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Promozione istituzionale e promozione aziendale in Friuli-Venezia Giulia. Il caso Lis Neris.

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INDICE

INTRODUZIONE p. 2

1. LIS NERIS: VINO, TERRITORIO E STORIA. UN TRINOMIO INSCINDIBILE p. 3

1.1. L’azienda p. 3

1.2. Il territorio e la sua storia p. 4

1.3. Il terreno p. 5

1.4. Il clima p. 5

1.5. La storia p. 6

2. STORIA DEI CONSORZI E DEGLI ENTI REGIONALI PER LA PROMOZIONE NEL

FRIULI-VENEZIA GIULIA p. 8

2.1. Che cos’è un consorzio di tutela p. 8

2.2. I consorzi del Friuli-Venezia Giulia p. 9

2.3. Enti regionali per la promozione in Friuli-Venezia Giulia p. 11

2.4. Superficie vitata, produzione e valori economici nel Friuli-Venezia Giulia p. 13

3. PROMOZIONE CONSORZI, ISTITUZIONI E LIS NERIS p. 17

3.1. Promozione istituzionale e consortile p. 17

3.2. La promozione di Lis Neris p. 21

CONCLUSIONI p. 26

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2 INTRODUZIONE

Tra l’inizio di ottobre e la fine di dicembre di quest’anno ho avuto la possibilità di svolgere uno stage presso l’azienda vitivinicola Lis Neris (San Lorenzo Isontino, Gorizia). L’ammirazione per una piccola realtà che si è fatta conoscere in tutto il mondo per la qualità del suo prodotto, mi ha portato a voler approfondire la sua storia all’interno del ricco panorama vitivinicolo della regione. A partire da questa ammirazione è nato il presente lavoro.

Per un’azienda vitivinicola, il percorso promozionale che le istituzioni e i consorzi incentivano, svolge senza dubbio un ruolo fondamentale. Nel caso specifico del Friuli-Venezia Giulia il quadro complessivo non è lineare e uniforme, ma intrinsecamente caratterizzato da una frammentarietà di consorzi e di enti regionali atti alla promozione inbound e outbound dei prodotti agroalimentari. Fra tutti i consorzi, solo alcuni sono riusciti, nel corso del tempo, ad emergere in modo solido, mentre associati di altri consorzi non hanno potuto giovare di un supporto istituzionale continuativo. Nella volontà di valorizzare i propri prodotti, essi si sono così trovati davanti ad una nuova sfida: sviluppare autonomamente i propri percorsi promozionali. Tra le diverse realtà che hanno fatto del proprio messaggio aziendale il loro punto di forza, l’azienda vitivinicola Lis Neris, esponente della Doc Isonzo, è un mirabile esempio. Valorizzando un’identità friulana nel suo insieme, essa è diventata una delle aziende più rappresentative del prestigioso terroir della regione più ad oriente d’Italia.

Il presente lavoro si pone di dimostrare come il successo passato e presente di Lis Neris sia stato determinato soprattutto dalla propria attività promozionale. In particolare, si racconterà la storia di quest’azienda e si mostrerà in che modo essa sia riuscita a costruire un proprio marchio riconosciuto a livello nazionale ed internazionale.

Nella prima parte di questo lavoro verrà presentata l’azienda Lis Neris e si descriverà come essa si sia inserita all’interno del Friuli vitivinicolo. Nella seconda parte, si analizzeranno i consorzi e gli enti regionali atti alla promozione nel Friuli-Venezia Giulia. Tramite alcuni grafici verrà presentato il quadro generale della produzione vitivinicola della regione. Nella terza e ultima parte, si delineerà quale è stato nel corso degli anni, il progetto regionale e consortile di promozione del vino friulano. In particolare, si porterà alla luce in che modo Lis Neris sia riuscita a costruire una propria identità aziendale e ad emergere nel panorama friulano.

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1. LIS NERIS: VINO, TERRITORIO E STORIA. UN TRINOMIO INSCINDIBILE

1.1. L’azienda

Nell’ultimo tratto della pianura friulana a San Lorenzo Isontino, nel Goriziano, si trova l’azienda vitivinicola a conduzione famigliare Lis Neris. Il nome Lis Neris deriva dal primo appezzamento di proprietà della famiglia a San Lorenzo, risalente al 1879. L’appezzamento veniva a suo tempo lavorato sempre da sole donne che, secondo i costumi del tempo, vestivano di nero e portavano un fazzoletto nero in testa. Neris in friulano significa appunto nero e da qui “Lis Neris”, Le Nere. Alvaro Pecorari assume la guida dell’azienda nei primi anni Ottanta operando una svolta graduale, ma convinta verso l’enologia qualitativa. Portando avanti il lavoro dei suoi familiari, capisce infatti che la Valle dell’Isonzo offre straordinarie opportunità: il ritiro del mare, l’azione lenta delle glaciazioni e la successiva azione disgregante degli agenti atmosferici hanno contribuito a rendere questo territorio particolarmente favorevole alla viticoltura.

Nel 1980 egli inizia le prime esperienze con quelli che oggi vengono chiamati i ‘Tradizionali’: si tratta di vini provenienti da vigneti giovani, vinificati e maturati in acciaio, che vogliono far esaltare dei caratteri mono varietali. Sarà proprio il modello dei Tradizionali a diventare l’emblema del classico vino friulano e a dare visibilità nazionale e internazionale al Friuli.

Nel 1989 viene portata a termine la prima annata di produzione dei Vigneti Singoli oggi ‘Selezioni’: a differenza dei Tradizionali, questi vini derivano da singoli vitigni maturi di un solo vigneto, con una vinificazione e maturazione intera o parziale in tonneau.

Infine, nel 1997 Alvaro porta a termine le prime prove di cuvée: “l’obiettivo è raggiunto quando la qualità dell’insieme è superiore alla somma delle singole qualità”1.

A partire da quegli anni tre sono le leve che Lis Neris considera con particolare attenzione per regalare, tra tutti, dei bianchi straordinari: la potenza, prerogativa del suolo di questa parte del Friuli; l’eleganza, garantita da condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli e, infine, la longevità.

Oggi, la maggior parte dei vigneti dell’azienda (circa 56 ha) si concentra nel comune di San Lorenzo, una zona più fredda rispetto ai comuni adiacenti che, quindi, si adatta particolarmente alla produzione dei vini bianchi. I restanti vigneti (circa 15 ha) si trovano a Corona (GO), quattro km a

1 “Erano i primi anni Ottanta. Allora, a sentire parlare Veronelli sembrava di andare sulla luna. Siamo andati a

Bergamo, abbiamo portato i vini e ci promise che li avrebbe assaggiati e che forse, in occasione del Risit d’Aur (oggi Premio Nonino, ndr), sarebbe passato da noi. Passa il tempo. Un giorno ero in vigna per dei lavori. Mia moglie mi chiama e mi dice che era appena arrivato Veronelli. Le risposi che sarei andato lì prima possibile, ma lei rispose che Veronelli non voleva che io andassi da lui, era lui che voleva raggiungermi in vigna. Era venuto a dirmi che i vini li aveva assaggiati. E che gli erano piaciuti”. Cfr. Veronelli “Camminare le vigne” in

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ovest di San Lorenzo, dove viene coltivato il Cabernet Sauvignon, e a Romans (GO), a otto km a ovest che, trovandosi in una zona più calda e più lontana dalle correnti balcaniche, è idonea per i vitigni a bacca rossa. Infine, hanno in affitto dei vigneti oltre confine nel Brda sloveno, atti alla produzione dell’ultimo vino entrato in produzione, la Bbk, Rebula (Ribolla Gialla).

Lis Neris è specializzata soprattutto nella coltivazione di vitigni alloctoni: più che una scelta commerciale essa è riconducibile ad una motivazione storica e, in particolare, ad un naturale assecondamento della storia della regione. L’azienda ha infatti scelto di coltivare quei vitigni che l’impero austroungarico aveva portato e che con il tempo si sono acclimatati meglio in Friuli. Tra tutti, il vitigno più rappresentativo e che meglio riesce ad esprimersi sul terreno ghiaioso-calcareo di San Lorenzo (e su cui anche Lis Neris ha fatto innumerevoli prove) è senza dubbio, il Pinot Grigio. In tutto Lis Neris produce 16 vini: i Tradizionali (di cui un solo rosso), le Selezioni, le Riserve (di cui un rosso, due metodi classici e un passito). A seconda delle annate la produzione si attesta intorno alle 400.000-450.000 bottiglie l’anno; oltre alla vendita nel mercato interno, la cantina esporta soprattutto negli USA, nel Nord ed Est Europa, in Russia, anche se è presente in molti altri Paesi.

