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Timing di neuroimaging in pazienti con trauma cranico lieve complicato da emorragia subaracnoidea. Esperienza clinica in Medicina d'Urgenza Ospedaliera del DEA di Pisa: dal ricovero alla dimissione

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie

in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA

TIMING DI NEUROIMAGING IN PAZIENTI CON TRAUMA

CRA-NICO LIEVE COMPLICATO DA EMORRAGIA

SUBARACNOI-DEA.

ESPERIENZA CLINICA IN MEDICINA D’URGENZA

OSPEDA-LIERA DEL DEA DI PISA: DAL RICOVERO ALLA DIMISSIONE

RELATORE

Dott. Massimo Santini

CANDIDATO Anastasia Cortese CORRELATORE

Dott.ssa Simona Luly

(2)
(3)

3

Indice

ABSTRACT ... 6

INTRODUZIONE ... 9

I. TRAUMA CRANICO ... 9

1. Classificazione del trauma cranico... 9

2. Definizione del TBI in base alla severità del quadro clinico: la GCS ... 10

3. Differenza tra trauma cranico lieve e commozione cerebrale ... 12

4. Classificazione del TBI in base ai reperti neuroradiologici ... 13

5. Altre strategie di classificazione del TBI ... 16

6. Epidemiologia del TBI ... 16

6.1 Epidemiologia del MTBI ... 18

7. Fisiopatologia del TBI ... 19

7.1 Anatomia e fisiologia ... 19

7.2 Biomeccanica del trauma cranico ... 22

7.3 Meccanismi fisiopatologici ... 22

7.3.1 Aumento della pressione intracranica ... 29

7.3.2 Aumento del volume cerebrale ed edema cerebrale ... 29

7.3.3 Alterati livelli di coscienza... 30

7.3.4 Riflesso di Cushing ... 30

7.3.5 Erniazione cerebrale ... 30

7.4 Fisiopatologia del MTBI ... 30

8. Manifestazioni cliniche del TBI ... 31

8.1 Manifestazioni cliniche precoci del MTBI ... 31

8.2 Crisi epilettiche post-traumatiche ... 32

(4)

4

8.4 Complicanze del TBI lieve... 34

9. Valutazione e gestione del TBI ... 35

9.1 Anamnesi ed esame obiettivo nel MTBI ... 35

9.2 Diagnostica per immagini ... 38

9.2.1 Criteri clinici per la selezione dei pazienti con MTBI da sottoporre a TC smc ... 38

9.2.2 Il ruolo della MRI... 42

9.3 Esami di laboratorio ... 42

9.4 Osservazione e dimissione ... 43

9.4.1 Indicazioni al ricovero di pazienti con MTBI ... 43

9.4.2 Indicazioni alla dimissione a domicilio dei pazienti con MTBI ... 44

II. EMORRAGIA SUBARACNOIDEA ... 46

1. Classificazione dell’emorragia subaracnoidea traumatica ... 47

2. Epidemiologia dell’emorragia subaracnoidea post-traumatica ... 50

3. Fisiopatologia dell’emorragia subaracnoidea post-traumatica... 50

4. Manifestazioni cliniche dell’emorragia subaracnoidea post-traumatica ... 52

4.1 Manifestazioni cliniche precoci ... 52

4.2 Complicanze dell’emorragia subaracnoidea post-traumatica ... 53

5. Valutazione e gestione dell’emorragia subaracnoidea post-traumatica ... 55

5.1 Anamnesi ed esame obiettivo ... 55

5.2 Diagnostica per immagini ... 56

5.2.1 Accertamento dell’ESA ... 57

5.2.2 Identificazione e caratterizzazione della causa ... 57

5.2.3 Riconoscimento delle complicanze dell’ESA ... 57

5.2.4 Semeiotica radiologica ... 58

5.3 Osservazioni e dimissione ... 59

(5)

5

1. Scopo dello studio ... 61

2. Materiali e metodi ……….………61

2.1 Disegno dello studio ... 61

2.2 Strumenti di indagine ... 61

2.2.1 Parametri analizzati ... 61

2.3 Popolazione di studio ... 63

2.3.1 Dati anagrafici ... 63

2.3.2 Anamnesi del trauma... 66

2.3.3 Anamnesi clinica ... 67

2.3.4 Anamnesi farmacologica ... 67

3. Analisi dei dati ... 69

4. Discussione dei dati ... 77

5. Conclusioni ... 77

APPENDICI ... 80

GLOSSARIO ... 83

BLIOGRAFIA ... 85

(6)

6

ABSTRACT

L’emorragia subaracnoidea post-traumatica è una raccolta di sangue all’interno dello spa-zio subaracnoideo che si verifica in seguito alla rottura di vasi passanti in questo spaspa-zio anatomico a causa di un trauma cranico.

Proprio per la sua eziologia traumatica, spesso questa lesione è accompagnate da altre emorragie, rendendo difficile definirne eziologia, fisiopatologia e il suo decorso1. Nono-stante sia riconosciuto come fattore di rischio e si stiano conducendo studi da oltre 50 anni, la fisiopatologia dei suoi effetti negativi e il suo significato prognostico nel trauma cranico non è ancora del tutto compreso1,2.

Infatti, mentre per l’ESA da rottura di aneurisma esistono molti studi e molti modelli animali coi quali è stato possibile definirne il miglior trattamento, l’emorragia subarac-noidea post-traumatica non ha neanche una propria scala di grading e nella pratica, ven-gono usate scale di classificazione riferite alla clinica del trauma cranico e, talvolta, quelle per l’ESA aneurismatica.

Proprio per la difficoltà di riscontrare questa lesione in modo isolato, ancora non sono presenti linee guida per la sua gestione e per il suo follow-up, tanto che i medici non hanno un protocollo standard a cui rifarsi per eseguire i controlli radiologici o per il tempo di ricovero, anche se con uno studio è stato visto un buon outcome del paziente vittima di trauma cranico lieve (score GCS 13-15) complicato da emorragia subaracnoidea di-mettendolo a domicilio dopo 24 ore2,3.

Il nostro studio nasce proprio per analizzare e identificare il miglior timing per il follow-up diagnostico e il tempo di ricovero in pazienti con trauma cranico lieve complicato da emorragia subaracnoidea.

OBIETTIVI: stabilire la tempistica del follow-up diagnostico e individuare la durata del

ricovero dei pazienti con ESA traumatiche nel trauma cranico lieve.

MATERIALI E METODI: studio di coorte condotto presso il Dipartimento di

Emer-genza-Accettazione (DEA) di II livello dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (AOUP) su pazienti vittime di trauma cranico lieve complicato da ESA, ricoverati presso l’U.O. di Medicina d’Urgenza Ospedaliera, nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2014 e il 31 dicembre 2016 (36 mesi).

(7)

7 I pazienti rientrati nello studio sono stati 46, di cui 28 (60,87%) donne e 18 (39,13%) uomini. L’età media della popolazione è di anni 72,82 ± 16,71, con un valore minimo di 19 e un massimo di 98 anni. In particolare, 6 pazienti (13,04%) erano di età inferiore e 60 anni e 40 (86,96%) di età maggiore o uguale ai 60 anni.

Al loro ingresso in Pronto Soccorso, 19 pazienti (41,30%) non assumevano alcuna terapia farmacologica a domicilio, 6 pazienti (13%) erano in TAO, 2 pazienti (4,40%) erano in terapia con anticoagulanti orali diretti (AOD), 19 (41,30%), di cui 12 con acido acetilsa-licilico (ASA), 2 con Clopidogrel, 2 con Ticlopidina e 3 in doppia antiaggregazione. Dei 46 traumi cranici lievi, 17 erano commotivi e 29 non commotivi. Alla diagnosi oltre all’ESA traumatica, 22 pazienti (47,82%) presentavano altre lesioni emorragiche (ematoma subdurale e/o focolai contusivi-emorragici), 8 pazienti (17,39%) avevano fratture ossee traumatiche della teca cranica e/o del massiccio facciale e 1 pa-ziente (2,17%) presentava edema cerebrale.

RISULTATI: è stato indagato se le terapie farmacologiche comportassero modificazioni

di età media, giorni di ricovero ed evoluzione della lesione emorragica incidessero sull’evoluzione della lesione emorragica ed è risultato che è possibile non suddividere i pazienti per terapie domiciliari ai fini dello studio.

Tutte le TC basali di controllo eseguite a un tempo inferiore di 9 ore dal trauma hanno evidenziato la stabilità della lesione emorragica. I peggioramenti rilevati durante il rico-vero sono stati esclusivamente a livello di imaging (con aumento volumetrico dell’emor-ragia) con clinica invariata.

Questo peggioramento è stato riscontrato in 3 pazienti di età uguale o superiore a 60 anni, tra le 16 e le 40 ore dopo il trauma; nei pazienti con età inferiore ai 60 anni non si sono verificati incrementi dell’ESA.

Durante la degenza (giorni medi di ricovero 4), nessun paziente ha presentato variazioni della clinica.

