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"Definitio causalis" e medio dimostrativo in Giovanni Buridano

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Academic year: 2021

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Definitio causalis e medio dimostrativo in Giovanni Buridano Amos Corbini*

Nonostante negli ultimi vent’anni alcuni studiosi si siano già occupati del tema della definizione causale nella teoria della scienza buridaniana, mi sembra che sia non inutile tornarvi per sottolineare innanzitutto come se consideriamo su questo tema anche le questioni sugli Analitici secondi possiamo forse cogliere meglio l’originalità che Buridano manifesta su questo punto nelle Summulae de demonstrationibus1; in secondo luogo, si vedrà come da una lettura completa di quanto Buridano scrive al riguardo nelle Summulae, che vada al di là della sola seconda sezione, emergano elementi di interesse forse non ancora abbastanza considerati.

1. Oltre alle Summulae, anche le Quaestiones in Analytica Posteriora

Prendere in considerazione anche le questioni sugli Analitici secondi significa inserirsi nella specifica tradizione esegetica di un testo in cui al tema della definizione e ai suoi problemi è dedicata la quasi totalità del secondo libro: in particolare, com’è noto, lo Stagirita nella sezione rappresentata dai capitoli 3-7 discute a lungo e aporeticamente sui rapporti tra definizione e dimostrazione, per poi ritornare sull’argomento e determinarlo nei capitoli 8-10.

Ora, come ho già fatto notare altrove2, nel capitolo 9 gli autori latini trovavano un’interpolazione nella

traduzione vulgata di Giacomo Veneto, con la quale il testo veniva piegato (in un modo che va certamente al di là delle intenzioni di Aristotele) a significare che dello stesso definiendum si possono dare sia una definizione espressa secondo la causa formale, sia una espressa secondo la causa materiale; Roberto Grossatesta, appoggiandosi anche su un passo del commento greco di Giovanni Filopono che riporta tradotto alla lettera3, intese poi il testo così interpolato nel senso che fosse possibile dimostrare la seconda

definizione a partire dalla prima. Su questa possibilità, però, alcuni autori latini successivi espressero varie riserve, legate probabilmente al pericolo che si reintroducesse così proprio la confusione tra demonstratio e definitio che tutta questa sezione del testo aristotelico sembra globalmente volta a scongiurare: ad esempio Alberto Magno considera il problema sostanzialmente poco pertinente alla reale dottrina di Aristotele4 e

anche Egidio Romano fornisce un’interpretazione assai diversa dei medesimi elementi testuali usati da Grossatesta5. D’altra parte, invece, Roberto Kilwardby approfondisce e amplia il discorso impostato da

Grossatesta, a cui dedica una cospicua sezione del proprio commento6 che però, complice la scarsa

** Università di Torino.

1 Si è concentrato solo sulle Summulae e non sulle Quaestiones presentando la teoria della definizione (ma senza toccare la definizione causale) G. KLIMA, Buridan's Theory of Definitions in His Scientific Practice, in J.M.M.H. THIJSSEN-J. ZUPKO (eds.), The Metaphysics and Natural Philosophy of John Buridan, E.J. Brill, New York-Köln 2001, pp. 29-47; nuovamente G. KLIMA, John Buridan New York, Oxford University Press 2009, pp. 62-66; ha invece toccato la definizione causale sempre in base alle sole Summulae J. ZUPKO, John Buridan. Portrait of a Fourteenth-Century Arts Master, University of Notre Dame Press, Notre Dame IN 2003, pp. 111-112 e 116-117. Tiene invece conto di entrambe le opere J. BIARD, Science et nature. La théorie buridanienne du savoir, Vrin, Paris 2012, pp. 178-181.

2 A. CORBINI, La teoria della scienza nel XIII secolo. I commenti agli Analitici secondi, SISMEL-Edizioni del Galluzzo,

Firenze 2006, pp. 196-199.

