Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
DOTTORATO DI RICERCA IN
Culture Letterarie, Filologiche, Storiche
Ciclo
XXVII
Settore Concorsuale di afferenza: 10/F1
Settore Scientifico disciplinare: L-FIL-LET/10
La ‘ragione’ poetica in Cino da Pistoia.
Lingua e stile oltre lo ‘Stilnovo’
Presentata da: Silvia Tranfaglia
Coordinatore Dottorato Relatore:
Prof.ssa Luisa Avellini
Prof. Gian Mario Anselmi
Correlatore:
Prof. Giuseppe Ledda
Esame finale anno
«Multum est consideranda mens et ratio legislatoris
et ubi possit colligi mens et ratio, quae est idem,
ibi ea est concludendum».
1
I.
Qui dulcius subtiliusque poetati vulgariter sunt
Qualsivoglia approssimazione all’universo poetico ciniano non
potrà prescindere dal giudizio che Dante ribadisce a più riprese nel De
Vulgari Eloquentia
, dove il poeta pistoiese occupa una posizione di
assoluto prestigio, comparendo in ben cinque luoghi
1- delle sei
menzioni a lui dedicate
2- come pendant dello stesso Dante, vale a dire
ideale contrappunto di una nuovissima teoria della storia letteraria,
quale quella che il trattato dantesco intorno alla lingua volgare
restituisce.
Nuovissima prima di tutto perché – come ha messo in luce il
Mengaldo – il discorso sull’eloquentia è presentato come un discorso
sugli eloquentes
3, laddove l’irrinunciabile principio di autorità del
pensiero medievale viene ad essere rifondato sull’incessante pratica di
verifica della ragione
4, di cui la discretio
5dantesca, esibita nel
trattato, è principale strumento: uno strumento – sia chiaro da subito -
affatto ponderato sulla stringente necessità per Dante di affermare il
1 La for mula ‘amicu s eiu s’ lega il no me di Cino a quella del ‘suo amico ’ Dante in De vulga ri eloqu entia I x 2 [ ha po etato ‘d ulcius subtiliusq ue’] ; I xvii 3 [le sue canzo ni so no esemp io d i vo lgare illustre] ; II ii 8 [‘canto r rectitudin is’] ; II v 4 [autore di canzo ni che co minciano p er end ecasillabo]; II vi 6 [autore di canzo ni con co str utto eccellente] .
2 I n Dve I xiii 4 Cino è ricord ato tra i to scani Cavalcanti, Lupo e un ‘altro ’, sc ilice t lo stesso Dante.
3 Cfr. PIE R VIN C E N ZO ME N G A LD O (a cura d i) , DA N TE AL I G H IE R I, De vulga ri eloquen tia, in Opere minori, II, Ed itr ice Anteno ra, Pado va, 1979 , p. XLVIII.
4 È sempr e M engaldo a ricordare q uanto “l’app roccio alla verità avviene
med ievalmente e sco lasticamente, med iante l’uso co nver gente d i d ue str u menti eur istici: l’uso della r agio ne e il ricor so alla verità”. Cfr. PIE R VIN C E N ZO
ME N G A LD O, De vulg. eloq., cit., II , p. XXVI.
5 Discretio è ter mine r icorrente nel De Vu lgari, dove è imp iegato – co me mostra
chiar amente M engaldo nella voce o mo nima d ell’Enciclop edia Dantesca (PIE R
VIN C E N ZO ME N G A LD O, voce «discretio» in En ciclopedia Dantesca (1 970) ora
dispo nibile a lib ero accesso sul sito www. treccani.it. – “seco ndo d ue ordini fo nda mentali, e trad izionali, di significati: q uello o riginario e co ncreto d i ‘d istinzio ne’, ‘sep arazione scelta’, e q uello, storicamente d erivato dal pri mo e attinente alla sfer a intellettuale-mo rale di ‘discer ni mento ’, ‘eq uo giudizio ’, ‘capacità razio nale di scelta’. Che sia ter mine ‘tematico ’ e chiave dell’intero trattato lo d imo str a la p rima occorrenza ( su q uindici totali) che si registra in I i 1 nella proemiale d ichiar azio ne di intenti dell’autore: «discretio nem aliq ualiter lucid are illor um q ui tanq uam caeci amb ulant per plateas, pler unq ue anter iora posterior a p utantes ».
2
“valore ‘politico’ dell’esperienza dei vulgares eloquentes e della loro
dignità morale e sociale, ben superiore a quella degli ordini
costituiti”.
6L’intima correlazione tra l’esercizio della discretio dantesca e
la dignitas riconosciuta ai doctores eloquentes è ben evidente tra la
chiusura del primo libro del De Vulgari e il principio del secondo,
dove si tratta della corrispondenza tra grado di dignità del volgare e
dignità personale dello scrivente.
Exigit er go istud sibi co nsimiles viros, q ue mado mod um alii no stri mores et hab itus: exigit enim magnificentia magna potentes, p urp ura viro s nobiles; sic et hoc excellentes ingenio et scientia querit, et alio s asper natur, ut per inferior a pateb it. [ …] co nvenit er go individ ui gr atia. Sed nichil ind ivid uo co nvenit nisi p er proprias dignitates7, p uta mercar i militari ac r egere. (Dve II i 5 -7) .
La selezione degli autori così come quella degli argomenti
illustri sono infatti fondate sul concetto di dignitas e precisamente il
discorso acquista chiarezza metodologica nell’esposizione di II ii 1-6,
nelle premesse al ben celebre passo sui magnalia: qui Dante pone il
6 PIE R VIN C E N Z O ME N G A LD O, De vu lgari eloquen tia, cit. , p. XLVIII, cfr . anche De vulga ri e loquentia I xvii 5 : «No nne do mestici sui reges, marchio nes, co mites et magnates q uo slibet fama vincunt? Minime hoc probatio ne indiget. Quantu m vero uo s familiares glor io so s efficiat, no s ip si no vimus, qui huius dulced ine glor ie no str u m exiliu m po ster gamus. Quare ipsum illustre merito pro fiter i deb emus ».
7 Nella resa in italiano di p ropria s d ignitates Fenzi si distacca dalla trad uzio ne
letter ale d i Mengaldo e T avo ni e interpreta il sintagma co me ‘po sizio ne sociale’, anticipando co sì la chiara esemp lificazio ne d i o rdini so ciali che Dante fa seguir e al p asso citato, pr esentata, co me di nor ma, seco ndo una pro gr essio ne ascendente. EN R IC O FE N Z I, (a cur a di), De vu lga ri eloquen tia, in Op ere di Dante, vol. III, Saler no Ed itrice, 2012 , p. 141. Diver se le puntualizzazio ni d i T avo ni nella corrispettiva nota al testo (MIR K O TAV O N I, (a cura d i), De vulga ri eloq uentia, in
DAN T E AL I G H IE R I, Op ere, vo l I, p.1374, I 7, M ondador i, M ilano, 2011, p. 1374):
«Queste tre figure sociali corr ispo ndo no a tre d ignita tes: co me nell’opera di San T ommaso, do ve fr a le frequentissime attestazio ni della p arola tro via mo, pa ssim, la d ignitas sacerdo talis, ecclesia stica, reg ia, p rophetalis; e , seguita d a genitivo, la d ignita s sanctuoru m, iu sto ru m, p raed ica to ris, ecc. Si do vr à intendere che ognuna d i queste figure sociali ha la propr ia dign ita s nel senso che sar à dichiarato in II 2 -3; cioè o gni individ uo che incar na q uel r uolo sociale ha meritato d i co nseguir e quella dignitas co me r isultato delle proprie azioni ». Da segnalar e M engaldo ad l., cita T o mmaso, I n Eth. Arist. , v lect. 4 n. 10 : «aliquid
dicitu r e st iu stu m in distributionibu s, in qu antum un icuiqu e datu r se cundum dignita te m, prou t cuuiq ue dignu m e st da ri» ( ‘si dice che si d à giustame nte q uando a o gnuno si dà seco ndo la sua dignità, nella misura in cui ciascuno è degno d i ciò che riceve’), co mmentando ARIST OT E LE Eth. Nic., I V 7 1123b.