Al follow-up a distanza di 30 giorni dal trauma, il 99% delle TC basali hanno mostrato risoluzione dell’ESA

CONCLUSIONI: è possibile differenziare la popolazione vittima di trauma cranico lieve

complicato da ESA in relazione all’età dei pazienti.

(8)

8 per cui dopo la prima TC basale possono essere dimessi a domicilio fornendo loro le indicazioni per trauma cranico con raccomandazioni di ripresentarsi in PS in caso di va-riazioni cliniche; nei pazienti con età maggiore/uguale a 60 anni si può verificare un au-mento volumetrico dell’emorragia, pertanto è indicata l’osservazione (OBI) con un con-trollo TC smc a 40 ore dall’evento e successiva dimissione, in assenza di variazioni cli-niche, se è dimostrata radiologicamente la stabilità o il miglioramento dell’ESA.

Per quanto riguarda la dimostrazione di risoluzione dell’ESA, il tempo di follow-up può essere fissato per tutti a 30 giorni dal trauma.

(9)

9

INTRODUZIONE

I. TRAUMA CRANICO

I traumi cranici (TBI, Traumatic Brain Injury) causano più mortalità e inabilità di tutte le altre condizioni neurologiche prima dei 50 anni di età e insorgono in più del 70% degli incidenti, essendo così la maggior causa di mortalità in uomini e ragazzi sotto ai 35 anni (la mortalità da di grave entità raggiunge il 50% ed è di poco ridotta dalla terapia). Il danno può risultare dalla penetrazione nel cervello di frammenti ossei del cranio o dalla rapida accelerazione-decelerazione subite dal parenchima cerebrale, con traumatismo dei tessuti nella sede di impatto e al polo opposto (per effetto del contraccolpo), oppure dif-fusamente all’interno delle circonvoluzioni frontali e temporali.

Il tessuto nervoso, i vasi e le meningi vengono recisi, strappati e spezzati, con conseguente distruzione neuronale, ischemia o emorragia, intra- o extracerebrale, ed edema. L’emorragia e l’edema possono essere paragonati per i loro effetti a una lesione espansiva intracranica, causando deficit neurologici focali o aumento della pressione intracranica (PIC), potendo portare a erniazione del tessuto cerebrale attraverso il tentorio del cervel-letto o il forame magno, risultando fatali.

Le fratture del cranio possono danneggiare, fino alla lacerazione, le arterie meningee o i grandi seni venosi, causando ematomi epidurali o subdurali. Le fratture della base cranica possono anche lacerare le meningi, causando perdita di liquor cefalorachidiano (CSF, CerebroSpinal Fluid) attraverso il naso (rinorrea) o l’orecchio (otorrea), o l’ingresso di batteri o di aria nella teca cranica4.

1. Classificazione del trauma cranico

Classificare il trauma cranico risulta complicato data l’eterogeneità dell’entità stessa, comportando una difficoltà anche nella gestione diagnostica e terapeutica5.

Per classificare il TBI possono essere considerati diversi fattori: - gli indicatori di gravità clinica (come la Glasgow Coma Scale, GCS) - la presenza di markers di danno cerebrali al neuroimaging

(10)

10 -i parametri laboratoristici

-stratificando la popolazione per età, comorbidità, etc.

Alcuni studi hanno provato a definire modelli prognostici affidabili che includessero que-sti parametri, praticamente è utile considerare queste variabili indipendentemente l’una dalle altre6.

2. Definizione del TBI in base alla severità del quadro clinico: la GCS

Il metodo più frequentemente usato per la classificazione del TBI consiste nella valuta-zione di scores di severità del quadro clinico. La Glasgow Coma Scale è lo strumento clinico più utilizzato nel definire la gravità del TBI e per il follow-up dello stato neurolo-gico del paziente7.

Con la GCS è possibile valutare la responsività oculare, verbale e motoria a stimoli ap-plicati dall’operatore sul paziente (fig 1).

Originariamente, la GCS fu introdotta per la valutazione neurologica dei pazienti, emo-dinamicamente stabili e in assenza di ipossia, dopo 6 ore dal trauma cranico isolato. Col tempo è stata dimostrata la sua affidabilità, la riproducibilità, il valore predittivo per la prognosi generale e la semplicità di applicazione, rendendola lo strumento standard per la valutazione delle alterazioni mentali nel setting acuto7.

La sua applicazione presenta delle limitazioni, soprattutto se applicata nelle prime 6 ore del trauma; l’ipossia, l’ipotensione, la sedazione farmacologica, l’intubazione endotra-cheale, le fratture ossee a carico delle estremità, le intossicazioni, le paralisi, le lesioni spinali, le ferite sul volto e i traumi oculari possono falsamente diminuire il punteggio GCS iniziale8.

Inoltre, la GCS non valuta i riflessi tronco-encefalici e i riflessi pupillari, per cui il suo valore prognostico nel setting acuto non è affidabile. Per sopperire a questa sua mancanza, sono stati proposti sistemi di valutazione neurologica alternativi, come il Full Outline of Unresponsiveness (FOUR) Score9, ma hanno ottenuto scarso successo clinico.

Il TBI è classificato secondo lo score GCS, calcolato a 30 minuti dal trauma in: • Trauma cranico lieve, se lo score GCS è 13-15;

• Trauma cranico moderato, se lo score GCS è 9-12; • Trauma cranico severo, se lo score è ≤ 810,11.

(11)

11

Alcuni autori, nei loro studi, classificano i TBI di pazienti con uno score GCS di 13 come traumi cranici moderati, perché sembrerebbero caratterizzati da una peggiore prognosi e un’incidenza di lesioni intracraniche più elevata12,13

.

Figura 1 Glasgow Coma Scale: il punteggio è compreso tra 3 (peggiore) e 15 (migliore). Valuta

(12)

12

3. Differenza tra trauma cranico lieve e commozione cerebrale

Il termine commozione cerebrale (o concussione cerebrale, CC) descrive una categoria ristretta nel contesto del trauma cranico lieve, caratterizzata da un’alterazione transitoria delle funzioni neurologiche conseguente a trauma da accelerazione-decelerazione o di tipo rotazionale.

Nella concussione si ha perdita post-traumatica di coscienza e di memoria che dura da qualche secondo ad alcuni minuti, senza lesioni strutturali macroscopiche dell’encefalo e senza gravi conseguenze neurologiche14.

I pazienti affetti da concussione raramente raggiungono gradi profondi di incoscienza; le reazioni pupillari e gli altri segni di normale funzionalità del tronco cerebrale sono pre-senti.

Può essere presente, talvolta, per breve tempo una riposta al riflesso palmare in esten-sione, ma non appaiono mai né l’emiplegia né la risposta in decerebrazione4.

Successivamente all’International Consensus Conference on Concussion in Sport (Zurigo 2012), la definizione di CC prevede che “la commozione cerebrale è una forma di trauma cranico, ed è definita da un complesso processo fisiopatologico a carico dell’encefalo e provocato da forze biomeccaniche. Le caratteristiche comuni che definiscono la natura concussiva di un trauma cranico sono:

• La CC è provocata da un impatto diretto al capo, al collo o a qualsiasi altra regione corporea sotto forma di forza “impulsiva” trasmessa alla testa;

• La CC esita tipicamente in una rapida e transitoria alterazione delle funzioni neu-rologiche, che si risolve spontaneamente. In alcuni casi, però, i sintomi e i segni possono evolvere e persistere per minuti e ore;

• La CC può esitare in modificazioni neuropatologiche, ma il quadro clinico acuto riflette un disturbo funzionale, piuttosto che un danno strutturale, cosicché non siano individuabili anormalità al neuroimaging strutturale;

• La CC si esprime mediante il susseguirsi di manifestazioni cliniche che possono comprendere o no la perdita di coscienza. La risoluzione clinica avviene gradual-mente, ed in alcuni casi i sintomi possono persistere per più tempo”15.

(13)

13

4. Classificazione del TBI in base ai reperti neuroradiologici

Il TBI si può presentare con svariate tipologie di lesioni, la maggior parte delle quali è facilmente identificata col più comune esame neuroradiologico, la TC senza mezzo di contrasto.5

Dall’esterno all’interno del cranio, le possibili alterazioni patologiche sono rappresentate da:

• Lacerazioni e contusioni dello scalpo; • Fratture del cranio;

• Ematomi epidurali (EDH); • Ematomi subdurali (SDH);

• Emorragie subaracnoidee traumatiche (ESAt); • Contusioni cerebrali ed emorragie intraparenchimali; • Danno assonale diffuso (DAI) o focale.

Con le lesioni intracraniche post-traumatiche identificate alla TC smc, è possibile classi-ficare il TBI in categorie di rischio, riferendosi alla scala di Marshall16 (fig. 2) e al Rot-terdam CT Score17 (fig. 3)4.

