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CETACEI NELL’ARCIPELAGO TOSCANO E ANALISI DEI FATTORI DI RISCHIO: TRAFFICO MARITTIMO E RIFIUTI MARINI

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Marina

Tesi di Laurea Magistrale

CETACEI NELL’ARCIPELAGO TOSCANO E ANALISI DEI FATTORI DI RISCHIO: TRAFFICO MARITTIMO E RIFIUTI MARINI

Candidato Relatori

Lorenzo Francia Chiarissimo Professor A. CASTELLI

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Sommario

1. Introduzione……….. 6

2. I cetacei………7

2.1 I misticeti………7

2.2 Gli odontoceti………...7

2.3 I cetacei del Mediterraneo……….. 7

2.4 Le migrazioni………... 8

3. Il Mar Mediterraneo………..9

3.1.1 Breve storia del Mediterraneo………..9

3.1.2 Caratteristiche ed estensione………..……….9

3.2 Area di studio……….……10

3.2.1 Aree Marine Protette e Santuario “Pelagos”………..…10

3.2.2 Composizione, estensione e caratteristiche ecologiche……….11

3.2.3 I cetacei del Santuario………12

4.1 I rifiuti marini……….…13

4.1.2 Gli effetti dei rifiuti marini………...…13

4.1.3 Quantificare i rifiuti marini……….14

4.1.4 Rifiuti marini e cetacei……….……14

4.2 Il traffico navale………..16

4.2.1 I traffici principali del Santuario “Pelagos”………..…..16

(3)

5. Contesto legislativo e progetto FLT………...19

5.1 Normative nazionali ed internazionali……….19

5.1.1 Le normative esistenti per i cetacei………..……..19

5.1.2 Il progetto FLT……….….20

5.1.3 Il metodo FLT………..……….20

5.1.4 Le caratteristiche del protocollo……….21

5.2 Il quadro normativo sui rifiuti marini……….22

5.2.1 La Marpol 73/78………..22

5.2.3 La Marine Strategy………..….23

5.2.4 Il Descrittore 10………..….23

6. Scopo dello studio………...…25

7. Materiali e metodi………26

7.0.1 Le tratte utilizzate nello studio - la tratta Livorno–Bastia……….….26

7.0.2 La tratta Livorno–Golfo Aranci………27

7.1 Metodi di raccolta dei dati………..…27

7.1.1 Metodi di raccolta dei dati - compilazione delle schede……….….28

7.1.2 Metodi di raccolta dei dati - cetacei……….……..29

7.1.3 Metodi di raccolta dei dati - altre specie………...….31

7.1.4 Metodi di raccolta dei dati - rifiuti marini……….…….31

(4)

7.2 Analisi dei dati………...34

7.2.0 Analisi preliminari………...34

7.2.1 Cetacei: presenza e composizione ………34

7.2.2 Cetacei: abbondanza delle specie e calcolo dello SPUE………...34

7.2.3 Cetacei - confronto tra SPUE………...34

7.2.4 Cetacei: il confronto con le annualità precedenti……….34

7.2.5 Rifiuti marini - analisi della composizione………35

7.2.6 Rifiuti marini – confronto con le annualità precedenti……….……35

7.2.7 Traffico navale – analisi preliminari………...35

7.2.8 L’influenza del traffico sui cetacei……….…….35

7.2.9 Traffico navale - confronto con le annualità precedenti…..………....35

7.3 Analisi spaziale………..…….35

7.3.1 Cetacei – analisi spaziale………36

7.3.2 Rifiuti marini – analisi spaziale………...36

7.3.3 Traffico marittimo – analisi spaziale………..………36

7.3.4 Il confronto con le annualità precedenti - analisi spaziale………..….36

7.4 Indice di rischio………...………36

8. Risultati……….……38

8.1 Risultati generali………..……38

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8.1.4 Confronto con le annualità precedenti………..…42

8.2 Rifiuti marini………...….46

8.3 Traffico navale e cetacei……….46

8.4 Analisi spaziale………47

8.4.1 Cetacei………..47

8.4.2 Rifiuti marini………....50

8.4.3 Traffico navale……….……51

8.4.4 Indice di rischio………53

9. Discussione e conclusioni…………...………54

10. Bibliografia……….58

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1. Introduzione

Nel Mar Mediterraneo esistono otto specie di cetacei stabilmente presenti: sette odontoceti (Physeter

macrocephalus, Globicephala melas, Grampus griseus, Ziphius cavirostris, Tursiops truncatus, Stenella coeruleoalba e Delphinus delphis) e un misticete (Balaenoptera physalus).

Tuttavia, come oramai accade per molti organismi, anche i cetacei sono continuamente minacciati dall’uomo, sia in quanto popolazione sia in quanto singoli individui, nel primo caso a causa del crescente inquinamento, del riscaldamento globale e del traffico navale, nel secondo a causa delle collisioni accidentali con le imbarcazioni o delle uccisioni volontarie dei pescatori.

In questo senso appare più necessaria che mai l’adozione di opportune misure di conservazione volte alla tutela ed alla protezione di questi animali, che dovrebbero essere attuate il prima possibile. Si tratta infatti di animali su cui è complicato intraprendere studi mirati, a causa del fatto che vivono in un ambiente molto vasto e in cui l’uomo trova difficoltà nel muoversi; inoltre molte volte tali studi sono costosi e richiedono un impegno molto elevato.

Tuttavia ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) è riuscito ad intraprendere una collaborazione con altri enti tramite cui è stato possibile sviluppare un progetto di monitoraggio di cetacei (e non) molto ampio, che consiste in una rete di 10 transetti trans-regionali distribuiti in gran parte del bacino del Mar Mediterraneo. Inoltre per ogni tratta viene applicato il medesimo protocollo, in modo da poter confrontare i dati nello spazio e nel tempo.

In questo senso i traghetti vengono utilizzati come piattaforme di osservazione, scelta che permette non solo di avere un ottimo punto visivo, ma anche di abbattere i costi necessari per intraprendere studi di monitoraggio di così vasta scala.

Dai dati ottenuti durante queste campagne di monitoraggio è quindi possibile non solo verificare la presenza di aree ad alta densità di cetacei, le migrazioni e la distribuzione di questi animali su ampia scala spaziale, ma anche pianificare eventuali interventi per la conservazione delle specie.

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2. I cetacei

I cetacei sono un ordine di mammiferi completamente adattati alla vita acquatica, comprendente circa 85 specie. Proprio a causa di questo adattamento, presentano caratteristiche specifiche per questo habitat, come il corpo idrodinamico, gli arti anteriori modificati in pinne, la scomparsa degli arti posteriori e la presenza di una coda carnosa che serve alla propulsione. Non possiedono pelo, ma sono isolati termicamente da uno spesso strato di grasso. Come i mammiferi terrestri, possiedono i polmoni, che comunicano con l’esterno grazie allo sfiatatoio, una struttura che si trova alla sommità del capo. Eccetto la famiglia dei Balaenidae, possiedono anche una pinna dorsale. Non hanno orecchio esterno. I cetacei si suddividono in tre sottordini: gli archeoceti (oramai tutti estinti), i misticeti (o cetacei con i fanoni) e gli odontoceti (che possiedono i denti).

2.1 I misticeti

I misticeti sono tutti quei cetacei che durante l’evoluzione hanno sostituito i denti con i fanoni, lunghe lamine di materiale cheratinoso che utilizzano per l’alimentazione per filtrazione. Sono chiamati comunemente “balene” e comprendono specie molto note come la balenottera comune, la balenottera azzurra e la megattera. Ad oggi, esistono quattro famiglie viventi: Balaenidae, Balaenopteridae, Eschrichtiidae e Neobalaenidae.

2.2 Gli odontoceti

Gli odontoceti, al contrario dei misticeti, possiedono i denti: la loro dieta è quindi per lo più ittiofaga o teutofaga. Una caratteristica tassonomica importante, che si è affermata nel corso dell’evoluzione, è la capacità degli odontoceti di ecolocalizzare: emettono infatti dei suoni (inudibili all’orecchio umano) che rimbalzano sulle superfici ritornando poi verso l’animale, che percepisce dimensione e distanza dell’oggetto interessato. Sono noti con il nome di delfini, capodogli ed orche. Fino ad ora sono stati raggruppati in sei famiglie: Delphinidae, Monodontidae, Phocoenidae, Physeteridae, Kogiidae e Ziphidae, senza contare la superfamiglia dei cosiddetti “delfini di fiume” la cui posizione tassonomica è tutt’ora dibattuta.

2.3 I cetacei nel Mediterraneo

Nel Mar Mediterraneo sono presenti stabilmente otto specie di cetacei, mentre altre tredici sono occasionali, in quanto entrano solo per un breve periodo dallo stretto di Gibilterra, ma poi rientrano nell’Oceano Atlantico. Tra le specie presenti stabilmente si annoverano:

1. Balenottera comune (Balaenoptera physalus): si tratta dell’unico misticete presente stabilmente nel Mediterraneo. Può raggiungere i 24 metri di lunghezza ed è solitamente presente nel bacino occidentale e centrale del nostro mare, mentre è più raro in quello orientale.

