INDICE
INTRODUZIONE………2
CAPITOLO 1 Ictus 1.1 Descrizione………..……5
1.2 Sistema di irrorazione del Sistema Nervoso………...………..6
1.3 Segni e Sintomi……….……….11 1.4 Fattori di Rischio………..13 1.5 Diagnosi……….29 1.6 Conseguenze Post-Ictus………32 1.7 Terapia………..34 CAPITOLO 2 Il Percorso di Riabilitazione 2.1 Premessa………..……..38
2.2 Obiettivi della Riabilitazione………...40
2.3 Attività Fisica Adattata (A.F.A.) in Soggetti con Esiti di Ictus………43
2.4 Cosa è la Neuroriabilitazione Robotica………..………45
CAPITOLO 3 Il Lokomat 3.1 Descrizione………49
3.2 Effetti del Lokomat sulla Deambulazione……….……….53
3.3 Benefici del Lokomat………57
3.4 Casi Clinici………59
CONCLUSIONI……….79
BIBLIOGRAFIA………80
INTRODUZIONE
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, definisce l’ ICTUS come “una improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit delle funzioni cerebrali, localizzati o globali di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto non attribuibile ad altra causa apparente se non vasculopatia cerebrale”.
Ictus è un termine latino che significa “colpo” (in inglese stroke). Insorge, infatti, in maniera improvvisa: una persona in pieno benessere può accusare sintomi tipici che possono essere transitori, restare costanti o peggiorare nelle ore successive.
Quando si verifica un’interruzione dell’apporto di sangue ossigenato in un’area del cervello, si determina la morte delle cellule cerebrali di quell’area. Di conseguenza, le funzioni cerebrali controllate da quell’area (che possono riguardare il movimento di un braccio o di una gamba, il linguaggio, la vista, l’udito o altro) vengono perse.
In Italia l’ictus è la terza causa di morte, dopo le malattie ischemiche del cuore e le neoplasie;( causa il 10-12% di tutti i decessi per anno ) la seconda causa di demenza, e rappresenta la prima causa di invalidità.
Ogni anno si verificano in Italia circa 196.000 ictus, di cui il 20% sono recidive.
Il 10-20% delle persone colpite da ictus cerebrale muore entro un mese e un altro 10% entro il primo anno di vita.
Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza.
L’ictus è più frequente dopo i 55 anni, la sua prevalenza raddoppia successivamente ad ogni decade ; il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (negli uomini 7,4%, nelle donne 5,9%).
La definizione di ictus comprende:
• Ictus ischemico: si verifica quando le arterie cerebrali vengono ostruite dalla graduale formazione di una placca aterosclerotica e/o da un coagulo di sangue, che si forma sopra la placca arteriosclerotica (ictus trombotico) o che proviene dal cuore o da un altro distretto vascolare (ictus trombo-embolico) . . Circa l’80% di tutti gli ictus è ischemico.
• Ictus emorragico: si verifica quando un’arteria del cervello si rompe, provocando così un’emorragia intracerebrale non traumatica (questa forma rappresenta il 13% di tutti gli ictus) o caratterizzata dalla presenza di sangue nello spazio sub-aracnoideo (l’aracnoide è una membrana protettiva del cervello; questa forma rappresenta circa il 3% di tutti gli ictus).
L’ipertensione è quasi sempre la causa di questa forma gravissima di ictus.
• Attacco ischemico transitorio o TIA, si differenzia dall’ictus ischemico per la minore durata dei sintomi (inferiore alle 24 ore, anche se nella maggior parte dei casi il TIA dura pochi minuti, dai 5 ai 30 minuti). Alla neuroimaging funzionale non si evidenziano danni. Si stima che il 40% delle persone che presenta un TIA, in futuro andrà incontro ad un ictus vero e proprio.
L'intervento deve essere rapido e tempestivo già ai primi sintomi.
Il tempo è fondamentale in questa patologia, poiché il cervello va incontro ad aggressione dovuta a carenza di apporto di sangue, per ischemia o per emorragia ; attendere le 24 ore per verificare se si tratta di un attacco ischemico transitorio (TIA) o di un vero e proprio ictus non permette di recuperare rapidamente un deficit che può diventare altrimenti stabile.
La fase di ricovero è la più delicata perché vanno affrontati i problemi riguardanti il paziente, la famiglia, l'organizzazione degli interventi a livello territoriale; vanno programmati interventi riabilitativi (fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale), interventi clinici (terapia antipertensiva, ipolipemizzante, antiaggregante, anticoagulante e il trattamento delle comorbidità, come il diabete, la bronchite cronica, la malattia renale cronica ecc.).
Fondamentale è l'attenzione verso lo stile di vita sano (alimentazione sana e abolizione del fumo); una attenzione particolare va rivolta verso l'attività fisica; infatti è dimostrato che una grave menomazione funzionale causa sedentarietà, che, a sua volta, causa nuove menomazioni, nuove limitazioni funzionali, nuova disabilità con riduzione ulteriore
dell'attività motoria e della partecipazione sociale.
Esistono programmi specifici di attività fisica adattata per pazienti con esiti cronici di ictus cerebrale.
Inoltre non va dimenticato il sostegno psicologico al paziente, con la prevenzione alla depressione e il sostegno alla famiglia.
1- ICTUS
1.1 DESCRIZIONE
L' ictus e il TIA appartengono alla categoria delle malattie cerebrovascolari, localizzate a livello del Sistema Nervoso Centrale; tali manifestazioni non esordiscono improvvisamente ma sono legate ad un danno di tipo circolatorio.
Il cervello dipende strettamente dal consumo di ossigeno ed essendo un organo aerobico, necessita di un apporto di sangue continuo.
Nel caso in cui al cervello non arrivi la giusta quantità di ossigeno, a causa di una scarsa perfusione sanguigna, si verifica un danno funzionale ed anatomico ai tessuti cerebrali che si manifesta attraverso: l' attacco ischemico transitorio o ictus.
• Attacco ischemico transitorio (TIA)
consiste nell’improvvisa comparsa di segni e sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, attribuibili ad un insufficiente apporto di sangue di durata inferiore alle 24 ore. E' reversibile.
• Ictus (o colpo apoplettico)
- ischemico : circa l’80% degli ictus è ischemico e si potrebbe verificare in persone con predisposizione ad aritmie cardiache o affette da fattori di rischio quali diabete mellito, ipertensione, dislipidemie o con segni di aterosclerosi vasale. Nel caso di ictus ischemico, le arterie cerebrali vengono ostruite dalla formazione di una placca aterosclerotica e/o da un embolo, che può provenire dal cuore o da altro distretto vascolare. - emorragico: causato dalla rottura di una arteria del cervello. In genere la causa di questo tipo di ictus è l’ipertensione. E' la forma più grave, poiché può condurre alla morte in oltre il 50% dei casi.
Perciò l' ictus è caratterizzato dall ' interruzione del flusso di sangue al cervello, di durata tale da determinare la comparsa di segni e sintomi focali che non scompaiono entro le 24 ore. E' irreversibile.
1.2 SISTEMA DI IRRORAZIONE DEL SISTEMA NERVOSO.
La vascolarizzazione del midollo spinale e dell'encefalo, così come quella cardiaca, è definita di tipo terminale, cioè oltre un certo livello non esistono anastomosi efficienti. Ciò significa che, nel caso di una lesione a carico di un ramo terminale, si ha la comparsa della cosiddetta necrosi ischemica o infarto.