(14)

14

(15)

15

(16)

16

5. Altre strategie di classificazione del TBI

Per classificare la gravità del TBI è preferita la valutazione dello score GCS o dei reperti al neuroimaging. Vi sono però altri elementi che permettono la stratificazione prognostica e terapeutica del TBI:

• Dinamica del trauma, in base alla quale è possibile distinguere un trauma cere-brale da lesione chiusa oppure da lesione penetrante alla testa;

• Biomeccanica del trauma, secondo la quale si differenziano i TBI da impatto di-retto, nei quali la testa è colpita da un oggetto oppure il moto della stessa è arre-stato violentemente da un ostacolo esterno, dai TBI indiretti, nei quali il contenuto della scatola cranica è sottoposto ad uno spostamento (traumatismo) per l’appli-cazione di forze differenti dall’impatto tra il cranio e un oggetto esterno.

• Contemporanea presenza di traumatismi extracranici (35% circa dei casi di TBI18). La gravità del TBI è correlata al coinvolgimento traumatico in altre sede corporee con complicazioni sistemiche del trauma, come l’ipossia, l’ipotensione, l’anemia e l’iperpiressia, che possono far precipitare le funzioni neurologiche.

6. Epidemiologia del TBI

Negli USA, ogni anno più di un milione di pazienti si recano ai Pronto Soccorso per la valutazione di un trauma cranico19. La maggior parte di questi si verifica in paziente al di sotto dei 5 anni o al di sopra degli 85 anni.

L’80% delle persone cui viene diagnosticato trauma cranico presenta trauma cranico lieve (con score GCS tra 14 e 15); il 10% ha un trauma cranico moderato (con score GCS tra 9 e 13); il restante 10% presenta un trauma cranico severo (con score GCS di 8 o meno). Almeno il 20% viene ospedalizzato e, approssimativamente, 200000 vanno incontro a morte o a disabilità permanenti20,21.

Dal 1989 al 1998, per tutte le età la prima causa di trauma cranico mortale era costituita da ferite da armi da fuoco (40%), a seguire incidenti stradali (34%) e cadute (10%)20. Il TBI è una condizione estremamente comune ed è la più frequente causa di decesso in seguito a un evento traumatico nei pazienti al di sotto dei 25 anni e rappresenta un terzo di tutte le morti traumatiche22. Il tasso di ospedalizzazione per TBI in Italia nel 2003

(17)

17 risultava di 245/100000 abitanti/anno, valore ridotto del 12.4% rispetto ai dati relativi al 2000. Questo tasso è lievemente superiore a quanto ottenuto da Tagliaferri et al. nella loro systematic review condotta nel 2006 e relativa all’incidenza del TBI in Europa che, in base all’analisi dei vari lavori europei pubblicati dal 1980 al 2003, era di 235/100000 abitanti/anno23.

Una revisione sistematica pubblicata nel 2015 ha stimato l’incidenza di TBI in Europa a valori compresi tra 83.3/100000 e 849/100000 abitanti/anno (analisi condotte a livello delle singole regioni di ciascuna nazione). L’incidenza negli USA è stata stimata a 538.2/100000 abitanti/anno nel 200324. La grande variabilità di questi valori è funzione delle differenti modalità di ottenimento dei dati e della mancata standardizzazione nell’ar-chiviazione degli stessi tra regioni e Paesi diversi. Inoltre, il dato italiano del 2003 di 245/100000 abitanti/anno è da riferire esclusivamente ai soggetti ospedalizzati, mentre risultano esclusi i deceduti prima del ricovero, probabilmente una percentuale considere-vole del totale.

Nonostante la riduzione del tasso di ospedalizzazione dei pazienti con TBI nel 2003 ri-spetto al 2000, sembrerebbe che la complessità dei pazienti ospedalizzati sia in aumento. In base ai dati raccolti da Servadei et al., si registrano 38/10000 pazienti/anno che ven-gono ricoverati con lesioni intracraniche post-traumatiche e 11/100000 soggetti/anno sot-toposti a interventi neurochirurgici conseguentemente al trauma25. Sulla base dei tassi di ospedalizzazione per TBI in Italia nel 2003, si può calcolare che i pazienti che necessitano ricovero in unità di terapia intensiva e/o richiedono un intervento neurochirurgico rappre-sentano il 4-7% del totale.

La mortalità ospedaliera per il TBI in Italia, sempre in riferimento ai dati del 2003, si attesta a valori di 4.1/100000 abitanti/anno. Questo valore risulta inferiore rispetto alla mortalità generale per TBI in Europa, mediamente 11 deceduti ogni 100 soggetti con TBI, in quanto non tiene di conto dei decessi associati alle complicanze sistemiche del trauma e alle comorbidità di significativa importanza25.

La valutazione delle SDO (Schede Dimissione Ospedaliera) del 2003 in Italia ha dimo-strato che, della totalità dei pazienti ospedalizzati per TBI come diagnosi principale, il 2.12% dei pazienti è andato incontro a morte, il 91.53% è stato dimesso a domicilio, mentre il restante 6.53% ha necessitato di ulteriori cure e, nella maggior parte dei casi

(18)

18 (65.84%), si è trattato di trasferimento in ospedali per acuti, al fine di proseguire le cure non completamente somministrate nel corso del primo ricovero.

6.1 Epidemiologia del MTBI

Il trauma cranico lieve (MTBI, Mild Traumatic Brain Injury) è la forma più frequente di TBI in Europa: si stima che il rapporto tra il MTBI e il trauma cranico moderato sia di 22:1 e tra il MTBI e il trauma cranico severo sia 5:123.

Altri studi stabiliscono la percentuale del MTBI di circa il 75-95% della totalità dei traumi cranici11, anche se la sua incidenza potrebbe essere più elevata poiché molti casi non ven-gono riportati26 (fig. 4).

Figura 4 Epidemiologia del trauma cranico

Nei pasi industrializzati, tra cui anche in Italia, le cause più frequenti del trauma cranico di lieve entità sono gli incidenti stradali (20-45%), più frequenti nei giovani, le cadute (30-38%), più frequenti nella popolazione geriatrica, gli infortuni su lavoro (10%), gli incidenti per attività del tempo libero (10%) e gli atti di violenza (5-17%)27,28.

La distribuzione per età del TBI mostra due picchi: i soggetti tra i 16 e i 35 anni e quelli con età superiore ai 70 anni, anche se in questi ultimi vi è una minore incidenza. L’incremento dell’incidenza di TBI nella popolazione anziana è un problema reale e at-tuale in tutta Europa: i suoi fattori di rischio sono le patologie concomitanti preesistenti e

90%

6% 4%

NUMERO

Trauma cranico lieve (GCS 13-15)

Trauma cranico moderato (GCS 9-12)

(19)

19 quelle nosocomiali, che determinano la necessità di ospedalizzazioni più prolungate ri-spetto alla popolazione pediatrica28.

Dai dati a nostra disposizione, il rischio di TBI appare più elevato nel sesso maschile rispetto al sesso femminile, con un rapporto maschi-femmine tra 2.0:1 e 2.8:1; questi dati, però, potrebbero riflettere la maggiore tendenza maschile nel partecipare ad attività ad alto rischio27.

Ulteriori fattori di rischio per il rischio di TBI sembrano essere il basso stato socio-eco-nomico, il decadimento cognitivo e la demenza, e le intossicazioni, acute o croniche di alcol27,28.

7. Fisiopatologia del TBI

7.1 Anatomia e fisiologia

• Scalpo e cranio

Lo scalpo è composto da 5 strati di tessuto e i vasi in essi contenuti non si costrin-gono completamente una volta lacerati, potendo essere così fonte di perdita di un significativo quantitativo di sangue. Lo strato più superficiale è il derma, mentre quello più interno è il periostio (o pericranium), aderente alle ossa del cranio. Negli adulti le ossa del cranio (il frontale, l’etmoide, lo sfenoide, l’occipitale, due parietali e due temporali) hanno uno spessore compreso tra i 2mm e i 6mm e le ossa temporali sono le più sottili29.

L’interno del cranio è ricoperto dalla dura madre, spesso tessuto connettivo ade-rente alla faccia interna delle ossa craniche (strato periostale), che si riflette in uno strato più interno (strato meningeo propriamente detto); questi due strati si disso-ciano in alcune aree per accogliere i vasi venosi endocranici che drenano il sangue dall’encefalo: i seni della dura madre30.

• Encefalo e liquido cerebrospinale (CerebroSpinal Fluid, CSF)

L’encefalo è una struttura semisolida del peso di 1400g circa, che occupa l’80% della scatola cranica31.

Questo organo è ricoperto da tre membrane distinte, che dall’esterno all’interno, sono: la dura madre, l’aracnoide e la pia madre. Questi tre tessuti delimitano degli

(20)

20 spazi (epidurale, subdurale e subaracnoideo) nei quali possono verificarsi ema-tomi ed emorragie, definiti appunto dalla loro posizione che ne determina anche le conseguenze del danno.

Anatomicamente l’encefalo è suddiviso in cervello, cervelletto e tronco encefa-lico; tutte e tre queste strutture si ritrovano immerse nel liquido cerebrospinale, che costituisce una protezione per l’organo durante i traumi tamponandolo e smor-zando la forza.

È prodotto dai plessi coroidei, situati nei ventricoli laterali. Il CSF passa dal si-stema ventricolare nello spazio subaracnoideo, che circonda sia l’encefalo che il midollo spinale, ed è necessario per gli scambi di metaboliti, ormoni e altre pro-teine tra le varie parti dell’encefalo. La normale pressione esercitata dal CSF è compresa tra 65 e 195 mmH₂O o tra 5 e 15 mmHg.