3 ROBERTUS GROSSETESTE, Commentarius in Posteriorum Analyticorum libros, P. B. Rossi (ed.), Olschki, Firenze 1981, pp. 142-143.

4 Si vedano in particolare ALBERTUS MAGNUS, In libros Posteriorum Analyticorum, in A. BORGNET (ed.), Opera omnia, II, Paris 1890, pp. 179-180 e 183b-184a.

5 AEGIDIUS ROMANUS, Super libros Posteriorum Analyticorum, Venetiis 1488, rist. an. Minerva, Frankfurt a. M. 1967, f. e1va-b, m2rb, m5vb-m6rb, n2va-n3ra, o3vb-o4ra.

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diffusione manoscritta del testo7 non sembra avere avuto particolare influsso sulla tradizione successiva.

Invece, è stato molto influente il commento di Tommaso d’Aquino, il quale ha ammesso in più punti8 come

non problematico che la definizione data secondo la causa materiale potesse essere dedotta (ma non dimostrata) a partire da quella data secondo la causa formale (o finale) e ha in questo modo influenzato diversi lettori successivi, che hanno potuto ricordare rapidamente questo aspetto come ovvio e non bisognoso di troppe ulteriori spiegazioni9. Dunque, possiamo complessivamente dire che nella tradizione

esegetica del XIII secolo l’idea che ci potessero essere definizioni date secondo cause diverse ebbe a partire da Grossatesta una certa diffusione, senza però che questa dottrina assumesse l’aspetto né di un dato ovvio e universalmente condiviso, né desse luogo ad elaborazioni teoriche molto approfondite.

Ben diverso è invece il quadro che presenta Buridano nelle sue questioni sul testo aristotelico10: in esse,

infatti, egli presenta innanzitutto sì la possibilità introdotta da Tommaso, ma lo fa senza tutte le cautele del suo illustre predecessore11, poiché egli parla della possibilità di una demonstratio propter quid (il tipo più

alto e perfetto) che dimostri una definizione del suo definito, e inoltre ritiene che argomentazione dello stesso tipo sia quella con cui una definizione data secondo una causa possa essere provata attraverso quella data secondo un’altra causa12. Ma questa novità si lega ad un altro fatto realmente nuovo, ovvero che egli

teorizza esplicitamente l’esistenza di un tipo di definizione che indica come definitio causalis, che non esiste nella tradizione precedente, quando presenta in due punti diversi del testo13 una classificazione dei tipi di

definizione che comprende, in sintesi14, quattro tipi fondamentali di definizione.

Il primo è quello della definitio nominalis, che non indica la quiddità del definito ma solo il significato di un termine e, proprio per questo, può essere data anche di termini che non suppongono per nessuna entità reale15. Il secondo è rappresentato dalle definizioni che possono essere dette propriamente “quidditative”,

perché esprimono in modo preciso la quiddità del definito: esse possono essere date soltanto delle sostanze, e non dei termini accidentali o connotativi16, ma esistono rispetto a questi ultimi anche definizioni

quidditative dette in senso improprio, costituite attraverso generi e differenze17.

Il tipo successivo di definizione affrontato da Buridano è rappresentato appunto dalle definitiones causales: esse sono date per mezzo di termini che suppongono per le cause di ciò per cui suppone il termine definiendum; sono quindi definizioni che non mostrano solo il quid est del definito, ma anche la o le sue cause essenziali. Ovviamente infatti ci sono quattro generi di definizione causale dati rispettivamente secondo ognuna della quattro cause, ma c’è anche la possibilità che più definizioni causali siano unificate in un’unica definizione composita18.

