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"Punch and Poetry": studio degli elementi caratteristici della short story irlandese moderna

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Indice

Capitolo primo

1. Una forma breve: la short story in Irlanda II Capitolo secondo

2. Analisi delle opere XVII

2.1 Elizabeth Macdonald XIX

2.2 Keith Ridgway XXVII

2.3 Kevin Barry XXXVI

Capitolo terzo

3. Commento sulle scelte traduttive XLV

3.1 Il ritmo e lo stile XLVII

3.2 Il lessico LI

3.3 Il registro e il turpiloquio LIV

Bibliografia LVIII

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Capitolo primo

1. Una forma breve: la short story in Irlanda

Sintetica, concentrata e radicata nella tradizione; fin dalle origini la short story ha attira-to le attenzioni della critica letteraria e del pubblico, evidenziando caratteristiche che la di-stinguono da altri microgeneri letterari come la novella e il romanzo, seppur resistendo ad una definizione univoca e chiara. La sua rilevanza dal punto di vista letterario è cresciuta nel tem-po, grazie ai numerosi autori di rilievo che si sono cimentati nel genere, talvolta come diver-sione dalle fatiche della scrittura romanzesca, altre volte come principale e consapevole veico-lo della propria poetica.

Quello della short story è quindi un genere letterario che ha bisogno, per una migliore comprensione delle dinamiche interne alla sua forma, di una serie di considerazioni teoriche che aiutino a delimitarne il campo, così da ricondurre opere necessariamente varie sotto l’egi-da di una definizione che, per quanto provvisoria, riesca a comprendere un corpus tanto vasto e vario di narrazioni provenienti da contesti socio-culturali lontani nel tempo e nello spazio. Ciò è ancor più vero se limitiamo il campo all’analisi della forma short story al paese che più di ogni altro ne ha fatto uso, e che per evidenti meriti la considera un veicolo espressivo quali-ficato: l’Irlanda.

Forma utilizzata da molti autori di rilievo in tutto il mondo già dal XIX secolo (da Mau-passant a Cechov, da Turgenev a Poe1), per ciò che riguarda l’ambiente anglofono la short

story ha visto una fioritura tardiva rispetto a quella vissuta dal romanzo. Inoltre, si è

sviluppa-ta in particolare entro determinate comunità, sviluppa-tanto da far pensare ad una correlazione tra l’as-setto societario dei paesi in questione e lo sviluppo di un tale importante corpus (aspetto

sotto-II

1 E secondo Goyet è proprio alla fine del XIX secolo che la short story si afferma come genere indipendente: “it was

also the time when more masters of the form were active than perhaps at any other time: Chekhov, Guy de Maupassant, Luigi Pirandello, Henry James, Mori Oogai and Akutagawa Ryounosuke, to name just a few. The particular form of the genre has also been recognised. In 1985, Clare Hanson reminded us [...] that not only was the short story of that time important, but also that it had initiated a whole tradition in itself: the “short story”, as opposed to “short fiction” (cfr. F. Goyet, Classic Short Story: Theory of a Genre, Cambridge, Open Book Publishers, 2014, p. 3).

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lineato sia da Frank O’Connor che da Seán Ó Faoláin2). Si noti ad esempio la grande fioritura

della short story made in U.S.A., quella canadese o quella proveniente da altre ex-colonie del Commonwealth. All’interno di questo quadro variegato, l’Irlanda gioca un ruolo chiave nella definizione, nel perfezionamento, e, soprattutto, nell’effettiva produzione, sorprendente per quantità e qualità, di short story. È una storia che alcuni critici fanno risalire alla fine del Set-tecento, quando Maria Edgeworth pubblicò il racconto ‘The Purple Jar’3, e che di lì muove i

primi passi nel XIX secolo con William Carleton e Sheridan Le Fanu4, fino alla definitiva

af-fermazione del genere grazie alle opere di Joyce5 e George Moore agli inizi del Novecento. E

proprio il contributo seminale di George Moore (The Untilled Field, 1903) si rivelerà fonda-mentale per la forma tutta per ciò che riguarda l’intero ambiente anglofono6. Infatti, è dalla

sua conoscenza delle opere di Maupassant, Cechov e soprattutto Turgenev (Memorie di un

cacciatore, 1852), che la letteratura in lingua inglese assorbe la lezione di organicità e

coeren-za7. Ma è intorno alla metà dello scorso secolo che la forma acquisisce un carattere più nitido

e definito, grazie alle opere di quelle che sono state definite le “Tre O” della short story mod-erna: Liam O’Flaherty8, Seán Ó Faoláin9 e Frank O’Connor10; ed è in particolare per merito

degli ultimi due autori citati che il racconto irlandese riesce ad imporsi anche nel Regno Unito e nel mondo.

III

2 Cfr. S. Ó Faoláin, The Short Story, London, St. James's Place, 1946; e Frank O’Connor, The Lonely Voice: A

Study of the Short Story, New York, Melville, 2004.

3 Cfr. M. Butler, Maria Edgeworth: A Literary Biography, Oxford, Clarendon Press, 1972, pp. 159-174. 4 Cfr. H. Ingman, A History of the Irish Short Story, Cambridge, Cambridge University Press, 2009, pp. 70-75. 5 L’esperienza del modernismo è stata fondamentale per lo sviluppo della forma, ma, come giustamente nota Duyck,

è vero anche il contrario: “The scholarly interest in the modernist short story [...] continues to be relatively small, espe-cially when considering the quantity and quality of short stories in the modernist development of both literary moder-nism and the short narrative genre” (cfr. M. Duyck, “The Modernist Short Story, in M. Basseker e M. Duyck, Journal of

the Short Story in English, I, 64, 2015).

6 Il contributo di Moore è precedente a quello di Katherine Mansfield in Inghilterra (1917) e quello di Sherwood

Anderson in America (1919);per la ricezione critica dell'opera cfr. D.M. Averill, The Irish Short Story From George

Moore to Frank O'Connor, Washington, D.C., University Press of America, 1982, p. 32.

7 D.M. Averill, op. cit., p. 15.

8 Liam O’Flaherty (1896-1984) è considerato uno dei grandi maestri della short story moderna. Nasce sulle isole di

Aran e la natura irlandese e la comunità rurale che lì vive, aiuteranno a sviluppare in lui una forte coscienza delle pro-prie radici gaeliche. Studia a Dublino, vive la guerra civile e rimane ferito durante la battaglia di Langemarck, dalla quale tornerà molto vicino a posizioni socialiste estreme. Mentore di O’Connor e Ó Faoláin, alla sua morte ha 27 rac-colte di short stories all’attivo e una serie di romanzi (cfr. R. S. Crivelli, La Letteratura Irlandese Contemporanea, Ro-ma, Carocci, 2007, p. 228)

9 Forse il più influente interprete e critico di short stories, Seán Ó Faoláin (1900-1991) nasce a Cork dove studia e

lavora come censore per il Cork Examiner durante la guerra d’indipendenza. Studia ad Harvard, trasferendosi negli Stati Uniti dove vivrà per tre anni. Direttore di una delle più note riviste di short stories, The Bell, pubblica tra gli altri rac-conti di Patrick Kavanagh, Patrick Swift, Flann O'Brien, Frank O'Connor e Brendan Behan (cfr. H. Ingman, op.cit, pp. 99-101).

10 Il contributo apportato alla short story di Frank O’Connor è senza dubbio il più largamente riconosciuto a livello

internazionale per quanto riguarda la narrativa irlandese. Autore prolifico di oltre 150 opere, è considerato uno dei padri per ciò che riguarda definizione del genere (cfr. R. S. Crivelli, op.cit., p.228).

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Ma per quanto ragionati e completi risultino questi contributi critici sull’argomento, essi paiono oggi parziali e non in grado di descrivere appieno una forma che, con l’approssimarsi del nuovo millennio, ha indubbiamente cambiato volto, presentando tematiche e pratiche che sembrano confutare in parte le teorie precedenti. Soprattutto per ciò che riguarda la presente analisi, ovvero lo sviluppo della short story all’interno della produzione letteraria irlandese, non si possono tralasciare importanti avvenimenti socio-culturali e trasformazioni politiche più o meno evidenti. Nel presente studio mi propongo di svolgere un rapido excursus della storia di questa modalità narrativa, segnalando, ove possibile, il fil rouge che lega i racconti della prima fase con quelli della fase più cronologicamente prossima al punto di vista di chi scrive, in modo da aggiornare le valutazioni fatte su questo genere alla luce delle nuove pro-duzioni, con un occhio di riguardo non solo a tematiche e modalità narrative, ma anche ai mezzi di comunicazione sui quali tali opere sono state pubblicate.