Si è voluto mantenere l’originaria posizione della cantina nel centro del paese di San Lorenzo Isontino, poiché tradizionalmente tutte le attività commerciali si trovavano lì. Circa i 2/3 della cantina si sviluppano sottoterra, mentre oltre agli uffici, fa parte del complesso edilizio anche un relais per l’accoglienza di ospiti.

Nell’azienda oltre ad Alvaro, la moglie Lorena e la figlia Federica (la quinta generazione di vignaioli), si contano sei dipendenti in ufficio, un cantiniere e una serie di lavoratori stagionali per il periodo della vendemmia.

1.2. Il territorio e la sua storia

I vini di oggi hanno coinvolto più generazioni della famiglia. Già la nonna, come racconta Alvaro stesso, parlava con rassegnazione di vini fini, ricordo dei suoi trascorsi austro-ungarici, come fosse una cosa preclusa ai nostri giorni, “perché non abbastanza bravi per produrli, non abbastanza signori per apprezzarli”. In altre parole, la storia dei vini di Lis Neris è la storia della famiglia, ma per poter raccontare di entrambi, è un passo obbligato capire e raccontare la storia del territorio.

Come è stato detto Lis Neris si trova a San Lorenzo Isontino, nel Goriziano: a pochi metri sorge infatti la parte italiana della città di Gorizia bagnata dal fiume Isonzo (Nova Goriza invece è la parte slovena della città) che, affacciandosi sulla pianura isontina è da sempre un punto nevralgico fra il mondo latino, slavo e germanico. Se infatti ad oriente si trova la Slovenia, a nord-ovest si vedono le Alpi Carniche, le più antiche dell’arco alpino che segnano il confine con l’Austria. Qui è

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incastonato l’angolo orientale del Friuli, marcato dal sud verso nord con il confine sloveno, da est verso ovest con il confine austriaco. Terreno, clima e storia sono i tre fattori fondamentali che caratterizzano questo territorio e i suoi vini.

1.3. Il terreno

Da un punto di vista geologico questo angolo di terra ha avuto una sua storia particolare: se infatti una volta in queste terre scorreva il mare, durante lo scioglimento dei ghiacciai dell’ultima glaciazione würmiana i detriti di roccia in forma di massi, sassi, ghiaia, sabbia, limo e argilla provenienti dalle Alpi Carniche e trasportati dalle inondazioni e dalle piene dei fiumi Piave, Tagliamento e Isonzo, hanno praticamente sommerso i fondali marini emersi dall’abbassamento e conseguente ritiro del mare Adriatico. Gli unici fondali rimasti ad oggi visibili sono quelli più alti, i quali hanno dato vita ai promontori collinari posti ad est della regione e che proseguono la loro estensione anche nella vicina Slovenia. Queste colline, presenti anche a San Lorenzo e che vanno a formare il Collio, sono emerse nel Luteziano medio dell’Eocene, cioè circa 40 milioni di anni fa. È proprio il mare il “grande protagonista invisibile”2 che, oltre ad aver creato un paesaggio di colline, ha fatto in modo che in esse si creasse un terreno di sabbie compresse, marne calcaree e arenarie stratificate ricche di sali. Il territorio tra Gorizia-Cormons-Gradisca ha una conformazione pianeggiante, dovuta allo scioglimento del ghiacciaio dell’Isonzo che, trovando un terreno di origina marina facilmente perforabile, ha formato terreni di origine glaciale e ghiaioso.

Cadendo Gorizia sul 46° parallelo, i vigneti di questa zona si trovano in una situazione ideale per i vini rossi e quindi con una propensione naturale per vini di struttura e di corpo3. Ciononostante, questa è la zona evocata per i vini bianchi: come mai? Per rispondere a questa domanda bisogna focalizzarsi sul secondo fattore fondamentale per queste terre: il clima.

1.4. Il clima

La parte orientale del Friuli si distingue per i vini bianchi grazie allo scontro climatico del clima di origine continentale-alpino e quello di origine mediterraneo, scontro che provoca movimenti di masse d’aria. Se infatti attraverso la Valle del Vipacco trovano il passaggio i venti di origine balcanica, come la Bora che soffia da nord-est, i quali abbattono l’umidità atmosferica, dal momento che tutta l’area della regione interessata alla viticoltura è piuttosto vicina al mare

2 Cfr. “A lezione di territorio con Alvaro Pecorari ”in

http://www.francy.org/speciale/890/?fbclid=IwAR0LG6STCmYj4LETXO_dVySFi_Z7fi7HA2wwFOM_1Me5hOcbcUg-LL1MJz0

3 Su questo parallelo si trova anche la parte settentrionale della Valpolicella, la Langhe, la Valle del Rodano, Bordeaux,

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Adriatico, è possibile avvertire i benefici climatici che esso apporta, a partire dalla mitigazione della temperatura fino all’arieggiamento costante che mantiene l’aria nitida e luminosa. È proprio grazie a questi due fattori che i bianchi in questa zona riescono ad esprimersi al meglio: la Bora, da un lato, creando quell’effetto di sbalzo termico che tende ad abbassare le temperature di notte e a favorire le maturazioni lente, in cui la parte aromatica dell’uva va esaltandosi, facilita un microclima ideale per la completa maturazione delle uve, soprattutto nei mesi di luglio, agosto e settembre, quando ci si trova nella fase centrale di maturazione. Le Alpi Giulie, dall’altro, offrendo protezione dalle correnti più gelide di origine atlantica, preservano il rallentamento della maturazione.

Terzo e ultimo fattore fondamentale per la viticoltura friulana sono i popoli che hanno abitato queste terre: i Romani, la Serenissima e l’impero austroungarico sono quelli che hanno lasciato una loro indelebile traccia.

1.5. La storia

I primi vigneti nacquero sul Litorale e furono portati dai Romani (le loro prime tracce risalgono alla fase finale dell’età del ferro, quando fondarono Aquileia nel 181 a.C. e inglobarono l’intero territorio nella decima regione del loro Stato). Sfruttando la costa per favorire i trasporti via mare, essi portarono in Friuli la cultura alimentare di tipo mediterraneo: olio, grano e appunto vino.4 È interessante che nella toponomastica riemergano memorie della centuriazione, ovvero della regolare suddivisione del territorio agricolo.5

Dopo Roma passarono per queste terre gli Unni di Attila, gli Ostrogoti di Teodorico nel v sec, i Longobardi nel VI, gli Avari e i Franchi, gli Ungari, il patriarcato di Aquileia, la Contea di Gorizia e la Serenissima. Furono proprio loro, i potenti vicini dei Conti di Gorizia ad avere un ruolo di spicco per il vino, portando qui i vitigni dalla Grecia e dal Peloponneso. Tra tutti, le Malvasie, ma soprattutto la Rebula, ossia la Ribolla che sulle colline del Brda sloveno più che in Italia, ha trovato un terreno molto fertile. Infine, nel 1500 con la morte di Leonardo, ultimo Conte di Gorizia, la contea di Gorizia passa sotto il dominio degli Asburgo.6 Nel corso dei secoli essi capirono come far diventare queste terre un punto cruciale per l’Impero. Già alla fine del ‘500 terminarono la costruzione della via Gorizia-Tolmino che offrì un percorso diretto, solo in terre asburgiche, per lo smercio dei vini goriziani scambiati con lino e ferro di produzione carinziana. Oltre alla nascita del

4 Cfr. “A lezione di territorio con Alvaro Pecorari” in

http://www.francy.org/speciale/890/?fbclid=IwAR0LG6STCmYj4LETXO_dVySFi_Z7fi7HA2wwFOM_1Me5hOcbcUg-LL1MJz0.

5 Cfr. “Gorizia Millenaria” di Lucia Pillon, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2005, p. 33 s.

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porto di Trieste nel 1719 e una nuova rete ferroviaria (1842) che collegava Vienna a Trieste, gli Asburgo investirono nel vino e portarono i vini francesi di prestigio7. Arrivano il Sauvignon Blanc, lo Chardonnay, il Merlot, il Cabernet Sauvignon e, più tardi, anche il Pinot Grigio. L’eredità enologica di stampo germanico si trova ancora oggi nella viticoltura friulana, poiché in queste terre è l’uva che dà il nome al vino.

Con le guerre mondiali la produzione vitivinicola friulana vede, oltre alle atrocità qui vissute in prima linea, un arresto totale della produzione e della cultura enologica.

Gli Anni Settanta e Ottanta del Novecento segnano una svolta: da un’economia di consumo per lo più locale si passa alla concezione di un prodotto enologico di più ampio respiro. I giovani produttori dell’Isontino sono tra i primi a cogliere il vento del cambiamento e operare nel proprio territorio un ulteriore salto di qualità, attraverso scelte di campo fondamentali.

