Università degli studi di Pisa
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-‐ambientali
In collaborazione con CNR Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria
Corso di Laurea Magistrale in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti
Tesi di Laurea
POMODORO RIVESTITO CON EDIBLE COATING ARRICCHITO:
ASPETTI MICROBIOLOGICI E NUTRACEUTICI
Candidato: Relatori:
Irene Baratto Prof.ssa Annamaria Ranieri Dott.ssa Stefania Frassinetti
Correlatore: Prof. Andrea Serra
Dedico questa tesi a mia madre e mio zio Enzo
Indice
RIASSUNTO ... 4
PARTE 1 – INTRODUZIONE ... 8
1.1 Le trasformazioni chimico-‐fisiche di un alimento ... 8
1.2 La conservazione degli alimenti, dalle tecniche di trasformazione al packaging moderno ... 9
1.3 Gli edible coatings ... 11
1.3.1 Caratteristica degli edible coatings: ... 12
1.3.2 Applicazioni degli edible coatings: ... 13
1.4 Il chitosano ... 18
1.5 La gelatina di collagene ... 25
1.6 Pomodoro: Solanum lycopersicum, L., cenni storici e proprietà ... 29
1.6.1 Composti bioattivi nel pomodoro ... 32
1.7 Mirtillo nero: Vaccinium myrtillus L., cenni storici e proprietà ... 39
1.8 Scopo della tesi ... 44
PARTE 2 – MATERIALI E METODI ... 45
2.1 Preparazione dei composti polimerici per edible coating ... 45
2.1.1 Preparazione delle soluzioni di chitosano ... 45
2.1.2 Preparazione di gelatina di collagene e applicazione ... 46
2.2 Estrazione e conservazione dei campioni ... 48
2.2.1 Preparazione e conservazione del succo di mirtillo ... 48
2.2.2 Estrazione di composti fenolici da frutti di pomodoro ... 48
2.2.3 Estrazione dei carotenoidi da frutti di pomodoro ... 49
2.3 Saggi biochimici ... 49
2.3.1 Determinazione della concentrazione dei polifenoli totali ... 49
2.3.2 Determinazione della concentrazione dei flavonoidi totali ... 50
2.3.3 Determinazione della concentrazione dei carotenoidi ... 51
2.3.4 Determinazione della concentrazione delle antocianine ... 51
2.3.5 Determinazione dell’attività antiossidante “Saggio DPPH” ... 52
2.4 Saggi microbiologici ... 53
2.4.1 Determinazione dell’attività antibatterica: determinazione della “MIC”, concentrazione minima inibente ... 53
2.4.2 Determinazione della carica batterica totale ... 54
2.4.3 Determinazione dei coliformi totali ... 54
2.5 Analisi statistica ... 55
PARTE 3 – RISULTATI ... 56
3.1 Caratterizzazione del succo di mirtillo ... 56
3.1.1 Valutazione del profilo fitochimico dell’estratto di mirtillo ... 56
7.1.2 Saggio attività antiossidante ... 56
7.1.3 Saggio attività antimicrobica, concentrazione minima inibente (MIC) ... 57
7.2 Caratterizzazione delle soluzioni di chitosano e gelatina di collagene ... 59
7.2.1 Saggio attività antiossidante ... 59
7.2.2 Saggio attività antimicrobica MIC ... 61
7.3 Applicazione di edible coating a base di gelatina di collagene pura o arricchita con estratto di mirtillo su frutti di pomodoro ... 63
7.4 Caratterizzazione frutti di pomodoro ... 64
7.4.1 Valutazione della concentrazione di composti fenolici dei frutti di pomodoro ... 64
7.4.2 Dosaggio carotenoidi ... 66
7.4.3 Saggio attività antiossidante ... 68
7.4.4 Saggio attività antimicrobica MIC ... 69
7.4.5 Determinazione carica batterica totale e dei coliformi totali ... 71
PARTE 4 – DISCUSSIONE ... 74
PARTE 5 -‐ CONCLUSIONI ... 79
BIBLIOGRAFIA ... 80
Ringraziamenti ... 97
RIASSUNTO
Negli ultimi anni, grazie alla globalizzazione commerciale e ad una crescente richiesta di alimenti sempre più sicuri ed efficaci da un punto di vista salutistico e nutrizionale, la ricerca ha posto molta attenzione sul problema della conservabilità degli alimenti freschi, soprattutto per quanto riguarda il prolungamento della shelf-‐life e il miglioramento delle loro caratteristiche organolettiche, salutistiche e nutrizionali.
Nel settore del packaging numerose ricerche hanno portato alla scoperta di nuovi materiali adatti all’uso nei cosiddetti edible coatings, cioè rivestimenti edibili che consentano di assicurare la freschezza di un alimento e la sua sicurezza nel tempo.
Gli edible coatings sono speciali polimeri in grado di formare una pellicola che può rivestire frutta e verdure fresche allo stesso modo di una pellicola sintetica. La novità di questi composti è che sono edibili, atossici e anallergici e possono quindi essere ingeriti senza rischi per il consumatore e consentire di ridurre notevolmente l’impatto ambientale in rifiuti. Oltre a sostituire le funzioni meccaniche di rivestimento di una pellicola alimentare, gli edible coatings possono essere usati come carriers per alcuni additivi che possono migliorare le qualità nutrizionali (es. vitamine, antiossidanti), organolettiche (es. aromi) o la sicurezza (agenti antimicrobici) degli alimenti.
