l’attività GTP-asica intrinseca del ras idrolizza GTP a GDP e riporta il ras nel suo stato basale. Al contrario, la proteina ras mutata rimane permanentemente in uno stato attivato, perché non è in grado di idrolizzare GTP; ne consegue che la cellula è continuamente stimolata a proliferare, anche in assenza di segnali esterni.

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20 Figura 13. Modello di attivazione dell’oncoproteina ras e delle MAP-chinasi

2.3.3PROTEINE CHE REGOLANO LA TRASCRIZIONE E IL CICLO CELLULARE

* Cicline e chinasi ciclina-dipendenti (CDK)

Le cicline, le chinasi ciclina-dipedenti (CDK) e i loro inibitori controllano l’ordinata progressione delle cellule attraverso le diverse fasi del ciclo cellulare. In particolare, le CDK guidano il ciclo cellulare fosforilando specifiche proteine bersaglio che sono indispensabili per la progressione della cellula nelle diverse fasi. Queste chinasi sono espresse costitutivamente durante tutto il ciclo cellulare in forma inattiva e vengono attivate mediante fosforilazione, previo legame con le cicline (Fig.14). A differenza delle CDK, le cicline vengono sintetizzate durante specifiche fasi del ciclo cellulare, proprio con il compito di attivare le CDK. Ad esempio, la ciclina D viene sintetizzata all’inizio della fase G1, in seguito al ricevimento da parte della cellula di segnali che ne

promuovono la crescita, mentre la ciclina E viene sintetizzata in un momento più avanzato della G1.

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ciclina D/CDK6 e ciclina E/CDK2 regolano la transizione G1 S fosforilando la proteina del

retinoblastoma (pRb) (Sherr, 1996). Appena la cellula entra in fase S, la ciclina D viene degradata, riportando CDK4 e CDK6 in uno stato inattivo. L’ulteriore progressione delle cellule dalla fase S alla fase G2 è facilitata dall’aumento di ciclina A che lega CDK2 e CDK1. Nella fase G2 precoce

viene prodotta la ciclina B che, complessando la CDK1, consente il passaggio della cellula dalla fase G2 alla fase M, perché il complesso ciclina B/CDK1 fosforila diverse proteine necessarie alla

mitosi (Fig.14).

Figura 14. Cicline, CDK, CDKI e regolazione del ciclo cellulare

L’attività delle CDK è regolata da due famiglie di inibitori, definiti CDKI: una famiglia è costituita dai cosiddetti inibitori INK4 ed è composta dalle proteine p15, p16, p18 e p19, cha agiscono sui complessi ciclina D/CDK4 e ciclina D/CDK6; la seconda famigli è formata dalle tre proteine p21,

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22 * La proteina p53

La proteina p53, codificata dall’omonimo gene localizzato sul cromosoma 17, è considerata dai ricercatori un attento “guardiano del genoma”, che vigila sull’insorgenza delle neoplasie, grazie alla sua capacità di bloccare la propagazione delle cellule che hanno subito un danno genetico (Levine, 1997). p53 è localizzata nel nucleo e in condizioni fisiologiche ha emivita breve ( 20 min) e pertanto, a differenza di pRb, non sorveglia il ciclo cellulare. La proteina entra in gioco come freno di emergenza quando il DNA è danneggiato da insulto chimico, fisico oppure dall’ipossia. In queste condizioni i livelli di p53 aumentano e la proteina stimola la trascrizione di geni bersaglio, per arrestare il ciclo cellulare in fase G1 (tramite sintesi di p21, un CDKI, come visto nel paragrafo

precedente) e permettere la riparazione del danno (tramite sintesi di GADD45, una proteina coinvolta nei processi di riparazione del DNA). Se il danno viene riparato con successo, p53 viene inattivata e il ciclo cellulare può ripartire. Se invece il danno è così grave da non poter essere riparato correttamente, p53 attiva il gene dell’apoptosi bax, che va a legare la proteina bcl-2, un inibitore dell’apoptosi, e ne blocca l’azione. In questo modo le cellule gravemente danneggiate vanno incontro a morte cellulare programmata (Fig.15). Nelle cellule in cui il gene p53 è perso o mutato, un danno al DNA non induce l’arresto del ciclo cellulare né l’attivazione di meccanismi preposti alla riparazione del danno stesso. Pertanto, le cellule lesionate continuano a proliferare fino a generare una neoplasia maligna.

L’attivazione di p53 ipossia-indotta è un processo importante nei tumori solidi. Infatti, le cellule ipossiche con copie normali di p53 vanno incontro ad apoptosi, mentre se p53 è mutato le cellule tumorali ipossiche diventano resistenti all’apoptosi. Ne consegue che l’ipossia seleziona le cellule tumorali con p53 inattivo, favorendo la propagazione dei cloni più aggressivi perché p53-deficienti.

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23 Figura 15. p53 il “guardiano del genoma”

2.3.4 L’APOPTOSI

L’apoptosi è un complesso processo cellulare tenuto sotto controllo accurato da parte di fattori anti-apoptotici ed è innescato da fattori pro-anti-apoptotici (segnali di morte). Gli esecutori del programma apoptotico sono enzimi proteolitici molto specifici, le caspasi, che, una volta attivate, distruggono l’apparato proteico cellulare. Le cellule in apoptosi hanno caratteristiche peculiari: formazione di vacuoli, i cosiddetti “corpi apoptotici”, frammentazione del DNA, raggrinzimento della cellula, vescicolazione e disaggregazione della membrana. Il mancato innesco dell’apoptosi in cellule proliferanti con DNA alterato porta al deragliamento neoplastico. Pertanto, da quanto detto, risulta chiaro che l’induzione selettiva dell’apoptosi in cellule tumorali rappresenta uno dei settori di ricerca più attivi dell’oncologia.