Per riuscire a capire in che modo Lis Neris, la quale si trova proprio nella denominazione della Doc Isonzo, sia riuscita ad emergere, è necessario presentare prima il complesso intreccio di realtà istituzionali, semi-istituzionali e di carattere associativo che nella regione svolgono attività promozionale per il comparto vitivinicolo.

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2. STORIA DEI CONSORZI E DEGLI ENTI REGIONALI PER LA PROMOZIONE NEL FRIULI-VENEZIA GIULIA

Nella regione si contano in tutto nove Doc, tre Docg, tre Doc interregionali e una Docg interregionale (cfr. Immagine 1). A questi corrispondono le diverse realtà consortili, le quali sono nate per salvaguardare le denominazioni d’origine.

2.1. Che cos’è un consorzio di tutela

I consorzi di tutela nascono come associazioni volontarie, senza finalità lucrative, disciplinate dall’articolo 2602 del Codice Civile, e promosse dagli operatori economici coinvolti nelle singole filiere (ad esempio nel settore vino unicamente: viticoltori, vinificatori, imbottigliatori) con la precisa funzione di tutelare le produzioni agroalimentari Dop e Igp. Secondo l'art. 14 della Legge 21 dicembre 1999 n. 526, ai consorzi di tutela, riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), sono attribuite funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale delle Indicazioni Geografiche, e se particolarmente rappresentativi, anche delle funzioni di vigilanza nella fase del commercio, cioè nel momento in cui il prodotto certificato entra nel circuito commerciale.

Con il decreto legislativo n. 61 del 2010, emanato in applicazione della disciplina comunitaria, i Consorzi possono attuare una gestione completa delle Denominazioni di Origine. Infatti, secondo l'art. 17 del decreto, i Consorzi maggiormente rappresentativi, hanno la possibilità di ottenere il riconoscimento e l'autorizzazione ad operare “erga-omnes”, ossia nei confronti di tutti gli utilizzatori della denominazione di competenza, anche non aderenti al Consorzio.

Infine, la legge 238/2016, “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino” (meglio conosciuto come “Testo Unico del vino”), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 28 dicembre 2016, all’art. 41 sancisce in modo completo il ruolo dei Consorzi8. Di seguito, per poter ottenere un quadro viticolo d’insieme della regione, si presenteranno brevemente i diversi consorzi regionali, con particolare attenzione alla loro nascita e rappresentatività all’interno della regione.9 Si presenterà poi il nuovo Consorzio delle Doc del Friuli-Venezia Giulia, organismo terzo che ingloba sette delle Doc appena elencate, l’ERSA, TurismoFvg, Federdoc Fvg, enti atti alla promozione dei vini friulani. Infine, si farà una breve analisi economica del “Vigneto Friuli”.

8 Cfr. Testo unico della vite e del vino Legge 238 del 12/12/2016 art. 41. “Capo V CONSORZI DI TUTELA PER LE

DENOMINAZIONI DI ORIGINE E LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE PROTETTE”.

9 Si escludono da questa analisi i Consorzi Interregionali, in quanto non strettamente collegati ad una promozione

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9 Immagine 1: Fonte: ERSA

2.2. I consorzi del Friuli-Venezia Giulia

Consorzio della Doc Colli Orientali e delle Docg Ramandolo, Picolit e Rosazzo

Con il Decreto del Presidente della Repubblica del 20 luglio 1970, è stata riconosciuta la Denominazione di Origine Controllata dei vini “Colli Orientali del Friuli”. Il Decreto del 14 ottobre 2011 sancisce la ridefinizione del nome della denominazione in “Friuli Colli Orientali”.10

Nel 2013, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 17 luglio 2013, il Decreto che riconosce al Consorzio di tutela l’erga omnes, cioè l’estensione delle proprie funzioni nei confronti di tutti i soggetti viticoltori, vinificatori e imbottigliatori attivi nell’area delle denominazioni.11 Il Consorzio riunisce circa 200 soci, dei quali circa i 3/4 sono imbottigliatori.

Consorzio della Doc Collio

Fondato nel 1964, il terreno del Consorzio Collio comprende 3000 ettari, coltivati da circa 300 produttori dei quali circa 166 aderiscono alla Doc e al consorzio. Nel 2017 sono state prodotte un milione di bottiglie “Collio”.

10 Cfr. http://www.colliorientali.com/.

11 Cfr. “Erga omnes al Consorzio Colli Orientali e Ramandolo” in

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10 Consorzio della Doc Isonzo

Costituito nel 1966, nel pieno clima di rinnovamento della vitivinicoltura isontina, il Consorzio accoglie oggi quasi 90 Soci. La denominazione di origine controllata «Isonzo» e «Isonzo del Friuli» è stata approvata con decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 1974, successivamente modificato con decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 1988 e con decreto ministeriale 28 febbraio 1995 quando è stata modificata in «Friuli Isonzo» o «Isonzo del Friuli». Nel 2014 contava 60 associati12, anno anche della sua messa in liquidazione. Le dimensioni troppo piccole e la

mancanza di sostegno pubblico non hanno consentito una gestione economicamente sostenibile.13

Consorzio della Doc Friuli Grave

Il 20 luglio 1970 viene pubblicato il Decreto di riconoscimento della Denominazione, successivamente il 23 novembre 1972 viene costituito il Consorzio anche se tutte le attività hanno ufficialmente inizio nel 1974. Oggi conta associati con aziende di grandezza media superiore rispetto alle altre denominazioni.

Associazione dei viticoltori del Carso/Kras

La denominazione di origine controllata denominata “Carso o Carso – Kras”, nasce con il DPR del 17 luglio 1985. L’Associazione dei Viticoltori del Carso – Kras si costituisce nel febbraio del 2013 dopo il “divorzio” con la DOC Collio. Conta circa 27 associati.

Consorzio della Doc Friuli Latisana

La denominazione di origine controllata "Friuli Latisana" è nata nel 1975, mentre il consorzio volontario di tutela è stato costituito nel 1976. Conta circa 25 associati.

Consorzio della Doc Friuli Aquileia

Nel 1975 viene riconosciuta la Doc “Friuli Aquileia” e il 23 Aprile 1976 fu costituito il Consorzio Tutela Vini DOC Friuli Aquileia. Gli ettari vitati, complessivamente, sono 950 per una produzione di 42.000 ettolitri di vino. Delle circa 79 aziende aderenti, solo 34 imbottigliano il proprio prodotto.

Consorzio delle Doc del Fvg

Costituito nel gennaio 2012 su iniziativa dell’assessore regionale alle risorse agricole Claudio Violino, e in collaborazione con il direttore dell’ERSA Mirko Bellini, conta come soci fondatori i

12 Cfr. http://www.agraria.org/vini/friuli-isonzo-doc.htm.

13 Cfr.

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Consorzi di tutela dei vini DOC Friuli Annia, Friuli Aquileia, Friuli Colli Orientali e Ramandolo, Friuli Grave, Friuli Isonzo e Friuli Latisana. Il Consorzio è un organismo di secondo grado finalizzato a ricevere incarichi per progetti di promozione, condividendo l’attività di promozione vitivinicola dell’ERSA, ma senza sostituirsi alle Doc fondatrici. In particolare, lo statuto del Consorzio identifica lo scopo del suo esistere nel “promuovere, valorizzare ed estendere in Italia ed all'estero la diffusione e la conoscenza dei vini prodotti all'interno della Regione Friuli Venezia Giulia nelle sue varie denominazioni, e dei prodotti agroalimentari tipici della Regione Friuli Venezia Giulia”14. Parallelamente al Consorzio, è stato istituito il Comitato per il riconoscimento della nuova DOC Friuli, formato dai soci fondatori sopra citati.15 Oggi è il consorzio di riferimento della Doc regionale.

FederDoc FVG

Il 15 novembre 2002 nasce FederDoc-FVG, un consorzio di secondo grado che riunisce i nove Consorzi di Tutela Doc e Docg di allora della regione (Annia, Aquileia, Carso, Collio, Colli Orientali, Grave, Isonzo, Latisana e Ramandolo). La Federazione nasce dalla volontà unanime dei Consorzi di dare voce unitaria al comparto, non sostituendosi ad essi nella missione di custodi e garanti delle rispettive denominazioni, ma aiutandoli a crescere e rafforzarsi come “sistema” regionale. Lo scopo principale di FEDERDOC, definito nel suo documento costitutivo è la promozione, lo sviluppo e la valorizzazione in Italia e all’estero dei vini regionali DOCG, DOC e la tutela del Vigneto Friuli.16 FederDoc FVG cessa la sua attività intorno agli anni 2010.

