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Brevissimo trattato di letteratura ad uso delle scuole secondarie

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(1)

BREVISSIMO TRATTATO

DI

L E T T E R A T U R A

AD USO DELLE SCUOLE SECONDARIE C O M P IL A T O DA

GIOVANNI LANZALONE

Direttore d e ll Istitu to c o n v itto S e t te m b r in i in S a le r n o

4." edizione con mutazioni ed aggiunte

P a r t e p r i m a

S A L E R N O

T I P . FR A TEL LI J OV ANE

1914

(2)
(3)

-BREVISSIMO TRATTATO

L E T T E R A T U R

AD USO DELLE SCUOLE SECONDARIE

P a r t e p r i m a

S A L E R N O

T I P . FRATE LLI JOV ANE

(4)
(5)

PARTE PRIMA

D ell’elo cu zio n e, dell’ inven zione e dello stile.

I.

Definizione La

rettorica

(dalla radice greca ps, dire), o, com e oggi si dice, la

letteratura,

è l’arte che insegna la conveniente espressio ne del pensiero.

11 pensiero si esprim e con parole; e q u in d i la

parola,

o consid erata isolatamente, o a d o p e rata in frasi, in p r o p o s i zioni, in periodi, in c o m p o n im e n ti di prosa o di verso, form a l’oggetto della letteratura.

La

grammatica

anche studia la

parola;

ma la studia in sè, senza metterla in relazione col pensiero; ci dice che ufficio ad e m p ie (nome, verbo, aggettivo ecc.), e com e si o r d in a nel discorso (sintassi); ma non ci dice, se esprim e bene il pensiero. La

letteratura,

invece, paragona la parola al p e n siero, e osserva, se n ’è

Yespressione conveniente,

cioè se lo e s p rim e con chiarezza, proprietà, eleganza, efficacia, e col co lorito adatto alla prosa o alla poesia, e, in generale, ai varii generi del dire. P e r esem pio in questa frase:

Tu conduci un

gilè molto distinto,

la gram m atica non trova alcun errore: ma la letteratura ci avverte che il pensiero non è espresso con

proprietà,

perchè

conduci

è male usato per

porti;

nè con

purità

perchè

gilè

invece di

panciotto,

e

distinto

invece di

elegante,

sono francesismi.

Elocuzione Quella parte della letteratura, che tratta — ­ ­ ­ ­ —

(6)

della scelta delle parole e della loro collocazione nel discorso si dice

elocuzione.

N ell’

elocuzione

q u in d i si tratta delle

doti della lingua,

dei

traslati

e delle

figure.

P u r i t à Il p rim o pregio della

elocuzione,

la prim a dote della lin g u a adoperata , è la

purità.

La

purità

è u n a dote d ell’elocuzione, che consiste nello ad o p e ra re quelle parole e quei costrutti, che sono conformi all’in dole della lingua, in cui si parla o scrive. C o m e l’oro p u r o è quello non fram m isto con altri metalli, così

lingua

pura

è quella no n co n tam in ata da parole e costrutti stranieri.

Idiotismi U n a delle parti essenziali della p u rità co n siste nel fare b u o n uso

degl'idiotismi

(da toioc, proprio).

G l ’

idiotismi

sono m odi particolari di una lingua, con trarii alla g ram m atic a generale, ma usati dai ben parlanti e dai b u o n i scrittori. S ono stati an c h e definiti: sgram m aticature eleganti. Esempi:

N oi si va,

invece di:

N o i andiamo

L ’anno che voi veniste,

invece di:

L ’anno in cui veniste.

Locuzioni I m portantissim e s o n o anche le

locuzioni,

(da

loquor,

parlo) cioè m aniere di dire, il cui significato s ’im pa ra dall’uso, e no n si può' c o m p re n d e r e dalle singole parole.

Le

locuzioni

ce le dà il popolo, e bisogna accettarle come sono, senza p u n to alterarle.

D i punto in bianco

è una locu zione, che significa:

Tutto ad un tratto.

Noi non potrem m o dire invece:

D i bianco in punto.

Di

palo in frasca,

non po treb b e cambiarsi in:

D i frasca in palo.

Frasi e proverbii N o n si d e b b o n o c o n fo n d e re le

lo­

cuzioni

con le

fra si.

Basta u n ire alcune parole, che abbiano un significato, per form a re un a

frase.

Le

fr a s i

le facciamo noi tutti, parlando; le

locuzioni

le fa il popolo, com e fa i p ro verbii. I proverbii sono m assim e popolari, che hanno una

— — ­ ­ — ­ ­ — ­

(7)

f orm a fissa; per es.:

Presto e bene raro avviene

D al dire

al fa re ci corre il mare

O g n i popolo, ogni lingua ha i p r o verbi i suoi. O g n i proverbio contiene una massima; non ogni massim a però è un proverbio .

P u rità dei costrutti La purezza della elocuzione non consiste solo nei singoli vocaboli, ma anche nel m o d o di o r dinarli in frasi, in proposizioni, in periodi.

La p u rità della lingua si osserva q u indi anche nel m odo di form are il perio do. 11 periodo latino è ampio, maestoso, intricato. 11 periodo italiano dev'essere più semplice e più piano, com e richiede l’indole della lingua nostra.

Vizii contrarii alla purezza La

purezza

di una lin gua può essere guasta da diversi vizii. I principali sono: 1 solecismi, i barbarismi, i provincialismi, gli arcaismi, i n e o logismi.

Solecismi Si chiam ano

solecismi

alcune sg ram m atica ture ineleganti, in cui ca d o n o quelli, che parlano e scriv ono scorrettamente. F u r o n o così detti dalla città di

Soli,

nella Cilicia, i cui abitanti parlavano male il greco. Esem pi di

solecismi

italiani:

Più peggio

invece di

pegg io-- Onde venire

, in ca m bio di:

Per venire

Il di lei marito

, per

II marito

di lei.

Barbarism i Si ch iam a n o

barbarismi

i vocaboli e i costrutti, tratti da lingue straniere.

Nella lingua italiana i barba rism i più frequenti sono i

gallicismi

o

francesism i;

e ciò avviene, sia per la vicinanza della F rancia all’ Italia, sia per la parentela delle d u e lin gue, sia per le strette e frequenti relazioni artistiche, scien. tifiche, commerciali, politiche, fra i due popoli. Esempi:

Gilè

per

panciotto: decidere

per

risolvere, lo vado a dirvi

è un f u tu ro perifrastico alla francese

(je vais vous dire)

in cam bio di:

lo vi dirò.

Così anche:

È questo che io feci,

invece di:

— — — ­ — ­ — ­ ­ — ­ —­ —­ ­

(8)

Questo io feci

Con degli amici

, per:

Con alcuni amici.

Si p u ò q u in d i avere u n a frase, un intero periodo, di struttura francese, no n ostante che tutte le parole usatevi siano prette italiane.

Provincialismi S o n o parole e m odi di dire proprii di qualche provincia. Si d ic o n o anche

regionalismi

le parole e m o d i di dire p roprii di qualche regione. Così:

Io lasciai me­

ravigliato,

invece di:

Io rimasi meravigliato

, è un

regiona­

lismo

pugliese.

I

provincialismi

e i

regionalismi

p o sso n o essere intro dotti nella lingua c o m u n e solo da scrittori di g ran d e autorità.

Arcaismi Si chiam a no

arcaismi

(da àpyaTo;, antico) le voci antiche cadute in disuso. Esse s o n o di due specie: 1.° P arole che no n si usano più

(diente per quale, sirocchia

pe r

sorella

), o h a n n o cam biato d esinenz a

(ormora

per

orme,

ramora

per

rami)]

2.° Parole, che si usano tuttora, ma con significato diverso. Esempi:

Carogna

significava

cadavere li­

mano:

ed ora significa

corpo morto di animale: brigante,

che ora vuol dire

malfattore di campagna,

un te m p o significava

uomo che briga,

(quel che oggi si dice

affarista),

ovvero

uomo

amante delle allegre brigate

Si d e b b o n o rig u ard are come arcaism i anc he i costrutti oggi disusati; come:

Non potè fa re

che non piangesse,

invece di:

Non potè f a r di meno di

piangere.