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24 * Le caspasi: proteasi di morte

Le caspasi sono metallo-proteine a cisteina, a sede citoplasmatica, che catalizzano la rottura idrolitica del legame peptidico cui partecipa l’acido aspartico (Salveson et al., 1997). Sono note una quindicina di caspasi, aventi tutte la struttura base riportata in figura 16.

Figura 16. Schema della struttura della caspasi

La porzione amminoterminale della proteina costituisce il pre-dominio o dominio inibitorio e la rende inattiva (pro-caspasi). Il distacco del dominio inibitorio, per autocatalisi o per azione di altre caspasi, porta alla formazione della caspasi effettrice attiva. Le caspasi effettrici hanno come substrati diverse proteine cellulari, tra cui quelle formanti il citoscheletro e le membrane, molti enzimi e proteine intracellulari antiapoptotiche.

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25 * Segnali apoptotici di origine intracellulare

Il mitocondrio è coinvolto nel processo dell’apoptosi. Già nella fase più precoce dell’apoptosi il funzionamento della catena respiratoria è deteriorato e la permeabilità della membrana mitocondriale esterna fortemente alterata con rilascio di proteine dallo spazio intermembrana verso il citosol. In particolare, viene rilasciato nel citosol il citocromo c che ha una forte azione pro-apoptotica (Green et al., 1998): infatti, nel citosol, il citocromo c si combina con il fattore attivante

l’apoptosi APAF-1 e la pro-caspasi 9 formando l’”apoptosoma”, un complesso proteolitico in cui la

caspasi-9 si attiva per autocatalisi e dà inizio alla cascata delle caspasi (Fig.17).

L’attività pro-apoptotica del citocromo c nel citosol è contrastata dai fattori proteici di sopravvivenza Bcl-2/Bcl-XL, che si combinano con APAF-1 e bloccano la formazione dell’aptosoma

(Adams et al., 2003). Al contrario, fattori pro-apoptotici, quali BIK e BH3, favoriscono la formazione dell’aptosoma, perché legano Bcl-2/Bcl-XL e ne bloccano l’interazione con APAF-1.

Segnali pro-apoptotici intracellulari possono generarsi quando i cromosomi vengono danneggiati. In risposta a modificazioni potenzialmente pericolose viene espresso il gene Bax con produzione delle proteine pro-apoptotiche Bax che innescano il programma apoptotico.

Il programma apoptotico è mantenuto sul binario fisiologico dall’azione antagonista di due famiglie di proteine regolatorie: le proteine Bcl ad azione anti-apoptotica e le proteine Bax ad azione pro-apoptotica.

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26 Figura 17. Rappresentazione del processo di apoptosi innescato dal rilascio di citocromo c nel citosol e sua regolazione da parte di fattori pro-apoptotici e anti-apoptotici.

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CAPITOLO 3

LA VIA DI SEGNALAZIONE Keap-1/Nrf-2/ARE

3.1 LA DIFESA ANTIOSSIDANTE

Le sostanze carcinogene presenti nell’ambiente (ammine eterocicliche, idrocarburi aromatici del fumo di sigaretta e aflatossine) subiscono generalmente attivazione metabolica all’interno delle cellule bersaglio, con conseguente formazione di specie elettrofile reattive che danneggiano il DNA. Per contenere o attenuare l’insulto ossidativo e carcinogenico, gli organismi superiori hanno sviluppato un sistema di difesa antiossidante, la cui induzione rappresenta non solo una risposta adattativa alle condizioni di stress ossidativo, ma anche una nuova possibilità terapeutica (Lee et al., 2005). Questo sistema di difesa è rappresentato da diversi enzimi tra cui quelli coinvolti nel metabolismo degli xenobiotici: NAD(P)H:chinone ossidoreduttasi (NQO1), glutatione-S-transferasi (GST), UDP-glucuronil transferasi (UGT), aldeide reduttasi (AR), epossido idrolasi (EH) svolgono azione citoprotettiva tramite detossificazione ed eliminazione delle specie elettrofile reattive dell’ossigeno (ROS), dell’azoto (RNS) e dei potenziali carcinogeni.

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3.2 ANTIOXIDANT RESPONSIVE ELEMENT (ARE) E ARE-INDUTTORI

L’induzione di molti enzimi citoprotettivi in risposta ad uno “stress chimico” è regolata principalmente a livello trascrizionale, attraverso l’Antioxidant Responsive Element (ARE), una sequenza enhancer presente nella regione del promotore di numerosi geni che codificano per tali enzimi (Friling et al., 1990). ARE viene attivato da numerose molecole tra cui i flavonoidi, gli antiossidanti fenolici, gli isotiocianati, i metalli pesanti e i complessi contenenti il gruppo eme

(Fig.18). In particolare, gli ITC sono ARE-induttori perché, grazie alle loro caratteristiche elettrofile, reagiscono con i gruppi sulfidrilici dei tioli endogeni, tra cui il glutatione GSH. Il conseguente calo delle scorte di GSH cellulare crea una condizione simile a quella dell’finsulto

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29 Figura 18. ARE-induttori (Surh et al., 2008)

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3.3 RUOLO DELLA PROTEINA Nrf-2

Il fattore di trascrizione nucleare Nrf-2 (Nuclear factor-erythroid-2-related factor 2) riveste un ruolo centrale nella modulazione della risposta trascrizionale ARE-mediata. Dopo il suo isolamento, avvenuto inizialmente tramite esperimenti di clonazione (Moi et al., 1994), Nrf-2 è stato identificato come uno dei fattori di trascrizione che agiscono sulla sequenza ARE dei geni codificanti l’NQO1 umana (Venugopal et al., 1996).