Il sangue all’interno dei ventricoli potrebbe ostruire il normale circolo del CSF, causando idrocefalo; i danni cerebrali determinano una variazione del pH del CSF, che a sua volta influenza i centri respiratori e il flusso cerebrale (Cerebral Blood Flow, CBF)31.

• Barriera emato-encefalica (BEE)

La BEE è fondamentale per mantenere l’ambiente del tessuto nervoso adatto alla sopravvivenza delle cellule neuronali e permette la regolazione degli scambi io-nici e dei neurotrasmettitori. La capacità di una molecola di attraversare la bar-riera, quando questa è intatta, dipende dalla sua solubilità lipidica. Un trauma cerebrale può causare un danneggiamento della BEE, che può prolun-garsi anche diverse ore dopo il trauma contribuendo allo sviluppo di edema cere-brale vasogenico post-traumatico32,33.

L’encefalo ha un alto tasso metabolico, usando approssimativamente il 20% del volume di ossigeno; per fare questo ha necessità di ricevere circa il 15% dell’in-tera gittata cardiaca. Il CBF è adeguato alla richiesta metabolica grazie alla capa-cità dei vasi cerebrali di costringersi o dilatarsi a seconda della necessità33. Ad

esempio, ipertensione, alcalosi e ipocapnia (fig. 5) stimolano la vasocostrizione; ipotensione, acidosi e ipercapnia causano vasodilatazione. Fisiologicamente, il CBF è mantenuto da una costante pressione arteriosa media (Mean Arterial Pressure, MAP), compresa tra 60 e 150 mmHg. Vasi danneggiati possono perdere la loro responsività all’ipocapnia indotta

(21)

21 dall’iperventilazione vasodilatandosi; in questo modo, il sangue può essere shun-tato verso l’area danneggiata contribuendo all’effetto massa34,35.

• Pressione di perfusione cerebrale

Il flusso cerebrale è dipendente anche dalla pressione di perfusione cerebrale (PPC), determinata dalla MAP (pressione arteriosa media) e le resistenze di flusso, determinate dalla pressione sistolica sistemica, e la PIC (pressione intra-cranica). Il CBF resta contante quando la PPC è tra 50 e 160 mmHg; per valori inferiori ai 40 mmHg, il CBF crolla, con conseguente ischemia cerebrale36.

Figura 5 Effetti neurologici dell'ipocapnia (From Laffey JG, Kavanagh BP:

(22)

22

7.2 Biomeccanica del trauma cranico

• Impatto diretto

Si verifica quando il cranio è colpito direttamente da un oggetto o il suo moto è arrestato improvvisamente o viene compresso. Il danno risultante dipende dalla consistenza, dalla massa, dall’area e dalla velocità dell’oggetto. Spesso sono pre-senti segni esterni del trauma sul sito di impatto o di compressione. Può verificarsi anche frattura del cranio, nel caso in cui la forza sia sufficiente. La forza è parzialmente assorbita dalla struttura cranica, trasmettendo all’encefalo la rimanente attraverso onde d’urto che possono manifestarsi anche in un punto lontano dalla zona di impatto; queste onde d’urto sono in grado di distorcere e distruggere quello che incontrano, in questo caso l’encefalo, fino ad alterare tem-poraneamente la PIC.

Il danno causato è dipendente da più fattori, come la durata e la potenza della forza, dalle proprietà viscoelastiche del parenchima coinvolto e dall’estensione dell’area di cranio colpita dalla forza. Nel caso in cui si trattasse di un trauma penetrante, la forma, la dimensione, la massa e la velocità di ingresso dell’oggetto contribuirebbero a determinare il danno.

• Impatto indiretto

In questo caso, il contenuto cranico è sottoposto a movimenti causati da forze agenti sul cranio. L’esempio più comune si ha in caso di accelerazione-decelera-zione, con conseguente sindrome da “scossone”37: l’encefalo si muove all’interno

del cranio mentre i vasi a ponte sottodurali sono stirati (con conseguente ematoma subdurale).

7.3 Meccanismi fisiopatologici

I meccanismi fisiopatologici che stanno alla base delle conseguenze intracraniche del trauma cranico possono essere divisi in tre categorie, interconnesse: il danno cerebrale primario, il danno cerebrale secondario e il danno sistemico secondario. Il danno primario nel TBI è prevenibile, mentre il danno secondario è trattabile2 L’approccio clinico al paziente con TBI si basa sulla conoscenza della fisiopatologia del danno cerebrale.

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23 1) Danno cerebrale primario

Questo consiste nel danneggiamento irreversibile e meccanico che si realizza al mo-mento del trauma. I meccanismi sottostanti sono accomunati dalla proprietà di trasfe-rimento di energia meccanica dall’esterno alle strutture intracraniche; tra questi mec-canismi riconosciamo l’impatto diretto nel contesto del trauma chiuso, le lesioni pe-netranti della testa, il danno da rapida accelerazione-decelerazione e la propagazione di onde d’urto. L’esito macroscopico del danno cerebrale primario consiste nella ge-nesi di contusioni cerebrali, ematomi, danno da stiramento e strappamento della so-stanza bianca (DAI), ed edema cerebrale. A livello microscopico, invece, il danno si concretizza con la morte neuronale e il danneggiamento del microcircolo38. Non esiste uno specifico intervento per riparare o invertire il danno primario. Altre forme di lesioni associate al trauma cranico, anche se indipendenti dal danno cerebrale primario, sono:

a) Lacerazioni e contusioni dello scalpo

Le lesioni a carico del tessuto sottocutaneo dello scalpo possono provocare guinamenti abbondanti a causa della scarsa capacità costrittiva dei grossi vasi san-guigni lacerati.

b) Fratture del cranio

Le fratture delle ossa craniche sono tipicamente distinte in fratture lineari della volta, fratture depresse della volta e fratture della base cranica. Possono trattarsi di fratture aperte, con comunicazione tra l’ambiente esterno e il parenchima ence-falico e conseguente rischio infettivo, oppure di fratture chiuse, con integrità dello scalpo e quindi una barriera tra l’esterno e l’interno della scatola cranica.

c) Ematomi epidurali

Gli EDH sono raccolte ematiche che si localizzano tra la superficie interna della teca cranica e la dura madre, generalmente conseguenti ad una frattura delle ossa craniche da impatto diretto. Il sanguinamento è provocato dalla lacerazione dei vasi durali, come l’arteria meningea media, per cui, a causa dell’elevata pressione arteriosa, l’ematoma si forma rapidamente ed è spesso voluminoso. Alla TC smc gli ematomi subdurali appaiono iperdensi, lenticolari o ovoidali (a lente biconvessa) e generalmente non sono associati a significative lesioni ence-faliche sottostanti.

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24 d) Ematomi subdurali

Gli SDH sono raccolte ematiche localizzate tra la dura madre e l’encefalo, gene-ralmente causate dallo spostamento delle strutture parenchimatose rispetto alla scatola cranica, nel contesto di TBI da accelerazione-decelerazione. Essi sono più frequenti in presenza di atrofia cerebrale.

I vasi lesionati sono le vene a ponte che attraversano lo spazio sottodurale, dre-nando il sangue refluo dalla superficie della corteccia cerebrale ai seni venosi della dura madre o dall’espansione emorragica di contusioni cerebrali superficiali. Dato che i vasi coinvolti sono a bassa pressione, questo tipo di ematoma si instaura lentamente comprimendo gradualmente il parenchima cerebrale adiacente, deter-minandone ischemia.

Alla TC smc hanno un caratteristico aspetto “a semiluna” e, in quanto spesso cor-relati a un effetto massa, si associano alla deviazione controlaterale delle strutture parenchimatose oltre la linea mediana, alla scomparsa dei solchi corticali ipsila-terali e alla compressione degli spazi ventricolari.

e) Emorragie subaracnoidee traumatiche (ESAt)

Le ESAt sono raccolte ematiche che si localizzano dello spazio subaracnoideo, nel quale decorre liquido cefalorachidiano (CSF), e possono essere provocate dalla rottura dei piccoli vasi della pia madre in seguito ad un insulto traumatico. Il sanguinamento è riconoscibile alla TC smc come un’iperdensità a livello delle cisterne basilari e dei solchi e scissure encefaliche. In alcuni casi questi stravasi ematici sono conseguenza dell’espansione di emorragie intraventricolari o intra-cerebrali nello spazio subaracnoideo. Le ESAt, in assenza di altre lesioni intracra-niche concomitanti, non si associano ad una prognosi severa; allo stesso tempo, però, esse sono presenti in circa il 44% dei traumi cranici severi, i quali hanno un rischio di morte significativo.

f) Contusioni cerebrali ed emorragie intraparenchimali

Le contusioni cerebrali focali sono le più frequenti lesioni intracraniche associate al TBI. Generalmente si riscontrano a livello dei poli e delle superfici inferiori dei lobi frontali e parietali, regioni particolarmente suscettibili all’impatto diretto con-tro le protuberanze ossee della base cranica nel contesto di traumi da accelera-zione-decelerazione. Nelle lesioni da colpo possono essere omolaterali alla sede del trauma, mentre nelle lesioni da contraccolpo sono controlaterali a questa. La

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25 patogenesi delle contusioni cerebrali consiste nel danneggiamento dei piccoli vasi parenchimali ed esita nella formazione di diffuse aree emorragiche petecchiali ed edema circostante, che possono esitare in un ematoma intraparenchimale con pro-duzione di effetto massa significativo che può precipitare in un’erniazione cere-brale.

g) Danno assonale diffuso (DAI) o focale

Il DAI è un processo patologico provocato dalle forze tangenziali che si generano in corso di TBI ed è caratterizzato da un insulto assonale primario, in cui si verifica la lacerazione degli assoni, e da un insulto secondario, che esita in modificazioni patologiche progressive dei neuroni fino alla morte cellulare. È difficile identifi-care le piccole e multiple lesioni della sostanza bianca alla TC smc, risultano più evidenti, invece, alla RM (Risonanza Magnetica) e sono identificabili a livello della sostanza bianca del corpo calloso, della capsula interna e del mesencefalo.

