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RICERCA E TIPIZZAZIONE GENETICA DI BATTERI LATTICI ISOLATI DA FORMAGGI TIPICI SICILIANI E VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE DI BATTERIOCINE

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Academic year: 2021

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1. INTRODUZIONE

L’Italia, insieme alla Francia, è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari tipici, di determinate zone, cioè beni alimentari la cui tecnica di produzione e/o preparazione viene tramandata da generazione in generazione e/o che abbia stretti legami di tipo storico, sociale, economico, riconducibili al territorio all’interno del quale esso viene prodotto.

La Sicilia, grazie alla sua millenaria storia ed alle radicate tradizioni risulta, a ragione, inserita tra le regioni con un elevato numero di prodotti tipici anche se attualmente non valorizzati in maniera adeguata.

Caratterizzata da una notevole variabilità delle condizioni ambientali e pedoclimatiche che hanno determinato nel tempo una peculiare biodiversità, l’Isola vanta antichissime tradizioni nell’allevamento del bestiame e nella caseificazione del latte, da cui deriva una variegata tipologia di formaggi, gelosamente tramandati e fortemente legati ai rispettivi territori di origine dei quali esprimono i significati più intimi.

I formaggi siciliani, a carattere rigorosamente artigianale, vengono prodotti ancora oggi con processi antichi servendosi di attrezzature tradizionali, condensando la fertilità della terra, la fragaranza degli incontaminati pascoli ricchi di essenze foraggere spontanee, la qualità del prezioso latte prodotto dalla generose razze autoctone, la tradizione e l’esperienza di sapienti casari.

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2. LA ZOOTECNIA SICILIANA

La struttura degli allevamenti zootecnici della Sicilia negli ultimi anni, ha presentato evoluzioni importanti, nelle quali è possibile cogliere, pur con le necessarie differenziazioni, elementi comuni ai diversi comparti.

I dati dell’ultimo Censimento Generale dell’Agricoltura (anno 2000), confrontati con quelli del Censimento del ’90, indicano una riduzione numerica, sia delle aziende, sia dei capi allevati, ed una crescita, seppur contenuta, della dimensione media degli allevamenti.

Questi dati confermano l’esistenza di un processo di ristrutturazione in corso nell’intero settore, che ha portato alla riduzione numerica degli allevamenti più piccoli e alla concentrazione dell’attività in aziende di maggiori dimensioni. Tuttavia, la zootecnia siciliana conserva ancora in larga parte caratteristiche strutturali, tecniche ed organizzative tradizionali e superate, collocandosi inoltre nelle zone interne e svantaggiate, dove la condizione di marginalità determina una scarsa integrazione di tali attività con il mercato. Queste condizioni impediscono il raggiungimento di un livello di competitività paragonabile alla zootecnia degli ambienti continentali del settentrione italiano e del centro Europa.

L’apparato produttivo è basato su aziende poco redditizie nelle quali la dimensione non consente l’adozione di tecniche di produzione avanzate in maniera economicamente conveniente. Gli orientamenti della politica agricola comunitaria, comprimendo prezzi ed aiuti destinati al settore dell’allevamento bovino ed ovino, rendono ancor più critico il mantenimento di livelli accettabili di redditività. Anche il Piano Regionale di settore, approvato dalla Regione Sicilia nel 1998, che puntava essenzialmente a mettere in moto un processo di modernizzazione del comparto e di valorizzazione dei prodotti zootecnici, attraverso una serie di interventi mirati al potenziamento della ricerca applicata, all’adeguamento delle infrastrutture e dei servizi, all’assistenza tecnica e alla formazione professionale, nonché azioni mirate sui consumatori (informazione ed educazione), purtroppo, è rimasto sostanzialmente inattuato, tranne che per alcune iniziative nel settore degli ovini e caprini (incentivazioni per l’acquisto di mungitrici e piccole attrezzature).

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Sull’evoluzione della zootecnia, negli ultimi anni, hanno gravato la crisi BSE, il sistema delle quote latte - che ha riguardato, nello specifico, il comparto bovino – nonché malattie e siccità, cause della decimazione del patrimonio ovi-caprino. A questo si aggiunge, negli ultimi anni, l’affermarsi di una normativa igienico – sanitaria piuttosto rigida che ha interessato i capi di bestiame (BSE, piani di eradicazione della tubercolosi bovina e della brucellosi ovicaprina), i ricoveri per gli animali e gli impianti di caseificazione aziendale. Le aziende zootecniche siciliane dunque, ed in particolare i piccoli allevatori, gravate dalle crisi congiunturali, dal regime delle quote latte e dalle normative igienico – sanitarie, sono state sottoposte ad un processo di disgregazione (falcidia del patrimonio in bestiame) e di espulsione, con ripercussioni sui fenomeni di esodo agricolo e rurale dalle zone montane e collinari.

La ristrutturazione della zootecnia siciliana, più che un processo di sviluppo, sembra, quindi, il risultato di una “lotta per la sopravvivenza”; gli effetti più gravi sono stati a carico delle piccole realtà imprenditoriali che presidiano le aree interne e svantaggiate della nostra isola; sono apparse più solide, invece, le aziende meglio organizzate e più vicine al mercato.

La zootecnia in Sicilia costituisce, tuttavia, un valido contributo per l’economia di vaste aree di collina e di montagna, caratterizzate da poche alternative colturali; l’allevamento del bestiame si oppone infatti al definitivo esodo rurale, che causa nefaste conseguenze sociali, e che concorre in maniera diretta all’alterazione dell’equilibrio ambientale (Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia, 2003).

2.1 IL COMPARTO LATTIERO-CASEARIO IN SICILIA

La consistenza del bestiame bovino, nei dieci anni compresi fra due rilevazioni censuarie, appare ridotta del 34%. Il numero dei bovini, infatti, è passato da 466 mila capi del 1990 a circa 308 mila capi del 2000. Nello stesso periodo di riferimento, oltre 7 mila aziende zootecniche hanno cessato l’attività (-44%); anche se si registra un aumento del numero medio di capi allevati per azienda di 5,2 unità.

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L’attività zootecnica in Sicilia, oltre ad essere estremamente diffusa sul territorio, risulta notevolmente polverizzata; infatti, circa il 45% delle aziende che allevano bovini hanno un carico di bestiame che non supera i 19 capi, sebbene i dati dell’ultimo censimento, rilevino un aumento del numero medio di capi per azienda.

Nonostante l’allevamento bovino sia presente in tutta l’area regionale, vi sono province di più intensa concentrazione: tali sono le province di Ragusa, Messina, Enna e Palermo. In esse ricade il maggior numero di aziende (77,5%) e si osserva la maggior concentrazione di capi bovini (78,4%).

Il comparto del latte ovi-caprino è costituito da circa 9000 allevamenti e 830000 capi, dislocati essenzialmente nelle aree collinari e nelle zone interne svantaggiate e di montagna, dove la pastorizia di tipo nomade rappresenta spesso la più importante fonte di reddito disponibile. Accanto a queste realtà produttive, nelle aree costiere e di pianura, si trovano allevamenti stanziali di tipo intensivo.

Il comparto della trasformazione è costituito principalmente da una miriade di piccole e medie imprese di tipo artigianale, insufficienti sia in termini di capacità produttiva che in termini strutturali ed organizzativi. Dislocate sul territorio abbiamo anche alcune imprese dinamiche e competitive, che puntano alla qualità e all’innovazione, attente ai bisogni dei consumatori e flessibili rispetto ai cambiamenti che essi spesso manifestano. Si pensi al Gruppo Parmalat, alle industrie Zappalà e Latte Sole che danno luogo ad un vero e proprio “polo” sull’asse Catania-Ragusa, e che da sole assorbono il 75% degli addetti complessivamente impiegati nelle attività del comparto lattiero-caseario.

Per quanto riguarda il latte ovino e caprino è necessario fare una precisazione, in quanto, la trasformazione del latte viene in prevalenza realizzata direttamente nell’azienda agricola con metodi di lavorazione di tipo artigianale, spesso non adeguati alle norme igienico-sanitarie vigenti ed incapaci di fornire produzioni omogenee sia in termini di pezzatura che di caratteristiche organolettiche. Queste produzioni pertanto, vengono veicolate prevalentemente verso il mercato locale e comprensoriale.