Come accennato, un’analisi della short story presenta delle problematiche già a partire dalla sua definizione. Per capire cosa si intenda oggi per short story mi rifaccio ad una delle fonti tradizionali del sapere: il dizionario. Il Merriam-Webster, alla voce short story, recita: “an invented prose narrative shorter than a novel usually dealing with a few characters and aiming at unity of effect and often concentrating on the creation of mood rather than plot”11.

La definizione si concentra su alcune caratteristiche che vale la pena sottolineare, dato che contiene gran parte delle caratteristiche fondamentali della short story: una ristretta cerchia di personaggi che si trovano di sovente in situazioni non particolarmente sorprendenti; plot non troppo complessi, che spesso raggiungono una caratterizzazione di tipi individuali e concre-tezze sociali senza fare ricorso a una accumulazione eccessiva di tratti distintivi.

Questa definizione evidentemente risente del contributo che nel 1847 E. A. Poe apportò alla teoria narrativa. Una riflessione, quella, incentrata su ciò che egli chiamò tale, ma che a conti fatti oggi definiremmo short story, che piuttosto che concentrarsi sulle tematiche del ge-nere poneva l’accento sull’effetto e lo stile: l’architettura della forma racconto. È necessario richiamare, qui, le considerazioni sullo “unified effect” che Poe considerava elemento fonda-mentale al fine della costruzione di un buon racconto, tanto da essere considerato il vero e proprio fondamento dalla scrittura in forma breve. Secondo Poe, una forma sintetica come quella della short story non poteva far a meno di costruire una particolare atmosfera, tanto che “there should be no word written, of which the tendency, direct or indirect, is not to the one

IV

11 Dizionario Merriam-Webster, definizione ‘Short story’,

(5)

pre-established design”.12 Non troppo distante da Poe, Seán Ó Faoláin pose l’accento

sull’im-portanza della materia narrata come spinta propulsiva del racconto, solo se affiancato dall’uti-lizzo di un linguaggio capace di descrivere quelle situazioni efficacemente; uno stile che defi-nì “punch and poetry”:

Thus, the things I like to find in a short story are punch and poetry. The punch and poetry come from, inter alia, personal voltage. The voltage does something to the material. It lights it up, it burns it up, and it makes it fume in the memory as an aroma or essence, which clings to us even when we have forgotten the details of the yarn.13

Per quanto fondamentali questi contributi siano risultati per la definizione del genere, non possiamo non notare che non specificano in alcuna maniera quanto lungo un racconto debba essere per definirsi tale. Anche il Merriam-Webster, al riguardo, si limita al concetto di “short”, e come Poe, rimane piuttosto vago quanto a cosa davvero si intenda per “breve”. Come è possibile ravvisare comparando la produzione di autori distanti cronologicamente, lo stesso concetto di lunghezza, una delle caratteristiche principali di questa forma, è stato va-riamente interpretato e sta tuttora variando nel tempo. Si potrebbe dire che, in confronto ai classici di inizio Novecento, è possibile ravvisare una tendenza alla progressiva riduzione del-la lunghezza, benché questa tendenza non si possa considerare un tratto evolutivo deldel-la short

story contemporanea.

È quindi sorprendente che la caratteristica più immediatamente riconoscibile del genere, tanto da contribuire a battezzarla, sia in realtà più una convenzione che una vera e propria di-scriminante di genere. Per essere considerati a tutti gli effetti short, questi racconti devono rimanere all’interno di un range di estensione che è più affidato al buonsenso e alla percezio-ne personale che non ad una norma vera e propria14.

La sopracitata definizione, però, non fa menzione della caratteristica che forse più di tutte è stata tirata in ballo per descrivere la vera essenza della short story: la qualità orale della narrazione. È infatti su quest’aspetto che numerosi critici del passato si sono soffermati,

ri-V

12 E.A. Poe, Essays and Reviews, New York, Library of America, 1984.

http://www.eldritchpress.org/nh/nhpoe2.html

13 S, Ó Faoláin, The Short Story, cit, in M. J. Mojalefa, Rabadia Ratšhatšha: studies in African Language Literature,

Linguistics, Translation and Lexicography, Lagos, Sun Press, 2007.

14 Interessante a tal riguardo, le direttive dei vari concorsi di short stories, sempre più frequenti. Per quanto si provi

in alcuni casi a dare direttive specifiche (http://www.sfwa.org/nebula-awards/rules/), nella maggior parte dei casi si rifugge dallo specificare un quantitativo di parole limite per la short story, tanto da far pensare all’intenzione di non pronunciarsi definitivamente in un dibattito tuttora aperto.

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marcando come la short story, soprattutto in Irlanda, affondi le radici nella tradizione orale dello storytelling15. Alcune delle principali caratteristiche del genere, secondo certi studiosi,

possono essere ricondotte alla tradizionale narrazione dei seanchaí e degli sgéalai. Queste due figure, vicine a ciò che oggi considereremo un poeta (o fili), godevano di una fama e un pre-stigio sorprendenti all’interno delle proprie comunità. Erano figure particolarmente accultura-te, requisito fondamentale per destreggiarsi all'interno della complicata metrica gaelica, ed avevano compiti che assomigliavano più a quelli di un profeta-indovino piuttosto che di uno scrittore moderno. Nonostante la distanza che separa queste figure dallo scrittore moderno sia notevole, credo che proprio la short story sia la forma narrativa che più si presta a fungere da ponte tra la tradizione orale degli storytellers e il panorama letterario irlandese moderno. Al-cune caratteristiche fondamentali della narrazione orale sono infatti state riproposte ed elabo-rate nella moderna forma scritta16.

È indubbio che alcuni autori, soprattutto per ciò che riguarda il periodo del cosiddetto

Irish Renaissance, abbiano attinto alla tradizione orale e abbiano modernizzato la forma del

racconto. Valga come esempio la vicenda di Pádraic Ó Conaire, uno dei primi esponenti della

short story moderna, che, ricreando una prosa esemplata sull’oralità delle shanachie, funge

più scopertamente di altri da raccordo tra le due tradizioni: il folklore e la parlata degli abitan-ti delle Gaeltacht, uniabitan-ti agli insegnamenabitan-ti di Cechov e Conrad17. Oppure si veda

l’appropria-zione della lingua parlata da parte di William Carleton messa in atto nel suo Traits and Stories

of the Irish Peasantry (1830-33), nel quale il “brogue” contadino è ricostruito

minuziosamen-te. Inoltre, nella raccolta i richiami alla tradizione orale appaiono evidenti nel ricorso all’im-magine del gruppo di contadini seduti intorno al fuoco a raccontarsi storie, espediente questo che permette all’autore di fornire una cornice esterna nella quale inscrivere la sua raccolta ete-rogenea di racconti18. È alla luce di tali considerazioni che tenderei a spiegarmi il grande

suc-cesso di pubblico che ha investito la short story. Considerandola una versione “ammodernata”

VI

15 J.F. Kilroy, The Irish Short Story: A Critical History, Boston, Twayne, 1984, p.4.

16 Si noti l’insistenza con cui O’Connor di The Lonely Voice (op.cit.) esalta le “middle stories” dei Dubliners di

Joyce,

in contrapposizione con le altre della raccolta, criticate per la maggiore distanza della forma short story impiegata dalla tradizione orale dello storytelling. Averill, op.cit., p.239.

17 Cfr. H. Ingman, op.cit., p. 112-113.

18 La cornice dell’opera di Carleton non può non ricordare quella del Decameron di Boccaccio e del Lais di Marie di

Francia. Riguardo a queste opere e alla performatività orale della short story, Santi scrive: “The performance of story-telling is thus a constitutive element of early models and historically identifies the short story collection as a series of narrative acts. In this I find a first fundamental characteristic of the collection, which is subsequently reinorced by other chesive elements, such as the setting, the focus on one or on a group of characters, the themes and so on” (cfr. M. Santi, “Performative Perspectives on Short Story Collections”, in E. D’hoker e B. Van den Bosshe (eds.), Interferences

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del racconto tradizionale in forma orale, credo che, consciamente o meno, il lettore irlandese abbia riconosciuto nella short story una continuità con il tradizionale storytelling che non è riuscito a ritrovare nel romanzo19.