Neologismi I

neologismi

(da vs'o?, n u o v o e Àoyoc, p a rola) so n o parole e locuzio ni di n u o v a form azione. Si possono

usare, q u a n d o e s p r im o n o idee o cose nuove, p e r le quali la lingua no n ha altre parole adatte. Esempi:

telegrafo, tele­

fono, termometro, automobile

,

piroscafo.

S o n o invece da f u g

girsi i neologism i inutili. Esempi:

Traslocare

per

trasferire

;

uniforme

p e r

divisa; giocattolo

p e r

balocco.

— — ­ — — — ­ ­

(9)

II.

P ro p r ie t à La

proprietà

è quella dote dell’elocuzione, che consiste nell’a d o p e ra re vocaboli e m odi di dire, che e s p rim a n o

esattamente

il nostro concetto.

Q u in d i la p rim a c o ndizione p e r parlare con proprietà, è di avere idee chiare e precise; la se conda è di avere gran perizia della lingua, e conoscere

esattamente

il valore di cia scun vocabolo. E qui è o p p o r tu n o ricordare ai giovani il savio consiglio del

De Amicis:

S tu d iare il vocabolario.

Sinonimi P e r non peccare co n tro la proprietà, bisogna stu d iar bene il significato dei

sinonimi

(da auvóvuao;, di egual nome), i quali so no parole, che h an n o co m u n e fra loro il significato generale, ma si d is tin g u o n o p e r qualche idea accessoria. Esempi:

Cavallo, destriero, corsiero, palafreno,

rozza, ronzino,

so n o parole che tutte significano u n o stesso animale. P erò,

cavallo

esprim e l’ idea in generale;

destriero

è il cavallo da guerra;

corsiero

è il cavallo da corsa;

pala­

freno

è il cavallo da parata, o da signora;

rozza

è un ca­ vallo da strapazzo e malandato;

ronzino

è un cavallo o r d i nario m a vivace.

Allungare

e

prolungare

E n tram b i questi verbi espri m o n o l’idea di

render lungo;

m a il secondo significa

render

lungo aggiungendo.

Noi, quindi,

allunghiamo il braccio,

non

10 prolunghiamo;

ma

prolunghiamo una linea sulla lavagna.

Unico

e

solo

La madre non lasciava mai solo il suo

figliuolo unico.

E

solo

chi non ha co m pagnia; è

unico

chi

non ha altri della sua specie.

Dispiacere, dolore

Il p rim o è un leggero dolore morale, 11 se condo p u ò essere anche fisico, e q u a n d o rig u a rd a il morale

— ­ — ­ — ­ — —

(10)

dice assai più di

dispiacere.

Es:

N ’ebbi dispiacere, anzi un

vero dolore.

Ma non potrei dire:

Io ho un dispiacere al braccio.

O ttim o dizionario dei sin onim i è quello del

Tommaseo.

Vi so n o poi altri sinonim i, e so n o pochissimi, i quali non h an n o vera differenza di significato , ma si preferisce l'u n o o l'altro di essi, se condo che si scrive in prosa o in verso, o se co n d o che m eglio richieda l'arm o n ia della frase o del perio do. Esempi:

Badia, abbadia; consenso, consenti

mento; orologio

e

orinolo.

Omonimi Gli o m onim i (da 6 u .'jvuuo?, dello stesso n o me) so n o parole di form a identica, ma di significato diver so. Esempio:

tórre

da togliere,

tórre

edifizio;

vólto

da vol­ gere,

vólto

viso;

mèsse

da mietere,

mésse

da mettere. Q u e ste parole si d istin g u o n o dalla p r o n u n z ia stretta o larga della vocale su cui cade l’accento, e dal significato richie sto dal contesto del discorso.

Im proprietà Si pecca anche c o n tro la proprietà: 1.° coll’a d o p e ra re parole tr o p p o generiche invece di pa role particolari. Esempio:

Vi era un monte, vi era una valle,

vi era una pianura, vi era un fium e.

Si parlerebbe più pro priam ente, dicendo:

Sorgeva un monte, verdeggiava o si a-

priva una valle, si stendeva una pianura

,

scorreva un fiume;

’2." coll’ es p rim ere (senza necessità o speciale o p p o r tu nità) con nomi astratti persone e cose sensibili. Esempio:

Quell’uomo è una notabilità,

invece di dire :

Quello è un

uomo notabile;

3.° coll’accozzare parole, che e s p rim o n o idee contradit- torie. Esempio:

Sotterrati nel sangue.

Nel sa ngue si può r im a n e r sepolti, ma n o n sotterrati (perchè questa parola si­ gnifica p r o p ria m e n te

sepolti sotto terra).

E, in generale, si avverta, che la p r o p r i e t à , cioè 1’ e satta espressio ne del nostro pensiero, non risulta solo dalle

-— ­ ­ ­ ­ — ­ ­ ­

(11)

-semplici parole, ma anche dall’ uso esatto d eg l’ interi co strutti.

III.

Armonia Le parole, essendo suoni, h an n o n a tu ra l m ente un

'armonia

conform e all’indole della lingua, a cui a p p arte ngono.

L'armonia

è quella dote d ell’ e lo c u z io n e , che consiste nello scegliere e o r d in a re le parole in m odo , che d ia n o un su o n o gradevole all’orecchio, e a p p ro p ria to al p e n siero espresso.

L’arm o n ia si dice

semplice

, se m ira solo a dilettare l’o recchio. Si dice

imitativa,

se il s u o n o delle parole esprim e al vivo le cose.

Vizii contro l'arm onia semplice:

1. L

'iato

si ha, q u an d o , per l’incontro di più vocali, si p r o d u c e una sg radevole a p e rtu ra di bocca (in latino

hiare,

sbadigliare). Esempio:

M ai io udirò.

2. La

cacofonia

(x«xo; cattivo, v»v7( su ono) risulta dalla rip etizio ne vicina delle stesse lettere o sillabe. Esempio:

Tra

tanti traditori.

3. Le

rime

e i

versi

in prosa sono anche, in generale, da fuggirsi. Il Boccaccio e rrò q u a n d o scrisse :

Poiché ella

si tacque, come alla reina piacque, Filomena così cominciò.

4. La

monotonia

(da uovo?, solo, rovo;, suono) è u n if o r mità di su o n o nella disposizio ne delle parole. Alcuni • (per esempio) m e ttono la proposizione principale se m p re a p r in cipio del periodo, o se m pre nel mezzo, o se m pre in fine. Sarà meglio variarne la collocazione. Sarà anche b en e il variare i periodi lu nghi coi corti e coi giusti. In generale, si deve e vitare di p o rre molte parole sdruccio le di seguito, o molte t ro n ch e , o molte bisillabe, com e anche di finire il periodo

­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

(12)

-con u n a parola tronca; salvo che tutto ciò non si faccia per arm o n ia imitativa. A nche la varia lunghezza e la varia for­ m a delle proposizioni e le o p p o r tu n e pause della p u n te g gia tura conferiscono aH’arm onia.

Esempio di arm o n ia im itativa p u ò esserci la famosa ot tava del Tasso, il quale colla scelta di rim e rim bom ba nti, di vocali cupe, di c onsonanti aspre e s o n o r e , ci fa quasi sentire lo strepito della tro m b a infernale:

Chiama gli a b ita to r’ de l ’ombre eterne Il rauco suon della tartarea tromba, Trem an le spaziose atre caverne, E l ’aer cieco a quel r u m o r rim bomba; Nè stridendo così dalle superne Regioni del cielo il f'olgcr p io m b a; Nè si scossa giam m ai trem a la terra Q uando i vapori in sen gravida serra.

Ed ecco com e Dante, con la scelta della rima fischiante in

ia,

e delle consonanti , più o m e no sibilanti,

s z g c v,

unite a preferenza alle vocali / ed

e,

ci fa sentire il fischio di un tizzo verde al fuoco:

Come d ’un stizzo verde c ’arso sia Da l ’un dei capì, e che dall'altro geme E cigola pel vento che va via.