2.3. Enti regionali per la promozione in Friuli-Venezia Giulia

ERSA

Creato nel 1968 come ente strumentale della regione a servizio del sistema agricolo, l’ERSA aveva come primo compito l’ammodernamento del comparto agricolo. In quegli anni questo si trovava in uno stato di arretratezza e incapacità di garantire adeguato reddito, ancorato alle sole esigenze alimentari e con una produzione destinata per lo più all’acquirente locale.17 Il compito dell’ERSA

14 Cfr. Statuto del Consorzio DOC FVG in http://www.consorziodocfvg.it.

15 Cfr. https://www.unioneitalianavini.it/nasce-il-consorzio-delle-doc-del-friuli-venezia-giulia/

16 Cfr. http://www.vinofriulano.it/guidavini/it/guida/federazione.htm#4 e Michele Bagella, Damiano Pinnacchio

“Fattori di competitività dei distretti vitivinicoli in Italia e in Argentina” in “Economia e management delle attività turistiche e culturali. Destinazione, impresa, esperienza, contributi di ricerca” a cura di Paola Paniccia, Patrizia Silvestrelli, Marco Valeri, G. Giappichelli Editore, Torino, 2010, p. 236.

17 Gli anni ‘60 sono considerati il Rinascimento per la viticoltura del Friuli-Venezia Giulia: fu approvato lo Statuto

speciale della regione, la legge sulle DOC (D.P.R. 930/63) e i grandi piani di sviluppo dell’agricoltura della Comunità europea.

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era quindi quello di promuovere forme di associazionismo, incentivare, attraverso la ricomposizione fondiaria, le colture ad alta resa (come il mais), e sostenere gli investimenti nella zootecnia. A partire dagli anni ’80, terminata la fase per la realizzazione di opere strutturali e per la ricostruzione degli impianti zootecnici, distrutti o danneggiati dal sisma del 1976, l’Ente regionale iniziò una profonda riflessione sulle proprie finalità per meglio adeguarsi allo sviluppo tecnologico e alle modificazioni nei mercati agricoli. L’attività informativa divenne non solo funzionale a render conto dell’attività svolta, ma anche a sensibilizzare gli operatori affinché si facessero promotori a più livelli di una politica agraria “fondata su un efficiente sistema agro-alimentare, su una rinnovata cooperazione, su una più incisiva azione promozionale, favorendo in tal modo una diminuzione dei costi di produzione ed attuando una rinnovata assistenza tecnica alle aziende agricole”. 18

Negli anni successivi, tuttavia, l’Ente acquisì anche altri compiti, soprattutto di tipo amministrativo, che ben poco avevano a che fare con le finalità originarie (come per esempio l’attuazione dell’“obiettivo b”, la gestione delle fideiussioni, l’erogazione di premi per la contabilità agraria ecc.), creando gravi difficoltà nella gestione del suo operato. Nel 2002, la riforma introdotta dalla giunta Tondo con la legge regionale 24 cercò di riformare l’Ente, senza però riuscirci. Essa rimase una legge inattuata che causò una lunga stagione di commissariamento dell’Ente.

Con la nuova giunta Illy, il 31 marzo 2004 viene pubblicata in Bollettino ufficiale la legge n. 8, che ne riforma i compiti e le funzioni, attribuendone la veste di Agenzia per lo sviluppo rurale. Il provvedimento definisce il nuovo ERSA come lo strumento di raccordo tra le esigenze del settore produttivo e le attività dei soggetti che operano nell’ambito della ricerca, della sperimentazione e dell’innovazione in agricoltura con l’obiettivo di favorire l’ammodernamento delle imprese e migliorare la qualità dei prodotti. Anche se in questa riforma viene data all’ERSA la funzione di promozione dei marchi di origine e di qualità dei prodotti agricoli, questa nella pratica non è al centro delle priorità. Il risultato della gestione di quegli anni, sembra infatti ridurre l’ERSA a quelle funzioni della sua originaria fondazione, senza tenere in considerazione gli sviluppi del mercato vitivinicolo in regione.19

Con il secondo mandato della giunta Tondo e con Violino come assessore alle risorse rurali, agroalimentari e forestali, l’ERSA, che negli anni precedenti si era occupata soprattutto di assistenza tecnica e scientifica, assume un ruolo centrale nella promozione del comparto vino e dell’agro-alimentare in generale. Rappresentando il braccio operativo dell’assessorato sul territorio

18 Cfr. F. Marangon, “Un secolo di economia vitivinicola” in Storia della vite e del vino in Friuli e a Trieste a cura di Enos

Costantini, Accademia italiana della vite e del vino, Forum, Udine, 2017, p. 255. Nel 1988 uscì il primo numero del “Notiziario ERSA”.

19 Cfr. “La nuova ERSA fra tradizione e innovazione”, di Josef Parente in “Notiziario ERSA” Anno XVII n. 2-3,

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per la promozione non è sembrato avere però le competenze necessarie per poter programmare l’attività regionale. Sono gli anni in cui l’Ente gestisce i soldi di risarcimento della causa Tocai, promovendo il nuovo “Friulano” attraverso il marchio “Tipicamente Friulano” e le manifestazioni “Friulano&Friends” e “Friulano on tour”. Le criticità di queste decisioni a livello promozionale verranno analizzate nel prossimo capitolo.

Ad oggi, l’assessore regionale alle Risorse agroalimentari, Stefano Zannier, afferma che “dall’anno prossimo, (…) la promozione dell’agroalimentare e la partecipazione ai grandi eventi sarà interamente in mano a Promoturismo Fvg”20, facendo così intendere che nei prossimo futuro si assisterà ad un progressivo declino dell’importanza dell’Ente a livello promozionale.

Turismo Fvg, Promotur e PromoTurismoFvg

Turismo Fvg nasce nel 2002 rappresentando il braccio operativo dell’assessorato al turismo. Promotour nasce nel 1993 come Agenzia regionale per attuare progetti mirati di promozione nei territori montani. Nel 2015 sotto la giunta Serracchiani in un piano di razionalizzazione degli enti controllati dalla regione, le due realtà si fondono e danno vita a PromoTurismoFVG. PromoTurismoFVG svolge attività di promozione e di gestione dello sviluppo turistico sul territorio regionale, con compiti di programmazione, progettazione, individuazione, organizzazione e promozione dei servizi e dei prodotti turistici. Nel panorama vitivinicolo regionale è, tra le altre cose, responsabile del progetto “Strade del vino”.

2.4. Superficie vitata, produzione e valori economici nel Friuli-Venezia Giulia

Mi sembra utile a questo punto della trattazione ripercorrere con dei grafici la storia enologica friulana per ottenere così il quadro d’insieme del suo sviluppo passato e presente, ma anche far emergere a livello economico e produttivo l’incidenza e il trend che le diverse Doc hanno avuto e hanno a livello regionale.

I primi due (cfr. immagine 2 e 3) rappresentano rispettivamente le produzioni annue del prodotto vitivinicolo nel Fvg a partire dal 1936 fino al 2016 e il valore economico dell’uva e del vino dal 1985 al 2016. Incrociando i due grafici si evincono tre periodi fondamentali per la viticoltura friulana. Il primo periodo rappresentativo è quello che va dal 1936 al 1979. Qui infatti si evidenzia una costante crescita produttiva e si nota come l’anno iniziale e finale di riferimento siano due momenti di rispettivo massimo e minino produttivo: nel 1936 si produssero 375.000 hl e 1.640.000 nel 1979.

Immagine 2: Fonte: Istat- Produzioni di vino (ettolitri), anni 1936-2016.

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Il secondo periodo coincide con gli anni Ottanta (in particolare fino all’1988). In entrambi i grafici è chiaro che il trend in forte aumento degli anni precedenti si interrompe; è un decennio che rappresenta un momento di ridimensionamento del settore vitivinicolo, di cambiamento strutturale per il futuro del comparto, l’inizio del concretizzarsi del presagio, iniziato negli anni Settanta, di un cambiamento di tendenza, ovvero la qualità prima della quantità. Interessante è notare che nel 1988, si siano raggiunti livelli di produzione paragonabili a vent’anni prima e che dal punto di vista economico, l’anno 1980 abbia registrato sia il valore monetario (a quota 165.124,82 milioni di €) che il valore di incidenza sulla PLV totale (a quota 20,8%) più alto nella storia del comparto vitivinicolo regionale.