7 THOMASDE AQUINO, Expositio libri Posteriorum, in Opera omnia, I* 2, Commissio Leonina-Vrin, Roma-Paris 1989, p. 58*.

8 THOMASDE AQUINO, Expositio libri Posteriorum, I, 4, 41-47; I, 16, 61-96; II, 8, 27-64.

9 Ad esempio, si possono vedere JACOBUSDEDUACO, Super Posteriora, ms. Klosterneuburg, Stiftsbibliothek 274, f. 150vb; GERARDUSDE NOGENTO, Super librum Posteriorum, ms. Paris, BN lat. 16170, f. 126va-b; SIMONDE FAVERSHAM, Quaestiones

libri Posteriorum, ms. Oxford, Merton College 292, f. 156rb-va; RADULPHUS BRITO, Quaestiones super libros Posteriorum, ms. Paris, BN lat.14705, f. 20va-b.

10 Il testo è disponibile nella trascrizione di H. Hubien all’indirizzo:

http://individual.utoronto.ca/pking/resources/buridan/QQ_in_Post_An.txt. Il testo non presenta numerazione di pagine, per cui lo si citerà nel seguito indicando di volta in volta il numero della questione e l’inizio del capoverso cui si fa riferimento.

11 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 6, Tertio dico quod.

12 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 8, Nunc dico de definitione.

13 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, I, 8, Sed quaeritur utrum haec definitio; II, 8, Notandum quod multi sunt modi.

14 Si trovano esposizioni molto più dettagliate di questa mia negli studi di Klima e Zupko citati alla nota 1. 15 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 8, Quaedam enim sunt definitiones. 16 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 8, Aliae sunt definitiones quae simpliciter. 17 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 8, Verum est tamen quod aliae.

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Infine, vi è un ultimo tipo di definizione, che in realtà è solo una descrizione del definito ricavata da suoi accidenti per sé, che presentano un legame più debole con la sua natura essenziale19.

Ora, questo schema e anche la dottrina esposta rimangono sostanzialmente immutati a costituire l’ossatura del discorso buridaniano sulla definizione anche nelle Summulae de demonstrationibus20, ma se è vero, come ha notato efficacemente Jack Zupko, che l’importanza data alla definitio causalis è a significant departure from the Aristotelian tradition21, vale la pena qui di notare che si tratta di un allontanamento relativo non solo ad una tradizione in senso ampio e generale, ma anche e proprio rispetto alla lettura ormai tradizionale dello specifico testo degli Analitici secondi, rispetto al quale Buridano prende una posizione che forza e allarga con notevole decisione le maglie di un discorso avviato sì da Tommaso nel commentare quel testo aristotelico, ma restato in lui e nei suoi epigoni ad uno stato molto più generico e meno significativo. Anche perché da questa innovazione ne segue un’altra, di impatto tutt’altro che trascurabile e anzi teoricamente rilevante: già nelle Quaestiones22, e poi con maggiore insistenza nelle Summulae23, egli afferma che proprio la definizione causale rappresenta quell’elemento fondamentale che è il medio dimostrativo.

Rimane poi vero, comunque, che il tema della definitio causalis trova nelle Summulae alcuni interessanti ampliamenti rispetto alle Quaestiones: ad esempio, è nelle Summulae che il nostro autore spiega che, poiché spesso la causa formale, quella efficiente e quella finale coincidono24, a volte non è determinabile in

modo del tutto univoco secondo quale causa sia data una determinata definizione: ad esempio, la definizione di demonstratio data negli Analitici secondi, secondo cui la dimostrazione è un sillogismo che genera conoscenza25, può essere intesa sia come una definizione data secondo il fine (perché la conoscenza

è il fine per il quale si ricerca la dimostrazione), sia secondo l’effetto e quindi la causa efficiente (perché la dimostrazione è la causa che produce in noi la conoscenza)26.

Inoltre, Buridano aggiunge nelle Summulae che è più utile e più perfetta per dimostrare la definizione che sia enunciata comprendendo in sé più generi di cause27. Ora, anche nella tradizione esegetica degli Analitici

secondi era stata la possibilità di una definizione data secondo più generi di cause28, e il nostro autore

l’aveva ricordato, si è visto poco fa, nelle sue Quaestiones, ma è decisamente nuova l’idea presente nelle Summulae che questa eventualità sia non solo più perfetta, ma anche e specificamente più utile alla dimostrazione.