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La produzione industriale di formaggi, negli ultimi anni, è aumentata considerevolmente, spinta da una maggiore disponibilità di materia prima, ma soprattutto da una costante crescita dei consumi di formaggio (19 kg pro capite/anno); i formaggi freschi hanno rappresentato, nel 2000, il 74% della produzione casearia complessiva regionale. Accanto alla produzione di formaggi freschi di tipo industriale, la Sicilia vanta un ricco patrimonio di formaggi tipici (Pecorino Siciliano DOP, Vastedda del Belice, Maiorchino, Ricotta Infornata, Piacentino Ennese, Provola dei Nebrodi, Caciocavallo Palermitano, Ragusano DOP), caratterizzati da una forte identità territoriale e storica, ancora oggi realizzati ricorrendo a metodi di lavorazione e attrezzi tradizionali, espressione di una cultura casearia che affonda le radici nella storia stessa di questa regione. Negli anni compresi tra il 1997 ed il 2000, in Sicilia la spesa media mensile familiare per l’acquisto di latte e di formaggi si è mantenuta tra 30000 e 42000 lire.

Le problematiche organizzative e strutturali che gravano sul comparto lattiero-caseario siciliano determinano una scarsa attitudine all’export del settore. La produzione lattiero casearia infatti, è destinata al mercato locale o al più nazionale; la concentrazione commerciale determina il realizzarsi di valutazioni modeste che si ripercuotono sulla redditività del comparto.

La trasformazione del latte viene realizzata, nella maggior parte dei casi, nei caseifici aziendali, con metodi di lavorazione artigianali ed in condizioni di scarsa igiene. Le produzioni casearie, non omogenee in termini di pezzatura e di caratteristiche organolettiche, vengono veicolate prevalentemente verso il mercato locale e/o comprensoriale (Osservatorio sull’Economia del Sistema AgroAlimentare della Sicilia, 2003).

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3. BATTERI LATTICI

La flora microbica presente nel latte crudo di partenza svolge un ruolo fondamentale nel processo di caseificazione. In particolare, nella trasformazione artigianale, la microflora presente nel latte è soggetta a continue variazioni quali-quantitative sia nella sua parte utile che in quella dannosa o indesiderata. Tale evoluzione dipende in larga misura dalle condizioni generali in cui il processo di trasformazione si svolge, da fattori ambientali e climatici, definiti in termini generali come “ricontaminazioni ambientali”.

La peculiarità di questi fattori concorre all’ottenimento di un prodotto tipico, dalle caratteristiche uniche.

I batteri lattici sono largamente impiegati nell’industria alimentare, in particolar modo in quella lattiero-casearia; l’introduzione e l’utilizzo nei caseifici di fermenti lattici selezionati ha rappresentato una vera e propria rivoluzione tecnologica.

La definizione di questi microrganismi come “batteri lattici” proviene dalle loro caratteristiche metaboliche: infatti, attraverso la fermentazione degli zuccheri presenti nel latte, producono prevalentemente acido lattico.

L’acidificazione può essere più o meno accentuata ed è un parametro di fondamentale importantanza per la scelta dello starter; vengono, infatti, utilizzate specie più acidificanti di altre per la produzione di formaggi freschi e a media stagionatura.

Riguardo alla metabolizzazione del lattosio i batteri lattici si comportano come omofermentanti o eterofermentanti (Bottazzi,1993).

3.1 BATTERI LATTICI A METABOLISMO OMOFERMENTANTE

Nell’ambito dei batteri lattici omofermentanti due sono le vie che riguardano il sistema di trasporto del lattosio per cui vi è una certa differenza negli enzimi che si occupano dell’idrolisi del lattosio; la prima via prevede, attraverso il sistema PEP-PTS (fosfoenolpiruvato-fosfotransferasi) presente sulla parete cellulare, la fosforilazione del lattosio

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con successiva formazione di lattosio-6-fosfato; la seconda via prevede invece il passaggio diretto dello zucchero attraverso le permeasi presenti sulla parete.

Sul lattosio-6-fosfato interviene poi la β-fosfogalattosidasi (P- β-gal) che porta alla formazione di glucosio e galattosio-6-fosfato, mentre sul lattosio della seconda via agisce la β-galattosidasi. (β-gal). Lo schema metabolico generale dell’utilizzazione del lattosio passa attraverso la via del tagatosio-6-fosfato, la via di Leloir e la via di Embden-Meyerhof, come illustrato nella figura 1.

Figura 2: Schema metabolizzazione del lattosio nei batteri lattici omofermentanti (Bottazzi, 1993)

In base all’attività metabolica seguita, i vari generi possono essere contraddistinti da sigle: ad esempio Lactococcus può essere collegato alle sigle PTS-PEP e P- β-gal, Lactobacillus a permeasi e P- β-gal o β-gal ed infine Streptococcus a permeasi e β-gal.

I prodotti finali del metabolismo del lattosio che vengono rilasciati dai fermenti lattici sono acido lattico e galattosio; quest’ultimo zucchero non viene metabolizzato da tutti i batteri: a tal proposito vi sono ceppi che utilizzano il galattosio (denominati gal+) purchè non vi sia eccesso di

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lattosio. Questa caratteristica di metabolizzazione del galattosio può essere utile in alcune tecnologie: S. thermophilus è capace di utilizzarlo e ciò riveste particolare importanza nella produzione dello yogurt.

3.2 BATTERI LATTICI A METABOLISMO

ETEROFERMENTANTE

Questi batteri, a differenza degli omofermentanti, danno luogo alla formazione di tre prodotti finali: acido lattico, anidride carbonica, acido acetico (o alcool etilico). I prodotti ottenuti sono in un rapporto quantitativo 1:1:1.

Il lattosio entra direttamente nella cellula grazie all’azione delle permeasi e viene idrolizzato dalla β-galattosidasi con formazione di glucosio e galattosio. Il glucosio viene fosforilato a glucosio-6-fosfato e poi ossidato ad acido fosfogluconico che a sua volta subisce la decarbossilazione, con formazione di ribosio-5-fosfato e liberazione di CO2. L’enzima fosfochetolasi, che catalizza la reazione di passaggio da xilulosio-5-fosfato ad aldeide glicerica-3-fosfato e acetil-fosfato, è presente soltanto nei fermenti lattici eterofermentanti; proprio da questo deriva la loro capacità di fermentare direttamente i carboidrati a 5 atomi di carbonio. L’aldeide glicerica segue poi la via glicolitica normale (via del piruvato) con formazione di acido lattico, mentre l’acetil-fosfato è prima defosforilato e poi convertito in aldeide acetica; quest’ultima si trasforma in acido acetico o alcool etilico, come si può osservare in figura 2.

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Figura 2: Schema metabolizzazione del lattosio nei batteri lattici eterofermentanti (Bottazzi, 1993)

A livello tassonomico i batteri lattici comprendono diversi generi, che includono a loro volta un considerevole numero di specie. E’ generalmente accettato che i batteri lattici sono microrganismi Gram positivi, normalmente catalasi negativi, in grado di svilupparsi in condizioni che vanno dalla microaerofilia alla anaerobiosi stretta e non formanti spore.

In realtà i batteri lattici formanti endospore e che sviluppano in condizione da aerobia a facoltativamente aerobia sono stati reperiti nell’ambito dei generi Bacillus e Sporolactobacillus. Tradizionalmente i batteri del genere Bacillus non sono considerati batteri lattici a causa delle loro caratteristiche fisiologiche e biochimiche.

I più importanti generi di batteri lattici sono dunque i seguenti: Lactobacillus, Lactococcus, Enterococcus, Streptococcus, Pediococcus, Leuconostoc, Weisella, Carnobacterium, Tetragenococcus e Bifidobacterium (Klein et al., 1998).

Di seguito verranno brevemente descritti i generi di maggiore interesse lattiero-caseario.

3.3 GENERE LACTOBACILLUS

All’interno di questo genere la morfologia cellulare è molto variabile: certe specie appaiono come bastoncelli lunghi e sottili, talvolta

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ricurvi, mentre in altre le cellule sono corte e tozze (coccobacilli), al punto da poter essere confuse con il genere Leuconostoc, che ha forma coccica. (Foto n. 1) Tuttavia, all’interno di ciascuna specie, la lunghezza varia anche con l’età della coltura, con la composizione del mezzo e con la concentrazione di ossigeno: inoltre in alcune specie, ad esempio Lactobacillus fermentum e Lactobacillus brevis, si trovano bastoncelli sia lunghi che corti (Kandler e Weiss,1986).

Come per tutti i batteri lattici, le esigenze nutrizionali del genere Lactobacillus sono elevate e per garantire la presenza di tutti i fattori di crescita necessari, i mezzi di coltura utilizzati di solito contengono carboidrati fermentescibili, peptone, estratto di carne ed estratto di lievito; la presenza di supplementi come il Tween 80, un estere dell’acido oleico, è fondamentale per molte specie (Kandler e Weiss,1986).