Il ruolo chiave di Nrf-2 nell’espressione dei geni di fase 2 è stata ulteriormente confermata da studi di espressione genica condotti su topi non esprimenti Nrf-2: se paragonati ai topi wild-type, i primi mostravano livelli ridotti di enzimi antiossidanti ed una maggiore sensibilità ai carcinogeni (Lee et al., 2005).

Il coinvolgimento di Nrf-2 nel modulare l’espressione sia costitutiva che inducibile di geni “ARE-dipendenti” è ben documentato da numerosi studi condotti sia in vitro che in vivo (Nguyen et al., 2000), tanto che attualmente la via di segnalazione Nrf-2/ARE è riconosciuta come uno dei principali meccanismi di difesa cellulare contro stress ossidativo e xenobiotico.

Diversi agenti chemopreventivi e diversi antiossidanti naturali, quali isotiocianati, indoli, terpeni, catechine, quercitina e resveratrolo sembrano aumentare i livelli di Nrf-2, con conseguente up-regolazione dell’espressione dei geni bersaglio (Surh et al., 2008).

Oltre ai classici enzimi di fase 2, due geni che codificano per trasportatori cellulari sono stati scoperti essere sotto il controllo regolatorio di Nrf-2: uno è il gene che codifica per il trasportatore cisteina-glutammato, che media l’influsso di cisteina accoppiato con l’efflusso di glutammato, essenziale per il mantenimento dei livelli intracellulari di cisteina e conseguentemente di glutatione (Sasaki et al., 2002); l’altro è il gene Mrp1, che codifica per un trasportatore che riveste un ruolo importante nell’esclusione cellulare dei prodotti di coniugazione degli xenobiotici (Hayashi et al., 2003).

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L’attivazione trascrizionale dei geni ARE-dipendenti è mediata, oltre che da Nrf-2, anche dalla proteina citoplasmatica Keap-1 (Kelch-Like ECH-Associated Protein 1). Keap-1 e Nrf-2 costituiscono, a livello citoplasmatico, un sistema sensore dello stress ossidativo, che costituisce il target molecolare primario degli induttori chimici e dei composti ad azione chemiopreventiva. Quando le cellule sono esposte ad ARE-induttori, quali ad esempio gli ITC, un segnale che coinvolge una modificazione redox e/o una fosforilazione è trasmesso al complesso Keap-1/Nrf-2, causandone la dissociazione con conseguente traslocazione nucleare di Nrf-2 (Fig.19). Qui Nrf-2 dimerizza con la proteina Maf e l’eterodimero risultante si lega alla sequenza ARE presente nella regione del promotore dei geni che codificano per gli enzimi di fase 2 aumentandone la trascrizione (Kwak et al., 2003).

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3.4 REGOLAZIONE DELL’ATTIVITA’ TRASCRIZIONALE DI ARE: IL SISTEMA KEAP-1/Nrf-2

Il meccanismo regolatorio alla base della via di segnalazione Nrf-2/ARE è stato oggetto di studi approfonditi. La proteina Keap-1, legata all’actina citoscheletrica, è stata identificata come regolatore chiave dell’attività di Nrf-2 (Itoh et al., 1999), non solo agendo come sensore di stress ossidativo, ma anche regolando la localizzazione intracellulare di Nrf-2 e la degradazione della stessa da parte del proteasoma (McMahon et al., 2003).

In condizioni basali Keap-1 lega saldamente Nrf-2 mantenendola sequestrata a livello citoplasmatico (Kang et al., 2004); reprimendo l’abilità di Nrf-2 di indurre geni di fase 2, Keap-1 impedisce un’attivazione genica non necessaria in assenza di stimolo stressorio. Keap-1 è una proteina ricca di residui cisteinici, i cui gruppi tiolici si comportano da sensori di stress ossidativo o di composti xenobiotici (Motohashi et al., 2004). Gli elettrofili, gli induttori chimici e lo stress ossidativo agiscono modificando i gruppi tiolici delle cisteine chiave, con conseguente rilascio di Nrf-2 nel citosol e sua traslocazione al nucleo (Wakabayashi et al., 2003).

Altro importante ruolo di Keap-1 è regolare la degradazione di Nrf-2. In condizioni basali Nrf-2 ha emivita breve (13-20 minuti), a causa della sua ubiquitinazione costitutiva e successiva degradazione da parte del proteasoma (Zhang et al., 2003). Proprio la stretta interazione tra Keap-1 e Nrf-2 faciliterebbe l’ubiquitinazione di Nrf-2 e la sua successiva degradazione. Secondo il modello attuale (Hayes et al., 2010; Taguchi et al., 2011), l’interazione funzionale Keap-1/Nrf-2 coinvolgerebbe i domini di Kelch dell’omodimero Keap-1 e due differenti siti del dominio Neh2 di Nrf-2, ovvero il sito ad alta affinità ETGE, “a cerniera”, e il sito a minore affinità DLG, “a chiavistello” (Fig.20).