Insomma: il tema della definizione causale è davvero, nell’importanza che alla sua trattazione conferisce Buridano, un segno distintivo della sua teoria della scienza nel trattato scritto a questo scopo, che affonda però (e forse preliminarmente) le sue radici di novità nel commento per questioni all’opera aristotelica.

19 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 8, Aliae sunt quae non merentur dici.

20 In realtà, essa torna anche ad esempio nelle questioni sulla Metafisica pubblicate nel 1588 (IOHANNES BURIDANUS, Kommentar zur Aristotelischen Metaphysik, Parisiis 1588, Unveränderter Nachdruck Minerva G.M.B.H., Frankfurt a. M. 1964, VII, 5, f. HH2va-b), a testimonianza della sua importanza per questo autore.

21 J. ZUPKO, John Buridan, p. 116.

22 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 7, Ex istis videtur mihi esse dicendum.

23 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 55, 1-5; p. 70, 24-p. 71, 10. Ma si veda anche IOHANNES

BURIDANUS, Kommentar zur Aristotelischen Metaphysik, VII, 5, f. HH2va-b.

24 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 55, 25-26. 25 71b18-19: demonstratio est syllogismus faciens scire.

26 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 54, 3-15. 27 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 54, 16-19. 28 CORBINI, La teoria della scienza, p. 199.

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2. In demonstratione potissima definitio subiecti debet esse medium (?)

Come ho detto, la definizione causale è quella che per Buridano deve fungere da medio dimostrativo. L’argomentazione buridaniana nelle Summulae è al riguardo quanto mai lineare: se il tipo più alto di dimostrazione è quella propter quid, quella cioè che spiega la causa dell’appartenenza di un determinato predicato ad un soggetto, e il medio dimostrativo necessario ad ottenere questo risultato è la definizione, quale definizione meglio di quella che esprime la causa appunto dell’inerenza del predicato al soggetto potrà assolvere tale funzione29?

La semplice linearità di questo argomento, tra l’altro, spiega molto chiaramente perché, per Buridano e non per la tradizione precedente, come si è visto, la definizione che esprima più di una causa sia più perfetta e più utile per la dimostrazione, potendo costituire evidentemente un medio dimostrativo più esplicativo dell’appartenenza del predicato al soggetto della conclusione.

Tuttavia, toccare il tema della definizione più adatta a costituire il medio dimostrativo significava, nella tradizione esegetica degli Analitici secondi, entrare in una disputa che nel XIII secolo era stata piuttosto accesa30: riducendo il problema ai suoi termini essenziali, Alberto Magno per primo ed Egidio Romano dopo

di lui in modo assai più dettagliato avevano sostenuto che il medio dimostrativo nel tipo più alto di dimostrazione (demonstratio potissima) dovesse essere rappresentato dalla definizione della passio dimostrata, mentre Tommaso d’Aquino era stato dell’avviso contrario, ritenendo che come medio andasse assunta invece la definizione del subiectum della dimostrazione. In questa querelle, destinata a durare ben oltre gli autori qui considerati, nel XIII secolo la maggior parte degli autori finì per schierarsi per il partito di Tommaso, senza però che alla disputa venissero apportate ragioni particolarmente dirimenti da una parte o dall’altra.

Lo stesso Buridano, in effetti, nelle questioni sugli Analitici secondi mostra di considerare il problema come degno di essere specificamente discusso nella settima questione del secondo libro: in essa, si schiera nettamente dal lato della soluzione di Tommaso d’Aquino, per ragioni che sono ancora certamente riconducibili a quelle addotte dall’Aquinate: siccome nessun predicato può essere definito senza riferirsi al soggetto di cui esso è appunto predicato, se il medio fosse una definizione della passio essa per essere completa dovrebbe fare in ultima analisi comunque riferimento ai principi essenziali del soggetto medesimo, ovvero al contenuto della definizione del soggetto. Per cui, almeno in ultima analisi, perché una dimostrazione sia effettivamente e perfettamente tale, bisognerà che essa metta capo ad un medio rappresentato dalla definizione del suo termine minore31.

