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Competenze, innovazioni e sviluppo locale

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Academic year: 2021

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(1)Paola Mengoli* e Margherita Russo**. Competenze innovazione e sviluppo locale1. 28 Febbraio 2000. Materiale di discussione n. 297. * Provveditorato agli Studi di Modena, e-mail: paolamengoli@tin.it. ** Dipartimento di Economia Politica, Università di Modena e Reggio Emilia, e-mail: mrusso@unimo.it. 1.

(2) 2.

(3) 1. Prologo Primo gennaio del 1975. Dopo quasi novanta anni di attività nel campo della produzione meccanica, la Hylten, una piccola impresa dello Smaland nella Svezia meridionale, cessa la sua attività di produzione di pezzi meccanici. Da allora è diventata un luogo in cui si condensa la memoria di una tradizione di competenze nelle lavorazioni meccaniche: ben oleate – e logore quanto basta per apprezzarle come oggetti usati davvero – le macchine entrano in funzione cercando di far rivivere con tutti i sensi l’esperienza di una attività che richiedeva abilità e creatività. Oggi il piano di sviluppo dello Smaland valorizza quella tradizione come elemento di punta dei fattori locali rilevanti per la concorrenza globale in settori dell’elettronica e delle telecomunicazioni che non sono tecnologicamente connessi alla lavorazione dei metalli, ma che ambiscono ad avere – come era avvenuto nel caso della Hylten – competenze radicate nella comunità che vive e lavora nel territorio dello Smaland. Estate del 1946. Prima di tornare nel loro paese, le forze armate americane avevano lasciato in Italia gran parte dei mezzi impiegati negli anni di guerra: armi, mezzi di trasporto, ma anche macchinari. Traccia di tutto questo si trova nelle liste di aiuti ERP che consentono di documentare alcune tappe importanti della ripresa economica del nostro paese. Alcuni pezzi di quei lasciti sono rimasti a lungo anche nelle scuole. Basti pensare al piccolo tornio manuale che seguiva le armate americane per eseguire ogni tipo di lavorazione meccanica: fu proprio la sua grande versatilità a conferirgli un particolare valore come strumento didattico. Per decenni fu utilizzato dagli allievi dell’Istituto Corni di Modena; ben ingrassato e lucidato faceva bella mostra di sé nelle officine del Corni: documento storico di inestimabile valore, se si pensa al contributo che negli anni ha offerto per l’apprendimento delle tecniche di tornitura, una delle lavorazioni meccaniche che hanno consentito alle imprese della provincia di Modena di dominare segmenti importanti della domanda di prodotti meccanici in Italia e all’estero. Altri gioielli simili a quel tornio si possono ammirare ancora oggi facendo visita a qualche impresa meccanica che li ha collocati al centro dei nuovi capannoni. Se entrate nella “Righi Viliam srl”, oltre la moderna facciata – che intende innovare anche nello stile dei capannoni il mondo della produzione meccanica – trovate le più moderne macchine a controllo numerico usate da uno dei fornitori di punta della New Holland e – proprio in posizione centrale – c’è il tornio con cui il giovane Viliam aveva imparato il suo lavoro negli anni Cinquanta in un’impresa meccanica della provincia di Modena. Quando l’attività che aveva avviato in proprio era ormai affermata, da quell’impresa lui ha comprato quel tornio: non solo per il suo valore affettivo, ma perché era una importante testimonianza dei percorsi di apprendimento e del cambiamento che macchine come quella avevano reso possibili e attorno a cui si è prodotta gran parte della ricchezza economica e sociale di questa area. 3.

(4) Estate del 1999. L’atrio della scuola ha un’aria insolita: c’è un grande via vai di facchini che spostano macchinari e smontano attrezzature; in un angolo si vedono i secchi della tempera, rulli e pennelli, e in fondo sono accumulati i pacchi delle nuove scrivanie, dei computer, delle canalizzazioni per i cavi elettrici. La scuola fa spazio alle nuove attrezzature della didattica e anche nell’officina si rinnova il parco-macchine: via i vecchi banconi su cui si lavorava di lima e di calibro! via quell’odore di grasso e di polvere che ristagnava da oltre cinquanta anni! La modernità incalza e bisogna farle spazio, lo spazio costa e forse non ce ne sarà per la memoria. Anche perché: a che serve la memoria? Il tornio americano va quindi all’asta: prezzo base? Quello del valore del suo peso di ferro da fondere. Un gioiello, si sa, è una cosa di grande valore, ma soprattutto è tale perché una certa comunità gli ha assegnato un valore alto. Nell’estate del 1999 il valore del versatile tornio americano è quello del suo peso di ferro: la memoria che esso racchiude svanisce con la fusione che lo trasforma in un pezzo di ferro qualsiasi, pronto per essere utilizzato in altre produzioni. D’altra parte, lo spazio per conservare e catalogare quella e molte altre apparecchiature costa, le risorse sono già insufficienti per rendere decenti gli spazi di uso corrente, che senso ha trovare risorse per mantenere una memoria storica delle tradizioni meccaniche? In queste note cercheremo di rispondere a questa domanda. Per chiarire la portata della nostra riflessione su questo tema vorremmo fare un salto oltre oceano, nell’America da cui quel tornio proveniva. Dopo un decennio di previsioni funeste, l’economia degli Stati Uniti sembra aver preso uno slancio che – quanto precedentemente le previsioni erano nere – tanto oggi gli osservatori si affollano nel definire rosee. La sfida lanciata dai giapponesi negli anni Ottanta sembra aver messo sottosopra l’economia e la società americana, ma nel rispondere a quella sfida si è avviato anche il grande slancio economico e finanziario connesso alle opportunità delle tecnologie dell’informazione. I dati aggregati sembrano tracciare un cammino foriero di grandi cambiamenti, ma gli analisti si chiedono come sia possibile sfruttare al meglio quelle potenzialità nell’organizzazione delle attività economiche. È in questo contesto che si sta facendo strada un nuovo fattore di produzione la cui rilevanza per la crescita economica ha spazzato via le risorse materiali: sono le risorse intangibili, e in particolare, il capitale intellettuale. Ed è su questo che nelle Business Schools americane gli analisti hanno preso a cimentarsi: che cosa è? Come si misura? Come si sfrutta? Dove lo si trova? C’è un libretto che tenta di darne conto: non delle ricette, ma delle indicazioni di massima. L’autore è Thomas A. Stewart, un brillante giornalista di Fortune, che ci racconta con straordinaria ricchezza di esempi dove il capitale intellettuale si annida e in quali condizioni dia il meglio di sé. La lettura è molto scorrevole e ci conduce attraverso molti settori, dall’agricoltura al commercio, raccontandoci la storia di molte imprese. 4.

(5) Ciò che accomuna i casi raccontati da Stewart alle storie di numerose imprese meccaniche di questa regione (e alle imprese dello Smaland e di molte altre regioni dell’Europa) è la stessa capacità di innovare facendo ricorso alle capacità delle persone che lavorano nell’impresa, facendo ricorso al tessuto di relazioni e di competenze che quelle persone hanno, aumentando il livello di istruzione della popolazione e in generale alimentando in tutti i modi il radicamento – nel territorio in cui vivono – delle persone che lavorano nelle imprese . E questa serie di elementi contribuisce a caratterizzare uno dei vantaggi competitivi che – nella competizione globale – alcuni territori hanno rispetto ad altri, vantaggi che bisogna sapientemente mantenere attivi, con continui interventi di “manutenzione” che ne garantiscano nel tempo l’efficacia. L’intreccio tra concorrenza globale e “processo di manutenzione” delle competenze sedimentate in una comunità sarà una delle chiavi di lettura della nostra riflessione. Ma veniamo ora a presentare il quadro di sfondo entro cui decifrare il nesso tra memoria storica delle competenze meccaniche e concorrenza globale. 2. Perché è necessario discutere di competenze meccaniche? Il sistema scolastico del nostro paese sta attraversando una stagione di grandi cambiamenti istituzionali che riguardano la formazione scolastica: l’autonomia delle istituzioni scolastiche insieme alla riforma complessiva del Ministero della Pubblica Istruzione costituiscono l’ambiente nuovo e modificato entro cui si applicano la riforma dell’esame di maturità, l’elevamento della scolarità obbligatoria, la definizione dell’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età e l’avvio dei corsi della formazione integrata superiore. Entro tempi assai ridotti si attende l’avvio della riforma complessiva dell’intero percorso scolastico, attraverso la definizione di due cicli di istruzione: primario, di sette anni, e secondario di cinque anni con l’uscita prevista al diciottesimo anno di età2. Il superamento della struttura verticistica e centralizzata dell’organizzazione scolastica e la riforma dei cicli di istruzione consentiranno di definire, a livello locale, una quota significativa dei curricoli, in modo da caratterizzare la scuola all’interno dell’ambiente sociale, culturale ed economico in cui si trova. Gli enti locali territoriali sono chiamati, dal generale processo di riforma dello stato, a svolgere compiti nuovi e più importanti anche nei confronti dell’intero sistema formativo locale. È in questo quadro di cambiamenti che diventa indispensabile individuare quali nuclei di conoscenze e di competenze sia necessario trasmettere alle nuove generazioni nel particolare contesto culturale, economico e sociale della provincia di Modena. L’obiettivo di queste note è aprire un confronto su questo tema e con le riflessioni che abbiamo raccolto intendiamo portare un contributo a partire dalla nostra esperienza e dalla conoscenza che abbiamo della struttura produttiva della provincia.. 5.