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33 Figura 20. Schema dell’interazione Keap-1/Nrf-2

Secondo quanto proposto da Tong e collaboratori (Tong et al., 2006), in condizioni cellulari normali, Nrf-2 dapprima legherebbe a Keap-1 tramite il sito ETGE, mentre il sito LDG permetterebbe in un secondo tempo di stabilizzare l’interazione tra le due proteine, consentendo loro di raggiungere la corretta orientazione reciproca. In questo modo il complesso ubiquitina ligasi Cul3/Rbx1/E2 potrebbe ubiquitinare facilmente Nrf-2 all’estremità N-terminale, segnale che ne precede la degradazione via proteasoma. In condizioni di stress cellulare o a causa di induzione farmacologica, Keap-1 non risulta più in grado di mantenere il contatto con Nrf-2 su entrambi i siti, verosimilmente a causa di un’alterazione nella struttura terziaria o quaternaria dell’omodimero, realizzata tramite modificazione redox o covalente di diverse cisteine reattive di Keap-1 (Zhang et al., 2003; Holland et al., 2008). La distruzione di questo efficace sistema di turnover di Nrf-2 ne permette l’accumulo citosolico e la successiva traslocazione al nucleo. Qui Nrf-2 forma eterodimeri con le piccole proteine Maf e guida la trascrizione di quei geni contenenti la sequenza ARE all’interno dei loro promotori (Malhotra et al., 2010). Questi geni codificano per proteine di coniugazione e di detossificazione, per enzimi antiossidanti e per proteine anti-infiammatorie, così da indurre una risposta citoprotettiva generale in seguito al pathway di attivazione (Kensler et al., 2007).

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3.5 RUOLO DEL SULFORAFANO NELLA SEGNALAZIONE MEDIATA DA KEAP-1/Nrf-2

Il sulforafano è tra i più potenti induttori naturali della segnalazione promossa da NRf-2, in quanto risulta efficace già a concentrazioni nanomolari nelle cellule in coltura. La sua potenza potrebbe derivare dalla possibilità di accumulo intracellulare sotto forma di coniugati reversibili con il glutatione (Zhang, 2002).

Keap-1 è una proteina ricca di residui di cisteina, che regola l’attivazione di Nrf-2 promossa da diverse classi chimiche di composti con azione anticancro, tutti elettrofili in grado di reagire con il gruppo sulfidrilico –SH (Dinkova-Kostova et al., 2002). Studi condotti da Hong e collaboratori (Hong et al., 2005) hanno dimostrato la particolare reattività elettrofila del sulforafano, che porta alla modifica covalente di domini multipli di Keap-1, mentre gli elettrofili modello (desametasone mesilato, ad esempio), attivatori meno potenti del pathway di segnalazione mediato da Nrf-2, modificano preferenzialmente Keap-1 a livello del dominio centrale di collegamento (Dinkova-Kostova et al., 2002). Le diverse modifiche apportate a Keap-1 da parte del sulforafano e del desametasone mesilato riflettono verosimilmente la loro diversa reattività come elettrofili. Infatti, il desametasone mesilato è un elettrofilo di tipo SN2, che subisce reazioni di alchilazione in cui l’ingresso del nucleofilo da un lato si accompagna all’espulsione del gruppo uscente, il mesilato, dal lato opposto. Al contrario, la reazione tra i tioli endogeni e il sulforafano è una acilazione, in cui lo zolfo del gruppo sulfidrilico si addiziona al carbonio isotiocianico, a dare addotti tionoacilici. Le reazioni di acilazione sono più rapide di quelle di alchilazione, anche se i loro addotti vanno incontro a dissociazioni e riarrangiamenti. Il lavoro di Hu e collaboratori (Hu et al., 2011) ha dimostrato che la cisteina 151 (C151) è uno dei quattro residui cisteinici di Keap-1 modificati da SFN. I risultati in vitro riportati da Hu sono in accordo con quelli ottenuti in vivo da diversi ricercatori, che confermano che C151 è il bersaglio principale del sulforafano (Kobayashi et al., 2009; McMahon et al., 2003). Infatti, nelle cellule mutate, in cui la cisteina 151 di Keap-1 è

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sostituita da una serina, è impedito l’accumulo di Nrf-2 nel nucleo promosso da SFN e la conseguente induzione dell’espressione dei geni bersaglio.

Pertanto, come illustrato nella Figura 20, è verosimile che l’attivazione da parte di SFN della via di segnalazione mediata da Nrf-2 si realizzi tramite tiocarbamilazione alla Cys 151 di Keap-1, con distruzione dell’associazione Cul3/Keap-1 e mancata ubiquitinazione di Nrf-2. In questo modo la proteina Nrf-2 di nuova sintesi sfugge alla degradazione via proteasoma e trasloca al nucleo dove si accumula e attiva la trascrizione dei suoi geni bersaglio.

Tramite il meccanismo d’azione illustrato in questo capitolo, il sulforafano attiva l’espressione di diverse famiglie di geni, codificanti per enzimi detossificanti, enzimi coinvolti nel metabolismo dei radicali liberi, nell’omeostasi del glutatione, nella generazione di equivalenti di potere riducente e nel metabolismo lipidico.

Nei successivi capitoli verranno presentati alcuni studi clinici relativi al sulforafano e i corrispondenti risultati ottenuti.

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CAPITOLO 4

IMPIEGHI DEGLI ITC IN FARMACOLOGIA ONCOLOGICA

In questo capitolo vengono illustrate le proprietà chemopreventive e anticancro degli isotiocianati naturali, evidenziando i bersagli molecolari della loro azione e le modalità della loro assunzione da parte delle cellule tumorali.

4.1 ATTIVITA’ CHEMOPREVENTIVA DEGLI ITC

L’azione chemopreventiva degli isotiocianati si esplica tramite un meccanismo duale, ovvero la modulazione degli enzimi di fase I e fase II per ridurre, da un lato, la bioattivazione dei carcinogeni e aumentare, dall’altro, i processi di detossificazione.