La lingua italiana, con la strao rd in a ria varietà di suoni che ha, si presta benissim o a es p rim ere col s u o n o q u a lu n q u e cosa.

L ’armonia imitativa

è so p ra tu tto necessaria alla poe sia; ma anche nella prosa deve farsene uso conveniente. Così il Manzoni, con la semplice scelta di parole bisillabe, ci fa

­ ­

(13)

sentire il g ran d in a re dei sassi sul p ortone del G overnatore :

Con spessi e fitti colpi di sassi alla porta

L’arm o n ia imita­ tiva (detta altrimenti

onomatopeica)

colorisce, per così dire, il significato d ’un costrutto, a g g iu n g e n d o al

Videa

della cosa, il

suono

, quasi, di quella. Chi descrivesse una battaglia con parole e frasi di s u o n o tenue e gentile, o un m attin o di pri mavera con parole aspre e chiocce, non d a re b b e la

forma

conveniente

al suo pensiero.

IV. Altre doti d

t\Velocuzione

sono:

La chiarezza È quella dote d ell’elocuzione, che consi­ ste nelTesprim ere il nostro pensiero in modo, che sia tutto e subito c om preso. Q u esta dote è specialm ente un a consegue nza della

purezza

e della

proprietà.

C o n tra rie alla chiarezza sono le

ambiguità

o

anfibologie

(da dubbio so), cioè pa­ role o frasi, che per sè stesse, o per la loro collocazione, han n o significato d u b b io . Es: /

libri d'oro della vecchiezza di

Cicerone;

si d ireb b e assai più chiaramente:

Gli aurei libri

di Cicerone intorno alla vecchiezza.

Il difetto contra rio alla

chiarezza

dicesi

oscurità.

N o n è però vera

oscurità

quella che d ip e n d e dall'ig n o ra n za di chi legge, o da su b lim ità e densità di pensieri. Q u esta sublim e oscurità piu ttosto p u ò paragonarsi aH’abba glia m e nto pro d o tto da tr o p p a luce, o all’ac q u a dell’oceano, la quale, benché limpidissima, con la sua massa en o rm e cela il fondo.

I term ini d ’una proposizione si possono d isp o r re in

or­

dine diretto

(soggetto, predicato, coi rispettivi complementi), o in

ordine invèrso.

La lingua latina, la greca, e, in g e n e rale, tutte le lingue che han n o i casi, possono fare m olto uso

­

(14)

d e ll’inversione, senza n u o c e re alla chiarezza. Nella lingua nostra, priva di casi, la

sintassi inversa

si deve ad operare con cautela; e si usa nella poesia più che nella prosa.

La brevità È quella dote dell’elocuzione, che consiste n ell'esprim ere i proprii concetti nel m in o r n u m e r o di parole possibile. 11 vizio co n tra rio a questo pregio dicesi

prolissità.

P e r eccessivo am ore di

brevità

si cade facilmente

neW’oscu-

rità

: com e vi ca ddero talora, fra gli scrittori latini, Tacito, e, fra i nostri, il Davanzati.

L’e l e g a n z a Deriva dal latino

eligere,

scegliere. È quella dote dell’elocuzione, che rende il discorso forbito, ornato, g e n tile. Risulta quasi dal com plesso delle altre doti. Q uindi una elocuzione che non sia pura, che no n sia propria, armoniosa e chiara, non potrà dirsi veram ente elegante. L’am ore del

Y elocuzione elegante

ci fa evitare le frasi e le parole plebee, q u a n d o no n siano necessarie al soggetto, come:

pancia, trippa,

crepare, grattare dov’è la rogna

ecc.; ci fa fuggire le inutili ripetizioni, e usa re invece o p p o r tu n a m e n te i pronom i, i sino nimi, e la figura dell

'ellissi;

e, in generale, ci fa porre molto stu d io nella collocazione delle parole e n ell’uso delle figure e dei tropi, di cui p arle re m o fra breve.

C o n tra ria all

'eleganza

è la

sciattezza

e la

trivialità.

Ele­ gante riuscì il Machiavelli, q u a n d o scrisse nelle

Storie Fio­

rentine: Fecesi di quell’acquisto in Firenze allegrezza solenne.

S arebbe riuscito sciatto, se avesse scritto invece:

Fecesi al­

legrezza solenne in Firenze di quell’acquisto.

Ma l’eccessivo studio dell’eleganza c o n d u c e alla

ricercatezza,

o, com e oggi si dice,

preziosità;

all’

affettazione,

alla

leziosità.

Spesso fu ricer cato, e qualche volta affettato, il Boccaccio. Così, fu

affettato

q u a n d o scrisse:

Fu re di Cicilia coronato Manfredi,

e per eccessivo studio di eleganza e di a r m o n ia latineggiante, egli violò l’indole della nostra lingua, che am a costrutti più sem

— — ­ -­ ­ ­

(15)

plici e piani. La

vera eleganza

è se m pre accom pagnata dalla

naturalezza,

com e si a m m ir a n ell’Ariosto, nel Leopardi e nel Manzoni.

L’evidenza È la

chiarezza

portata a tal punto, che le cose non solo si capiscono, ma ci se m b ra vederle. Esempi:

Il conte Ugolino,

di

Dante: la peste di Milano,

nei

Promessi

Sposi.

Effetto dell1

evidenza

è

Yefficacia,

cioè il fare viva im pressione sull'a nim o del lettore.

V.

Tropi I

Tropi

e

le figure

se rvono per dare colorito ed efficacia all’elocuzione. Esse m alam ente si dicono

eleganti

improprietà;

anzi sono il linguaggio p ro p rio della passione e deH’im m agin azione, com e bene osserva il Fornari.

7

ropo

(dal greco rps-w. io volgo) è lo stesso che

tras­

lato

(dal latino

transfero

, io trasporto) e significa parola trasportata da un significato, che l’è proprio, ad un altro.

Vi sono

tropi,

o

traslati,

di semplici parole, e tropi d ’in teri costrutti. Ai primi ap p a rten g o n o : La

metafora,

la

me­

tonimia,

la

sineddoche, \'antonomasia, Xeufemismo.

Ai secondi ap p a rten g o n o :

L’allegoria,

l'

ironia,

il

sarca­

smo,

l’

iperbole,

la

perifrasi.

M e tafora La

metafora

(da a rxa/c'pw. trasporto) è quel tropo, per cui si trasferisce un a parola dal p r o p rio signifi cato ad un altro, che ha col p rim o relazione di somiglianza.

Esempio:

Ulisse era una volpe.

Qui la parola

volpe

è stata trasportata dal suo significato proprio , di animale noto per la sua astuzia, a significare un uomo, che per la sua astuzia pu ò paragonarsi ad una volpe. P e r forza d 'im m a g i nazio ne si passa, d u n q u e , dall’idea di sim iglianza all’idea

— ­ — ­ — -­ ­

(16)

d ’identità. Infatti,

era una volpe,

equivale a dire:

Era astuto

come una volpe.

A ragione q u in d i la metafora fu anche definita: una

similitudine abbreviata.

Essa fu detta la

regina dei tropi,

per l’uso svariato che se ne fa, e per la forza e la grazia che conferisce al dire, q u a n d o è o p p o r tu n a m e n te adoperata.

La metafora è biasimevole, q u a n d o è presa da cose poco note, o tr o p p o triviali, o sp r o p o rz io n a te all’idea, o da simi glianze tr o p p o lontane o inesistenti. Ecco com e u n o scrittore del 600 ci descrive gli spari del c a n n o n e con metafore scon venienti:

Così con bocca or di pietà digiuna T u o n a per f u l m i n a r le m u ra immote, Da gran gola lanciando in fier rim bombo

S p a ti di foco e vom iti di piombo.

La

metafora

p re n d e il n o m e di

catacresi

(da xxxxypxw, io abuso) q u a n d o è c o m u n e m e n te usata, perchè m anca nella lingua altra parola p ro p ria . Esempi: le

gambe

del ta volino; il

collo

della bottiglia.