Scopo di questa tesi è il confronto di due tipi di polimeri usati nell’edible coating: il chitosano, già ampiamente studiato a questo scopo e la gelatina di collagene, di cui esistono scarsi dati sperimentali.
A questo scopo sono state confrontate soluzioni all’1,5% dei due polimeri, sia pure che arricchite con concentrazioni crescenti di un estratto di mirtillo ottenuto dalla liofilizzazione diretta del succo e ne è stata sperimentata l’efficacia antimicrobica e antiossidante. Il succo di mirtillo stesso è stato analizzato con dosaggio di polifenoli, flavonoidi e antocianine e, diluito in etanolo, è stato esaminato per attività antimicrobica e antiossidante.
L’attività antimicrobica è stata valutata su tre batteri Gram negativi rappresentati da Escherichia coli (ATCC 25922), Salmonella enterica Typhimurium (ATCC 14028) e Enterobacter aerogenes (ATCC 13048), e due batteri Gram positivi come Enterococcus faecalis (ATCC 29212) e Staphylococcus aureus (ATCC 25923), tutti facenti parte della della microflora intestinale umana, ma potenziali patogeni. L’attività antiossidante è stata valutata mediante il saggio del DPPH [2,2-diphenyl-1-picrylhydrazyl).
I dati sono stati espressi come media ± deviazione standard e le differenze tra campioni sono state valutate mediante test di Student e test ANOVA. Valori di p ≤ 0.05 sono stati considerati
statisticamente significativi.
I test di attività antimicrobica hanno confermato per il chitosano puro un’eccellente attività sia su ceppi gram negativi che gram positivi, non potenziata dall’ arricchimento con succo di mirtillo. Diversamente, la gelatina di collagene non ha mostrato attività antimicrobica significativa, sia per i batteri gram negativi che gram positivi, anche in questo caso senza potenziamento dall’arricchimento con estratto di mirtillo.
Per quanto riguarda l’attività antiossidante, questa è stata rilevata nella soluzione pura sia di chitosano che di gelatina di collagene senza evidenti differenze ed in entrambi i casi le soluzioni arricchite con estratto di mirtillo hanno mostrato una maggiore attività rispetto alle soluzioni pure (p<0,05).
E’ stato scelto tra i due polimeri la gelatina di collagene per le prove di rivestimento dei frutti di pomodoro .
Campioni di pomodoro varietà Cerasiforme (ciliegino) sono stati rivestiti per un terzo con gelatina di collagene al 5%, un terzo con la medesima soluzione arricchita con estratto di mirtillo (1mg/ml) e un terzo non sono stati trattati come controllo. I frutti sono stati lasciati a temperatura ambiente per sette giorni per imitare la permanenza su un banco di vendita non refrigerato.
La parte restante dei frutti, conservata a -‐20°C, è stata omogenizzata e l’estratto ottenuto è stato utilizzato per la conta della carica batterica totale e dei batteri coliformi totali.
Su campioni prelevati all’inizio, al terzo e al settimo giorno rispettivamente, omogenizzati e liofilizzati è stata effettuata l’estrazione in metanolo all’ 80%, per isolare componenti antiossidanti e biologicamente attivi e, sugli estratti, sono stati effettuati dosaggi di carotenoidi, fenoli e flavonoidi e, successivamente, misurate le attività antiossidanti e antimicrobiche.
Al termine della settimana, l’osservazione diretta ha evidenziato un numero inferiore di frutti ammaccati (p<0,05) nei campioni trattati con pellicola di collagene. L’arricchimento con succo di mirtillo non ne ha prodotto miglioramenti significativi.
L’attività antiossidante è risultata maggiore e più stabile durante tutta l’osservazione nei frutti trattati con la gelatina di collagene rispetto ai controlli (p<0,05) e non sono state riscontrate differenze tra il trattamento con la gelatina pura rispetto a quella arricchita con estratto di mirtillo. Analogamente la concentrazione di fenoli e flavonoidi all’interno dei frutti trattati con gelatina di
collagene è risultata maggiore rispetto ai controlli (p<0,01) senza incremento significativo con l’arricchimento con estratto di mirtillo.
Per quanto riguarda la concentrazione di carotenoidi (licopene, luteina e beta carotene), questa si è mantenuta stabile durante tutto il tempo di conservazione in tutti i campioni, senza differenze significative tra campioni trattati e controlli.
L’attività antimicrobica degli estratti dei frutti di pomodoro si è rivelata molto elevata per tutti i campioni, sia trattati che non, a tutti i tempi di conservazione, evidenziando come la presenza dell’edible coating non abbia aumentato in maniera rilevabile l’attività antimicrobica intrinseca già nota come molto elevata dei frutti di pomodoro.
Infine, per quanto riguarda i saggi di attività antimicrobica sugli estratti di pomodoro conservati a -‐ 20°, è emerso che i frutti trattati con il gel di collagene arricchito con estratto di mirtillo sono risultati meno contaminati dalla presenza di batteri e in particolare di coliformi rispetto a tutti gli altri campioni (p<0,05).