La suscettibilità di ciascun individuo nei confronti del cancro è determinata da vari fattori, tra cui la capacità dell’organismo di mantenere il rapporto corretto tra gli enzimi di fase I e quelli di fase II. Queste due classi di enzimi sono coinvolte nel metabolismo dei farmaci, degli xenobiotici e delle sostanze cancerogene; gli enzimi di fase I catalizzano reazioni di derivatizzazione del substrato, miranti ad aumentarne la polarità e l’idrofilia, mentre quelli di fase II catalizzano reazioni di coniugazione tra i metaboliti di fase I e substrati endogeni (acido glucuronico, glutatione, glicina, ione solfato). Il coniugato, completamente idrosolubile, viene poi eliminato con le urine.

Tra gli enzimi di fase I, il citocromo P450 riveste un ruolo chiave nel metabolismo ossidativo degli xenobiotici e dei cancerogeni. Tuttavia, durante questo processo, diversi agenti chimici o sostanze procancerogene vengono attivate piuttosto che convertite in metaboliti elettrofili altamente reattivi, in grado di disturbare la stabilità del genoma tramite danno al DNA. Proprio a questo livello si realizza in parte l’attività chemopreventiva degli ITC: questi composti sono infatti in grado di

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inibire la bioattivazione dei carcinogeni da parte degli enzimi di fase I (Fig.21) (Fimognari et al., 2007; Gross-Steinmeyer et al., 2004; Nakajima et al., 2001; Yoshigae et al., 2013).

Gli studi meccanicistici condotti da Morse e collaboratori dimostrano che la somministrazione degli ITC blocca la promozione dello sviluppo tumorale da parte di svariati carcinogeni chimici in diversi modelli animali (Morse et al., 1989). Ad esempio, in modelli roditori di tumore del polmone e dell’esofago, il PEITC risulta dotato di azione chemopreventiva nei confronti dei carcinogeni derivanti dal tabacco (Hecht, 1997). Anche l’AITC è in grado di inibire nei ratti i tumori indotti da NNK, un carcinogeno derivante dal tabacco: la sua azione sembra esplicarsi tramite l’induzione degli enzimi di fase II con proprietà detossificanti, quali la chinone reduttasi e la glutatione-S-transferasi (GST) (Munday et al., 2008). Gli addotti glutatione-ITC risultano in grado di inibire il citocromo P450E1 e la N-dimetilnitrosammina demetilasi, i principali enzimi responsabili della bioattivazione di specifiche nitrosammine del tabacco (Jiao et al., 1998).

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Gli ITC sono in grado di inibire direttamente diverse forme di CYP450, ad esempio SFN inibisce il CYP450 1A2 (Moreno et al., 1999). Inoltre, è stato dimostrato che il sulforafano è in grado di inibire il recettore degli steroidi e degli xenobiotici, un recettore ormonale nucleare che regola l’espressione del CYP3A4 (Zhou et al., 2007).

L’attività chemopreventiva degli ITC si esplica, oltre che con l’inibizione degli enzimi ossidativi di fase I, anche con l’induzione dell’espressione di GST, NADPH chinone ossidoreduttasi e UDP-glucuroniltransferasi, enzimi di fase II che intervengono nei processi di detossificazione dai carcinogeni e dagli xenobiotici (Cheung et al., 2010). Ad esempio, l’enzima glutatione-S-transferasi catalizza la reazione di coniugazione del glutatione (GSH) con composti elettrofili, a dare addotti più idrosolubili, facilmente eliminabili per via renale (Hayes et al., 1998). In assenza di coniugazione con GSH questi elettrofili risulterebbero estremamente pericolosi per il nostro organismo, perché in grado di alchilare le basi azotate del DNA con conseguente minaccia all’integrità e alla stabilità del genoma.

Gli addotti ITC-GSH sono esportati fuori dalle cellule tramite i trasportatori MRP (Multidrug

Resistance Protein) (Thornalley, 2002): si tratta di trasportatori attivi primari di addotti di anioni

organici, dotati di ampia specificità di substrato e capaci di conferire fenotipo multifarmaco-resistente qualora transfettati in cellule farmaco-sensibili. Sembra che la farmaco-resistenza delle cellule transfettate con queste particolari proteine sia associata alla diminuzione energia-dipendente dell’accumulo intracellulare dei farmaci e all’incremento del loro efflusso.

A causa della continua coniugazione e del conseguente efflusso dei coniugati, i livelli intracellulari di GSH risultano diminuiti in misura significativa dopo 3h dal trattamento con ITC. Come conseguenza della non disponibilità di GSH, gli ITC legano così altre proteine vitali per la cellula causandone la tiocarbamoilazione (Thornalley, 2002). Nonostante gli isotiocianati siano dotati di proprietà elettrofili, a tutt’oggi non sono però riportati esempi del loro legame diretto co il DNA cellulare.

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E’ stato dimostrato che gli ITC inducono anche l’espressione dell’enzima glutatione-S-transferasi che cattura i radicali liberi all’Ossigeno (ROS) (Kong et al., 2001). L’attività degli enzimi di fase II viene regolata principalmente attraverso l’elemento di risposta antiossidante (ARE). Quest’ultimo può essere attivato attraverso fattori di trascrizione, tra cui, ad esempio, Nrf-2 (Nuclear

factor-erythroid-2-related factor 2), che controlla la trascrizione di geni antiossidanti e citoprotettivi

(Fig.21). In condizioni basali il fattore Nrf-2 è inattivo nel citoplasma sotto forma di complesso con la proteina Keap-1, che impedisce la sua traslocazione all’interno del nucleo e media la sua degradazione ad opera della subunità 26S del proteasoma. In condizioni di stress ossidativo, i residui cisteinici di Keap-1 subiscono una modificazione redox che determina la dissociazione del legame tra Keap-1 e Nrf-2, permettendo a quest’ultimo di traslocare all’interno del nucleo, dove eterodimerizza con le proteine maf e lega gli elementi ARE all’interno della regione promotrice dei suoi geni bersaglio (Keum et al., 2004; Prawan et al., 2009).