Foto n. 1: Lactobacillus plantarum (www.csic.es)

Nonostante la complessità delle esigenze nutrizionali, il genere Lactobacillus è ampiamente diffuso (Hammes et al., 1991): si trova infatti nell’organismo umano e animale (soprattutto nell’intestino), negli insilati e in molti alimenti di origine animale e vegetale, come prodotti a base di carne e di pesce, prodotti lattiero-caseari, vino, aceto,birra, sidro e altre bevande alcoliche ottenute dalla fermentazione di frutta o cereali, nonché nell’impasto acido del pane.

Dal punto di vista metabolico, il genere Lactobacillus è diviso in tre gruppi (Kandler e Weiss,1986):

 lattobacilli omofermentanti obbligati  lattobacilli eterofermentanti obbligati  lattobacilli eterofermentanti facoltativi

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Lattobacilli omofermentanti obbligati

Fermentano i carboidrati esosi producendo esclusivamente acido lattico, in ragione di 2 moli di acido lattico per ogni mole di carboidrato fermentata. Non sono in grado di fermentare i pentosi, e non producono gas. Tuttavia possono produrre quantità molto piccole di acetato, CO2 e acetoino dalla decarbossilazione del piruvato (Schlegel,1976).

Questo gruppo corrisponde ai “Termobatteri” di Orla-Jensen (1919), che comprende quei batteri capaci di crescere a 45°C.

Sulla base della minore o maggiore omologia DNA/DNA, all’interno del gruppo degli omofermentanti obbligati si possono distinguere due sottogruppi di specie correlate fra loro e di diverse specie singole, che non hanno particolare correlazione con le altre.

All’interno dei lattobacilli omofermentanti obbligati si trovano diverse specie di interesse lattiero-caseario: Lactobacillus helveticus, impiegato come siero-innesto per diversi formaggi; L. acidophulus e L. delbrueckii subsp. bulgaricus, utilizzati per la preparazione dello yogurt e per diversi siero-innesti.

Lattobacilli eterofermentanti obbligati

Fermentano gli esosi producendo acido lattico, CO2, e acido acetico e/o alcol etilico in quantità equimolare (1 mole di acido lattico, 1 mole di CO2 e 1 mole di acido acetico/alcol etilico per ogni mole di zucchero fermentata). Sono capaci di fermentare anche i pentosi con produzione di acido lattico e acetico.

Questo gruppo corrisponde ai “Betabatteri” di Orla-Jensen, i microrganismi eterofermentanti produttori di gas. Si tratta di batteri mesofili, con temperatura ottimale di crescita intorno ai 30°C. Tra i più importanti ricordiamo: Lactobacillus fermentum, Lactobacillus brevis e Lactobacillus kefir (Zambonelli,1992).

Lattobacilli eterofermentanti facoltativi

Fermentano gli esosi producendo acido lattico come gli omofermentanti , ma alcune specie, in determinate condizioni, producono

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anche acido acetico, acido formico e/o etanolo. Sono in grado di fermentare i pentosi ad acido lattico e acido acetico.

Rappresentano gli “Streptobatteri” di Orla-Jensen microrganismi mesofili con temperature ottimali di crescita comprese tra 30 e 37°C. Tra i più importanti possiamo citare Lactobacillus casei e Lactobacillus plantarum.

3.4 GENERE LACTOCOCCUS

Lactococcus lactis subsp. lactis e Lactococcus lactis subsp. cremoris sono batteri Gram positivi, di forma coccica, (Foto n. 2) che presentano temperatura di sviluppo ottimale di circa 30°C (sviluppano tra 10°C e 42°C), definibili quindi mesofili.

Questo genere produce acido lattico in quantità inferiori ai termofili (circa l’1%) e sono maggiormente soggetti ad attacchi dei batteriofagi. Le subspecie si differenziano per l’alotolleranza: i primi sono capaci di crescere in presenza di NaCl in concentrazione fino al 4%, mentre il Lactococcus lactis subsp. cremoris non ha questa capacità.

Foto n. 2: Lactococcus spp. (www.molgen.biol.rug.nl)

Si prestano molto bene per l’inoculo diretto in caldaia, dato che la loro attività comincia nelle primissime fasi della lavorazione (Salvadori del Prato, 1998).

I mesofili, rispetto ai termofili, tendono a dare più sapore al prodotto e vengono pertanto utilizzati per la produzione di formaggi a pasta molle, cruda o semicotta. Bisogna infine ricordare che le colture mesofite sono costituite da batteri omofermentanti, producono piccole quantità di gas,

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quindi sono particolarmente richieste in quei prodotti a pasta leggermente aperta o con qualche sparsa occhiatura, come i pecorini.

Infine il Lactococcus lactis subsp. diacetylactis risulta, rispetto a Lactococcus lactis subsp. lactis e Lactococcus lactis subsp. cremoris, più esigente per la crescita e il suo sviluppo è piuttosto ritardato. Il Lc. Diacetylactis produce di acetile a solo a pH 5.0; produce inoltre grandi quantità di CO2.

3.5 GENERE ENTEROCOCCUS

Gli enterococchi sono batteri ubiquitari; si trovano nel tratto enterico dell’uomo, sulle superfici di vegetali, su insetti e su animali selvatici. Non è un genere omogeneo, in quanto presenta specie con un certo grado di patogenicità e delle specie, invece, utili per la trasformazione casearia. (Foto n. 3)

Secondo il Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology (1994), le specie appartenenti a questo genere sono sedici; tra queste, le specie di interesse lattiero-caseario sono: Enterococcus durans, E. faecalis, E. faecium. Essi crescono bene tra i 10°C e i 45°C, e sono resistenti a temperature di 60°C per 30 minuti; crescono a concentrazioni di NaCl del 6,5% e resistono fino a valori di pH pari a 9,6.

La presenza di enterococchi può essere riscontrata in formaggi prodotti con latte crudo, con o senza l’aggiunta di starter, di cui fanno parte i prodotti artigianali, in cui gli enterococchi possono rappresentare la microflora dominante insieme a lattococchi e a Streptococcus thermophilus.

Foto n. 3: Enterococcus faecalis (www.hpa.org.uk)

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Questi microrganismi possono essere anche ritrovati in formaggi prodotti con latte pastorizzato con aggiunta di starter, dove però tale presenza assume un significato diverso: notifica, infatti, che non sono state rispettate le norme igieniche durante le fasi di lavorazione.

Diversi ceppi di enterococchi, isolati da prodotti alimentari, sono risultati essere produttori di proteine anti-batteriche (batteriocine); sebbene la produzione di batteriocine da parte di E.faecium ed E.faecalis fosse nota già da molti anni, recentemente è stato rivalutato il ruolo di tali proteine come battericide nei confronti di Listeria e Clostridium spp..

Durante la maturazione del formaggio, ed in particolare di alcune tipologie come il Taleggio, si ha un innalzamento del pH, soprattutto a livello degli strati superficiali, con conseguente possibile moltiplicazione dei patogeni, che vengono contrastati dalla batteriocine enterococciche. L’utile protezione offerta da queste rappresenta quindi un contributo a garanzia di un prodotto salubre.

Generalmente gli igienisti alimentari sono riluttanti ad accettare la presenza di enterococchi nei formaggi a causa della loro potenziale patogenicità, spesso legata all’attività emolitica (β-emolisi in agar sangue). Ulteriore motivo di scetticismo è dato dalla produzione da parte di alcuni di questi microrganismi di ammine biogene, in particolare istamina e tiramina, e di fattori R (antibiotico-resistenza). In realtà le quantità di ammine liberate sono molto inferiori alle quantità assumibili giornalmente con la dieta. L’antibiotico-resistenza sembra essere legata a ceppi specifici o dipendente dalla fonte di isolamento.

Gli enterococchi possono quindi trovare un prudente impiego nella produzione di formaggi a latte crudo o pastorizzato (Giraffa et al.,1997).

Nel 1999 Centeneo et al., hanno valutato gli effetti dell’aggiunta di starter contenenti Enterococcus faecalis nel formaggio spagnolo Cebreiro. Anche in questo caso la microflora dominante del latte bovino di partenza era rappresentata da enterococchi.

Enterococcus faecalis era già impiegato in numerose occasioni per accelerare la maturazione e per migliorare le caratteristiche organolettiche di alcuni formaggi (Villani e Coppola, 1994).