Joël Biard ha suggerito che, nel dire questo, Buridano potrebbe essere influenzato più da una tradizione esegetica anteriore che da istanze derivanti esattamente dai caratteri specifici del proprio pensiero32.

Questo sospetto mi pare confermato dal fatto che, se consideriamo l’insieme delle Summulae de demonstrationibus, nelle diverse parti dedicate dal nostro autore al tema della definizione e dei vari tipi di dimostrazione, dove molte sarebbero state le occasioni di toccare il tema, a questa discussione non si faccia cenno neanche una volta. Invece, è vero che egli dice chiaramente nella seconda sezione dell’opera, come si 29 Si vedano I testi citati alla nota 22.

30 L. M. DE RIJK, Der Streit über das medium demonstrationis: die Frucht eines missverständnisses?, in K. JAKOBI (hrsg. von), Argumentationstheorie. Scholastische Forschungen zu den logischen und semantiscghen Regeln korrekten Folgerns, E. J. Brill, Leiden - New York - Köln 1993, pp. 451-463; J. LONGEWAY, Aegidius Romanus and Albertus Magnus vs. Thomas Aquinas on the highest sort of demonstration (demonstratio potissima), «Documenti e studi sulla tradizione filosofia medievale» 13 (2002), pp. 373-434.

31 IOHANNIS BURIDANUS, Quaestiones in Analytica Posteriora, II, 7, Item, uel definitio subiecti est medium. 32 BIARD, Science et nature, p. 181.

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è visto, che il medio deve essere costituto da una definitio causalis, ma è anche vero che non fa cenno al problema se tale definizione debba essere del soggetto oppure del predicato, mentre sembra rimandare ad una esposizione più dettagliata dicendo prout hoc videbitur in aliis capitulis33.

Il luogo cui Buridano rimanda è in effetti rappresentato dall’ottava sezione delle Summulae, dedicata non più specificamente ai tipi di definizione, ma ai caratteri della dimostrazione propter quid. Qui, però, le cose sembrano andare un po’ diversamente da come ci aspetteremmo.

All’inizio Buridano enuncia il fatto che, affinché si possa considerare come propter quid una dimostrazione, si possono dare due situazioni differenti: a) ci deve essere un termine che esprima la causa sia in una delle premesse, sia nella conclusione; oppure b) il medio deve significare in modo appropriato la causa di quanto è enunciato nella conclusione34. E’ chiaro che la situazione che rispecchia quanto affermato nelle questioni

sugli Analitici secondi e nella seconda sezione delle Summulae è la seconda (il medio esprime la causa dell’inerenza affermata nella conclusione); e in effetti, dice a chiare lettere il nostro autore, questa seconda sembra essere l’opinione di Aristotele35. Solo che, altrettanto chiaramente, Buridano ci dice ora che la

situazione in cui la dimostrazione può essere considerata più propriamente e formalmente del propter quid è in realtà la prima36 nella quale, però, la causa deve essere espressa da un termine che compaia sia in una

premessa sia nella conclusione e, dunque, questo termine che esprima la causa non può essere il medio dimostrativo, il quale ovviamente non può comparire nella conclusione e lo stesso Buridano lo dice chiaramente37.

Il sospetto che allora, almeno in questa sezione dell’opera, per Buridano la causa di quanto enunciato nella conclusione di una dimostrazione propter quid non debba più risiedere sempre e soltanto in una definitio causalis del soggetto, com’era nelle questioni sugli Analitici secondi e sarebbe stato coerente con quanto affermato nella seconda sezione delle Summulae, sembra venire decisamente confermato dagli esempi che il nostro autore adduce. Infatti, nel caso della prima dimostrazione presentata come propter quid del tipo a) il medio (“mancanza di luce nella metà della luna rivolta verso il sole”) è sì una definizione del soggetto della conclusione “eclissi”, ma in nessun modo sembra trattarsi di una definizione causale, semmai, in base alla classificazione sopra riportata, si tratterebbe piuttosto della definizione indicata come descriptio; c’è invece effettivamente un terminus causalis nella premessa maggiore e nella conclusione, che è “a causa dell’interposizione della luna”, che però non è formulato in modo da poter costituire una qualsivoglia definizione e quindi un termine medio38. Il secondo esempio, invece, ripreso dalla tradizione ormai invalsa a