3
problema di id quod intellegimus quod dicimus dignum e,
ripercorrendo la strada medievale dell’habitus
8, definisce la qualità
astratta della dignità come il punto di arrivo di ciò che si è meritato
(meritorum effectus sive terminus), e in tal senso graduabile. È questo
un passaggio fortemente significativo: la nozione di dignità, seppur
ricercata in un passo dalla rigida impostazione scolastica e in un
contesto di trattazione retorica, nel costituirsi come effetto, obiettivo
sarebbe a dire, sembra voler sorpassare e lasciare indietro ogni
determinazione classista, ricollegandosi invece al concetto cardine di
convenientia
9.
[…] op timis co nceptionib us op ti ma loq uela co nveniet. Sed optime conceptio nes no n po ssunt esse nisi ub i scientia et ingenium est, er go optima loq uela no n co nvenit nisi illis in q uib us ingenium et scientia est. Dve I I i 8
Equazione che implica la netta condanna di
Illor um stultitia q ui, arte scientiaq ue immunes, de so lo ingenio confidentes, ad summa summe canenda pror u mpunt; et a tanta presumptuositate desistant, et si anseres natura vel desid ia sunt, nolint astrip eta m aq uilam i mitari.
Dve I I iv 11
8 «E t d icimus d ignum esse q uod d ignitatem hab et, sicut nob ile q uod no bilitatem;
et si co gnito hab ituante hab ituatam co gno scitur in q uantu m huius mo di, co gnita dignitate co gnoscemus et dignum», De vu lgari eloquentia II ii 2. È questa una mod ulazio ne di p ensier o saldamente co ngr uente al razio nalismo sco lastico : si confro nti a proposito la definizio ne d i hab itu s che dà T o mmaso , distinguendo tr a un semplice po ssesso, aliquid habere, e il modo di po ssed ere ciò che si è: «Respo ndeo d icend u m q uod hoc no men habitus ab hab endo est sumptum. A q uo quidem no men hab itus dup liciter der ivatur: uno quidem modo, secundem q uod ho mo vel q uaecumq ue alia res, dicitur aliq yuid hab ere; alio modo secundum q uod aliq ua re aliq uo modo se habet in seip sa vel ad aliq uid aliud » ( TO M M AS O D'AQ U IN O, Su mma Theo logiae, I ª-IIae q. 49 a. 1 co.)
9 Significativo è notare in che modo Dante reinterpreti il pr incip io d i con venien tia
stilistica, centr ale nelle retor iche med ievali, analizzando il prob lema a parte
subiecti ( «Sed hoc non co nvenit nob is gr atia gener is, quia etiam br utis convenir et, nec gratia speciei, q uia cunctis ho minib us esset co nveniens, d e q uo nulla q uestio est – ne mo eni m mo ntaninis r usticana tractantib us ho c dicet esse conveniens -: co nvenit ergo individ ui gr atia » DVE II , i 6), laddo ve le poetiche med iolatine presentano invece un interesse prevalente per l’adeguazio ne tra
sen tentie, mater iale ver bale e scelta del tema, facendo ne der ivar e una p edantesca casistica tematica ( Cfr . a riguardo PIE R VIN C E N ZO ME N G A LD O, De vulg. eloq., cit., p. XLI V).
4
D’altra parte, non stupisce lo scarto degli ambiti di indagine, se
si fa riferimento a quella che P. Delhaye ha definito ‘pédagogie
littéraire’
10, per indicare l’intima connessione che nel Medioevo si
viene a stabilire tra etica e arti del trivio. Definizione quest’ultima
ripresa più di recente da Sonia Gentili in L’uomo aristotelico alle
origini della letteratura italiana
11per ricordare quanto proprio “la
connessione tra etica e discipline del trivio rese naturale
l’utilizzazione di elementi di filosofia morale nella trattazione di
questioni retorico-grammaticali”
12.
Illuminante a tal proposito risulta la citazione riportata da
Gentili di un passo tratto da Riccardo di San Vittore, Liber
exceptionum
, I i 23, Quomodo legende sunt artis, p. III:
In legendis ar tib us talis ordo est ser vand us: pr ima o mniu m co mpar anda est eloq uentia, et ideo exp etenda lo gica. Deinde per ethicam p urificand us oculos mentis, et sic ad rethoricam transeund um.
Dante va però oltre ‘la purificazione degli occhi della mente’
come accesso preliminare alla retorica, servendosi degli strumenti
euristici dell’etica per fondare su categorie filosofiche la distinzione
dei diversi ambiti poetici: nella trattazione dei contenuti degni del
massimo volgare, esposta in Dve II ii 6, i tre magnalia, i tre domini
del poetare, sono posti in corrispondenza delle tre anime dell’uomo -
quella vegetativa, che l’uomo ha in comune con le piante; quella
sensitiva, che ha in comune con gli animali; quella razionale, che ha
in comune con gli angeli.
Nam secund um q uod vegetab ile q uid est, utile quer it, in q uo cum plantis co municat; secund um q uod ani male, delectabile, in q uo cum br utis; secund u m
10 PH I L IP P E DE LH A Y E, L’ enseignemen t de la Ph ilosoph ie Mora le au XIIe sièc le,
«M ediaeval Stud ies », XI , pp. 77 -99.
11 SO N I A GE N T I L I, L’uo mo aristotelico: alle o rigini della lettera tu ra italiana ,
Carro cci, 2005.
5
quod ratio nale, ho nestum q uer it in q uo solus est, vel angelice sociatur < nature> . Propter hec tr ia q uicq uid agimus agere videmur . Dve II ii 6
I tre ambiti tematici che derivano da una tale categorizzazione
sono allora quelli rispettivamente corrispondenti alle tre finalità per
cui ‘facciamo tutto ciò che facciamo’, vale a dire la ricerca dell’utile
(salus), del delectabile (venus) e dell’honestum (virtus).
Quare hec tria, salus videlicet, venus et virtus, appar ente esse illa magnalia q ue sint maxime pertractanda, ho c est q ue maxime sunt ad ista, ut ar mor um prob itas, amor is accensio et dir ectio vo luntatis. Dve II ii 7 -8
È necessario, come giustamente ha puntualizzato Tavoni,
“rendersi conto dell’assoluta novità di una tale fondazione e
classificazione filosofica dei generi poetici, totalmente imprevista
nell’ambito delle riflessioni metaletterarie fino ad allora prodotte in
entrambe le tradizioni”
13.
Centrale però è anche la domanda di come possa combinarsi una
tale categorizzazione logico-deduttiva con la formalistica tripartizione
degli stili che le poetiche medievali recuperano dalla Rhetorica ad
Herennium
, facendone un nucleo focale della proposta didattica
14(fino
a servirsi a questo fine di fortunate schematizzazioni come la
divulgatissima Rota Virgilii di Giovanni di Garlandia), e a cui Dante
13 Cfr. MIR K O TA V O N I, ( a cura d i), De vu lga ri eloquentia, cit., p. 1102, do ve è
messo in risalto q uanto tale sudd iviso ne dantesca co stituisca “un passo cr uciale per q uell’inseri mento d ella poesia volgar e entro l’univer so d i d iscor so a cui Dante p unta; un decisivo passo in avanti r isp etto all’imp egno filo so fico della poesia vo lgare, che aveva avuto un antesignano in Guinizzelli […], di cui l’esemp io più vicino er a il co mmento latino alla canzo ne Donna me prega del Cavalcanti ad opera del medico fiorentino Dino del Garbo , che nel 13 04-1306 e precisamente in ser vizio co me pro fessor e nella facoltà delle Arti di Bo lo gna”.
14 «Sunt igitur tria gener a, q uae genera no s figuras appelamus, in q uib us o mnis
ratio no n vitio sa co nsumitur: unum gr avem, alter am mediocr em, ter tiam estenuatam vocamus. Gr avis est, q uae co nstat ex hu miliore, neq ue tamen exinfima et per vulgatissima verb orum d ignitate; attenuata est, q uae di missa est usq ue ad usitatissima m p uri ser monis co nsuetud inem». R heto rica ad Herenniu m ( ivi, 11) .
6
stesso non rinuncia quando distingue tra un livello tragico, uno
comico e uno elegiaco in Dve II iv 5
15.