Conclusioni. I risultati degli esperimenti riportati in questa tesi indicano che la gelatina di collagene può essere utilmente impiegata come edible coating e che la presenza di un arricchimento con estratto di mirtillo, mentre non influisce significativamente sull’attività antiossidante dei frutti e sulla loro capacità antimicrobica, protegge più efficacemente quest’ultimi dalle contaminazioni batteriche durante il periodo di conservazione.
PARTE 1 – INTRODUZIONE
1.1 Le trasformazioni chimico-‐fisiche di un alimento
La conservazione di un alimento è sempre stata un passaggio importante e fondamentale per la corretta ed efficace nutrizione dell’uomo.
La necessità di conservare un alimento deriva dal fatto che la maggior parte di questi, sia di origine animale che vegetale, tende a subire delle modificazioni chimico-‐fisiche più o meno evidenti e in tempi più o meno lunghi, che portano ad un deterioramento progressivo fino anche al raggiungimento della non commestibilità (Rahman, 2007).
Queste modificazioni iniziano generalmente in “post raccolta” o “post mortem” nel caso di prodotti carnei ed alcune sono di carattere endogeno, altre di carattere esogeno.
Si tratta generalmente di fenomeni e processi di natura fisica, chimica, biochimica e microbiologica a volte interagenti tra loro in un sistema di trasformazioni e modificazioni molto complesso che porta ad una alterazione anche totale delle caratteristiche dell’alimento.
Queste alterazioni possono essere desiderate e controllate, come nel caso della fermentazione dell’uva in vino o del latte in formaggio, in tal caso si ottiene un prodotto diverso ma ugualmente edibile e più conservabile rispetto all’originale (Antolini et al. 2016).
Quando invece queste alterazioni non sono desiderate si parla di una vera e propria degradazione dell’alimento, un processo naturale che può essere ritardato ma mai impedito del tutto.
La maggior parte delle degradazioni sono di natura biochimica, dovute all’azione di enzimi endogeni, cioè già presenti all’interno dell’alimento come ad esempio l’autolisi enzimatica della carne post mortem, o enzimi esogeni generati da microrganismi, generalmente batteri o muffe (Antolini et al. 2016).
Questi enzimi alterano vari tipi di molecole, quali:
• glucidi, attraverso soprattutto processi di respirazione e fermentazione operate da microrganismi;
• proteine, la cui degradazione avviene invece quasi sempre per merito di fenomeni di natura fisico-‐chimica come la denaturazione, la proteolisi o la reazione di Maillard.
• lipidi, che si degradano attraverso processi di idrolisi attraverso la luce e l’attivazione dell’enzima lipasi (enzima sia endogeno che esogeno) o irrancidimento chetonico o ossidativo;
• polifenoli, causa principale dell’imbrunimento enzimatico negli alimenti di origine vegetale.
Sono queste modificazioni la causa principale della degradazione degli alimenti e i fattori principali da tenere sotto controllo, rallentandoli o prevenendoli, per poter conservare il più a lungo possibile un prodotto alimentare (Antolini et al. 2016).
Il tipo di conservazione e il prolungamento temporale che riesce a mantenere inalterate le sue caratteristiche nutrizionali, qualitative e salutari, variano a seconda del tipo di alimento (caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche) e dell’ambiente a cui è destinato nella sua conservazione (Antolini et al. 2016).
1.2 La conservazione degli alimenti, dalle tecniche di trasformazione al packaging
moderno
Un alimento fresco si mantiene tale ed edibile solo per un certo periodo di tempo che, nel caso di alimenti ricchi di acqua, può essere anche molto breve, dell’ordine di qualche giorno.
Diviene quindi comprensibile come nella storia dell’uomo la necessità di avere una fonte di cibo di facile reperimento, in qualsiasi periodo dell’anno e in qualsiasi circostanza ambientale e climatica, abbia portato a una sempre maggiore consapevolezza della gestione e conservazione del cibo con la continua ricerca e perfezionamento di varie tecniche conservative.
La fermentazione, l’essicazione, la salagione, la marinatura sono solo alcuni degli esempi di tecniche di trasformazione conservativa che dall’antichità sono giunte fino a noi perfezionandosi e differenziandosi nel tempo. Questo tipo di tecniche tuttavia non permette di mantenere l’alimento fresco e con le sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali inalterate. Per poter ottenere un consistente prolungamento della conservazione di un alimento fresco si deve aspettare dapprima la scoperta della refrigerazione e, successivamente, delle tecniche moderne di packaging e trattamenti sul prodotto fresco (Cappelli, Vannucchi, 1990).
In principio la conservazione aveva l’unica finalità di mantenere il prodotto edibile il più a lungo possibile mentre col crescere del benessere e della globalizzazione del mercato, le esigenze sono a poco a poco cambiate.
Vi è stata e vi è tutt’ora necessità di poter commercializzare prodotti freschi e inalterati anche a grandi distanze tramite lunghi viaggi e di proteggerli dalle azioni fisiche, chimiche e biologiche derivanti dal trasporto, dal tempo e dall’ esposizione sui banchi di vendita (Antolini et al. 2016).
Si inizia così a parlare di shelf life.
Si intende per shelf life il tempo durante il quale un prodotto alimentare fresco può essere mantenuto in un punto vendita al dettaglio senza che le sue qualità intrinseche si alterino.