(6) Per cominciare, siamo consapevoli che esiste un problema, innanzitutto etico: è necessario qualificare il significato di alfabetizzazione primaria, contrastando la tendenza a limitare il possesso di saperi essenziali solo ad una minoranza ristretta della popolazione. Per quanto riguarda il nostro paese, e anche la provincia di Modena, questo significa operare su due fronti: innanzitutto occorre contrastare l’abbandono della scuola superiore e potenziare l’offerta di istruzione per gli adulti, soprattutto per coloro che sono immigrati da paesi extra europei, ma contemporaneamente si deve operare per aumentare il livello qualitativo dell’istruzione offerta a tutti. Per conseguire risultati significativi su questi terreni sono necessari numerosi interventi a sostegno delle scuole, al fine di perseguire un elevamento della qualità complessiva delle loro prestazioni. Il secondo punto che vogliamo analizzare riconduce la discussione sulla formazione del capitale intellettuale e sullo sviluppo economico all’interno del dibattito sulla formazione del capitale sociale. L’esperienza di sviluppo dell’Emilia Romagna è un esempio di come l’istruzione tecnica e professionale nel campo della meccanica sia un elemento essenziale per attivare un circolo virtuoso dello sviluppo che, a partire da un nucleo di conoscenze acquisite nell’istruzione offerta dalla scuola, si diffonde e si sedimenta poi nel tessuto di relazioni tecniche e sociali. È necessario, quindi, alimentare una tensione sociale verso questo tipo di istruzione: occorre contrastare la caduta delle iscrizioni alle scuole tecniche e professionali e contemporaneamente rinsaldare i legami tra queste scuole e le imprese del territorio, per facilitare l’educazione permanente, la diffusione delle innovazioni e la formazione dei giovani, in un intreccio tra istruzione formale e percorsi di lavoro. Nei prossimi anni, la capacità di mantenere alto l’interesse verso la cultura meccanica potrebbe essere un elemento decisivo per alimentare i vantaggi competitivi di questa provincia, non tanto perché qui si potrà solo “fare meccanica”, ma perché, a partire dalle competenze connesse con la meccanica, anche altre attività potranno svilupparsi, e di questo si vedono già i segnali sia in settori nuovi per la provincia di Modena sia nei suoi settori tradizionali. Nell’analisi che segue proponiamo, nella sezione 3, i punti salienti dell’intreccio tra istruzione professionale e sviluppo economico in Emilia Romagna. La prospettiva storica di tale analisi è essenziale per cogliere le potenzialità dei principali cambiamenti in corso nel sistema di istruzione secondaria, delineati nella sezione 4. La sezione 5 tira le fila della nostra proposta di “laboratorio di storia delle competenze e dell’innovazione nella meccanica”. Dove il termine “laboratorio” vuole sottolineare che dovrà essere un luogo per effettuare processi di sperimentazione dei modi in cui rendere esplicita e valorizzare l’evoluzione della cultura meccanica presente in questa area dell’Emilia Romagna. Tale proposta individua gli attori che è necessario mobilitare perché un tale laboratorio diventi un efficace strumento nel processo di cambiamento, ma anche le risorse finanziarie che dovranno essere reperite per realizzare il progetto. 6.

(7) 3. Istruzione professionale e sviluppo economico in Emilia Romagna La provincia di Modena è caratterizzate da un’economia locale altamente sviluppata e, negli ultimi trenta anni, questa provincia, insieme ad altre della regione e, più in generale del centro-nord del paese, ha offerto un punto di riferimento per il dibattito teorico sui distretti industriali. È in quell’ambito che vogliamo ricondurre alcune considerazioni sulle peculiarità del sistema di istruzione tecnica e professionale. Riassumeremo brevemente l’intreccio tra istruzione professionale e sviluppo economico e sociale in Emilia Romagna mettendo in evidenza tre punti: (a) il ruolo dell’istruzione tecnica e professionale nella diffusione delle competenze che hanno favorito lo sviluppo delle piccole e medie imprese dagli anni Cinquanta; (b) le trasformazioni degli ultimi venti anni; (c) il processo di aggiustamento del sistema formativo all’interno dei cambiamenti sia nella struttura produttiva che nella composizione della popolazione. a. Il modello Emilia: sistemi produttivi locali e percorsi formativi La particolare struttura produttiva e sociale che è divenuta nota come “modello Emilia”3 fa da sfondo alle considerazioni su cui concentreremo la nostra analisi. Di quel modello vorremmo richiamare qui due aspetti: le caratteristiche dei sistemi locali di piccole imprese e il ruolo dell’istruzione tecnica e professionale nel promuovere e sostenere lo sviluppo locale. Il primo aspetto che caratterizza il “modello Emilia” riguarda la struttura produttiva caratterizzata da imprese di medie e piccole dimensioni e da una miriade di imprese artigiane che hanno operato con un sistema produttivo altamente efficiente e dinamico. Gran parte di queste imprese erano nate come risposta al decentramento produttivo di grandi imprese metalmeccaniche presenti nella regione. In gran parte si trattava di ex dipendenti di quelle imprese che avviarono attività imprenditoriali autonome, utilizzando macchinari ottenuti in comodato dalle imprese di cui prima erano dipendenti e facendo ricorso alle competenze tecniche acquisite in parte all’interno di percorsi professionali istituzionali e in parte nell’esperienza di lavoro precedente. La possibilità tecnica di scomporre il processo produttivo, la bassa dimensione minima efficiente delle singole fasi del processo produttivo, la garanzie di una domanda inizialmente sufficiente ad avviare l’attività imprenditoriale sono stati elementi decisivi per la nascita e lo sviluppo di numerose imprese specializzate in una o poche fasi della produzione di macchine automatiche, macchine per l’impacchettamento, mezzi di trasporto, trattori e macchine agricole. Accanto a queste produzioni meccaniche si sono sviluppate altre produzioni fortemente localizzate in alcune aree della regione, come la produzione alimentare a Parma, la produzione di piastrelle di ceramica nel distretto di Sassuolo-Scandiano, la produzione di maglieria nel distretto di Carpi.. 7.

(8) Questi sistemi hanno avuto elevati tassi di crescita della produttività, una intensa dinamica innovativa e una crescente presenza sui mercati internazionali, tutti elementi che caratterizzano la struttura economica dell’Emilia Romagna4. Gli studi di caso mostrano che si tratta di aree in cui i processi di apprendimento sono embedded nella rete di relazioni sociali ed economiche che identifica il sistema. In tali analisi, la rete di relazioni economiche e sociali diventa l’elemento esplicativo delle opportunità di trasmissione di conoscenze che sono in larga misura conoscenze tacite, la cui trasmissione richiede appunto opportunità di affiancamento nell’esperienza lavorativa5. Attorno all’analisi sulla nascita e lo sviluppo dei distretti industriali e, più in generale, dei sistemi produttivi locali presenti nella regione si è sviluppata una ampia letteratura che ha arricchito sia il dibattito teorico sullo sviluppo economico locale6, sia quello sulle politiche più adatte per promuovere e sostenere lo sviluppo7. In quel dibattito, un peso importante ha avuto la discussione sul ruolo della formazione tecnica e professionale acquisita sia nell’esperienza lavorativa in imprese di grandi e medie dimensioni sia nell’istruzione formale offerta dalle scuole tecniche e professionali presenti nella regione8. È questo l’altro aspetto del modello Emilia su cui vorremmo concentrare la nostra analisi. Un riferimento molto noto nel dibattito internazionale sullo sviluppo locale nella Terza Italia, è la storia dell’Istituto Aldini-Valeriani9, istituito a Bologna nel secolo scorso, che ha costituito un riferimento cruciale per la gran parte della formazione di intere generazioni di imprenditori, tecnici e operai qualificati delle industrie meccaniche bolognesi10. Nella regione altre scuole professionali hanno svolto un ruolo analogo, come ad esempio, l’Istituto Alberghetti di Imola, fondato nel 1881, l’Istituto Corni di Modena, fondato nel 1921, e l’Istituto Fermi costituito per iniziativa dell’Amministrazione Provinciale modenese nel 1957. L’intreccio tra competenze formali acquisite nell’istruzione scolastica professionale e competenze acquisite nei luoghi di lavoro ha un importanza ovvia per chiunque si occupi del modo in cui conoscenze teoriche e pratiche possano effettivamente costituire una conoscenza utilizzabile nella sfera della produzione. Vi è un punto a cui, tuttavia, si presta minor attenzione: perché quell’intreccio sia efficace occorre che sia alimentato da un tessuto sociale che ne riconosce l’importanza come percorso formativo. Nell’esperienza di moltissime imprese piccole e medie e di imprese artigiane, la formazione di diversi membri del nucleo familiare si è realizzata in un percorso che, ad esempio, intrecciava alla scuola tecnica e professionale l’esperienza di affiancamento al lavoro nell’officina della famiglia. Le competenze teoriche e pratiche acquisite a scuola andavano sperimentate in officina, per verificare la propria capacità di fare: sino alla fine degli anni Sessanta, è questo il principale percorso formativo e professionale degli imprenditori. 8.