2. Capodoglio (Physeter macrocephalus): è il più grande odontocete vivente e si trova in tutto il Mediterraneo, soprattutto nelle vicinanze delle scarpate continentali. Con i suoi 18 metri di lunghezza si può immergere fino a due ore e raggiungere profondità di 3000 metri per nutrirsi di calamari.

3. Tursiope (Tursiops truncatus): è l’odontocete più comune vicino alle coste, dove si avvista solitamente in gruppi. Lungo non più di tre metri, si nutre prevalentemente di pesci, ma anche di crostacei e cefalopodi.

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4. Stenella striata (Stenella coeruleoalba): odontocete di dimensioni modeste (due metri), è molto diffusa nel Mar Mediterraneo. Si trova per lo più in gruppi. Si nutre di pesci, cefalopodi e crostacei.

5. Zifio (Ziphius cavirostris): odontocete lungo sei metri, diffuso in tutto il Mediterraneo, ma difficile da avvistare a causa dei lunghi periodi di immersione. Si nutre soprattutto di calamari. 6. Delfino comune (Delphinus delphis): piccolo odontocete (due metri) si trova in prossimità della

costa e in mare aperto. Si nutre soprattutto di pesci.

7. Globicefalo (Globicephala melas): odontocete di medie dimensioni (fino a sei metri), il cui nome deriva dalla protuberanza bulbosa che presenta sul cranio. Sembra che non sia presente nel bacino orientale. Specie di acque profonde, si nutre soprattutto di calamari.

8. Grampo (Grampus griseus): odontocete lungo 3,5 metri circa. Specie diffusa in tutto il Mediterraneo che predilige una dieta teutofaga, per cui è più facile avvistarlo in prossimità delle scarpate.

2.4 Le migrazioni

Con il termine migrazione animale si intende il movimento (ritmico, periodico, lungo rotte ben precise e più o meno rettilinee) di individui appartenenti ad una medesima popolazione tra due zone dell'areale relativamente distanti tra loro e caratterizzate da differenti risorse. La migrazione è quindi una risposta etologica alla variabilità (giornaliera o stagionale) dell’areale in termini di risorse di varia natura, come cibo, predatori, o partner riproduttivi).

Molte specie tra i cetacei, compiono migrazioni, di portata differente a seconda della taglia e delle abitudini ancestrali. Le più note specie migratrici sono senza dubbio le megattere, che compiono migrazioni anche di migliaia di chilometri tra la zona di riproduzione (basse latitudini) e la zona di alimentazione (alte latitudini). Si pensa che i motivi che spingano questi animali a migrare siano molteplici, come necessità di evitare uno shock termico al neonato, di proteggere i piccoli dai grandi predatori, come le orche, oppure che siano un relitto evolutivo comportamentale.

Tuttavia anche nel Mediterraneo i cetacei compiono migrazioni, anche se di portata molto diversa: gruppi di stenelle si spostano dal loro habitat preferenziale, la costa, fino al mare aperto, in cui trovano cibo; al contrario le balenottere comuni compiono migrazioni di centinaia di chilometri durante l’anno solare, spostandosi tendenzialmente verso il bacino nord occidentale durante l’estate, mentre in altre zone del Mediterraneo durante il resto dell’anno. Sono molti infatti gli avvistamenti nella zona del santuario “Pelagos”, che comprende il mare delle coste toscane, liguri e francesi, mentre d’inverno il numero di avvistamenti scende bruscamente. Ciò potrebbe essere dovuto a molti fattori come la produzione primaria (Marini et al., 1996): in questo caso il Mar Tirreno e il Mediterraneo occidentale potrebbero essere aree di transito, mentre tale specie migrerebbe dal Mar Ligure, che è probabilmente l'area di alimentazione primaria (Orsi Relini et al., 1992), alle acque meridionali, che potrebbero rappresentare aree di riproduzione e, forse, aree trofiche sussidiarie.

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3 Il Mar Mediterraneo

3.1.1 Breve storia del Mediterraneo

Il Mar Mediterraneo si è formato circa 150 milioni di anni fa come insenatura della Tetide, ma non ha sempre avuto la stessa conformazione: circa 5,6 milioni di anni fa, durante la cosiddetta crisi del Messiniano, infatti, lo stretto di Gibilterra si è chiuso, facendo prosciugare il Mediterraneo e lasciando solo alcuni laghi salati. In seguito, circa 5,33 milioni di anni fa, l’acqua atlantica ha cominciato a rientrare da Gibilterra, riempiendo nuovamente il Mediterraneo e conferendogli l’aspetto attuale.

Immagine 3.1: Il Mar Mediterraneo come appare oggi (Google earth)

3.1.2 Caratteristiche ed estensione

Il Mar Mediterraneo è definito da sempre “bacino a scala umana” o “oceano in miniatura”. È infatti un “laboratorio naturale” in cui si possono analizzare e studiare i processi fisici e biogeografici che avvengono negli oceani.

Si tratta del bacino semi-chiuso più grande del mondo: comunica con il Mar Nero tramite il Mar di Marmara, con l’Oceano Atlantico tramite lo stretto di Gibilterra e con il Mar Rosso tramite il Canale di Suez. Completamente circondato da coste, copre un’area di 2,51 x 106 Km2 ed è circondato da 46000

Km di coste: questo fa sì che il rapporto superficie/coste sia di molto inferiore rispetto a quello degli oceani.

Presenta una circolazione termoalina determinata principalmente dall’evaporazione; il parametro predominante per la densità è quindi la salinità e non la temperatura, al contrario di quanto accade per gli oceani. A causa del fatto che il tasso di evaporazione è maggiore rispetto agli input fluviali e al tasso di precipitazioni, ha un tasso di salinità maggiore rispetto agli oceani.

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Un altro aspetto divergente rispetto ad altri bacini è la sua temperatura minima: difficilmente, anche in inverno, scende sotto i 10°C. Il tempo di rinnovo delle sue acque è di circa 100 anni: le acque più vecchie si trovano nel bacino orientale, in particolare nel Mar Ionio dove raggiungono i 126 anni. Questo si deve anche al fatto che esistono delle “selle” che impediscono la comunicazione diretta delle acque profonde: una si trova proprio in prossimità dello Stretto di Gibilterra, che infatti è largo 14 km ma profondo solamente 300 m, mentre l’altra è in prossimità del Canale di Sicilia, che è largo 150 km ma profondo solo 500 m. Le acque del Mediterraneo sono quindi più giovani rispetto a quelle degli oceani, grazie all’uscita delle acque profonde dallo Stretto di Gibilterra.

Si distingue un bacino occidentale, ad ovest del canale di Sicilia ed un bacino orientale, ad est. Il Mar Mediterraneo include aree con distinti regimi trofici ed ecologici: si distinguono nettamente zone molto ricche di clorofilla, come il Golfo del Leone e l’Adriatico ed aree come il Tirreno caratterizzate da livelli molto bassi, a causa della forte stratificazione delle acque che non permette la risalita dei nutrienti. Mediamente è comunque considerato un bacino oligotrofico: nella sua porzione orientale è definito addirittura ultraoligotrofico; inoltre si osservano valori anomali del rapporto N/P rispetto ad altri oceani. La produttività del Mediterraneo occidentale è infatti notoriamente spazialmente eterogenea e influenzata dagli effetti delle correnti, dall’apporto dell’acqua dolce dei fiumi e dalla compresenza di venti guidati dalle caratteristiche topografiche (Estrada, 1996; Salat, 1996; Agostini and Bakun, 2002; Arnau et al., 2004).

L’ipotesi che il tutto il Mediterraneo fosse un mare oligotrofico con bassi livelli di nutrienti e produttività oceanica è stata quindi recentemente scartata, visto che dalle più moderne analisi tramite satelliti, si è scoperto che esistono diverse regioni ad elevata concentrazione di clorofilla (Chl a), un indice dell'abbondanza di scorte di fitoplancton nella zona eufotica della colonna d’acqua (Notarbartolo di Sciara, 2008).

Oltre a vaste regioni oligotrofiche (Chl a < 0.1 mg m-3) nel bacino del Mediterraneo orientale, ci sono

anche acque di livello intermedio (Chl a = 0.1-0.3 mg m-3) e alte (Chl a = 0.3-1 mg m-3). Un’elevata

produttività si trova nel Mar Egeo, nel Mare Adriatico e nel Mediterraneo nord-occidentale al largo delle coste di Spagna e Francia. Acque costiere arricchite (Chl a > 1 mg m-3) si verificano lungo il

margine dell'intero bacino e le acque eutrofiche (1.0 > Chl a > 0.3 mg m-3) sono particolarmente

evidenti in tre enclavi nel Mediterraneo occidentale: il Mare di Alboràn, il Delta dell'Ebro e il Golfo del Leone (Estrada, 1996; Arnau et al., 2004, Jacques, 1989).