Questa condizione implica che l’alimento non subisca modificazioni o trattamenti volti a prolungare la sua conservabilità e che oltre alle sue caratteristiche si mantenga accettabile il suo livello di sicurezza per il consumatore secondo norme vigenti (Bertuzzi, 2013).
La velocità con cui un alimento perde la sua accettabilità per il consumatore sia in termini di sicurezza che di gradevolezza dipende essenzialmente dall’efficacia delle condizioni di conservazione: la luce, la temperatura, la presenza di ossigeno e l’umidità sono i quattro fattori principali responsabili delle alterazioni indesiderate che possono colpire l’alimento fresco durante la sua conservazione (Antolini et al. 2016).
Al fine di riuscire a prolungare la shelf life di un alimento sono state introdotte e migliorate diverse tecniche conservative dei prodotti freschi (Licciardello, 2017).
Uno dei campi in cui la ricerca tecnologica si è concentrata negli ultimi tempi è il packaging alimentare, ovvero le tecniche e i materiali con cui si confezionano o imballano i prodotti alimentari. Il mercato globale delle tecnologie volte al miglioramento di questo settore è in continuo sviluppo con tasso di crescita stimato ad arrivare a un valore complessivo totale di 43 miliardi di euro entro il 2019 (Severini, De Leo 2015).
Il packaging è l’ultimo step produttivo nell’industria alimentare, il cui successo nel mercato è legato intrinsecamente alla sua efficienza nel preservare inalterata la qualità e la salubrità dell’alimento. Un esempio di modern packaging è il confezionamento in atmosfera modificata, dove il prodotto alimentare viene mantenuto in un’atmosfera isolata o semipermeabile, costituita da una miscela di gas come ad esempio anidride carbonica, quando si vuole inibire la proliferazione di muffe, funghi e batteri aerobi, oppure ossigeno quando si vuole inibire la crescita dei batteri anaerobi o azoto, un gas inerte utilizzato come gas di riempimento. I gas contenuti nelle miscele hanno una composizione prestabilita e precisa, una scorretta composizione delle miscele di imballaggio può infatti causare alterazioni inaccettabili per l’alimento (Mangaraj et al. 2009).
Un altro esempio di packaging sono i contenitori Tetra Pack con cui si confezionano svariati tipi di alimenti, sia freschi che non, grazie al confezionamento completamente asettico. I contenitori dell’omonima azienda svedese sono composti da uno speciale poliaccoppiato composto per la maggior parte da carta, quindi dal materiale plastico polietilene e da alluminio: quest’ultimo, grazie a un sottilissimo strato interno, protegge i contenuti sia dall’ossigeno che dalla luce (Yilgor et al, 2014).
In questo contesto si sono moltiplicati i progetti di ricerca e sviluppo, supportati anche da numerosi bandi europei, mirati allo sviluppo di soluzioni sempre più efficaci, economiche, sicure e sostenibili (Severini, De Leo, 2015).
1.3 Gli edible coatings
Una delle branche di ricerca riguarda gli edible coatings: questi si ispirano ai naturali rivestimenti di certi alimenti, come la buccia della frutta, cercando di creare pellicole commestibili che siano in grado di conservare il prodotto inalterato e di aumentarne le caratteristiche salutistiche e nutrizionali. Questi tipi di involucri sono per lo più studiati per la conservazione della frutta e della verdura fresche o in minima parte processate; gli alimenti vegetali freschi sono infatti molto ricchi di acqua (80-‐90% del peso) che tende ad evaporare durante la conservazione, riducendo
drasticamente il tempo di shelf life (Dhall, 2012).
Il primo esempio storico di edible coating utilizzato su frutta e verdura viene dalla Cina del XII secolo, dove veniva usata la cera per ricoprire limoni e arance per aumentarne il tempo di
conservazione (Park, 1999).
Gli edible coatings possono essere prodotti da materiali che hanno la capacità di produrre un film quando vengono dispersi in solventi come acqua, alcol o una loro combinazione; durante questi processi aggiustare il pH e scaldare la soluzione a seconda del polimero utilizzato può aiutare a facilitarne la dissoluzione e la dispersione, inoltre possono essere aggiunti agenti plasticizzanti, agenti antimicrobici, minerali, vitamine, coloranti o aromi. La soluzione liquida si applica agli alimenti tramite immersione diretta o diffusione a spruzzo e una volta asciutta assume l’aspetto di
una sottile pellicola trasparente o semitrasparente che avvolge l’alimento (Falguera et al. 2011).
Tipi di polimeri utilizzati per la formazione di un edible coating (Dhall, 2012)
• Polisaccaridi, come chitosano, cellulosa, amido, alginati, carragenine, pectine e gomme. Questi polimeri idrofili non sono molto efficaci nell’impedire la traspirazione dell’acqua ma sono efficaci come barriera per i gas, i grassi e gli oli. Possiedono eccellenti proprietà elastiche e di resistenza meccanica.
• Lipidi. L'utilizzo dei grassi come barriera protettiva per gli alimenti è una tecnica usata da secoli. Attualmente coatings di lipidi vengono utilizzati per la loro eccellente impermeabilità all’acqua e al vapore, essendo idrofobici, ma formano film più densi e fragili rispetto agli altri polimeri e per questo motivo sono spesso usati in combinazione o come additivo nella formazione di edible coatings composti da più tipi di polimeri.