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In questo lavoro sono stati analizzati campioni prodotti con ceppi di Enterococcus faecalis subsp. liquefaciens, con ceppi di Enterococcus faecalis subsp. faecalis e un campione di controllo contenente Lactococcus lactis subsp. lactis e Lactococcus lactis subsp. cremoris. In tutti i campioni con enterococcchi, la percentuale di azoto solubile è risultata più alta rispetto al controllo; ciò indica in termini generali una proteolisi maggiore nei campioni con enterococchi (in particolar modo E. faecalis subsp. liquefaciens è risultato essere il più proteolitico). Per quanto riguarda l’attività lipolitica, sono stati trovati più acidi grassi liberi nei lotti con gli enterococchi rispetto al lotto di controllo,a conferma dell’attività aromatizzante di questi microrganismi. L’acido grasso maggiormente presente è stato l’acido acetico, seguito da piccole quantità di acido caprinico; inoltre, ad incrementare l’aroma si è aggiunta la produzione, da parte di E. faecalis subsp. liquefaciens di acetoino e di acetile. Quindi l’utilizzo di starter a base di enterococchi si è rivelato importante per salvaguardare la qualità di un prodotto tradizionale, in cui la microflora intestinale è rappresentata proprio dagli enterococchi (Centeneo et al., 1999).

3.6 GENERE STREPTOCOCCUS

Comprende batteri asporigeni, aerobi facoltativi (in qualche caso anaerobi), catalasi negativi e immobili. Tendono a disporsi in sequenze ordinate che ricordano una collana o una catenella (Poli e Cocilovo, 1998).

A questo genere appartengono diverse classi, come gli streptococchi piogeni, quelli del primo tratto del cavo orale e gli streptococchi semplicemente indicati. L’unica specie di interesse lattiero-casearia è rappresentata da Streptococcus thermophilus, (Foto n. 4) che è uno dei batteri che meglio cresce nel latte (Bottazzi, 1993). Si tratta di un microrganismo resistente alla temperatura di 60°C per 30 minuti, poco proteolitico. E’ inoltre meno sensibile ai fagi rispetto ai lattococchi.

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Foto n. 4: Streptococcus thermophilus (ard.unl.edu)

Spesso è associato a Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus nella produzione dello yogurt.

Usato da solo come starter, dà un prodotto con una buona tessitura e grana, ma di scarso sapore.

3.7 GENERE LEUCONOSTOC

Le specie appartenenti a questo genere hanno una forma sferica e sono disposte in coppia o in catenella; sono batteri Gram positivi, anaerobi facoltativi ed eterofermentanti obbligati, in grado di produrre acido D-lattico, etanolo o acido acetico ed anidride carbonica dalla fermentazione degli zuccheri; l’optimum di temperatura per la loro crescita è compreso tra 20°C e 30°C (Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology, 1994).

Alcune specie possono trasformare l’acido malico in acido lattico, partecipando così alla fermentazione malolattica del vino e di altre bevande alcoliche.

I Leuconostoc sono normali contaminanti degli alimenti, soprattutto latte, insaccati e salumi. Inoltre sono definiti batteri dell’aroma in quanto producono acetoino e di-acetile che conferiscono ai prodotti, specialmente caseari, aromi apprezzabili.

Le specie che interessano il settore lattiero-caseario sono due: si tratta del Leuconostoc lactis e Leuconostoc mesenteroides. (Foto n. 5)

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Foto n. 5: Leuconostoc mesenteroides (genome.jgi-psf.org)

Leuconostoc lactis ha un’elevata resistenza al calore, sopravvivendo anche ad un trattamento termico di 60°C per 30 minuti. Produce acido lattico dalla fermentazione del fruttosio, maltosio e saccarosio; è uno dei costituenti essenziali degli starter allestiti per la produzione del burro e di alcuni formaggi.

Leuconostoc mesenteroides presenta 3 subspecie

 subsp. cremoris – sviluppa bene a 18-25°C ma non a 37°C. Per raggiungere un buon sviluppo necessita di 48 ore di incubazione a temperatura di 20 – 28°C. Preferisce condizioni anaerobiche e l’aggiunta al substrato nutritivo dello 0,5% di cisteina-HCl.

 subsp. mesenteroides – sviluppa tra 10-37°C, ma non a temperature superiori. Fermenta arabinosio, fruttosio, maltosio, melibiosio, saccarosio e trealosio ma non la salicina.

 subsp. dextranicum – sviluppa tra 10°C e 37°C, ma a differenza della specie precedente è in grado di fermentare la salicina (Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology, 1994)

3.8 GENERE PEDIOCOCCUS

A questo genere appartengono batteri anaerobi facoltativi. Crescono alla temperatura di 25-40°C e producono acido lattico dalla fermentazione di soli monosaccaridi o disaccaridi. Le specie conosciute, fino ad oggi, sono otto; di queste solamente 2 interessano il settore lattiero-caseario:

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Pediococcus pentosaceus e Pediococcus acidilactici (Bottazzi,1993). (Foto n. 6)

Pediococcus pentosaceus è un microrganismo che cresce a 35-40°C ma la sua crescita si arresta a temperature di 50°C; resiste bene a valori di pH fino a 4,2 e ad una concentrazione di cloruro di sodio del 6,5%. Si tratta di un batterio che fermenta solamente i pentosi.

Pediococcus acidilactici, a differenza del precedente, non fermenta i pentosi; è molto più resistente alla alte temperature (65°C per 8 minuti) ed è capace di sviluppare alle temperature di 50°C (Bergey’s Manual of Systematic Bacteriology, 1986).

Foto n. 6: Pediococcus spp (vietsciences.free.fr)

I pediococchi possono essere differenziati dai micrococchi perché non sono catalasi positivi (anche se alcuni ceppi possono presentare delle pseudocatalasi e dare pertanto risposta positiva al test); altra differenza consiste nel fatto di non essere pigmentati e di produrre poca quantità di acido lattico.

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4. UTILIZZO DI BATTERI LATTICI NEL SETTORE

LATTIERO-CASEARIO

I batteri lattici possono essere classificati in due grandi gruppi in base alla temperatura di crescita: si tratta del gruppo dei batteri lattici mesofili, cioè quelli che crescono a temperature inferiori ai 40°C e del gruppo dei termofili, che sviluppano a temperature superiori ai 40°C.

Questa divisione è importante per la scelta dello starter in caseificio, in quanto la scelta avverrà in relazione alla temperatura a cui sarà sottoposto il latte in caldaia.

Tra i lattici mesofili vi sono i generi Lactococcus, Leuconostoc e alcune specie di Lactobacillus; rientrano invece tra i termofili il genere Streptococcus e alcune specie di Lactobacillus e Pediococcus.

Il genere Enterococcus viene considerato a parte, dato che sviluppa bene sia alle basse che alle alte temperature: può essere infatti definito come mesofilo termodurico.

Tab. n.1: Batteri lattici utilizzati nel settore lattiero-caseario (Bottazzi, 1993)

Batteri Lattici Mesofili Batteri Lattici Termofili Lactococcus lactis subsp.lactis Streptococcus thermophilus

Lactococcus lactis subsp. diacetylactis Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus Lactococcus lactis subsp. cremoris Lactobacillus delbrueckii subsp. lactis Leuconostoc mesenteroides

subsp. cremoris Lactobacillus helveticus

Leuconostoc lactis Pediococcus acidilactici Lactobacillus acidophilus

Lactobacillus casei subsp.casei Lactobacillus casei subsp.rhamnosus

Lactobacillus casei subsp. pseudoplantarum

Nella produzione di formaggi italiani gli starter che trovano maggior impiego fanno parte dei termofili.

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4.1 FERMENTI AUTOCTONI E QUALITÀ

L’eterogeneità dei microrganismi, che partecipano al processo di caseificazione come conseguenza naturale di adattamento ad habitat differenziati costituisce una risorsa utile per il settore caseario in quanto può incidere sensibilmente sull’acquisizione di alcuni caratteri di qualità dei prodotti.

Come visto nel capitolo precedente, nel settore caseario industriale si utilizzano specie microbiche ben codificate, rispondenti a schemi definiti di identificazione operata con diversi sistemi (genetici, fisiologici, biochimici, ecc..), funzionali secondo quanto richiesto dalle differenti tecnologie (formaggi a pasta dura, formaggi a pasta molle, formaggi freschi, ecc.).