(9) e degli operai qualificati della gran parte delle imprese metalmeccaniche emiliano romagnole. Accanto a queste imprese, anche altre imprese manifatturiere della regione hanno raggiunto un primato a livello nazionale: quelle specializzate nella produzione di maglieria e di piastrelle di ceramica11. L’articolazione produttiva della provincia di Modena in sistemi produttivi locali specializzati in settori diversi, ma tutti bisognosi di competenze meccaniche, ha beneficiato anche dell’articolazione territoriale degli istituti professionali e tecnici12. b. Trasformazioni degli ultimi venti anni Negli anni Ottanta si sono verificati alcuni cambiamenti all’interno di questo modello: la crescente concorrenza internazionale ha sollecitato le imprese a strategie di riaggiustamento che ne hanno modificato la tecnologia e la struttura organizzativa interna ed esterna. Inoltre, le regolamentazioni in materia di relazioni industriali, di fisco e di ambiente sono diventate più restrittive e – insieme ad altri fattori strettamente tecnici – hanno contribuito ad aumentare la dimensione d’impresa rispetto alla media degli anni Sessanta e Settanta. Per quel che riguarda il cambiamento tecnico connesso all’introduzione di tecnologie elettroniche e informatiche, è opportuno osservare che la diffusione di tali tecnologie ha reso necessaria l’acquisizione di nuove competenze, ma questo processo è stato meno drammatico di quanto si temeva negli anni Ottanta. Infatti, sulle competenze meccaniche, ampiamente diffuse, si sono potute innestare conoscenze elettroniche, con l’aiuto dell’istruzione tecnica e professionale ma, soprattutto, a seguito della formazione offerta dai produttori di macchine a controllo numerico e di CAD-CAM13. Quel processo di arricchimento di competenze elettroniche è stato possibile proprio perché era già presente una diffusa e solida formazione meccanica14: gli operai che oggi programmano le macchine utensili a controllo numerico o i centri di lavoro, hanno, in genere, acquisito la loro esperienza professionale lavorando sulle macchine tradizionali, le quali rendono più facile la comprensione del funzionamento delle lavorazioni svolte dalle macchine. Occorre osservare che il processo di acquisizione di nuove competenze si è verificato su un arco di tempo di quasi dieci anni, durante i quali le nuove figure professionali hanno potuto affiancarsi a quelle tradizionali: un fenomeno che quantitativamente non ha coinvolto l’intera forza lavoro occupata nel settore meccanico, ma solo il più ristretto numero di lavoratori addetti alla programmazione. Un altro effetto dei mutamenti verificatisi negli anni Ottanta è il passaggio da una situazione in cui l’organizzazione dell’impresa riguardava sostanzialmente la gestione della produzione, ad una situazione in cui l’organizzazione dell’impresa rende necessario avere competenze in altre aree quali la logistica, le tecniche di vendita, le caratteristiche dei mercati di sbocco (che si presentano molto mutevoli) e le esigenze o le opportu9.

(10) nità offerte dal settore pubblico (sia per la mole di questioni fiscali e normative che un’impresa deve fronteggiare sia per l’accesso ai servizi e alle possibili fonti di finanziamento). La scuola sembra abbia avuto un ruolo meno incisivo, rispetto al passato, per fronteggiare questi cambiamenti. Da un lato, i contenuti degli insegnamenti sono diventati meno specifici per l’esigenza di approfondire le competenze di base e trasversali di cui una formazione professionale moderna deve nutrirsi, dall’altro lato, si è allentato il contatto tra gli istituti tecnici e professionali e le imprese. Se la scuola ha ridotto la sua capacità di fornire competenze immediatamente spendibili all’interno delle imprese, anche la famiglia ha giocato un ruolo meno importante. Vi è stato un cambiamento nelle strategie delle famiglie riguardo agli indirizzi di studio dei figli. Le famiglie hanno più spesso un solo figlio, e un reddito sufficiente per farlo studiare fino all’università, senza bisogno che si procuri un reddito autonomo. Sono aumentate notevolmente le iscrizioni ai licei, soprattutto per le femmine, che vengono sostenute nella scelta di un percorso di studi più lungo che in passato. In passato la famiglia costituiva un modello del percorso professionale dei giovani, in particolare era in grado di garantire le modalità e i tempi del ricambio generazionale nella gestione dell’impresa, così come riusciva a sostenere l’avvio di numerose esperienze di lavoro autonomo o di neo imprenditorialità. Tutto sembra essersi complicato di fronte ad una generazione con un’istruzione mediamente più elevata della precedente, con più vaste conoscenze di base, ma con idee decisamente più vaghe e meno finalizzate ad un particolare percorso professionale imprenditoriale. L’attenzione degli analisti è in genere rivolta alle minori motivazioni che avrebbero oggi i giovani, in confronto con i loro padri o nonni, che erano stati i fondatori dell’impresa di cui dovrebbero prendere le redini. Certamente il più elevato reddito li ha abituati ad un maggior agio che li sollecita meno a scendere in officina a “sporcarsi le mani”. Ma non è delle motivazioni personali che vogliamo discutere, quanto delle maggiori difficoltà di scelta cui molti giovani si trovano di fronte oggi. C’è la tradizionale difficoltà a misurarsi con i padri e con le madri, che è la difficoltà di valutare le proprie capacità di azione indipendente. Ma quando i padri e le madri avevano deciso di avviare un’attività di lavoro autonomo avevano avuto il vantaggio di doversi misurare solo con la loro capacità di fare, di produrre, potremmo dire quasi “con le loro mani”. Oggi occorre scegliere tra molti fronti quello su cui misurare le proprie capacità, non più solo capacità tecniche, ma anche competenze gestionali, organizzative, di vendita. Dall’esame dei dati relativi alla distribuzione dei maschi e delle femmine tra i differenti indirizzi della scuola superiore, risulta che ancora oggi vi sono significative polarizzazioni15. Gli indirizzi meccanici, elettronici e chimici erano e sono ancora frequentati in maniera quasi esclusiva da maschi, mentre le femmine sono quasi le sole a frequentare gli indirizzi che preparano personale qualificato per attività terziarie e sono la grande 10.