Più recentemente è stato affermato che la short story moderna sarebbe nata dall’unione del tale, antica forma sintetica di espressione orale della propria specificità culturale, fondata su avvenimenti anche simbolici, e quasi esclusivamente al fine di autorappresentare la società di cui narra20, con lo sketch, più fattuale e giornalistico, generalmente votato all’analisi e alla

descrizione piuttosto che alla narrazione o alla drammatizzazione.21 Proprio da questa

presun-ta unione sarebbe napresun-ta la grande capacità descrittiva della short story: l’attenzione per le cose e i fatti unita alla musicalità e all’immediatezza del racconto orale.

Nella versione moderna del genere, il ricorso agli stilemi della tradizione orale si mani-festa oggi sotto forme più sottili e sotterranee22. Non emerge, intanto, una forte personalità

dell’autore/io narrante, elemento caratteristico dello storyteller in quanto presenza fisica e narrativa che mantiene vivo l’interesse del pubblico concreto al quale si rivolge. Non solo, secondo Averill, l’imitazione delle tecniche del racconto orale non rimanderebbe nemmeno ad una continuità dal punto di vista dello scopo della scrittura: secondo la saggista irlandese, si nota invece un marcato cambiamento di rotta, poiché, a differenza del folktale, lo scopo della

short story moderna “is essentially different, as it expresses not communal attitudes but the

personal, individual viewpoint of the author”23. Piuttosto, è alla musicalità del racconto orale

che si ritorna. Il seanchaí confermava la coesione della comunità della quale narrava e ne de-finiva l’identità, fornendo resoconti, spesso leggendari, della storia e delle conquiste del

clan24. Ricreare alcuni tratti della narrazione orale come ponte tra le storie e le forme narrative del passato con quelle presenti sembra, insomma, una delle preoccupazioni dello scrittore di

short stories moderno. Ma il corpus, complessivamente, mantiene una notevole varietà e

resi-ste a inquadramenti limitativi anche dal punto di vista stilistico.

VII

19 Cfr. D.M. Averill, op.cit., p. 86.

20Enciclopedia Britannica, definizione di ‘Short story’, http://www.britannica.com/art/short-story 21 Ibid.

22 “The performative component of the short story collection is explicit from late medieval collections pmwards,

where a character, or the text itself, metanarratively declares the single narrative act and its macrotextual contextualiza-tion. The presence of macrotextual narrative performance is no longer made explicit in contemporary literature, [...] performance is historically involved in the definition of the identity of the short story collection in its single components as well as in its overall structure, in spite of the fact that it is no longer explicitly marked in the texts” (cfr. M. Santi,

op.cit.).

23 D.M. Averill, op. cit., p. 21. 24 Cfr. J.F. Kilroy, op.cit., p.4-5.

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A proposito dello stile delle short stories, possiamo notare come il dialogo costituisca una parte fondamentale della narrazione, affermandosi come principale mezzo di definizione dei personaggi. Come già accennato in precedenza, la forma breve richiede una capacità note-vole di sintesi: le informazioni fornite al lettore per contestualizzare la vicenda narrata e carat-terizzare i personaggi da un punto di vista sociale ed emotivo devono necessariamente fare i conti con uno spazio narrativo ristretto25. Il dialogo si è quindi affermato come mezzo

prefe-renziale di descrizione di situazioni e personaggi. Come il monologo interiore e la focalizza-zione interna, esso fornisce agli autori un canale preferenziale per la descrifocalizza-zione della mente dei personaggi. Ciò è ancor più vero per gli scrittori di short stories al femminile: soprattutto agli albori della scrittura al femminile in Irlanda, il racconto di queste autrici era incentrato principalmente sulla risposta emotiva dei personaggi. Le short stories di Mary Lavin26 o Edna

O’Brien27 fanno largo uso del dialogo per evidenziare, con sottile abilità, la condizione fisica,

sociale e mentale delle donne nell’Irlanda della dittatura mascherata di De Valera; ciò che è stato definito “the life of the mind”28. È proprio attraverso il dialogo che i personaggi al

fem-minile acquisiscono una consapevolezza del loro ruolo all’interno della società e che, non senza dolore, si rassegnano ai ruoli di Madonna-Moglie/Madre- Maddalena. Nella fattispecie, è proprio la Lavin a distinguersi come l’autrice che più di ogni altra ha sfruttato la forma dia-logica per arrivare al fondo dell’animo umano (e in particolare femminile); nelle sue storie non c’è spazio per i grandi drammi, né per l’aperta denuncia sociale. Le coppie, componenti centrali nella produzione dell’autrice nata negli Stati Uniti, e soprattutto le coppie al femmini-le (madri-figlie, sorelfemmini-le, amiche), portano a galla attraverso il dialogo la frustrazione e l’inca-pacità di reagire di fronte alle norme sociali che imprigionano l’individuo. In un magnifico esempio di sintesi e sottinteso, la Lavin, in “In a Café”,29 ci mostra la diversa visione della vedovanza di due amiche, una giovane e una più anziana, per le quali la società prevede

desti-VIII

25 A riguardo Frank O'Connor scrisse: “Since a whole lifetime must be crowded into a few minutes, those minutes

must be very carefully chosen indeeed and lit by an unearthly glow, one that enables us to distinguish present, past, and future as though they were all contemporaneous”. D.M. Averill, op.cit., p. 237.

26 Mary Lavin (1912-1996) è stata una delle pioniere della scrittura al femminile in Irlanda. Nata negli Stati Uniti, si

trasferisce a dieci anni in County Galway, terra di origine della madre. Scrive diciotto raccolte di short stories, vincen-do, tra l’altro, il prestigioso James Tait Black Memorial Prize. La sua scrittura è largamente influenzata dalle vicende personali che scossero la sua vita, e si concentra principalmente sulle relazioni sociali di donne escluse dalla società rigidamente patriarcale e cattolica della comunità irlandese. Cfr. R. S. Crivelli, op.cit., p. 236.

27 Edna O’Brien (1930) è considerata la prima donna in Irlanda a rompere il silenzio che circondava il tema del

ses-so, considerato tabù, nel dopoguerra. Scrittrice di romanzi, saggi, opere teatrali e poesia, le sue short stories analizzano il senso di colpa che la società, la famiglia e le istituzioni irlandesi impongono alla donna. Cfr. R. S. Crivelli, op.cit., p. 240.

28 R.S. Crivelli, op.cit., p.233.

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ni ben diversi. Nell’ottica di una vita al servizio del proprio uomo, la più giovane accetta di buon grado il compito di trovare un nuovo marito da servire, mentre la più anziana, che la so-cietà considera praticamente “tagliata fuori”, proprio attraverso il dialogo con l’amica rag-giunge una dolorosa accettazione del proprio non- ruolo alla morte del marito che tuttora ama. Nell’esaltare l’amore oltre la morte, la Lavin sottilmente mostra come le consuetudini sociali negli anni ’60 dello scorso secolo ancora limitavano il ruolo della donna: solo attraverso il dialogo e l’introspezione la sua short story riesce a instillare il pensiero senza imporlo al letto-re coattamente.

Questa varietà e resistenza a mostrare dei tratti distintivi univoci si manifesta ancora una volta se decidiamo di inquadrare la short story da un punto di vista tematico-contenutistico. Richiamando nuovamente la tradizione orale dei seanchaí, possiamo affermare che le antiche gesta e leggende fantastiche allora narrate non sembra trovino spazio all’interno delle narra-zioni moderne30; è piuttosto la tradizione degli sgéalai che trova in qualche modo un riscontro

tematico all’interno del corpus moderno della short story. È proprio questa attenzione alla comunità e agli aneddoti popolari e quotidiani, che gli scrittori moderni hanno in mente quan-do si cimentano in questo genere31. Avvalendoci di uno dei contributi teorici sulla short story

più influenti e discussi della tradizione irlandese, potremmo dire che l’attenzione posta dagli

sgéalai sulla comunità piuttosto che sugli eroi e le grandi gesta, assomigli ad una versione

an-tica e tradizionale dell’attenzione che, secondo lo scrittore e saggista Frank O’Connor, spinge l’autore moderno di short stories a concentrarsi sui “submerged population groups”, le “out-lawed figures wondering about the fringes of our society”32. Senza entrare nel merito

dell’an-nosa questione che ha caratterizzato e tuttora caratterizza l’interpretazione della definizione “submerged population groups” (da che punto di vista “submerged”? chi ha diritto di definirsi tale? come giustificare la presenza di personaggi decisamente poco marginali?),33 possiamo

notare come O’Connor abbia giustamente posto l’accento sull’importanza della quotidianità delle vicende narrate nei racconti, proprio in un periodo, quello postbellico, che ha visto la

IX

30 Eccezion fatta per molti degli autori impegnati nel progetto dell'Irish Literary Revival a cavallo tra il XIX e il XX

Secolo.