2) Danno cerebrale secondario

Il danno cerebrale secondario contribuisce all’outcome neurologico in seguito a un TBI e consiste in una serie di alterazioni funzionali e anatomiche a livello cellulare, conseguenti a una cascata molecolare avviatasi al momento dell’impatto e che si man-tiene per ore o giorni dallo stesso32,38-40.

Le modificazioni intra- ed extracellulari sono innescate, probabilmente, da una mas-siva depolarizzazione neuronale al momento del trauma e dai disturbi ionici che ne derivano.

Gli eventi patologici sono rappresentati da:

a) Neurotossicità provocata da un eccessivo rilascio di neurotrasmettitori eccita-tori, come il glutammato (con conseguente eccitotossicità);

b) Perossidazione delle membrane cellulari sostenuta dai ROS; c) Squilibri elettrolitici;

d) Risposta infiammatoria;

e) Ischemia secondaria al danneggiamento e all’occlusione del microcircolo e associata al vasospasmo;

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26 Le cellule presentano dei meccanismi di difesa dal danno cerebrale secondario, come le molecole ad azione antiossidante, ma questi vengono rapidamente sopraffatti, con conse-guente danneggiamento dell’integrità strutturale e funzionale di neuroni che vanno incon-tro a morte cellulare. Inoltre gli eventi patologici sopra descritti, determinano edema ce-rebrale con incremento della pressione intracranica (PIC), precipitando ulteriormente il danno cerebrale.

I meccanismi neurochimici, neuroanatomici e neurofisiologici del danno cerebrale secon-dario sono stati ampiamenti studiati nell’animale da esperimento, concludendo che, no-nostante l’impossibilità di riparare in modo efficace le conseguenze del danno cerebrale primario, alcune alterazioni derivanti da quello secondario, possano essere invece rever-sibili41,42 (fig. 6).

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27 3) Danno sistemico secondario

Il grado della disfunzione neurologica secondaria a un TBI è determinata dalla seve-rità del danno cerebrale secondario, il quale è a sua volta condizionato dalla presenza di condizioni patologiche del paziente preesistenti al trauma ma anche insorgenti a causa dell’evento traumatico43,44.

La prevenzione di queste comorbidità sistemiche secondarie al trauma è uno degli obiettivi primari nella gestione acuta dei pazienti vittime di TBI.

a) Ipossia

L’ipossia, così come l’ipercapnia, è un fattore determinante nell’incrementare la mortalità associata al TBI. Può essere provocata da un danno all’apparato respiratorio che si verifica conseguentemente al trauma (lesioni a carico del

Trauma cranico Insulti sistemici Ischemia cerebrale Insufficienza metabolica Depolarizzazione neuronale temporanea Rilascio di neurotrasmettitori ed eccitazione neuronale Scompenso energetico cellulare e dstruzione delle membrane Edema cellulare e distruzione microanatomica Edema cerebrale e erniazione encefalica Lesioni intracraniche Alterata autoregolazione e alterato flusso sanguigno cerebrale

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28 torace, dei polmoni o ostruzioni delle vie aeree), dalla presenza di apnea tran-sitoria o persistente secondaria alla compressione dei centri respiratori tronco-encefalici a causa delle lesioni intra- o extracraniche post-traumatiche, oppure da un’inadeguata gestione delle vie aeree da parte del personale sanitario (come l’incapacità di adeguata intubazione orotracheale).

b) Ipotensione e anemia

L’ipotensione è un fattore dirimente nel peggiorare la prognosi dei pazienti vittime di TBI.

Può essere conseguenza di un sanguinamento abbondante e si associa a una riduzione della perfusione cerebrale e, quindi, ad ischemia.

Allo stesso modo, l’anemia provocata da un’emorragia severa si correla a una ridotta capacità di trasporto di ossigeno al tessuto cerebrale, precipitandone l’ischemia e la morte neuronale.

c) Iperpiressia e crisi epilettiche

Esse possono essere conseguenza del TBI e precipitarne la gravità. Entrambe determinano un incremento delle richieste metaboliche di alcune aree encefa-liche, favorendo il danno neuronale e provocando un incremento della PIC mediante l’aumento della perfusione di queste stesse regioni cerebrali. d) Coagulopatia intravasale disseminata (CID)

La CID si realizza in quasi un terzo dei pazienti vittime di TBI severo ed è associata a un maggior rischio di progressione delle lesioni emorragiche intra-craniche, a un peggioramento della prognosi e a una mortalità più elevata. Spesso la CID si associa alla terapia anticoagulante o antiaggregante condotta dal paziente; lo stesso TBI è però in grado di scatenare una condizione di inap-propriata coagulazione intravascolare, con conseguente coagulopatia da con-sumo, attraverso la liberazione in circolo di fattore tissutale e fosfolipidi di origine encefalica.

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7.3.1 Aumento della pressione intracranica

La PIC rappresenta l’equilibrio della pressione esercitata dai contenuti della scatola cra-nica (struttura non espandibile): se la somma dei volumi di encefalo, CSF e sangue re-stano costanti, questo equilibrio pressorio si mantiene; se il volume di uno solo di questi contenuti, per non variare la PIC, il volume di un altro deve diminuire.

Si definisce la PIC aumentata, quando la pressione del CSF è superiore ai 15 mmHg o a 195 mmH₂O ed è una frequente conseguenza del trauma cranico severo31.

I meccanismi messi in atto per mantenere la PIC costante, come deviare il CSF dalla scatola cranica al canale spinale e comprimere il tessuto spinale, sono validi per un au-mento volumetrico da 50 a 100 ml. Oltre questi valori, qualsiasi piccolo cambiaau-mento può far precipitare la situazione.

Se la pressione intracranica aumenta fino a compromettere la pressione di perfusione ce-rebrale, si perde la capacità di autoregolazione dei vasi con conseguente vasodilatazione. Adesso, meccanismi di compenso sistemici che intervengono per mantenere il flusso san-guigno cerebrale, contribuiscono alla formazione di edema vasogenico40. Se la PIC

au-menta fino alla pressione arteriosa sistemica (PAS), il flusso sanguigno cerebrale cessa (o diminuisce drasticamente) determinando ischemia cerebrale.

7.3.2 Aumento del volume cerebrale ed edema cerebrale

Nei TBI si possono verificare:

• Congestione, per l’aumento del volume di sangue all’interno del cranio; l’ipere-mia può persistere per alcuni giorni dall’evento traumatico45,46 ed è dovuta alla

vasodilatazione necessaria per il mantenimento del CBF.

• Edema, che può essere diffuso o meno. La sua presenza ed estensione, tuttavia, non correla con la severità del trauma cranico40.

Esistono due tipi di edema che possono formarsi come conseguenza del TBI, l’edema vasogenico e quello citotossico. L’edema vasogenico si forma per danno endoteliale e si associa frequentemente con focolai contusivi o ematomi. L’edema citotossico deriva dall’alterazione delle membrane cellulari; è comune nei TBI e si associa frequentemente a ischemia post-traumatica e ipossia tissutale.

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7.3.3 Alterati livelli di coscienza

La coscienza è lo stato di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante e richiede che le funzioni della corteccia cerebrale e del sistema reticolare attivatore ascendente del tronco encefalico siano intatte.

7.3.4 Riflesso di Cushing

Una progressiva ipertensione associata a bradicardia con dispnea è una specifica risposta all’acuto, e potenzialmente fatale, aumento della PIC ed è chiamato riflesso di Cushing. Quando questo fenomeno si presenta, è necessario un trattamento salva-vita del pa-ziente45.

7.3.5 Erniazione cerebrale

Si verifica quando l’aumento del volume cerebrale e della pressione intracranica vanno oltre la capacità compensatoria dell’organismo. Quando la PIC diviene incontrollabile, la massa cerebrale è spinta attraverso i fori craniali, erniando; le ernie cerebrali possono presentarsi da pochi minuti a giorni dopo l’evento traumatico. Comunque sia, quando segni e sintomi di erniazione sono presenti, la mortalità è del 100% se non si attua un tempestivo trattamento.