• VASCOLARIZZAZIONE DEL MIDOLLO SPINALE
Il midollo spinale è irrorato dalle arterie vertebro-midollari che originano dall'arteria vertebrale nel tratto cervicale e dalle arterie intercostali e lombari nel tratto toracico e lombare. Ogni arteria vertebro-midollare penetra nel canale vertebrale accompagnata da un nervo spinale e si divide in un ramo vertebrale e in un ramo midollare. Quest'ultimo, a sua volta, si divide in arteria radicolare anteriore e arteria radicolare posteriore. Le arterie radicolari anteriori, una volta giunte alla superficie del midollo spinale, decorrono nella sua faccia anteriore e, unendosi a quelle del lato opposto, formano il tratto anastomotico arterioso anteriore o arteria spinale anteriore. Le arterie radicolari posteriori, raggiunta la superficie del midollo, si dividono in un ramo ascendente ed in uno discendente i quali, unendosi al ramo discendente sovrastante ed a quello ascendente sottostante, formano il tratto anastomotico postero-laterale o arteria spinale posteriore (pari e simmetriche). Il tratto anastomotico arterioso anteriore ed i due tratti anastomotici arteriosi posterolaterali sono collegati tra loro da numerosissime arterie anastomotiche che formano sulla superficie del midollo spinale, nello spessore della pia madre, la rete arteriosa perimidollare, dalla quale si dipartono le arterie perforanti che si affondano entro il midollo spinale. I rami lunghi di queste arterie innervano la sostanza grigia, quelli corti la sostanza bianca. In alto le arterie spinali anteriore e quelle posteriori ricevono sangue dalla vertebrale. Tra le arterie vertebro-midollari è particolarmente voluminosa l'arteria di Adamkiewicz, derivata da una delle ultime arterie intercostali o da una delle prime lombari, che irrora la porzione terminale del midollo, a partire dal rigonfiamento lombare. Una lesione di questa arteria provoca paraplegia, incontinenza urinaria e, nel maschio, impotenza. Il decorso delle vene è simile a quello delle arterie.
• VASCOLARIZZAZIONE DELL'ENCEFALO
Attraverso il circolo cerebrale arterioso l'encefalo assorbe il 15% del sangue circolante nel corpo. Il circolo cerebrale è costituito dal circolo anteriore, che fa capo alle arterie carotidi interne e che apporta il 70% del sangue e dal circolo posteriore, che fa capo al sistema delle arterie vertebrali e che apporta il 30% del sangue.
Circolo anteriore e posteriore sono collegati tra loro dal poligono di Willis , che rappresenta una sorta di camera di compensazione per il circolo cerebrale. È un circolo anastomotico localizzato nella faccia inferiore del cervello, in rapporto con la sostanza perforata anteriore, di lato al chiasma ottico e con la sostanza perforata posteriore, dietro ai corpi mammillari.
Il compito del poligono di Willis è quello di rendere maggiormente uniforme la distribuzione del sangue all'encefalo.
1. Il circolo anteriore: è garantito dalle due arterie carotidi interne, ciascuna delle quali decorre nel seno cavernoso della dura madre. Fuoriuscita dal seno cavernoso, ogni arteria dà luogo a due importanti rami che non entrano a far parte del poligono di Willis: l'arteria oftalmica, che si porta all'occhio e l'arteria cerebrale media o silviana. La cerebrale media è la più grande arteria che irrora il cervello, percorre la scissura laterale del Silvio e si distribuisce a quasi tutta la superficie esterna dell'emisfero cerebrale e alla parte laterale dei lobi orbitario e temporo-occipitale. Termina come arteria del giro angolare (o arteria della piega curva) a livello dell'area 39 (centro verbo-visivo in cui i grafemi vengono trasformati in fonemi, dando la capacità di comprendere le parole scritte). Alcuni individui con disturbi a questo livello riescono a capire meglio una lettura fatta ad alta voce: i grafemi vengono inviati all'area 22 (centro verbo-acustico e della comprensione del linguaggio parlato) e da qui andranno tramite il fascicolo arcuato alle aree 44 e 45 o area premotoria del Brocà. Una lesione a livello della parte anteriore dell'arteria silviana di sinistra, causa spesso disartria e agrafia (afasia motoria). Se la lesione colpisce parti corrispondenti dell'emisfero destro si ha mancanza di enfasi (aprosodia). Quando l'arteria carotide interna giunge al poligono, dà luogo alle arterie cerebrali anteriori destra e sinistra, che si uniscono tramite l'arteria comunicante anteriore e alle arterie comunicanti posteriori.
2. Il circolo posteriore : L'arteria vertebrale, ramo dell'arteria succlavia, decorrendo verso l'alto e medialmente passa sulla faccia anteriore del midollo allungato, raggiunto il solco bulbo-pontino si unisce con quella eterolaterale formando l'arteria basilare. Dall'arteria vertebrale emerge l'arteria cerebellare infero posteriore, la cui lesione dà la sindrome laterale del bulbo (sindrome di Wallemberg). L'arteria basilare è impari e mediana, sale verso l'alto sulla faccia anteriore del ponte accolta nel solco basilare, giunta al solco prepontino si biforca nelle due arterie cerebrali posteriori, che piegano lateralmente circondando ciascuna il corrispondente peduncolo cerebrale del mesencefalo. Dall'arteria basilare emergono l'arteria cerebellare infero-anteriore e superiore e diverse arterie pontine, tra cui quella per il labirinto dell'orecchio interno (arteria labirintica).
POLIGONO DI WILLIS
La vascolarizzazione dell'encefalo è fornita dalle arterie vertebrali, basilare,carotidi interne con i loro rispettivi rami collaterali e terminali unite, in via funzionale, dal poligono di Willis (o circolo arterioso o eptagono di Willis).
Esso è un importante anello anastomotico situato nella cisterna interpeduncolare, in rapporto con la faccia inferiore dell'encefalo, che circonda il chiasma ottico e le formazioni della fossa interpeduncolare. È formato:
• In avanti, dal tratto iniziale delle due arterie cerebrali anteriori, unite fra loro dall'arteria comunicante anteriore.
• Sui lati, dalle arterie comunicanti posteriori che, originate dall'arteria carotide interna, raggiungono l'arteria cerebrale posteriore dello stesso lato.
• In dietro, dal tratto iniziale delle arterie cerebrali posteriori, derivanti dalla biforcazione del tronco basilare.
Attraverso i tratti anastomotici del poligono di Willis si attua il regolare passaggio del sangue in varia direzione; ciò realizza un continuo conguaglio di pressione fra arteria carotide interna e arteria vertebrale con un’uniforme distribuzione del
sangue a tutto l'encefalo.
Sotto il controllo del circolo anastomotico dell'encefalo sono anche le arterie che forniscono l'apparato della vista (arteria oftalmica) e quelle dirette al labirinto
membranoso (arteria uditiva interna). Va ricordato, infine, che le arterie cerebrali, per le loro caratteristiche di arterie terminali, non consentono la supplenza vascolare e il distretto servito da ciascuna arteria, in caso di ostruzione arteriosa per eventi patologici, va incontro a tutti i fenomeni del deficit vascolare.
Quindi andando in senso orario troviamo: 1) arteria cerebrale anteriore di sinistra. 2) arteria comunicante anteriore. 3) arteria cerebrale anteriore di destra. 4) arteria comunicante posterioredi destra.
5) arteria cerebrale posteriore di destra. 6) arteria cerebrale posteriore di sinistra.
1.3 SEGNI E SINTOMI
È fondamentale riconoscere immediatamente i sintomi dell’ictus per poter intervenire quanto prima possibile; questo consente di salvare vite e di limitare la comparsa di disabilità. I segni principali che si manifestano improvvisamente sono:
• paresi facciale, quando un lato del viso non si muove bene come l’altro
• deficit motorio degli arti superiori, quando uno degli arti superiori non si muove o cade se confrontato con l’altro
• difficoltà nel linguaggio, quando il paziente strascica le parole o usa parole inappropriate o è incapace di parlare.
L’alterazione anche di uno solo dei tre segni è altamente suggestiva per un ictus. È importante annotare l’orario della comparsa dei primi sintomi perché presso ospedali specializzati, dotati di “stroke unit” è possibile sottoporre il paziente colpito da ictus ischemico ad una terapia trombolitica (cioè che scioglie l’eventuale trombo) entro 3 ore dall’esordio dei sintomi.
Altri segni che possono aiutare nella identificazione dell’ictus sono:
1. improvvisa perdita di forza e di sensibilità a carico di un braccio o di una gamba (specie se dallo stesso lato del corpo) o di una metà del viso
2. improvvisa perdita di vista (o di una parte del campo visivo) a carico di uno o di entrambi gli occhi
3. improvvisa perdita di equilibrio, comparsa di sbandamenti o vertigini 4. improvviso e lancinante mal di testa
5. improvvisa incapacità a parlare (afasia) o la comparsa di un modo di parlare biascicato o con parole incomprensibili
6. improvvisa incapacità di comprendere cosa le altre persone dicono.