• Proteine: sono al momento i polimeri meno studiati per gli edible coatings, sono idrofili e quindi suscettibili alla traspirazione dell’acqua. Le loro proprietà variano in base alla loro origine e funzione biologiche; le proteine fibrose ad esempio, ottenute dai tessuti animali (collagene, caseina, ecc.), sono insolubili in acqua mentre le proteine globulari, di origine vegetale (glutine, proteine della soia, ecc.), sono solubili in acqua e in soluzioni acide, basiche o saline. Generalmente le proteine devono prima essere denaturate dal calore o da solventi acidi o basici per formare una struttura più estesa adatta alla formazione di un fim; ciò è dovuto alla capacità di potersi legare covalentemente agli ioni in soluzione o creare legami tra catene di amminoacidi. Più è alto il numero di legami tra catene di amminoacidi,
più il biofilm risulterà resistente ma anche meno elastico e permeabile.
A questi polimeri, per dar loro le caratteristiche meccaniche e fisiche richieste, vengono aggiunti agenti plasticizzanti (come glicerolo, sorbitolo, acidi grassi, monogliceridi), solventi (come acqua, soluzioni di etanolo) e vari additivi a seconda delle esigenze, per esempio gli stessi lipidi, cere o
altre sostanze idrofobiche per incrementare l’impermeabilità della pellicola (Falguera et al. 2011).
1.3.1 Caratteristiche degli edible coatings:
Una pellicola, per poter essere usata come rivestimento alimentare, deve possedere determinate caratteristiche (Dhall, 2012) quali:
• essere resistente all’acqua, così che la pellicola rimanga adesa all’alimento;
produrre un’eccessiva quantità di anidride carbonica. Generalmente è consigliata una quantità di ossigeno minima del 1-‐3% per permettere il passaggio dalla respirazione aerobia all’anaerobia;
• poter ridurre la permeabilità al vapor d’acqua;
• mantenere la propria struttura nel tempo e poter fungere da carrier per eventuali additivi e principi attivi;
• essere in grado di trattenere le componenti volatili dell’alimento che ne costituiscono l’aroma;
• avere una temperatura di fusione al di sopra dei 40°C;
• essere di facile utilizzo, non appiccicoso, non viscoso e asciugarsi con facilità; • essere economico;
• essere traslucido e resistere a deboli pressioni;
• non interferire negativamente con la qualità dell’alimento;
• essere biodegradabile e biocompatibile con l’alimentazione umana; • essere microbiologicamente stabile e sicuro;
• essere atossico e anallergico.
1.3.2 Applicazioni degli edible coatings:
Prolungamento della shelf-‐life del prodotto.
Gli edible coatings rivestono il frutto proteggendolo dagli agenti esterni come le tradizionali
pellicole sintetiche. Inoltre la presenza di un effetto antimicrobico e antifungino, sia per le
caratteristiche intrinseche della matrice del coating, sia per un eventuale aggiunta di sostanze ad azione battericida, batteriostatica o fungicida, assicura un aumento della shelf life (Falguera, 2011). La superficie di frutta e verdura è la parte del prodotto che più è esposta all’azione di microrganismi alteranti o patogeni ed è stato provato che l’azione di edible coating arricchiti con
agenti antimicrobici (acido sorbico, benzoico, citrico, sorbato di potassio e batteriocine come
nicina e pediocina) abbatte efficacemente la carica microbica e fungina sull’alimento mantenendolo a valori accettabili per il consumatore.
In uno studio effettuato su frutti di mirtillo nero freschi trattati con una pellicola di chitosano arrricchita con lo 0,5% di estratto di Aloe vera, è stata riscontrata un’inibizione della crescita di Pennicillum expansum e Aspergillum niger, tipiche muffe contaminanti del mirtillo, rispettivamente del 49,9% e dell’8,56%, con un prolungamento complessivo della shelf life di 5
giorni, che rappresenta un significativo valore commerciale per i produttori di mirtilli (Vieira et al. 2016). Un altro studio ha dimostrato un aumento significativo delle capacità antiossidanti e atimicrobiche di un edible coating di chitosano arricchito con estratto di bacche di maqui allo 0,5% e 1%; queste proprietà possono essere attribuite ai composti bioattivi naturali delle bacche di
maqui come polifenoli, flavonoidi ed antocianine (Genskowsky et al. 2015).
Ponce et al. (2008) hanno applicato un coating di chitosano arricchito con una oleoresina di oliva e rosmarino su fette di zucca (Cucurbita moschata Duch) fresca riscontrando un chiaro effetto antiossidante che ha rallentato l’azione della polifenolossidasi e perossidasi in cinque giorni di conservazione.
Attualmente gli agenti antimicrobici vengono aggiunti direttamente all’alimento ma la loro attività può essere inibita da differenti componenti del prodotto; in questi casi l’implementazione di agenti antimicrobici direttamente nelle pellicole edibili può essere più efficiente dei classici
additivi antimicrobici.
Gli edible coatings polisaccaridici possono essere usati per modificare l’atmosfera interna dei frutti ritardandone la senescenza (Rojas-‐Grau et al., 2009).