Immagine 3: Fonte Istat

I tre lustri successivi (terzo e ultimo periodo) hanno una produzione annua abbastanza stabile ed un valore economico che, anche se piuttosto variabile, riesce a mantenere i valori delle produzioni a circa 115 milioni di euro annui. Molto interessante è la produzione del 2016 perché può essere

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annoverata da sempre come la più fruttuosa del Friuli-Venezia Giulia. La produzione si attesta infatti a quota superiore ai 1.9 milioni di hl.

Attraverso il terzo grafico (cfr. immagine 4) si può notare come nel corso dei decenni, indipendentemente dal valore della superficie vitata (certamente in aumento in questi ultimi 40 anni), l’incidenza di ogni singola denominazione sulla superficie vitata totale sia rimasta pressoché invariata.

Immagine 4: Fonte: Ismea, Corriere vinicolo e Istat. Superficie rivendicata (%)

DENOMINAZIONE 1978 1979 1980 1981 1982 2011 2012 2013 2014

CARSO 0,6% 0,7% 0,8% 0,7%

COLLIO 10,2% 10,3% 10,3% 10,5% 11,0% 15,9% 16,1% 18,0% 16,8%

FRIULI ANNIA 0,4% 0,4% 0,3% 0,3%

FRIULI AQUILEIA 4,9% 5,0% 5,0% 5,0% 5,3% 6,1% 6,5% 6,5% 6,5%

FRIULI COLLI ORIENTALI 11,9% 12,0% 11,7% 12,7% 12,9% 22,8% 23,6% 24,9% 23,6%

FRIULI GRAVE 58,7% 57,7% 58,2% 57,3% 56,8% 38,6% 37,6% 33,9% 37,7%

FRIULI ISONZO O 7,6% 8,1% 8,2% 7,9% 7,7% 12,9% 11,9% 12,9% 12,1%

FRIULI LATISANA 3,9% 4,1% 3,8% 3,8% 3,5% 1,7% 1,7% 1,0% 1,0%

LISON PRAMAGGIORE 2,8% 2,8% 2,8% 2,8% 2,8%

Totale Doc Friuli Venezia Giulia 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 99,1% 98,5% 98,3% 98,7%

PICOLIT 0,7% 0,7% 0,6%

RAMANDOLO 0,6% 0,5% 0,6% 0,5%

ROSAZZO 0,3% 0,3% 0,4% 0,2%

Totale Docg Friuli Venezia

Giulia 0,9% 1,5% 1,7% 1,3%

Totale Doc/Docg 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%

Con l’immagine 5 si può notare come fino al 2015 il totale della produzione dei vini in regione fosse per metà dichiarata Doc o Docg e per l’altra metà Igt. Le cause di questa suddivisione della produzione potrebbero essere varie: far certificare i propri vini Igt, invece che Doc, oltre ad essere espressione di un’azienda che predilige la quantità rispetto alla qualità, potrebbe indicare la volontà dei produttori di seguire un disciplinare meno restrittivo e di avere meno costi di certificazione; allo stesso tempo potrebbe portare alla luce poca fiducia da parte dei produttori verso il prestigio di appartenere alla Doc, non avendo nessun riscontro positivo certificando in questo modo il proprio vino. Se infatti non è vero che certificare vino Doc vada sempre a pari passo con un concetto qualità, fa comunque specie vedere come in una regione nota per il proprio vino di alta qualità, fino al 2015 nella proporzione della produzione l’Igt abbia avuto lo stesso peso delle Doc.

A partire dal 2016, ma in modo eclatante nel 2017 si nota invece un’inversione radicale della tendenza con la produzione della Doc che supera più di cinque volte quella dell’Igt. Pare probabile sostenere che le nuove Doc Pinot Grigio, Doc Friuli e Doc Prosecco nate tra il 2016 e il 2017 abbiano assorbito tutta la produzione Igt facendola convogliare in Doc.

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Immagine 5: Fonte: Ismea. Produzione di vino in Friuli-Venezia Giulia per marchio di qualità

Comuni Varietali Igp Dop TOTALE 2008 120.915 611.321 663.580 1.395.816 2009 121.835 11.121 603.329 558.448 1.294.733 2010 100.018 6.364 570.729 514.325 1.191.436 2011 102.959 10.237 604.001 572.715 1.289.912 2012 114.904 3.671 529.476 491.274 1.139.325 2013 123.978 5.276 663.316 665.668 1.458.238 2014 146.750 3.877 536.165 690.015 1.376.807 2015 119.842 5.453 633.440 877.261 1.635.996 2016 105.774 5.209 600.487 939.891 1.651.361

A conferma della crescente produzione delle nuove Doc, si confrontino i dati del grafico seguente (cfr. immagine 6).

Immagine 6: Fonte: Federdoc. Produzione in ettolitri/1000.

In conclusione, elenco di seguito gli ultimi dati riassuntivi sulla situazione produttiva del Friuli-Venezia Giulia. Nel 2016 la superficie vitata regionale risulta, nel complesso, pari a circa 23 mila ettari, in crescita rispetto al 2015 con un tasso del 3,3%. Il fenomeno è dovuto all’espansione del prosecco, il quale attualmente prevede una superficie di circa 3 mila ettari: l’ampliamento della superficie dei nuovi impianti da destinare alla denominazione Prosecco, è infatti una linea di indirizzo contenuta nella OCM vini della regione. Se infatti la resa di uva a ettaro prevista nel Disciplinare del Prosecco corrisponde a 180 kg/ha, per le altre denominazioni essa è solo del 110 kg/ha. In questo senso, si sta assistendo ad una conversione degli impianti verso questa varietà, a scapito delle varietà tradizionali.21 La produzione di uva nel Friuli-Venezia Giulia si aggira intorno ai 2.707.127 di quintali con una quantità di vino ottenuta pari a 1.856.412 ettolitri. In preminenza c’è la produzione di Pinot Grigio e Glera. Gli ettari vitati a Pinot Grigio sono infatti pari a 6.728, mentre a Glera pari a 4.064. Segue il Merlot a 2.303, mentre con un trend in crescita troviamo la Ribolla Gialla, la Malvasia, il Pinot Nero e il Traminer aromatico.22

21 Cfr. http://www.parcoagroalimentare.it/code/15587/Approfondimento-vitivinicola 22 Cfr. https://www.unioneitalianavini.it e http://www.ismeamercati.it. PROSECCO FRIULI GRAVE VENEZIA COLLI ORIENTALI DEL FRIULI COLLIO GORIZIANO FRIULI ISONZO FRIULI VENEZIA GIULIA FRIULI AQUILEIA 2011 1,351 237 137 85 63 55 31 2012 1,798 161 106 77 60 49 32 2013 2,141 160 108 72 63 48 30 2014 2,241 163 109 73 59 45 28 2015 3,648 174 162 87 68 51 29 2016 3,917 112 212 87 65 46 36 30

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3. PROMOZIONE CONSORZI, ISTITUZIONI E LIS NERIS

Dopo aver descritto i consorzi e gli enti regionali, si vuole nella prima parte di questo capitolo contestualizzare il loro operato a livello promozionale. Se infatti i consorzi hanno come compiti fondamentali rappresentare e valorizzare i prodotti dei loro consociati, gli enti regionali e la regione hanno il compito di far interagire queste realtà facendo funzionare in tutto il suo insieme il comparto vino. Nella seconda parte di questo capitolo si mostrerà come Lis Neris si sia inserito in questo contesto con proprie azioni promozionali.

3.1. Promozione istituzionale e consortile

Fino ad oggi l’attività promozionale consortile nel panorama friulano è stata disorganica e frammentata e per questo non è possibile fare un discorso univoco e d’insieme: a fronte di iniziative vincenti e di prestigio, se ne contano molte altre di più deboli e discutibili.

Le attività promosse in particolare dai consorzi più piccoli della regione (come la Doc Annia o la Doc Latisana) non paiono essere state di grande rilievo: oltre a partecipare a fiere importanti e ad aderire a qualche evento, questi consorzi non sembrano aver realizzato, seguendo un piano strategico a lungo termine, una promozione organica della loro denominazione. Oltre a motivi legati strettamente alla gestione economica, possono essere ritrovati due fattori principali che hanno contribuito alla loro cattiva gestione: la dimensione dei consorzi e la disomogeneità dei loro associati. Nel maggior parte dei casi questi consorzi non sono economicamente sostenibili a causa della loro ridotta dimensione: inoltre, la difficoltà della loro gestione si aggrava con il venir meno del sostegno pubblico che, negli anni della crisi, è fortemente diminuito. In secondo luogo, svolge un ruolo fondamentale la disomogeneità degli associati: se già un numero cospicuo non permette di avere quote associative sufficienti per una buona attività consortile, nel caso in cui ce ne siano pochi, di cui alcuni molto grandi, le dinamiche decisionali interne al consorzio tendono a non essere equilibrate. Se poi questi grandi produttori decidessero ipoteticamente di sganciarsi dal consorzio, ciò potrebbero compromettere l’esistenza del consorzio stesso. La presenza di Ca’ Bolani nel Consorzio della Doc Aquileia è un esempio di un produttore molto grande rispetto al resto degli associati.