Si noterà allora che nel libro II del DVE, dedicato a una poetica
e retorica del volgare, non è rintracciabile una corrispondenza
biunivoca tra disposizione dei temi e distribuzione schematica degli
stili: l’ interesse di Dante in questa sezione del trattato si attesta di
fatto al solo stile tragico:
Sed ob mitta mus alio s, et nunc, ut co nveniens est, de stilo tragico pertracte mus Dve II iv 7 .
La categorizzazione tematica presentata in Dve II ii 7-8 non
nasce cioè “direttamente da una suddivisione dei generi”
16, laddove
invece si presenta come strumento per realizzare lo stile elevato.
In uno spazio liminare tra temi e stili Dante affronta il problema
degli ambiti del poetare, ma lo fa propriamente solo per quanto
riguarda quello stile in cui
cum gravitate sententie tam superb ia car minum quam co nstr uctio nis elatio et excellentia vocab ulor um co ncordat Dve I I iv 8.
Quale categorizzazione Dante avrebbe dato alla trattazione degli
altri stili a noi non è dato sapere
17.
15 «Deinde in hiis q ue dicenda occurr unt deb emus d iscretio ne potiri, utr um
tragice, sive co mice, sive elegiace sint canend a. Per traged iam super ior em stilum ind ucimus, per co mediam infer iorem, per elegiam stilum intelligimus mi seror um».
16 HA N S RO B E R T JA U S S, A lterità e mod ern ità della letteratu ra med ieva le, p. 243,
Si ved a anche GI A N F R A N C O FO LE N A, Vu lga res eloquen tes. V ite d ei tro vato ri d i Dante, Liviana, Pado va, 1961 e l’introd uzio ne al testo r iproposta in GI A N FR A N C O. FO LE N A, I trovato ri di Dante, in MAR IO MA N C IN I, ( a cura d i), Il pu nto su: ’I
tro vato ri’ , Laterza, Ro ma-B ari, 1991, pp. 189-195: «Nell’oper are q uesta distinzio ne d i te mi, Dante no n fa q uestio ne di gener i, né nel senso classico (epica, lirica, d idattica) né in q uello pro venzale (canzo ne, sir ventese, ecc.) : si tratta sempr e per lui di cantion es illu stres, do ve la differenza tematica si r iso lve nell’unità del bello stile, dello stile ‘tr agico ’ », I vi, p. 1 92.
17 Sulla str utturale inco mp iutezza dell’oper a concord ano o ggi q uasi tutti gli
stud io si: sopraggiunge però forte il d ubb io che per l’interr uzio ne dell’opera a mo tivazio ni estrinseche, q uali po trebb ero essere state q uelle di un mutato contesto politico nella città in cui Dante attendeva alla stesur a del trattato - messe in luce da AR M A N D O AN T O N E L L I in una co municazio ne dal titolo
7
Tale premessa è indispensabile per riportare a una giusta
considerazione l’interpretazione del canone degli autori che Dante
offre in occasione della presentazione dei magnalia e, se il significato
delle presenze, delle menzioni, delle citazioni dei modelli nel trattato
latino è punto centrale e allo stesso tempo “esperienza altamente
puntuale”
18- come sempre in Dante-, quello che preme segnalare è la
rilevanza specifica della selezione dantesca a questa altezza del
trattato.
Il diverso valore delle citazioni presenti nel testo è stato spesso
messo in secondo piano rispetto all’urgenza di stilare gerarchie tra
poeti (tentazione, sia chiaro, che pur ben alletta Dante più e più
volte)
19, laddove invece si rende necessario considerare tali preziosi
indizi del giudizio critico dantesco non avulsi dal contesto dell’opera.
In questo senso, indicative appaiono le notazioni che il Folena
ha premesso al suo studio intorno ai Vulgares Eloquentes, quando
invita, in riferimento alle presenze trobadoriche nel trattato, a
ricostruire un ‘ordine di importanza’ tra citazioni lessicali, rilievi di
particolarità metriche “fino agli esempi di eccellenza nel contenuto
poetico (Dve II, ii 9) e di suprema elaborazione formale, di ornatus
Docum enti in volga re b ologne se del tempo d i Dante, tenutasi il 19 ottobre 2015 presso la sed e dell’Archivio di Stato di Bologna, d i cui si aspetta la pubb licazio ne -, si sia so mmata l’o ggettiva difficoltà dell’autore a impr ontare una trattazio ne d ello stile umile e med iocre d i fro nte all’ acq uisizio ne ricavata negli ulti mi cap ito li dell’op era così co me ci è pervenuta e fo ndame ntale p er l’ideo lo gia co mpo sitiva della Co mmed ia, che leniu m asp eroru mque rithimo rum
mix tu ra ip sa tragedia n ite sc it (Dve II xiii 13).
18 Si ricordano a propo sito le celeber rime o sservazio ni d i Co ntini nella sua Introdu zione a lle Rime di Dan te: “[. .] e q uell’attuare lo stile no n co me una tensio ne asso luta, seco ndo il mod ulo che sar à d ell’u manistico Petr arca e poi d el plato nico Rinascimento, bensì co me una pro va ‘locale’; q uel senso no n tanto d i un li mite generale d ella for ma, q uanto delle limitazio ni particolari degli stili sco lastici; q uel suo degradare un’esper ienza pr ecedente, to glierle la sua finalità intr inseca, usufr uir la co me elemento d ell’esp erienza nuo va [ …], cfr. DA N TE
AL I G H IE R I, R ime, a cura di GI A N F R A N C O CO N T I N I, T orino, E inaud i, 19 95 [1939],
p. LIV.
19 Fin troppo o vvio r icord are i celeberr imi (e dib attutissimi) versi di Pg XI 94 -99
(«Cred ette Cimab ue ne la pittura tener lo campo ,/ e ora ha Giotto il grid o,/ sì che la fama d i co lui è scur a./ Co sì ha tolto l’uno a l’altro Guido / la gloria d e la lingua; e for se è nato/ chi l’uno e l’altro caccerà del nido ») ma anche, sempr e a tito lo p ur amente esemplificativo, q uelli d i If. XXV 94 -99 : «T accia Lucano o mai là dov’e’ tocca/ del miser o Sabello e d i Nasid io, / e attenda a ud ir q uel ch’or si scocca. / T accia di Cad mo e d’Aretusa Ovidio, / ché se quello in serp ente e quella in fo nte/ co nverte poetando, io no n lo ’nvid io ».
8
difficilis
, del gradus costructionis: «et sapidus et venustus etiam et
excelsus, qui est dictatorum illustrium » (II, vi, 6)”
20. Solo in questi
ultimi due luoghi – nota Folena – si può legittimamente parlare di un
canone provenzale “anzi di due diversi ‘canoni’ provenzali di Dante,
fondati il primo sulla materia, sui sommi contenuti poetici
aristotelicamente dedotti dai fini supremi dell’agire umano, il secondo
sulla forma, sul grado «eccellentissimo» di elaborazione stilistica”.
21Com’è ben noto si tratta in entrambi i casi di canoni ‘duplici’,
dove con i poeti in lingua d’oc fanno il paio poeti che cantano in
lingua del sì (esempi di poesia in lingua d’oil appaiono invece nella
parte generale relativa alla caratterizzazione dei tre rami dell’ydioma
tripharium
)
22.
“Il denominatore comune tra le due serie – esplicita Folena – è
costituito dalle coppie Arnaldo, Giraldo, Cino e Dante”,
23e rilevante
ai fini del nostro discorso è che Cynus Pistoriensis sia il solo tra
coloro che utilizzarono la lingua più vicina all’universalità e
regolarità del latino (magis videntur initi gramatice que comunis est -
Dve
I x 2) a comparire insieme allo stesso Dante, in tutte e due i
‘canoni’ del secondo libro del De vulgari.