(11) maggioranza negli indirizzi commerciali16. Per come si è configurato il sistema di istruzione, soprattutto nella parte pre-universitaria, le donne acquisiscono le competenze collegate all’amministrazione, alla gestione, oltre alle competenze necessarie per erogare alcuni servizi (commercio, turismo, servizi alla persona). I maschi, invece, acquisiscono soprattutto competenze legate alla meccanica, all’elettronica, alle nuove tecnologie. Questa polarizzazione di competenze non facilita né il ricambio generazionale nella direzione e nella proprietà delle imprese esistenti né la nascita di nuove imprese, e neppure la sostituzione dei quadri intermedi nell’industria e nell’artigianato di produzione. Per quanto riguarda la nascita di nuove imprese, vale la pena ricordare che, oltre alle più stringenti regolamentazioni con cui oggi si devono misurare le imprese, la nascita di una nuova impresa di dimensione minima efficiente richiede un investimento iniziale più alto che in passato. Si prenda, ad esempio, il caso delle lavorazioni meccaniche. Venti anni fa era possibile intraprendere un’attività di lavoro autonomo, anche da soli, per passare poi ad avere uno o più soci e, in pochi anni, qualche lavoratore dipendente. Una piccola impresa individuale, o costituita da due o tre soci che lavorano nell’impresa, poteva avere anche solo una o due macchine utensili tradizionali. Oggi, chi voglia avviare un’attività in questo comparto deve avere, oltre a macchine utensili tradizionali, macchine a controllo numerico e centri di lavoro, il cui costo è dieci volte superiore a quello di un tempo. Questa barriera all’entrata limita la nascita di nuove imprese, anche nel caso di attività molto specializzate come quella delle lavorazioni meccaniche, e altera in misura sostanziale il quadro relativo alla mobilità sociale che è stato considerato un tratto così importante per lo sviluppo di questa regione17. Tuttavia, sebbene questo mutamento si verifichi in numerose attività manifatturiere, è diversa la situazione nei servizi, sia quelli rivolti alle imprese che quelli rivolti alle persone. L’investimento iniziale non sembra ancora costituire una barriera all’entrata, ma la relativa facilità di ingresso si scontra con rilevanti problemi legati agli standard di qualità, per i quali non vi sono ancora adeguate competenze di controllo e verifica. Il problema delle competenze necessarie per garantire il ricambio generazionale del contingente di quadri tecnici intermedi, che costituiscono il principale fattore di successo dell’industria del nostro territorio, richiede alcune considerazioni aggiuntive. Questo aspetto del problema, non meno importante rispetto alle considerazioni fatte sulla nascita di nuove imprese, è sempre più spesso posto all’attenzione generale dalle organizzazioni imprenditoriali, dagli enti locali e anche da singoli imprenditori. Essi fanno sentire la loro voce sulla stampa per denunciare la carenza di personale specializzato, oppure per annunciare accordi con le scuole o gli enti locali delle regioni del Sud Italia, per favorire l’immigrazione di personale, o lo spostamento verso quelle zone di parti della produzione.. 11.

(12) La scarsa propensione delle nuove generazioni ad intraprendere una carriera di lavoratore dipendente nell’industria, soprattutto nelle imprese di piccola dimensione, costituisce uno dei problemi più gravi che emergono dal mercato del lavoro e delle professioni nella nostra provincia. Evidentemente si sono allentati i supporti famigliari e sociali che hanno sempre valorizzato il lavoro nei reparti di produzione dell’industria manifatturiera, quando le prospettive di mobilità sociale erano più chiare, senza, peraltro, che si siano affermati valori altrettanto capaci di sostenere i percorsi formativi e professionali dei giovani. c. Tendenze demografiche e sviluppo In generale, l’attuale articolazione della struttura produttiva mostra una discreta possibilità di crescita delle imprese esistenti e un moderato ritmo di entrata di nuove imprese. Si prevede che nei prossimi anni la domanda di lavoro di questa regione aumenterà, anche se con tassi di crescita inferiori a quelli degli anni Settanta e Ottanta, e certamente cambierà la composizione della domanda. Tuttavia, già da alcuni anni lo sviluppo economico della regione trova un ostacolo nell’offerta di lavoro, piuttosto che nella domanda di lavoro, nell’innovazione tecnologia o negli investimenti. E in futuro la situazione sarà aggravata da un tasso di crescita naturale della popolazione che è negativo: le proiezioni demografiche a livello regionale mostrano che nei prossimi dieci anni si tratta di colmare un divario tra domanda e offerta di lavoro di circa 6 mila unità18. Non sono disponibili proiezioni pluriennali che definiscano quantitativamente i profili professionali che si prevede caratterizzeranno la composizione della futura domanda di lavoro. Le previsioni sono generalmente limitate ad un arco temporale di 18 mesi, massimo due anni, e non sono quindi utilizzabili per disegnare i percorsi formativi della scuola secondaria superiore che dura cinque anni; semmai, possono guidare la progettazione dei corsi post diploma o la programmazione e la realizzazione di percorsi formativi integrati tra le scuole e la formazione professionale. Tutti concordano sugli effetti limitativi dell’andamento demografico sull’offerta di lavoro: è un tema su cui si dovranno misurare le politiche dell’istruzione e le politiche sociali. In queste note vogliamo richiamare due problemi – connessi allo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro in regione –: il primo è relativo alle mansioni che richiedono un basso livello di formazione professionale e il secondo riguarda le mansioni assegnate ai quadri tecnici intermedi, che necessitano di una formazione specialistica19. Innanzitutto, nonostante l’elevato livello di automazione raggiunto dalle attività produttive presenti nella provincia di Modena, ancora oggi vi è una domanda di lavoro con bassissima qualificazione – sia nel settore dei servizi, in edilizia, ma anche nel settore manifatturiero – cui spesso si accompagnano condizioni di lavoro in ambienti di lavoro insalubri. A questa domanda si fa fronte con forza lavoro immigrata da aree del sud Ita-. 12.

(13) lia (che ancora hanno tassi di disoccupazione superiori al 20 per cento), ma in prevalenza si impiegano cittadini che provengono da paesi extra europei. L’immigrazione ha dato un contributo cruciale allo sviluppo di questa regione, in generale di tutto il nord Italia. Per quel che riguarda l’Emilia Romagna, negli anni Settanta (in cui i tassi di crescita della popolazione erano comunque positivi) l’immigrazione consentì di far fronte alla crescente domanda di lavoro nell’industria ceramica, ma anche nelle imprese meccaniche, soprattutto per le lavorazioni pesanti o nocive (come ad esempio quelle di fonderia). Numerosi interventi sociali e culturali ebbero l’effetto di innalzare il livello di aspettative, oltre che di reddito, degli immigrati, che in questa regione non hanno subito un processo di emarginazione, ma sono diventati parte attiva del processo di mutamento sociale e tecnologico. A questo proposito basti pensare che le condizioni di lavoro sono migliorate, anche perché non si è ritenuto socialmente ammissibile che altri venissero chiamati a svolgere lavori sporchi e pesanti, che potevano essere evitati con l’introduzione di tecnologie adeguate. Questo processo di trasformazione ha accresciuto la ricchezza di questi luoghi, attraversando l’intera società civile. La nuova ondata di flussi migratori pone nuovamente l’esigenza di interventi che innalzino le aspettative sociali e culturali di chi viene per trovare un lavoro: questa è una condizione essenziale affinché la crescita di questa area diventi un’occasione di sviluppo, con potenziali feed-back anche per le regioni da cui questi lavoratori provengono. Questo richiederà non solo interventi sociali e culturali, ma anche interventi di allargamento e di qualificazione dell’istruzione tecnica e professionale. Per quanto riguarda, invece, il fabbisogno di personale, con caratteristiche professionali adatte a garantire il ricambio generazionale dei quadri tecnici intermedi, potrebbe risultare determinante la minore sintonia tra gli istituti tecnici e professionali per l’industria e l’artigianato e il sistema economico locale. Era quella sintonia che, invece, aveva caratterizzato altri periodi di espansione, e aveva avviato, in molti casi, dei circoli virtuosi in cui le competenze tecniche acquisite all’interno della scuola costituivano, nella particolare struttura sociale e produttiva, un elemento fondamentale per la più generale sedimentazione di conoscenze nell’intero tessuto produttivo. Di questo tema ci occuperemo diffusamente nella sezione seguente. 4. Cosa è cambiato nel sistema di istruzione secondaria e nel rapporto tra scuola e territorio In questa fase di cambiamenti e di transizione verso un nuovo ordinamento degli studi, ci interessa considerare da vicino tre aspetti rilevanti del funzionamento del sistema scolastico superiore che coinvolgono direttamente il rapporto tra la scuola e il sistema delle imprese locali. In particolare, vogliamo analizzare: (a) le azioni di orientamento alla scelta dopo la terza media; (b) gli effetti dell’innalzamento di un anno dell’obbligo scolastico; (c) le esperienze di formazione in alternanza tra la scuola e il lavoro. 13.