L’azione chemopreventiva del sulforafano si realizza principalmente proprio attraverso l’attivazione degli elementi ARE, come ad esempio Keap-1/Nrf-2 (Fimognari et al., 2007); l’induzione di Nrf-2 SFN-mediata avviene tramite attivazione dell’eme ossigenasi 1 e inibizione di p38 nelle cellule di epatoma (Keum et al., 2004). Inoltre, numerosi studi documentano la capacità di SNF di indurre tioredossina e tioredossina reduttasi in diverse linee cellulari tumorali (Bacon et al., 2007).

4.2 ASSORBIMENTO DEGLI ITC DA PARTE DELLE CELLULE CANCEROSE

L’assorbimento degli agenti anticancro è un fattore importante da considerare, perché può limitarne l’efficacia. La maggior parte degli ITC viene assorbita dalle cellule tramite diffusione passiva e tale assorbimento correla con l’induzione degli enzimi di fase II con proprietà detossificanti, importanti per la chemoprevenzione. E’ stato osservato che le concentrazioni intracellulari di ITC possono raggiungere valori 100-200 volte superiori a quelli extracellulari. Ad esempio, incubando le cellule

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di epatoma con SFN 100 µM per 30 minuti, la concentrazione intracellulare dell’isotiocianato raggiunge valori pari a 6.4 mM (Zhang et al., 2000). L aumento della concentrazione intracellulare sembra associato alla formazione di ditiocarbammati, dal momento che gli ITC coniugano rapidamente con i tioli endogeni, in particolare il glutatione (GSH) (Fig.22)

Figura 22. Meccanismo di assorbimento cellulare degli ITC

L’assorbimento degli ITC nelle cellule cancerose risulta GSH-dipendente e diminuisce al crescere della concentrazione del GSH; questo si verifica perché gli addotti ITC-GSH sono trasportati attivamente fuori dalle cellule tramite le proteine MRP (Fig.23) (Zhang et al., 2012).

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41 Figura 23. Proteine MRP

Conoscere il meccanismo di assorbimento e di accumulo intracellulare degli isotiocianati è di primaria importanza per poter decidere il loro regime di dosaggio. Infatti, il dosaggio scelto deve permetterne l’accumulo, compensando il loro rapido efflusso attraverso le proteine MRP. Il sistema navetta ITC-GSH determina la rapida diminuzione delle scorte intracellulari di GSH, con conseguente perturbazione dell’omeostasi redox cellulare. Questo potrebbe essere un meccanismo plausibile per spiegare la generazione di ROS in seguito a somministrazione di ITC.

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4.3 BERSAGLI MOLECOLARI DEGLI ITC

Numerosi dati sperimentali, raccolti testando l’attività farmacologica degli ITC su ratti affetti da tumori umani, testimoniano che gli effetti anticancro degli isotiocianati naturali si esplicano attraverso la soppressione dei processi di iniziazione, crescita e sviluppo metastatico del tumore (Fig.24) (Boreddy et al., 2011; Batra et al., 2010).

Figura 24. Bersagli chemioterapici degli ITC

Gli isotiocianati naturali risultano in grado di inibire la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali e di arrestare il ciclo cellulare tra le fasi G0 e G1 piuttosto che tra le fasi G2 ed M. La

debole attività ossidante degli ITC promuove infatti la produzione di radicali liberi all’ossigeno (ROS) in grado di danneggiare il DNA con conseguente arresto del ciclo cellulare per permettere la riparazione del danno.

Come discusso in precedenza, l’angiogenesi e la neovascolarizzazione costituiscono un evento fondamentale nello sviluppo e nella diffusione di una neoplasia. In particolare, l’angiogenesi

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tumorale è un processo di formazione di un network vasale all’interno di un tessuto neoplastico ed in partenza dallo stesso; è innescata principalmente dal fattore inducibile dall’ipossia (HIF-1α) e dal fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) (Semenza, 2001). E stato dimostrato che il benzilisotiocianato (BITC) ha attività antiangiogenetica che si esplica attraverso l’inibizione di VEGF e la sotto-regolazione dell’espressione di diverse proteine, quali HIF-1α e il recettore di VEGF (VEGFR) (Boreddy et al., 2011). Anche il fenetilisotiocianato (PEITC) sembra inibire l angiogenesi tramite inibizione di VEGF (Kang et al., 2010).

La produzione dei ROS è un meccanismo importante di induzione di morte cellulare, in particolare nelle cellule cancerose. Il BITC stimola un’importante produzione di ROS nelle cellule del cancro al pancreas e del glioma. I ROS distruggono la forza motrice protonica presente a livello della membrana mitocondriale interna e stimolano il rilascio di molecole proapoptotiche che causano l’attivazione della morte cellulare caspasi-mediata (Kawakami et al., 2005). Anche il PEITC induce la morte cellulare mitocondriale tramite modulazione di alcune proteine mitocondriali, tra cui bcl-2,

bid e bax con conseguente rilascio del citocromo c nel citosol ad attivare una via apoptotica

intrinseca (Gupta et al., 2013).