L’acronimo FAST, usato dagli americani, consente di ricordare facilmente alcuni test da fare nel sospetto che una persona sia stata colpita da un ictus (Cincinnati Prehospital Stroke Scale).
F (come Faccia): chiedere ad una persona di sorridere e osservare se un angolo della bocca non si solleva o ‘cade’;
A (come Arms: braccia): chiedere alla persona di sollevare entrambe le braccia e osservare se un braccio tende a cadere verso il basso;
S (come Speech: linguaggio): chiedere alla persona di ripetere una frase semplice e valutare se il suo modo di parlare risulti strano (parole senza senso) o biascicato;
T (come Tempo): se è presente uno qualunque di questi segni, chiamare immediatamente il 118.
Si possono manifestare varie combinazioni di questi sintomi o magari uno soltanto; se l'ischemia avviene in un territorio cerebrale meno sensibile può anche non causare sintomi e passare inosservata.
In molti casi l'ictus causa un danneggiamento permanente del tessuto nervoso con la conseguente permanenza dei sintomi, che possono comunque migliorare durante la terapia riabilitativa in quanto altre regioni cerebrali possono attivarsi per sostituire parzialmente la funzionalità persa.
In altri casi, o nel caso siano possibili interventi farmacologici precoci, il flusso sanguigno si ristabilisce entro poco tempo, permettendo la sopravvivenza del sensibile e non rigenerabile tessuto nervoso. Una caratteristica importante di tutti i sintomi da ictus acuto è la loro manifestazione improvvisa.
1.4 FATTORI DI RISCHIO
L' evento cerebrovascolare come ictus o TIA, può essere causato dalla concomitanza di diversi fattori che ne aumentano la probabilità di insorgenza.
Questi fattori possono essere non modificabili e modificabili e si distinguono per ictus ischemico e ictus emorragico.
1. Ictus ischemico:
NON MODIFICABILI - Età - Sesso maschile
-Avere un familiare colpito da ictus -Storia di un TIA precedente
MODIFICABILI - Ipertensione arteriosa - Ipercolesterolemia - Diabete mellito - Fumo di sigaretta
- Eccessivo consumo di alcol - Obesità
( L’ipertrofia ventricolare sinistra, la malattia renale cronica, la fibrillazione atriale, l’aterosclerosi carotidea e il pregresso infarto, se non trattati in maniera adeguata, sono condizioni che aumentano la probabilità di andare incontro ad un ictus.)
2. Ictus emorragico :
NON MODIFICABILI - Età
MODIFICABILI -Ipertensione arteriosa -Eccessivo consumo di alcol -Fumo di sigaretta
1. Età , familiarità e sesso maschile.
Il rischio aumenta con l'aumentare dell'età.
E' più frequente dopo i 55 anni, la sua prevalenza raddoppia successivamente ad ogni decade ; il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (negli uomini 7,4%, nelle donne 5,9%).
L’eredo- familiarità è oggi universalmente riconosciuta come uno dei fattori di rischio più importanti per ictus. Questo particolare aspetto delle malattie vascolari è di grande interesse e riguarda soprattutto quelle famiglie in cui le malattie cardiovascolari si manifestano in età inferiore a 40 anni.
( vedi APPENDICE 1)
Appartenere al sesso maschile espone ad un rischio maggiore, poiché il sesso femminile sembra essere più protetto dalle malattie cardiovascolari grazie alla
produzione di estrogeni che stimolano la sintesi di trigliceridi e l'aumento delle lipoproteine ad alta intensità (HDL o colesterolo buono) proteggendo le pareti vasali dal danno arteriosclerotico.
Dato che le donne possiedono molti più estrogeni degli uomini fino alla menopausa, il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari è considerevolmente inferiore.
2. Ipertensione arteriosa
L’ipertensione è una condizione cronica, caratterizzata da un aumento stabile della pressione del sangue nelle arterie.
La pressione arteriosa è la forza esercitata dal sangue contro la parete delle arterie. A ogni battito del cuore, il sangue esce dal ventricolo sinistro attraverso la valvola aortica, passa nell’aorta, e si diffonde a tutte le arterie. Quando il cuore si contrae e il sangue passa nelle arterie, si registra la pressione arteriosa più alta, detta ‘sistolica’ o ‘massima’; tra un battito e l’altro il cuore si riempie di sangue e all’interno delle arterie si registra la pressione arteriosa più bassa, detta ‘diastolica’ o ‘minima’. La misurazione della pressione si registra a livello periferico, usualmente al braccio e viene indicata da due numeri che indicano la pressione arteriosa sistolica e la diastolica, misurate in millimetri di mercurio (es. 120/80 mmHg).
Quando i valori di sistolica e/o di diastolica superano i 140 mmHg(per la massima) o i 90 mmHg (per la minima), si parla di ipertensione.
A soffrire di ipertensione si stima che siano circa 15 milioni di italiani, ma circa la metà di questi ne è consapevole. Controllare regolarmente la pressione arteriosa e mantenerla a livelli raccomandati attraverso l’adozione di uno stile di vita sano e assumendo specifiche terapie laddove necessario, è fondamentale, poiché questa condizione rappresenta il fattore di rischio più importante per l’ictus, quindi per le malattie legate all’invecchiamento (disturbi della memoria, disabilità), nonché per l’infarto del miocardio, gli aneurismi, le arteriopatie periferiche, l’insufficienza renale cronica, la retinopatia..
Secondo la classificazione del JNC 7 (Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure) si considera ‘normale’ una pressione sistolica inferiore a 120 mmHg e una pressione diastolica inferiore a 80 mmHg. Al di sopra dei 140 mmHg di massima o dei 90 mmHg di minima si è ipertesi. Si parla di ipertensione ‘sistolica isolata’ quando è solo la massima ad essere alta (cioè ≥140 mmHg).
Classificazione dell’ipertensione arteriosa secondo il JNC 7
Pressione sistolica (in mmHg)
Pressione diastolica (in mmHg) Normale 90-119 60-79 Pre-ipertensione 120-139 80-89 Ipertensione stadio 1 140-159 90-99 Ipertensione stadio 2 ≥ 160 ≥ 100 Ipertensione sistolica isolata ≥ 140 ≤ 90
Un certo livello di pressione arteriosa è necessario affinché il sangue possa scorrere in tutto il sistema circolatorio, assicurando il necessario nutrimento ai tessuti dell’organismo. Il cuore batte in modo regolare ed in tal modo pompa il sangue all’interno delle arterie: la forza esercitata dal flusso sanguigno contro le pareti dei vasi è la pressione arteriosa. Il momento in cui la pressione è più alta corrisponde alla fase di contrazione (detta “sistole”) del cuore, ed è definita “pressione massima (o sistolica)”. Il momento in cui la pressione è più bassa corrisponde alla fase di rilassamento del cuore, ed è definita come “pressione minima (o diastolica)”.
La pressione con cui il sangue scorre nelle arterie aumenta se le pareti di questi vasi si induriscono e perdono la loro elasticità, si restringono di diametro o si ostruiscono. In questi casi il cuore deve pompare più forte per opporsi all’aumento delle resistenze che ostacolano il flusso sanguigno e per fare in modo che il sangue irrori tutti i tessuti dell’organismo evitando fenomeni di “ischemia”, vale a dire situazioni in cui non arriva abbastanza ossigeno ai tessuti per un deficit nell’apporto sanguigno.
Secondo la Società Europea di Cardiologia (ESH), la Società Europea di Cardiologia (ESC), e la Società Internazionale dell’Ipertensione (ISH), che fa parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i valori di riferimento considerati normali per la pressione massima e minima sono stati fissati pari a 140/90 mmHg. Tali
valori di normalità sono stati adottati anche dalla Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA).
In caso di rialzo importante dei valori pressori (crisi ipertensiva, valori > 180/110 mmHg) può comparire una cefalea violenta, nausea, vomito, alterazioni della vista (restringimento del campo visivo, ‘lucine’ scintillanti, ecc), vertigini e ronzii alle orecchie (acufeni) o ancora un’importante epistassi (emorragia dal naso).