La centralità del Pistoiese nell’ordine teorico del De Vulgari è
evidenziata anche da una terza menzione in Dve I x 2, dove Dante si
propone – non senza esitazione (cum tanta timiditate cunctamur
librantes
) – di comparare le tre varietà (trisonum è tradotta da
20 GI A N FR A N C O FO LE N A, I tro vato ri, cit. p . 189. 21 Ivi, pp . 189 -19 .
22 Cfr. Dve I ix 2 -3: «E st igitur super q uod gradimur ydio ma tractando tr iphariu m
ut super ius dictum est: nam alii oc, alii sì, alii vero dicunt o ïl. E t quod unum fuerit a princip io co nfusio nis (q uod prius proband um est) app aret, q uia convenimus in vo cab ulis multis, velut eloq uentes do ctor es o stend unt: q ue q uid em convenientia ip si co nfusio ni rep ugnat, q ue r uit celitus in edificatione Bab el. T rilingues er go doctores in multis co nveniunt, et maxime in ho c vo cabulo quod est ” amor “. Ger ard us de Brunel: Si· m sentis fezelz amics, per ver encusera amo r; Rex Navarr e: De fin amor si vient sen et bonté; Do minus Guido Guinizelli: Né fe' amo r prima che gentil cor e, né gentil cor prima che a mor, natura ».
9
Mengaldo come sonorità) che ha assunto nel tempo l’ydioma
tripharium
24.
È evidente cioè quanto Cino sia riferimento essenziale non solo
nella definizione dei massimi contenuti e dell’eccellenza della forma
del volgare illustre più vicino a Dante
25, ma nella stessa
identificazione di quella lingua che mostra una qual certa preminenza
sulle altre, nonostante non sia possibile anteporre una varietà a
un’altra in quell’idioma unico, licet nunc tripharium videatur
26.
Ma lasciando per un attimo in sospeso un’analisi più dettagliata
della menzione ciniana nel primo libro del trattato, si tornerà ai luoghi
succitati per rilevare una sostanziale distinzione tra i due ‘canoni’
poetici individuati da Folena, dove il secondo si caratterizza per una
prospettiva storica o storiografica che però non sembra poter esaurire
– come è stato detto - la sua funzione nel ‘fare i conti con la
cronologia’
27.
24 Questo il passo: «T r ip hario nunc existente nostro yd io mate, ut superius d ictu m
est, in co mpar atio ne sui ip sius, secund um q uo d triso nu factum est, cum tanta timiditate cunctamur librantes q uod hanc vel istam vel illam p artem in co mp arando prepo nere no n aude mus, nisi eo q uo gramatice po sitores inveniuntur accep isse ” sic“ ad ver biu m affir mand i: q uod quand am anterior itatem ero gare vid etur Ytalis, q ui sì dicunt » Dve I x 1 ; q uesta la tr ad uzio ne del Mengaldo: «Co me si è detto p iù sopra il nostro id io ma si presenta ora co me trifor me, e all’all’atto di svo lger ne un co nfro nto inter no seco ndo la trip lice fo rma sonora (corsivo no stro), l’esitazio ne co n cui maneggiamo la b ilancia è co sì grand e che no n o siamo nel co nfro nto anteporre q uesta par te o l’altr a ancora, se no n [ …] ». Cfr. PIE R VIN C E N Z O ME N G A LD O, BR U N O NA R D I, (a cur a di), De vulga ri, cit., p. 81.
25 Si ved a a propo sito Dve I I X 1: «Et q uia per notiora itinera salubrius
breviusq ue transitur, p er illud tantu m q uod nob is est yd io ma p er gamus, alia desinentes: nam q uod in uno est r atio nale vid etur in alii esse causa »; Dve I x 3 : «Nos vero iudicium r elinq uentes in hoc et tractatum no str um ad vulgar e latinu m retrahentes, et receptas in se var iatio nes dicere nec illas invicem co mp arar e conemur ».
26 DVE I x 1: «[ …] quod hanc vel istam vel illam partem in co mparando preponere
no n audemus, nisi eo quo gramatice positores inveniuntur accip isse ‘sic’ adverbium affer mandi: quod q uand am anterio ritatem ero gare videtur Ytalis, q ui sì dicunt ».
27 A q uesto propo sito Fo lena nota che “q uesta cura evidente d ella cro nolo gia e
questo senso della storia ci se mbrano smentire chi di q ueste seq uenze dantesche dei poeti pro venzali cer ca sp iegazio ni meccaniche nella successio ne in cui i poeti si p resentano nei canzonieri, mentre p are evidente che l’arco tracciato dalle citazio ni dantesche porti l’impro nta di un sepp ur embrio nale, ma certo perso nale e originale, tentativo di sistemazio ne stor io grafica, parallelo a q uello che Dante esperisce per la lirica italiana dai Siciliani allo Stil Nuo vo”, cfr. GIA N FR A N C O
10
La presenza in chiusura della tranche provenzale di Aimeric de
Belenoi e Aimeric de Peguilhan, autori non certo tra i nomi più
frequentati della lirica in lingua d’oc, ma figure intimamente legate in
vari modi alle corti italiane,
28segna con plausibile evidenza la volontà
dantesca di marcare “l’avvicinamento progressivo della poesia
provenzale all’Italia, nella diaspora duecentesca, fino alla contiguità
storica con i Siciliani”
29: che sia questo un itinerario ideale che “può
ben trovare nella nostra raccolta il suo naturale epilogo in Sordello” –
come vuole il Folena – è però difficile da dimostrare.
30Nessun indizio in questi capitoli del De Vulgari richiama al
trovatore mantovano
31, mentre a ben vedere l’arco temporale
individuato è tendenziosamente costruito come un’unica parabola che
si chiude sul nome di Dante stesso (e si apre con quello di Giraut),
laddove qualsivoglia intenzione di ricostruzione storiografica
32appare
28 La vida d i Aimeric de Piguigan ci infor ma della sua carriera itiner ante e d ella
sua presenza in Lo mb ar dia: “P uois s’en venc en Lo mbard ia, o n tuich li bon ho me li feiro n gr an o nor. E t en Lo mbard ia fenic.” ( cfr . Vidas del ms. B - Aimeric d e Piguignam, in Reperto rio info rmatizza to dell’ antica letteratu ra trob adorica e
occitana, Rialto), mentr e molti d ei suo i co mpo ni menti testimo niano rapporti co n la cor te d egli E ste ( so no co nser vati d ue suoi p lanhs p er la mor te, nel no vemb re 1212, di Azzo VI e co n q uella dei Malaspina. Ancor a ai M alasp ina è legato il no me d i Ai meric de Belenoi, che se on operò effettivamente in Italia, fu però autore d i un co mpo nimento in difesa d i alcune nobildo nne italiana, tra cui d ue figlie d i Currado Malasp ina.
29 GI A N FR A N C O FO LE N A, I tro vato ri, cit. pp . 192 -193. 30 Ivi, p . 193.
31 Nel trattato il no me di Sordello co mpare so ltanto in Dve I XV 2, in un passo d i
difficile ( se no n disperante interp retazio ne) : «Dicimus er go q uod for te no n male opinantur q ui Bo no nienses asser unt p ulcrior i locutio ne loq uentes, cum ab Ymolensib us, Ferr arensib us et M utinensib us cir cunstantib us aliq uid proprio vulgari asciscunt, sicut facere q uo slibet a finitimis suis co nicimus, ut Sordellus[1] de Mantua sua o stendit, Cremo ne, Brixie atq ue Vero ne co nfini: q ui, tantus eloq uentie vir existens, no n so lum in poetando sed q uo modocunq ue loq uendo patriu m vulgare deser uit ». Per una piana e co nvincente proposta di interpr etazio ne si co nfr onti il co mmento ad lo cum in MIR K O TAV O N I, ( a cur a d i), De vu lga ri, cit., pp. 130 9-1314.
32 Sulla po ssibilità di legger e la serie d i citazio ni da poeti messa insieme da Dante
in Dve II vi 6 in chiave di ord ine cro nolo gico espr ime fo rti d ubbi E nrico Fenzi, che ha cur ato la recente edizio ne d el DVE per i tipi d ella Saler no Ed itor e (cit). Si ved a al r iguardo la no ta al testo alle pagine CXV-CXVII, do ve si ricor da co me il passo in q uestio ne abb ia sub ìto vistosi riord inamenti ad opera dei precedenti editor i dell’oper a. L’or dine che si tro va in B è infatti il seguente: Gir aut, Re di Navarr a, Folchetto, Ar naut, Ai mer ic d e Beleno i, Guinizzelli, Cavalcati, Giud ice di M essina, Cino, il suo amico, mentr e in GT l’ord ine appar e uguale fino a Cavalcanti, ma poi seguono Cino, il suo a mico , Aimeric de Peguilham dislocato risp etto alla ser ie in elenco; il giudice d i Messina no n co mpar e. L’or dinamento che scaturisce d agli interventi del Raj na e M arigo, e po i co nsacrato nell’edizio ne
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inevitabilmente ricondotta a una razionalizzazione funzionale alla
stessa poetica dantesca.