Gli ITC sono in grado di bloccare la cascata metastatica tramite inibizione delle metalloproteinasi della matrice (MMP); ad esempio, è documentato che nei modelli di tumore al seno, BITC riduce l’espressione della collagenasi di tipo IV (MMP-2) e di MMP-9, bloccando in questo modo la transizione epitelio-mesenchimale (EMT) (Wu et al., 2010; Kim et al., 2011).

In vivo PEITC ha una buona biodisponibilità dose-dipendente, superiore al 70% in seguito a

somministrazione orale. L’ottima biodisponibilità è sicuramente il motivo della sua efficacia in vivo. Inoltre, secondo quanto documentato da studi di distribuzione d’organo, il PEITC raggiunge una buona distribuzione a livello cerebrale e questo lo rende uno strumento efficace per combattere la metastatizzazione cerebrale del cancro al seno (Ji et al., 2005).

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4.3.1 Focus sul sulforafano

Come già illustrato nel Capitolo 1, il sulforafano è presente principalmente nei broccoli e nei cavolini di Bruxelles, sotto forma di tioglucoside inattivo glucorafanina. L’enzima mirosinasi, presente nei tessuti vegetali e nella flora batterica intestinale, idrolizza la glucorafanina a β- tioglucosio e SFN.

SFN risulta estremamente efficace nell’inibire la carcinogenesi. Come gli altri ITC, SFN agisce a vari stadi del processo di sviluppo tumorale. Viene di seguito presentato lo “stato dell’arte” relativo alle conoscenze attuali dell’attività anticancro del sulforafano.

Proliferazione e crescita cellulare

E’ stato riscontrato che SFN agisce su bersagli molecolari specifici, quali la survivina e NF-kB, vitali per la sopravvivenza delle cellule tumorali (Wang et al., 2012; Xu et al., 2006).

Lasurvivina è una proteina dalla duplice funzione, ovvero di regolazione del ciclo cellulare e di iibizione dell’apoptosi. La sua espressione è alta nei tessuti tumorali e in quelli fetali, mentre è poco o per niente espressa nei tessuti umani adulti.

NF-kB (Fattore Nucleare Kappa B) è invece un fattore di trascrizione in grado di legare nel nucleo

cellulare specifiche sequenze di DNA presenti in geni da esso regolati. In condizioni normali la proteina si trova nel citosol di svariati tipi cellulari legata ad u inibitore che la rende inattiva. Sotto stimoli esterni di varia natura, quali agenti batterici e virali, NF-kB si libera dall’inibizione, migra nel nucleo dove svolge la sua funzione regolatrice. NF-kB svolge un ruolo primario nella regolazione della risposta immunitaria, nell’infiammazione, nella proliferazione cellulare e nel cancro. Un’errata regolazione di questo fattore di trascrizione sembra collegata all’insorgenza del cancro.Inoltre, SFN induce l’apoptosi nelle cellule del cancro al seno tramite inibizione del

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recettore degli estrogeni, EGFR1 e HER2, fondamentali per la crescita di questo tipo di neoplasia (Pledgie-Tracy et al., 2007).

Angiogenesi

Sono pochi gli studi che documentano gli effetti antiangiogenetici di SFN, che sembrano esplicarsi tramite soppressione delle proteine VEGF e MMP-2 (Jackson et al., 2004; Bertl et al., 2006). Tuttavia, a causa delle ridotte evidenze sperimentali a disposizione della comunità scientifica, a tutt’oggi l’attività antiangiogenetica non può essere considerata il meccanismo più importante alla base del blocco della carcinogenesi indotto da SFN.

Morte cellulare mitocondriale

SFN induce la morte delle cellule cancerose tramite inattivazione degli inibitori delle proteine apoptotiche (Choi et al., 2005). Inoltre SFN stimola la produzione mitocondriale di ROS che portano al rilascio del citocromo c nel citosol, evento che, per quanto discusso nel precedente capitolo, rappresenta un ulteriore stimolo all’apoptosi (Singh et al., 2005).

Arresto del ciclo cellulare

SFN sembra indurre l’arresto del ciclo cellulare tra la fase G0 e la fase G1 mediato da p27, un CDKI

(Shan et al., 2006). Inoltre causa arresto irreversibile del ciclo cellulare tra la fase G2 e la fase M,

tramite attivazione di p21e inibizione del complesso Cdc2/Ciclina B1 (Suppipat et al., 2012). L’arresto G2/M è seguito da apoptosi caspasi-mediata (Gamet-Payrastre et al., 2000).

Invasione e metastasi

SFN ha una potente azione antimetastatica che si esplica tramite soppressione delle proteine MMP e inibizione della transizione epitelio-mesenchimale (EMT), con conseguente blocco della migrazione cellulare e dell’invasione (Li et al., 2011).