7.4 Fisiopatologia del MTBI

Nel trauma cranico lieve, i meccanismi di danno agiscono a livello neurobiochimico senza che si manifestino vere e proprie lesioni a livello microstrutturale.

Il danno cerebrale primario può realizzarsi provocando contusioni della corteccia cere-brale da colpo o da contraccolpo.

Nei modelli sperimentali di MTBI è stato dimostrato essere fattori imprescindibili nella determinazione del danno cerebrale secondario l’aumento dei flussi ionici transmem-brana, l’aumento del rilascio di glutammato, acetilcolina e aspartato, le anomalie dei si-stemi enzimatici e l’accumulo di acido lattico, ossido nitrico e radicali liberi36.

Al contrario di ciò che si può verificare nel trauma cranico moderato e severo, in quello lieve non si presenta la lacerazione degli assoni costituenti la sostanza bianca cerebrale, ma si possono avere alterazioni assonali di grado inferiore, come lo stiramento, la torsione

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31 o la disorganizzazione dei neurofilamenti appartenenti alle fibre nervose. Queste modifi-cazioni si manifestano con rigonfiamento assonale, degenerazione Walleriana e, talvolta, con lo sviluppo del danno assonale diffuso (DAI) o focale47.

Studiando l’encefalo con RM funzionale, TC perfusionale, PET (Positron Emission To-mography) e SPECT (Single-Photon Emission Computed ToTo-mography) è possibile evi-denziare come anormalità funzionali cerebrali siano frequenti nei pazienti vittime di TBI lieve anche in assenza di alterazioni morfologiche macroscopiche36,47.

8. Manifestazioni cliniche del TBI

Le manifestazioni cliniche del TBI variano a seconda della gravità dello stesso. Avremo, pertanto, una clinica diversa a seconda che il trauma cranico sia lieve, moderato o severo.

8.1 Manifestazioni cliniche precoci del MTBI

All’accesso al DEA la maggior parte dei pazienti vittime di TBI lieve presenta scarsa sintomatologia in via di risoluzione, o addirittura, risulta asintomatico.

La clinica che può associarsi a questo trauma cranico è di lieve entità e non correla con lesioni intracraniche significative.

In presenza di commozione cerebrale, quindi di disfunzione neurologica post-traumatica transitoria e reversibile, i sintomi generalmente riscontrati sono lo stato confusionale e l’amnesia post-traumatica (PTA, Post-Traumatic Amnesia), in taluni casi possono es-sere preceduti dalla perdita di coscienza (LOC, Loss Of Consciousness). Spesso la LOC non è presente e non rappresenta quindi un marker clinico frequente della concussione cerebrale.

Questa sintomatologia può comparire subito dopo il traumatismo, oppure insorgere gra-dualmente nell’arco di minuti od ore dall’impatto.

La PTA è caratterizzata dalla perdita della memoria riguardante l’evento traumatico, an-che se in certi casi può associarsi ad amnesia retrograda o anterograda, con perdita di memoria riguardante gli eventi immediatamente precedenti o successivi al trauma. È importante, nella raccolta dell’anamnesi di un TBI, indagare la presenza e la severità

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32 dello stato confusionale, della PTA e della LOC, per prevedere eventuali complicanze post-traumatiche.

Altri sintomi frequentemente associati al TBI lieve possono essere: • Cefalea

• Vertigini e instabilità posturale • Nausea e vomito

• Lievi disturbi cognitivi e del comportamento, fotofobia e sensibilità ai rumori, e disturbi del sonno, che tendono a comparire e a permanere nelle ore o nei giorni successivi al TBI.

In alcuni casi non è possibile definire sintomi specifici riconducibili al trauma cranico, ma sono presente segni indicativi:

• Lievi e transitorie alterazioni della capacità di memorizzazione • Disorientamento

• Disattenzione

• Fissità o vacuità dello sguardo

• Rallentamento nelle capacità di rispondere ad una domanda o di eseguire un or-dine

• Eloquio lento o scarsamente coerente • Disturbi transitori della sfera affettiva

• Alterazioni dello stato di coscienza, rispetto alle condizioni basali.

Le manifestazioni cliniche associate al MTBI tendono ad avere durata pari a pochi mi-nuti o poche ore dall’evento traumatico. In alcuni casi possono protrarsi per alcuni giorni o anche per alcune settimane48,49.

8.2 Crisi epilettiche post-traumatiche

Le crisi epilettiche post-traumatiche (PTS, Post-Traumatic Seizures) di breve durata sono abbastanza frequenti nel corso delle prime 48 ore seguenti a un TBI e sono, probabil-mente, innescate da alterazioni transitorie di tipo meccanico o neurobiochimico. Le PTS sono eventi sintomatici acuti e isolati che non possono rientrare in una vera e propria sindrome epilettica.

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33 Si realizzano in meno del 5% dei pazienti cui è stato diagnosticato TBI lieve o moderato; aumentano la loro frequenza con proporzionalità diretta alla severità del trauma. soprat-tutto se sono presenti lesioni intracraniche emorragiche.

Il 50% delle PTS si presenta entro le prime 24 ore dal trauma; metà di queste si collocano nella prima ora. Più precocemente si realizzano, più le crisi epilettiche sono generalizzate; oltre la prima ora dal trauma, la maggior parte di esse è una crisi parziale semplice o crisi focale secondariamente generalizzata.

I pazienti che manifestano PTS hanno un rischio aumentato di 4 volte rispetto alla popo-lazione generale di sviluppare poi epilessia post-traumatica. Il TBI è, infatti, la causa del 20% delle forme di epilessia. Nel periodo acuto e subacuto che segue un TBI, in caso di PTS nei pazienti a rischio di sviluppare queste crisi o nei quali lo sviluppo di una di queste potrebbe rivelarsi fatale, risulta necessario la somministrazione di farmaci antiepilettici; gli anticonvulsivanti non sono invece raccomandati a lungo termine e a scopo profilattico in seguito a un unico e isolato episodio50.

8.3 Sindrome post-commotiva

La commozione cerebrale (CC) si realizza quando al TBI conseguono lievi alterazioni neurobiochimiche e microstrutturali reversibili con conseguente comparsa di disfun-zioni neurologiche transitorie e spontaneamente guaribili.

Questi deficit neurologici sono rappresentati maggiormente da stato confusionale, PTA e LOC. Queste modificazioni tendono a regredire autonomamente in pochi giorni o set-timane dal trauma.

Nel caso in cui sussistesse persistenza di questi sintomi concussivi, si parlerebbe di sin-drome post-commotiva o post-concussiva (PCS, Post-Concussive Synsin-drome).

La PCS segue più frequentemente un trauma cranico lieve che un trauma grave51. Questa sindrome è caratterizzata da anomalie di ambito cognitivo, psicomotorio e com-portamentale. I sintomi che la caratterizzano sono cefalea, vertigini, difficoltà di con-centrazione e attenzione, amnesia di grado variabile, depressione, apatia, ansia, disturbi del sonno e irritabilità52.

La durata della PCS è in relazione col numero iniziale di sintomi lamentati: il 50% dei pazienti che presenta tre sintomi resta sintomatico fino a 6 mesi dopo il trauma53.

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34 In passato si pensava che la patogenesi di questa sindrome fosse psicosomatica54; oggi sappiamo, invece, che esiste una dimostrata di anomalie funzionali cerebrali persistenti allo studio neuroimaging PET, sia per ciò che riguarda la parte metabolica (up-take di glucosio), sia per la perfusione55.

La PTS ha un’incidenza stimata al 10-58% a un mese dal TBI lieve, ma che nella mag-gior parte dei casi tende a risolversi entro 3-12 mesi dall’evento traumatico.

Raramente, la persistenza della sintomatologia concussiva è da correlare allo sviluppo di lesioni intracraniche conseguenti al TBI lieve, evidenziabili sia con la TC che con la ri-sonanza magnetica, ma non con la TC smc eseguita all’accesso del paziente al DEA. Le lesioni diagnosticabili in questa situazione sono:

• Contusioni cerebrali associate a edema e ischemia localizzate e a un effetto massa. Queste possono rallentare la guarigione del paziente dal TBI lieve

• Emorragie intracraniche (ICH), come ematomi intracerebrali, subdurali o epidu-rali, che potenzialmente possono progredire nel tempo associandosi a graduale deterioramento dello stato neurologico del soggetto17,48,56.4

8.4 Complicanze del TBI lieve

Un’adeguata gestione diagnostico-terapeutica del trauma, anche se si tratta di trauma cranico lieve, determina un recupero funzionale completo, evitando così le complicanze a lungo termine del MTBI, quali:

• Sindrome post-concussiva (PCS) • Cefalee post-traumatiche

• Epilessia post-traumatica • Vertigini post-traumatiche

• Lesioni traumatiche dei nervi cranici, con conseguenti anosmia, diplopia o ne-vralgie faciali

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35 • Sindrome da secondo impatto, condizione caratterizzata dalla formazione di

edema cerebrale diffuso a un secondo MTBI in un paziente ancora sintomatico per il primo trauma. Questa sindrome, per quanto rara, può essere fatale57,58. • Encefalopatia traumatica cronica, insieme di deficit cognitivi e neuropsicologici

(come la modificazione del comportamento, la depressione e le tendenze sui-cide) provocati da ripetuti MTBI. Sono stati anche descritti casi di parkinsoni-smo, anomalie della deambulazione e dell’eloquio59.