Tra tutti, il caso più eclatante di discutibile gestione dei consorzi nel Friuli-Venezia Giulia è stato quello della Doc Isonzo, che nel 2015 chiude. Le quote associative (che ammontavano a circa 50.000 euro all’anno) e la mancanza di finanziamenti pubblici ne hanno infatti costretto la chiusura, obbligando, inoltre, i produttori soci a sanare un debito di circa 130.000 euro. Se senza un consorzio di riferimento, i produttori più grandi hanno provvisto autonomamente alla promozione dei propri

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prodotti, quelli più piccoli hanno risentito maggiormente della mancanza di un supporto. In ogni caso è senza dubbio che ci siano state ricadute negative sull’identità dei produttori e, di conseguenza, sulla riconoscibilità del territorio.23

D’altra parte, consorzi come quelli della Doc Colli Orientali, Collio e Grave che, non a caso sono i più conosciuti nel panorama nazionale e mondiale, sono esempi virtuosi di impegno promozionale nei confronti dei loro consociati. Pur con le loro difficoltà, sono stati in grado di valorizzare le caratteristiche specifiche e strutturali della denominazione di riferimento.

Il consorzio della Doc Grave, per esempio, applicando logiche di promozione di stampo commerciale, riesce a concretizzare risultati positivi per i suoi associati. È un consorzio che sa di rappresentare aziende che rispetto alla media regionale sono molto più grandi e che spesso gestiscono autonomamente la propria promozione, puntando soprattutto sul brand aziendale. In questo senso il consorzio attraverso le sue iniziative si mostra consapevole di essere complementare alle esigenze dei produttori, presentando un’immagine unita e chiara del Friuli Grave.

Con i vini della Doc Collio, prima Doc nata in regione, un consumatore identifica vini ricchi, potenti ed espressivi e più in generale i vini di qualità del Friuli-Venezia Giulia. La sinergia del consorzio e dei produttori ha fatto in modo che questa nomea si sia mantenuta e consolidata negli anni. In questo senso forse proprio grazie alla consapevolezza di trovarsi in una denominazione in cui ci sono molti produttori di piccole dimensioni (retaggio della suddivisione del terreno agricolo durante l’impero), i produttori hanno trovato nella collaborazione e nell’affidarsi al consorzio la strategia vincente.

Un esempio di una fruttuosa comunicazione identitaria portata avanti dal consorzio, si trova nella bottiglia “Collio”. La bottiglia, nata nel 2009, portavoce del messaggio “Uguali-uniti-risparmiare per amore della natura” e uguale per tutte le aziende di questo territorio, unisce l’intento di rappresentare una realtà e una cultura attraverso un vino che, allo stesso tempo, sia sinonimo di rispetto per la natura. La bottiglia che è diventata elemento di riconoscimento ed unione, pesa 500g contro i 550-600g usuali, ha la stessa forma e colore sia per i bianchi che per i rossi, presenta la scritta Collio incisa sulla baga e ha una capsula gialla a chiusura. Condivisa da tutti i produttori, la bottiglia è stata messa in commercio con il chiaro intento di presentare sul mercato l’immagine di una realtà vitivinicola definita e di essere riconosciuta e ricordata dai consumatori e dai buyers.24 Come esempio di cooperazione e di dialogo proposta dai produttori e poi, finanziata in un secondo momento dal consorzio, si trova il progetto “Collio in Vespa”. Nato da un’idea di venti produttori della zona e finanziato con 400.000 euro dal consorzio, il progetto ancora oggi attivo, permette di

23Cfr.

https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2015/03/07/news/consorzio-doc-isonzo-si-chiude-1.11001228?refresh_ce

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noleggiare una vespa - rigorosamente di colore giallo - per scoprire le bellezze e le eccellenze della zona.

Per quanto riguarda la gestione della promozione affidata alla regione e agli enti da essa controllati, uno dei fattori principali che ne ha condizionato il funzionamento si ritrova nelle dinamiche politiche inter ed infra-regionali. Ad ogni nuovo insediamento di una giunta regionale infatti, a seconda della bandiera politica con cui questa si è identificata, si è spesso dato o tolto la responsabilità della promozione regionale ai diversi enti, creando grossi problemi di continuità di lavoro. La politica in questo senso ha portato ad interruzioni o a stalli nella gestione organica della promozione vitivinicola regionale. In particolare, due sono gli enti che più hanno subito le decisioni di carattere politico e, conseguentemente, mal gestito gli incarichi affidati: l’Ersa e Turismo FVG. Il caso più eclatante della cattiva gestione sia a livello di regione (in termini di un’inefficiente difesa nella battaglia legale) sia poi, una volta persa definitivamente la causa, della gestione del rilancio di un nuovo nome del vitigno, è stato quello del Tocai. Proibito a partire dalla vendemmia 2008 e soppiantato dal nome Friulano, l’ERSA, incaricata dalla regione, ebbe il compito di gestire i milioni di risarcimento stanziati dal Ministero dello sviluppo agricolo e dalla regione per rilanciare il nuovo nome del vitigno. Tra i vari progetti nati con questo scopo, si trova la creazione del marchio “Tipicamente friulano” (registrato nel 2010) abbinato ad eventi, manifestazioni, fiere e sagre diffuse capillarmente su tutto il territorio regionale. Come disse l’assessore Violino nel 2013, “Tipicamente Friulano” è un marchio “che abbiamo voluto per le sagre, perché credo che oggi queste manifestazioni siano l’espressione più autentica di socialità che sente la gente comune e l’esempio più classico di valorizzazione e promozione di un prodotto e dell’intero territorio che gli fa da substrato”.25 Collegato a questo, la seconda azione che l’ERSA insieme alla regione finanziò fu il marchio “Friulano&friends”, una rassegna di eventi nata per promuovere il vino friulano, proponendo di volta in volta abbinamenti con altri prodotti friulani. Infine, l’Ersa insieme a Turismofvg e il Consorzio delle Doc creerò la rassegna “Friulano on tour” un percorso di promozione del Friulano e delle altre eccellenze vitivinicole del Fvg nelle principali capitali europee.26

Tutte queste azioni trovano però la loro conclusione nel 2014. Se è vero che la decisione è stata promuovere i prodotti friulani nel loro complesso, è significativo che gli sforzi non si siano concentrati sulla promozione di quel prodotto per cui tutto era nato, ovvero il Friulano. Indipendentemente se si condivida o meno questa scelta, il fatto problematico è che l’esito della promozione dei prodotti friulani sia risultato inefficace. Negli anni, finanziando e investendo in

25 Notiziario Ersa “Editoriale” n.1 2013.

26 Cfr. “Tipicamente Friulano. Friulano, lingua e vino per la promozione dell’agroalimentare” in Agrisole speciale

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tanti piccoli eventi e progetti poco utili per far conoscere sia il Friulano sia i prodotti agroalimentari, si è registrata una dispersione delle risorse monetarie inizialmente disponibili. Pensando forse che la sola creazione del marchio fosse di per sé la soluzione, si è sottovalutata l’importanza di strutturare un percorso promozionale più complesso. In questo senso, il bilancio finale dell’operato dell’Ersa e della giunta in quegli anni non è stato incisivo né per il Friulano né per l’intero paniere agroalimentare. L’unica nota positiva individuabile nella cattiva gestione da parte della regione della causa Tocai è che, essendo questa risuonata a livello nazionale, il Friulano è stato oggetto di discussione dell’opinione pubblica.

Per contrastare la frammentarietà dei consorzi, che, come si è visto, spesso da soli non riescono a promuovere efficacemente la propria denominazione, e i deficit della regione e degli enti da essa controllati, nel gennaio 2012 è stato creato il Consorzio delle Doc del FVG. Questo “super consorzio”, che non si sostituisce in toto ai compiti dei soci fondatori, è nato infatti con lo scopo principale di promuovere le diverse Doc puntando sulle diversità e specificità proprie di ognuna. A ciò si aggiunge il compito di promuoverle come un corpo unico, puntando sulla riconoscibilità dell’intera regione.