La batimetria media è di circa 1500 metri. La profondità maggiore si registra nello Ionio (5267 metri) mentre il Tirreno arriva a 3625 metri; il Mediterraneo occidentale ha una profondità media di circa 2500 metri. La zona meno profonda è quella dell’Adriatico settentrionale, con zone di solo 20 metri di profondità.

3.2 Area di studio

3.2.1 Aree Marine Protette e Santuario “Pelagos”

Il presente studio si è svolto lungo le tratte Livorno-Bastia e Livorno-Golfo Aranci a bordo di traghetti della compagnia “Corsica Ferries”.

Tale area di studio si trova all’interno del Santuario Internazionale per la conservazione dei cetacei “Pelagos” (di seguito Santuario “Pelagos”), un’area marina che copre circa 90000 km2 di mare e 2000

km di litorale posta nel Mar Mediterraneo nord-occidentale, nata da un accordo del 2002 tra Italia, Francia e Principato di Monaco. (Aïssi et al., 2014). È considerata una regione biogeografica particolare, basata su caratteristiche oceanografiche ed ecologiche uniche, come la sua topografia eterogenea di canyon e montagne sottomarine, distinte masse d'acqua e modelli di produzione primaria (Notarbartolo di Sciara et al., 2008). In effetti, quest’area è nota per supportare le più alte densità di mammiferi marini nel Mar Mediterraneo (Notarbartolo di Sciara, 2002).

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bagnano grandi isole come la Corsica e la Sardegna, ma anche numerose isole più piccole, oltre al litorale della Liguria, dell'Arcipelago toscano e delle Bocche di Bonifacio.

Immagine 3.2: L’area compresa dal Santuario “Pelagos” (Google earth)

All’interno dell’area del Santuario “Pelagos”, sono inoltre presenti alcune Aree Marine Protette: lungo le coste liguri si trovano infatti l’Area Marina Protetta di Bergeggi, quella di Portofino e quella annessa al Parco Nazionale delle Cinque Terre; in Toscana si trova l’Area Marina Protetta delle Secche della Meloria, mentre in Sardegna si trova l’Area Marina Protetta Isola dell’Asinara, annessa all’omonimo Parco Nazionale.

Il Santuario “Pelagos” comprende anche un altro importante Parco Nazionale, il Parco Nazionale dell’Arcipelago toscano, area in cui si sono svolte quasi la totalità delle osservazioni del presente studio. Quest’area ha una superficie di 17694 ettari di terra e 61474 ettari di mare, è il più grande parco marino d’Europa e comprende sette isole principali dell'Arcipelago toscano: Isola d'Elba, Giglio, Capraia, Montecristo, Pianosa, Giannutri e Gorgona, oltre che alcuni isolotti minori e scogli: Palmaiola e Cerboli, nei pressi dell’Elba, le Formiche di Grosseto a Nord del Giglio, lo Scoglio d’Africa o Formiche di Montecristo, le Formiche di Capraia, di Palmaiola, della Zanca. Le isole dell'arcipelago fanno parte delle province di Livorno e Grosseto e ricadono sotto undici Comuni. Si estende dalla Toscana alla Corsica ed è composto dal mare Ligure a nord e dal mar Tirreno a sud.

3.2.2 Composizione, estensione e caratteristiche ecologiche

Il Santuario “Pelagos” comprende il Mar Ligure e parti del Mar di Corsica e del Mar Tirreno, ed è composto dal mare interno (15% della sua estensione) e dalle acque territoriali (32%) di Francia, Monaco e Italia, nonché dalle acque adiacenti di alto mare (53%). La piattaforma continentale (isobata di 200 m) è ampia all'interno del Santuario solo dove confina con le pianure costiere; nelle altre zone è invece per lo più stretta e intersecata da ripidi canyon sottomarini. La parte occidentale di mare aperto del Santuario “Pelagos” è costituita da una pianura abissale uniforme profonda 2500-2700 m,

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mentre ad est della Corsica il fondo marino è poco profondo (1600-1700 m) e irregolare, con una serie di isolotti e un canale di acque profonde che interseca la piattaforma continentale. (Notarbartolo di Sciara et al., 2008).

Il Mar Ligure è caratterizzato da alti livelli di produttività primaria, causati dall'interazione di fattori climatici, oceanografici e fisiografici. Una corrente ciclonica dominante (in senso antiorario), che scorre verso nord lungo la Corsica e la Toscana e quindi abbraccia la costa della Liguria e la Francia continentale in direzione ovest, crea un sistema frontale permanente che separa le acque costiere e di mare aperto (Stocchino and Testoni, 1977). Lungo questo confine si genera un'intensa attività biologica, grazie alla maggiore produttività associata a questo sistema frontale (Goffart et al., 1995). Tali fenomeni sono intermittenti e stagionalmente rinforzati dalla miscelazione verticale e dal risalire costiero, generato dal vento prevalente nord-occidentale (maestrale), che pompa nutrienti profondi e altre sostanze organiche apportate dai fiumi, in particolare dal Rodano, nella zona eufotica, dove permettono la crescita delle popolazioni di fitoplancton (Arnau et al., 2004; Gonella et al., 1977). Conseguenti alti livelli di produzione primaria, con clorofilla a fioritura primaverile a concentrazioni maggiori di 10 mg m-3 (Jacques, 1989), supportano una cospicua biomassa di zooplancton altamente

diversificata, incluso macrozooplancton gelatinoso e krill (Sardou et al., 1996). Le concentrazioni di zooplancton, a loro volta, attirano verso l'area vari predatori a livello trofico superiore, tra cui i cetacei che mangiano krill, pesci e calamari (Forcada et al., 1995; Gordon et al., 2000).

Il Santuario “Pelagos” è quindi un'area chiave per i cetacei mediterranei, poiché contiene habitat essenziali per il diverso complemento delle specie presenti e supporta popolamenti residenti di diverse popolazioni geneticamente distinte. (Notarbartolo di Sciara et al., 2008).

3.2.3 I cetacei del Santuario

Il Santuario “Pelagos” comprende dunque habitat di acque profonde e scarpate continentali, utili per le esigenze di riproduzione e di allevamento di tutte le specie di cetacei presenti nel Mar Mediterraneo occidentale (Beaubrun, 1995; Notarbartolo di Sciara, 1994). I due cetacei più diffusi nel Santuario, la balenottera comune (Balaenoptera physalus) e la stenella striata (Stenella coeruleoalba), rappresentano il 20% e il 60% di tutti gli avvistamenti di cetacei storici (1986-1989) estivi (Notarbartolo di Sciara, 1994). Circa 3500 balenottere si trovano nel Mediterraneo occidentale e una parte considerevole di questi sono concentrati tra Corsica, Liguria e Provenza e in estate si nutrono di krill (Forcada et al., 1996), sebbene possano essere osservati in questa zona tutto l'anno (Notarbartolo di Sciara et al., 2003). Le stenelle sono i cetacei più diffusi in tutte le acque del Mediterraneo al largo (Aguilar, 2000), con una popolazione estiva stimata di 20.000-30.000 unità all'interno del Santuario “Pelagos” (Forcada et al., 1995).

Sei altre specie sono una componente regolare della variegata fauna dei cetacei del Santuario: odontoceti che si nutrono di calamari come il capodoglio (Physeter macrocephalus), il globicefalo (Globicephala melas), il grampo (Grampus griseus), che frequentano sia le acque di mare aperto che le scarpate continentali (Di-Meglio et al., 1999; Gordon et al., 2000) e lo zifio (Ziphius cavirostris), che invece preferisce zone con fondi scoscesi sovrastanti i canyon sottomarini (Nani et al., 1999); il delfino comune (Delphinus delphis), presente sia nelle acque costiere che in quelle di mare aperto, in particolare nella parte meridionale del Santuario (Bearzi et al., 2003); i tursiopi (Tursiops truncatus) prevalentemente costieri, frequentano soprattutto le aree riparate che circondano la Corsica, la Sardegna settentrionale, l'Arcipelago toscano e la Francia continentale (Nuti et al., 2004; Ripoll et al., 2004).

Questa diversità faunistica coesiste con livelli molto elevati di pressione umana (European Environment Agency, 1999). La maggior parte delle aree costiere che si affacciano sul Santuario, in particolare sulla terraferma, sono fortemente popolate da città costiere di grandi e medie dimensioni, porti di grande importanza commerciale e militare e aree industriali. Inoltre, l'intera zona costiera del Santuario contiene importanti destinazioni turistiche, essendo quindi soggetta a una considerevole pressione umana aggiuntiva, tra cui tour di osservazione delle balene, traffico di traghetti e disturbi costieri,

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4.1 I rifiuti marini

Gli effetti dell’inquinamento dati dalla pressione antropica si riflettono non solo sulla terraferma, ma anche, e soprattutto, sul mare. I rifiuti marini sono infatti la maggior fonte di inquinamento nel Mar Mediterraneo, anche se non ci sono conoscenze sufficienti per valutare appieno questa minaccia (Arcangeli et al., 2018): sono ancora necessarie infatti ulteriori informazioni per valutare quantità e potenziali minacce dei rifiuti per il biota, in particolare per le specie elencate dalla direttiva Habitat, come i cetacei (Campana et al., 2017).