9. Valutazione e gestione del TBI

Il medico d’urgenza vede pazienti con lesioni/traumi a livello della testa con differenti livelli di severità clinica a causa della grande varietà dei meccanismi con cui il trauma può avvenire. Soltanto segni fisici esterni possono confermare effettivamente che un trauma cranico si sia verificato, ma essi non sono sempre presenti. L’esito neurologico di questi pazienti dipende dall’estensione del TBI, in combinazione o meno al danno sistemico secondario, che nel caso sia presente peggiora il quadro fisio-patologico.

9.1 Anamnesi ed esame obiettivo nel MTBI

I dettagli riguardanti il meccanismo di danno dovrebbero essere sempre chiesti dal medico a eventuali testimoni o al paziente, per determinare se il paziente è ad alto rischio di le-sioni intracraniche.

Anche le condizioni precedenti al trauma sono indizi importanti: l’anamnesi fisiologica e patologica remota, la terapia in atto, recente assunzione (o uso cronico) di alcol o di stu-pefacenti.

È importante conoscere il livello di coscienza (con eventuale perdita e ripresa della stessa) del paziente rilevato dai primi soccorritori, per evidenziarne eventuali variazioni, se è stata necessaria assistenza per eventuali convulsioni post-traumatiche (PTS) o apnee. L’esame obiettivo (EO) deve individuare primariamente eventuali situazioni che richie-dono trattamenti salva-vita; può poi passare all’indagine dello stato neurologico e suoi eventuali cambiamenti.

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36 neurologiche all’esame obiettivo neurologico (EON) richiedono la valutazione speciali-sta, gli esami strumentali di neuroimaging e l’eventuale consulenza neurochirurgica.

Nei pazienti coscienti, l’EON consiste in:

• Definizione dello score GCS: questa scala valuta la responsività oculare, verbale e motoria a stimoli applicati dall’operatore sul paziente. Fu sviluppata per la va-lutazione del paziente con trauma cranico isolato, emodinamicamente stabile e in assenza di ipossia ad almeno 6 ore dal trauma.

La sua applicazione a meno di 6 ore dal trauma ha delle limitazioni: ipossia, ipo-tensione e intossicazioni possono falsare lo score GCS abbassandolo. Cionono-stante, la sua affidabilità, la sua riproducibilità e la semplicità della sua applica-zione hanno reso lo score GCS lo standard per la valutaapplica-zione delle funzioni neu-rologiche del paziente con TBI7.

Il punteggio GCS consente di classificare il TBI in lieve (GCS tra 13 e 15), mo-derato (GCS da 9 a 13) o severo (GCS≤8)11.

Questo score deve essere calcolato più volte durante l’ospedalizzazione al fine di determinare l’outcome prognostico: il deterioramento progressivo dello stato co-gnitivo indica un aumento della pressione intracranica (PIC) secondaria all’espan-sione di una leall’espan-sione emorragica cerebrale o all’evoluzione dell’edema cerebrale; eventi questi che possono anche risultare rapidamente fatali7,60. Il GCS non prende in esame sottili cambiamenti dello stato mentale e non analizza lo stato dei riflessi piramidali ed extrapiramidali e del riflesso pupillare che de-vono quindi essere indagati separatamente;

• Valutazione delle pupille: consiste nell’analisi della dimensione, della forma e della simmetria pupillare e del riflesso fotomotore. Queste osservazioni devono essere fatte all’inizio dell’EO del paziente con TBI. Il riscontro di pupille larghe e fisse fanno propendere per la sindrome da ernia-zione (generalmente la midriasi si riscontra omolateralmente all’erniaernia-zione). Una midriasi traumatica può verificarsi anche in un danno oculare o periorbitale diretto, confondendo la valutazione delle pupille;

• Valutazione delle funzioni del tronco cerebrale e dei nervi cranici: nel setting acuto, queste funzioni sono indagate attraverso il pattern respiratorio del paziente,

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37 la dimensione delle pupille e i movimenti oculari. Nei pazienti senza fratture delle vertebre cervicali è possibile studiare anche il riflesso oculo-cefalico, verificando così anche l’integrità dei centri pontini, con la manovra degli occhi di bambola, e il riflesso oculo-vestibolare, iniettando acqua fredda all’interno dell’orecchio. Per esaminare i nervi cranici (NC), generalmente si fa affidamento al riflesso pu-pillare (NC III), al riflesso faringeo (NC IX e X), al riflesso corneale (NC V e VII) e alla mimica e simmetria faciale (NC VII).

• Esame della funzionalità motoria e dei riflessi profondi: la valutazione della fun-zionalità motoria di esegue obiettivando la forza muscolare e la sua simmetria ed eventuali segni di lato, come una emiparesi controlaterale ad una pupilla midria-tica e fissa che indicano la sindrome da erniazione cerebrale, che può essere con-seguente a una ICH. Un’anormale flessione delle estremità superiori con un’esten-sione di quelle inferiori è tipica della postura decorticata, che implica un danno sopra il mesencefalo. La postura decerebrata, invece, indica una lesione più cau-dale ed associata a prognosi peggiore (estremità superiori e inferiori estese). È necessario accertarsi della simmetria dei riflessi osteo-tendinei (ROT). Il segno di Babinski (riflesso estensorio plantare) è un indice aspecifico di una lesione del tratto corticospinale. Il tono sfinterico e il riflesso anale danno indicazioni sull’in-tegrità della corda spinale.

• Esame obiettivo delle strutture extracraniche: la testa e il collo devono essere esa-minate attentamente alla ricerca di eventuali segni di trauma in modo da accertare l’effettivo avvenimento di un evento traumatico. Una lacerazione dello scalpo, una contusione o un’abrasione possono nascondere una frattura depressa del cra-nio.

La frattura della base cranica è diagnosticata con l’esame clinico, riscontrando ad esempio la presenza di sangue nel canale uditivo esterno e emotimpano, di rinor-rea e otorrinor-rea di CSF, di ecchimosi periorbitale (“segno degli occhi di procione”), di ematomi retroauricolari (segno di Battle) e deficit a carico di alcuni nervi cra-nici, specialmente il VII e l’VIII.

Sono stati sviluppati anche numerosi strumenti diagnostici utili al riconoscimento della CC (commozione cerebrale): la Standardized Assessment of Concussion (SAC), la Post-Concussion Symptom Scale and Graded Symptom Checklist, la Westmead Post-Traumatic Amnesia Scale (WPTAS), l’Immediate Post-Concussion Assessment

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38 and Cognitive Testing (ImPACT) e altri.

L’attenta valutazione medica è in grado di discriminare la presenza di concussione cerebrale anche senza questi strumenti61.

9.2 Diagnostica per immagini

Valutare mediante TC del cranio senza mezzo di contrasto (TC smc) il paziente vittima di MTBI è fondamentale per la sua gestione clinica, soprattutto se in presenza di fattori di rischio per lo sviluppo di lesioni emorragiche intracraniche (ICH). Anche se la maggior parte delle TC smc non riscontra la presenza di anomalie post-traumatiche, potrebbero essere presenti ICH, l’eventuale necessità di un intervento neurochirurgico. In particolare, nei pazienti con MTBI e score GCS di 15 si ha una prevalenza del 5% delle TC smc con anomalie e nei pazienti con score GCS di 13 questa è del 30%. Solo l’1% delle lesioni diagnosticate nei pazienti con MTBI necessitano di intervento neurochirur-gico62.

Vi sono evidenze secondo le quali la clinica del paziente con MTBI predice la presenza di ICH alla TC smc, per cui è possibile definire la categoria di pazienti a rischio di com-plicanze acute post-traumatiche a cui bisogna riservare lo studio neuroradiologico, evi-tando di sottoporre i pazienti che non appartengono a questa categoria, in ottica di radio-protezione62-64.

9.2.1 Criteri clinici per la selezione dei pazienti con MTBI da sottoporre a TC smc

Sono stati sviluppati e validati due criteri sensibili e specifici per selezionare i pazienti vittime di MTBI candidati alla TC smc al fine di escludere la presenza di ICH traumati-che: la Canadian CT Head Rule64 e i New Orleans Criteria63.

Secondo la Canadian CT Head Rule (CCHR) i pazienti con MTBI devono essere sotto-posti a TC smc se presentano almeno uno tra i seguenti elementi:

1) Alto rischio (di intervento neurochirurgico): a) Score GCS < 15 a 2 ore dal trauma;

b) Sospetto clinico di frattura aperta o depressa del cranio;

c) Segni clinici di frattura della base cranica (emotimpano, “segno degli occhi di procione”, segno di Battle, otorrea o rinorrea di CSF);

(39)

39 d) Vomito ripetuto;

e) Età ≥ 65 anni.