partire da Tommaso d’Aquino, presenta effettivamente come termine medio un’espressione definitoria (“edificio che ci difende da venti, calore e piogge”) del soggetto “casa”, che si può considerare enunciata in base allo scopo proprio della casa stessa e dunque potrebbe essere considerato come una definitio causalis del soggetto39.

Veniamo ora agli esempi di dimostrazioni propter quid del tipo b), quelle in cui ovviamente, per la loro corrispondenza colla dottrina delle questioni sugli Analitici secondi e con la seconda sezione delle Summulae, ci aspetteremmo il rispetto stretto del requisito del medio come definizione causale, e probabilmente del soggetto: nel primo esempio il medio è certamente una definizione causale di “eclissi” (ovvero “l’essere diametralmente interposta della terra tra il sole e la luna”), solo che in questa argomentazione il soggetto della conclusione non è “eclissi”, bensì “luna”40; come riconosce lo stesso

33 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 55, 3-4. 34 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 165, 8-12. 35 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 1-2.

36 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 14-16. 37 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 10-13. 38 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 167, 17-21. 39 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 168, 3-7. 40 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 168, 15-22.

(6)

Buridano poco dopo, in effetti, il medio più che essere una definizione causale del soggetto sembra piuttosto un’espressione che indica la causa di ciò che globalmente è significato dalla conclusione nel suo insieme41. Subito dopo, però, l’ultimo esempio buridaniano riferisce esattamente quello aristotelico di I, 1342

nel quale Buridano dice di considerare il medio “essere vicini” come una definizione che esprime la causa del fatto che il soggetto “pianeti” abbia la proprietà del “non brillare”, e quindi saremmo effettivamente di nuovo di fronte ad un medio costituito dalla definizione causale del soggetto43. A complicare il quadro, però,

il nostro autore aggiunge subito, proprio rispetto a questo esempio, il motivo per cui le dimostrazioni del tipo b) gli sembrano meno adatte ad essere considerate propter quid nel senso più proprio: in un simile tipo di argomentazione, infatti, noi potremmo conoscere tutte le proprietà dei pianeti (essere vicini, non brillare) contrapposte a quelle delle stelle fisse (essere lontane, brillare) e non cogliere comunque il nesso causale tra queste determinazioni. Anzi, de facto multi dubitant de hoc44 perché in questo tipo di dimostrazioni tutto il nesso causale da porre rimane in qualche modo sottinteso, oppure per essere colto dovrebbe essere maggiormente esplicitato di quanto avvenga nei termini della dimostrazione45.

Alla fine di tutta questa discussione, a confermare ancora che il quadro è più complesso e sfumato di quello presentato nelle questioni sugli Analitici secondi e nella seconda sezione, Buridano conclude che, in realtà, il modo b) e il modo a) devono integrarsi per giungere ad una dimostrazione che sia propter quid nell’accezione più propria e perfetta, perché se il modo b) ha i limiti sopra riportati, il modo a) dimostra sì il perché della conclusione, ma il fatto che in esso il medio non esprima la causa rimane una mancanza che solo il modo b) può colmare46.

