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Academic year: 2021

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Editoriale

Se pensiamo alla storia dell’integrazione scolastica italiana, come fino a poco tempo fa si chiamava il processo educativo volto ad accogliere e a dare ricono-scimento e ruolo all’allievo con disabilità all’interno delle nostre aule – prima di preferire il termine “inclusione” – la prima considerazione che possiamo fare è che effettivamente stiamo parlando di “storia”, ossia di come recita il vocabolario «una ricostruzione, narrazione sistematica degli avvenimenti più rilevanti della vita dell’umanità secondo un’interpretazione critica». Sono passati molti anni da quando la scuola italiana aprì le porte alle persone con deficit: la legge 118 è del 1971, la 517 è del 1977, la 104 è del 1992, precisamente 43 anni, 37 anni e 23 anni. È impressionante pensare al tempo che scorre inesorabile e a come, spesso, non ci si accorga dei fatti meravigliosi che possono accadere sotto gli occhi. In particolare, di fronte al tema dell’inclusione degli allievi con disabilità a scuola, abbiamo spesso la sensazione di trattare una questione non strutturata, non con-solidata in tutti i suoi aspetti nodali, ancora molto imprecisa, indeterminata, vaga. Il tema di come affrontare bene la presenza degli allievi difficili in aula è vissuto in molte realtà educative nervosamente, con apprensione e preoccupazione, con sentimenti che molto spesso sono solidi dal punto di vista intenzionale ma quasi sempre non sorretti da una adeguata capacità operativa in grado di condurre senza tentennamenti il processo educativo-didattico inclusivo. Questa incertezza procedurale è tipica dei processi sociali ed educativi non pienamente conosciuti, ancora molto in divenire e certamente instabili.

Perché? Come mai dopo oltre quattro decenni di esperienze, di storie perso-nali e comunitarie intensamente vissute, di ricerche, di riflessioni scientifiche ap-profondite, abbiamo ancora la sensazione che la scuola italiana sia sempre molto in affanno di fronte al tema di come far vivere processi educativi e didattici in-clusivi e significativi ai suoi alunni con problemi?

A nostro avviso la risposta a questo quesito è l’incompetenza. La scuola ita-liana, in tutte le sue componenti, dopo oltre 40 anni di esperienze inclusive di-mostra di non possedere le basi professionali idonee per affrontare con sicurezza i temi dell’accoglienza, dell’educazione e della formazione degli allievi “difficili”.

non stiamo accennando, naturalmente, agli aspetti normativi in quanto le leggi italiane sono molto avanzate e da sempre indicano strade chiare: pro-grammi individualizzati, piani di zona, rapporti fecondi con le agenzie sanitarie, ruolo delle diagnosi funzionali, progetti formativi di istituto. Ci stiamo riferendo alla competenza o, meglio, all’incompetenza dei nostri operatori scolastici: é l’im-preparazione a provocare l’insicurezza nei processi formativi inclusivi, é l’igno-ranza dei dirigenti che produce l’inadeguatezza del progetto di accoglienza di istituto, é l’incapacità dei docenti che non promuove il lavoro educativo ade-guato, é la vacuitá personale e professionale degli operatori che non genera il ri-sultato educativo e didattico positivo.

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In questo numero della nostra rivista parleremo dell’insegnante di sostegno, affronteremo un tema che periodicamente il mondo pedagogico speciale apre al dibattito scientifico e, direi, anche politico. Periodicamente perché é evidente come questa figura sia ancora indeterminata, eterea e per molti versi inconsi-stente nelle nostre scuola. Dove si lavora male abbiamo ancora insegnanti di so-stegno al servizio di colleghi curricolari che “comandano” ed indicano procedure e percorsi educativi-didattici spesso improntati non alla costruzione del bene per l’allievo ma piuttosto all’eliminazione dei problemi in classe; dove si lavora male si riscontra l’incapacitá degli insegnanti di sostegno di comprendere i bisogni degli alunni e di promuovere percorsi formativi inclusivi, e di sollecitare i colleghi dei consigli di classe a prendere coscienza della necessità imprescindibile di un lavoro unitario sull’allievo; dove si lavora vi sono insegnanti di sostegno impre-parati e non in grado di comprendere le situazioni educative speciali. Di contro nelle scuole dove si lavora bene le cose cambiano: riscontriamo programmazioni unitarie fra insegnanti curriculari e di sostegno, competenze che vengono messe in campo per favorire la crescita degli allievi, attività collaborative di plesso fina-lizzate alla presa in carico globale delle esigenze dei soggetti più gravi, lavori in-dividualizzati indirizzati sulle risorse degli allievi e mai promossi al di fuori di un contesto di classe collaborativo, riunioni di sintesi con la presenza significativa di una dirigenza capace di comunicare la propria vicinanza ai docenti e la propria volontà di salvaguardare procedure educativo-didattiche valide.

Il dibattito di questo periodo sul ruolo del l’insegnante di sostegno nasce pro-prio dall’indeterminatezza di un lavoro educativo a scuola che, purtroppo, é spe-rimentato ancora in modo non strutturato.

Ciò che fa scatenare ipotesi di rinnovamento e riprogettazione di un lavoro inclusivo che non é mai stato realizzato con doverosa continuità è la costatazione che nelle nostre aule si lavora bene sul piano inclusivo solo se l’ambiente è ricco di intenzionalità e competenza.

Sappiamo come lavorare bene e le esperienze confermano questa afferma-zione. Sappiamo come una scuola possa adeguatamente operare sul piano in-clusivo. Sappiamo come affrontare e gestire un gruppo classe. Sappiamo quali siano le competenze professionali che permettono di progettare percorsi signi-ficativi per gli allievi con deficit e senza deficit.