2) Medio rischio (di lesione intracraniche alla TC): a) Amnesia post-traumatica per più di 30 minuti;

b) Dinamica di rischio (eiezione da motoveicolo, investimento di pedone, caduta da più di 1 metro o 5 scalini).

In questo studio sono stati esclusi i pazienti da diatesi emorragica o in terapia anticoagu-lante orale e coloro che presentavano un deficit neurologico focale o una crisi epilettica in seguito al trauma, che quindi, secondo questo protocollo, devono sempre essere sotto-posti a studio neuroradiologico64.

I New Orleans Criteria (NOC) sono applicabili solo su pazienti con MTBI e score GCS=15. Danno indicazione di esecuzione di TC smc quando sono presenti:

• Cefalea • Vomito • Età > 60 anni

• Intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti • Deficit della memoria a breve termine

• Evidenza di trauma al di sopra delle clavicole • Crisi epilettica post-traumatica63.

L’American College of Emergency Physicians (ACEP) ha pubblicato le linee guida sulla gestione dei pazienti con MTBI confermando questi criteri10. Studi condotti con l’intento di confermare la validità e comparare l’efficacia di questi criteri hanno dimostrato come la CCHR sia più specifica mentre la NOC sia più sensibile per l’identificazione di lesioni emorragiche neurochirurgiche o clinicamente significa-tive65-67.

Questi criteri sono applicabili anche nei pazienti con MTBI in assenza di LOC, PTA o qualsiasi altro sintomo e segno di commozione cerebrale anche se i pazienti, in questo caso, sono vittime di un trauma ancora più lieve con conseguente prevalenza di anomalie alla TC smc più bassa. Per questi motivi i due protocolli sopracitati dovrebbero esser validati anche per questo subset con studi prospettici.

(40)

40 Il rischio di deterioramento neurologico successivo ad una TC smc negativa per lesioni focali acute è estremamente basso per questi soggetti; tuttavia, la TC smc è fondamentale per definire prognosi e gestione terapeutica dei pazienti con MTBI68. Per questo motivo sono state stilate linee guida dal National Institute for Health and Cli-nical Excellence (NICE) nel 201469 per la somministrazione di TC smc ai pazienti vittime di TBI, che considera criteri analoghi a quelli relativi alla CCHR64,65 (fig. 7)

(41)

41

Figura 7 Algoritmo decisionale per la selezione dei pazienti adulti vittime di TBI candidati alla TC cranio smc

(National Clinical Guideline C. National Institute for Health and Clinical Excellence: Guidance. Head Injury: Triage, Assessment, Investigation and Early Management of Head Injury in Children, Young People and Adults. London: National Institute for Health and Care Excellence (UK) Copyright (c) National Clinical Guideline Cen-tre, 2014; 2014)

(42)

42

9.2.2 Il ruolo della MRI

La TC smc è l’esame strumentale di riferimento per la valutazione delle complicanze acute del trauma cranico, con la quale si possono identificare la maggior parte delle ICH clinicamente significative.

La MRI ha un ruolo ragguardevole nella valutazione dei pazienti vittime di sequele post-traumatiche a lungo termine; essa è più sensibile rispetto alla TC smc nell’individuare piccole aree di contusione cerebrale, danno assonale diffuso (DAI), lesioni ischemiche post-traumatiche e alcune lesioni emorragiche, come i sanguinamenti a livello della base del cranio o nella fossa cranica posteriore.

Alcuni studi dimostrano come il 30% dei pazienti presenti con MTBI presenti anomalie alla MRI nonostante la negatività di reperti significativi alla TC smc.

La MRI e la diagnostica per immagini di tipo funzionale potrebbero assumere un ruolo importante nella diagnosi e nella gestione riabilitativa dei pazienti con disfunzioni neuro-logiche post-traumatiche a lungo termine36,70.

9.3 Esami di laboratorio

Non vi sono esami di laboratorio particolarmente indicati per la valutazione dei pazienti con MTBI. In certi casi può essere utile la misurazione dell’alcolemia o l’esecuzione dell’esame tossicologico delle urine, per definire nel miglior modo lo stato cognitivo del paziente.

Nonostante siano stati condotti svariati studi, non sono stati identificati markers biologici che possano essere considerati fattori predittivi di outcome a lungo termine in seguito a MTBI: in un trauma cerebrale, gli assoni danneggiati liberano proteine che sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica (BEE), rendendosi così rilevabili nella circo-lazione ematica. Soltanto la proteina S-100B, se dosata entro le 4 ore dal trauma, si è dimostrata in grado di predire la presenza di reperti anomali alla TC smc, ma essa ha scarsa specificità per il sistema nervoso centrale trovandosi anche in altri tessuti risul-tando elevata nei traumi multipli anche in assenza di TBI36.

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9.4 Osservazione e dimissione

È presente, seppur minimo, un rischio di sviluppare complicanze intracraniche anche nei pazienti vittime di MTBI, per cui vi è l’indicazione generale di mantenerli sotto osserva-zione clinica per un ragionevole periodo di tempo (generalmente tra le 4 e le 6 ore), con-sentendo successivamente la dimissione a domicilio36.

L’esigenza di ricoverare in regime ospedaliero un paziente e di sottoporlo a ulteriori in-dagini cliniche e strumentali o la possibilità di dimetterlo dipende dall’entità del rischio di complicanze post-traumatiche.

9.4.1 Indicazioni al ricovero di pazienti con MTBI

Secondo le linee guida NICE del 2014, devono essere presenti i seguenti criteri per deci-dere di ricoverare un paziente con trauma cranico:

• Presenza di lesioni intracraniche significative al neuroimaging

• Persistenza di un punteggio GCS < 15, indipendentemente dai reperti diagnostici • Impossibilità di sottoporre un paziente alla TC smc, in presenza di indicazioni a eseguirla, a causa di mancata disponibilità della strumentazione o di mancata col-laborazione del paziente

• Persistenza di segni clinici sospetti, come vomito persistente, cefalea intensa, me-ningismo, otorrea o rinorrea

• Presenza di ulteriori fonti di preoccupazione, come l’assunzione di sostanze di abuso o intossicazione alcolica o presenza di trauma in altre sedi69

I vari protocolli discordano tra loro sulla gestione dei pazienti in terapia con farmaci an-ticoagulanti o antiaggreganti o affetti da coagulopatie: le linee guida NICE69 e le linee guida ACEP10 sostengono l’appropriatezza della dimissione a domicilio di questi pazienti dopo aver confermato l’assenza di ICH con la TC smc all’accesso al DEA; le linee guida EFNS (European Federation of Neurosurgical Societies)11 e le linee guida di riferimento nazionale italiane ASSR (Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali)28 sostengono invece la necessità di mantenere questi pazienti sotto stretto follow-up neurologico per almeno 24 ore, eseguire una seconda TC smc per escludere complicanze intracraniche subacute e, se questi controlli risultano negativi, considerare la dimissione a domicilio.

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44 Nell’arco delle 24 ore successive al trauma, la maggior parte dei pazienti con anomalie alla TC smc è sottoposta a un ulteriore studio di neuro-imaging di follow-up, indipenden-temente dalle modificazioni del quadro clinico; inoltre, in base all’esito della consulenza neurochirurgica è stabilita la necessità di sottoporre il paziente all’intervento chirurgico per evacuazione della lesione emorragica71.

Nonostante l’assenza di sintomi clinici e il basso rischio di ICH, può verificarsi la neces-sità di ricoverare un paziente con MTBI nel caso non fosse possibile monitorare il suo stato neurologico e l’insorgenza di eventuali complicanze tardive a domicilio.

9.4.2 Indicazioni alla dimissione a domicilio dei pazienti con MTBI

Secondo le linee guida NICE del 2014, è appropriata la dimissione a domicilio di un paziente vittima di MTBI quando:

• La valutazione clinica del paziente ha escluso significativamente il rischio di ICH post-traumatiche, se la TC smc non trovava indicazioni, e non vi sono ulteriori condizioni patologiche che indichino la necessità di ospedalizzazione

• La TC smc eseguita all’acceso al DEA non ha dimostrato la presenza di anomalie intracraniche, lo score GCS del paziente si è mantenuto o è aumentato al valore pari a 15, e non vi sono ulteriori condizioni patologiche che indichino la necessità di ospedalizzazione

• Dopo osservazione in regime ospedaliero di un soggetto a rischio di lesioni intra-craniche, il paziente sia andato incontro a risoluzione di tutti i segni e i sintomi significativi

Al momento della dimissione a domicilio è indispensabile istruire il paziente e i familiari sui comportamenti da adottare per ottenere una completa remissione dei lievi sintomi conseguenti al traumatismo, su come identificare l’eventuale comparsa di complicanze a esordio ritardato e su quando rivolgersi al proprio Medico Curante o ripresentarsi al DEA. I sintomi di allarme sono rappresentati da:

• Sonnolenza o confusione mentale • Inabilità a risvegliare il paziente • Cefalea grave o in peggioramento

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