(14) a. Orientamento alla scelta dopo la terza media Nel corso degli ultimi anni, le associazioni di categoria, con il sostegno degli enti locali della regione, soprattutto nelle provincie di Modena, Reggio Emilia e Bologna, hanno condotto una campagna serrata per spostare le iscrizioni verso gli indirizzi meccanici ed elettronici, raggiungendo alcuni risultati, ma senza invertire la tendenza. A questo proposito serve fare alcune considerazioni. L’aumento delle iscrizioni nelle scuole ad indirizzo generale (licei) rispetto a quelle ad indirizzo tecnico e professionale è un fenomeno generalizzato alla maggior parte dei paesi europei20. Esso è una conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita e del collegato cambiamento delle aspettative delle famiglie. A ciò si aggiunga che la formazione specialistica, legata alle prospettive professionali di breve periodo dei giovani, viene sempre più spesso delegata al settore terziario dell’istruzione non universitaria, come conseguenza della necessità di aumentare il tempo e le energie dedicate alla formazione di competenze di base e trasversali21. Per questi motivi, la formazione di personale con competenze meccaniche complesse, da impiegare a livello di responsabilità intermedia, non può essere raggiunto solamente attraverso l’aumento delle iscrizioni agli istituti tecnici e professionali industriali. Si dovrà contribuire a strutturare il primo livello universitario e i corsi di specializzazione post diploma, rivolti alla formazione delle competenze necessarie per sostenere l’innovazione nell’industria meccanica locale. Oltre a questo, però, si deve intervenire complessivamente sull’intero sistema scolastico, attraverso l’attivazione, in tutte le scuole secondarie, compresi i licei e le scuole ampiamente o esclusivamente frequentate dalle donne, di una pratica di lavoro didattico che sviluppi e diffonda una cultura che valorizzi la conoscenza del contesto in cui si vive, renda esplicita la conoscenza delle caratteristiche dei sistemi produttivi locali della regione, dei problemi emergenti e del loro futuro. E tale cultura dovrà basarsi sulla conoscenza della storia dei sistemi produttivi locali, che non è solo storia delle tecnologie impiegate, ma è anche storia di vita delle persone, delle loro attività, dell’insieme di relazioni che hanno costruito questa società, così particolare e così florida. Una tale conoscenza potrebbe ridurre i margini di aleatorietà delle informazioni su cui i giovani e le loro famiglie progettano i percorsi formativi. Infine, tutte le scuole dovrebbero essere aiutate a fare del “sapere scientifico e tecnologico”, legato alle innovazioni meccaniche, una questione di primaria importanza. Un buon insegnamento scientifico e tecnologico si deve basare sull’interazione costante tra l’elaborazione delle conoscenze e le attività pratiche e sperimentali. Per questo si devono riallacciare e consolidare i rapporti che consentono alle migliori imprese locali di diventare il laboratorio di eccellenza per questa speciale formazione22.. 14.

(15) Gli studi più recenti sul progresso tecnico hanno dimostrato quanto sia importante la diffusione delle conoscenze su “come funziona” e su “come è fatto”. D’altra parte, proprio l’incontro di conoscenze scientifiche teoriche con la possibilità di acquisire competenze attraverso la pratica delle operazioni meccaniche ha consentito lo sviluppo di un tessuto locale di imprese con un elevato tasso di innovazione e di competitività internazionale. b. Innalzamento dell’obbligo scolastico In provincia di Modena, gli studenti che, dopo la scuola media, non si iscrivono ad un istituto superiore, sono pochi, prevalentemente maschi, spesso con problemi di apprendimento, legati a fattori sociali, economici e culturali, oppure a disabilità di tipo funzionale, diagnosticate clinicamente come handicap23. Anche i ragazzi, che dopo la scuola, media si iscrivono ai corsi della formazione professionale degli enti accreditati dalla regione, sono relativamente pochi24. I giovani che decidono di non andare più a scuola si rendono disponibili per le mansioni di basso contenuto professionale nell’industria manifatturiera, oppure nelle imprese di servizi. Essi trovano facilmente lavoro e il loro ruolo nella famiglia cambia, assumendo caratteristiche da “adulto”, sulla base della relativa autonomia economica. Al termine della loro carriera scolastica, questi ragazzi presentano un’istruzione molto scarsa e sono sprovvisti di una alfabetizzazione di base, necessaria per approfittare delle opportunità informative e di comunicazione della società, sempre più complessa. La legge di innalzamento dell’obbligo scolastico, del gennaio 1999, è rivolta in primo luogo al recupero di un livello accettabile di formazione per questi giovani, perché è dimostrato che essi rischiano di trovarsi, nel corso della loro vita attiva, in condizione di marginalità sociale e di precarietà sul mercato del lavoro. Ma la scuola secondaria superiore non ha dimostrato di essere in grado di contenere (vale a dire “di includere nei suoi obiettivi formativi”) i ragazzi con problemi di motivazione e di apprendimento. In provincia di Modena sono quasi il 20% coloro che abbandonano gli studi, soprattutto nel primo e nel secondo anno della scuola secondaria, soprattutto negli istituti professionali e tecnici. I dati sull’applicazione dell’elevamento dell’obbligo scolastico nella Provincia mostrano25 un incremento delle iscrizioni negli istituti professionali e, tra questi, maggiormente in quelli ad indirizzo industriale. Accade, quindi, che le scuole con i maggiori tassi di abbandono debbano fronteggiare la scolarizzazione di coloro che, prima della legge, uscivano dal sistema formativo per loro scelta, al termine della terza media. Si rischia di mantenere infruttuosamente sui banchi un'utenza “transitoria”, che deve essere motivata, convinta, alfabetizzata e formata, almeno nelle competenze preprofessionali, attraverso un'offerta formativa che, da un lato, riempia di significato la lo-. 15.

(16) ro permanenza a scuola, e dall’altro, li aiuti nel passaggio verso il lavoro. Per fare questo potrebbe non essere sufficiente un solo anno di scuola. L’arrivo negli istituti professionali di gruppi di giovani, meno motivati di quelli che normalmente vi entrano, rischia di appesantire e addirittura di frenare l'azione educativa, se questa non riesce a rivalutare complessivamente il lavoro scolastico, come qualcosa che è in grado di offrire un verificabile contributo alla carriera lavorativa dei singoli. Le scuole, soprattutto quelle professionali, se isolate e non sostenute, rischiano di perdere credibilità agli occhi dei loro giovani utenti, che faticano a capire come anche l’imparare a leggere, scrivere e parlare correttamente serva per lavorare. Essi sanno, e verificano ogni giorno, che il lavoro c’è, subito, non necessariamente scomodo o mal pagato e non viene richiesto alcun particolare titolo di studio. Il recupero alla scolarità e alla formazione di una parte di giovani, troppo precocemente avviati al lavoro, deve incontrarsi con la necessità di contenere l'abbandono scolastico di tanti altri. La scuola può fare tanto per ridurre i fattori che spingono i giovani fuori dalla scuola, innovando i suoi metodi e le sue attività. Ma non può essere lasciata sola, perché nella società ci sono forze molto convincenti che “tirano fuori” i giovani dalla scuola. In particolare, la necessità di forza lavoro da impiegare in mansioni non necessariamente qualificate, attira verso il lavoro in età precoce i più deboli, i meno motivati. Un giovane, con una scarsa preparazione iniziale, non riuscirà ad essere un lavoratore consapevole dei propri doveri e dei propri diritti, né sarà capace di modificare celermente il proprio operare, quando le condizioni tecnologiche glielo imporranno, e difficilmente saprà affrontare, da adulto, lo sforzo di apprendimento formale, sui banchi di quella scuola che ha abbandonato ancora semi-analfabeta. La provincia di Modena, come altre del Nord Italia, si trova a fronteggiare particolari fenomeni di abbandono scolastico, e di demotivazione verso lo studio, legati a stili di vita e a modelli di consumo che privilegiano la scelta di una occupazione qualsiasi, ma che oggi è disponibile, a scelte più complesse e incerte riguardo alla formazione per accedere, in futuro, ad un’occupazione che invece chissà quale potrebbe essere. Non è quindi un fenomeno di povertà economica, è piuttosto una povertà culturale che risulta dalla difficoltà in cui spesso si trovano i giovani e le loro famiglie. Essi non sono in grado di interpretare gli indicatori economici – non facilmente disponibili e in genere inutilmente complicati – che invece evidenziano, senza ombra di dubbio, come le difficoltà sul lavoro, la precarietà economica e sociale siano legate, almeno nel lungo andare, al livello di istruzione iniziale dei singoli. Non basta avere incrementato per legge l’obbligo scolastico e avere istituito l’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età, per fronteggiare fenomeni tanto radicati da alimentare una cultura sfavorevole all’istruzione delle giovani generazioni. La legge di elevamento dell’obbligo scolastico ha individuato nell'integrazione tra la scuola 16.