Metonimia La

metonimia

(da iaó'cojvujjux) significa ca m biam ento di nome: e per essa anche si trasferisce un voca bolo da u n o ad u n altro significato, n o n però per ragioni di somiglianza, ma per altre relazioni.

Le principali di queste relazioni, e i principali scam bi di n o m e per esse fatti, sono:

1.

La causa per l'effetto.

Esempi:

Per gli occhi fui di grave dolor m unto.

In questo verso Dante usa

dolore

per

lagrime,

cioè la causa p e r l’effetto. -­ ­ — ­ ­

(17)

P etr arca :

E di bianca p a u r a il viso tinse.

La paura non è bianca, tua è causa della pallidezza. Così anche si dice l’autore per l'opera sua. Es:

H ai letto

D ante?

L’ opera è un effetto dell'auto re.

2.

L ’effetto per la causa.

P er esempio:

Rispetta la mia

canizie

.

Canizie

, per vecchiezza, di cui è l’effetto.

Pane g u a ­

dagnato col proprio sudore. Sudore,

invece della fatica, che lo produce.

Squilla,

per campana, di cui è effetto la squilla. 3.

Il protettore per la cosa protetta.

Es:

Bacco,

per vino,

Marte,

per la guerra,

Venere

per l’ am ore,

Cerere,

per il g r a n o o il pane.

4.

Il possessore per la cosa posseduta.

Virgilio scrisse:

Già arde il prossimo Ucalegone,

cioè la casa di Ucalegone. 5.

Lo strumento per l ’opera a cui serve.

Esempi:

Pen­

nello,

per pittura;

penna,

per lo scrivere;

mano,

per l ’opera; com e scrisse il Tasso:

Molto egli oprò col senno e con la

mano.

6.

La materia per la cosa che n ’è fatta.

Es:

Ferro,

in vece di spada;

legno,

per nave o carrozza;

sacri bronzi,

per cam pana.

Il Monti scrisse:

Quando Giason dal Pelio Spinse nel m a r g li abeti,

cioè le

navi

costrutte di

abete.

7.

Il segno per la cosa significata. Il lauro

, per la gloria poetica o militare;

la toga,

per la professione forense.

8.

L ’astratto per il concreto.

Esempi:

Io ho molte cono­

(18)

scenze,

per conoscenti;

l ’ambizione non rispetta parentele,

cioè gli am biziosi non rispettano i parenti. 9.

Il concreto per l ’astratto.

Dante:

Ipocrisia, lusinghe e chi a ffa ttu ra .

Chi affattura,

concreto, sta per l ’astratto fattucchieria, malìa.

VI.

Sineddoche La

sineddoche

(da <rjvo£yoy.at. com prendo)

è quel tropo, per cui si trasferisce u n a parola da un signifi­ cato ad un altro, che ha col p r im o relazione di c o m p re n sione. Q u esto tro p o non è che u n a specie della

metonimia

, con cui molti retori lo fondono,

Q u in d i per esso si sc a m b ia n o :

1.

Il tutto per la parte.

Es:

S'armò d ’Asia e di Libia

il popol misto. Asia,

dice il Tasso, per u n a parte dell’Asia. E il Filicaia :

E quei che calca la Bistonia neve E quel che il N ilo e che V Or onte beve ;

cioè quelli che si dissetano delle ac q u e del

Nilo

e

deU'Oronte,

non che le bevono

tutte.

2.

La parte per il tutto.

Es:

prora,

invece di nave;

tetto,

per casa ;

polo

per cielo.

3.

Il genere per la specie.

Es:

mortali,

invece di

uomini.

O animai grazioso e benigno

( Dante ) ; qui,

animale,

per uom o.

4.

La specie per il genere.

Es:

Aquilone, austro,

per q u a l u n q u e vento.

(19)

5.

Il singolare per il plurale.

Es:

il Romano,

per

i Ro­

mani ; guardare con placido occhio ; mordere con maligno

dente ;

invece di

placidi occhi

e

maligni denti.

6.

Il plurale per il singolare.

Es:

A l tempo dei Ciceroni

e dei Cesari,

in luogo di dire : Al te m po di Cicerone e di Cesare. Si badi a non c o n fo n d e re questa speciale sineddoche con l’antonomasia.

Antonomasia L

'antonomasia

(da ’avxt. invece, e cvoux, nome), è quel tropo che consiste nel trasportare u n a parola dal significato di n om e p r o p rio a quello di n o m e com une. (

Mecenate,

per protetto re di letterati; i

Tantali,

i

Neroni,

per uom ini sacrileghi com e Tantalo , feroci com e Nerone) o nel trasportare un n om e c o m u n e a significato di nom e p ro p rio

(il Poeta,

per Dante,

il Venosino,

per Orazio,

il Segretario

Fiorentino,

per Machiavelli).

Eufemismo Consiste nell’usare un a parola o frase g e n tile per esprim ere u n a cosa sconcia o orribile Es:

Mani­

chini,

per manette. Ele gante m ente il

De Amicis : Gli diede

un calcio.... nell’ordinario bersaglio dei calci.

U n a m a dre non dice:

Il mio figliuolo è morto;

ma:

Il mio figliuolo è votato

in cielo:

ovvero

È andato in paradiso.

E usa u n ’espressione assai

propria

al suo particolare sentimento . (Eufemismo, da .ù e cpvja ', io dico bene).

VII.

Traslati d ’ interi costrutti s o n o :

1. L’allegoria L

'allegoria

(da altro, e àyopiut.^ parlo) è quel tropo, per il quale un intero costrutto è usato a significare u n a cosa simile a quella espressa dal suo senso letterale. Essa q u indi si p u ò dire un metafora continuata.

— ­

(20)

Si p u ò estende re per più periodi, e perfino per u n ’ intera com posiz ione. La

Divina Commedia

è tutta u n ’

allegoria.

L'allegoria

si dice

pura,

q u a n d o tutte le parole che la c o m p o n g o n o , sono in senso metaforico. E s e m p io : ecco in che m o d o D ante allegorizza l’avarizia :

Maledetta sie tu, antica lupa.

Che più di tutte l'a ltre bestie hai preda, Per la tua fame senza fine cupa.

Si dice

mista,

q u a n d o alle parole metaforiche sono co n g iu n te parole di significato proprio. Esempio: Dante :

Per correr m iglior acqua alza le vele Ornai la navicella del mio ingegno, Che lascia dieiro a se m a r sì crudele.

In questa terzin a le parole

acqua, vele, navicella, mare,

s o n o metaforiche: ma la parola

ingegno

è in senso proprio, ed è com e u n o spiraglio per cui si vede il vero pensiero, ve lato da quelle parole; cioè:

Per trattare un argomento mi­

gliore, il mio ingegno solleva lo stile, lasciando il doloroso

tema delle pene infernali.

2. L’ ironia L ’

ironia

(da sìfwvsta, dissimulazione nel parlare) è quel tropo, per il quale un in tero costrutto è tra­ sportato a significare il co n tra rio del suo senso letterale. Q u in d i i Latini la c h ia m a ro n o

inversione

, cioè

stravolgimento

del senso delle parole.

Esempio: Dante, p a rla n d o a Firenze:

Or ti fa lieta, che tu n ’hai ben d ’onde. Tu ricca, tu con pace, tu con senno.

Q ui Dante in tende dire il co n tra rio di quel che le pa­ ­

­

(21)

role sig nificano; cioè:

Piangi, o Firenze, chè n ’hai ben ra­

gione, tu che sei povera, discorde e dissennata!

3. Il sarcasm o Si dice

sarcasmo

(da <jxpxàCc>. io m o r d o le labbra) u n ’ironia molto a m ara e p u ngente. Es: Nel Tasso, così Argante insulta Tancredi, rin facciar dogli l’uc cisione della g u e rrie ra C lorin da:

Chè non potrai da le mie m ani, o forte De le donne uccisor, fu ggir la morte.