L’ipertensione è un “nemico silenzioso”, perché fino a quando non produce danni evidenti agli organi, non ci sono sintomi che ne segnalino la presenza. Oggi, infatti, molte persone sono affette da ipertensione e non sanno di esserlo. Essere ipertesi vuol dire avere valori di pressione costantemente al di sopra della norma, anche quando si è distesi e tranquilli. È importante, dunque, controllare regolarmente la pressione arteriosa, anche perché se adeguatamente trattata, essa smette di rappresentare un pericolo per la nostra salute.
Da cosa è causata l' ipertensione? Il valore della pressione arteriosa dipende in massima parte dalla adozione degli stili di vita fin dalla giovane età: mangiare con poco sale, molta frutta e verdura, camminare e non fumare mantengono la pressione arteriosa a livelli favorevoli nel corso della vita. Nel 90-95% dei casi l’ipertensione arteriosa non ha una causa evidente; questa forma viene dunque indicata come ‘ipertensione essenziale’.
In una minoranza dei casi invece (5-10%) l’ipertensione è causata da un’altra condizione medica, in genere una malattia del sistema endocrino (feocromocitoma, sindrome di Cushing, iperparatiroidismo, adenoma surrenalico aldosterone secernente, alterazioni della tiroide) o dei reni (insufficienza renale cronica, restringimento di un’arteria renale) o ancora può essere secondaria all’assunzione di farmaci (associazioni estro-progestiniche, farmaci antidolorifici o per la cefalea, ecc.). In questi casi si parla di ‘ipertensione secondaria’.
3. Ipercolesterolemia
Il colesterolo è una sostanza grassa necessaria al corretto funzionamento dell’organismo: partecipa infatti alla sintesi di alcuni ormoni e della vitamina D ed è un costituente delle membrane delle cellule. Prodotto dal fegato, può anche essere introdotto con la dieta: è contenuto, per esempio, nei cibi ricchi di grassi animali, come carne, burro, salumi, formaggi, tuorlo dell’uovo, fegato. È invece assente in frutta, verdura e cereali.
Il trasporto del colesterolo attraverso il sangue è affidato a una classe particolare di particelle, quella delle lipoproteine. Esistono quattro tipi di lipoproteine, classificate in base alla densità, che è inversamente proporzionale alla quantità di colesterolo presente. Le più importanti per la prevenzione cardiovascolare sono:
•LDL, o lipoproteine a bassa densità: trasportano il colesterolo sintetizzato dal fegato alle cellule del corpo
•HDL, o lipoproteine ad alta densità: rimuovono il colesterolo in eccesso dai diversi tessuti e lo trasportano nuovamente al fegato, che poi provvede a eliminarlo.
Le LDL sono note nel linguaggio comune come “colesterolo cattivo”: quando sono presenti in quantità eccessiva, infatti, tendono a depositarsi sulla parete delle arterie, provocandone ispessimento e indurimento progressivi. Questo processo, chiamato aterosclerosi, può portare nel tempo alla formazione di vere e proprie placche (o ateromi) che ostacolano il flusso sanguigno, o addirittura lo bloccano del tutto. Quando il cuore non riceve abbastanza sangue ricco di ossigeno, si può sviluppare l’angina pectoris, una condizione caratterizzata da dolore al torace, alle braccia o alla mandibola, solitamente in concomitanza di uno sforzo o di uno stress. Inoltre, le placche possono staccarsi e formare un trombo, che può indurre un improvviso arresto del flusso sanguigno. A seconda di dove è localizzata, l’ ostruzione di un vaso può provocare infarto del miocardio (a livello cardiaco), ictus (a livello cerebrale) o claudicatio intermittens (a livello degli arti inferiori).
Si parla di ipercolesterolemia quando il colesterolo totale (LDL più HDL) è troppo alto. Valori desiderabili sono i seguenti:
• colesterolo totale: fino a 200 mg/dl • colesterolo LDL: fino a 100 mg/dl
• colesterolo HDL: non inferiore a 50 mg/dl.
4. Diabete Mellito
Il diabete è presente nel 3%-5% della popolazione adulta. Studi caso-controllo e indagini prospettiche hanno dimostrato che il rischio di ictus è aumentato da 1,8 a 6 volte nei diabetici rispetto ai non diabetici e tale aumento è indipendente dagli altri maggiori fattori di rischio. Questo effetto è da ricercare verosimilmente nella patologia macro e micro vascolare associata al diabete. I dati di studi randomizzati controllati sull'efficacia di un controllo glicemico ottimale nella riduzione del rischio di ictus sono ancora relativamente pochi e non hanno evidenziato una riduzione statisticamente significativa del rischio, pur riducendosi l'incidenza di altre complicanze vascolari del diabete. Al contrario, una significativa riduzione del rischio di ictus è stata ottenuta in questi stessi pazienti attraverso lo stretto controllo della pressione arteriosa .
Il diabete è una malattia in cui i livelli di glucosio nel sangue ( glicemia ) sono costantemente sopra i valori normali (>126 mg/dl a digiuno). In Italia il 9% degli uomini e il 6% delle donne sono diabetici.
Nel tempo, il diabete porta ad alterazioni delle pareti dei vasi sanguigni, sia delle arterie più grandi che dei capillari, con conseguente aumento del rischio di ictus.
Nel diabete di tipo 2, quello più frequente che si manifesta in età adulta e spesso dipende dall’eccesso di peso, la dieta è la migliore arma preventiva. Un’alimentazione equilibrata e non troppo ricca di zuccheri, insieme al controllo del peso corporeo e della glicemia (basta un semplice esame del sangue) consente di tenere lontano il pericolo.
Condizioni diagnostiche del diabete Condizione 2HrPPG mmol/l(mg/dl) Glicemia a digiuno mmol/l(mg/dl) % HbA1c Normale <7.8 (<140) <6.1 (<110) <6.0 Alterata glicemia a digiuno 6.1 - 7.0 (110 - 126) 6.0-6.4 Alterata tolleranza al glucosio 7.8 - 11.1 (140 - 200) Diabete mellito ≥11.1 (≥200) ≥7.0 (≥126) ≥6.5 5. Fumo di sigaretta
L'inalazione volontaria del fumo di tabacco (fumo attivo) ha un forte impatto negativo sulla salute e sulle aspettative di vita del fumatore a causa dell'azione vasocostrittrice indotta dalla nicotina e delle proprietà irritanti e cancerogene di diversi prodotti pirolitici che si formano durante il processo di combustione .
Il monossido di carbonio presente nel fumo del tabacco esercita un'azione tossica legandosi all' emoglobina ( carbossiemoglobina) e riducendo, di conseguenza, l'ossigenazione sanguigna.
E' noto che il monossido di carbonio presente nel fumo di tabacco altera l' aggregabilità dei globuli rossi e ritarda la cicatrizzazione delle ferite, mentre la nicotina, con le sue proprietà di costrizione vasale, contribuisce alla riduzione della vascolarizzazione.
Secondo il Centers for Disease Control And Prevention (CDC) statunitense, il fumo è una delle cause primarie o è associato a un significativo aumento del fattore di rischio per varie patologie tra cui malattie cardiovascolari e vari tipi di tumore .
Il rischio associato è particolarmente elevato per le malattie del sistema cardiovascolare in quanto il fumo è considerato il principale fattore di rischio che predispone all'insorgenza dell'arteriosclerosi e delle patologie a essa collegate; il tabagismo agisce nel tempo indurendo le pareti dei vasi.
Il fumo contiene migliaia di componenti dannosi (circa 4000), ecco alcuni esempi : Nicotina
dipendenza
Aumento della frequenza cardiaca
Difficoltà circolatorie
Monossido di Carbonio
Minor nutrimento per i tessuti
Sangue meno ossigenato
Ingiallimento della pelle
Caduta dei capelli
Invecchiamento precoce
Ridotta capacità respiratoria
Sostanze irritanti
Accumulo di muco nei bronchi
Bronchite cronica
Enfisema
Benzopirene e altre sostanze cancerogene Aumentato rischio di cancro
Polveri fini
L'insieme delle polveri fini è chiamato Il PM10 (particulate matter).