Maggior peso in questa prospettiva acquista la posizione
dell’amoroso Cino, che prelude al culmine di una linea di sviluppo
alla cui cima è inevitabilmente preposto il nome di Dante; e proprio
dall’autocitazione dantesca è opportuno ripartire per verificare non
tanto il valore assoluto delle menzioni ciniane – ben note e
ampiamente commentate - nell’economia del trattato, quanto invece la
funzione a cui esse adempiono nello specifico contesto di riferimento.
Il sesto capitolo del secondo libro è interamente dedicato
all’individuazione teorica e per modelli della trattazione de
constructione
ossia di quella regulatam compaginem dictionum che
definisce il costrutto, tutto pieno di urbanità, ricercato per il volgare
illustre. Qui Dante in piena rispondenza alle poetiche medievali
individua diversi gradi di costruzione del discorso - che possono ben
essere ricondotti alle diffuse categorizzazioni di ornatus facilis e
ornatus difficilis
– concernenti poesia e prosa, volgare e latino
33. Se
Mengaldo e r ipropo sto da T avo ni, invece “inno va tutta la par te centrale r isp etto alle testi mo nianze mano scr itte” (Fenzi CXVI), r estituendo la seguente sequenza: 1. Gir aut d e Bor nelh; 2 . Fo lq uet de M ar selha; 3. Ar naut Daniel; 4. Aimeric de Beleno i; 5. Aimeric d e Peguilhan; 6. T hib aut de Cha mpagne ( Rex Navar re); 7. Guido d elle Co lo nne; 8. Guinizzelli; 9. Cavalcanti; 10. Cino; 11 . Dante. Seq uenza no n giustificabile, seco ndo Fenzi, alla luce di un presunto rigor e dantesco nel restituir e in q uesti capitoli del II libro del DVE una rigo rosa ricostr uzio ne crono lo gica: che ci siano state alter azio ni “for se a causa d i aggiunte nell’auto gr afo no n co mp rese bene dal cop ista dall’ar chetipo” (M engaldo ) è infatti – seco ndo Fenzi – ipo tesi ser vibile so lo per la r icollocazio ne di Aimeric De Peguilhan nella serie – e anche q ui si potr ebbe avanzare il d ubbio se far lo preceder e o seguir e – per ragio ni cro nolo giche – l’altro Amer igo. “Ma – co nclude Fenzi – no n si p uò and are o ltre e d ire che lo stesso valga per T hib aut e Guido delle Co lo nne, p er q uanto lo si po ssa sosp ettare: no n si p uò dare per scontato che la po sizio ne che si ha nei mano scritti der ivi da una cattiva interpretazio ne di aggiunte po ste a mar gine. Piutto sto, i d ue po eti appaio no entro una seq uenza fatta di spezzo ni già visti in precedenza […] ”, cfr . EN R IC O FE N Z I (a cur a di), De
vulga ri, cit., p. XCVII).
33 È ben noto – co me ricorda Far al – che la q uestio ne d ell’orna tu s occup i uno
spazio significativo nella trattazio ne delle po etiche: “Elle ab sorbe une gro sse partie de leurs leço ns: Matthieu de Vendô me lui co nsacre d eux parties de so n traité sur q uatre; Geo ff roi de Vinsauf la moitié enviro n d u Documentum, et p lus de 1.200 vers de la Po etria ; É vr ad les ver s 3 43 à 523 d u Laborintu s; Jean d e Garlande les chapitres II et VI de sa Po etria ”, cfr. ED M O N D FA R A L, Les A rts
Poétique s du XII e et du XIIIe siècle, Bib lio thèque de l’Eco le des Hautes Etudes 238. Paris, Champio n, 1 924, p. 86. Quello che colpisce in Dante, che p ur iscr ive in tale tr adizio ne medio latina la propria dissertazio ne sul tema, è la po ssib ilità d i
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per la prosa gli esempi offerti coprono anche le possibilità
dell’ornatus facilis, ma sono tutti in latino, per quanto riguarda la
poesia i modelli proposti sono riferibili unicamente al gradum
constructionis excellentissimum
e abbracciano i tre rami dell’ydioma
tripharium
.
34I poeti regolati (Virgilio, Ovidio delle metamorfosi, Stazio e
Lucano) sono ricordati soltanto in chiusura e non senza una punta di
marginalità:
Et fo rta ssis utilissimu m foret ad illam habituandam regulato s vidisse poetas, Vir gilium videlicet, Ovidium Metamor fo seo s, Statium atq ue Lucanum, nec no n alio s q ui usi sunt altissimas pro sas, ut T itu m Livium, Pliniu m, Frontinum, Paulum Oro sium et multos alios q uo s amica sollicitudo no s visitare invitat. Dve II vi 7 (cor sivo no stro)
È noto come l’ornato difficile fosse classificato come modus
gravis
35, una gravità conferita innanzitutto dall’impiego di tropi, “da
cui risulta uno sforzo di ingegnosità e originalità da parte dello
scrittore che ne giustifica l’epiteto «gravis»”
36.
Che Amor che ne la mente mi ragiona trovi spazio in questa
sezione – unica tra le rime allegoriche citata nel De Vulgari – non può
allora destare meraviglia, mentre più difficile appare trovare una
gradatio che è ind ivid uata tr a esemp i latini e volgari, tra esemp i in prosa e in poesia: la definizio ne della co stru ctio riguarda l’uno e l’altro genere d i co mpo sizio ne. Risalta ancora una vo lta la sempr e viva r icer ca d antesca sulla possib ilità di g rada tio tra poesia e prosa, r icerca che p uò avere esiti d iver sissimi in oper e co me il De V ulgari e il Convivio - che nasco no dalla stessa te mper ie ideolo gica -, “anzitutto nel senso d i battere l'accento sullo statuto auto no mo e peculiare della poesia, d ando (Dve II IV 2 ) una definizio ne del tutto immanente e for male della sua essenza (fictio retho rica mu sicaque po ita) : per cui ciò che nel
Conv iv io poteva esser e ‛ornamento ', e or na mento accidentale, q ui è ele mento costitutivo”, cfr. PIE R VIN C E N ZO ME N G A LD O, voce «Ornatu s», in En ciclopedia Dante sca .
34 «Hoc solu m illustres cantio nes inveniuntur co ntexte », Dve II VI 6
35 “L’or nament d ifficile
” (Geo ffro i, Poetr ia, v. 830: «egregia verba lo care », v.
832: «mod us gravis », Documentum, III, 1 , 2, 3 , etc.: «d ificultas or nata»; É vrard , v. 343 : «egregie loq uor », v. 385 : “semita diffcilis”; Jean, v. 89 8: «or natus difficilis, mod us gravis et authenticus »”. ED M O N D FAR A L, Les A rts Poétique s…,cit, p. 89.
36 Ancora ED M O N D FAR A L, Les A rts Poétiqu es… , cit. , p. 89: “I l [orna tu s difficilis]
a po ur pr incipe l’emp loi des mo ts dans un sens différent d e leur sens pr opre: d ’o ù resésulte de la par te d e l’écrivain un effort d’ingénio suté et d ’or iginalié q ui justifie l’ép ithète d e «gr avis »”.
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ragione comune alle altre citazioni. Se infatti la “generale presenza di
modi transuntivi”, “un periodare robustamente strutturato e
complesso, con ricchezza di subordinate (spesso anche a inizio di
componimento)”, la “tendenza ad abbracciare l’intero periodo con un
arco sintattico unitario, allitterazioni prolungate (esempi di Arnaldo e
di Cavalcanti)”
37possono fornire un denominatore comune, son pur
sempre questi criteri di selezione dalla maglia troppo larga, che non
riescono così determinanti da giustificare le presenze e quanto meno
le assenze del ‘canone’
38proposto.