Il termine rifiuto marino indica qualsiasi materiale solido che è stato fabbricato o lavorato dall'uomo e, dopo il suo utilizzo, è stato scartato o smaltito e raggiunge l'ambiente marino (Coe and Rogers, 1997; Galgani et al., 2013a; Veiga et al., 2016). Attualmente, i rifiuti marini sono considerati onnipresenti e riconosciuti come una minaccia globale (Moore, 2015).

Il Mar Mediterraneo è uno degli hotspot mondiali di biodiversità, ma è anche uno dei mari più inquinati al mondo (Barnes et al., 2009; Deudero e Alomar, 2015; Jambeck et al., 2015). Il bacino è riconosciuto come un ecosistema particolarmente sensibile a causa della sua elevata biodiversità, minacciata però da una forte pressione antropogenica (Coll et al., 2012). In particolare, il bacino ha una delle più alte concentrazioni di rifiuti marini nel mondo (Barnes et al., 2009; Morris, 1980; Lebreton et al., 2012), soprattutto a causa del fatto che nell’ultimo secolo l’uso di imballaggi di plastica e lo scarico illegale nei fiumi o direttamente in mare sono aumentati sempre più (Arcangeli et al., 2018; Campana et al., 2017). Del resto, l’Europa è il secondo produttore globale di materie plastiche, che si traduce in una enorme quantità di imballaggi di consumo (PlasticsEurope 2015), e i prodotti in plastica a basso costo vengono facilmente scartati o persi involontariamente, facendone la maggior parte dei rifiuti (Derraik, 2002; Laist, 1997; Gregory, 2009; Jambeck et al., 2015; Moore 2015). Come riportato da Deudero e Alomar (2015), le valutazioni passate si sono concentrate principalmente sui rifiuti in mare (Ariza et al., 2008; Munari et al., 2016; Poeta et al., 2014) mentre poco è stato segnalato per il fondo marino (Galgani et al., 2000; Pham et al., 2014; Tubau et al., 2015) e per i rifiuti galleggianti in acque al largo (Aliani and Molcard, 2003; Suaria and Aliani, 2014; Suaria et al., 2016) a causa delle difficoltà nell'esecuzione di campionamenti in questi ambienti.

4.1.2 Gli effetti dei rifiuti marini

Questa gran quantità di rifiuti porta delle conseguenze: ad esempio, oggetti galleggianti possono aumentare la quantità di sostanze tossiche in una determinata area agendo come veri e propri mezzi di trasporto (Endo et al., 2005; Mato et al., 2001; Teuten et al., 2007), e contribuendo a disperdere organismi opportunisti in una vasta gamma, compresa la distribuzione di specie nocive o aliene, soprattutto per quei rifiuti di grandi dimensioni (Aliani and Molcard, 2003; Barnes, 2002; Derraik, 2002; Rech et al., 2016; Sarà et al., 2018). Inoltre, sono stati segnalati eventi di ingestione per 395 specie marine con conseguenze gravi, quali lesioni fisiche, ridotta mobilità, blocchi del tratto digestivo e malnutrizione (Baulch and Perry 2014; Derraik, 2002; Gall and Thompson, 2015; Gregory, 2009; Laist, 1997; Poeta et al., 2017). Infine, la frammentazione di questi materiali artificiali produce il rilascio di microparticelle e composti tossici e migliora il loro accumulo nella catena alimentare, aumentando l'esposizione per i top predatori o per le specie filtratrici (Cole et al., 2011; Davison and Asch, 2011; Fossi et al., 2012; Wright et al., 2013). A questo proposito, i mammiferi marini sono fortemente influenzati dalle minacce appena citate, poiché le interazioni negative con i rifiuti marini sono state segnalate nel 78,9% delle specie conosciute (Poeta et al., 2017).

In tutto il mondo sono state segnalate oltre 390 specie che ingeriscono o si impigliano in detriti, come plastica, gomma e fogli di alluminio (Derraik, 2002; Gall and Thompson, 2015; Laist, 1997). Quando gli animali vengono a contatto con questo tipo di rifiuti, le conseguenze possono essere gravi, come compromissione dei movimenti e/o alimentazione (con conseguenze sulla produzione riproduttiva), lacerazioni, ulcere e morte (Camedda et al., 2014; De Lucia et al., 2014; Derraik, 2002; Laist, 1997). Pesci (Boerger et al., 2010; Davison and Asch, 2011), uccelli (Ryan, 2008; Van Franeker and Law, 2015), cetacei (De Stephanis et al., 2013; Gomerčić et al., 2006; Levy et al., 2009; Mazzariol et al.,

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2011) e tartarughe marine (Camedda et al., 2014; Campani et al., 2013; Lazar and Gracan, 2011; Matiddi et al., 2017; Schuyler et al., 2014; Tomás et al, 2002) sono particolarmente colpiti e infatti è comune trovare detriti di plastica inghiottiti accidentalmente nei loro tratti digestivi.

4.1.3 Quantificare i rifiuti marini

È vero che non tutti i rifiuti marini galleggiano, ma anzi affondano e si disperdono nella colonna d’acqua, ma è anche vero che questo non accade nell’immediato (JRC, 2008): perciò, anche se i tempi di permanenza medi sono ancora poco conosciuti, i rifiuti galleggianti possono indicare la provenienza (terrestre o marina) dei rifiuti, oltre che le principali fonti (Thiel et al., 2013; Veiga et al., 2016). Inoltre, visto che i rifiuti marini galleggianti sono indicatori di quelli presenti nella colonna d’acqua, e che entrambi sono responsabili di danni diretti alle specie marine, il monitoraggio di questi può anche aiutare ad identificare aree e stagioni a rischio per progettare misure di mitigazione appropriate (Arcangeli et al., 2015; Di-Méglio e Campana, 2017).

Monitorare i rifiuti galleggianti non è sempre semplice, ma anzi esistono alcuni problemi, primo tra tutti la difficoltà di raggiungere la frazione principale di questi, che si trova per lo più in aree di mare aperto. In ogni caso, la presenza di macro rifiuti galleggianti è già stata studiata in varie parti del mondo usando imbarcazioni o piattaforme di osservazione di grandi dimensioni (Day and Shaw, 1987; Di-Méglio and Campana, 2017; Hinojosa and Thiel, 2009; Matsumura and Nasu, 1997; Pyle et al., 2008; Shiomoto and Kameda, 2005; Suaria and Aliani, 2014; Thiel et al., 2003; UNEP-MAP, 2011; Vlachogianni et al., 2016). La principale problematica nell’effettuare tali osservazioni in aree di mare aperto è quella relativa al costo: campagne di monitoraggio di questo tipo sono infatti molto costose e difficili da praticare, soprattutto nei mesi invernali. Inoltre, occorre stabilire un protocollo condiviso, in modo che i dati presi da ogni campagna di osservazione siano confrontabili tra di loro, al fine di creare un modello di portata internazionale (Cheshire et al., 2009; Galgani et al., 2013b; Ryan, 2013). Pochi studi hanno esaminato le percentuali di interazione dei rifiuti marini con specie di cetacei ad ampio spettro (Di-Méglio and Campana, 2017; Fossi et al., 2017).

Trattandosi di specie molto diverse tra loro ed essendo per la maggior parte specie apicali nella catena alimentare, i cetacei rappresentano buoni indicatori dello stato dell'intero ambiente marino e consentono di evidenziare le aree e le stagioni a rischio su cui concentrarsi per scopi di mitigazione (Baulch and Perry, 2014). Campana et al. (2017) riporta una maggiore presenza di cetacei in aree ad alta densità di plastica principalmente durante la primavera e l’estate in alcuni settori, con maggiore percentuale di aree di sovrapposizione tra alta densità di avvistamenti di plastica e cetacei.

Indagini a bordo di imbarcazioni che studiano i macro rifiuti galleggianti sono già state condotte in diverse regioni del mondo (Aliani and Molcard, 2003; Day and Shaw, 1987; Hinojosa and Thiel, 2009; Matsumura and Nasu, 1997; Morris, 1980; Ryan, 2013; Sá et al., 2016; Shiomoto and Kameda, 2005; Thiel et al., 2011, 2013). Dal 2012, il monitoraggio dei rifiuti con una dimensione superiore ai 20 cm è stato realizzato dalla rete di monitoraggio su transetti fissi “Fixed Line Transect Mediterranean monitoring Network” (Arcangeli et al. 2014a), che utilizza traghetti come piattaforma di osservazione per il monitoraggio multidisciplinare di cetacei, tartarughe marine, e impatti principali quali il traffico navale ed i rifiuti marini: attraverso un protocollo condiviso, questo metodo fornisce dati standardizzati in diverse regioni marine del Mar Mediterraneo, insieme a informazioni sulle distribuzioni di cetacei su scala di bacino. Un primo tentativo di stimare la quantità, la composizione e la distribuzione di rifiuti marini galleggianti in diverse aree del bacino del Mediterraneo ha fornito spunti interessanti sulla variabilità distributiva stagionale e regionale (Arcangeli et al., 2018).