Le sostanze dannose responsabili dei danni all'apparato circolatorio sono soprattutto l' Ossido di Carbonio e la Nicotina. L'ossido di carbonio riduce la quantità di ossigeno disponibile per l'organismo: cuore, cervello, muscoli, etc. ricevono meno ossigeno.
Insieme alla nicotina, l'ossido di carbonio accelera la formazione delle placche aterosclerotiche nei vasi sanguigni, elevando il rischio di infarto del miocardio e ictus.
6. Eccessivo consumo di alcol.
L' alcol è una sostanza tossica che altera il funzionamento del Sistema Nervoso Centrale, crea dipendenza fisica e psichica, assuefazione e disturbi comportamentali ( riscontrabili sul piano individuale e sociale). Numerosi sono gli organi danneggiati dall' abuso di alcol, per citarne alcuni: cuore e vasi, fegato (epatite, cirrosi epatica), apparato riproduttivo (ridotta fertilità), esofago (tumore), intestino, pancreas, sistema nervoso centrale (delirium tremens, epilessia, allucinosi, atrofia cerebrale).
L'utilizzo prolungato di alcol nel tempo può aumentare il rischio di sviluppare varie patologie più o meno gravi, e anche a basse dosi l'alcol accresce il rischio per alcune malattie.
Secondo dati forniti dall'OMS, il consumo di 20 grammi di alcol al giorno (pari a circa 2 bicchieri di vino) determina un aumento percentuale di rischio rispetto a chi non assume bevande alcoliche:
• del 100% per la cirrosi epatica;
• del 20-30% per i tumori del cavo orale, faringe e laringe; • del 10% per i tumori dell'esofago;
• del 14% per i tumori del fegato;
• del 10-20% per i tumori della mammella; • del 20% per l'ictus cerebrale.
(Chiaramente, all'aumentare delle quantità di alcol aumenta anche la percentuale di rischio. )
Il bere moderato deve essere una abitudine quotidiana; è illegittimo restare astemi per quasi tutta la settimana e quindi accumulare le razioni quotidiane tutte in una sola giornata. Comunque i pro e contro o meglio gli effetti benefici di un consumo moderato e quelli malefici di un bere eccessivo possono essere così sintetizzati:
Benefici del bere moderato Danni del bere eccessivo • Riduzione delle placche
dell’ateroma
• Protezione nei riguardi della formazione dei trombi che ha effetto preventivo nei confronti degli attacchi cardiaci e dell’ictus aterosclerotico
• Promozione della dissoluzione del trombo
• Aumento del rischio di miopatia cardiaca
• Aumento del rischio di artitmie • Aumento del rischio di ipertensione • Aumento del rischio di ictus
emorragico
Per quanto riguarda gli effetti benefici non si tratta solo dell’aumento delle HDL ma probabilmente di una influenza sul sistema di segnalazione dell’endotelio; questi segnali provocano lo sviluppo di reazioni infiammatorie. E’ probabile che l’alcool alteri le funzioni dell’NF-KB, un insieme di fattori di trascrizione che hanno un ruolo nel meccanismo dell’aterosclerosi soprattutto relativamente alle molecole di adesione, e che, in definitiva, svolge un ruolo anti-infiammatorio venendo a ridurre i rischi legati all’afflusso di fagociti nello strato sottostante all’epitelio. Per quanto poi riguarda l’attività anti-LDL si ricorda che l’ossidazione delle LDL favorisce la formazione delle strie lipidiche per cui la presenza di anti-ossidanti nel vino può avere un effetto protettivo (flavonoidi e prodotti
fenolici). Tuttavia non sembra che la quantità di anti-ossidanti nel vino rosso possa raggiungere concentrazioni tali da svolgere azione protettiva e si pensa che un ruolo sinergico possa essere svolto dai composti fenolici.
Altre azioni protettive riguardano la funzione piastrinica nella formazione del coagulo ematico; l’alcool riduce la secrezione dei granuli piastrinici ed inibisce la formazione di trombossano A2. Interviene anche sulla fusione dei granuli piastrinici modificando la forma di questi corpuscoli; nelle assunzioni croniche di alcool la funzione piastrinica è ridotta e queste alterazioni persistono anche dopo la cessazione dell’assunzione alcolica. Per quanto riguarda l’azione dell’alcool sulla dissoluzione del trombo ricordiamo che la plasmina, cioè l’enzima responsabile della fibrinolisi, circola sotto forma di precursore non attivo (plasminogeno) finché non viene attivato dal t-PA (attivatore tissutale); questo t-PA è moderatamente elevato dopo un pasto con bevande alcoliche. Ma nel bilancio generale questo incremento di t-PA può aumentare il rischio di emorragie. Un’altra linea di protezione è costituita dall’effetto di abbassamento delle concentrazioni di trigliceridi a seguito di modiche quantità di alcolici (con consumi forti avviene il contrario).
Quali danni provoca l'alcol sul sistema cardiocircolatorio?
1. Cardiomiopatia. Si riduce l’output cardiaco, si ha una ipertrofia del cuore ed una dilatazione delle cavità con rischio di giungere allo scompenso cardiaco congestizio (CHF). Il processo in genere si stabilizza dopo l’astinenza ma può anche avere un carattere progressivo in coloro che smettono. La cardiomiopatia alcolica nel Mondo occidentale rappresenta dal 20 al 50% di tutte le cardiomiopatie (le restanti sono dovute all’azione di virus o di tossici). Le donne sono più colpite. L’alcool altera la permeabilità agli ioni di calcio del reticolo del sarcoplasma e, di conseguenza, riduce l’efficienza dell’effetto di contrazione della muscolatura cardiaca proprio del calcio. In aggiunta l’alcool riduce la sintesi del complesso delle proteine contrattili actina-miosina ed agisce negativamente sul potenziale energetico dei mitocondri, specie negli alcolisti ipertesi. Anche l’acetaldeide ed i radicali liberi contribuiscono all’alterazione delle proteine cardiache.
2. Aritmie cardiache. L’assottigliamento del tessuto connettivo cardiaco e le cicatrizzazioni presenti possono costituire altrettanti fonti di alterazioni del ritmo ventricolare; può anche abbassarsi la soglia per la fibrillazione
ventricolare. Va considerato anche il deficit di ossigeno, l’alterazione degli elettroliti e l’aumento delle catecolamine. Secondo ricerche finlandesi il 5,2% delle morti per aritmie ventricolari con decesso improvviso nel gruppo di età 15-49 anni sono da attribuirsi all’alcool. Nel caso della fibrillazione atriale possono concorrere altri fattori (età, ipertensione, valvulopatie) ma di per se stesso l’abuso di alcool provoca il ritmo rapido e caotico delle contrazioni atriali.
3. Ipertensione. Le donne sembrano meno colpite mentre l’astinenza dall’alcool ha effetti ipotensivi. Va ricordata l’interferenza fra consumi alcolici ed alcuni farmaci ipotensivanti come la clonidina ed il propanolo: accentuando l’eliminazione del propanolo e contrastando l’azione della clonidina l’alcool comporta una diminuzione dell’effetto ipotensivo di questi farmaci. Inoltre in chi beve molto è controindicato l’uso di ipotensivi diuretici in quanto di già l’alcool favorisce l’eliminazione urinaria del magnesio e, quindi, potrebbe provocare uno sbilancio elettrolitico. Fra le cause dell’ipertensione si citano: - l’aumento di attività del sistema nervoso simpatico (azione vasocostrittiva)
- l’incremento delle catecolamine (adrenalina e nor-adrenalina) che trasportano gli impulsi dai nervi ai muscoli con aumento dei valori pressori e, soprattutto, con il loro mantenimento a livelli elevati;
- la riduzione della sensibilità dei barorecettori situati sulle pareti arteriose, cioè del sistema di risposta automatica agli aumenti pressori;
- lo sbilanciamento nell’equilibrio fra magnesio e calcio con predominio degli ioni di calcio e quindi aumento pressorio per vasocostrizione.
4. Ictus cerebrale (stroke): i medesimi fattori positivi (protettivi) di modiche dosi di alcool che sono citati per l’infarto e le coronaropatie hanno valore anche per l’ictus. Al contrario un abuso di alcolici disgregando i trombi viene a favorire il distacco di emboli. Emboli sono anche prodotti dalla fibrillazione atriale.
