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Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. V – N. 2 – Maggio-Agosto 2011 122

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di Raffaella Sette

Dottore di ricerca in criminologia, ricercatore confermato e docente di “sociologia criminale” presso la Facoltà di

Scienze Politiche dell’Università di Bologna e componente esperto del Tribunale di Sorveglianza di Bologna.

Ministero della Giustizia – Dipartimento per la Giustizia Minorile (a cura di Mastropasqua I. e Rao R.), EducArte – 1° Catalogo sull’Archivio

Multimediale della Giustizia Minorile in Italia, Ufficio Studi, Ricerche e Attività Internazionali – Roma, Centro Europeo di Studi di Nisida – Napoli, Gangemi Editore, Roma, 2010, 269 p., 35 Euro.

E’ ormai noto che, in virtù del DPR 448/1988 (“Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”), la pena della reclusione per i giovani infradiciottenni autori di reato ha assunto un ruolo marginale nell’ambito delle sanzioni da applicare nei loro confronti in quanto l’intervento della giustizia penale deve rispondere principalmente ad esigenze educative e, pertanto, la detenzione deve essere considerata come l’extrema ratio.

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Infatti, un sostituto procuratore generale per i minorenni confessa che un giudice che invia un minore in un istituto penale è sempre assalito da un sentimento di sconfitta perché, generalmente, ha già percorso altre vie che non hanno funzionato ma, così facendo, spera che lo choc provocato dalla detenzione faccia capire al giovane, alla fine, di aver veramente superato ogni limite1. Talvolta, continua il giudice Aubry, questa modalità non sortisce gli effetti sperati perché il ragazzo/la ragazza si convince che la prigione non è poi così terribile come si aspettava e che, quindi, non avrà più paura eventualmente di farvi ritorno in futuro. In altri casi, fortunatamente, questa modalità funziona e il minore, anche grazie all’aiuto ricevuto e al percorso intrapreso, una volta uscito non vi rientrerà più.

In particolare, quale percorso intraprendono i giovani sottoposti, sotto varie forme, a misure privative della libertà? Grazie al volume

EducArte, primo catalogo sull’archivio

multimediale della giustizia minorile in Italia, curato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, Ufficio Studi, Ricerche ed Attività Internazionali e dal Centro Europeo Studi di Nisida, è possibile fornire una risposta a tale interrogativo dato che esso svela al pubblico, sotto forma di elenco sistematico di immagini, la “documentazione multimediale delle esperienze educative, principalmente di espressività artistica, realizzate da minorenni sottoposti a provvedimenti penali”2. Non ho utilizzato casualmente il verbo “svelare” in quanto questo libro, finalmente, rende manifesti e mostra con la chiarezza delle immagini alcuni

1 Cfr. Aubry F.-R., “Y-a-t’il beaucoup de mineurs en

prison en France?”, disponibile sul sito:

http://www.parlement-bretagne.com/questions/question10.htm

2

Mastropasqua I., Rao R., “Introduzione”, pag. 11.

percorsi educativi effettuati all’interno di quel mondo chiuso abitato da giovani nelle mani della giustizia.

Infatti, tramite fotografie che catturano alcuni momenti essenziali, il catalogo delinea le esperienze artistiche ed educative alle quali hanno partecipato i ragazzi della Giustizia Minorile; in particolare, si tratta di rappresentazioni teatrali, di cortometraggi, di laboratori artistici e musicali, di progetti di comunità, di laboratori sociali e formativi e di video documentali.

Questo volume illustrativo, pur non

comprendendo “in modo esaustivo tutte le attività ed interventi educativi che si realizzano in questo campo sul territorio nazionale”3, rende evidente il fatto che la domanda di educazione espressa dai ragazzi sottoposti a misure privative della libertà ottiene, in varie sedi, risposte precise e concrete che si declinano in interventi formativi di tipo artistico, musicale, visuale e laboratoriale “contraddistinti dalla sollecitazione verso un essenziale bagaglio culturale, frutto di apprendimento”4 e che hanno l’obiettivo, a mio avviso, di orientare il minore “a maturare e a percepirsi come persona libera, come soggetto portato ad agire con una sua autonomia morale

non per motivazione estrinseca ma per

motivazione intrinseca”5.

Il rapporto tra esperienza artistica e rieducazione è chiaramente analizzato nel capitolo sul progetto editoriale del volume con riferimento al percorso di “apertura” verso il mondo, alla trasformazione e rielaborazione del vissuto della persona che partecipa a tale esperienza6. In tal senso, è

3 Ibidem, pag. 13.

4 Vico G., Educazione e devianza, La Scuola, Brescia,

1988, pag. 23.

5

Ibidem, pag. 109.

6

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particolarmente rilevante l’ispirazione

“liberatoria” di tale lavoro educativo in un contesto come quello dei Servizi Minorili della

Giustizia il cui obiettivo è anche quello di contribuire alla de-stigmatizzazione dei giovani in difficoltà.

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