L’atmosfera modificata che si crea tra la superficie del frutto e la pellicola deve essere strettamente controllata perché influenza molti aspetti come le proprietà antiossidanti, il colore, la consistenza, le qualità organolettiche, la crescita microbica e la produzione di etilene e altri composti volatili derivanti dai processi di anaerobiosi (Falguera et al., 2011). Se da un lato l’atmosfera modificata garantisce una maturazione più lenta e quindi una shelf life più prolungata, una maggiore protezione dall’ossidazione e dagli attacchi microbici, dall’altra una modificazione scorretta o non controllata può portare a disordini associati o a una troppo alta concentrazione di anidride carbonica o una troppo bassa concentrazione di ossigeno. Per esempio in uno studio su melone fresco tagliato a fette e poi ricoperto con edible coating a base di gomma gellano è stato dimostrato l’aumento di formazione di composti fenolici in risposta allo stress generato da un’eccessiva modificazione dell’atmosfera (Oms-‐Oliu et al., 2008a).
Questi composti, per quanto efficaci antiossidanti, modificano negativamente le proprietà organolettiche dell’alimento se in elevate quantità (Falguera et al. 2011). Ne è esempio la massiccia produzione di etanolo ed acetaldeide dopo due settimane di conservazione nelle mele trattate con un edible coating a base di alginati e gomma gellano, dovuta alle fermentazioni anaerobie che abbassano le qualità organolettiche dei frutti (Rojas-‐Grau et al. 2009).
Una delle priorità quindi, quando si ricerca un efficace edible coating, è il controllo sulla permeabilità ai gas della pellicola. E’ stato studiato l’effetto di traspirazione gassosa di edible coatings a base di alginati (2% w/v), pectine (2% w/v) e gomma gellano (0.5% w/v) arricchiti con N-‐ acetilcisteina allo 0.75% (w/v) e glutatione allo 0.75% (w/v) applicati su fette fresche di pera conservate per due settimane a 4°C. I risultati hanno mostrato una maggiore resistenza al vapor d’acqua e una riduzione della produzione di etilene (Oms-‐Oliu et al., 2008b).
Miglioramento delle qualità organolettiche del prodotto: si ottiene grazie all’aggiunta di additivi come coloranti o aromi naturali che migliorano o stabilizzano nel tempo di conservazione le
caratteristiche organolettiche dell’alimento (Restuccia et al., 2010). Al fine di rallentare o evitare i
cambiamenti di sapore e aroma durante la conservazione degli alimenti sono stati studiati arricchimenti a base di composti aromatici su vari edible coatings. Marcuzzo et al. (2010) hanno incapsulato 10 differenti composti aromatici in un biofilm a base di carragenina, quali acetato di etile, butirrato di etile, isobutirrato di etile, esanoato di etile, ottanoato di etile, 2-‐pentanone, 2-‐ eptanone, 2-‐octanone, 2-‐nonanone e 1-‐exanolo; i risultati hanno rilevato che questo tipo di arricchimento rilascia composti aromatici gradualmente nell’alimento mantenendo più a lungo inalterate le caratteristiche organolettiche dello stesso come l’aroma e il sapore. Hambleton et al. (2009) hanno dimostrato che coatings polisaccaridici a base di alginati erano in grado di trattenere composti aromatici incapsulati (n-‐esanale) grazie alla loro bassa permeabilità all’ossigeno.
Alcune formulazioni di edible coatings possiedono la capacità di inibire l’enzima polifenolo ossidasi e ritardare così le reazioni enzimatiche di imbrunimento. Vangnai et al. (2006) hanno applicato un coating di chitosano su frutti di longan (Dimocarpus longan Lour.) trovando che questo trattamento riduceva l’attività della polifenolo ossidasi durante 20 giorni di conservazione a 4°C, diminuendo l’imbrunimento dei frutti. Un altro studio condotto applicando un coating di chitosano su funghi tagliati di fresco ha mostrato un ritardo della decolorazione e un effetto positivo sulle caratteristiche del colore durante una conservazione a -‐4°C (Eissa, 2008).
Miglioramento delle qualità nutraceutiche del prodotto: al giorno d’oggi la richiesta di alimenti salutari oltre che sicuri è in costante aumento, a questo proposito gli edible coatings si sono rilevati anche degli efficaci carrier per sostanze nutraceutiche come antiossidanti, vitamine, antimicrobici, e altri composti bioattivi che possono venire direttamente incapsulati all’interno del film. Rojas-‐Grau et al (2007) hanno dimostrato la capacità di un edible coating a base di alginati e gomma gellano di trasportare N-‐acetilcisteina, glutatione e oli vegetali ricchi di acidi grassi
essenziali ω3 e ω6 su mele Fuji.
Riduzione dell’assorbimento di olio durante la frittura: un’altra applicazione interessante
affrontata in numerosi studi è la capacità degli edible coatings di limitare l’assorbimento di olio da
parte dell’alimento durante la frittura. Il cibo fritto contiene molti grassi, a volte fino a 1/3 del
peso totale del prodotto rendendo gli alimenti fritti non salutari (Falguera et al. 2011). Diversi tipi di coatings sono stati sperimentati per tentare di ridurre l’assorbimento di olio durante la frittura, come alginati, cellulosa e suoi derivati, proteine della soia e del siero di latte, albumine e pectine (Albert et al.2002; Khalil, 1999; Mellema, 2003; Salvador et al, 2005).
