Tamar Pitch, Contro il decoro. L’uso politico della pubblica decenza, 2013, Roma-Bari, Laterza, pp. 84
Valeria Ferraris Università di Torino
«“Anche fotografato a colori, il governo Monti esce fuori in bianco e nero” (Fiorello). Un bel contrasto con il governo Berlusconi, scollature, tacchi alti, cravatte verdi, occhiali rossi... Il decoro ha (momentaneamente) vinto sull’indecenza? Il bianco e nero è ciò che si addice a tempi di austerità e rigore?».
Con questi accattivanti interrogativi (chissà cosa direbbe l’autrice del colorato, in toni pastello, governo Letta?) comincia il libro “Contro il decoro” di Tamar Pitch. Un pamphlet che si propone di dimostrare come oggi decoro e indecenza non siano concetti contrapposti ma rappresentino due facce delle stesse politiche pubbliche. Politiche riconducibili a una comune matrice di pensiero volta a dispiegare il controllo sociale sulle categorie sociali che per ragioni diverse sono eccentriche rispetto all’egemonia liberale che enfatizza la responsabilità individuale (si è artefici del proprio destino, così come delle proprie condizioni di vita, salute e lavoro) e il controllo dei rischi (il buon cittadino è colui che non corre rischi inutili e sa scegliere i rischi utili).
Perché decoro e indecenza sono sì speculari ma cooperanti e non contrapposti? Innanzitutto perché il decoro come oggi è inteso non ha nulla a che vedere con l'austerità dell’Inghilterra degli anni ’50 di cui parlava Tony Judt o dell’Italia post-crisi petrolifera. Non è un’austerità che chiede un mutamento etico, che invoca morigeratezza per promuovere “solidarietà ed uguaglianza”. Austerità e sacrifici sono oggi la porta per la diminuzione dei diritti.
Questo tema, accennato nelle prime pagine, si snoda in quelle che seguono attraverso l’esame della ratio delle politiche nazionali (capitolo 2) nei confronti di alcune categorie di individui: gli ultrà, i tossici, le prostitute, i migranti. Cosa hanno in comune le politiche che si rivolgono a soggetti così diversi?
In primis l’effetto disciplinamento. Tamar Pitch osserva come le misure di controllo sulla violenza negli stadi (dalla tessera del tifoso al Daspo) così come l’attuazione del cd. decreto Fini-Giovanardi o le proposte di regolamentazione della prostituzione e delle migrazioni si indirizzano su categorie sociali, disordinate e impolitiche: i giovani a cui si riducono progressivamente gli spazi di socializzazione (spazi che il tifo calcistico come la parrocchia hanno garantito per anni), i consumatori di sostanze stupefacenti (anch’essi giovani) quasi da sempre privi di voice (basti ricordare un classico della sociologia del diritto: la vicenda dell’approvazione del Marjuana Tax Act raccontata da Becker), le prostitute e i migranti, esseri umani di nota seconda categoria.
Ma il disciplinamento non si rivolge a queste categorie indiscriminatamente: il tifoso che consuma sport a casa grazie alla TV ultimo modello, i consumatori di droga dei salotti buoni, chi usa il sesso come veicolo di potere e carriera, l’immigrato silenzioso nel suo ruolo di lavoratore clandestino che non reclama diritti sono immuni da questo effetto. Sono lineari con una società di consumo e del rischio e per questo anche decorosi.
Identico effetto di disciplinamento l’autrice rileva nelle politiche locali (analizzate nel capitolo 3). Innanzitutto nell’attuazione delle politiche integrate di sicurezza dove spesso si è dimenticato il senso dell’aggettivo “integrate” a vantaggio di politiche prevalentemente di controllo e più di recente anche di chiusura degli spazi pubblici (luoghi pubblici, quindi di tutti, vetrina delle contraddizioni dell’epoca contemporanea). In particolare, con l’avvento
della cosiddetta stagione delle ordinanze, il decoro, la pulizia e il silenzio sono stati il filo conduttore dei provvedimenti dei sindaci. Questi provvedimenti, in alcuni casi complice un gioco delle parti con le politiche nazionali, hanno coinvolto i nomadi, le prostitute, i mendicanti, i lavavetri e da ultimo i giovani protagonisti della vita notturna delle città.
Tamar Pitch dedica le sue riflessioni conclusive, che riprendono le argomentazioni introdotte nel primo capitolo, alle donne in quanto «dispositivo centrale dell’intreccio tra decoro e indecenza». Non per fornire una lettura di genere di questi scenari, ma perché «il controllo e la disciplina delle donne sono al cuore della ricerca e dell’invenzione di identità collettive “sangue e suolo” (nazione, comunità localismi vari: tutto ciò che Bauman chiama “comunità di complici”».
Perché decoro e indecenza dunque sono le facce della stessa medaglia? Perché sono entrambe funzionali al dispiegarsi del controllo sociale. Se il decoro è la retorica utilizzata per la riduzione di spazi di socializzazione e di espressione e, per le donne, ciò che definisce il ruolo di mogli e madri, l’indecenza è il retro della medaglia che, esaltando la libertà individuale e le potenzialità di una mercificazione del corpo, riproduce un dispositivo di controllo dove desiderio e spregiudicatezza hanno poco spazio e tutto è regolamentato dalle regole dell’indecenza: la donna disponibile, muta, fedele al capo ed esecutrice.
Un concetto difficile, il decoro, che il saggio di Tamar Pitch ha il pregio di affrontare con linguaggio semplice e accessibile, offrendo una lettura non banale, densa di spunti di riflessioni, interessante da più prospettive disciplinari. L'attualità politica e sociale è per l’autrice spunto per proporre un suo punto di vista sui diritti e sul controllo. Lo si può condividere o no, ma senza ombra di dubbio questo testo stimola la riflessione. E per questo si può sottolineare che c’è un interrogativo ulteriore che l’autrice avrebbe potuto sollevare. Quanto queste politiche sono il prodotto di un pensiero strategico e non, invece, misure giustapposte per parlare alla pancia, escludente e retriva, dei sentimenti popolari? E quindi, perché sono mancati gli anticorpi utili a impedirlo? Gli stessi che fanno dire all’autrice di non aver mai prestato attenzione alle misure emanate nel corso degli anni per controllare il tifo calcistico. Cosa non ha impedito a decoro e indecenza di dominare la scena e ad un pensiero volto a semplificare le contraddizioni della società italiana contemporanea di emergere?