In risposta a tutta questa diversità, non è corretta da un punto di vista tecnologico utilizzare colture provenienti da situazioni non correlate alla materia prima che si deve trasformare, all’ambiente in cui si deve operare ed al prodotto che si vuole ottenere; questo è quanto accade, invece, senza tenere conto di quel “plus” che lo studio e la selezione dei microrganismo da introdurre in lavorazione può dare, perché la biodiversità dei microrganismi corrisponde ad una differente “specializzazione” degli stessi in relazione ad attività biochimiche rilevanti per il processo di caseificazione. Ad esempio differenze di acidificazione si rilevano quando i microrganismi starter impiegati allo scopo provengono da latte di specie diversa rispetto a quella del latte da caseificare (Salvatori Del Prato, 1998). Un altro parametro importante è la temperatura.

Quando fondamentali fasi tecnologiche vengono applicati nella trasformazione del latte, come quella di cottura della cagliata, è importante, se non addirittura indispensabile, utilizzare starter selezionato in condizioni termiche dinamiche, che ripetono i reali gradienti applicati nella tecnologia di caseificazione.

Allo stato naturale non si ritiene logico ritornare all’uso delle colture naturali, ma l’isolamento da esse dei biotipi caratteristici e il loro reinserimento come colture starter selezionate (di origine autoctona) può

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dare risultati positivi non solo nella fase di acidificazione, ma anche nelle successive fasi di completamento, di rifinitura, di “arrotondamento”.

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5. BATTERIOCINE

I batteri Gram-positivi, e in particolare i batteri lattici, di recente vengono sempre più studiati per la loro produzione di batteriocine o sostanze simili ad attività inibitoria. Questi studi hanno portato a numerose intuizioni dettagliate relative a svariati argomenti, rendendo possibile la costruzione di un quadro puntuale di questo sorprendente ed eterogeneo apparato di molecole antibiotiche. Un gruppo accomunato in apparenza solo dalla sua composizione proteica e mirata all’inattivazione di batteri generalmente strettamente legati al proprio batterio produttore.

Gran parte del crescente interesse nei confronti delle batteriocine prodotte dai batteri lattici è dovuto alla percezione del loro potenziale nelle applicazioni pratiche riguardo sia alla preservazione del cibo che in qualità di probiotici.

5.1 INTRODUZIONE

Col termine “batteriocine”, coniato nel 1953 da Jacob e collaboratori, vengono indicate quelle molecole proteiche di produzione batterica generate indifferentemente da batteri positivi e da Gram-negativi e dotate di attività inibitoria nei confronti di ceppi batterici diversi dal ceppo produttore, ma a questo strettamente correlati.

La famiglia delle batteriocine comprende un’ampia gamma di proteine che si differenziano in termini di dimensioni, struttura chimica, cellule target, modalità d’azione e meccanismi immunitari indotti, e che si ritiene vengano prodotte dal 99% delle specie batteriche presenti in natura.

Le batteriocine prodotte dai batteri Gram negativi sono generalmente proteine ad elevato peso molecolare che presentano un caratteristico dominio, specifico per l’adesione, la traslocazione o l’attività di killing della batteriocina stessa, mentre le batteriocine prodotte dai batteri Gram positivi sono generalmente peptidi cationici, di piccole dimensioni e termostabili, inizialmente sintetizzati come pre-peptidi e che, in seguito a fenomeni di scissione, si trasformano nelle molecole biologicamente attive.

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5.2 BATTERIOCINE: UNA PROSPETTIVA STORICA

Il termine antibiotico viene generalmente utilizzato per descrivere sostanze prodotte da organismi che selettivamente interferiscono con la crescita di altri. All’interno di questa categoria così ampia di molecole bioattive, la sottocategoria conosciuta come batteriocine comprende i composti proteici sintetizzati da batteri attraverso i ribosomi e rilasciati per via extracellulare. Si è dimostrato che interferiscono con la crescita di altri microrganismi, e tipicamente ne includono alcuni strettamente interrelati con il batterio produttore, e verso i quali la cellula produttrice esprime un certo grado di immunità specifica.

Lo studio della inibizione inter-batterica, al pari di numerose altre scoperte fondamentali della microbiologia, fa risalire le proprie origini a Louis Pasteur. Nel 1877 Pasteur, insieme al suo assistente Joubert, mentre cercavano un modo per controllare la crescita del bacillo dell’antrace, trovarono attività inibitoria sia in vivo che in vitro, associata ad un “batterio comune” co-inoculato (probabilmente l’Escherichia coli) isolato dall’urina. Lo studio pioneristico di Pasteur ha dato il via a numerose decadi di ricerche, predicendo l’era antibiotica, che si focalizzava sulla somministrazione batteri relativamente innocui a pazienti, nel tentativo di tenere sotto controllo la proliferazione dei patogeni – la cosiddetta strategia dell’interferenza batterica – un approccio al controllo dell’infezione che adesso sta vivendo una rinascita, dopo mezzo secolo di rinnegazione seguita alla scoperta della penicillina, e la conseguente e rispettabile dipendenza dei clinici, per il controllo delle infezioni batteriche, dello sregolato utilizzo di antibiotici terapeutici sintetizzati per via non ribosomica.

La maggior parte dei primi successi nella definizione della natura delle batteriocine legate a quelle dei batteri Gram-negativi, in particolare la colicina deriva dagli studi di Gratia e Fredericq. È stato Gratia il primo a descrivere l'antagonismo tra i ceppi di E. coli (Gratia, 1925). Interessante notare che il primo ceppo inibitorio produttore di colicina V ad esser documentato è stata una batteriocina della classe delle microcine che, per molti aspetti, assomiglia a batteriocine tipicamente prodotte da batteri Gram-positivi (Håvarstein et al. 1994). Fredericq ha utilizzato mutatori

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specifici resistenti alla colicina (recettori – deficienti) al fine di classificarle (Fredericq,1946).

Lo studio di batteriocine di batteri Gram-positivi è partito in maniera relativamente incerta, in quanto si focalizzava ampiamente sugli stafilococchi, e su vari tentativi di applicare principi di classificazione simili a quelli che erano stati stabiliti per le colicine. Ad ogni modo, un numero relativamente esiguo di proteine antibiotiche di batteri Gram-positivi si adegua strettamente allo stampo classico delle colicine. Le differenze principali includono il loro spettro di attività relativamente ampio, una meno definita produzione specifica di cellule auto-protettive (immunità) e assenza di indicibilità-SOS. Durante gli ultimi decenni, lo studio delle batteriocine dei batteri Gram-positivi, in special modo quelli dei batteri lattici, ha iniziato a dominare la letteratura scientifica su questo argomento, un cambiamento largamente guidato da imperativi commerciali.

5.3 GENETICA

L’informazione genetica che codifica per la produzione di batteriocine può essere contenuta sia a livello plasmidico, sia a livello cromosomico e tale produzione può avvenire spontaneamente oppure conseguire ad una stimolazione operata da agenti ambientali, fisici o chimici.

I geni che codificano per le batteriocine prodotte dai batteri Gram negativi risultano localizzati a livello plasmidico, mentre i geni che codificano per le batteriocine prodotte dai Gram positivi possono essere presenti sia a livello plasmidico che cromosomico, ed inoltre si localizzano specificamente in strutture multigene operone-simili; il corredo genetico deputato alla produzione delle batteriocine ad opera dei Gram positivi risulta anche estremamente più ampio rispetto a quello dei Gram negativi.

5.4 PRODUZIONE DI BATTERIOCINE

Per quanto concerne la regolazione della produzione di batteriocine, i mi-crorganismi Gram positivi elaborano uno specifico e personale sistema di

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regolazione, mentre i batteri Gram negativi si basano su diversi sistemi regolatori.(Fuqua et al. 2001)

In entrambi i casi risulta di particolare rilevanza un sistema di regolazione batterica denominato quorum sensing system; tale sistema risulta essere influenzato dalla densità cellulare presente nel substrato (Miller et al. 2001). Esistono nel mondo procariotico alcuni sistemi di controllo globale che con-sentono ad un microrganismo di rispondere in modo estremamente efficace ai segnali offerti dall’ambiente.