4.1.4 Rifiuti marini e cetacei

I rifiuti marini, come si diceva in precedenza, hanno importanti conseguenze ecologiche (Barnes et al., 2009; Derraik, 2002; Deudero and Alomar, 2015; Gregory, 2009) e i rischi maggiori per il biota si verificano quando i rifiuti marini galleggiano all’interno della colonna d’acqua. Questo può portare ad

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Mar Mediterraneo, in particolare, sono state segnalate interazioni con i rifiuti per molte specie di cetacei di entrambi gli habitat, di mare aperto e costieri (De Stephanis et al., 2013; Deudero and Alomar, 2015; Fossi et al., 2014; Gomerčić et al., 2006; Mazzariol et al., 2011), ma i tassi effettivi di questi eventi sono difficili da stimare direttamente in mare (Baulch and Perry 2014; Poeta et al., 2017; Simmonds, 2012).

Uno studio recente (Campana et al., 2017) ha evidenziato come la sovrapposizione tra i cetacei e le aree di accumulo di macroplastica sia generalmente elevata e abbia mostrato un pattern simile in base all'andamento stagionale delle quantità di rifiuti marini: durante l'autunno e l'inverno, la bassa quantità di plastica galleggiante ha suggerito un rischio ridotto di interazioni. Durante la primavera e l'estate, invece, è stata riscontrata una sovrapposizione elevata, a suggerire l'influenza di fattori comuni alla base della distribuzione della plastica e delle concentrazioni di cetacei. In generale, la primavera e l'estate hanno mostrato aree più ampie di accumulo plastico e sovrapposizioni più elevate con i cetacei nelle acque di mare aperto.

Le aree più sensibili del Mar Mediterraneo sono state identificate nel settore delle Baleari, dove sono stati identificati gli hotspot per tutti i gruppi (Arcangeli et al., 2018). Secondo Coll et al. (2012), questo bacino è sottoposto a pesanti stress di natura antropica, soprattutto a causa del fatto che le industrie ittiche presenti sversano un’elevata quantità di rifiuti in mare. Anche lo Stretto di Bonifacio ha mostrato alti livelli di inquinamento ma contemporanea presenza di cetacei in primavera e in estate. Questo è coerente con gli aumentati input da terra (porti, traffico marittimo) nelle aree costiere durante la stagione turistica e potrebbe essere particolarmente dannoso data la presenza stabile di delfini nell'area (Pennino et al., 2016).

Il Mar di Sardegna viene utilizzato dalle specie di cetacei come area di transito e di alimentazione, specialmente durante la primavera e l'estate (Arcangeli et al., 2017). In effetti, la principale sovrapposizione con la plastica è stata ottenuta in queste stagioni per tutte le specie. Al contrario, nel Mar Tirreno centrale sono state trovate aree più piccole di sovrapposizione durante la primavera e l'estate, sebbene interessanti, data la presenza rilevante dello zifio (Ziphius cavirostris, Arcangeli et al., 2016, 2017) e della balenottera comune (Balaenoptera physalus, Arcangeli et al., 2014b).

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4.2 Il traffico navale

Il Mar Mediterraneo copre una piccola porzione della superficie oceanica globale, ma ospita alti livelli di biodiversità che sono minacciati da intense pressioni antropiche (Abdulla and Linden, 2008; Coll et al., 2012; Halpern et al., 2008). Le rotte navali che attraversano il bacino rappresentano il 30% di tutto il trasporto marittimo internazionale con quasi l'80% dei porti situati nella regione del Mediterraneo occidentale e centrale (Dobler, 2002; LMIU, 2008; Vaes e Druon, 2013). La maggior parte del traffico navale è caratterizzata dalla presenza regolare di navi cargo, navi cisterna e navi mercantili, che sono anche incentivate dal programma UE "Motorways of the Sea", in alternativa al trasporto terrestre (EC, 2004). Queste navi mantengono rotte piuttosto regolari e velocità costanti durante tutto l'anno (David, 2002; Leaper and Panigada, 2010; Vaes and Druon, 2013). L'intensità del traffico aumenta nella stagione estiva in alcune aree con l'aggiunta di traghetti passeggeri, navi da crociera e imbarcazioni private che rappresentano quindi importanti elementi stagionali del traffico (David, 2002; David et al., 2011; Notarbartolo di Sciara et al., 2008; Vaes e Druon, 2013).

Per descrivere i modelli generali del traffico marittimo su vaste aree geografiche, molti studi si basano sul sistema di identificazione automatica (AIS, IMO, 2003), che fornisce i dati di posizionamento della nave, le informazioni relative alla rotta e consente il calcolo del numero di navi o chilometri percorsi attraverso una griglia (Coomber et al., 2016; Eiden and Martinsen, 2010; Eriksen et al., 2006; Høye et al., 2008; Natale et al., 2015). Ciononostante, in questo sistema sono stati riconosciuti alcuni limiti, come il raggio di trasmissione limitato, la saturazione dei ricevitori in aree ad alta densità di navigazione (Leaper and Panigada, 2011) e l'impossibilità di rilevare piccole imbarcazioni (Erbe et al., 2014), poiché il sistema è obbligatorio per i pescherecci europei di lunghezza superiore ai 15 m solo da maggio 2014 (EC, 2009).

4.2.1 I traffici principali del Santuario “Pelagos”

Nonostante la sua ridotta capienza, il Mar Mediterraneo ospita un elevatissimo numero di imbarcazioni che percorrono molte linee, visto che si tratta di uno dei bacini più trafficati al mondo. In studi precedenti si è cercato di stimare la quantità di navi che transitano ogni giorno all’interno del Santuario Pelagos e sono emersi numeri importanti: durante circa un anno e mezzo di osservazioni (maggio 2013 - ottobre 2014) il 41,8% del traffico è risultato essere costituito da navi cargo, il 31,8% da navi private e ben il 62,9% da navi mercantili. Inoltre per la stragrande maggioranza di navi è stato possibile identificare il Paese di origine, grazie alla bandiera esposta; il totale dei paesi di provenienza di queste navi era 90. I 5 Paesi con più navi sono stati, in ordine: Italia, Isole Cayman, Malta, Regno Unito e Panama. Ciò indica che la maggioranza (74%) delle navi presenti era rappresentata da Paesi al di fuori degli Stati confinanti con il Mediterraneo (Coomber et al., 2016).

Confrontando il numero di transiti per ogni tipologia di imbarcazione, si è scoperto che questo variava molto: ad esempio per quanto riguarda le navi cargo, queste hanno avuto in media un basso numero di transiti (12). Lo stesso si può dire per le petroliere (17) e per le imbarcazioni private (6), mentre per le navi passeggeri, per le navi di servizio e per i pescherecci c’è stato un numero molto maggiore di transiti per ciascuna nave (una media di 92, 79 e 64 rispettivamente).

Inoltre è emerso che la proporzione complessiva delle linee commerciali è circa il 70% di tutte le linee e l'85% dei chilometri totali (Coomber et al., 2016).

Un altro aspetto importante riguarda la distribuzione spaziale delle rotte seguite da queste tipologie di navi. Dai dati ottenuti è infatti emerso che la distribuzione spaziale del traffico marittimo non era uniforme. La distribuzione spaziale della densità di trasporto è risultata infatti essere dipendente dal tipo di nave, con diversi tipi di navi localizzate in aree specifiche o con rotte che si focalizzavano in diversi corridoi. Nonostante le loro somiglianze, vi erano corridoi distinti utilizzati dalle navi passeggeri e non dalle navi cargo: ad esempio, le navi passeggeri avevano un corridoio ad alta densità tra Genova e Porto Torres (nord-ovest della Sardegna). È stato anche trovato un corridoio utilizzato esclusivamente da navi private che viaggiano tra Portofino e i porti del Mediterraneo occidentale. La distribuzione

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spaziale delle rotte di navi che trasportavano merci pericolose non ha mostrato alcuna distribuzione spaziale (Coomber et al., 2016).

Anche la distribuzione spaziale delle velocità dipendeva dalla tipologia di imbarcazione: le navi passeggeri si sono dimostrate le più veloci; le navi mercantili e le navi cargo hanno mostrato invece velocità più basse vicino alla costa e vicino ai porti (Coomber et al., 2016). Da questo studio appare dunque chiaro come le acque del santuario “Pelagos” siano caratterizzate costantemente da un intenso traffico marittimo e da un’alta varietà di imbarcazioni. Questo non può che avere ripercussioni negative sulla biodiversità presente in quest’area.

4.2.2 Gli effetti del traffico navale sui cetacei

Il traffico marittimo è una delle principali minacce per l'ambiente marino, in quanto è responsabile del rumore sottomarino, dell'inquinamento, del trasferimento di specie aliene e del disturbo nei confronti della fauna marina (Abdulla and Linden, 2008; Coll et al., 2012; David, 2002; Halpern et al., 2008; Notarbartolo di Sciara and Birkun, 2010). Sia la valutazione dello stato di conservazione dell'IUCN (IUCN, 2015) che la relazione sulla direttiva Habitat dell'UE (articolo 17, EC, 2015) hanno mostrato in che modo il traffico marittimo può influenzare i cetacei con effetti e livelli di rischio diversi a seconda delle specie, delle aree e stagioni (David, 2002; Pennino et al., 2016).