31 Si veda, a tal riguardo, la produzione di Bryan MacMahon che strizza l’occhio al gossip e all’aneddoto

folcloristico (cfr. R. S. Crivelli, op.cit., p.258).

32 Frank O’Connor, op.cit, 2004. 33 Cfr. D.M. Averill, op.cit., p. 235.

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grande maggioranza della popolazione irlandese vivere ai margini di una società che, già per le dinamiche internazionali, era di per sé una “submerged society”.

Rifacendoci a Seán Ó Faoláin, notiamo invece come le idee di O’Connor possano essere considerate il contributo principe di una riflessione che in quegli anni aveva coinvolto tutta la comunità artistica irlandese, e in particolare gli autori di short stories34. Nell’associare la

grande diffusione del genere con l’attenzione rivolta dagli scrittori a ciò che O’Connor chia-merà in seguito i “sommersi” tipici della società irlandese, Ó Faoláin parte dall’osservazione della condizione della short story nel panorama della letteratura anglofona35. La più longeva

delle “Tre O” nota come il genere si sia sviluppato e abbia raggiunto una notevole affermazio-ne artistica e di pubblico in paesi ex-colonie della corona affermazio-nei quali una società stabile e cri-stallizzata non aveva ancora avuto il tempo di formarsi, presentando così disparità sociali in-terne, comunità molto povere, emarginazione, alienazione. Secondo Ó Faoláin, sarebbe pro-prio la società irlandese, rigida e tradizionale, uno degli esempi più evidenti di comunità ina-datta allo sviluppo del romanzo. A causa dell’oppressività di una società imbevuta di morale cattolica, l’autore non troverebbe uno scopo valido per scrivere romanzi: “The novel else-where may be frustrated by the uncertainties of men lost; here it is frustrated by the certainties of men saved”36. Queste riflessioni non sono dissimili da quelle che lo stesso O’Connor

for-mulerà dieci anni più tardi, nelle quali sottolinea come la forma romanzo differisca dalla short

story per la differente attitudine nei confronti del lettore e della società: “In the novel the

reader can identify with the main character, and the main character functions within a ‘nor-mal’ society, but characters in short stories are ‘Little Men’, mock-heroic figures with whom we cannot identify, and there is no normal society to which they can relate”.37

Detto ciò, da un’analisi dello sconfinato corpus di short stories di tutto il mondo, credo sia azzardato sostenere che questo genere sia in qualche modo collegato ad una struttura so-cietaria instabile, o nuova e tuttavia non ancora cristallizzata. Senza necessariamente citare il caso di V.S. Pritchett, inglese e grande maestro della short story moderna, credo piuttosto che il focus tematico della short story, sempre che sia possibile generalizzare in questo modo, sia fondamentalmente incentrato sull’individuo e sulla conseguente universalità del messaggio espresso. A mio parere, per quanto questi “Little Men” si possano considerare, nelle loro

di-X

34 Si veda il rapporto tra O’Connor e Ó Faoláin sotto la guida di Daniel Corkery: cfr. Averill, op. cit., p. 21. 35 S. Ó Faoláin, The Short Story, cit.

36 Anonimo, “Ireland After Yeats”, The Bell, I, 18 (1953), 38-39; in D.M. Averill, op. cit., p.160. 37 D.M. Averill, op. cit., p.235.

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verse declinazioni, uno dei temi ricorrenti della short story, tali soggetti ai margini della so-cietà servono e sono serviti agli scrittori come individui campione dai quali poter derivare considerazioni di largo respiro sull’essere umano. Lo stesso O’Connor, nel comparare l’opera di Somerville and Ross con quella di George Moore, cita il celeberrimo finale di “Home Sickness”: “The narrative line is merely a pattern: the pattern of human life as we have all ex-perienced it [...] It has the absolute purity of the short story”38.

Anche H.E. Bates, nel 1941, parlava della short story irlandese come di un atto di ribel-lione. Secondo il critico inglese, sarebbero la lingua, la politica e la chiesa cattolica a determi-nare le caratteristiche principali della forma breve irlandese; e proprio in risposta a queste pressioni la short story acquisterebbe i suoi tratti distintivi “rivoluzionari”. Secondo Bates in-fatti, nella short story irlandese possiamo rilevare un conflitto interiore tra il “sense of sin” instillato dalla chiesa cattolica e il senso del bello che essa stessa demonizza, “the struggle [...] the legacy of moral superstition and the physical loveliness of life”39. Non molto distanti dalle

posizioni di Bates sono quelle di David Norris, che, in un contributo del 1979, sintetizza il tema fondamentale della short story irlandese nel “ conflict between the individual’s capacity for developing an imaginative response to his environment, and those [...] ‘authority struc-tures’”40. Questo conflitto che si creerebbe tra l’individuo e le “authority structures”, secondo

l’autore sarebbe visibile a livello manifesto come opposizione alla chiesa e allo stato nella forma di ribellione contro i rappresentanti di quel potere (riferimento alle vicissitudini politi-che dell’isola), oppure a livello sotterraneo e personale, come scontro quasi schizofrenico tra pulsioni liberatorie e di crescita dell’individuo opposte alle restrizioni che la società e la mo-rale ci impone e che facciamo nostre. Queste teorie però, dimostrano ancora una volta un de-bito di riconoscenza nei confronti di O’Connor. Già nel 1962 lo scrittore e saggista aveva ri-flettuto sulle costrizioni imposte dalla società irlandese sull’uomo moderno: in un passaggio su Liam O’Flaherty, O’Connor si era già soffermato sul conflitto tra “instinct” e “judgment”, ovvero la repressione degli istinti vitali da parte di una società da lui definita asfissiante,

por-XI

38 Ibidem, p.238.

39 H.E. Bates, The Modern Short Story: A Critical Survey, London, Thomas Nelson and sons, 1941, pp. 148-49. 40 D. Norris, “Imaginative Response Versus Authority Structures. A Theme of the Anglo-Irish Short Story”, in D.

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tando alla luce uno dei temi fondamentali dell’opera di O’Flaherty, della propria e della short

story irlandese in generale41.

Personalmente trovo che queste ultime teorie, rispetto a quelle citate in precedenza, ab-biano il vantaggio di concentrarsi maggiormente sulla risposta dell’individuo di fronte alle sollecitazioni esterne; le giudicherei, insomma, più inclusive e quindi più adatte all’analisi di una forma variegata e cangiante come quella della short story. Tali teorie non entrano in con-flitto con quella della predilezione per la “popolazione sommersa”, bensì evidenziano i rap-porti difficili e spesso conflittuali che si instaurano quando l’individuo, che sia “Little” o me-no, si scontra con una norma imposta che ne limita le libertà. È per questo motivo che consi-dero i soggetti protagonisti della forma short story un campo di ricerca non pertinente se vo-gliamo trovare una qualità che accomuni tutta la forma breve irlandese. La posizione margina-le di questi personaggi credo sia giustificata poiché può servire all’autore per analizzare un tipo di umanità libero da sovrastrutture e condizionamenti di tipo sociale troppo costrittivi, così da rendere il messaggio più efficace e universalmente valido. È in questo modo che ten-derei a spiegarmi ad esempio l’attenzione nei riguardi del nucleo familiare, espressione della società nella dimensione ristretta. Ciò denota una tendenza a circoscrivere il campo, semplifi-care i rapporti interpersonali e quindi eliminare il più possibile variabili esterne. Quello che ne risulterebbe, allora, non sarebbe soltanto il bozzetto folkloristico ritratto di un’umanità margi-nale, né una descrizione della vita nelle campagne di Co. Cork o i sobborghi di Dublino42,

bensì un focus su una serie di individui depurati da dinamiche esterne a quelle intrinseche del-l’esperienza umana. Ciò giustificherebbe, quindi, la grande diffusione dei “Little Men” nei nostri racconti, poiché, non essendo inseriti propriamente o efficacemente nell’apparato socia-le, risultano in un certo senso uomini nudi, senza la protezione di una struttura societaria; più puri, più umani.