La tentazione è quella di poter rileggere le quattro canzoni
riportate in volgare del sì nella prospettiva rovesciata dal canto
contraro
di Amor che ne la mente mi ragiona
39, canzone per una
‘donna gentile’ che è soprattutto esemplo d’umiltate, inevitabilmente
polarizzato all’opposto rispetto a quell’immagine di disdegno, cifra
della poetica cavalcantiana, che è qui tematizzata nell’artificio della
canzone monostrofica
40(Poi che di doglia). E vassen disdegnosa
anche la donna che, in Tegno de folle ‘mpresa a lo ver dire, si vede
alta, bella e avenente
, mentre la guerra psicofisica di cui è teatro
37 PIE R VIN C E N ZO ME N G A LD O, BR U N O NA R D I, (a cur a d i) De Vulga ri Elo quentia,
in DA N T E AL I G H IE R I, Opere Mino ri, Ricciard i editor e, Milano -Napoli, 1996, pp. 183-184 ( no ta 4) .
38 Co ntini, in Varianti e altra lingu istica, co mmenta l’abbo nd anza d i esempi
offerti in q uesto capitolo nel senso di una mancata capacità dantesca d i trarre le dovute co nseguenze da un disco rso sui livelli d i costr uzio ne retor ica che no n p uò presentar si co n le stesse deter minazio ni p recettistiche che sar anno ind ividuate per il lessico e la metrica: “Dante scusa la copia degli esempi co me il solo mezzo capace di definir e la sua intenzio ne, ma è, co me spesso avviene, un’ab bondanza che no n fa centro. Co nver rà intender e il passo co me un’allusio ne in travaglio a qualco sa d i no n ancor a attuato, ma che sta p er realizzar si nel magn um opus”. GI A N FR A N C O CO N T IN I, V arian ti e altra linguistica, Einaud i, T orino, 1970 , p. 439. 39 Ancor ricord ata nella Commed ia nel significativo episodio della ‘negligente’
so sta d el viato r ai pied i del mo nte pur gator iale, di fro nte alla dolcezza del canto di Casella: «E io : Se nuova legge no n ti to glie/ me moria o uso a l’amor oso canto/ che mi so lea q uetar tutte mie do glie, / d i ciò ti p iaccia co nso lar e alq uanto/ l’ani ma mia, che, co n la sua per so na/venendo qui, è affannata tanto !/’Amor che ne la mente mi ragio na’/ co minciò elli allor sì d olcemente,/ che la do lcezza ancor dentro mi suo na », Pg, II 106-114.
40 A propo sito si leggano le co nsider azio ne svo lte da T anturli in un suo studio del
1984, do ve è d imo str ato co me no n si tr atti di canzo ne mutila, q uanto invece d i una stanza iso lata d i canzo ne, “che si fer ma al proemio , app licando alla letter a ciò che lì er a d ichiarato, l’impo ssibilità di svolgere la materia propo sta”, cfr. GIU L I A N O TAN T U R L I, La terza canzon e del ca valcan ti: ‘ Poi ch e di d oglia co r conven ch ’i’ po rti’, in «Stud i di filolo gia italiana», XLII (1984), p. 21.
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l’animo dell’amante ripete le estreme conseguenze della folle pretesa
di una sospensione tra vita e morte sotto i colpi di Amore, così in
Guinizzelli come nel canto ossimorico di Guido delle Colonne
41.
Si potrebbe poi continuare a ritroso, tra i versi provenzali e
francesi di questo seletto incipitario per ritrovare gli stessi moduli
rappresentativi di una follia esistenziale e comunicativa che occupa
mente e cuore del poeta nell’esperienza di Amore
42.
Evidentemente altra via è quella di Amor che ne la mente: il
piacere che discende alla donna dalla virtù divina è in concatenatio
con la pace che Amor fa sentir nei pensieri della gente, che
41 In Tegno de fo lle ‘mp res’, a lo ver d ire il tema del disd egno della donna è
amp iamente svolto nel corpo centr ale della canzo ne, tra la seco nda e la ter za stanza: “ella no n mette cura d i neente,/ ma vassen d isdegno sa/ ché si vede alta bella e avenente.// Ben si po ’ tener alta q uanta vòle,/ ché la plu bella do nna che si tro ve”. Vv 18 -22; mentr e fo llia e mor te so no due po li catalizzatori che apro no e chiudo no il testo po etico: se “l’impeto psico logico del pr imo ver so si add ensa tutto nell’aggettivo ‘folle’ (IT A LO BE R TE L L I, La poesia d i Guido Gu in izzelli e la
poetica d el Do lce Stil Novo, p.111), il ver so finale ( «o nde mi piace mo rir pe’ su amo re ») r iprend e il motivo topico nei siciliani del viver morendo. Lo stesso bino mio vita-mor te str uttura l’impo stazio ne retorica di Anco r ch e l’aigua per lo
foco la ssi d i Guido d elle Co lo nne, inter amente costr uita su un gioco d i ossimor i e
impo ssib ilia, la parado ssale esperienza del po eta-amante che se p ur languisce no n può mor ire ( vd. vv 50 -54 «e s’eo languisco non po sso morir e,/ ca, mentre viva sete, / eo no n po rria fallire, ancor che fame e sete/ lo corpo meo tor menti») .
42 L’ingannevole tor mento d’amore che no n per mette di d istinguer e gio ia
d’affanno ( «q u’a p aine sai q ueno istr e joie d ’ire») porta alla fo llia il po eta di Ire
d’amors qui en mon c uer repe re (Gace Br ule che è co nfuso da Dante co n T himbaut Ro is- Rex Navar re). La q uinta stro fa recita: «T res gr ant amor me fet fo lie fere, / si ai p eur q ue lo ngues la maintiengne;/ més je n’en p uis mon co rage retrer e./ I ssi me plest, co mment q ’il m’en aviengne. / Par tel reso n sui po vres asarez/ q uant je plus vueil ce do nt plus sui gr avez,/ et en l’esmai m’estuet joer et rire:/ o nc més ne vi si d ecevant martire ». Senno e follia co mp aio no nella seco nda stanza del testo citato a no me d i Aimerics de Peguilhan, do ve si legge: «E no n es bo qu’o m sia trop senatz/ q ue a sazo s no sega so n talen,/ e si no •i a de cascun mescla men, no n es bo na sola l’una meitatz. B en esd even ho m per so bresaber/ nescis e •n vai maintas vetz foleian:/per q ue s’eschai q u’o m an en lo c mesclan/ sens ab fo ud at, q ui’ls sap gen r etener ». I n So ls sui qu i sai lo sobra fan q ue m sortz l’affanno è svago , riso e gioia ( vv. 33 -34 «p er o l’afans m’es depor tz, ris e jois, / car en p ensan sui d e lieis lecs e glotz ». Nel segno d el p arado sso di un amore mor tifero che tiene in vita il po eta si apr e la folchettiana Tant m’abellis l’amo ro s
pessam ens: «Qu’ado nc viu sas q uan m’aucio •il cossir e/ e fin’amor s aleuja•m mo martire/ q ue•m pro met j oi, mas trop lo •m do na len, /q u’ab bel semblan m’a trainat longamen » ( vv 5 -8) . Infine, anche la canzo ne citata a no me d i Guiraut de Bornelh, che sembr ereb be invece sviluppar e il suo nucleo te matico a par tire dalla denuncia dello svili mento d i pretz, si chiud e con un preghiera «Us Deus e T rinitatz, /q ue•m gar t q u’eu no folei/ sai tan q ue lai me gr ei » ( vv. 115 -116 Si per
15
s’innamora
43. D’altra parte, Avegna ched del m’aggia più per tempo
non solo è una canzone scritta da Cino per lo stesso Dante, ma è un
invito a superare la dimidiazione del poeta rispetto all’immagine della
donna
44, ora che, morta Beatrice, il desiderio non deve più sottostare
alle leggi della distruzione o della sconvenienza.
Se gli spirti di Dante possono trapassar fino a raggiungere il
cielo, Beatrice, nonostante sia ormai tra gli angeli, è pur sempre
accanto a chi ha fatto i suoi detti laudati nella lode di lei:
Li vo str i spir ti trap assar da poscia Per sua vertù nel ciel; tal è ‘l desire, ch’Amor lassù li p inge per diletto. […]
perché Dio l’aggia locata fra i soi ella tuttor dimor a co n voi.