Diversi studi hanno esaminato le interazioni tra cetacei e imbarcazioni, con l'obiettivo di quantificare l'esposizione al disturbo sovrapponendo dati sulla distribuzione degli animali con l’intensità del traffico su un'ampia scala geografica o temporale (Priyadarshana et al., 2016; Vanderlaan e Taggart, 2007; Williams and O'Hara, 2010), o utilizzando osservazioni visive in aree di studio localizzate in specifiche situazioni di traffico (Bejder et al., 2006; Christiansen et al., 2015; Papale et al., 2011; Pirotta et al., 2015; Williams et al., 2006). I cambiamenti del traffico marittimo in termini di densità e composizione durante l'anno (Coomber et al., 2016; David, 2002; Vaes and Druon, 2013) e i movimenti stagionali dei cetacei nel bacino del Mediterraneo sono stati descritti da diversi studi (Arcangeli et al., 2014b, 2016; Gannier, 2002; Laran and Gannier, 2008; Monestiez et al., 2006; Panigada et al., 2011); quindi, anche l'effetto relativo del traffico sulle specie potrebbe essere variabile durante tutto l'anno. Tuttavia, gli studi sulla sovrapposizione tra i cetacei e le attività umane sono spesso limitati nel tempo e limitati alle regioni locali e costiere dove le interazioni sono particolarmente visibili (David, 2002; Pirotta et al., 2015; Rako et al., 2013).

Dal 2008, la Fixed Line Transect Mediterranean Monitoring Network (FLT MED NET) ha condotto indagini sistematiche lungo le principali rotte marittime nel Mediterraneo per monitorare le popolazioni di cetacei e il loro rapporto con fattori ambientali e antropogenici attraverso osservazioni dirette (Arcangeli et al., 2014a). Dai dati estivi ottenuti tramite questa rete emerge che tutte le specie di cetacei sono state osservate in aree con basso numero di navi, eccetto alcuni casi in cui questi animali venivano avvistati anche in zone ad alto traffico, probabilmente a causa del fatto che erano guidati da importanti necessità ecologiche che superavano il disagio provocato dalle navi (Campana et al., 2015a).

Le condizioni di traffico marittimo non sono le stesse durante l’anno, ma cambiano a seconda delle stagioni: in generale si osserva un aumento del traffico in estate e una progressiva riduzione andando verso i mesi invernali. Uno studio condotto nel Mediterraneo occidentale da Campana et al. (2015b), evidenzia come il maggior traffico sia stato osservato soprattutto nelle aree costiere dove il numero massimo di navi contate in una singola traversata era 48 unità sulla linea Livorno-Bastia durante l’estate e infatti emergevano sempre differenze significative tra mesi estivi ed invernali.

Per quanto riguarda invece la relazione tra traffico navale e presenza dei cetacei si è visto che, generalmente, il numero di navi registrate nei luoghi di avvistamento di cetacei era sempre significativamente inferiore al numero di navi registrate in assenza di avvistamenti, e questo era anche verificato considerando le singole categorie di navi. Lo stesso risultato è stato ottenuto durante la primavera, mentre durante l'inverno non sono state rilevate differenze significative per le categorie di navi. Durante l'autunno, un numero significativamente più basso di imbarcazioni a vela e a motore è stato registrato in presenza di cetacei.

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Questa regola vale anche per le acque di mare aperto: durante l’estate è stato rilevato un traffico inferiore in presenza di avvistamenti e lo stesso vale per la stagione primaverile. Al contrario, durante il periodo invernale il traffico navale non era diverso per la presenza e l'assenza di avvistamenti di cetacei. Durante l'autunno, significative differenze negative sono state registrate solo per le imbarcazioni a motore.

Nelle zone costiere non sono state registrate differenze significative durante l'estate e la primavera, ad eccezione della linea Livorno-Bastia, dove il numero di imbarcazioni a motore era inferiore del 9% in luoghi con presenza di cetacei.

Per comprendere gli effetti del traffico navale sul comportamento e sulla distribuzione dei cetacei sono state prese in considerazione alcune specie: la balenottera comune (Balaenoptera physalus), la stenella (Stenella coeruleoalba, caratteristica delle zone di mare aperto) e il tursiope (Tursiops truncatus), tipico delle acque continentali ma occasionalmente osservato in alto mare. Si è scoperto che il numero totale di navi in presenza di balenottere comuni e stenelle era sempre inferiore rispetto all'assenza di avvistamenti, ed era significativo per le stenelle in tutte le stagioni tranne in autunno (-22%, non statisticamente significativo). Differenze maggiori sono state riportate durante l'estate e la primavera e sono diminuite durante l'autunno e l'inverno per entrambe le specie. Per il tursiope, i risultati erano disponibili solo per l'estate e la primavera e sono stati riportati per la regione del mare aperto e le sottoaree totali; in tutti i casi, gli avvistamenti si sono verificati in condizioni di traffico simili a quelle casuali (Campana et al., 2015b).

Con questo metodo è possibile analizzare le relazioni tra il traffico totale e la presenza di cetacei in aree e stagioni scarsamente investigate.

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5. Contesto legislativo e progetto FLT

Dagli anni ’70 del Novecento, probabilmente a causa di una maggiore attenzione all’ambiente e del tentativo di ridurre l’impatto antropico sulle specie animali e vegetali, sono state varate diverse leggi e normative in molti Paesi.

5.1 Normative nazionali ed internazionali

La prima normativa internazionale riguardante la salvaguardia delle specie animali è stata la CITES, sottoscritta dall’Italia nel 1975, che ha come scopo quello di regolamentare il traffico internazionale di specie minacciate, sia animali che vegetali, oltre che lo sfruttamento delle specie in modo che sia ecosostenibile e conta più di 30000 specie, fra piante ed animali. Riguarda non solo le specie vive, ma anche esemplari morti, parti (come l’avorio e la pelle) o prodotti derivati (come i medicinali ricavati da animali o piante).

Nel 1983 è stato poi siglato un trattato intergovernativo denominato CMS (Convenzione delle Specie Migratrici appartenenti alla fauna selvatica) che aveva come obiettivo la conservazione delle specie migratrici terrestri, acquatiche ed aeree, con particolare riguardo a quelle a rischio di estinzione e in cattivo stato di conservazione.

Il traguardo successivo si è raggiunto però nel 1992, con la Direttiva “Habitat”, 92/43/CEE, che ha lo scopo di salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatica in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea in cui si è applicato il trattato. Per raggiungere questo scopo, la Direttiva stabilisce misure volte ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati.

Lo strumento utilizzato dalla Direttiva è la rete ecologica Natura 2000, in cui vengono elencati i siti mirati alla conservazione di habitat e le specie elencate negli allegati. Nella Direttiva vengono stabilite le norme per la gestione dei siti Natura 2000 e la valutazione d'incidenza, il finanziamento, il monitoraggio e l'elaborazione di rapporti nazionali sull'attuazione delle disposizioni della Direttiva stessa, e il rilascio di eventuali deroghe. Riconosce inoltre l'importanza degli elementi del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione ecologica per la flora e la fauna selvatiche. Il recepimento della Direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il Regolamento D.P.R. dell’8 settembre 1997 n. 357 modificato ed integrato dal D.P.R. 120 del 12 marzo 2003.

Nel 1995 la Convenzione di Barcellona, ratificata nel 1979, viene rinominata “Convenzione per la protezione dell’ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo” ed estende il proprio ambito di applicazione geografica comprendendo le acque marine interne del Mediterraneo e le aree costiere. Essa mantiene la sua natura di quadro programmatico di riferimento, che deve essere attuato mediante specifici protocolli.

5.1.1 Le normative esistenti per i cetacei

Per quanto riguarda le normative relative ai cetacei, è importante ricordare l’Accordo ACCOBAMAS, un accordo per la conservazione dei cetacei nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nelle aree atlantiche contigue, risalente al 1996. Questo accordo prevede un impegno a livello normativo, socio-economico e scientifico per l’eliminazione o la riduzione al minimo degli effetti delle attività antropiche sulla sopravvivenza dei cetacei in questi mari.

Impossibile poi non menzionare la Marine Strategy Framework Directive, istituita nel 2008 con lo scopo di raggiungere un buono stato ecologico delle acque di tutta l’Europa entro il 2020. Si tratta di uno strumento legislativo comunitario che ha come scopo quello di difendere la biodiversità marina, incentivando un approccio il più possibile ecologico degli impatti antropici sul mare.

Infine particolarmente rilevante è l’International Whaling Commission (IWC), che si propone di regolamentare la caccia alle balene. Venne istituita nel 1946 e ha sempre subito modifiche per rendere più restrittive le norme che regolano la caccia a questi animali.