E Tancredi, ritorce ndo il sarcasmo, risponde:

Vienne in disparte pu r tu, che omicida sei dei giganti solo e degli eroi: l'uccisor de le femmine ti stida.

4. L’ iperbole L’ ip erbole (da ó^ pjióXr, esagerazione) è un tropo, che ingrandisce o impiccolisce le cose oltre il vero, per accrescerne l’im pressione. Esempio:

fa r piangere

i sassi.

11 Monti:

Il pie’ sì lento

Che le lumache al paragon son veltri.

È bella e p ro p ria l’iperbole, q u a n d o esprim e u n a reale im pre ssione eccessiva della fantasia e dell’anim o. E falsa e brutta , q u a n d o non è che u n o sforzato e ridicolo giu oco della mente. Ecco, p. e., l’iperbole d ’un seicentista, per la m o rte del Bembo:

Per la morte del Bembo, un sì gran pianto Piovve dagli occhi de l'u m a n a gente. Ch'era per atfogar veracemente T utto il genere u m a n o in ogni canto,

­

(22)

-Se non usciva a rasciugarne il pianto D ’alti sospiri un Mongibello ardente ecc.

5. La perifrasi La

perìfrasi,

o

circonlocuzione,

è quel tro p o per cui si a d o p e ra un intero c o strutto a descrivere b rev e m en te u n a cosa, invece di nom inarla. Es:

Il crestato

nunzio del dì,

cioè

il gallo.

E celebre la perifrasi del Petrarca:

.... Il bel paese

Che Appennin parte e i] m a r circonda e l'Alpe.

Q uasi tutti g l’

indovinelli

so n o in g e gnose perifrasi me taforiche.

V i l i .

Le figure Le

figure

(da

fingo,

io form o) si distin g u o n o dai tropi, perchè i tropi s o n o parole o costrutti trasportati dal significato p ro p rio ad un altro; mentre le fi g u r e so n o m aniere di parlare, che si scostano dall’ordinario. Le

fig u re

si sogliono d istin g u ere in

fig u re di parole,

q u a n d o soltanto le parole sono atteggiate in m o d o insolito, e

figure di pensiero,

q u a n d o l'insolito atteggiam ento riguar da il pensiero.

Le

fig ure di pensiero

si p o ssono anche suddividere in

figure d ’immaginazione

e

fig u re di affetto.

F ig ure di parole

Figure di semplici parole

so no quelle, p e r cui si cerca dare al disc orso m a g g io r forza e vivacità, coll'atteggiare le parole in m aniera che si scosta d all’ordinario.

Q u este figure sono: La

duplicazione,

la

ripetizione,

il

bisticcio,

l’

asindeto,

il

polisindeto,

la

sinonimia,

la

reticenza,

lo

zeugma,

il

chiasmo,

la

gradazione,

la

preterizione.

— ­ — ­ ­ ­ —

(23)

Duplicazione Dicesi anche

raddoppiamento

o

epizeasi

(da ’c - i £ s c o n j u n c t i o ) , e consiste nel ripetere di seguito u n a o più parole. Dante:

Non son colui, non son coi ni che credi. Tasso:

A rm e arnie freme il forsennato, e insiema

La gioventù superba a rm e a rm e freme.

Ripetizione Q uesta fig ura (che può dirsi anche

ana­

fora,

da àvxcpopà. il c o n d u r r e indietro) consiste nel replicare la stessa parola o costrutto a principio di più proposizioni, o m e m bri, o periodi. Dante:

P e r m e si va nella città dolente. P e r me si va nell 'eterno dolore. P e r me si va fra la perduta gente.

U n a m a n iera speciale di ripetizione è il

polìptoto

(da

oXj t m t o v, che ha molte term inazioni), il quale si ha, q u a n d o

si ripete una parola v aria n d o n e il caso, o il n u m e ro , o il genere, o la persona. I latini chiam a no questa figura

traductio.

Ecco un esem pio del Marini:

Oppongonsi elementi ad elementi

Nubi a nubi, acque ad acque, e venti a venti.

Se poi la parola è ripetuta in senso diverso, allora la

ripetizione

piglia il nom e di

Antanac/asi

(àvTxvàxXai;, il rim balzare) o

Dilogia

(Suo. du e e Xoyo?. parola, significato). Es: Sei stato

nel fondo?

N el fondo,

p u r troppo, d ’ogni male !

(24)

-Bisticcio Affine alle precedenti figure è il

Bisticcio,

o

Paronomasia

(da Ttapovoaaaia. in latino

annominatio).

C o n siste nel ripetere voci quasi simili nel suono, ma molto

diverse nel significato. Dante :

Li nostri voti e vóti in alcun canto. Io fui per rito r n a r più volte volto. Nel modo che il seguente canto canta.

Asindeto Q u e sta figura ( da privativo e cjvSctos. legato in sie m e ) consiste nel so p p r im e r e le congiunzioni, pe r dare rapid ità al discorso. Il M anzoni :

Un corriere è salito in arcioni ; Prende un foglio, il ripone, s'a vvia ; Sferza, sprona, divora la v i a ; Ogni villa si desta al ru m o r.

Polisindeto (Da gX j;, m olto e tóvòìto?, legato insieme). C onsiste nel ripetere più del necessario la congiunzio ne

e.

Si usa q u a n d o si vuol dare 1’ im pre ssione di u n a grande e n u m eraz io n e.

Il Manzoni :

E ripensò le mobili Tende e i percossi valli, E il lampo dei m anipoli, E l ’onda dei cavalli, E il concitato imperio, E il celere obbedir.

S inonim ia f Da Tuvf.Wjj.o?, di ugual n o m e ). Consiste n e i re s p r iin e r e la stessa cosa con più parole, che abbiano significato analogo, il quale però ad ogni parola si rinforzi.

­

— -

(25)

Es:

Senza l ’aiuto dell’eloquenza non è arte alcuna che possa

compiutamente il suo ufficio eseguire, anzi son tutte mutole,

senza lingua, senza voce e senza spirito.

Reticenza E u n a figura ( da

reticeo,

io taccio ) per la quale si tronca volo ntariam ente a un tratto il dire, per va­ rie ragioni di o p p o r tu n ità e di efficacia. Nella

Gerusalemme

Liberata

il Mago

Ismeno

invoca gli spiriti infernali per in­ canta r la selva, e, v e d e n d o che ta rd a n o a venire, li minaccia :

Che sì... che sì... volea più d i r ; ma intanto Conobbe c h ’eseguito era l ’ incanto.

Zeugma Consiste nel dare un costrutto solo a due o più parole o frasi che lo v o rre b b e r o diverso (da

10 aggiogo). Dante :

P arlare e la g rim a r vedrai insieme.

11

vedrai

si conviene al

lagrimare,

m a non al

parlare,

11 quale si

sente,

non si

vede.

Così, è c om unissim o il dire :

10 vado e vengo da Napoli ;

invece sarebbe tro p p o lu ngo e inelegante :

lo vado a Napoli e vengo da Napoli.

Chiasmo E un a figura che piglia il nom e della let tera greca / (chi), perchè le parole si d is p o n g o n o in s im m e tria da co rrisp o n d e rsi a p p u n t o com e le quattro p u n te del / . 11 P arin i :

... O se d ’argento

E d ’oro incider vuol gioielli e vasi P er orn am en to a nuove spose e a mense.

Mense

co rr isp o n d e a

vasi

ed

argento ; nuove spose

a

gioielli

e

oro.

Se le parole non fossero disposte in m o d o fi —

— ­

­

(26)

gurato, si direbbe:

O se vuole incidere gioielli d'oro per or­

namento a nuove spose, o vasi d ’argento per ornamento a

mense.

G ra daz ione F u detta dai Greci /.Xiua; (scala), e po trebbe anche chiamarsi

progressione.

E il salire gradatamente da una circostanza ad u n ’altra m aggiore, finché la cosa sia portata al suo colmo. Questa, non senza ragione, è da molti r ig u ard ata com e figura di pensiero. 11 Tasso:

Non cala il ferro mai che appiè n non colga:

N é coglie appien che piaga a ltru i non faccia; Nò piaga f a che l ’alm a altru i non tolga.