Un interessante “segnale” è, per l’appunto, quello riportabile alla presenza di altri organismi appartenenti alla stessa specie. Alcune specie batteriche, infatti, possiedono sistemi regolatori che si basano sulla percezione della densità batterica di cellule appartenenti alla stessa specie nell’ambito della popolazione. È questa forma di controllo che viene appunto definita quorum sensing (Lerat et al. 2004). Si stabilisce, in altri termini, una sorta di network di comunicazione tra cellula e cellula, basata su fattori solubili (N-acil-L-omoserina per i batteri Gram negativi e varie unità peptidiche per batteri Gram positivi) che spesso determinano la formazione di biofilm microbici. Questo mezzo di comunicazione intercellulare viene innescato per regolare la trascrizione genica di strutture coinvolte in differenti processi fisiologici come la bioluminescenza, il trasferimento di materiale plasmidico per via coniugativa e la produzione di specifici fattori di virulenza. Svariate specie microbiche impiegano questa strategia di comunicazione per mantenere una crescita organizzata nell’ambiente, situazione indispensabile per la sopravvivenza di taluni patogeni nell’ospite. Ciascun batterio Gram negativo che possieda questo sistema di controllo, risulta dotato di un enzima che sintetizza omoserina lattone acilato (AHL), molecola che diffonde all’esterno della cellula. All’interno della cellula l’AHL si concentra in modo specifico soltanto nel momento in cui ve ne siano numerose altre nelle vicinanze produttrici della stessa molecola. Queste molecole “segnale” a basso peso molecolare possono venire considerate come induttori che attivano la trascrizione genica da parte del cromosoma, producendo opportuni fattori di virulenza batteriocine incluse.

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5.5 MECCANISMO D’AZIONE

Le batteriocine prodotte dai batteri Gram negativi si differenziano rispetto a quelle elaborate da microrganismi Gram positivi in quanto le prime agiscono mediante formazione di canali ionici a livello di membrana citoplasmatica e mostrano, una volta penetrate nella cellula sensibile/target, una spiccata attività nucleasica, mentre le seconde sono “membrana-attive”, ossia operano direttamente a livello di membrana (Bruno et al. 1993).

Le batteriocine prodotte dai batteri Gram negativi aderiscono alle cellule bersaglio grazie alla presenza di specifiche unità recettoriali presenti a livello di membrana esterna delle cellule sensibili coinvolte. Quelle prodotte dai microrganismi Gram positivi non mostrano invece alcun assorbimento specifico, pur non potendosi escludere a priori la possibilità di una via di assorbimento preferenziale per quelle specifiche batteriocine caratterizzate da uno spettro d’azione più limitato (Yang et al. 1992).

Lo spettro d’inibizione delle batteriocine prodotte dai Gram negativi è stret-tamente correlato alla specie produttrice, mentre le batteriocine prodotte dai Gram positivi si dimostrano attive non solo verso altri batteri Gram positivi ma, occasionalmente, anche verso microrganismi Gram negativi.

Risulta poi di un certo interesse la constatazione che il range di sensibilità può incrementare, anche notevolmente, al variare del pH, così come in presenza di particolari sostanze chimiche che agiscono alterando l’integrità della parete batterica.

5.6 BATTERIOCINE DI BATTERI GRAM POSITIVI

Uno sguardo d’insieme sullo studio delle batteriocine dei batteri Gram-positivi è rappresentato dalla documentazione del 1947 che riportava che parte della attività inibitoria dei lattococchi (streptococchi del gruppo N) nei confronti di altri batteri è dovuta ad una molecola inibitoria di origine proteica denominata “sostanza inibitoria gruppo N”, o Nisina (Mattick e Hirsch, 1947). Adesso consentita in campo alimentare come additivo in circa 50 nazioni.

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La nisina ha aperto la strada nel campo delle batteriocine, non solo in relazione alla conoscenza accumulata in merito alle sue caratteristiche chimiche e alla sue basi genetiche, ma anche all’estensione e alla varietà delle sue applicazioni pratiche. Lo spettacolare successo commerciale della nisina ha stimolato una frenetica corsa all’oro sull’attività prospettica per gli agenti inibitori comparabili.

Nel 1976 la prima revisione in letteratura scientifica specifica sulle batteriocine dei batteri Gram positivi ha sottolineato l’inizio di un’ondata di progetti scientifici per ricercare molecole simili alla Nisina e ha predetto un crescente interesse nel potenziale delle applicazioni nell’inibizione batterica e nella preservazione del cibo ( Tagg et al. 1976).

Vent’anni più tardi, la letteratura scientifica nel campo delle batteriocine, è stata letteralmente dominata dalle ricerche sui batteri lattici, sebbene l’ampia maggioranza di questi studi non ha progredito oltre la descrizione superficiale del loro spettro d’attività verso la collezione a disposizione di batteri indicatori e la predizione delle loro potenziali applicazioni pratiche (Jack et al. 1995).

Più di recente, il concetto di modulazione specifica della microflora orale attraverso l’introduzione di batteri produttori di batteriocine ben caratterizzati, ha trovato applicazione nel controllo di una varietà di disturbi e infezioni del cavo orale, che vanno dalla faringite streptococcica alla carie dentale, all’otite media e all’alitosi (Tagg e Dierksen 2003). Nel frattempo, un impressionante numero di ceppi batterici produttori di batteriocine, soprattutto batteri lattici ,continuano a rimanere famosi per la loro capacità potenziale di influenzare la carica batterica (sia desiderata che non) del cibo, fornendo una cosiddetta “immunità rudimentale innata ai prodotti alimentari” (Cotter et al. 2005). Ciononostante, non si è ancora verificato un successo commerciale comparabile a quello della batteriocina per antonomasia, la nisina.

5.7 BATTERIOCINE PRODOTTE DAI BATTERI LATTICI

Tra le specie batteriche presenti in natura, in particolare i batteri lattici (LAB: lactic acid bacteria) hanno sviluppato la capacità di produrre un’ampia gamma di batteriocine.

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Le batteriocine prodotte dai LAB sono state suddivise da Kleanhammer (Kleanhammer, 1998) in tre classi, a cui se ne aggiunge una quarta attualmente poco nota (Cotter et al. 2006):

. Batteriocine di classe I: definite lantibiotici. Si tratta di molecole a

basso peso molecolare, termostabili e modificate post-traduzionalmente; la nisina rappresenta il classico prototipo delle batteriocine appartenenti a questa classe (8).

. Batteriocine di classe II: molecole di piccole dimensioni,

idrofobiche e relativamente termostabili. Questa classe viene, a sua volta, suddivisa in 3 sotto-gruppi: la classe IIa (Kaur et al. 2004), il gruppo più ampio e più importante per la sua attività anti-Listeria, la classe IIb, batteriocine formate da due peptidi, e la classe IIc, che comprende batteriocine inquadrate come sec-dependent, sulla base del loro intrinseco meccanismo di secrezione (Holo et al. 2000).

. Batteriocine di classe III: proteine di notevoli dimensioni e

termolabili.

. Batteriocine di classe IV: molecole complesse nella cui struttura si

riconoscono componenti sia di natura lipidica che glucidica.

5.8 RUOLO ECOLOGICO DELLE BATTERIOCINE

Le batteriocine svolgono una funzione chiave in termini “relazionali” all’in-terno delle diverse comunità batteriche, anche se il ruolo di queste sostanze antimicrobiche non è stato ancora definitivamente chiarito.

La sintesi batteriocinica, talvolta estremamente elevata sotto l’aspetto quan-titativo, potrebbe suggerire un possibile coinvolgimento di tali sostanze sia nei meccanismi difensivi (impedisce l’invasione ad opera di altri ceppi o specie batteriche all’interno dell’habitat del batterio produttore), che offensivi, mettendo in atto strategie invasive con conseguente stanziamento in una particolare nicchia ecologica (Miller et al. 2001).

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5.9 APPLICAZIONI DELLE BATTERIOCINE IN CAMPO CLINICO ED ALIMENTARE

Queste sostanze a spiccata attività antimicrobica hanno riscosso un crescente interesse soprattutto per il loro possibile impiego sia in campo clinico che in quello tecnologico/alimentare (in particolar modo le batteriocine prodotte dai batteri lattici e definite per l’appunto lantibiotici).

Per quanto attiene alle applicazioni in campo clinico, le batteriocine rappresentano una valida soluzione alternativa agli antibiotici. Infatti, grazie al loro limitato spettro d’azione, possono essere considerate “farmaci d’elezione” che agiscono specificatamente su determinati agenti patogeni; ciò consentirebbe, per lo meno in linea teorica, una drastica diminuzione dell’utilizzo degli antibiotici, riducendo in tal modo da un lato lo sviluppo di antibiotico-resistenza da parte dei ceppi patogeni e dall’altro il depauperamento della flora patogena commensale presente nell’organismo.