5. Emorragia cerebrale: L’emorragia cerebrale è un fenomeno relativamente frequente negli alcolisti; molto meno quella subaracnoidea. L’emorragia
intracerebrale è inoltre più frequente negli ipertesi, mentre per l’emorragia subaracnoidea (ma anche per quella cerebrale) sono a rischio coloro che si ubriacano periodicamente (i binge drinker) probabilmente a causa di aumenti improvvisi nella pressione arteriosa. Proprio le proprietà anti-trombotiche dell’alcool favorirebbero la comparsa di emorragie. Costituisce oggetto di ricerca il ruolo dell’alcool attraverso l’aumento del coenzima A (HMG-CoA ovvero idrossi-metil-glutaril-coenzima A) una riduttasi che sopprime la proliferazione cellulare (oltre a ridurre il colesterolo). Tale soppressione può portare ad una decelerazione nel processo di formazione della placca arteriosa (analogamente a quanto fanno alcuni farmaci ipocolsterolomizzanti come la Lovastatina).
7. Obesità
L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, condizione che determina gravi danni alla salute. E’ causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L’obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile.
L’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari (ictus e infarto) e tumori.
L'obesità rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare in quanto, l'accumulo di materiale lipidico (grasso) e la proliferazione del tessuto connettivo, forma una cappa fibrosa al di sopra del nucleo lipidico; questo provoca la lesione caratteristica dell'aterosclerosi cioè l' ateroma o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento dell'intima (lo strato più interno delle arterie, che è rivestito dall'endotelio ed è in diretto contatto con il sangue) delle arterie, che riduce il calibro di queste impedendo al sangue di scorrere in modo lineare e fluido.
Si stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili all’obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all’obesità sono almeno 2,8 milioni/anno nel mondo.
L’indice di massa corporea IMC(body mass index BMI) è l’indice per definire le condizioni di sovrappeso-obesità più ampiamente utilizzato, anche se dà un’informazione incompleta (ad es. non dà informazioni sulla distribuzione del grasso nell’organismo e non distingue tra massa grassa e massa magra); l' BMI è il valore numerico che si ottiene dividendo il peso (espresso in Kg) per il quadrato dell’altezza (espressa in metri).
Le definizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sono: • sovrappeso = IMC da uguale o superiore a 25 fino a 29,99 • obesità = IMC uguale o superiore a 30.
Secondo dati dell’OMS, la prevalenza dell’obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 ad oggi; nel 2008 si contavano oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35% della popolazione mondiale); di questi oltre 200 milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne erano obesi (l’11% della popolazione mondiale). Nel frattempo, il problema ha ormai iniziato ad interessare anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso.
Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza Passi, in Italia il 32% degli adulti è sovrappeso, mentre l’11% è obeso. In totale, oltre quattro adulti su dieci (42%) sono cioè in eccesso ponderale in Italia.
Si può fare molto per prevenire sovrappeso e obesità. Ecco alcune indicazioni:
• limitare il consumo di grassi e zuccheri, molto abbondanti soprattutto nei cibi confezionati e nei soft drink
• aumentare il consumo di verdure, legumi, cereali integrali e, in generale cibi freschi, non processati
• seguire una dieta variata, riducendo le porzioni, nel caso in cui si voglia perdere peso
• limitare l’alcol, che oltre ad essere nocivo alla salute degli organi, è anche un’importante fonte di calorie, senza apportare nessun vantaggio nutrizionale • non ricorrere al cibo come genere di conforto, nel caso in cui ci si senta depressi o giù di corda
• dare ai bambini un buon esempio in materia di alimentazione; i figli di genitori obesi tendono a loro volta ad avere problemi di peso
• fare una regolare attività fisica: gli adulti dovrebbero fare almeno 30 minuti/giorno per 5 volte/settimana di attività fisica aerobica di intensità moderata (camminare a passo veloce, andare in bicicletta, nuotare, ballare); i bambini almeno 60 minuti/giorno; nel caso in cui si desideri perdere peso, il livello di attività fisica dovrà essere gradualmente incrementato.
1.5 DIAGNOSI
Dopo un episodio di ictus la diagnosi clinica e gli esami strumentali sono fondamentali per conoscere:
•Il tipo di ictus (ischemico o emorragico) •L'area del cervello colpita
•Le cause
Non è difficile riconoscere un ictus, in quanto i segni sono inconfondibili.
Tuttavia, approfondire la diagnosi raccogliendo informazioni sulle sue caratteristiche aiuta a pianificare la cura più appropriata e a prevenire possibili future ricadute.
Come si è già detto, l'ictus rappresenta un'emergenza medica e, come tale, va trattata tempestivamente anche a partire dalla diagnosi. Pertanto, servono rapidità e precisione.
ESAME OBIETTIVO
Si basa fondamentalmente sull' anamnesi.
Il medico interroga il paziente, qualora riesca a parlare, e i familiari (o coloro che erano con il paziente) in merito alle caratteristiche dei sintomi.
È, inoltre, essenziale sapere se l'individuo ha subìto un trauma alla testa, se ha una storia familiare di ictus,TIA o malattie di cuore, se è affetto da ipertensione cronica o da colesterolo alto, se fuma, se è affetto da diabete, se è obeso (valutazione dei fattori di rischio).
ESAMI DEL SANGUE
Esistono degli esami del sangue molto rapidi, che misurano le capacità di coagulazione sanguigna e la glicemia. La tendenza a formare coaguli e una glicemia alta forniscono informazioni importanti sul tipo di ictus e sulle cause di quest'ultimo. È possibile, inoltre, misurare alcune molecole legate a un processo infiammatorio, la cui eventuale presenza può significare un'infezione in corso.
ESAMI STRUMENTALI
La diagnostica strumentale è ampia, prevede uno svariato numero di esami e serve soprattutto a chiarire cause e modalità dell'ictus. Di seguito, si riporta una guida relativa agli esami svolti e alle loro caratteristiche.
Esame strumentale A cosa serve TAC (tomografia assiale
computerizzata) diretta e angio-TAC
Mostra, dettagliatamente, il cervello e permette di capire il tipo di ictus. Riconosce se ci sono altri disturbi cerebrali, come ad esempio un tumore. Se si fa uso di un liquido di contrasto (angio-TAC), si possono osservare il flusso sanguigno nei vasi arteriosi e venosi del collo e dell'encefalo.
Risonanza magnetica nucleare (RMN) e angio-RM
Fornisce un'immagine dettagliata del cervello e individua il tessuto danneggiato da un ictus ischemico ed emorragico. Anche in questo caso, è possibile visualizzare il flusso sanguigno nei vasi arteriosi e venosi, usando un liquido di contrasto (angio-RM).
Ecografia carotidea (ecodoppler carotideo)
Mostra, in modo preciso, l'interno delle arterie carotidee del collo. Se ci sono delle placche aterosclerotiche, queste vengono individuate.
Angiografia cerebrale Mediante un liquido di contrasto, opportunamente iniettato, si riesce a vedere (ai raggi X) com'è il flusso di sangue all'interno dei grossi vasi, che raggiungono il cervello.
Ecocardiogramma ed
ecocardiogramma transesofageo
Se l'ictus è di tipo ischemico embolico, permettono di individuare da che punto del cuore è partito l'embolo. L'ecocardiogramma transesofageo fa uso di un sonda ecografica, che viene inserita attraverso l' esofago e mostra il cuore ed eventuali coaguli.
1.6 CONSEGUENZE POST-ICTUS
Le conseguenze di un ictus, sia ischemico, sia emorragico, dipendono dalla parte del cervello che viene danneggiata: dopo un ictus una persona può avere problemi di movimento, per una paralisi degli arti di un lato del corpo (emiplegia o emiparesi), difficoltà di linguaggio (afasia) o di pensiero .
La riabilitazione può fare molto per il recupero funzionale causato da questi deficit, che tuttavia hanno un impatto significativo sulla qualità della vita. Come è noto, purtroppo, in molti casi l’ictus è mortale o lascia segni gravi per la salute, come la difficoltà nel parlare oppure una paresi. Il 40-90% delle persone che hanno avuto un ictus era ipertesa prima del verificarsi dell’evento acuto.