Ricerche su piccole quantità di patate macinate e rivestite con idrossipropilmetilcellulosa e metilcellulosa hanno riportato una consistente riduzione dell’assorbimento di grassi durante la cottura senza alterare le proprietà organolettiche dell’alimento, rispettivamente una riduzione del 31,1% e dell’83,6% (Mallikarjuna et al. 1997). Garcia et al. (2002) hanno applicato coatings di
metilcellulosa e idrossimetilcellulosa arricchiti con varie concentrazioni di sorbitolo su patate e dischi di farina di frumento (3,7 cm di diametro 0,3 cm di altezza) che, dopo l’applicazione dei coatings, sono stati subito sottoposti a frittura. I migliori risultati sono stati ottenuti dai coatings di metilcellulosa arricchiti con sorbitolo 0,5% per le patatine fritte, e 0,75% per i dischi di farina di frumento, evidenziando una riduzione dell’assorbimento di olio rispettivamente del 40,6% e 35,2% senza un impatto significativo sulla qualità sensoriale degli alimenti.
Gli edible coatings, oltre ad essere edibili, sono anche biodegradabili, riducendo sostanzialmente
l’impatto ambientale rispetto agli imballaggi sintetici tradizionali; la loro stessa sintesi si collega
alle catene produttive e industriali di altri alimenti, potendo usare materiali di scarto di numerose filiere e riutilizzarli per sintetizzare questi nuovi materiali, come verrà descritto più in dettaglio nei capitoli di questa tesi. Le pellicole edibili inoltre si adattano anche a quantità piccole di alimento, nell’ordine dell’unità o subunità dei vari prodotti alimentari rivelandosi assai flessibili nei campi di
utilizzo (Falguera et al. 2011).
Dal punto di vista legislativo in Europa il Regolamento (CE) n. 1935/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, autorizza il concetto di packaging attivo, ovvero quel packaging contenente intenzionalmente agenti attivi.
Alcuni problemi legati all’edible coating:
Un problema degli edible coatings rispetto alle classiche pellicole è la loro minore resistenza meccanica. Per ovviare a ciò sono state sperimentate varie combinazioni di sostanze in cerca di quella più efficace in fatto di resistenza. Una delle strade più promettenti sembra essere quella
dell’implementazione di nanoparticelle all’interno delle matrici degli edible coatings (Falguera et
al. 2011). Si tratta di elementi riempitivi di derivazione minerale, soprattutto argille e talco incorporate dal 10 al 50% p/p, capaci di aumentare l’efficienza meccanica del film rendendolo più
resistente ed elastico (Rhim et al. 2007). Alcune applicazioni di coatings incorporati con
nanoparticelle hanno evidenziato miglioramenti nell'ambito di sapore, colore, aroma, macrostruttura e consistenza degli alimenti, insieme a un aumento delle capacità di assorbimento di composti bioattivi e antimicrobici (Restuccia et al. 2010). A tale riguardo Rhim et al (2006) hanno dimostrato che l’applicazione di diversi tipi di nanoparticelle su biopolimeri naturali usati come edible coatings aumenta sia le proprietà fisiche di un coating a base di chitosano, sia l’attività antimicrobica.
Tuttavia non è ancora chiaro se queste nanoparticelle, per via delle loro dimensioni, possano essere pericolose per il consumatore, col rischio di poter penetrare e rimanere all’interno delle cellule dell’organismo. Maggiori studi sono quindi necessari sul consumo cronico di queste nanoparticelle prima di poter pensare a una possibilità di commercializzazione (Falguera et al. 2011).
Un altro problema, simile a quello che si riscontra nelle pellicole artificiali, è quello della modificazione incontrollata dell’atmosfera interna che si forma tra il film e l’alimento. Questa atmosfera è ricca di anidride carbonica, ciò favorisce la respirazione anaerobia e quindi la formazione di sostanze come l’acetaldeide e l’etanolo che possono causare sapori ed odori sgradevoli nel prodotto, come già descritto in precedenza (Park, 1999).
Alcuni edible coatings inoltre sono prodotti da ingredienti potenzialmente allergenici come latte, soia e pesce e quindi non possono garantire una totale assenza di allergeni al loro interno (Dhall, 2012).
1.4 Il chitosano
Uno dei due polimeri studiato in questa tesi è il chitosano, un polisaccaride lineare composto da D-‐ glucosamina e N-‐acetil-‐D-‐glucosamina legate tramite legami β(1-‐4).
Figura 1. Struttura del chitosano rappresentata mediante le proiezioni di Haworth.(Da Web)
Si ottiene dalla deacetilazione alcalina della chitina, polisaccaride naturale omopolimero della N-‐ acetilglucosammina, presente in natura nell’esoscheletro di crostacei, insetti e nella parete cellulare dei funghi ed alcuni batteri. Nei processi industriali attualmente utilizzati il chitosano viene ottenuto direttamente dalla chitina purificata dai crostacei e può venire facilmente solubilizzato da una soluzione acida per effetto della salificazione dei gruppi amminici funzionali (Dutta et al, 2008).