(17) e la formazione professionale regionale lo strumento per affrontare le difficoltà. Si tratta di verificare se le collaborazioni attivate hanno effettivamente funzionato, consentendo un elevamento dei risultati raggiunti, sia sotto il profilo dell'alfabetizzazione, che sotto il profilo dell’acquisizione di competenze pre-professionali e professionali. Crediamo che un indicatore di qualità dei processi attivati potrà essere il numero di studenti che continueranno ad abbandonare gli studi, dopo il primo anno di scuola secondaria obbligatoria Restano aperti almeno due problemi. Il primo riguarda come si possa intervenire per aiutare le persone a cambiare, a sentire l’istruzione come un’opportunità individuale che vale la pena cogliere, un dovere collettivo verso le nuove generazioni, non solo un obbligo. Il secondo problema riguarda invece come sia possibile aiutare gli insegnanti a cambiare i metodi di insegnamento. È opinione diffusa che uno degli ostacoli al cambiamento, necessario per includere tanti giovani nella scuola superiore, risieda nella scarsa diffusione di metodologie didattiche legate a strategie cognitive e metacognitive, più adatte a superare le difficoltà di apprendimento. Come è noto, finora, la formazione didattica dei docenti si è costruita “sul campo”: la maggior parte dei corsi di aggiornamento vertono più sui contenuti disciplinari, che sulle metodologie didattiche. Ambedue i problemi richiamano la necessità di un’azione su più fronti. Così come, fin dagli anni del dopoguerra, le forze politiche e sociali locali dimostrarono di avere compreso l’importanza di costruire e sostenere un efficace sistema scolastico per tutti, si tratta adesso di sorreggere la scuola affinché possa compiere un salto di qualità, necessario, urgente e non troppo semplice, verso il rafforzamento delle competenze tecnologiche e scientifiche. Riteniamo che sia quindi indispensabile che le forze sociali, politiche ed economiche locali, il mondo della cultura e della ricerca scientifica intervengano a sostegno della scuola, rendendo manifesta la loro volontà di investire sull’istruzione. c. Percorsi di formazione in alternanza tra la scuola e il lavoro Gli istituti professionali e qualche istituto tecnico organizzano – durante il periodo scolastico – stages nelle imprese, che servono per consentire ai giovani di osservare direttamente un’organizzazione produttiva e – in misura minore – di acquisire o consolidare competenze specifiche. L’Amministrazione Provinciale di Modena ha impegnato mezzi finanziari e risorse umane a sostegno del lavoro estivo dei giovani che frequentano gli ultimi anni della scuola superiore. A fianco di queste iniziative, non bisogna dimenticare che, in regione, il numero di studenti che lavorano in imprese manifatturiere, durante le vacanze estive, è abbastanza elevato, anche se forse un po’ in declino. Tutte queste esperienze hanno un valore formativo indiscutibile. Spesso consentono il primo incontro tra le imprese e i futuri diplomati. Capita anche che alcuni giovani trovino il loro primo impiego proprio nelle imprese in cui hanno lavorato d’estate, o in cui sono stati ospiti durante lo stage. Ma tutti concordano che vi è uno scollamento tra le esperienze di lavoro e l’ordinario funzionamento della scuola. Affinché le conoscenze 17.

(18) acquisite all’interno di un ambiente lavorativo possano organizzarsi e influenzare la motivazione, oppure la capacità di fare scelte consapevoli, è indispensabile che i giovani vengano guidati nella riflessione, rielaborazione e interpretazione consapevole di ciò che hanno vissuto e sperimentato. La scuola, attraverso un lavoro formativo che coinvolga le discipline tecniche, scientifiche ed anche umanistiche, può svolgere questo ruolo di “mediazione” indispensabile. Si tratta, però, di dare slancio e senso ad un processo di revisione dei contenuti delle discipline che sia mirato ad una riduzione della loro mole, per favorire gli approfondimenti necessari a costruire un percorso formativo più legato alle caratteristiche della comunità locale. La recente introduzione di spazi di autonomia per le singole istituzioni scolastiche consente di ridurre al minimo l’iter burocratico per avviare le sperimentazioni didattiche, e consente di definire una quota di curricolo in stretto collegamento con le esigenze culturali e formative del territorio. Gli insegnanti hanno il gravoso compito di leggere gli stimoli esterni e tradurli in progetti e pratiche didattiche nelle classi. A questo proposito, oltre a quanto già detto sulla necessità di potenziare la formazione sulle metodologie didattiche, occorre ricordare che pochi insegnanti conoscono il sistema produttivo locale. I docenti che hanno una formazione universitaria di tipo tecnico (ingegneri, architetti, economisti), in genere, conoscono poco questi particolari sistemi di imprese e la loro organizzazione. Sebbene alcuni svolgano, o abbiano svolto, attività libero professionale di consulenza, la conoscenza della realtà delle imprese resta mediamente scarsa all’interno delle scuole. D’altra parte, il rapporto tra le singole imprese, o le loro associazioni, e le scuole si è allentato È sempre meno frequente che i piccoli imprenditori si rivolgano alla scuola in cui si sono formati, per un parere o per utilizzare un macchinario particolare. Gli imprenditori e le loro associazioni fanno fatica a conoscere i contenuti che vengono trasmessi nella scuola. Per questo un imprenditore trova complesso prevedere le competenze che può aspettarsi da un diplomato o da un qualificato. La progettazione e la realizzazione dei percorsi formativi in alternanza tra la scuola e il lavoro sono un’occasione per realizzare uno scambio di informazioni e di competenze. Il lavoro comune tra il personale della scuola, il personale dei centri di formazione e i referenti delle aziende potrebbe consentire di costruire un linguaggio e una pratica formativa condivisa. Probabilmente, però, l’attuale divisione dei compiti non consente agli insegnanti della scuola statale di accrescere le loro conoscenze degli ambienti di lavoro, al fine di coniugare i loro saperi disciplinari e didattici con le conoscenze complesse acquisibili attraverso esperienze pratiche in azienda. Un’importante occasione di crescita professionale viene parzialmente sprecata e si rischia di non riuscire a favorire l’integrazione delle esperienze di alternanza nei percorsi didattici e di orientamento delle scuole. Si continua, pertanto, a vanificare una parte consistente dei benefici raggiungibili 18.

(19) attraverso un percorso formativo che alterni la formazione d’aula, o di laboratorio, con la pratica professionale. 5. Una proposta: creare dell’innovazione”. un. “laboratorio. di. storia. delle. competenze. e. La ricchezza di mezzi e di competenze disponibili a livello locale può trovare il modo di realizzare una riqualificazione del sistema formativo locale. Per raggiungere questo obiettivo non ci sono soluzioni già pronte: occorre pensare e sperimentare. La nostra proposta è che tale processo potrebbe trovare un ambiente favorevole all’interno di un “Laboratorio di storia delle competenze e dell’innovazione nella meccanica”. Questa proposta porta nel suo titolo due parole chiave che indicano, a nostro avviso, due fattori di successo dell’intero sistema produttivo: competenze e innovazione. Queste parole, non a caso, chiamano direttamente in causa sia il sistema produttivo che quello formativo. Non proponiamo “un museo delle macchine”, ma un “laboratorio” entro cui far vivere esperienze, momenti di incontro, costruzione e realizzazione di progetti importanti per la creazione di competenze raffinate per sostenere l’innovazione, in particolare nell’area meccanica. Attorno al laboratorio, poi, potranno coordinarsi iniziative che coinvolgono le forze sociali, politiche e culturali a sostegno del mestiere complesso e difficile di educazione delle nuove generazioni. Per fare ciò, il laboratorio dovrà poter contenere il “peso” della memoria e della storia che rischia di essere valutato solo come “ferro vecchio”. Questa è una proposta: la situazione che abbiamo delineato nella nostra analisi ci fa ritenere che sia urgente aprire una discussione per avviare iniziative capaci di incidere sul delicato terreno della formazione di competenze che, lo sappiamo, richiedono tempi lunghi per sedimentarsi in un tessuto sociale. Siamo consapevoli che la nostra analisi può essere ampliata e articolata in modo più sistematico, ma ci pare un contributo convincente per iniziare a discutere. La nostra proposta non contiene una descrizione dettagliata di come il laboratorio dovrebbe essere fatto: su questo si tratta di lavorare. Tuttavia ci sono alcuni punti da cui potremmo avviare la discussione; essi riguardano: (a) chi dovrebbero essere gli attori che promuovono il laboratorio; (b) quali attività potrebbero essere svolte nel laboratorio. a. Chi dovrebbero essere gli attori che promuovono il laboratorio Il laboratorio deve essere un’occasione per fare lavorare insieme gli attori che oggi operano in modo separato, o poco integrato, nel campo della formazione. Quella che segue è una possibile lista di attori. Tra essi vi sono, innanzitutto, le scuole (di ogni ciclo), il Provveditorato agli Studi, il Centro di Documentazione Educativa, ma anche i Centri del sistema regionale della formazione professionale, le Facoltà di Economia, di Ingegneria e di Scienze. Vi sono le imprese metalmeccaniche, sia singolarmente che attra19.