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CAPITOLO 5

STUDI IN VITRO E IN VIVO

SULL’EFFICACIA DEL SULFORAFANO

5.1 POLIMORFISMI NEI GENI NRF2-BERSAGLIO

Le glutatione S-transferasi (GST) costituiscono una grande famiglia multigenica degli enzimi di fase 2 e sono coinvolte nella detossificazione (Kim MK, Park JH., 2009) di sostanze chimiche potenzialmente genotossiche. Gli ITC bioattivi delle verdure crocifere sono metabolizzati tramite la via dell'acido mercapturico per formare un glutatione coniugato, che viene catalizzato dall’enzima GS. I polimorfismi in questi enzimi hanno un impatto nutrigenetico significativo sul metabolismo generale degli ITC, che pregiudica la biodisponibilità del SFN: è stato dimostrato che l'assunzione di verdure crocifere conferisce maggiore chemioprevenzione quando sono presenti alcuni polimorfismi GST; in altri studi, è stato osservato l’opposto. I diversi effetti dell’espressione fenotipica di GSTM1 sul metabolismo di SFN sono tali che nei soggetti GSTM1-privi è escreto quasi il 100% del SFN ingerito. In uno studio successivo, Gasper et al. (Gasper AV, et al., 2007) hanno dimostrato che vi sono soglie di concentrazione intracellulare di SFN al di sotto delle quali non vi è espressione genica. Per cui, bisognerebbe consumare più verdure crocifere, poiché è stato dimostrato che alcuni broccoli freschi acquistati da negozi al dettaglio hanno livelli molto bassi di SFN, anche se consumati crudi e ingerito frequentemente. Lo stesso studio negli esseri umani che hanno consumato 300 ml di liquido di fiori di broccoli disponibile in commercio, ha mostrato che il picco plasmatico dei livelli di SFN viene raggiunto con 0,07 µM. Un altro studio, che ha confrontato volontari che consumavano una singola porzione di broccoli freschi poco cotti rispetto

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ad una singola porzione di broccoli congelati poco cotti, ha mostrato una differenza di circa 10 volte nella concentrazione plasmatica, circa 0,2 µM per i broccoli freschi contro circa 0,02 µM per i broccoli congelati (Saha S., et al., 2012). Inoltre, sono state osservate basse concentrazioni fisiologiche dopo l'ingestione della verdura surgelata, definite al di sotto della soglia necessaria per indurre risposte in modelli cellulari. Esistono ampie variazioni nella quantità di glucosinolati tra le diverse varietà di Brassica oleracea da cui germogli crescono i broccoli. Ciò suggerisce la probabilità di una marcata variazione delle quantità di ITC derivate dall'idrolisi dei glucosinolati. E’ stata osservata una differenza di 27 volte tra i più bassi e i più alti livelli di glucorafanina (Kushad MM,, et al., 1999). I polimorfismi GST possono essere prevalenti nella popolazione, fino al 50% delle persone che hanno un genotipo nullo per l’isoenzima GSTM1. Il genotipo nullo GSTM1 può conferire un vantaggio perché la ridotta attività di GST potrebbe causare una più lenta eliminazione e una maggiore esposizione ad ITC dopo il consumo di verdure crocifere. I fenotipi GSTM1 nulli sono stati associati ad un ridotto rischio di tumori della mammella, della prostata e del colon, aggiungendosi al potenziale ruolo chemopreventivo e citoprotettivo del SFN, tuttavia non tutti gli studi confermano questa ipotesi. Sono stati studiati epatociti umani trattati con l’aflatossina B1 epatocarcinogenica dopo la pre-esposizione a SFN a dosi di 10 µM e 50 µM per valutare la capacità di formazione di addotti di DNA resistenti; si è verificata una riduzione nella formazione di addotti di DNA con entrambe le dosi, e maggiormente con la concentrazione più alta. L’analisi dell'espressione genica negli epatociti SFN-trattati ha dimostrato che SFN diminuisce notevolmente l’mRna del citocromo P450 (CYP3A4) ma non induce l'espressione di GSTM1, suggerendo che l'induzione dell’attività di GST è un mezzo attraverso il quale SFN esercita l’azione chemopreventiva.

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5.2 EFFETTI DEL SULFORAFANO SUI GENI BERSAGLIO

Gli oltre 200 geni target Nrf2 identificati possono essere classificati in generale come geni che codificano per una serie di proteine citoprotettive, tra cui antiossidanti (enzimi e non enzimi), enzimi farmaco-metabolizzanti, pompe d’efflusso, proteine dello shock termico, enzimi NADPH rigenerativi, fattori di crescita, recettori dei fattore di crescita, proteine leganti metalli pesanti, recettori della proliferazione perossisomiale (PPAR-γ), oltre ai geni che codificano per Nrf2.

Uno studio illustrativo ha studiato l'effetto di una singola dose orale di 200 µmol/L di SFN puro nelle donne immediatamente prima della riduzione mammoplastica (Cornblatt BS., et al., 2007). Due biomarcatori importanti in questo studio sono stati l’emossigenase-1 (HO-1), un enzima citoprotettivo espresso dopo l'induzione da Nrf2 del gene bersaglio, e NAD (P) H: chinone ossidoreduttasi (NQO1), un enzima disintossicante di fase 2 Nrf2-inducibile, che presenta una serie di altre proprietà citoprotettive. La dose selezionata è basata su un precedente studio (Ye L,et al., 2002), che ha dimostrato che i metaboliti ditiocarbammato di SFN erano rilevati nel plasma dopo 15 minuti e raggiungevano un picco di 2,0 ±0,3 µM 1 h dopo l'ingestione, indicando una rapida diffusione. La massima induzione di 12 volte della trascrizione di NQO1 è stata osservata nella ghiandola mammaria 12 ore dopo la somministrazione, con un’induzione significativa già rilevata dopo 2 h. E’ stata osservata un’induzione bifasica di HO-1, con un picco iniziale a 2 h, seguito da un successivo picco a 12 h, indicativo della effetto ritardato della conversione di SFN a ditiocarbammati. Il tempo minimo di induzione di HO-1 induzione è stato di 1 h.

5.3 EFFETTI CHEMOPROTETTIVI

Gli effetti chemoprotettivi del sulforafano sono stati studiati in diverse linee cellululari cancerose. Tra i difetti emersi, la mutazione del gene soppressore p53 si verifica in circa il 50% di tutti i tumori. I meccanismi cellulari intrinseci citoprotettivi sono a poco a poco indeboliti da varie

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