Ne sia d’esempio la latticina 3147, batteriocina prodotta da Lactococcus lactis, che ha mostrato una spiccata attività nei confronti dei principali agenti mastitogeni Gram positivi (Crispie et al. 2004; Galvin et al. 1999; Mc Auliffe et al. 1998). Appare quindi evidente come la latticina 3147 presenti interessanti potenzialità di utilizzo sia in fase di trattamento terapeutico che in fase di prevenzione e controllo della mastite bovina (Ross et al. 1999; Ryan et al. 1998).

In campo alimentare le batteriocine possono essere utilizzate come bio-conservanti per controllare e contenere la popolazione batterica indesiderata e responsabile di intossicazioni e deterioramento della matrice alimentare.

Allo stato attuale delle cose, tuttavia, le sole batteriocine utilizzate in campo alimentare sono quelle prodotte dai batteri lattici.

In particolare la prima batteriocina, approvata nel 1988 dall’FDA (Food and Drug Administration) in qualità di bio-conservante, è stata la nisina, sostanza antimicrobica prodotta da Lactococcus lactis e appartenente alla classe dei cosiddetti lantibiotici.

Attualmente la nisina viene impiegata come bio-conservante alimentare in oltre 45 Paesi, e rimane la sola batteriocina che può essere aggiunta ai prodotti alimentari (16).

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Questo bio-conservante ha trovato larga applicazione nei prodotti di origine lattiero-casearia, nelle carni, nei prodotti vegetali (frutta compresa), nei prodotti di panetteria e pescheria, così come in talune tipologie di bevande (Luchansky, 1999).

Oltre che per prevenire la contaminazione da parte di batteri patogeni nei prodotti alimentari, le batteriocine possono essere impiegate anche per migliorare le caratteristiche qualitative intrinseche del prodotto stesso (Morgan et al. 1995).

Come diretta conseguenza di quanto finora sottolineato, l’utilizzo delle batteriocine potrebbe costituire uno strumento “tecnologicamente” corretto ed efficace, impiegabile nella produzione di quei prodotti definiti “di alta qualità” che si conservano per lunghi periodi di tempo in assenza di alterazioni ed in totale sicurezza mantenendo le caratteristiche organolettiche intrinseche.

Anche in questo settore si è dimostrata utile la nisina, in grado di agire inibendo la produzione di spore da parte dei batteri dei generi Bacillus e Clostridium e nell’ambito della produzione di differenti prodotti lattiero-caseari precedentemente sottoposti a processo di pastorizzazione (Cortezzo et al. 2004; Lopez-Pedemonte el al. 2003; Hakovirta et al. 2006).

La nisina, inoltre, si è dimostrata attiva ed efficace nei confronti di una vasta gamma di batteri Gram positivi, compresa Listeria monocytogenes, agente eziologico delle intossicazioni alimentari più frequenti e pericolose in termini sanitari la listeriosi (Martinez & Rodriguez, 2005; Schillinger et al. 2001).

Per completare il quadro relativo alle possibilità applicative di queste sostanze antimicrobiche, va ricordato l’utilizzo di colture batteriche produttrici di batteriocine in qualità di probiotici alimentari.

Col termine di probiotico si intende, in modo estremamente schematico, una preparazione a base di particolari microrganismi: anche in questo caso i batteri lattici sono quelli più ampiamente utilizzati a tale scopo infatti, una volta somministrati, migliorano le proprietà della microflora autoctona dell’organismo ricevente.

L’incorporazione dei microrganismi probiotici può essere estesa ai prodotti lattiero-caseari, alle formulazioni per l’infanzia, ai succhi di frutta,

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ai prodotti a base di cereali ed a taluni prodotti farmaceutici (Salminen et al. 1996; Soomro et al. 2002).

È stata inoltre evidenziata la capacità per alcune specie batteriche, nello specifico Lactobacillus e Bifidobacterium, di inibire la crescita di Helicobacter pylori, uno dei principali agenti eziologici responsabili di ulcere gastro-duodenali, grazie alla liberazione di molecole proteiche riconducibili a specifiche batteriocine. La somministrazione in forma probiotica di queste specie batteriche ed in soggetti geneticamente predisposti previene, in primo luogo, la formazione di ulcere a livello gastroenterico e, secondariamente, ha esitato in un diretto coinvolgimento nella stabilizzazione della barriera gastrica oltre che nella riduzione dell’infiammazione mucosale (Gotteland et al. 2006).

Dati sperimentali hanno rivelato come l’utilizzo di probiotici non porti all’eradicazione definitiva e completa di H. pylori, ma sia in grado di contenere il livello gastrico del patogeno, inibendo in tal modo la sintomatologia clinica ( Gosh et al. 2004; Le Duc et al. 2004).

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6. SCOPO DELLA RICERCA

La ricerca è stata mirata alla identificazione di ceppi di LAB isolati da prodotti lattiero-caseari tradizionali siciliani produttori di batteriocine, che possano essere eventualmente impiegati nella tecnologia produttiva.

Nel dettaglio 100 ceppi di LAB (40 appartenenti al genere Lactococcus, 40 appartenenti al genere Lactobacillus e 20 appartenenti al genere Enterococcus) isolati da formaggi tipici siciliani verranno testati per la produzione di batteriocine.

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7. MATERIALI E METODI

7.1 CAMPIONAMENTO DI LATTE E FORMAGGIO,

ENUMERAZIONE ED ISOLAMENTO DELLA FLORA

LATTICA MICROBICA

7.1.1 DESCRIZIONE DELLE AZIENDE SCELTE PER IL

CAMPIONAMENTO

Nei primi giorni dopo il mio arrivo presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia mi sono dedicato alla visita degli allevamenti bovini ed ovi-caprini dove conferivano il latte o producevano formaggi tipici direttamente in azienda

La scelta delle circa 70 aziende selezionate per questa ricerca è ricaduta su quelle che si trovano dislocate nelle province di Palermo e Agrigento. Requisito primario di selezione è stato quello che le suddette conferiscano latte destinato alla produzione di formaggi tipici siciliani o che producano direttamente in azienda gli stessi, in particolare: Pecorino Siciliano D.O.P, Vastedda della Valle del Belice D.O.P, Morbido di Sicilia, Caciocavallo di Palermo, ecc..

Si tratta aziende di piccole-medie dimensioni, ognuna comprensiva di 150 – 200 capi. Gli animali in questione vengono stabulati durante la notte, dove la loro alimentazione è integrata con concentrati, mentre subito dopo la mungitura del mattino sono liberi di pascolare nelle zone vicine all’allevamento, dove trovano solo le essenze foraggiere spontanee del posto. In serata gli animali vengono condotti verso l’allevamento e vengono munti prima di entrare. Il latte prodotto viene trasformato o conferito la mattina seguente.

7.1.2 CAMPIONAMENTO

I campioni di latte, prelevati asetticamente subito dopo la filtrazione, erano costituiti da latte proveniente dalla mungitura della mattina e della sera, mentre la cagliata è stata prelevata prima della rottura della stessa

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direttamente dalla caldaia. Tutti i campioni di formaggio sono stati durante la stagionatura presso i locali predisposti e dislocati nella stesse aziende.

Tutti i campioni prelevati erano prontamente inviati, a temperatura controllata, ed analizzati presso il laboratoria di Microbiologia del Centro Latte dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia. L’enumerazione batterica, per i generi Lactobacillus, Lactococcus ed Enterococcus, è stata eseguita secondo alcune procedure standardizzate ed altri protocolli non standardizzati in uso nel laboratorio dove ho svolto la ricerca.

7.1.3 PREPARAZIONE DELLE DILUIZIONI

Dai vari campioni, prima di essere seminati nei rispettivi terreni, sono state preparate le necessarie diluizioni (da 10-1 a 10-7) per permettere una migliore enumerazione dei microrganismi ricercati e per l’isolamento di quelli appartenenti alla flora lattica.

I diluenti utilizzati sono stati diversi, in relazione al tipo di campione analizzato e alla flora microbica che si voleva isolare, ma il procedimento per la preparazione delle diluizioni per tutti i campioni è stato il seguente:

 prelevare asetticamente 10 g del campione in esame ed inserirlo all’interno di una busta per stomacher con l’aggiunta di 90 ml del diluente necessario; solo per la cagliata e per il formaggio è necessario omogeneizzare i campioni con lo stomacher per alcuni minuti. Il risultato di questa prima operazione è la diluizione madre (10 -1)

 trasferire 1 ml della diluizione preparata precedentemente (10-1) in un tubo sterile contenente 9 ml del diluente appropriato. Questa costituisce al diluizione 10-2.

 ripetere questa procedura per le successive diluizioni decimali utilizzando nuove pipette per ogni diluizione successiva (10-3 – 10-7)

Il diluente utilizzato per le varie analisi nella cagliata e nel formaggio della flora lattica (Lactobacillus, Lactococcus ed

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Enterococcus) è stato il Citrato al 2%; nel latte è stata utilizzata l’acqua peptonata (Pepton Water, Oxoid).