(Avegna ch e del m’aggia, vv. 32 -34; 41 -42)
La cosa più interessante però, come è stato notato
45, è che in
Avegna ched el m’aggia
all’inderogabile ripresa dei moduli
vitanoveschi
46, si affianchino strutture rimiche e interferenze
43 Cfr. vv. 23 -29: «Ogni I ntelleto di là su la mira, / e q uella gente, che q ui
s’innamora, / ne’ lor p ensieri la tr uo vano ancora/quando Amor fa sentir de la sua pace. / Suo esser tanto a Quei, che lel d à, piace,/ che ‘nffo nde semp re in lei la sua ver tute/ o ltr e ‘l dimando di no str a natura ».
44 Vv. 62 -63 : «Lo core vo stro per cui sta diviso/ che pinto tene ‘n sé b eato viso? ». 45 Si fa q ui riferi mento all’inter vento tenuto d a Fenzi a un co nvegno su Cino nella sto ria de lla poe sia italiana: EN R IC O FE N Z I, Into rno a lla p rima co rrispo ndenza tra Cino e Dante : la can zone per la mo rte di Be atrice e i sonetti «P e rch’io non truo vo ch i m eco rag ion i» e « Dante, i’ non od o in qual alb ergo son i», in Cino nella stor ia della poesia italiana, Atti d i co nvegno, B arcello na 2 -3 ottobre 2014, SCED, UAB, UB (in cor so di p ubblicazio ne) .
46 A Do menico De Robertis si deve la p iù d ettagliata r ico gnizio ne intor no ai
rifer imenti vitano veschi rintracciab ili in A vegn a che del m’agg ia p iù per tempo, “così fittamente intessuta di motivi espr essio ni immagini cadenze dantesche, che la sua stessa eloq uenza, il suo innegabile calo re per suasivo p aio n fo mentati da questo sempr e r inno vato co ntatto, da un entusiasmo letterato rif ornito di continuo ”, do ve i “richiami tro vano la loro co ndizio ne nell’assunto e nella destinazio ne della canzone stessa, id eale rispo sta a q uanto l’amico aveva scr itto in lode e in co mp ianto d ella ‘gentilissima’. E po co oltr e il grande filo lo go r icorda che “co me nella co nsuetudine ep isto lare la rispo sta so leva rip rend ere e rielaborar e co ncetti e i mmagini della propo sta, così in q uesta canzo ne” DO M E N IC O
DE RO B E R T IS, Cino e le ‘imita zion i’, cit., p 166.
Accur ate so no anche le ind icazio ni for nite da Marti nel co mmento alla canzo ne, in mer ito agli echi danteschi a partire d alla for mula metr ica che r ipete quella di
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tematiche proprie delle canzoni allegoriche, che se Dante non
scriveva, di sicuro commentava negli stessi anni della stesura del De
Vulgari
.
Per quanto riguarda la qui citata Amor che ne la mente, oltre
alla corrispondenza dei rimanti associati al campo semantico del
paradiso (paradiso : riso : viso ai vv. 56,57,60 nella dantesca Amor
che ne la mente
, paradiso : viso : riso – vv. 59, 62, 68 nella
consolatoria ciniana) e della maraviglia che lega la simiglianza della
donna al dominio della trascendenza
47, Fenzi segnala la vicinanza
nelle due canzoni della rappresentazione del concistorio di angeli che
guarda a tal meraviglia:
Per no va co sa o gni santo la mira ( Avegna ched el m’aggia v. 26 ) Ogni I ntelletto di là su la mir a (A mor che n e la mente, v.23)
Ma soprattutto è nella chiusura, risolta in un finale aperto,
48che
la consolatoria ciniana, tardiva rispetto all’evento luttuoso, rivela la
capacità di Cino a star dietro agli smottamenti poetici del sommo
amico, qui appellato - unica occorrenza nella loro corrispondenza –
‘saggio’:
Donna pieto sa e di n ovella e tate – co me notato già da TH É R È S E LA B AN D E
-JE A N R O Y, La technique de la chan son dan s P étrarque, M élanges de littératuure et d’histoir e sur Pétrarq ue in «Étud es Italiennes » I X, 1927, p. 159.
47 I d ue ter mini appaio no nelle canzo ni ro vesciati per ordine d i appar izio ne, co me
anno ta Fenzi, ma a ben guard are la specular ità abbraccia anche l’id entificazio ne della mer aviglia e della so miglianza nella p olarità tra un aspetto terreno e meraviglia celeste, una meraviglia e una so miglianza celeste.
-A mo r che n e la men te mi ragiona , vv. 49 -45: «Gentile è in do nna ciò che in lei si tro va, /e bello è tanto quanto lei simiglia./E puo ssi dir che ‘l suo aspetto gio va/ A co nsentir ciò che par maraviglia,/ o nd e la no stra fede è aiutata. / Però fu tal da etter no ordinata ».
-A vegna che d el m’ag gia più per tempo, vv. 64-66 : «Seco ndo ch’er a qua giù meraviglia,/ co sì là su so miglia, / e tanta p iù q uant’è me’ co no sciuta ».
48 Si rimanda q ui alle posizio ni espresse da Fenzi dur ante il co lloqu io ciniano del
2012 e agli Atti d i q uelle gior nate, ( in cor so di p ubb licazio ne). Lo stud io so ha infatti proposto una nuo va e pregnante interpr etazio ne del co mp lessivo messaggio ciniano d ella co nsolator ia a Dante, che risulterebbe affatto or iginale no n so lo p er la pretesa che l’amor e di Dante è or mai tutto ‘santo ’, ma addir ittura p er la “r ivend icazio ne di un d iritto /do vere a una ‘co nsolazio ne’, senza co ndizio ni, che Beatr ice medesima gli p roprizia”.
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E priega Dio, lo segnor ver ace, che vi co nforti sì co me vi piace.In questo tipo di ricostruzione Avegna che del m’aggia
apparirebbe fondamentale anello per una reinterpretazione dantesca
dell’espressione di Amore, lontana dall’aegritudo
49mortale
ipostatizzata nella tradizione.
Se però una tale reductio a un percorso tematico-oppositivo non
può andare oltre a una suggestiva ipotesi negli occhi dell’interprete
50,
rimane la posizione di Cino, privilegiata e più prossima a Dante, in un
‘canone’ che, se non può essere definito tale per esaustività, può sì
proporsi come sintetico (anche se parziale) tentativo di ripercorrere
alcuni momenti salienti della letteratura in volgare.
Rimane, d’altra parte, la necessità di leggere i giudizi danteschi
sulle manifestazioni poetiche a lui coeve o di poco precedenti nella
contestualizzazione testuale e storica, per cui le misure della discretio
del De Vulgari andranno – laddove possibile - aggiustate prima di
tutto sulla straordinaria portata di un’esperienza esistenziale e teorica
come quella del Convivio, a cui Dante accudiva negli stessi momenti
di elaborazione e composizione del trattato sulla lingua.
Che le speculazioni teoriche del trattato in volgare siano linfa
ancora viva e pulsante nelle argomentazioni linguistico-retoriche
condotte nel De Vulgari, nella lingua regulata dei grammatici, lo
testimonia anche un’altra autocitazione dantesca in un luogo centrale
del trattato: il già menzionato canone dei magnalia.
Cir ca q ue so la, si bene recolimus, illustres viros invenimus vulgar iter poetasse, scilicet Bertramu m d e Bor nio ar ma, Ar nald um Danielem amor em, Gerard u m de Bor nello r ectitud inem; Cynu m Pistoriensue m amo rem, amicus eius rectitud inem. Ber tramu s etenim ait
No n posc mudar c’un cantar no n exparia,
49 Si co nfro ntino i ver si d ella stro fa centr ale d i avegna che del m’aggia: vv. 37 -42
«P er suo o nor vi chero / che l’egra mente pr end iate co nforto, / né aggiate p iù cor mor to, / né figur a d i mo rte in vostro aspetto :/ p erché Dio l’aggia lo cata tr a i so i, / che tuttor dimor a co n vo i».