Alcuni, meno fortunati perché presentano delle complicanze o semplicemente perchè hanno lesioni più estese, non sopravvivono alle prime settimane.
Altri invece, una volta superata la fase acuta, procedono verso un progressivo miglioramento.
Tuttavia quello che accade nelle prime settimane in seguito all'ictus è la lesione irreversibile di alcuni gruppi cellulari dell'encefalo, la sofferenza ed il danneggiamento dei gruppi cellulari vicini alla lesione per effetto dell'edema perilesionale e l'inibizione dei gruppi cellulari che si trovano funzionalmente connessi alle zone di lesione.
Il miglioramento deriva dal riassorbimento dell'edema e dalla relativa riattivazione delle aree connesse alla zona di lesione rese "mute". L'evolversi di questo fenomeno (diaschisi) però è strettamente legato al tipo di esperienze e di riabilitazione al quale il soggetto
viene sottoposto.
Ovviamente le possibilità di recupero variano anche in relazione all’estensione e gravità della lesione e alla particolarità delle zone colpite. Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcuni sperimentano solo disturbi lievi, che con il tempo divengono quasi trascurabili, altri, invece, portano gravi segni della malattia per mesi o per anni.
Emiplegia: ovvero la paresi di una metà del corpo, accompagnata da disturbi della sensibilità e deficit cognitivi. L'emiplegia si può già distinguere in emiplegia destra ed
emiplegia sinistra che avranno a loro volta diverse caratteristiche distintive, come ad esempio il neglect ( disturbo della cognizione spaziale nel quale, a seguito di una lesione cerebrale, il paziente ha difficoltà ad esplorare lo spazio controlaterale alla lesione e non è consapevole degli stimoli presenti in quella porzione di spazio esterno o corporeo e dei relativi disordini funzionali) e l'anosognosia( incapacità del paziente di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico o neuropsicologico) per l'emiplegia sinistra ed Afasia e Aprassia per il paziente emiplegico destro.
Spasticità: Ovvero quel fenomeno di irrigidimento dei muscoli che determina spesso l'andatura falciante caratteristica del paziente emiplegico e la progressiva chiusura della mano e dell'arto superiore, tale fenomeno è da attribuirsi tanto alla lesione causata dall' ictus, quanto alla proposta di una scorretta riabilitazione che ha facilitato tale fenomeno.
1.7 TERAPIA
La scelta della terapia più appropriata dopo un episodio di ictus dipende, prima di tutto, dal tipo di ictus stesso (ischemico o emorragico) e, in secondo luogo, dall'area cerebrale coinvolta e dalla causa scatenante. Per capire l'importanza di tali raccomandazioni, si pensi che, nei casi di ictus ischemico, si somministrano farmaci anti-trombotici e anti-coagulanti (come l' aspirina), mentre, ai pazienti con ictus emorragico si danno farmaci coagulanti,
cioè dagli effetti opposti ai precedenti.
Come si è già detto, sono fondamentali la diagnosi precoce, la tempestività e la rapidità di intervento.
• ICTUS ISCHEMICO
Se l'ictus è di tipo ischemico, bisogna ristabilire il flusso di sangue all'interno dei vasi ostruiti che attraversano il cervello.
Il trattamento farmacologico si avvale della somministrazione di
farmaci anti-trombotici (o trombolitici) e gli anti-coagulanti. Essi servono a prevenire la formazione di trombi e a diluire il sangue.
• Aspirina.
È il principale farmaco anti-trombotico per il trattamento immediato dell'ictus ischemico. Avendo anche un potere preventivo, la sua somministrazione continua anche dopo l'emergenza.
•Attivatore tissutale del plasminogeno (TPA) ricombinante. Viene somministrato per endovena, in un braccio. Ha funzione trombolitica, ovvero dissolve i coaguli di sangue presenti all'interno dei vasi sanguigni.
•Altri anti-coagulanti.
Sono l' Eparina, il Clopidogrel, il Warfarin o il Dipiridamolo. Vengono usati raramente nelle emergenze, in cui il tempo a disposizione è poco, perché non hanno un'azione immediata. Diventano più utili a fine emergenza.
Il trattamento chirurgico è necessario se le condizioni del paziente lo richiedono. Il medico chirurgo può eseguire diverse procedure d'intervento, tutte utili a liberare i vasi sanguigni occlusi in modo parziale o totale da un coagulo o da una placca aterosclerotica.
•Somministrazione, direttamente in situ, del TPA
Il chirurgo inserisce un piccolo catetere in un vaso arterioso del paziente e lo conduce fino al cervello. Qui, il catetere rilascia TPA direttamente nel punto dove è avvenuta l'ostruzione da parte del coagulo di sangue. Ha un effetto più veloce, rispetto alla somministrazione endovena.
•Rimozione meccanica del coagulo di sangue
Il chirurgo utilizza un catetere provvisto di un particolare congegno per afferrare e rimuovere i coaguli di sangue.
•Endoarteriectomia carotidea
Viene messa in pratica, quando l'ostruzione al passaggio di sangue si trova a livello della carotide. Il chirurgo, tramite un'incisione a livello del collo, può intervenire sull' arteria carotidea, sostituendo la porzione occlusa dalla placca aterosclerotica con piccoli pezzi di tessuto artificiale. Concluso l'intervento, richiude l'incisione.
•Angioplastica e stent
La chirurgica tradizionale sulla carotide oggi viene affiancata dall'intervento di angioplastica (PTA- angioplastica transluminale percutanea) in cui un catetere inserito a livello dell'inguine viene portato fino all'arteria carotide, un palloncino gonfiabile dilata la stenosi e l'inserimento di uno 'Stent' assicura che la regione dilatata rimanga pervia. Da quando si utilizzano piccoli filtri contro eventuali embolie cerebrali, il tasso di complicanze della PTA sulla carotide sembra ridotto (mancano ancora dati certi sull'utilità effettiva dei filtri) e l'angioplastica, essendo un intervento non chirurgico e meno invasivo, trova sempre maggiore applicazione. Essendo la chirurgia ancora standard e più convalidata, la PTA oggi ancora è più idonea per stenosi di difficile accesso chirurgico o per pazienti con un elevato rischio di complicanze perioperatorie.
• ICTUS EMORRAGICO
Se l'ictus è di tipo emorragico, bisogna fermare e controllare la perdita di sangue in corso e ridurre la pressione, creata da quest'ultima.
Trattamento farmacologico d'urgenza: L'ictus emorragico richiede la somministrazione di farmaci ad azione coagulante, per fermare l'emorragia. Questi sono ancora più indispensabili se il paziente colpito da ictus prende (per altre ragioni) farmaci anti-coagulanti (Warfarin, anti-aggreganti piastrinici ecc). Dopo questo primo intervento terapeutico, il malato viene mantenuto sotto osservazione, come misura precauzionale e in attesa che l'ematoma si riassorba. Se l'emorragia è stata cospicua, può essere richiesta la rimozione del sangue fuoriuscito, in quanto esso esercita una pressione, assai pericolosa, a livello cerebrale.
Trattamento chirurgico: Si è detto che all'origine di un ictus emorragico può esserci un aneurisma o una malformazione artero-venosa congenita. Pertanto, dopo un episodio del genere, può essere richiesta la riparazione chirurgica dell'arteria malformata o colpita dall'aneurisma.
Gli interventi possibili sono:
•La craniotomia
Il chirurgo incide e rimuove una parte del cranio, in corrispondenza di dove è avvenuto l'ictus emorragico. Ha così libero accesso ai vasi arteriosi danneggiati dal disturbo e può ripararli. Deve assicurarsi, poi, che il coagulo di sangue in formazione non occluda i vasi.
•Clipping dell'aneurisma
Il chirurgo, dopo craniotomia, applica una sorta di morsetto (clip) alla base dell'aneurisma, per evitare che il sangue fluisca nuovamente al suo interno, con il rischio di romperlo ancora.
•La rimozione della malformazione artero-venosa Il chirurgo rimuove, quando è possibile, questa anomalia, per ridurre il rischio di un altro episodio di ictus.