P re teriz io n e La

preterizione

(da

pretereo,

io tralascio) o paralepsi (da ^-/paXci-to. tralascio) si ha q u a n d o si afferma di voler tacere u n a cosa che in tanto si dice. 11 Petrarca:

Cesare taccio, che per ogni piaggia Fece l ’erbe sanguigne

Di lor vene, ove il nostro ferro mise.

IX.

Figure di pensiero C o m e si è detto, le figure di pen siero so n o quelle, per cui il pensiero stesso si atteggia in m o d o insolito. Esse si posso n o T su d d iv id ere in

figure d ’im­

maginazione

e in

fig u re di affetto.

Figure d’im m aginazione Son quelle, in cui prevale l’im m agina zione eccitata. S ono le seguenti:

La similitudine

e la

comparazione, l ’antitesi, l ’ipotiposi, l ’etopeia,

la

perso­

nificazione

e la

prosopopea,

la

visione,

il

dialogismo.

Similitudine e co m p araz io n e La

similitudine è quella

— ­

— ­

(27)

figura, per cui la nostra im m agina zione nota le sim iglianze fra du e cose. Es:

Pauroso come un coniglio.

11 Carducci:

E il dato de l ’aprile Move le biade in flore, Come un sospir d ’amore Di nova sposa il vel.

Le sim ilitudini so n o viziose, q u a n d o si derivano da so miglianze inesistenti o tr o p p o lontane, o si p a ra g o n an o cose note a ignote, o cose concrete ad astratte, o il para gone è tratto da cose triviali o sconvenienti. Sono quindi riprovevoli le sim ilitudin i se g u en ti:

Bella come il sorriso di D io

Le

nubi sembravano materasse aeree.

Se le somiglianze fra le d u e cose paragonate sono n o tate a parte a parte, la

similitudiue

piglia il n om e di

com­

parazione (comparo,

io paragono). L’Ariosto:

Come im pasto leone in stalla piana Che lunga fame abbia smacrato asciutto, Uccide, scanna, sbrana, a strazio mena L ’ infermo gregge in su a balia condutto; Cosi il crudel pagan nel sonno svena La nostra gente e fa macel per tutto.

Antitesi (Da avriTt'Or^t, io po n g o a fronte). L

'antitesi

è quella figura, che p a r a g o n a n d o fra loro d u e cose ne fa risaltare le differenze. 11 Manzoni:

T utto ei provò: la gloria Maggior dopo il periglio, La fuga e la vittoria, La reggia e il tristo esiglio, Due volte nella polvere. Due volte su gli aitar.

­

— ­

(28)

Ipotiposi (Dal greco O otd oV io rappresento). È la descrizione molto viva d ’una cosa, talché se m b ri vederla. È u n a bella

ipotiposi

questa descrizione, che ci fa il Man zoni, d ell’avvicinarsi rec iproc o di d u e s q u a d re nemiche :

Quinci s p u n ta per l ’aria u n vessillo ; Quindi un altro s ’avanza spiegato ; Ecco appare un drappello schierato; Ecco un altro che incontro gli vien.

La

prosopografia

è u n a specie d ’

ipotiposi

(da -pc'co-ov. aspetto, e y s c r i v o ) che ci dà una vivace ed esatta descrizione delle fattezze d ’ un u om o, o d ’ un animale (nel qual caso pu ò dirsi

teriografia),

o d ’un essere im maginario. Nella

Gerusalemme Liberata :

P iù suso a lq u an to il passo lor contende Fero Leon, che rugge, e torvo guata, E i velli arrizza, e le caverne orrende De la bocca vorace apre, e dilata.

Etop^ia Anche questa figura è una specie d ’

ipotiposi

( d a loo;, costume, e ttocsm, io faccio ). F u detta dai latini

morum expressio.

E la viva descrizione dei costumi d ’ un in dividuo. Ecco, nel Tasso,

Yetopeia di Argante:

L ’altro è il Circasso Argante, uom che straniero Sen venne alla Reai Corte d ’ Egitto,

Ma dei Satrapi fatto è dell’ Impero, E in som m i gradi alla milizia ascritto. Impaziente, mesorabil, fero,

Ne l ’arm e infaticabile ed invitto, D'ogni Dio sprezzatore, e che ripone Ne la spada sua legge e sua ragione.

— - ­

­

(29)

Personificazione È quella figura per la quale si attri­ buisce vita e m oto ad esseri inanimati, o morti, o a cose astratte. L’Ariosto :

In questo albergo il grave Sonno giace : L'O zio da u n canto corpulento e grasso: Da l ’altro la Pigrizia in terra siede,

Che non può andare, e mal reggesi in piede.

La

personificazione

chiamasi p r o p ria m e n te

prosopopea,

(da pofjwTiov, volto, persona) q u a n d o all’essere personificato si attribuisce anche il discorso. Così, nel C arducci, parla 1’ Italia che va a visitare il m o d e rn o C a m p id o g lio :

Zitte ! zitte ! Che è questo frastuono Al lum e della l u n a ?

Oche del Campidoglio, zitte ! lo sono L ’ Italia grande e una.

Visione Si ha, q u a n d o l’ im m agina zione com m ossa ci fa quasi vedere e udire le cose passate, le fu tu re e le lontane. Nella

Canzone all'Italia,

del Leopardi :

Attendi, Italia, attendi, lo veggio, o p an n i, Un fluttuar di tanti e di cavalli,

E fum o e polve e luccicar di spade Come tra nebbia lampi.

Dialogismo (Da StxXsyo), io discuto). Q uesta figura è detta an c h e

sermocinazione

(da

sermocino/’,

io discorro) ed è un breve dialogo, vero o supposto, che s ’ in te rpone nel discorso. Q u e s t ’esempio è del Colletta: «

Domenico Cirillo,

domandato dell’età, rispose :

«

sessantanni » ; della condi­

zione: » medico sotto il principato, rappresentante del popolo

-—

(30)

nella repubblica ». Del quale vanto sdegnato il giudice Spe­

ciale, dileggiandolo disse:

«

e che sei in mia presenza? »

— « In tua presenza

,

codardo, sono un eroe ! » — Fu con­

dannato a morire.

X.

Fig ure di a ffetto T ra le

figure di pensiero,

sono le

fig ure di affetto

. S ono quelle particolari m aniere di parlare, che so n o più atte ad es p rim ere l’a n im o commosso. Una d o n n a del popolo (la quale non sa di rettorica) se piange il p r o p rio figlio morto, gli parla co m e se fosse vivo

(apostrofe),

dà in

esclamazioni,

in

interrogazioni,

in

preghiere,

in

impre­

cazioni,

ecc. Oltre a queste, userà, senza saperlo, figure d ’ im m aginazione, e figure di parole, e tutti i tropi più arditi; perc hè q u a n d o l’an im o è c om m osso, anche l’immaginazione e il pensiero sono più viv am ente agitati: agitazione che trova il suo sfogo naturale nel lin g u a g g io figurato. O n d e con molta verità osservò

Vito Fornari

(come innanzi si è notato), che il lin g u a g g io fig urato è m alam ente detto

linguaggio impro­

prio ;

perchè esso è il

linguaggio proprio

della passione e della fantasia.

Le

figure d'affetto

prin cipali sono: L’

interrogazione,

la

subiezione, Xesclamazione, Xepifotiema, Vapostrofe,

la

pre­

ghiera

e la

permissione,

la

imprecazione,

la

dubitazione,

la

sospensione,

la

comunicazione.

I n te r ro g a z io n e L’

Interrogazione

( d e t t a dai Greci

ic

TTjax) è il presentare sotto fo rm a di d o m a n d a una cosa di cui siamo certi. P etrarca :

Non è questa la patria in cui mi fid o ?

(31)

Q u esta d o m a n d a non è che una form a insolita, più a p passionata, dell'affermazione:

Questa è la patria in cui mi fid o.