Perché non lo facciamo? Siamo proprio sicuri che riprogettare ruoli, modifi-care compiti lavorativi, ricambiare rapporti professionali interni alla scuola possa essere la strada più corretta per offrire all’allievo “difficile” tutto ciò che la sua condizione richiederebbe?

non siamo convinti che questa sia il tragitto più idoneo. La rotta a nostro giu-dizio é la via dell’intenzionalità e della competenza di tutti gli attori scolastici. L’ignoranza pedagogica speciale é la causa del lavorare male sul piano inclusivo. Occorre perciò lottare contro l’incompetenza, essere feroci contro il non sapere ed il non volere. Per fare questo é necessario rendersi conto dell’importanza della formazione professionale iniziale e continua degli insegnanti. nei piani formativi universitari per diventare insegnanti fino a poco tempo fa non erano contemplate le tematiche pedagogiche speciali; un passo in avanti negli ultimi tempi é stato fatto: attualmente, per diventare insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia, sono previsti 31 crediti formativi sulle tematiche pedagogiche e didattiche

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ciali e ciò é certamente positivo, ma nella formazione degli insegnanti delle scuole secondarie sono previsti appena 6 crediti. Chiunque di fronte a questo dato può notare l’assurdità di una formazione incapace di offrire conoscenze si-gnificative sulle tematiche pedagogiche e didattiche inclusive.

Come SiPeS abbiamo da sempre affermato questo, ricordiamo un nostro do-cumento dove chiaramente si affermava questa consapevolezza: esso rappre-senta una dichiarazione quanto mai attuale e da riprendere per mettere in atto ciò che veramente la scuola italiana sarebbero in grado di attuare se venissero rispettate le indicazioni che abbiamo appena espresso.

Società Italiana di Pedagogia Speciale SIPeS

Documento.

PUnTI ESSEnzIALI PER LA FORMAzIOnE DELL’InSEGnAnTE DI SOSTEGnO Formazione specialistica. Si ribadisce l’esigenza che l’insegnante di sostegno

possa usufruire di una formazione professionale specifica in sede universi-taria. Egli deve essere prima di tutto un insegnante, e poi conseguire una spe-cializzazione polivalente per il sostegno, con un’adeguata formazione pedagogico-didattica-metodologica.

Il percorso formativo che si indica è il seguente: percorso di laurea triennale (3), laurea magistrale (+ 2), un ulteriore anno di studio per ottenere la spe-cializzazione (+1).

Si propone, perciò, una formazione che inizi fin dal 3+2 e che diventi succes-sivamente specialistica con un +1 di 60 crediti.

La formazione continua. Occorre creare un sistema di formazione continua, ca-pace periodicamente di proporre agli insegnanti di sostegno in servizio, mod-uli e corsi universitari in grado di aggiornare il loro sapere pedagogico speciale. Si propone pertanto che l’università organizzi Master di secondo livello che possano completare la formazione polivalente dell’insegnante specializzato per il sostegno sulle grandi patologie (sensoriali, comportamen-tali, cognitive) e sulle metodologie innovative.

Formazione trasversale speciale per tutti gli insegnanti. Si afferma la necessità che tutti i docenti, nella loro formazione universitaria nel percorso triennale e nel corso della laurea magistrale (+ 2) possano beneficiare di moduli e di insegnamenti volti alla formazione speciale di base pari a 60 crediti, capaci di apportare al loro bagaglio professionale competenze educativo-didattiche adeguate a garantire un lavoro qualificato con le persone disabili.

Collaborazione sulle competenze. L’insegnante di sostegno deve operare in una logica di collaborazione effettiva con i colleghi e le altre figure professionali che partecipano al progetto di vita del disabile, basata sulle rispettive com-petenze operative.

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Assicurare la presenza continuativa dell’insegnante di sostegno. È necessario trovare modalità operative e amministrative adeguate in grado di rimuovere le motivazioni che portano molti insegnanti di sostegno ad abbandonare il loro importante ruolo all’interno della scuola.

Sistema dei crediti formativi universitari. Il sistema dei crediti formativi deve es-sere un punto nodale capace di favorire nella flessibilità degli ordinamenti accademici, la formazione degli insegnanti di sostegno (tra formazione in servizio, formazione di base, master e specializzazione).

SCHEMA:

Ma la formazione iniziale ha bisogno di essere costantemente rinforzata da una formazione ricorrente che abbia come primi attori i dirigenti e gli insegnanti. È inaccettabile una scuola i cui professionisti possano aggiornare il proprio sapere solo se lo vogliono, ma se non lo ritengono necessario possono tranquillamente affrontare i gravi problemi che si presentano in classe senza far nulla per alimen-tare le proprie competenze professionali. Occorre una formazione sistematica, periodica, seria, di valore, affidata a persone altamente competenti e capaci di operare con gli insegnanti e con i dirigenti. Una formazione seria non può essere demandata alle singole scuole, gestita spesso da dirigenti poco attrezzati per comprendere e risolvere situazioni educative difficili. A nostro avviso occorre un piano nazionale di formazione continua affidata ad una conduzione scientifica autorevole e non improvvisata.

In tutti questi anni abbiamo già avuto esperienze di associazioni che si im-provvisano enti formativi per le scuole. La formazione non appartiene costitu-zionalmente all’associazionismo. L’associazione di genitori, di categoria, di problema… ha un altro compito. La formazione ha necessità di essere fondata su base scientifiche certe e non su esperienze di vita seppur importanti. La for-mazione degli insegnanti e dei dirigenti non può prescindere dalle università e non può certamente essere affidata al volontariato.

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