In termini evolutivi, è a partire dalla fine degli anni ’60 che la short story irlandese ini-zia ad assumere una forma che più si avvicina a quella moderna. La svolta per ciò che riguar-da il genere è stata fatta spesso corrispondere43 alla svolta politica dell’Irlanda che inizia nel

XII

41 Si veda ad esempio il trattamento del tema della repressione degli istinti e dell’inadeguatezza emotiva di fronte

alla rigida morale cattolica di facciata anche in Lovers of the Lake, di Ó Faoláin (cfr. P. Delaney, The Desire for Clarity:

Seán Ó Faoláin “Lovers of the Lake”, in D.Malcolm e C. A. Malcolm (eds), A Companion to the British and Irish Short Story, Chichester, Wiley-Blackwell, 2008, p. 448).

42 Seán Ó Faoláin dichiarò anche che l’Irlanda raccontata nelle sue storie lo interessava esclusivamente quando

riusciva rappresentare il mondo intero. R.S. Crivelli, op. cit., p. 231.

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1959 con l’elezione a primo ministro di Seàn Lemass, esponente di Fianna Fàil, che interrom-pe il lungo susseguirsi di governi DeValera, anche se appartenente allo stesso partito politico. È infatti con Lemass che prende mossa una serie di riforme moderne che porteranno, nel lun-go termine, l’Irlanda verso la modernità44. Tra le date più significative, non possiamo esimerci

dal citare il 1968, turning point per le società di tutto il mondo occidentale a causa dei moti studenteschi, ai quali, in Irlanda, si aggiunge l’inizio di una serie di atti violenza che in segui-to porterà allo scoppio dei Troubles e degli attacchi terroristici dell’IRA. Di capitale impor-tanza per comprendere la svolta della short story in quegli anni è il progressivo inurbamento della popolazione rurale irlandese, fatto, questo, che porterà al consolidamento di un ceto me-dio urbano che, a lungo andare, creerà una coscienza sociale liberata dalle costrizioni soffo-canti della chiesa cattolica. Purtroppo, la commistione chiesa-istituzioni, che affonda le sue radici ai tempi della rubigine della patata del XIX secolo, sarà dura da sconfiggere, e il parere della chiesa rimarrà a lungo particolarmente influente. Sempre in quest’ottica, la censura, che per il momento non viene abolita45, allenta la sua presa e permette agli autori irlandesi

mag-giori possibilità di essere pubblicati in patria46. Inoltre, è in questi anni che si assiste ad una

progressiva apertura nei confronti dell’Europa; apertura che culminerà con l’ingresso dell’Ir-landa nell’allora CEE nel 1973.

È in un contesto del genere, di grande cambiamento sociale e istituzionale, che la short

story in Irlanda si dimostra veicolo principale del pensiero degli intellettuali dell’isola di

sme-raldo. Ancora una volta questa forma cambia gradualmente veste, si mette in discussione e si adatta alla realtà che circonda lo scrittore moderno per continuare a descrivere un’Irlanda che sta cambiando a sua volta forma. Robert G. Hogan, nel suo saggio del 198447, nota come la

vera differenza tra la short story classica e quella moderna risieda nell’attenzione di quest'ul-tima per i conflitti interiori dell’individuo, nel focus sulla psiche dei personaggi descritti. A questo riguardo, vale la pena citare l’esempio di Desmond Hogan, la cui attenzione si soffer-ma spesso sulle reazioni delle persone comuni ai grandi avvenimenti storici e a come i movi-menti politici e i grandi cambiamovi-menti sociali possano influenzare la vita delle persone comuni,

XIII

44 Fu importante l’avvio delle trasmissioni di RTÈ nel 1961 e l’abolizione delle rette scolastiche nella scuola

secon-daria superiore. R.S. Crivelli, op. cit., p.235.

45 La censura letteraria verrà abolita definitivamente soltanto nel 2010 (Cfr. H. Ingman, op.cit., pp. IV-V).

46 Quella stessa censura che tanto aspramente era stata criticata da O’Connor in The Lonely Voice, e che non permise

la pubblicazione di numerose opere dello stesso O’Connor, di Ó Faoláin e dello Ulysses di Joyce, tanto per fare alcuni esempi illustri.

47 R. G. Hogan, “Old Boys, Young Bucks, and New Women: The Contemporary Irish Short Story”, in J. F. Kilroy

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con una particolare predilezione per le figure marginali48. Anche il progressivo inurbamento

della popolazione è un fenomeno che la short story non manca di segnalare. Dagli anni ’70 in poi, infatti, assistiamo ad un netto spostamento dell’attenzione: il focus degli scrittori del-l’epoca si concentra quasi esclusivamente sulle città, materia fondamentalmente abbastanza trascurata negli anni precedenti a quelli, dimostrando una notevole sensibilità nei confronti delle tematiche contemporanee della loro epoca49.

In questo clima di apertura sociale assaporato con colpevole ritardo, un segno fonda-mentale del nuovo clima dell’isola è dato dalla scrittura al femminile. Sebbene il movimento femminista non possa dirsi completamente sviluppato negli anni ’70 irlandesi, è indubbio che la messa in discussione del ruolo di madre-vergine50, unito al leggero miglioramento delle

condizioni economiche del paese, siano concause che spiegano la grande fioritura della lette-ratura breve (e non solo) al femminile. È in questo contesto che si iscrivono due autrici come Julia Ó Faoláin51 (figlia di Seán Ó Faoláin) ed Edna O’Brien, che con la loro descrizione delle

relazioni tra donne, o con i coniugi e padri (soprattutto la O’Brien), mettono finalmente in lu-ce il punto di vista della donna all’interno della società irlandese52. È fondamentale

sottolinea-re l’importanza della scrittura al femminile per lo sviluppo della short story irlandese, poiché è proprio attraverso i racconti delle donne che possiamo comprendere la nuova atmosfera che in quegli anni investì la società intera. Ad esempio, grazie alla O’Brien il tema del sesso, di-viene consapevolmente affrontabile e cessa di essere un tabù. Più avanti, negli anni ’90, que-sta nuova maturità consentirà il raggiungimento di grandi rivoluzioni societarie come la libe-ralizzazione dei contraccettivi (1993), l’abrogazione del reato di omosessualità (1993) e la legge sul divorzio (1997)53. Con gli anni ’90 entriamo infatti in un’era di grandi innovazioni,

che inizia con l’elezione a presidente di Mary Robinson (1990). Se, da un punto di vista

socia-XIV

48 Si veda Diamonds at the Bottom of the Sea, London, Picador, 1982.

49 Si noti come da George Moore a Frank O’Connor, i racconti irlandesi si siano di sovente concentrati sulla

descrizione della campagna irlandese e delle comunità che lì vivevano, con l’unica eccezione eccellente dei

Dubliners di Joyce.

50 Si ricordi il Marriage Ban, che impediva alle donne sposate di continuare un lavoro statale, e la propaganda

nazionalista che raffigurava l’Irlanda come una giovane da salvare dall’invasione dei costumi Inglesi (Caitlín Ní Uallacháin) o una madre bisognosa d’aiuto che chiamava i suoi figli a raccolta (Séan Bhean Bhocht). R.S. Crivelli,

op. cit., p. 229.

51 Figlia di Sean Ó Faoláin, nasce nel 1932 a Londra ma studia allo University College di Dublino, dove vivrà gran

parte della sua infanzia e giovinezza. Lì riscopre le sue radici irlandesi, ma ciò non le impedirà di attingere da numerose altre letterature di tutto il mondo, grazie anche ai periodi di studio presso la Sapienza di Roma e la Sorbona di Parigi. Ha lavorato come insegnante di lingua inglese e traduttrice, ha scritto quattro raccolte di short stories, Man in the Cellar (1974), Melancholy Baby (1978), and Daughters of Passion (1982) e cinque romanzi, Three Lovers (1970), Women in

the Wall (1975), No Country for Young Men (1980) e The Obedient Wife (1982) (cfr. H. Ingman, op.cit., p. 189).

52 Cfr. H. Ingman, op.cit., p. 157-160. 53 R.S. Crivelli, op.cit., p. 247.

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le, la sua presidenza apporterà un considerevole progresso, non va dimenticata la politica eco-nomica che porterà per la prima volta un vero e proprio benessere in Irlanda, invertirà lo stori-co flusso migratorio in uscita, e farà entrare l’isola nella stori-cosiddetta era della Celtic Tiger.