(20) verso le loro associazioni di categoria. Un ruolo importante dovranno avere la Camera di Commercio e i centri di servizi che operano nella promozione dell’innovazione e dello sviluppo locale (quali Aster, Promo e Democenter). Gli enti locali e la regione, attraverso l’azione degli assessorati all’istruzione, alla cultura, alle attività economiche potrebbero integrare l’azione del laboratorio nell’ambito delle attività di programmazione dello sviluppo locale. Si potranno coinvolgere anche le associazioni degli ex alunni ed ex docenti delle scuole professionali. Un contributo importante potrebbe venire direttamente dai lavoratori metalmeccanici e dalle loro associazioni sindacali. Sarà opportuno verificare, inoltre, l’interesse dell’Istituto Storico di Modena a lavorare per la realizzazione di tale progetto, che potrebbe aver aspetti comuni con quel progetto di “Museo del lavoro” a cui stanno lavorando. Crediamo che occorra innanzi tutto ottenere la fiducia delle associazioni degli imprenditori, degli enti locali, dell’università, delle scuole. Se si costituisce un nucleo di attori che fanno proprio questo progetto, siamo convinte che si possa collaborare, anche con altri partner europei, per attingere ai finanziamenti dell’Unione Europea a sostegno dello sviluppo delle competenze locali, su progetti di sperimentazione didattica sui temi dell'orientamento e della formazione scientifica e tecnologica legata alla struttura produttiva locale. In generale, occorre progettare non tanto un laboratorio centrale con laboratori decentrati, bensì una rete di laboratori. b. Quali attività potrebbero essere svolte nel laboratorio Di seguito, in forma schematica, abbiamo elencato alcune attività del laboratorio, in attesa di un confronto e di una maggiore definizione progettuale. L’ordine di esposizione non è ancora un ordine di importanza. In generale, nel laboratorio si potrà:. · attivare percorsi di ricerca qualificata per delineare, anche dal punto di vista storico, le rete di competenze che hanno contribuito all’emergere dei processi innovativi nella meccanica in provincia di Modena;. · mettere a punto gli strumenti più adeguati per rappresentare e rendere fruibili, agli adolescenti, l’emergere di simili reti di competenze. · raccogliere, catalogare e rendere fruibile il patrimonio di strumenti e di macchine operatrici meccaniche, disperso nei laboratori delle scuole, oppure abbandonati in qualche magazzino. A questo scopo potrebbe essere opportuno chiedere ai Presidi di sospendere le procedure di dismissione del loro patrimonio, attualmente messo all’asta, e le operazioni di ristrutturazione dei vecchi ambienti in cui le macchine erano utilizzate (la loro ricostruzione potrebbe richiedere un lavoro inutilmente gravoso); sarà opportuno anche valutare la disponibilità delle imprese a mettere a disposizione macchine e prodotti che documentino lo sviluppo tecnico delle imprese meccaniche della provincia; 20.

(21) · contribuire alla realizzazione e alla verifica di percorsi formativi che consentano di diffondere le conoscenze sulla storia tecnica della industria meccanica e sulla storia della formazione dei tecnici. · coinvolgere tutte le scuole della provincia (comprese la scuole di base) nella realizzazione di percorsi didattici di conoscenza e di sperimentazione delle tecnologie e del lavoro meccanico, dei suoi strumenti operativi, più in generale sulla conoscenza della “materialità” dei prodotti. · costruire un circuito di formazione permanente dei docenti della scuola primaria e secondaria sui temi dell’educazione scientifica, tecnologica e professionale oltre che sulla conoscenza della struttura produttiva locale. · costruire una fonte di documentazione specializzata sulle esperienze didattiche di educazione scientifica, tecnologica e professionale, con particolare attenzione alle modalità che prevedono periodi di alternanza tra la scuola e il lavoro. · permettere alla città, agli studiosi, certamente non solo locali, e a coloro che visitano Modena per ragioni di lavoro o di turismo, di appropriarsi di una fetta così importante della storia di questo territorio. Per quel che riguarda le scuole, le attività di orientamento alla scelta dei percorsi scolastici, soprattutto quando coinvolgono ragazzi e ragazze molto giovani, si devono necessariamente intrecciare con i percorsi di conoscenza dell'ambiente sociale, economico e culturale di appartenenza. Inoltre, come le esperienze migliori testimoniano, i percorsi di conoscenza devono sapere coniugare esperienze speculative con attività pratiche, manuali, di laboratorio, perché risulta sempre più complesso potere tenere distinto il “sapere teorico” dal “sapere fare”. Da ciò si spiega la necessità di collegare le attività di orientamento con l'educazione scientifica, tecnologica da un lato e l'educazione letteraria dall'altro. La scuola media trova nel suo ordinamento gli spazi per costruire un lavoro interdisciplinare di questo tipo, oltre ad avere disponibili competenze disciplinari adatte tra il personale docente (insegnanti di materie letterarie, scientifiche e tecniche). Solitamente si è portati a pensare che le scuole abbiano maturato nel tempo adeguate capacità progettuali e di gestione di progetti complessi. In effetti c’è stata, nel tempo, una proliferazione di occasioni in cui, a sostegno di finanziamenti spesso troppo esigui, le scuole sono state chiamate a presentare un “progetto” di lavoro. Non sempre, ma qualche volta, le scuole hanno imparato anche a confezionare progetti ad hoc, contando su una estremamente labile attività di monitoraggio e su una vaga attività di valutazione esterna. L'operazione del “taglia e incolla” per trasformare la documentazione su un progetto, che da anni si realizza nella scuola, per presentarlo su diversi bandi di finanziamento, ha consentito, spesso, alle scuole di raccogliere, in questo solo modo, le risorse minime necessarie per lavorare. Ma, in assenza di una effettiva capacità di rilevare e misurare i risultati raggiunti, la pratica del “riciclo”, in alcuni casi, ha smorzato le capa21.

(22) cità progettuali legate all'innovazione o al miglioramento delle pratiche educative. Se questa è la situazione, si dovrebbe evitare di presumere che tutte le scuole abbiano una ottima capacità di progettare l'innovazione, di gestire processi innovativi e di misurarne i risultati. Sarà quindi necessario sostenere le scuole anche nella fase progettuale, oltre che nelle fasi di realizzazione e valutazione di un progetto didattico. Sinteticamente, riconoscendo in questo una grande abilità degli insegnanti, senza nessuna presunzione di completezza, ricordiamo tre temi principali su cui articolare progetti connessi con il laboratorio di storia delle competenze e dell’innovazione: ·. la ricostruzione della storia recente della economia locale con particolare riferimento alla industria, con attivazione anche di percorsi di ricostruzione delle fonti orali;. ·. l’analisi degli aspetti quantitativi della situazione economica locale e degli aspetti qualitativi della vita e dei percorsi formativi degli occupati nell'industria locale. ·. l’analisi dei processi produttivi che servono per ottenere prodotti di uso comune.. Perché la progettazione delle scuole di attività del “laboratorio” risulti efficace, essa dovrebbe essere integrata nella ordinaria programmazione di classe, facendo tesoro delle opportunità (date alle scuole dall'autonomia) di definire una parte dei curricoli a partire dalle peculiarità del territorio. Ma sarà necessario anche attingere a strumenti conoscitivi diversificati – molto legati alla costruzione fisica, alla creazione e alla simulazione in laboratorio – e costruire rapporti di collaborazione che rendano possibile l'integrazione tra l'attività di ricerca svolta all'interno dell'Università e le attività (didattiche, ricerca, formazione in servizio e orientamento) svolte nelle scuole.. 22.