Il primo obiettivo non sembra essere portato avanti con grandi novità rispetto al passato, dato che il “super consorzio” ha assunto le stesse funzioni di promozione dei singoli consorzi svolgendo le loro stesse attività (partecipazione ed eventi specifici). Dal punto di vista della promozione organica di tutto il comparto vitivinicolo friulano invece, gli sforzi si sono concentrati fin dall’inizio nella costituzione della nuova Doc regionale Friuli. Nata non a caso in concomitanza con il Consorzio stesso, la Doc Friuli vuole rappresentare con un nome riconoscibile il Friuli nel mondo.

La prima domanda che ci si pone analizzando queste scelte strategiche promozionali, è la seguente: come mai si è voluta una denominazione regionale che porti ulteriormente in luce il nome Friuli, quando le denominazioni di partenza, tranne la Doc Collio e Carso, già contenevano questo nome? Se infatti è vero che il produttore oggi può scegliere se etichettare il proprio vino Igt, Doc Friuli o con la Doc di riferimento, decidendo così come posizionarsi sul mercato, dal punto di vista della regione sembra che si sia voluto togliere l’elemento della territorialità come caratteristica più incisiva di questi vini. Scegliendo infatti di caratterizzare il proprio vino sotto la Denominazione Friuli, si indica in etichetta solo il vitigno; scegliendo di etichettare con la Denominazione storica invece, oltre al vitigno, è possibile indicare anche la “sottozona regionale” di appartenenza. In questo senso sembra che con l’istituzione di questa Doc così grande e onnicomprensiva, la regione abbia in qualche modo voluto appianare l’immagine delle specificità dei diversi terroirs della regione e abbia voluto livellare l’immagine qualitativa di tutti i vini regionali nati però all’origine con finalità diverse. Il significato di avere nella Doc regionale un disciplinare più restrittivo di

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quello dell’Igt, ma meno di quello delle varie Doc storiche, dal punto di vista della regione potrebbe assicurare una grande base di partenza per fare vini di qualità, lasciando che i singoli picchi qualitativi si identifichino con le denominazioni storiche.

Senza dubbio questa “nuova piramide qualitativa regionale” ha i suoi vantaggi, dando al consumatore finale l’idea di Friuli, ma rischia - a mio avviso - di confonderlo quando invece si tratta di localizzare prodotti di qualità all’interno della regione, mescolando vini di qualità con vini prettamente commerciali.

Infine, oltre alla Doc Friuli, il Consorzio delle Doc del FVG e la regione, stanno focalizzando in questi ultimi anni tutta la loro attenzione e il loro interesse sulle due Doc Interregionali che per antonomasia sono Doc di quantità: la neonata Doc Pinot Grigio delle Venezie e la Doc Prosecco. Entrambe entrate con forza nelle dinamiche commerciali del vino in Friuli, stanno modificando la struttura storica e culturale del vigneto Friuli con numeri di produzione e di profitto (soprattutto per il Prosecco) di gran lunga maggiori degli standard regionali. Se i risultati della Doc Prosecco sono già sotto gli occhi di tutti, nei prossimi anni si starà a vedere come si evolveranno le dinamiche per le Doc del Pinot Grigio e del Friuli. Per ora, basta visionare i disciplinari di produzione per prendere consapevolezza di quanto si differenzino le diverse produzioni che coesistono in regione.

La produzione massima per ettaro in coltura specializzata dei vigneti destinati ai vini delle diverse Doc si aggira intorno alle 12 e 13 tonnellate. Uniche eccezioni sono le Doc Colli Orientali e Collio con un limite di 11 tonnellate e Carso con 9 tonnellate. La resa uve/vino invece è uguale per tutte le Doc ed è del 70%. Nella Doc Pinot Grigio delle Venezie, invece, la resa per ettaro è di 18 tonnellate con una resa uva/vino del 70%; nella Doc Prosecco di 18 tonnellate con una resa uva/vino del 70%. Nella Doc Friuli la resa per ettaro di tutti i vitigni ammessi è di 14 tonnellate con eccezione di 13 tonnellate per il Riesling e il Traminer e di 12 tonnellate per la Malvasia. La resa uva/vino è del 70% per i rossi e del 75% per i bianchi. Infine, nella Igt Venezia Giulia la resa per ettaro è di 19 tonnellate e la resa uva/vino è del 80%.

A fronte della tendenza a produrre sempre più vini varietali, si spera che l’importanza di mantenere viva la coltura di vigneti autoctoni e la cultura friulana nel suo complesso non venga dimenticata.

3.2. La promozione di Lis Neris

A fronte di tutte queste difficoltà che, come si è visto, caratterizzano la promozione in Friuli-Venezia Giulia, Lis Neris è riuscita a farsi conoscere in Italia e nel mondo. Considerando che il suo consorzio di riferimento (Consorzio della Doc Isonzo) fino alla cessazione della sua attività, ha svolto soprattutto funzioni di supporto tecnico e non di supporto alla promozione, Lis Neris è un

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esempio di azienda che ha sviluppato autonomamente e con successo il proprio percorso promozionale.27

Tendenzialmente due sono gli attributi principali che un produttore decide di assegnare ai propri vini in vista del loro consumo: caratteri di qualità non territoriale e caratteri di qualità e di territorialità. Se chi produce vino con il primo attributo punta essenzialmente sulla propria immagine o brand, preoccupandosi di aumentare il valore aggiunto del segmento industriale e/o commerciale, chi opta per il secondo attributo si collega agli specifici valori del proprio territorio e, per un’efficace valorizzazione dei vini, necessita di un’azione sinergica che coinvolga i produttori e le istituzioni locali atte alla promozione e alla comunicazione del territorio.28

Senza dubbio Lis Neris rientra nella seconda categoria di produttori, scegliendo di fare della qualità e allo stesso tempo della territorialità il suo punto di forza. In particolare, Lis Neris è riuscito nella mirabile impresa di coniugare la promozione del proprio brand con la promozione della territorialità del suo vino, sopperendo autonomamente alla mancanza di quella istituzionale del territorio isontino. In altre parole, con Alvaro, Lis Neris è riuscita a fare della propria promozione aziendale, una promozione del territorio.

La volontà di produrre solo vino di estrema qualità si è concretizzata negli anni attraverso un percorso di ricerca per raggiungere l’armonia tra terreno, vitigno, clima e lavoro del vignaiolo. Seguendo il Leitmotiv per cui l’uomo è il fautore del destino dei suoi vini, Alvaro trova l’espressione migliore che i vitigni possono avere nel terreno di proprietà. In questo senso la dimensione di continuità storica legata soprattutto all’impero austroungarico, lo porta a coltivare vitigni internazionali: tranne il Friulano e il Verduzzo, gli altri sono tutti vitigni che nel resto d’Italia vengono definiti alloctoni, ma che per queste terre, sarebbe forse meglio definire autoctoni: sono principalmente Pinot Grigio, Sauvignon, Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Merlot.

Prendendo sempre la qualità come punto di riferimento iniziale e finale per i suoi vini, Lis Neris divide la produzione in Tradizionali, Selezioni e Riserve sulla base dell’occasione di consumo, dei suoi clienti e del gusto del consumatore finale. Con scelte enologiche produttive differenti Lis Neris vende i Tradizionali a bar ed enoteche che, generalmente, servono vino alla mescita o a clienti della ristorazione che ricercano vini freschi e con caratteristiche varietali. Mediante le Selezioni e le Riserve, interloquisce invece con clienti che ricercano nell’abbinamento dei propri piatti vini che portino ad esperienze più complesse.

27 Le considerazioni che si andranno di seguito a descrivere, nascono dalla mia esperienza di stage presso l’azienda.

Non si ha ovviamente la presunzione in queste pagine di poter esaurire la complessità della strategia promozionale della realtà aziendale Lis Neris.

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Tra le sue bottiglie, si trovano due etichette che hanno riscosso e continuano a riscuotere grande successo non tanto tra gli esperti del settore, ma piuttosto nei consumatori che, in esse, ritrovano vini di grande piacevolezza e appagamento. Entrambi appartengono ai Tradizionali e sono: il “Cabernet Sauvignon” in purezza e il “Fiore di campo” (85% Friulano, 10% Sauvignon e 5% Riesling). Il primo è un vino che avvolge la bocca e ha una componente tannica non aggressiva; il secondo è un vino fresco apprezzato un po’ da tutti per le sue caratteristiche poliedriche: al naso profumato, all’assaggio equilibrato, un assemblaggio fuori dagli schemi tradizionali. Entrambi sono vini versatili perfetti per tante occasioni e che, una volta aperti, si bevono con facilità. In un’ottica strettamente commerciale, questi sono vini che hanno fatto conoscere nel corso degli anni Lis Neris e ampliato il suo bacino di clienti e appassionati.