Ne risulterà, per ciò che riguarda la short story, un progressivo allontanamento dai temi che per decenni erano stati quelli prediletti da questa forma. Per citare un saggio di David Marcus, “the three tyrannous S’s of the Irish Countryside, Sin, Soil and Sex [...] are no longer its daemons”54. Oltre all’interesse per la sessualità, formalmente sdoganata già dalla O’Brien,

è indicativo come la presenza di uomini della chiesa (si pensi al Daniel Corkery di “The Priest”) non sia più altrettanto frequente, o come il territorio non rappresenti più un legame inscindibile tra l’individuo e la comunità natia, la metà che manca per completare la sua iden-tità. Assistiamo a una progressiva apertura dell’Irlanda al processo di globalizzazione; anche le tematiche affrontate dalla maggior parte degli scrittori moderni perdono di specificità locale e sono globalmente riconosciute come appartenenti all’uomo occidentale di oggi.

Anche la scrittura al femminile si inserisce in questo quadro globalizzato. Nel racconto femminista irlandese ritroviamo, infatti, temi e tropi rinvenibili nella scrittura di donne di tut-to il mondo. La matrice autut-tobiografica rimane una delle grandi costanti di questa scrittura. L’arte e la creazione artistica si delineano come veicoli preferenziali per la definizione del-l’identità femminile, e la rivisitazione di opere del passato, filtrate attraverso la coscienza di donna, diviene atto di riappropriazione della propria dignità e della propria storia55.

Per ciò che riguarda gli scrittori al maschile, invece, ci troviamo di fronte ad un movi-mento pressoché opposto. Lo scrittore irlandese, infatti, pare patire una specie di complesso di inferiorità nei confronti degli autori al femminile. Se la donna dimostra una sicurezza che la società irlandese aveva fino ad allora tentato di soffocare, il maschio sembra perdere la cer-tezza che la società patriarcale gli garantiva. Da ciò deriva la frequenza di racconti che narra-no gli imbarazzi sessuali di uomini ormai spossessati del proprio ruolo, nella famiglia e nella società, oppure lo sguardo nostalgico nei confronti di un passato rurale idealizzato. È a questo passato che sono legate le figure dei padri in conflitto generazionale con i figli, tema classico della short story delle “Tre O” e tuttora attuale. I padri dei racconti degli ultimi decenni ten-dono ad avere i difetti dell’uomo moderno occidentale: sono negligenti, insoddisfatti e scansa-fatiche, ma, nella loro inadeguatezza ai tempi moderni, sembra non siano riusciti a liberarsi

XV

54 D. Marcus, “The Irish Short Story’s Last Hurrah?”, in T.P. Coogan (ed.), Ireland and the Arts, London, Namara

Press, 1986, p, 82-87.

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degli ultimi orpelli della “grandezza” passata (per lo meno nel regno familiare) e pretendano, quasi comicamente, di essere considerati la colonna portante della comunità e della famiglia56.

Al tema dell'esilio, immancabile se prendiamo in considerazione i grandi autori della

short story classica, potremmo dire che si sostituisce, a partire dagli anni '90, il tema del

viag-gio57. Si tratti di spostarsi dalla città verso le campagne, o di spostarsi all'estero, in località

esotiche o nei paesi mediterranei, l'allontanarsi dalla patria tuttora rappresenta per lo scrittore irlandese un modo di prendere le distanze dai valori condivisi. Se per Ó Faoláin e Trevor la distanza dalla terra natia era tanto fisica quanto fictional, cioè limitata ai loro personaggi, va notato come le loro storie di esilio o di lontananza abbiano acquistato, grazie alla matrice au-tobiografica, una notevole profondità e compiutezza stilistica. E come quei racconti, le loro controparti moderne si servono della distanza dalla patria per dipingere la stessa umanità, alle prese però con contesti nuovi che servono all'autore per tirare fuori dal loro profondo la vera essenza dell'irlandese e smascherare le falsità della società contemporanea. Uno dei trattamen-ti sicuramente più originali di questo tema è quello di Aidan Mathews58. Nei suoi racconti il

viaggio è una costante, al quale va affiancato il punto di vista infantile dei bambini. Questa miscela fa sì che i protagonisti di Mathews, grazie al candore che li contraddistingue, con il loro sguardo privo di preconcetti arrivino a mettere in difficoltà gli adulti, noi lettori, e la so-cietà stessa, costringendoci a riflettere su problematiche quali l’inconscio collettivo, l’auto-in-dulgenza individuale e il perbenismo di facciata59.

XVI

56 Si veda a tal riguardo la produzione di Bernard MacLaverty, in particolare la raccolta A Time to Dance & Other

Stories (London, Braziller, 1982).

57 A tal proposito, si veda il trattamento del tema dell’esilio nell’era della Celtic Tiger, concentrato esclusivamente

sulla figura migrante di ritorno in Irlanda e la tendenza, a livello istituzionale, di enfatizzare il momento del ritorno piut-tosto che quello della partenza, parte di una politica volta a modificare l’immagine dell’Irlanda: da paese di migranti a paese finalmente moderno al quale ritornare (cfr. E. O’Leary e D. Negra, “Emigration, return migration and surprise homecomings in post-Celtic Tiger Ireland”, in Irish Studies Review, XXIV, 2, 2016).

58 Aidan Mathews (1956, Dublino) è un affermato scrittore di romanzi, poeta, drammaturgo e sceneggiatore

televisi-vo, oltre che scrittore di racconti. I bambini sono protagonisti di gran parte della sua opera (soprattutto teatrale e narra-tiva), poiché attraverso il loro sguardo, ha affermato, riesce a restituire una visione della società moderna priva di qual-siasi preconcetto (cfr. Aidan Mathews, DBF Interviews: Aidan Mathews, Dublin Book Festival, 2015).

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Capitolo secondo

2. Analisi delle opere

Abbiamo già detto come i grandi cambiamenti che ha subito l’Irlanda negli ultimi de-cenni abbiano stravolto l’aspetto societario ed economico di un paese fino ad allora fonda-mentalmente rurale e tradizionale. Tali cambiamenti hanno avuto un influsso importante sulla

short story, che, a partire dagli anni ’90, si è trovata per la prima volta di fronte a

problemati-che tipiproblemati-che delle civiltà più all’avanguardia del nuovo millennio. Gli autori problemati-che in questo bre-ve capitolo di analisi andremo a trattare hanno tutti vissuto sulla propria pelle la rivoluzione della Celtic Tiger, ed è interessante riflettere su come i tre, attraverso i loro stili narrativi, ri-spondano ai problemi che il nuovo periodo storico pone davanti. È interessante notare come in tutti loro si ritrovi, declinato diversamente, il tema della perdita d’identità personale. Ci tro-viamo infatti di fronte a individui che, per motivi decisamente differenti, e in contesti diffe-renti, si trovano a fronteggiare una crisi identitaria strettamente collegata alla mancanza di, o l’allontanamento da, una serie di valori che in passato avevano uniformato la società irlande-se. I protagonisti della MacDonald, ad esempio, vivono dolorosamente il distacco dalla terra natale perché non sono riusciti a trovare una mediazione tra il loro Io presente e il loro Io pas-sato; quelli di Ridgway si accorgono che il loro stile di vita li ha allontanati dalla vera essenza irlandese; quelli di Barry ci mettono di fronte ad una corruzione drammatica della morale che rispetto al passato è cambiata solo nei modi, non nella sostanza. In tutti ritroviamo i moduli della narrazione orale, alla quale ognuno attinge alla propria maniera. Si passa dalla musicali-tà lirica alla freschezza della verve rurale fino ad arrivare alla frammentazione sintattica. Co-mune a tutti loro è il tentativo di trasformare il racconto orale in materia letteraria, passando dalla parola alla pagina.

È proprio questa attenzione per i vari aspetti del tradizionale storytelling che lega le nar-razioni in sé molto diverse degli autori che qui tratteremo: seppur in maniera diversa, è come se, rifacendosi alla tradizione orale, lo scrittore irlandese ricercasse in questa forma narrativa

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un punto di unione tra passato e presente attingendo al patrimonio orale e letterario nazionale, per definire la propria identità culturale e ri-descrivere sé stessi in quanto protagonisti di una nuova realtà globalizzata.