7.1.4 ENUMERAZIONE ED ISOLAMENTO DI LACTOBACILLUS SPP.

- Seminare in doppio per inclusione, dalla diluizione madre fino alla 10-7, in ragione di 1ml utilizzando MRS agar (Oxoid) e ricoprire le piastre con 5 ml di terreno, lasciare solidificare.

- Seminare per spatolamento, dalla diluizione madre fino alla 10-7, in ragione di 0,1 ml su piastre di FH agar

- Incubare a 37°C +/- 1°C per 72h +/- 2h in condizioni di anaerobiosi.

- Leggere le piastre in cui il numero delle colonie sia compreso tra 15-150. Considerare come lattobacilli tutte le colonie che crescono di color bianco, aspetto lattiginoso e di forma lenticolare.

- Annotare i conteggi relativi a due diluizioni successive e calcolare il numero di unità formanti colonia (UFC) con la seguente

formula:

∑ C

N

= --- V(n1 + 0.1 ٠ n2)d dove:

∑ C = somma delle colonie nelle piastre considerate V = volume dell’inoculo in ml seminato in ogni piastre n1 = numero delle piastre considerate per la prima diluizione presa in esame

n2 = numero delle piastre considerate per seconda diluizione presa in esame

d = fattore di diluizione corrispondente alla prima

diluizione

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diversi terreni colturali utilizzati e seminarle su piastre di MRS

agar e FH agar, dipendentemente dai terreni di provenienza .

- Incubare 37°C +/- 1°C per 48h +/- 2h in condizioni di anaerobiosi

7.1.5 ENUMERAZIONE ED ISOLAMENTO DI LACTOCOCCUS SPP.

- Seminare in doppio per inclusione, dalla diluizione madre fino alla 10-7, in ragione di 1ml utilizzando M17 agar (Oxoid) e ricoprire le piastre con 5 ml di terreno, lasciare solidificare.

- Incubare a 30°C e 44°C +/- 1°C per 48h +/- 2h in condizioni di aerobiosi.

- Leggere le piastre in cui il numero delle colonie sia compreso tra 15-150. Considerare come lattococchi tutte le colonie che crescono di color bianco/avorio e di forma lenticolare.

- Annotare i conteggi relativi a due diluizioni successive e calcolare il numero di UFC con la seguente formula:

∑ C

N

= --- V(n1 + 0.1 ٠ n2)d dove:

∑ C = somma delle colonie nelle piastre considerate V = volume dell’inoculo in ml seminato in ogni piastre

n1 = numero delle piastre considerate per la prima diluizione presa in esame

n2 = numero delle piastre considerate per seconda diluizione presa in esame

d = fattore di diluizione corrispondente alla prima

diluizione

- Prelevare 8 colonie tipiche per Lactococcus spp. e seminarle su M17

agar già solidificato.

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7.1.6 ENUMERAZIONE ED ISOLAMENTO DI ENTEROCOCCUS SPP.

- Seminare per spatolamento, dalla diluizione madre fino alla 10-7, in ragione di 0,1ml utilizzando Kanamicine Aesculin Azide Agar

(Oxoid).

- Incubare a 42°C +/- 1°C per 48h +/- 2h in condizioni di aerobiosi. - Leggere le piastre in cui il numero delle colonie sia compreso tra 15-150. Considerare come enterococchi tutte le colonie rotonde ombelicate, grigio-nere, di circa 2 mm di diametro, circondate da un alone marrone-nero di circa 1 cm di diametro che forma un anellino, per l'idrolisi dell'esculina incolore ad esculetina

- Annotare i conteggi relativi a due diluizioni successive e calcolare il numero di UFC con la seguente formula:

∑ C

N

= --- V(n1 + 0.1 ٠ n2)d dove:

∑ C = somma delle colonie nelle piastre considerate

V = volume dell’inoculo in ml seminato in ogni piastre n1 = numero delle piastre considerate per la prima

diluizione presa in esame

n2 = numero delle piastre considerate per seconda diluizione presa in esame

d = fattore di diluizione corrispondente alla prima

diluizione

- Prelevare 8 colonie tipiche per Enterococcus spp. e seminarle su

Kanamicine Aesculin Azide Agar.

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7.1.7 TEST BIOCHIMICI PRELIMINARI

• TEST DELLA CATALASI

Con un’ansa sterile prelevare un’aliquota di una colonia, subito stemperare in una goccia di H2O2 al 3% posta su di un vetrino portaoggetti. La formazione delle bolle di O2 liberate dall’ H2O2 indica la presenza della catalasi. I batteri lattici, (sia cocchi sia bacilli) in quanto microrganismi catalasi-negativi non sviluppano O2 se posti a contatto con H2O2 e quindi risulteranno negativi a tale test. E’ possibile così differenziarli da eventuali micrococchi e stafilococchi (catalasi-positivi).

• TEST DELL’OSSIDASI

Alcuni batteri posseggono l'enzima citocromo ossidasi, la

cui presenza può essere messa in evidenza dalla ossidazione di un accettore artificiale di elettroni la tetra-metil-para-fenilendiammina. La prova viene eseguita o direttamente sulla colonia cresciuta sulla superficie dell'agar o su un vetrino portaoggetti su cui viene depositata parte della colonia. Quest’ultima deve essere posta a contatto con degli sticks (Oxidase identification sticks – Oxoid) che daranno luogo, in caso di positività, a una colarazione rosa tendente ad intensificarsi fino al viola; al contrario, invece, la punta dello stick non subirà alcuna variazione cromatica.

• PICK TEST E COLORAZIONE DI GRAM

Il Pick test consiste nel prelevare con ansa sterile un’aliquota di colonia e stemperarla in una goccia di KOH al 3% posta su di un vetrino portaoggetti. I batteri Gram-negativi formano, in seguito al sollevamento dell’ansa, un filamento lungo almeno 0,3 cm. I batteri Gram-positivi non formano alcun filamento.

Testare le colture incerte mediante classica colorazione di Gram entro 18-24 ore.

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7.1.8 CONGELAMENTO DEI CEPPI ISOLATI

Al fine di ottenere una ceppoteca cui attingere in seguito allo screening batteriologico e molecolare, i soli stipiti isolati e risultati Gram positivi, catalasi e ossidasi negativi dai test preliminari, sono crioconservati a -80°C in MRS+glicerolo.

Allestire una coltura liquida in 5 ml di brodo MRS per ogni isolato ed incubarlo a 37°C per 24 ore. Al termine dell’incubazione, prelevare asetticamente 400 µl di brodocoltura, e trasferirli in Eppendorf sterili da 1,5 ml. Aggiungere 600 µl di glicerolo 80% (v/v) miscelando con la pipetta per assicurare l’uniformità delle soluzioni. Le Eppendorf sono poste in congelatore a –80°C per la conservazione a lungo termine.

Per la conservazione a breve termine è possibile invece mantenere gli isolati in piastre con MRS agar o in tubi con MRS brodo ad una temperatura di 10°C.

7.2 IDENTIFICAZIONE GENOTIPICA DELLA FLORA LATTICA

7.2.1 COLONY PCR

Dalle piastre di terreno solido sono state prelevate mediante un puntale sterile, per aspirazione, le colonie. Stemperare ognuna di queste in 100 µl di TE 0,1X. Successivamente utilizzare 4 µl di tale sospensione batterica per effettuare la Colony PCR.

L’amplificazione di una porzione di circa 350-bp del 16S rRNA viene realizzata utilizzando i primer ITS F [5’-GTC GTA ACA AGG TAG CCG TA -3’] e ITS R [5’-GCC AAG GCA TCC ACC -3’], disegnati su regioni conservate del cistrone ribosomale eubatterico.

La composizione di un volume finale di 50 µl di Master Mix è di seguito descritta:

- Buffer (1X) - dNTP (0,4 mM) - MgCl2 (1,5 mM)

Figura

Figura 2: Schema metabolizzazione  del lattosio nei batteri lattici  omofermentanti (Bottazzi, 1993)
Figura 2: Schema metabolizzazione del lattosio nei batteri lattici  eterofermentanti (Bottazzi, 1993)
Foto n. 1: Lactobacillus plantarum   (www.csic.es)
Foto n. 2: Lactococcus spp.
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