Figura2. Reazione di deacetilazione della chitina in chitosano (Da Web)
La chitina e il chitosano hanno caratteristiche peculiari come biocompatibilità, biodegradabilità, non tossicità, prevenzione delle infezioni, azione antimicrobica e antifungina. Questo ha fatto sì
che si siano moltiplicate le ricerche e gli studi sulle possibili applicazioni di questi materiali (Dutta et al. 2008)
Alcune applicazioni del chitosano (Guidotti, 2007)
• Chiarificazione delle acque contenenti proteine derivanti dalle industrie alimentari Per
analogo motivo è stato ed è utilizzato nell’industria delle bevande per la flocculazione delle proteine. Questo è stato per lungo tempo il solo utilizzo del polisaccaride, preferito rispetto ai polimeri sintetici proprio perché naturale, atossico e biodegradabile.
• Purificazione delle acque da metalli pesanti per la sua capacità chelante verso quest’ultimi. • Produzione di fili da sutura, bendaggi e pelle sintetica poiché facilmente degradabile dagli
enzimi endogeni e non allergico.
• Produzione di condizionanti e idratanti in creme cosmetiche, in sostituzione di altri
composti quale l'acido ialuronico.
• Applicazioni per la cura di diverse malattie grazie alle sue capacità assorbenti: il chitosano
contenente l'antibiotico o il farmaco specifico per il trattamento viene fatto aderire ai tessuti interessati così che il principio attivo possa agire solo nel punto di interesse ed
aumentare così l’efficacia riducendo la quantità necessaria e il numero delle applicazioni.
• Trattamento delle ferite grazie alla capacità di accelerare i processi di guarigione.
• Ausiliario tessile come uniformante di tintura. Pretrattando il cotone con chitosano, il
processo di tintura risulta più efficace e presenta meno difetti, inoltre aumenta la tingibilità e solidità della lana. Questo è dovuto al fatto che il chitosano depositandosi sulla fibra cattura le molecole di tensioattivo e ne aumenta l'effetto scivolante.
• Packaging edibile.
Effetto antimicrobico: l’attività antimicrobica del chitosano è stata dimostrata contro un ampio spettro di batteri, con trascurabili differenze tra Gram negativi e Gram positivi, funghi filamentosi e lieviti sebbene il meccanismo con cui esplica questa azione non sia ancora stato chiarito del tutto (Kong et al. 2010). Il principale fattore che permette l’effetto antimicrobico del chitosano deriva dalla sua struttura molecolare policationica che attiva l’interazione e la formazione di polielettroliti complessi con i polimeri acidi presenti sulla superficie delle cellule batteriche come i lipopolisaccaridi e le proteine di membrana. In alcuni funghi, come nei batteri, il chitosano causa alterazioni sulle funzionalità della membrana grazie alla sua interazione con la carica
elettronegativa della superficie cellulare causando disturbi metabolici o di permeabilità fino anche alla morte (Dutta et al., 2008), ma in altri casi invece è stato riscontrato nei funghi una soppressione della sporulazione e della germinazione delle spore (Hernandez-‐Lauzardo et al. 2008). Questa interazione elettrostatica è predominante a pH bassi, al di sotto del valore di pKa, grazie alla protonazione delle molecole e quindi all’interazione di quest’ultime con la parte anionica predominante sulla superficie delle cellule dei microrganismi. Quando invece il pH è superiore al pKa non è più l’effetto elettrostatico a indurre l’azione antimicrobica ma sono gli effetti idrofobici e chelanti (Xie et al. 2007) come osservato in uno studio condotto con chitosano modificato da gruppi lipofilici dove l’attività antibatterica a pH neutro si esplicava proprio in questo modo; per questo motivo i derivati del chitosano di questo genere sono più efficaci, come antibatterici, a pH elevati rispetto al chitosano puro (Hu et al. 2007; Tikhonov et al. 2006). Oltre a questa principale via di azione del chitosano per esplicare la sua azione antimicrobica, altri meccanismi sono stati teorizzati secondo vari fattori come sotto riportato.
Tipo di microrganismo target: i batteri sembrano essere generalmente meno sensibili all’azione antimicrobica del chitosano rispetto ai funghi (Roller e Covill, 1999). Il meccanismo di azione sembra variare tra batteri Gram positivi e Gram negativi per via delle differenze di struttura delle pareti cellulari. In alcuni studi l’attività antimicrobica appare più evidente verso i Gram negativi rispetto ai Gram positivi, probabilmente a causa della maggiore presenza di cariche negative presenti sulla superficie dei Gram negativi (Chung et al. 2004; No et al.,2002). Al contrario in un altro studio i batteri Gram positivi si sono rilevati più suscettibili (Zhong et al., 2008) mentre in altri casi questa differenza non è stata rilevata (Kong et al. 2010). La suscettibilità delle cellule batteriche e fungine al chitosano varia in base non solo alla loro specie e ceppo ma anche alla loro età cellulare. Alcuni batteri come l’Escherichia coli O157:H7 sono più suscettibili nella fase esponenziale di crescita mentre altri batteri risultano più suscettibili nella fase stazionaria (Yang et al, 2007). Queste differenze sono attribuibili alla variabilità dei microrganismi esaminati nel loro stadio di crescita poiché nel tempo variano anche le caratteristiche della superficie cellulare (Bayer and Sloyer, 1990).