Essendo nel paradosso i vini “di quantità” dell’azienda, sono vini che danno continuità nelle vendite e rappresentano in un certo senso per essa sicurezza e affidabilità.

Allo stesso tempo proprio per il loro forte appeal e ruolo di delegati alla promozione, subentra a mio avviso il rischio che un consumatore identifichi l’azienda con questi soli due vini e, di conseguenza, con il loro livello di complessità, non cogliendo così le vere espressioni della capacità enologica di Alvaro.

Per promuoversi Lis Neris si concentra nel valorizzare il Friuli nel suo insieme: non veicolando mai il proprio messaggio aziendale attraverso un elogio delle proprie capacità e dei traguardi raggiunti, si elogia invece sempre il Friuli con le sue peculiari caratteristiche di territorio, cultura e storia; caratteristiche che, analizzate più da vicino, corrispondono ai connotati fondamentali dell’azienda e che si esplicano mediante la sensibilità di Alvaro nei vini. In questo senso, essendo tra gli esponenti più brillanti del Friuli Orientale e focalizzandosi sulla promozione del proprio territorio, Lis Neris rappresenta nel senso più profondo la Doc Isonzo contribuendo in modo significativo alla promozione territoriale della Doc stessa. In altre parole, auspicando un Friuli sempre più unito e coeso in cui il territorio isontino ricopra un ruolo fondamentale, Lis Neris mediante la sua attività promozionale si assume in parte anche il compito di una valorizzazione del territorio che sarebbe in realtà proprio del suo consorzio di riferimento.

Anche se dagli anni ‘80 ad oggi l’azienda ha visto una forte espansione produttiva e commerciale, essa ha intimamente mantenuto una forte identità e dimensione familiare senza mai cadere in una mera attività commerciale. Lis Neris, infatti, è una vera azienda familiare dove la proprietà è direttamente coinvolta in tutte le fasi del processo produttivo e in cui i vini non sono mai vini “semplicemente” buoni, ma che rispecchiano la forte identità del produttore.

In questo senso la strategia promozionale dell’azienda si fonda anche nell’identificare questa con la figura di Alvaro. Alvaro è infatti presente in quasi ogni attività che viene organizzata e, mediante la

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sua personalità, egli è stato in grado di creare e mantenere legami umani nel tempo. Con un atteggiamento che non vuole convincere, ma insegnare ogni volta qualcosa di nuovo a coloro che bevono i suoi vini, Alvaro ha fatto sì che si sia creata una forte relazione con i clienti, i quali, a loro volta, riconoscendo in lui una figura di fiducia, trasmettono ai propri clienti un’immagine virtuosa di Lis Neris. Grazie a questa capacità di seguire personalmente i clienti e grazie ad una squadra che lavora in stretta sinergia con lui, oggi Lis Neris è riconosciuta in quanto azienda seria che lavora con rigore, disciplina e trasparenza.

Oltre a seguire i propri clienti, Lis Neris coltiva con dedizione rapporti con quei consumatori finali, che grazie al loro lavoro e alla loro passione, influenzano altri consumatori finali, come ad esempio i sommelier: tessendo negli anni sempre più fitte relazioni con le diverse associazioni di tutta Italia, Alvaro partecipa regolarmente a masterclass, incontri formativi e degustazioni.

La volontà di essere in prima persona rappresentanti della propria azienda si manifesta anche nelle relazioni con i clienti al di fuori dei confini nazionali. Oltre ad aver assunto alcuni Brand Ambassador che hanno il compito continuativo di promuovere Lis Neris all’estero, gli esponenti della famiglia viaggiano con frequenza per mantenere rapporti duraturi con i clienti stranieri e per partecipare a degustazioni e ad eventi strategici per conoscere potenziali nuovi consumatori.

Prendendo il punto di vista del cliente invece, il sentirsi parte della realtà Lis Neris si concretizza nella possibilità di aderire al Wine Club: scaricando un’applicazione sul telefono, con il proprio account è possibile partecipare ad eventi esclusivi e promozioni organizzati dall’azienda. Per esempio, durante il periodo di Natale di quest’anno per i soci Wine Club era riservato uno sconto sull’acquisto di tutti i prodotti.

Lis Neris sotto la guida di Alvaro ha fatto dell’innovazione e della sperimentazione i suoi tratti distintivi. Intrecciando pura passione con una complessa conoscenza scientifica, Lis Neris si è progressivamente smarcata dalle tecniche “tradizionali” e di moda di fare vino in regione, percorrendo proprie strade di vinificazione e produzione. Per anni Alvaro è stato l’unico a vinificare il Pinot Grigio in vendemmia tardiva e a capire le potenzialità del territorio isontino di fare vini bianchi longevi. Ad oggi, il suo obiettivo è e continua ad essere il progressivo raffinamento e miglioramento delle tecniche viticole ed enologiche con lo scopo di raggiungere un livello sempre più alto.

Se queste sono le caratteristiche promozionali su cui Lis Neris ha lavorato fino ad oggi, per il futuro ci saranno senza dubbio due progetti - tra gli altri - al centro dell’attenzione: in primo luogo, la sperimentazione e, di pari passo, la promozione dei vini bianchi di vecchia annata. In secondo luogo, l’ampliamento della struttura dell’azienda. Sperimentando da anni, come si è visto, quale siano i risultati che si ottengono lasciando i vini bianchi per lungo tempo in cantina, l’obiettivo di

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Alvaro è cominciare ad abituare il consumatore finale a degustare non solo vini bianchi dell’annata corrente, ma ad imparare ad apprezzare vini invecchiati ammirandone le caratteristiche. In altre parole, ad abituare il consumatore a pensare al Friuli come eccellenza per tutti i vini bianchi, giovani e meno giovani. Il suo intento è fare in modo che assaggiando un Pinot grigio di 20 anni si riesca subito a riconoscerlo come un Pinot grigio del Friuli.

Ampliando la struttura invece, Lis Neris avrà la possibilità di organizzare e gestire nuove occasioni di incontro con i propri clienti ed appassionati. Costruendo un nuovo stabile, Lis Neris potrà accogliere più persone e farsi conoscere ancor più da vicino, da una parte offrendo nuove opportunità per coloro che desidereranno pernottare e vivere un’esperienza friulana nel suo complesso; dall’altra, avendo la possibilità di sviluppare nuovi progetti (come per esempio masterclass, conferenze o degustazioni) in spazi più grandi. In questo modo, tra pochi anni, Lis Neris sarà equamente divisa tra spazio produttivo e spazio riservato ai clienti, quasi a simboleggiare che per l’azienda l’importanza del momento della vinificazione è in simbiosi con il piacere di condividere la propria realtà con il consumatore.

Come un artista che attraverso le sue opere d’arte parla al mondo, così Lis Neris racconta di sé attraverso le sue bottiglie.

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26 CONCLUSIONI

In questo lavoro si è presentata l’azienda Lis Neris e si è mostrato in che modo nel Friuli-Venezia Giulia la promozione istituzionale si intersechi con la promozione aziendale delle singole realtà vitivinicole. In una regione in cui la struttura produttiva è frammentata, divisa e formata da una moltitudine di piccole aziende, le quali non hanno né la forza né le conoscenze, e tantomeno le strategie, per affrontare un mercato sempre più difficile ed esigente, vi è la necessità di un forte e deciso supporto dei consorzi di riferimento.

In conclusione, si può affermare che in questo momento il Fvg è una regione che patisce un forte deficit di identità: se alcune denominazioni regionali riescono, sebbene sempre con maggiore fatica, a mantenere l’immagine che si sono costruite nel tempo, altre invece stentano ad imporsi nel panorama complessivo. In tutti questi anni forse non si è puntato abbastanza sulla riconoscibilità territoriale dei vini friulani, ma solo sulla loro eccellenza nel campo della singola varietà. Oggi invece sembra necessario pensare un percorso che affranchi il vino friulano da quest’immagine, conquistando una maggiore identità di territorio.

In questo senso il lavoro che Lis Neris con Alvaro Pecorari porta avanti denota grande coraggio, ma soprattutto lungimiranza. Se infatti ormai in tutto il mondo si trovano vini provenienti dai vitigni storici del Friuli-Venezia Giulia ad un prezzo con cui i produttori regionali non potranno mai competere, Lis Neris è riuscita a livello colturale e, in un secondo momento, promozionale a dare un’identità a questi vitigni, facendo in modo che le sue bottiglie siano espressione del terroir della riva destra dell’Isonzo.

In questo senso per valorizzare la regione più ad oriente d’Italia i cui vini sono ricchi, complessi e a volte di difficile comprensione, l’unica via possibile è prendere sempre più consapevolezza del proprio territorio ricco di suoli, di clima, di cultura e di storia.

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