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5.1.2 Il progetto FLT

La prima azione che si deve effettuare per poter salvaguardare i cetacei nel Mediterraneo e quindi rispettare tutte le normative precedentemente citate è quella di valutare il loro status per poter poi pianificare misure di conservazione valide e attuare piani di monitoraggio per verificare la loro efficacia nel tempo.

Una delle caratteristiche che devono avere questi programmi di monitoraggio è quella di essere relativamente economici, oltre che essere ripetibili nel tempo, in modo da avere numerosi set di dati che possono poi essere confrontati tra loro.

Bisogna poi tenere conto delle distorsioni dovute al metodo che si applica (come, in questo caso, variazioni nell’esperienza degli osservatori, strumentazioni usate o cambiamenti dell’area analizzata). Esistono numerosi studi riguardanti i cetacei nel Mediterraneo, ma sono difficili da utilizzare per attuare misure di conservazione a causa del fatto che manca un’uniformità tra i metodi utilizzati, caratteristica indispensabile per assicurare la ripetibilità nel tempo di cui si parlava in precedenza.

Il monitoraggio effettuato a bordo di traghetti che viaggiano su rotte fisse permette di fornire informazioni sui cambiamenti dello status delle popolazioni dei cetacei attraverso indici di abbondanza, in modo di formulare corrette misure di conservazione.

Più nello specifico, i punti forti di questo progetto sono i seguenti:

• rende possibile uno sforzo di indagine su ampia scala spaziale e temporale a costi economici; • consente di monitorare in maniera costante aree di alto mare difficilmente raggiungibili coi normali

mezzi di ricerca;

• aumenta la precisione delle stime annuali di abbondanza grazie ai campionamenti fatti su scala mensile;

• aumenta il potere statistico grazie alla possibilità di analizzare trend a lungo termine;

• riduce gli errori dovuti all’eterogeneità spaziale attraverso campionamenti ripetitivi dello stesso transetto e, visto che le variabili fisiografiche sono fisse, permette l’indagine delle relazioni tra la presenza dei cetacei e le variabili temporali, ambientali e antropogeniche;

• consente la raccolta di variabili oceanografiche e antropogeniche (traffico marittimo) così come di dati su altre tipologie di animali, come tartarughe e uccelli marini;

• aumenta la probabilità di avvistare specie o eventi rari;

• fornisce indicazioni su aree o stagioni caratteristiche di aggregazione per particolari specie; • favorisce la comunicazione con il pubblico, coinvolgendolo nelle attività di ricerca;

• utilizza protocolli standard semplici e di facile applicazione anche in aree diverse; • promuove la collaborazione tra i vari enti di ricerca.

5.1.3 Il metodo FLT

Il metodo FLT (Fixed Line Transect) utilizza i traghetti commerciali come piattaforma di ricerca ed è usato nel Mar Mediterraneo dal 1989. Deriva dal progetto FLT MED, a sua volta seguito del lavoro svolto dal Dottor Luca Marini (Università La Sapienza di Roma) e collaboratori tra il 1989 ed il 1992, che hanno effettuato un monitoraggio di cetacei a bordo appunto di traghetti di linea nella tratta Civitavecchia - Golfo Aranci.

Nel 2007 questo metodo è stato riproposto dalla Dottoressa Antonella Arcangeli (ISPRA) nella medesima area di studio, in modo da verificare la metodologia di ricerca al fine di rispondere alle esigenze di analisi e monitoraggio delle popolazioni di cetacei nel Mar Mediterraneo (Arcangeli, 2010).

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Con il passare degli anni questa rete di monitoraggio su rotte fisse (chiamate transetti di campionamento) si è ampliata, comprendendo non solo nuove tratte, ma anche il monitoraggio di altri animali, come uccelli marini, tartarughe, meduse, ecc.

Immagine 5.1: Network del progetto FLT nel Mar Mediterraneo

In contemporanea a questo tipo di attività, ce ne sono altre, relative all’osservazione del traffico marittimo, dei rifiuti marini e di come questi possano influire sulla biodiversità marina.

Ogni monitoraggio ha uno specifico protocollo da seguire, consultabile nei documenti ISPRA “Fixed Line Transect using ferries as platform of observation monitoring protocol” (ISPRA, 2013) e “Protocol monitoring by vessel of floating marine macro litter along fixed transect width” (ISPRA, 2013), che trattano rispettivamente le regole per il monitoraggio di cetacei, grandi pelagici e traffico navale e quelle per i rifiuti galleggianti.

5.1.4 Le caratteristiche del protocollo

Il monitoraggio di cetacei, imbarcazioni e rifiuti marini avviene dunque su transetti fissi da parte di osservatori esperti che annotano anche altri variabili, come le condizioni meteo.

In generale, per avere dati distribuiti in maniera uniforme, si è scelto di effettuare dalle due alle tre uscite mensili per le due tratte; la Livorno-Bastia è attiva tutto l’anno, mentre la Livorno-Golfo Aranci è solo estiva.

Il singolo transetto rappresenta una singola unità statistica e vengono investigate tutte le possibili fonti di distorsione dovute alla piattaforma di osservazione, alla velocità, alle condizioni meteorologiche ed all’esperienza degli osservatori, dopodiché vengono fatte le opportune correzioni:

• gradiente di densità: i transetti sono perpendicolari a qualsiasi gradiente di densità nella maggior parte delle tratte;

• condizioni meteorologiche: cambiano a seconda dello stato del mare, e si considerano ottimali solo quando si ha un mare di forza ≤ 3 della scala Beafourt;

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• velocità e tipo di traghetto: non sono stati riscontrati cambiamenti nel tasso d’avvistamento

all’interno del range di velocità considerato (17-27 kn) e del tipo di traghetto;

• esperienza degli osservatori: vengono impiegati solo osservatori adeguatamente addestrati, in quanto è stata riscontrata una differenza del 50% nel tasso d’avvistamento tra osservatori esperti e non;

• distanza: la probabilità di avvistamento cambia con la distanza a seconda della specie, ma è costante nel tempo e nello spazio;

• distanza stimata: gli osservatori vengono addestrati per stimare la distanza dell’animale osservato utilizzando un punto fisso a una distanza nota;

• identificazione della specie: può cambiare con l’esperienza dell’osservatore. Solo quelli esperti e l’utilizzo delle foto possono confermare l’identificazione;

• risposta dell’animale: limitata dal range di velocità della nave e dall’angolo di osservazione.

5.2 Il quadro normativo sui rifiuti marini

A livello europeo esistono due strumenti legislativi riguardanti la gestione e la prevenzione delle problematiche derivanti dall’inquinamento marino, la Marpol 73/78 e la Marine Strategy.

5.2.1 La Marpol 73/78

(MARitime POLlution) Convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento causato da

navi è un accordo internazionale che ha lo scopo di prevenire l’inquinamento del mare, in cui

convergono due trattati internazionali degli anni Settanta: il Protocollo 1973, che andava ad inglobare la normativa precedente denominata OILPOL 1954, e la Conferenza TSPP 1978 (Tanker Safety

Pollution Prevention), tenutasi a seguito di gravi disastri ambientali che hanno coinvolto petroliere negli

anni tra il 1975-78. Si tratta di una delle più importanti convenzioni ambientali internazionali, nata con l’obiettivo di ridurre al minimo l’inquinamento del mare derivante dai rifiuti marittimi, idrocarburi e gas di scarico. All’interno di questa convenzione vengono individuate delle aree speciali, ovvero aree di mare che per ragioni ecologiche, oceanografiche o relative al traffico navale, necessitano di particolari protocolli per la prevenzione dell’inquinamento da nave, tra cui il Mar Mediterraneo. Il trattato consta di 6 annessi, dei quali solo i primi due sono obbligatori:

• Annesso I: Norme per prevenire l’inquinamento da oli minerali.

• Annesso II: Norme per prevenire l’inquinamento da sostanze liquide pericolose. • Annesso III: Norme per prevenire l’inquinamento da sostanze pericolose in colli. • Annesso IV: Norme per prevenire l’inquinamento da scarichi fognari.

• Annesso V: Norme per prevenire l’inquinamento da rifiuti solidi. • Annesso VI: Norme per prevenire l’inquinamento dell’aria.

L’Annesso V, che racchiude le norme per la prevenzione dell’inquinamento da rifiuti solidi, è entrato in vigore il 31 dicembre 1988, con carattere opzionale.

Esso riconosce ai rifiuti solidi potenziale letalità per la vita marina analogamente agli oli ed ai prodotti chimici. Definisce i materiali plastici come quelli maggiormente pericolosi, per la capacità di galleggiamento che perdura anche anni e per la possibilità che vengano scambiati dai pesci e mammiferi marini come fonte di cibo.

L’Annesso V prevede, inoltre, la totale proibizione dello scarico della plastica ovunque in mare e severe restrizioni per lo scarico in mare degli altri rifiuti solidi nelle zone costiere e nelle Aree Speciali. Inoltre è fatto obbligo agli Stati di attrezzarsi con strutture per la ricezione dei rifiuti solidi provenienti dalle

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la quantità stimata di materiale incenerito o sbarcato deve essere riportata nel suddetto registro. Ogni imbarcazione deve avvisare equipaggio e passeggeri sulle disposizioni relative ai rifiuti.