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2.1 Elizabeth Macdonald

Le storie di Elizabeth MacDonald, a differenza delle altre che tratteremo in questo capi-tolo, sono interamente ambientate in Italia. Nei temi trattati, esse rappresentano l’evoluzione di una tendenza molto comune della short story irlandese fin dal periodo classico di questo genere. Se solo pensiamo agli albori del genere, il tema della distanza è stato uno dei maggiori protagonisti dei racconti di maestri del genere quali Carleton, Joyce, Moore, O’Connor e Ó Faoláin60. Nei racconti di quegli autori la distanza dalla terra natia assume la forma del

distac-co drammatidistac-co dell’esilio. È importante sottolineare distac-come la lontananza marcasse per loro un distacco colmabile con il territorio, ma una rottura spesso definitiva con la propria società di origine. Il migrante, infatti, anche tornando sui suoi passi, non riusciva più a stabilire un rap-porto di commistione totale con una società rassicurante, anche se, al contempo, repressiva e soffocante.

A partire dagli anni ’80, con l’ingresso graduale dell’Irlanda nella comunità europea e la progressiva modernizzazione, la short story testimonia tuttavia un cambio di tendenza anche per ciò che riguarda il trattamento del tema della lontananza. Essa presume non più esuli di-sposti a tutto per sopravvivere, bensì semplici espatriati, specie in paesi mediterranei, per ra-gioni che esulano dalla ricerca di sostentamento. Mi riferisco ad autori come Edna O’Brien61,

Neil Jordan62, Orfhlaith Foyle63 e numerosi altri, che a differenza dei loro omologhi di inizio

‘900, non concentrano le loro storie sulle comunità lasciate alle spalle o sulle reazioni di indi-vidui ritornati da oltreoceano, quanto sul senso di displacement vissuto dai protagonisti, inca-paci di ricrearsi una propria identità64. Nonostante il lungo e faticoso apprendistato che li ha

portati ad essere accettati nei paesi di arrivo, questi personaggi, a causa di un incidente che fa

XIX

60 Cfr. D.M. Averill, op.cit., p. 33 , p. 205, p. 264.

61 Si veda Mrs Reinhardt and Other Stories (1978)(cfr. H. Ingman, op.cit., p. 140). 62 Si veda Night in Tunisia (1976) (cfr. R. S. Crivelli, op.cit., p. 258).

63 Si veda Belios (2005) (cfr. H. Ingman, op.cit., p. 222). 64 Cfr. R. S. Crivelli, op.cit., p.262.

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precipitare gli eventi, riscoprono un legame ancora vivo con l’Irlanda e comprendono così il loro disagio di “esuli”.

Questo è anche uno dei temi più immediatamente riconoscibili nella narrazione della MacDonald, caratterizzato inoltre da una forte matrice autobiografica. Come le citate O’Brien, Mary Lavin e numerose altre prima di lei, la MacDonald attribuisce primaria impor-tanza al tema della lontananza e all’ambigua nostalgia che l’esule irlandese prova nei confron-ti della terra naconfron-tia.

La vicenda biografica della scrittrice, in Italia dal 1986, insegnante all’Università degli Studi di Pisa dal 1988, traduttrice sia dall’inglese all’italiano che viceversa, sembra rispec-chiare fortemente le vicende dei protagonisti dei suoi racconti. A House of Cards, pubblicato nel 2006 da Pillar Press, è popolato da una serie di personaggi divisi tra la consapevolezza dei motivi che li hanno spinti a lasciare l’Irlanda e l’incontrollabile movimento che porta il ricor-do a tornare a quei momenti irlandesi, visti adesso con un misto di disillusione e tenerezza. Ma l’esperienza del ritrovato contatto con la comunità natia si dimostra spesso foriera di di-spiaceri soprattutto perché attesta il suo non-cambiamento. Infatti, se l’Irlanda non è cambiata, i protagonisti lo sono, e questo impedisce loro di reinserirsi senza dolore nel tessuto sociale irlandese. In A House of Cards, quindi, siamo in presenza di stranieri (non solo irlandesi) alle prese con il difficile compito di ritagliarsi uno spazio vitale in un paese tanto aperto quanto tradizionale e diffidente come l’Italia.

Il tema della lontananza, come detto, non è nuovo alla short story irlandese, e lo dimo-stra un edimo-stratto da ‘The Doll’ di Edna O’Brien che, nonostante sviluppi il tema della lontanan-za nella dicotomia città-campagna, sembra applicabile anche alla MacDonald: ‘I live in the city. I am a cosmopolitan…I too play a part…so I am far from those I am with, and far from those I have left’65. La citazione di Edna O’Brien non è affatto casuale, poiché la MacDonald

presenta numerosi tratti in comune con la scrittrice di Country Girls, soprattutto la spiccata matrice autobiografica, che la avvicina anche all’altra pioniera della scrittura al femminile, Mary Lavin. Sebbene la consuetudine di prendere ispirazione dalla propria vita sia molto dif-fusa nella scrittura femminile irlandese, con la O’Brien e la Lavin il paragone si fa partico-larmente interessante. Lasciando da parte l’attenzione per la sessualità femminile che caratte-rizzò la produzione di alcuni periodi della O’Brien, le tre autrici condividono una spiccata propensione a colorare le proprie narrazioni con eventi vissuti personalmente che spingono la

XX

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caratterizzazione emotiva dei personaggi ancor più nel profondo. La rappresentazione della vita interiore appare vivida e realistica, facendo sì che la narrazione si concentri sulle reazioni mentali dei personaggi piuttosto che sugli eventi della trama.

Credo che l’uso di un registro alto e dai toni lirici sia proprio in funzione dell’introspe-zione psicologica, necessario per descrivere appieno i moti interiori di personaggi travolti da emozioni spesso incontrollabili e difficilmente descrivibili. A riguardo, trovo interessante ciò che l’autrice afferma riguardo il suo credo poetico:

One reason why much of the greatest poetry is so uncannily and transparently clear (and I don’t mean facile) is because it is a record of those rare, transfixing moments when some normally opaque corner of existence is unveiled and we are granted a fleeting glimpse into ‘the heart of things’. Poetry draws on depths of emotion and reserves of wisdom that are plumbed by instinctive, almost primitive, means66

Nonostante in questo breve estratto si parli della produzione poetica, credo che l’autrice abbia riservato alle short stories un trattamento simile, in considerazione della vicinanza tra la materia narrata nella lirica e nella narrativa di sua produzione.

Ma non è solo l’introspezione psicologica ad avvicinare le storie della MacDonald a quelle della scrittura classica al femminile irlandese: anche i rapporti familiari e la particolare predilezione per personaggi che si dedicano ad occupazioni artistiche o letterarie, sono temi ricorrenti nella short story di autrici come la O’Brien e Maeve Kelly67. E proprio Maeve

Kel-ly, con il suo sguardo acuto concentrato sulla psiche delle donne lavoratrici e artiste, pare es-sere un paragone particolarmente azzeccato con le storie contenute in A House of Cards. En-trambe, infatti, nonostante il diverso ambito nel quale si svolgono le vicende, prediligono le vicende di artisti che, a causa delle vicissitudini familiari, non riescono a svilupparsi dal punto di vista lavorativo. Un esempio su tutti è ‘The Vain Woman’, tratta da A Life of Her Own del 1976, dove Maeve Kelly dà voce alla mente di Brigid (nome quanto mai rappresentativo per la popolazione femminile irlandese), una donna indipendente dallo spiccato talento artistico

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66 Per l’intervista completa si veda: http://dennisodriscoll.com/interviews/interview-by-elizabeth-macdonald/ 67 Meve Kelly (1930) nasce in County Clare ma viene cresciuta a Dundalk e vive dagli anni’70 a Limerick. La sua

esperienza con differenti comunità rurali dell’Irlanda le ha permesso di sviluppare una coscienza molto critica della condizione alla quale la donna irlandese si vede costretta a sottostare a causa di una società fortemente patriarcale e asfissiante per le aspirazioni professionali delle donne. Una delle prime scrittrici irlandesi a trattare tematiche femminili da un punto di vista degli “equal rights”, la Kelly ha scritto principalmente di queste tematiche nella sua produzione narrativa: al momento ha scritto quattro raccolte di short stories, A Life of Her Own, and Other Stories (1976), Ms

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che, dedicandosi alle mansioni richieste alla donna nell’Irlanda degli anni ’70, deve accanto-nare le ambizioni per servire il marito. Egli non mancherà di ricordarle i suoi doveri, finche la donna, in una drammatica escalation di disillusione, entrerà in una serie infinita di gravidanze che la costringeranno a prendersi cura dei figli per il resto della vita68. Se la MacDonald pare

non condividere questa considerazione negativa della gravidanza e del diventare madre, d’al-tro canto si avvicina alla Kelly per ciò che riguarda il timore che la creazione di una famiglia, specie il matrimonio, sia una pratica fondamentalmente limitante per le libertà della donna, la quale si trova spesso in un ambiente asfittico nel quale le aspirazioni artistiche o, in generale, lavorative sono sacrificate a favore di un’inquadratura nel ruolo tradizionale di moglie-ma-dre69. Ne è un esempio il racconto ‘A House of Cards’, nel quale le mire lavorative

dell’ano-nima protagonista irlandese del racconto sono deluse dal marito italiano che non vede di buon occhio che la moglie, in assenza di una necessità economica, prosegua la propria carriera di insegnante.