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Ar nald us: L’aura amara Fa•l br uo l brancuz Clarzir; Gerard us:Por solaz reveilar Ch’es trop endor miz; Cynus:
Digno so no eo di mo rte Amicus eius:
Do glia mi reca ne lo cor e ardir e.
Ar ma vero nullum latium ad huc invenio poetasse.
Dve I I ii 8
Ancora una volta Dante pone il suo nome a chiosa dell’elenco
proposto, e sceglie una canzone di esibita dottrina per identificare la
propria poetica nel confronto con la tradizione, per di più in un luogo
del trattato in cui l’impegno etico risulta amplificato dalla
“promozione della virtus in cima alla scala dei magnalia”
51.
Doglia mi reca
, qui citata come esempio di trattazione magna
riferita alla directio voluntatis, con ogni probabilità, sarebbe stata
destinata all’ultimo trattato del Convivio, dove si sarebbe potuto
51 Si co nfro nti a prop osito q uanto segnalato da Mengaldo nelle righe
immed iatamente preced enti: “B usso la e moto re di q uesta poetica in via d i fissazio ne è tuttavia, in so stanza, una ben pr ecisa ‘fase’, e si p uò dire la p iù recente, dell’attività d el lir ico, cioè la po esia delle gr andi canzo ni morali e dottr inali. E nel trattato so no limpid i i r iflessi del significato d i tale esper ienza nello sviluppo d ella lir ica dantesca, per direzione di r inno vamento e imp licita distr uzio ne del troppo d iver so da sé, co sì sul piano tematico co me su q uello d ella for ma. Si pensi, ancora per un fretto lo so anticip o, no n tanto all’o vvia pr o mozio ne della virtu s in cima alla scala dei magna lia (esemp lificata per par te propria d a una canzo ne di r ettitudine p artico lar mente ener gica, e recente, Dog lia mi reca): quanto all’esaltazio ne della cantio e alla cor relativa svalutazio ne d el so netto, misura fo nda mentalmen te estranea al registro dantesco in q uestio ne e in genere poco attiva, fuor i da recinto ‘co mico ’, nella lir ica po st-stilno vistica dell’Alighieri”, PIE R VI N C E N ZO ME N G A LD O, (a cura di), De vulga ri, cit. , p. XI.
19
affrontare il tema della liberalitade
52e della coincidenza e relazione
tra virtù e bellezza
53.
Tali
intime
corrispondenze
trovano
ragione
profonda
nell’oggettività di una ben nota dipendenza del trattato sul volgare dal
coevo esercizio teoretico del Convivio, così come sintetizzato
egregiamente da Mengaldo:
Genesi e stesura so no in linea di massima co ntemporanee a q uelle del
Conv iv io, sistemazio ne e sviluppo filo so fico d i una po esia il cui tr attato latino è la coscienza retorico -letterar ia; e nel Convivio ( I, V, 10) è l’annuncio d ella nuo va opera, per cui viene demand ato il co mpito di svolgere la teoria e giustificazio ne del volgare nell’àmb ito di una co mpiuta do ttr ina linguistica.54
E se l’annuncio di un libello di Volgare Eloquenza è nel
Convivio
, del Convivio il De Vulgari condivide l’impianto teorico
quanto la determinazione storica di un esilio forzato che enfaticamente
emerge dalla tenuta argomentativa del discorso e per cui è immediato
il confronto tra alcuni luoghi delle due opere, che risaltano per
coincidenza di strutture discorsive o atmosfere rievocate.
Ahi, piaciuto fo sse al Disp ensator e de l’univer so che la cagio ne de la mia scusa mai no n fo sse stata! Ché né altr i co nt’a me avr ia fallato, né io so ffer to avr ia p ena ingiustamente, pena, d ico, d ’essilio e di po ver tate. Poi che fu p iacere de li cittad ini de la bellissima e famo sissi ma figlia d i Ro ma, Fiorenza, d i gittar mi fuor i dal suo do lce seno – nel q uale nato e nutr ito fui in fino al co lmo de la vita mia, e nel q uale, co n b uona p ace d i q uella, desidero co n tutto lo cuor e di ripo sar e l’ani mo stancato e ter mi nar e lo tempo che m’è d ato -, per le parti q uasi tutte a le quali q uesta lingua si stend e, per egrino, q uasi mend icando, so no and ato,
52 Quanto affer mato in Cv I VIII 18 ( “P erché sì caro co sta q uello che si pr iega,
no n intendo q ui ragio nar e, p erché sufficientemente si ragio nerà ne l’ultimo trattato d i q uesto libro ») risulta infatti corr ispo nder e co n i vv. 118 -122 di Dog lia
mi reca ( «I ’ vo ’ che ciascun m’od a:/ chi co n tar dare e chi co n vana vista,/ chi co n semb ianza tr ista,/ vo lge il do nar in vender tanto caro/ q uanto sa sol chi tal co mp era p aga »).
53 Altro luo go in cui si fa r ifer imento all’ar go mento dell’‘ultimo ’ trattato del Conv iv io è III Xv 14: «Ove è d a sap ere che li costumi so no beltà de l’ani ma, cio è le vertud i massi mamente, le q uali tal vo lta per vanitadi o p er superb ia si fanno men belle e men grad ite, sì co me ne l’ultimo trattato veder e si po trà ».
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mo strando co ntra mia voglia la piaga de la for tuna, che suole ingiustamente al piagato molte vo lte essere imp utata.
(Cv I 3 3 -4)
Nos autem, cui mund us est patria velut piscib us eq uor, q uanq uam Sar num biberi mus ante dentes et Flor entiam adeo diligamus ut, q uia d ileximu s, exiliu m patiamur iniuste, ratio ni magis q uam sensui sp atulas no stri iudicii po diamus. E t quamvis ad volup tatem no str am sive no str e sensualitatis q uietem in terr is a menio r locus q uam Florentia no n existat [ …].
(Dve I vi 3)
Quantu m vero suo s familiares glo rio so s [del volgare illustre, cardinale, aulico e cur iale] efficiat, nos ip si no vimus, q ui huius d ulcedine glor ie no str um exilium po ster gamus.
(Dve I xvii 6)
Il bannitus Dante si presenta come persona colpita da ingiusto
esilio, coscienza che doveva esser maturata nell’animo del sommo
poeta, come è stato notato
55, a partire dai mesi immediatamente
successivi allo scontro della Lastra e alla definitiva sconfitta dei
bianchi fuoriusciti da Firenze il 20 luglio 1304.
Alla seconda metà di quel medesimo anno si fanno
ragionevolmente risalire elaborazione e stesura del De Vulgari – dove
termine ante quem sarà un riferimento interno all’opera che dà come
ancora vivente il campione del guelfismo nero più intransigente,
Giovanni da Monferrato, la cui morte è collocabile nella seconda metà
di gennaio 1305
56.
55 Cfr. MIR K O TA V O N I, ( a cur a di) , De Vu lgari, cit. pp. 1114 -1115; EN R IC O. FE N ZI,
(a cura d i), De vulga ri, cit. , pp. XX-XXI .
56 Questo il per iodo ind icato già in M arigo e Mengaldo, su cui co ncordano i p iù
recenti studi di T avo ni e Fenzi. T avo ni, in partico lar e, ai riferimenti di o rdine stor ico -cro nicistico affianca p iù generali co nsiderazio ni, a p artire d ai giudizi danteschi sul volgare d i Fir enze e su q uelli to scani: “Io r itengo che d ue d ati di fatto capitali del primo libro collochino la co mpo sizio ne del tr attato dopo la definitiva sco nfitta militar e dei fuor iusciti che chiuse loro ogni sp eranza d i rientr are a Firenze, cioè dopo la battaglia della Lastra d el 20 luglio 130 4. Questi due dati di fatto so no l’asso luta esaltazio ne d i Federico II e di Manfredi che occupa il cap. XII e più in generale l’impo stazio ne i mperiale del tr attato (anche se p iù cultur ale che d irettamente politica) ; e la denigrazio ne del volgare d i Fir enze e d i tutti i vo lgari to scani, e dei rispettivi rimator i municipali, primo dei quali Br unetto Latini. È ben d ifficile che Dante abbia potuto co ncep ire, q ueste