2 - IL PERCORSO DI RIABILITAZIONE
2.1 PREMESSA
La riabilitazione, per un paziente colpito da ictus, è un passaggio fondamentale e obbligato. Senza di essa, infatti, il recupero di alcune facoltà (di tipo motorio, di linguaggio, di equilibrio ecc.) non sarebbe possibile. Il percorso riabilitativo restituisce forza e coordinazione al malato e gli consente di tornare, quasi sempre, a una vita indipendente.
Va iniziata prima possibile e dura in media sei mesi, di cui due-tre di riabilitazione intensiva in reparti specialistici.
Nella prima settimana l'obiettivo principale è prevenire le complicanze, specie quelle causate dalle difficoltà di deglutizione (come la broncopolmonite). In seguito il paziente inizierà un percorso personalizzato in un centro di medicina riabilitativa, con l'obiettivo di
raggiungere autonomia nella quotidianità.
Ovviamente, il recupero non è uguale per tutti: pazienti con ictus gravi meritano molte più attenzioni e non è detto che recuperino tutte le loro funzioni motorie o di linguaggio; viceversa, pazienti con ictus meno gravi hanno maggiori probabilità di riprendersi.
Fattori che rendono il recupero più lento e difficoltoso: • Area del cervello delicata e che controlla più funzioni • Gravità dell'ictus
• Notevole estensione del danno cerebrale • Età avanzata del paziente
• Stato di salute del paziente non ottimale
Di tutte le persone che subiscono un ictus cerebrale, da un quinto a un terzo muore immediatamente o nei 6 mesi successivi all’evento.
Circa un terzo resta permanentemente menomato e un altro terzo si ristabilisce completamente dall’ictus. Una menomazione permanente non dipende soltanto dalla
localizzazione e dall’entità del danno cerebrale: molto importante è anche una buona riabilitazione.
La riabilitazione dopo un ictus cerebrale inizia già all’ospedale. Tutto quanto si intraprende in questa sede mira ad una buona ripresa del paziente, che dopo l’evento acuto deve reinserirsi in famiglia e nella società e poter condurre una vita il più possibile attiva. Alla degenza in ospedale, se necessario, fa seguito la permanenza in una clinica di riabilitazione specializzata.
Affinché la riabilitazione possa avere successo occorrono soprattutto la volontà e la motivazione del paziente di collaborare e migliorare la sua situazione. Riabilitazione non significa in primo luogo lasciarsi assistere, bensì esser disposto a imparare cose nuove e ad acquisire una miglior sensazione del proprio corpo.
2.2 Obiettivi della Riabilitazione
• Ristabilire l’efficienza fisica e ricuperare la fiducia nel proprio corpo. • Gestire di nuovo la vita di tutti i giorni, con o senza l’aiuto di altre persone. • Convivere nel miglior modo possibile con eventuali menomazioni.
• Attuare i necessari adeguamenti dello stile di vita e mantenerli a lunga scadenza. • Evitare o ridurre le conseguenze psichiche e sociali negative dell’ictus.
Come si procede?
Nella struttura di riabilitazione si mette a punto un piano di terapia personalizzato, adeguato alle esigenze del paziente. In presenza di disturbi del linguaggio è consigliabile una terapia mirata (logopedia), in presenza di disturbi della deambulazione la fisioterapia e attività motoria. È difficile dire quanto durerà la permanenza, perché spesso dopo un ictus cerebrale non è possibile giudicare se una menomazione sia permanente e quanto grave sarà. La riabilitazione può durare alcune settimane, dei mesi o, in casi rari, anche più di un anno. Importante è che il paziente e i suoi congiunti abbiano pazienza e che gli esercizi siano svolti regolarmente.
Miglioramenti delle funzioni colpite sono sempre possibili.
Dopo un ictus cerebrale possono essere pregiudicate funzioni molto diverse dell’organismo. La riabilitazione ha lo scopo di migliorarle.
Conseguenze dell’ictus cerebrale Obiettivi e attività della riabilitazione
Paralisi, per esempio di metà del corpo o del viso
• Migliorare la mobilità
• Imparare dei movimenti con cui si possono compensare le paralisi
Conseguenze dell’ictus cerebrale Obiettivi e attività della riabilitazione
Difficoltà di deambulazione
• Migliorare la capacità di camminare
• Imparare a usare i deambulatori o la sedia a rotelle
Disturbi del linguaggio (afasia)
• Migliorare la capacità di parlare e di comprendere
• Imparare altre possibilità di comunicazione
Disturbi della deglutizione
• Trattare i disturbi della deglutizione affinché il paziente possa tornare a mangiare e bere
• Accertare i mezzi che permettono di migliorare il disturbo della deglutizione e l’assunzione dei cibi
Disturbi della sensibilità, per esempio della percezione della temperatura o del senso del tatto
• Migliorare la percezione
• Imparare a gestire i disturbi della sensibilità
Disturbi della vista, per esempio diplopia (veder doppio)
• Migliorare la percezione
• Imparare con l’esercizio a gestire i disturbi della vista
Disturbi della percezione, per esempio riconoscere dei visi
• Migliorare la percezione
• Imparare con l’esercizio a gestire situazioni della vita quotidiana
Conseguenze dell’ictus cerebrale Obiettivi e attività della riabilitazione
Aprassia (incapacità di compiere o effettuare correttamente dei movimenti, pur non essendoci paralisi)
• Reimparare passo a passo attività della vita di tutti i giorni
• Imparare a gestire i disturbi dovuti all’aprassia
Cambiamenti emozionali • Trattare le malattie psichiche • Consulenza psicologica
Disturbi della memoria • Esercizi per la memoria
2.3 Attività Fisica Adattata (A.F.A) in soggetti con esiti di ictus.
Nei soggetti con esiti di ictus è importante intervenire appena possibile nel recupero dei deficit motori, in modo tale da permettere al soggetto di recuperare la propria indipendenza ed autonomia.
Si procede dunque, dopo aver analizzato i deficit del soggetto,( valutazione della forza: arti superiori dx-sx, arti inferiori dx-sx; valutazione delle funzioni cognitive : Mini Mental Test Examination (MMSE); valutazione del rischio di cadute: Tinetti Scale) ad un recupero funzionale attraverso un programma specializzato e personalizzato costituito principalmente da:
− una rielaborazione sistematica degli schemi motori di base : striscio, andatura quadrupedica, rotolamento, sospensione, traslocazione;
− esercizio aerobico a bassa intensità; − recuperi ampi tra gli esercizi;
− sviluppo delle capacità condizionali: Forza resistente e capacità di resistenza;
− sviluppo delle capacità coordinative generali: capacità di adattamento e controllo motorio;
− sviluppo delle capacità coordinative speciali: capacità di equilibrio statico dinamico, organizzazione spazio- temporale, ritmizzazione ed esercizi per il controllo neuromuscolare (da decubito subito sollevare oggetti di forme e pesi diversi, posizionati in punti più o meno vicini all'asse corporeo, iniziare il movimento ed arrestarlo a comando.)
− esercizi di mobilità articolare adattata; − Ginnastica Respiratoria Intrinseca (GRI);
− applicazione protocollo approntato dall'USL (in allegato).
Queste attività possono avvenire in qualsiasi luogo: in palestra, in un centro di cura specializzato, in casa e possono essere eseguite dal soggetto con esito di ictus, attraverso l' ausilio di un operatore motorio specializzato.
La pratica costante di questi esercizi permette al soggetto di recuperare la propria autonomia ostacolando un processo di decadimento sia fisico che mentale conseguente all'evento cerebrovascolare.
Per agevolare e restringere i tempi di recupero, nel corso degli anni l’intensificarsi della ricerca scientifica in ambito neuroriabilitativo e il contemporaneo sviluppo della tecnologia hanno portato l’attuale realtà medico riabilitativa e fisioterapica a nuovi traguardi e aperto nuove possibilità di sviluppo.
Per questo è nata la “Divisione Neuroriabilitazione e Robotica”, che si occupa di strumentazioni dedicate a pazienti con malattie neurologiche, esiti di ictus, traumi cranici, Parkinson, post coma e lesioni midollari.