Ma A House of Cards non contiene solo una critica nei confronti dell’atteggiamento conservatore di parte della società nei confronti delle donne. Come indica lo stesso titolo, la raccolta sembra essere disperatamente alla ricerca di un equilibrio, per quanto spesso precario, tra due estremi di libertà rappresentati dalle vicende della casalinga di ‘A House of Cards’ e il professore senza legami di ‘Babel’. I due racconti possono essere contrapposti su vari piani di significato, ma fondamentale è il fatto che mentre nel primo caso la vita lavorativa è negata in favore di una stabilità domestica e un inquadramento a livello societario, nel secondo la totale libertà dai rapporti familiari e il raggiungimento di obiettivi lavorativi non è scevra da com-plicazioni e incertezze sulla propria condizione.

Il protagonista di ‘Babel’, infatti, storico dell’arte in pensione che trascorre interi mesi in Italia in una lunga e ripetitiva vacanza, cerca disperatamente di ricreare una routine nei suoi soggiorni pisani che si dimostrerà fallace ed effimera, un sostituto non efficace della famiglia (definisce l’hotel ‘la cosa più vicina ad una casa che abbia mai voluto avere’70). Il peso della

totale libertà, quindi, rappresenta l’altra faccia della libertà agognata dalla protagonista di ‘A House of Cards’, e sembra che nessuno dei due personaggi trovi la situazione soddisfacente. Ad essere precisi, all’autrice la condizione del professore di ‘Babel’ pare ancor più frustrante

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68 Maeve Kelly, A Life of Her Own, and Other Stories, Dublin, Poolbeg Press, 1976.

69 Per approfondire il tema nella produzione di Maeve Kelly, cfr. H. Ingman, op.cit., pp. 170-174. 70 E. MacDonald, op.cit., p.43.

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di quella della casalinga di ‘A House of Cards’. Infatti, se il finale di questo racconto rimanda ad una pace dei sensi fallace ma in un certo senso rassicurante, quello di ‘Babel’ è un esito amaro nel quale si riafferma l’impossibilità di ritagliarsi uno spazio personale venendo meno alle convenzioni sociali, soprattutto per ciò che riguarda la creazione di un nucleo familiare. Nella scena finale, il professore, attirato controvoglia in una conversazione con un gruppo di turisti provenienti da ambienti di lingua inglese, non riesce ad inserirsi all’interno nel gruppo data la riluttanza ad accettare atteggiamenti tipici del turista inglese o americano. Non trova conforto nemmeno nell’ambiente italiano, qui rappresentato dal cameriere Mario, che non le-sina frecciatine dirette ai turisti e accomuna loro e lo stesso professore sotto la stessa etichetta di “stranieri”, con tutti gli stereotipi che ne conseguono e che feriscono il protagonista.

Entrambi i racconti, come detto, testimoniano le difficoltà che sperimentano questi indi-vidui nel trovare un punto di contatto tra le due culture, un punto che non escluda né le pro-prie origini, né il tessuto sociale nel quale vorrebbero essere accettati. Ma per entrambi il ten-tativo sembra fallire71: se del professore abbiamo già detto, la casalinga di ‘A House of Cards’

sente il richiamo della sua terra, rappresentata qui dal ritorno del vecchio amore che la spinse a partire dall’Irlanda, ma, come avviene in ‘Babel’, il cambiamento in lei è oramai talmente radicato da non permetterle di tornare alla vita di un tempo, tanto meno se ciò comporta ab-bandonare il nucleo familiare, il suo ‘bozzolo’. Da questa situazione, diffusa in tutta la raccol-ta, deriva un sentimento di confusa e destabilizzante nostalgia per il proprio passato. Infatti, non sempre i protagonisti si rendono conto di cosa li destabilizza tanto, ed è l’autrice a guida-re il lettoguida-re nel profondo della loro psiche per rilevaguida-re le ragioni di questo malesseguida-re. Più che nostalgia della propria terra o della comunità irlandese, i protagonisti della raccolta sentono la mancanza di un passato nel quale, forse un po’ semplicisticamente, potevano considerarsi identità compiute e al quale non possono più tornare. L’irreversibilità del tempo passato è una consapevolezza dolorosa che fa parte della poetica dell’autrice, come dimostra l’evocazione di un episodio della sua infanzia:

Whether through mere boredom in class or some unaccountable lurch into cub mysticism, I would occasionally look at the old pendulum clock on the schoolroom wall and note down the precise time on a piece of paper. Staring at this ‘data’ later, I tritely pondered the fact

XXIII

71 “Elizabeth MacDonald’s stories are set in Italy but they all involve English, Irish or American professionals [...] at

home in their professional lives, but somewhat disorientated in their thoughts, feelings and social positions”, G. Szirtes,

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that the time I had recorded was gone for ever: I am now X minutes older than I was then, it will never ever again be that time on this day… 72

Consci o meno di ciò, questa corrente sotterranea fa sentire i personaggi “stranieri” in un paese straniero, e per giunta senza una comunità alle spalle dalla quale tornare.

L’estraniamento dei personaggi di A House of Cards è spesso rappresentato con la diffi-coltà ad abituarsi al clima e alle tradizioni italiane. L’importanza dell’immagine del clima è evidenziata dalla struttura della raccolta stessa: i racconti, infatti, sono distribuiti di modo da avere come sfondo di ognuno di essi un periodo differente dell’anno, elemento questo che condiziona notevolmente la mente dei protagonisti e spesso si rivela una delle concause che fa precipitare gli eventi. Ad esempio il professore sente un profondo legame con il passato stori-co pisano, nel chiaro desiderio di unione spirituale stori-con la città, salvo poi rimanere annichilito dall’afa dei suoi pomeriggi estivi, come a segnalare la natura anfibia del protagonista, cambia-to dal paese che lo ospita ma ancora incapace di farne parte. Anche la casalinga di ‘A House of Cards’ che si imbatte in un album fotografico del suo passato irlandese all’interno del

ripo-stiglio-subconscio, precipita in uno stato di sconforto nostalgico già presagito nel paragone tra

le confetture e i frutti italiani e gli analoghi prodotti appartenenti all’infanzia irlandese.

Se, nella tradizione irlandese, la donna è paragonata alla fertilità e alla terra d’Irlanda, la protagonista di ‘A House of Cards’, proprio attraverso il rapporto con la terra e la vegetazione ,cerca un punto di contatto tra la propria identità passata e quella trapiantata in Italia. È il giardino all’inglese il simbolo della strenua lotta della donna per ritagliarsi uno spazio che non neghi né il passato né il presente della sua persona: specifico vanto della cultura anglosas-sone, qui il giardino presenta anche specie floreali che non potrebbero sopravvivere nel rigido clima Irlandese; una convivenza guadagnata a fatica che rappresenta la sua lotta quotidiana per una mediazione, una ‘oasi di ombra’ aperta su un lato, che la protegga e la realizzi, in con-trapposizione con il ‘bozzolo’ che la separa dal mondo esterno e rischia di soffocarla e strito-larla nella sua morsa protettrice.

L’uso della lingua è un ulteriore sintomo della mancata integrazione dei personaggi nel panorama italiano. I protagonisti dei racconti si trovano spesso costretti a utilizzare termini che non hanno un corrispettivo esatto in inglese, o a usare titoli di cortesia nei confronti dei

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