Subiezione Si ha la

subiczione

(

subiectio

, àv rontocpop*. il soggiungere) q u a n d o alla d o m a n d a si a g g iu n g e u n ’acuta risposta. Metastasio :

Ma in che dobbiam fidarci? In quei teso ri? D ’ un istante son dono ;

Può involarli un istante. In questi amici Che acquistar già mi vedi ? E non son miei. Vengon con la fortuna, e van con lei.

Esclamazione Q uesta figura (in g reco ix^:óv /j<n;) con siste neH’esprim ere un q u a l u n q u e gagliardo affetto con u n ’in teriezione e u n' invocazione q u a lu n q u e . Nel Tasso :

O Cielo ! O Dei ! perchè soffrir q u est’empi ?

D ante :

Ahi ! dura terra, e perchè non t ’ap risti?

Epifonema

L'epifonema

( d a h ^ ( o v ; w , e s cla m o ) non è che u n ’ esclamazione, posta a conclusione d ’ un discorso. Ariosto :

E così Orlando arrivò quivi appunto. Ma tosto si pentì d ‘esservi giunto, Cliè vi fu tolta la sua donna poi :

Ecco il g iu d izio u m a n come spesso erra !

A postrofe (D a à7ro<rrp£<j>M, volgo altrove). Q uesta fi g u r a ( detta dai latini

aversio

) si ha, q u a n d o il discorso si rivolge da quelli, a cui era indirizzato, ad altri, o ad assenti, 0 a morti, o ad esseri inanimati, o astratti. LTAlfieri ;

­ — ­ — ­ ­ — — ­

(32)

... O sacra

Tomba del re dei re, vittim a aspetti?

L ’a v r a i. E il Leopardi :

Oh venturose, oli care, oh benedette L ’antiche età, che a morte

Per la patria correan le genti a squadre ! E voi sempre onorate e gloriose,

O Tessaliche strette,

Dove la Persia e il fato assai meri forti F u r di poche alme franche e generose.

P re g h ie r a . È detta an c h e

deprecazione

(da

depreco/').

Consiste nell’ invocare soccorso dalla Divinità o da chi può recar conforto e aiuto. Nella

Gerusalemme,

ecco con quali parole A rm ida sc o n g iu ra G o ffred o :

Per questi piedi, onde i superbi e gli empì Calchi; per questa m an che il dritto aita; Per l ’alte tue vittorie, e per quei tempi Sacri, cui desti, e cui dar cerchi aita, Il mio desir tu che puoi solo adempi....

La

preghiera

è spesso p r e c e d u ta d a

\Yaugurio:

Dante:

Se tosto grazia risolva le schiume Di vostra coscienza, sì che chiaro Per essa scenda della mente il lume, Ditemi (che mi sia grazioso e caro)

S ’a n im a è qui tra voi, che sia latina.

Dove si noti, che quel

se

del prin cipio è la particella au gurativa, non ipotetica (da

sic,

non da

si).

(33)

Affine alla

deprecazione

è la

permissione,

che si ha q u a n d o per com m uovere, si offre altrui.d i far qualche cosa in nostro d an n o . Nella stessa

Gerusalemme

, il g u e rrie ro

Tancredi

cerca con questa figura d ’ ispirare pietà e a m o re alla g u e r rie ra C lorinda :

Ecco, io chino le braccia, e t ’appresento Senza difesa il p e tto : or che noi fìedi ? Vuoi che agevoli l ’o p ra ? Io son contento T rarm i 1’ usbergo or or, se n udo il chiedi.

I m p re c a z i o n e C ontra ria alla

preghiera

è l’

imprecazione

(da

imprecor

), per la quale si a u g u r a ad altri o a noi stessi tutto il male desiderato. Nell

'Eneide

di Virgilio, tradotta da Annibai Caro, così parla la regin a D id o n e :

E la terra m ’ingoi, e il ciel m i fu lm in i E n e ll’abisso m i trabocchi in prim a C h’io ti violi m ai, pudico am ore.

Dubitazione (In greco 3'.a7rcpy|cjt<;). È l’espressione di u n ’agitazione violenta, che ci fa perplessi e incerti di ciò che d o b b ia m o dire o fare. Olim pia, a b b a n d o n a ta da Bireno, così si lamenta

ne\YOrlando furioso:

T ornerò in F ia n d ra, ove ho venduto il resto Di che io vivea, benché no n fosse m olto, Per so v v en irti e di prigione trarte ? M isera! dove a n d rò ? Non so in qual parte. Debbo forse ire in F risa , ove io potei,

E per te non vi volsi, esser re in a ? ....

Sospensione Q uesta figura, detta p u re

sostentazione

, si ha q u an d o , com m ossi d a un a cosa terribile o a t r o c e , o

(34)

po rten to sa, m ostria m o r ip u g n a n z a ad esporla, e teniamo per un pezzo sospesi gli anim i degli uditori. 11

Monti

nella

Basvilliana:

Perocché dai costoro em pio fu ro re

A g itta r trascin ato

(ahi! parlo o taccio?)

Dei ribaldi il capestro al m io Signore, Di m an m i cadde l ’esecrato laccio.

Comunicazione (’Avxxoi'vojffi?). U siam o q uesta figura q u a n d o , tr o p p o convinti della ragio nevolezza d ’ima cosa, d o m a n d ia m o il consiglio e il pare re di quelli s t e s s i , a cui o co n tro cui parliam o. C icerone, in u n ’ orazio ne contro Verre: « O r a d o m a n d o a v o i , che cosa crediate che io d e b b a fare

».

Correzio ne (’K xTo'pGwctc). E quella figura per cui, a p p e n a detta u n a cosa, ac corgendoc i di aver detto poco o male, a g g iu n g ia m o anc ora qualche cosa. 11

Petrarca,

nella

Canzone alta Vergine:

V ergine saggia, e del bel n u m e r u n a Delle beate vergini p ru d en ti,

A n zi la p rim a e con p iù chiara lampa.

O r a che a b b ia m o fatta u n a e n u m e r a z i o n e , abbastanza completa, dei tropi e delle figure, co n c h iu d ia m o , col dare qualche avvertenza in to rn o all’uso del linguaggio figurato:

1.° Le figure allora so n o belle, q u a n d o nascono, opportune e sp onta nee, dal soggetto che si tratta; 2.° Le figure stirac­ chiate e strane, o faticosamente com binate, non sono mai belle; le figure d e b b o n o nascere daH 'im m agin azio ne e dalla passione, n o n da un freddo sforzo d ell’intelligenza; 3.° Le fig ure riescono noiose e stucchevoN , q u a n d o son troppo

(35)

co n tin u e o frequenti; c’è, negli scrittori, brani bellissimi, o sublimi, spogli al tutto di figure e di traslati; 4.° B isogne rà anche badare che i tropi e le figure non siano contra dittori tra loro, o nelle loro parti: com e, per esem pio , se Dante, nell’allegoria più innanzi citata, avesse scritto

P er un campo ìnigliore

alza le vele Ornai la navicella del mio ingegno;

sarebbe assai curio so l ' im m aginare un a navicella, che alza le vele per un

campo

, invece che

per miglior acqua!

XI.

Invenzione F in o ra si è parlato dell’

elocuzione.

Ma se la letteratura stu dia (come si è detto)

la conveniente e-

spressione del pensiero

, è chiaro che la ricerca e la d isp o sizione dei pensieri, acconci al tem a che svolgesi , è u n a parte im porta nte della letteratura. Il trovare i pensieri per lo svolg im ento del tema, è ciò che a p p u n t o chiamasi

inven­

zione.

V eram ente, per trovare i pensieri convenienti a un sog getto, non vi può essere che una sola n o rm a f o n d a m e n ta le:

sentire

e

meditare.

Gli antichi rétori però classificarono d iligente m e nte le fonti, a cui si possono attingere le idee, e le c h ia m a ro n o

luoghi comuni

o

topici

(da totto; luogo). Ec­ cone alcuni:

La definizione Consiste nel dar b rev e m en te u n a chiara ed esatta idea della cosa di cui si ragiona. O gni trattato scientifico deve partire dalla definizione. L’ usarla però nella prosa co m u n e e amena, riesce pedantesco e pesante,

­ -— ­ ­ ­ —

(36)

e sarà meglio sostituirvi la

descrizione

(di cui si parlerà nella 2.a parte).