A mio parere, quindi, il commento e il trattato che Buridano ha dedicato al tema della conoscenza scientifica ci consegnano visioni abbastanza differenti rispetto al medio dimostrativo perché valga la pena di non appiattire troppo immediatamente uno sull’altro trattandoli come se essi si integrassero perfettamente47. Nelle questioni sugli Analitici secondi, infatti, la situazione appare più semplice: il medio

della dimostrazione propter quid deve essere rappresentato da una definizione causale del soggetto della conclusione; se non è così, bisogna che il termine medio permetta in qualche modo di ricondurre la passio dimostrata ai principi essenziali del soggetto. A questa posizione sembra allinearsi nei dati fondamentali la seconda sezione Delle Summulae. Nella sezione ottava, invece, innanzitutto la dimostrazione propter quid non sembra più costituita da un modello unico e univoco, ma se ne possono prospettare almeno due tipologie differenti, delle quali la seconda solo a prima vista sembra coincidere con quella prospettata nelle Quaestiones, perché poi entrando nei dettagli Buridano sembra sfumare la chiara dottrina enunciata nelle Quaestiones; in secondo luogo, in nessuno dei due tipi di dimostrazione propter quid ora teorizzati sembra che il medio debba essere sempre e necessariamente costituito da una definizione causale del soggetto, anzi, perché si abbia una simile dimostrazione dovrebbero essere unite tipologie diverse di argomentazione, che presentino come medio sia definizioni causali, sia espressioni che in altre maniere esprimano la causa di quanto affermato dalla conclusione.

A questo punto, mi sembra, non dovremmo stupirci più che tanto che nelle Summulae la quaestio de medio demonstrationis non trovi spazio: essa viene semplicemente superata da una concezione che sembra più aperta a possibilità più variegate e meno rigidamente codificabili di dimostrazione, anche riguardo a che cosa debba costituire il medio dimostrativo. Buridano, insomma, sembra essere non solo aperto a variazioni 41 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 10-12.

42 78a31-b2.

43 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 1-5. 44 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 14-21.

45 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 169, 16-17; p. 170, 1-12. 46 IOHANNES BURIDANUS, Summulae de demonstrationibus, p. 170, 15-20.

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ampie della sua teoria in his scientific practice48, ma anche già e primariamente all’interno della sua scientific theory.

Se questo sia il segno di un’evoluzione anche in senso cronologico tra le Quaestiones e le Summulae, non è per ora forse possibile dire con certezza: ho già avuto modo di rilevare che su qualche altro aspetto della teoria dimostrativa si presentano aspetti analoghi, ma non si tratta di una tendenza univocamente e sempre rilevabile49. Diciamo, almeno, che l’ipotesi mi sembra debba restare aperta.

48 Mi riferisco ovviamente al titolo dell’articolo di Klima citato alla nota 1.

49 A. CORBINI, Jean Buridan et Marsile d’Inghen sur la prédication par soi, in J. BIARD (éd. par), Raison et démonstration. Les commentaires médiévaux sur les Seconds Analytiques, Brepols, Turnhout 2015, pp. 169-184; A. CORBINI,

Subalternazione e relazioni tra le scienze negli autori della “Scuola di Parigi”, che apparirà quando sarà realizzata la prevista pubblicazione degli atti del convegno SISPM del 2014 Filosofia e natura nel Medioevo.

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PER GLI INDICI FINALI DEL VOLUME

INDICE DEGLI AUTORI ANTICHI E MEDIEVALI

 Alberto Magno

 Aristotele (Analitici secondi)  Egidio Romano  Gerardo di Nogent  Giacomo di Douai  Giacomo Veneto  Giovanni Buridano  Giovanni Filopono  Roberto Grossatesta  Roberto Kilwardby  Rodolfo il Bretone  Simone di Faversham  Tommaso d’Aquino

INDICE DEI MANOSCRITTI CITATI

 Cambridge, Peterhouse 205

 Klosterneuburg, Stiftsbibliothek 274  Oxford, Merton College 292

 Paris, BN lat.14705  Paris, BN lat. 16170

INDICE DEGLI STUDIOSI CITATI

 Biard, J.  Corbini, A.  De Rijk, L. M.  Hubien, H.  Klima, G.  Longeway, J.  Rossi, P. B.  Zupko, J.

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