5.2.3 La Marine Strategy

Dopo che nel 2008 è stata emanata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea la Direttiva quadro 2008/56/CE, nasce la Marine Strategy, dalla oramai inconfutabile consapevolezza che le pressioni antropiche sugli ecosistemi marini hanno impatti non trascurabili; essa si propone di tutelare l’ambiente marino e di ripristinare il buono stato di salute ove possibile.

L’obiettivo di questa direttiva è infatti il raggiungimento del GES “Good Environmental Status” delle acque marine comunitarie entro il 2020. Per buono stato ambientale delle acque marine si intende la capacità di preservare la diversità ecologica e la produttività, mantenendo l’utilizzo dell’ambiente marino entro i livelli di sostenibilità affinché venga salvaguardato il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future.

A tale scopo la Marine Strategy individua 11 descrittori che definiscono il buono stato ambientale una volta raggiunto:

• Descrittore 1: la biodiversità è mantenuta. La qualità e la presenza di habitat nonché la distribuzione e l’abbondanza delle specie sono in linea con le prevalenti condizioni fisiografiche, geografiche e climatiche;

• Descrittore 2: le specie non indigene introdotte dalle attività umane restano a livelli che non alterano negativamente gli ecosistemi;

• Descrittore 3: le popolazioni di tutti i pesci, molluschi e crostacei sfruttati ai fini commerciali restano entro limiti biologicamente sicuri, presentano una ripartizione della popolazione per età e dimensioni indicativa della buona salute dello stock;

• Descrittore 4: tutti gli elementi della rete trofica marina, nella misura in cui siano noti, sono presenti con normale abbondanza e diversità e con livelli in grado di assicurare l’abbondanza a lungo termine delle specie e la conservazione della loro piena capacità riproduttiva;

• Descrittore 5: è ridotta al minimo l’eutrofizzazione di origine marina, in particolare i suoi effetti negativi, come perdita di biodiversità, degrado dell’ecosistema, fioriture algali nocive e carenza di ossigeno nelle acque di fondo;

• Descrittore 6: l’integrità del fondo marino è ad un livello tale da garantire che la struttura e le funzioni degli ecosistemi siano salvaguardate e gli ecosistemi bentonici, in particolare, non abbiano subito effetti negativi;

• Descrittore 7: la modifica permanente delle condizioni idrografiche non influisce negativamente sugli ecosistemi marini;

• Descrittore 8: le concentrazioni dei contaminanti presentano livelli che non danno origine ad effetti inquinanti;

• Descrittore 9: i contaminanti presenti nei pesci e in altri prodotti della pesca in mare destinati al consumo umano non eccedono i livelli stabiliti dalla legislazione comunitaria o da altre norme pertinenti;

• Descrittore 10: la proprietà e le quantità di rifiuti marini non provocano danni all’ambiente

costiero e marino;

• Descrittore 11: le introduzioni di energie, comprese le fonti sonore sottomarine, è a livelli che non hanno effetti negativi sull’ambiente marino.

5.2.4 Il Descrittore 10

Particolare rilevanza spetta al descrittore 10. In tal senso, la problematica relativa alla presenza di rifiuti solidi in mare è emersa a partire dall’ultimo decennio. Tralasciando gli aspetti negativi estetici, come

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il depauperamento visivo del paesaggio, le ultime ricerche mettono in risalto come i veri problemi siano a livello dell’ecosistema marino in cui c’è un effetto fisico sugli organismi (definito “entanglement”), ma anche in conseguenza di composti chimici contenuti soprattutto nei materiali plastici (come gli ftalati) oppure trasportati e concentrati in essi (come il PCB). Questi fatti hanno dunque portato la Commissione Europea a dare ai rifiuti solidi l’importanza di un Descrittore nell’ambito della Strategia Marina. Gli indicatori possibili relativi al Descrittore 10, sono riepilogati nel seguito:

• 10.1. Caratteristiche dei rifiuti nell’ambiente marino e costiero: tendenze nella quantità di rifiuti gettati in mare e/o depositati sui litorali, compresa l’analisi della loro composizione, la distribuzione spaziale e, se possibile, la loro provenienza (10.1.1). Tendenze nella quantità di rifiuti nella colonna d’acqua (inclusi quelli galleggianti in superficie) e depositati sul fondo, compresa l’analisi della loro composizione, la distribuzione spaziale e, se possibile, la loro provenienza (10.1.2). Tendenze nella quantità, nella distribuzione e, se possibile, nella composizione di microparticelle, in particolare microplastiche (10.1.3);

• 10.2. Impatti dei rifiuti sulla vita marina: tendenze nella quantità e nella composizione dei rifiuti ingeriti dagli animali marini (ad esempio tramite analisi stomacali) (10.2.1).

I traguardi ambientali prefissati dovrebbero essere rapportabili a situazioni ambientali incontaminate, dove si ha la completa assenza di rifiuti di origine antropica. Questo obiettivo è chiaramente irraggiungibile entro il 2020, quindi nella Marine Strategy, il GES viene definito come la quantità di rifiuti che non provoca danni alle singole specie ed agli ecosistemi in generale, inoltre non crea perdite economiche delle attività umane dovute al degrado ambientale (ISPRA, 2013).

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6. Scopo dello studio

Il presente studio ha un duplice scopo: in primo luogo vuole continuare l’attività di monitoraggio iniziata fin dal 2008 per quanto riguarda i cetacei e dal 2012 per quanto riguarda rifiuti marini e traffico navale; in secondo luogo vuole analizzare l’influenza dei fattori di rischio nello specifico dell’area dell’Arcipelago toscano e stabilire attraverso degli indici di rischio le aree e le stagioni più sensibili. In ultima analisi, lo studio intende sperimentare nell’ambito dell’area di studio una metodologia di analisi di rischio che tenga conto dei due principali fattori di disturbo per i cetacei.

Per questo elaborato sono stati raccolti dati durante il biennio 2017-2018 su due tratte specifiche: Livorno-Bastia (attiva tutto l’anno) e Livorno-Golfo Aranci (attiva solamente durante la stagione estiva) a bordo di traghetti di linea della compagnia “Corsica Ferries”.

Nella prima parte di questo studio sono stati analizzati tutti i dati relativi al monitoraggio di cetacei, rifiuti marini e traffico navale, confrontando la variazione stagionale e annuale della presenza delle specie presenti, analizzando la composizione e l’abbondanza dei rifiuti marini e del traffico navale. Inoltre si è voluto verificare se la presenza di traffico navale possa influenzare l’abbondanza di cetacei. Infine, per rendere completa l’attività di monitoraggio, i dati ottenuti sono stati confrontati con gli studi precedenti, per verificare eventuali variazioni nel corso degli anni.

La seconda parte riguarda invece un’analisi di tipo spaziale, resa possibile dall’utilizzo dei softwares di georeferenziazione QGIS e ArcGIS. In questo modo è stato possibile valutare la distribuzione e l’abbondanza dei cetacei avvistati, dei rifiuti marini e del traffico navale, mettendo dunque in evidenza le aree a maggiore concentrazione per questi fattori.

In ultima analisi, questo studio ha voluto produrre un indice di rischio in modo da racchiudere le due principali minacce di natura antropica per questi animali (traffico navale e rifiuti marini appunto), identificando le aree e le stagioni a maggiore rischio.

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7. Materiali e metodi

7.0.1 Le tratte utilizzate nello studio - la tratta Livorno–Bastia

La zona di mare in cui viene effettuata la prima tratta di questo studio comprende acque italiane e corse e si trova all’interno del Santuario “Pelagos”, nonché del Parco Nazionale dell’Arcipelago toscano. Si tratta di una delle prime traversate del progetto FLT. Lunga circa 73 NM (miglia nautiche), è attiva fin dal 2008 e viene monitorata durante tutto l’anno solare. In base alle caratteristiche batimetriche e oceanografiche può essere suddivisa in 4 sottoregioni:

1. zona della piattaforma toscana: è caratterizzata da bassi fondali, tipici della piattaforma continentale tirrenica. Ha una batimetria compresa tra 50 e 100 metri;

2. zona tra le isole Gorgona e Capraia: si tratta di una zona con una batimetria consistente che può arrivare ad oltre 200 metri;

3. zona di Capraia: caratterizzata da fondali piuttosto bassi, la cui profondità massima è di 115 metri;

4. canale fra Capraia e la Corsica: è situata per lo più al di fuori della piattaforma continentale in cui la profondità massima è di oltre 470 metri.

Immagine 7.1: La tratta Livorno-Bastia, in cui si evidenziano le due varianti possibili

Il transetto parte dunque appena fuori dal porto di Livorno, supera a Sud l’Area Marina Protetta delle Secche della Meloria e l’isola di Gorgona, dopodiché costeggia a Nord o a Sud (a seconda della discrezione del comandante) l’isola di Capraia e raggiunge il porto di Bastia, in Corsica attraverso il Canale di Corsica.

Riferimenti

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