(23) Note. 1. 2. 3 4 5 6 7 8. 9. 10 11. 12. 13. 14 15 16 17 18. 19. 20 21 22. Queste note sono state preparate per la conferenza su “Competenze, innovazione e sviluppo locale” del 3 marzo 2000 presso la Facoltà di Economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il testo è stato discusso con numerose persone che ringraziamo per i commenti dei quali abbiamo cercato di tener conto in questa versione. Sebbene le idee presentate in questo lavoro siano il frutto di una elaborazione che abbiamo sviluppato nell’ambito di una attività di ricerca comune, le sezioni 1, 3 e 5a sono da attribuire a Margherita Russo, e le sezioni 2, 4 e 5b a Paola Mengoli. La situazione attuale prevede un ciclo di cinque anni di scuola elementare, seguita da tre anni di scuola secondaria di primo grado (la scuola media) e da ulteriori cinque anni di scuola secondaria di secondo grado (i licei, gli istituti tecnici e professionali). Si veda Brusco (1982). Si veda Brusco e Paba (1997), e Russo (1997). Si veda Russo (1996a), Bellandi (1998). Per una rassegna dei principali contributi su questo tema si veda Russo (1996a). In questa direzione si muovono i contributi raccolti nel volume a cura di Cossentino, Pyke e Sengenberger (1996). Basti ricordare che un elemento distintivo delle indicazioni di politica industriale proposito da Sebastiano Brusco è da sempre stato quello della formazione professionale e dell’istruzione in generale. Al punto da proporre che fossero incluse nelle competenze dell’assessorato regionale all’industria anche le competenze dell’assessorato regionale all’istruzione. L’Aldini-Valeriani fu fondata nel 1839 come scuola comunale per la formazione professionale, su modello delle scuole tecniche francesi. Il Comune di Bologna ha sempre mantenuto un grande interesse verso questa istituzione, sostenendo iniziative quali ad esempio, la costituzione di un museo della scuola e di una rivista “Scuola-Officina” che raccoglie contributi di alto livello sul tema della formazione professionale e sull’innovazione tecnologica. Si veda Capecchi (1990). I particolari precorsi formativi di questi sistemi produttivi locali sono presi in esame in vari saggi, in particolare si veda oltre a Brusco (1982) e Capecchi (1990), i più recenti lavori di Mengoli (1993), Cigognetti e Pezzini (1994), Solinas (1994), Mengoli e Russo (1998), Russo (2000). L’istituto Corni, grazie alla gestione statale, ha aperto nel corso degli anni Sessanta e Settanta una succursale in ogni comune importante della provincia: Sassuolo, Carpi, Mirandola, Vignola e Pavullo. Questa diffusione territoriale non ha caratterizzato, invece, la storia dell’Aldini-Valeriani, gestito dall’Amministrazione del Comune di Bologna. Queste imprese, generalmente localizzate al di fuori della regione, o fuori dall’Italia (in Germania e in Giappone) hanno organizzato la formazione specifica per la programmazione elettronica delle loro macchine, contribuendo alla diffusione di competenze che, anche a seguito di questo impulso, sono entrate diffusamente anche nei programmi di studio degli istituti tecnici e professionali. Inserire il riferimento al rapporto su Modena dei saggi dell’OCSE. I dati sono elaborati in Mengoli-Russo (1998). Una polarizzazione analoga, anche se meno accentuata, si rileva nella frequenza universitaria: ci sono molti più maschi tra gli ingegneri e molte più femmine tra i pediatri. Si veda Brusco (1982), Capecchi (1990) e Solinas (1996). Si veda Assessorato alla cultura, sport, progetto giovani, sistemi formativi – Regione Emilia Romagna (1995). Proiezioni demografiche disaggregate a livello provinciale e per la cintura industriale di Modena mostrano tendenze ancora più pessimiste. Si veda Fiorani (1997). Quando si denunciano i fabbisogni inevasi di manodopera, non sempre si fa chiarezza sulle caratteristiche in termini di qualificazione del personale richiesto, rischiando numerosi fraintendimenti. Si veda Bertocchi e Spagat (1998). Per la definizione di competenze di base, trasversali e specialistiche si rinvia al lavoro di ISFOL (1998). Proprio con questa convinzione siamo d’accordo con le linee del Documento di Base redatto recentemente dal Coordinamento del Progetto Speciale per l’Educazione Scientifico Tecnolo-. 23.

(24) 23. 24. 25. gica del Ministero della Pubblica Istruzione, che mette a disposizione fondi per le scuole della provincia. Il progetto, che ha un orizzonte temporale di quattro anni, si propone di migliorare l’organizzazione dell’insegnamento scientifico-tecnologico. Tra i ragazzi in situazione di handicap, coloro che non passano alla scuola superiore, se non è possibile individuare percorsi di accompagnamento al lavoro, o di inserimento in laboratori protetti, trovano una collocazione all’interno dei centri riabilitativi residenziali oppure rimangono, più spesso, in famiglia. In provincia di Modena, questi corsi sono tre: due specializzati nel settore recettivoalberghiero (che non trova un equivalente percorso scolastico superiore) e uno nel settore meccanico. Sono dati elaborati dall’Amministrazione Provinciale da fonti amministrative poco attendibili e non sono scorporati i dati riferiti ai portatori di handicap. Pubblicati sulla stampa locale a seguito di una conferenza stampa della Provincia.. 24.

(25) Riferimenti bibliografici Assessorato alla cultura, sport, progetto giovani, sistemi formativi – Regione Emilia Romagna (1995), Atti della conferenza “La popolazione dell’Emilia Romagna alle soglie del 2000”, Ferrara 24-25 dicembre 1994 Bellandi M. (1998), “Paths of an Evolving City: Alternatives and Relevance in Local Policy”, paper presented at the EUNIP Conference, Barcelona 1-3 October 1998 Bertocchi G. e M. Spagat (1998), “The evolution of modern educational systems. Technical vs. gneral education, distributional conflict and growth”, Materiali di discussione n. 234, Dipartimento di Economia Politica, Università di Modena e Reggio Emilia Brusco S. (1982), “The Emilian Model: Productive Decentralization and Social Integration”, Cambridge Journal of Economics Brusco S. e S. Paba (1997), “Per una storia dei distretti industriali italiani dal secondo dopoguerra agli anni novanta”, in Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, a cura di F. Barca, Roma, Donzelli Capecchi V. (1990), “A history of flexible specialization and industrial districts in EmiliaRomagna”, in F. Pyke, G. Becattini e W. Sengenberger (a cura di), Industrial districts and inter-firm co-operation in Italy, Geneva, ILO. Capecchi V. (1997), “Riforma della scuola e cambiamenti nel mondo del lavoro”, Inchiesta, n. 116 Cigognetti L. e M. Pezzini (1994), “Dalla lavorazione delle paglie all’industria delle maglie: la nascita del distretto industriale di Carpi”, in Distretti industriali e cambiamento economico locale, a cura di M. Bellandi e M. Russo, Torino, Rosenberg & Sellier. Cossentino F., F. Pyke e W. Sengenberger (eds.) (1996), Local and Regional Responses to Global Pressure: the Case of Italy, Geneva, ILO. Fiorani G. (1997), “Il mercato del lavoro e il mercato edilizio nel comune di Modena e nel comprensorio di Modena dal 1991 al 2011”, Comune di Modena, mimeo Isfol (1998), Unità capitalizzabili e crediti formativi. Metodologie e strumenti di lavoro, Milano, Franco Angeli. Mengoli P. (1993), “Dal truciolo alla maglieria: alle radici del distretto industriale di Carpi”, Padania, a. VII, n. 14 Mengoli P. (1997), “L’Emilie Romagne et le problème de l’unité italienne” in Avis de recherches, n. 45. Mengoli P. e M. Russo (1998), “Technical and vocational education and training in Italy: structure and changes at national and regional level”, Materiali di discussione n. 255, Dipartimento di Economia Politica, Università di Modena e Reggio Emilia Muzzioli G. (1993), Modena, Bari, Editori Laterza Russo M. (1996a), “Units of investigation for local economic development policies”, Economie Appliquée, vol. XLIX, n. 1 Russo M. (1996b), Cambiamento tecnico e relazioni tra imprese, Torino, Rosenberg & Sellier. Russo M. (1997), “L’industria manifatturiera in provincia di Modena: le esportazioni”, in Rapporto sulla situazione economica e sociale della Provincia di Modena, Modena, Cooptip Industrie Grafiche. Russo M. (2000), “Complementary innovations and generative relationships: an ethnographic study”, Economics of Innovation and New Technology Solinas G. (1994), “Grande impresa e formazione di competenze: l’industria meccanica a Carpi”, in Distretti industriali e cambiamento economico locale, a cura di M. Bellandi e M. Russo, Torino, Rosenberg & Sellier. Solinas G. (1996), I processi di formazione, la crescita e la sopravvivenza delle piccole imprese, Milano, Franco Angeli. Stewart T. A. (1999), Il capitale intellettuale. La nuova ricchezza, Milano, Ponte alle Grazie.. 25.

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