Il gen e re e la specie P er allargare il ca m p o delle idee, si p u ò parlare del

genere

o

specie,

a cui appartiene la cosa, di cui trattiam o. Così, p a rla n d o

dt\Yavarizia,

si può parlare del vizio in generale. È u n

luogo comune,

a cui ri­ c o rr o n o tro p p o spesso i giovani, q u a n d o so n o a corto d’idee. Le cause e gli effetti Ripetiam o l’esempio: dovendo scrivere d ell’

avarizia,

si p u ò d isc o rre re delle cause che la

pr o d u c o n o , e dei tristi effetti che ne derivano.

I contra rii A ncora lo stesso esempio: p e r far meglio notare la b ruttezza

avarizia,

le si pu ò mettere a fronte la bellezza della

generosità,

cioè del

suo contrario.

Le somiglianze e le aff in ità P e r allungare un p o ’ la co m posizio ne, si po sso n o pigliare concetti da argomenti affini. I giovani c o n o s c o n o p e r prova q uesto

luogo comune

che spesso li se duce al pu n to , da non far loro imbroccare il vero tema.

Gli esempi Q uesti si po sso n o trarre benissim o dalla storia, o dalla p r o p ria esperienza. L’inventarli, che siano ben calzanti, è m olto più diffìcile.

L’e num eraz ione Consiste nel distin g u e re una cosa nelle sue varie parti.

1

luoghi comuni

p o ssono essere di qualche giovamento ai giovanetti, scarsi o tardi d ’idee, i quali fanno le prime prove del c o m p o rre . S o n o però com e i sugheri, che bis ogna lasciar via, a p p e n a ci se ntia m o atti, non dico a nuota re, ma a te nerci tanto q u a n to a galla.

-— — — — ­

(37)

XII.

Avvertenze Q u a n t o alla ricerca dei pensieri, e alla loro disposizione nello scrivere, si tengano se m p re in mente dai giovani le seguenti avvertenze:

1.a È utile abituarsi a osservare attentam ente e a no, tare nella m e m o ria ogni cosa: i fatti che ci accadono tutti i gio rni, i moti b uoni o tristi d e j J J ^ r ^ ^ 'n t ì ^ t r o , le gioie e i dolori nostri e dei nostri s i m i ^ ^ f t ' ^ a s p e ^ /0 ^ u o g h i , i co stum i delle varie età e delle va/re condizioni ohgTi\ o m i n i ecc. N o n vi è circostanza così n f i^ ita , che, ben*M s€nrata e ben espressa, non possa poi o p p ^ u n a i ^ t t t e

'jà&tvifcfc

in un rac conto, in una descrizione, in

\\

n a \ d issa A z i o n e / ^ a s s e r v a r e è u n a delle prim e qualità n e c e ^ a v ^ s j j j o sfflf l o ^ / Ed è una qualità, che molto si rafforza con. t’a f c f ìt f; ^ € ie nei giovani. I quali faranno bene ad assuefarsi a g u a r d a r bene in to rn o a sè, e a scrivere di ciò che sa n n o e vedono e o d o n o e spe rim e n tan o quotidiana m ente, invece di parla r di cose e luoghi ignoti e lontani dalla loro esperienza. T e n g a n o sem pre bene a mente, che anche chi scrive male, q u a n d o discorre di cosa vista o provata, scrive p u r se m p re meglio.

2.a E utile il leggere b u o n i scrittori, e m a n d a r n e a m e m oria pensieri, sentenze, brani interi di versi o prosa, e av vezzarsi a servirsene, citandoli a proposito nei proprii scritti. È anche utile trascrivere in uno speciale q u a d e r n o note voli passi di scrittori.

3.a P rim a di mettersi a scrivere, biso g n e rà sa m p re aver ben m editato il p r o p rio soggetto, e so p rattu tto aver pensato a ben c o m p re n d e r n e la natura e i confini. E un erro re in cui cad o n o qualche volta anche i giovanetti svegliati, quello di no n afferrare il vero tema, o di rasentarlo senza mai adde n

— _ -­ -­ ­ ­ ­

(38)

-trarvisi. Sarà bene anzi evitare i lunghi e lo ntani proemiij, pei quali poi si arriv a stanchi al vero n òcc iolo della que^ stione. Meglio en trare subito in materia. Trovati i pensierii, sarà bene il disporli con semplicità e o rd in e , non dimentii- c a n d o mai la verità o alm en o la verosimiglianza.

XIII.

Poesia Bisogna distinguere l’elo cu z io n e della prosa da quella della poesia. 1 tropi e le figure, di cui a b b ia m o parlato, si a d o p e ra n o anche in prosa, m a sono essenzial­ m ente pro p rii della poesia.

11 lingua ggio poetico è molto differente dal linguaggio della prosa. La prosa si rivolge principalm ente alla ragione; la poesia parla prin cip alm e n te al cu o r e e alla fantasia, e q u in d i am a i tropi e le figure (che, co m e si è detto, s o n o la espressione p r o p ria dell’an im o e d ell’ immaginazione co m mossi), i costrutti inversi, parole e frasi rare e disusate, certi latinismi e grecismi, e in gene rale tutte le f o rm e inso solite, e atte perciò ad esprim ere l’ insolito stato della mente e dell'anim o. La prosa è come l’ab ito di tutti i g io rn i, la poesia è il vestito di festa.

La poesia (ttouw faccio, creo) è quel linguaggio, che nasce dalla fantasia e dall’affetto com mossi.

Q u in d i il verso non costituisce da solo poesia; vi può essere poesia anche senza verso, e verso senza p o es ia.

U n verso, che non nasce dalla fantasia commossa, e che n o n ci co m m u o v e, non è poesia, anche quando è s o n o r o ed elegante. L’ad d io di Lucia a ’ su oi monti, nei

Promessi Sposi,

è poesia, b en c h é scritto in prosa. P erò è tale la forz a del sentim ento, che q u a n d o esso investe la prosa, la re n d e n a

-—

­

(39)

turalm ente p iù musicale, e m olto l’avvicina all’arm o n ia del verso. Si noti infatti, nell’

Addio

suddetto, com e fin dal principio vi sia quasi tutta u n a sequela di versi di varia m is u ra :

Addio m onti, sorgenti d a ll’acque Ed elevati al cielo;

Cime in u g u a li, note a chi è cresciuto F ra voi e im presse ne la su a mente; Non m eno che lo sia

L ’aspetto de’ suoi p iù fa m ilia ri.

Il verso d u n q u e non costituisce l’essenza vera della poesia, ma esso ne è la c o m p iu ta e p r o p ria espressione.

Verso (da

verto)

vuol dire ritorno; rito rn o dello stesso accento, dello stesso n u m e ro di sillabe, dello stesso su o n o

(rima)

in fine o in mezzo al verso.

Ritmo Il carattere di tutti i versi, antichi e moderni, è il

ritmo.

11 ritm o è il vario avvicendarsi delle sillabe ac­ centate con le àtone (senz’accento).

II verso greco e latino si fondava sul n u m e ro dei piedi (gruppi di d u e o più sillabe) e sulla lu nghe zz a o brevità delle sillabe, cioè sulla

quantità.

Il verso italiano si fonda sul n u m e ro delle sillabe, su ll’accento, sul ritmo.

L’accento del verso è detto

accento ritmico,

il quale di regola coincid e con l’

accento tonico

della parola. Si esercitino i giovani a d istin g u ere l’accento tonico di ciascuna parola, com e p. e.

Amàre, fiévole, ammirévole, mormorano, carità,

dolòr

ecc Così facilmente e d u c h e r a n n o l’orecchio a sentire il ritm o e il m e tro del verso.

M etro La varia m is ura dei versi dicesi

metro

( da uETfo;, m is u ra ); e

metrica

si d i c e l a

scienza dei varii metri.

Figura

figure  d ’immaginazione   e  fig u re  di  affetto.

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