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EFFETTI ACUTI E CRONICI DI UN ANTIPASTO NON GLUCIDICO SULLA TOLLERANZA AL GLUCOSIO IN SOGGETTI CON DIABETE MELLITO DI TIPO 2

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UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

EFFETTI ACUTI E CRONICI DI UN ANTIPASTO NON GLUCIDICO SULLA TOLLERANZA AL GLUCOSIO IN SOGGETTI

CON DIABETE MELLITO DI TIPO 2

Relatore:

PROF. ANDREA NATALI

Candidata:

ANGELICA LUCCHESI

Anno accademico

(2)

Indice

RIASSUNTO ...4 PARTE 1- IL DIABETE...5 1.1 DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE...5 1.2 EZIOLOGIA...7 1.3 PATOGENESI...10

1.4 GESTIONE DEL DIABETE...13

PARTE 2-REGOLAZIONE GLICEMIA POSTPRANDIALE...16

2.1 TIPO DI ALIMENTO...18 2.2 SVUOTAMENTO GASTRICO...21 2.3 ASSORBIMENTO INTESTINALE...23 2.4 ORMONI PANCREATICI...24 2.4.1 Insulina...24 2.4.2 Glucagone...27 2.5 INCRETINE...29 2.6 FEGATO...31 2.7 TESSUTI PERIFERICI...33

PARTE 3- STUDIO SPERIMENTALE...35

3.1 RAZIONALE...35

3.2 METODO...41

3.2.1 Effetto acuto di un antipasto misto non glucidico sulla tolleranza al glucosio in soggetti diabetici...42

3.2.2 Effetto dell'inversione dell'abituale sequenza di alimenti (carboidrati-proteine/lipidi) sul controllo metabolico in pazienti con diabete mellito di tipo 2 ...45

(3)

3.3 RISULTATI...49

3.3.1 Effetti in acuto ...49

3.3.2 Effetti in cronico...56

3.4 DISCUSSIONE...61

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RIASSUNTO

Il diabete mellito di tipo 2 è una patologia estremamente diffusa e associata a un aumento di morbilità e di mortalità in tutto il mondo. Recenti studi hanno indicato l'importanza della riduzione della glicemia postprandiale per ottenere un miglior controllo della malattia e per ridurre il rischio di complicanze. Le proteine e i lipidi alimentari sono in grado di intervenire nel modulare numerosi meccanismi implicati nella regolazione della glicemia postprandiale. In particolare, sono stati fatti alcuni studi dove vengono fatte ingerire piccole quantità di alimenti prima di una curva da carico orale di glucosio o di un pasto a base di carboidrati e questi hanno dimostrato un miglioramento della escursione glicemica. In questi studi le proteine e i lipidi sono stati somministrati singolarmente e sotto forma di preparati liquidi. Lo scopo di questa tesi è verificare se questo fenomeno si osserva utilizzando precarichi fisiologici e se sommando i due tipi di nutrienti si ottiene un effetto di tipo sinergico. Abbiamo somministrato un piccolo antipasto misto non glucidico (proteico e lipidico) a 10 soggetti diabetici 30 minuti prima di effettuare una curva da carico orale di glucosio (OGTT) e abbiamo valutato l'escursione glicemica, la secrezione di insulina e i livelli di incretine. Per mimare l'effetto di un antipasto non glucidico in cronico evitando nel contempo un sovraccarico calorico e un conseguente incremento ponderale, abbiamo sottoposto 6 pazienti diabetici a una dieta con inversione della portate, in modo che gli alimenti contenenti proteine e lipidi venissero assunti prima degli alimenti a base di carboidrati. Abbiamo fatto seguire questa dieta per 2 mesi e abbiamo valutato il suo effetto sui parametri del controllo metabolico. L'utilizzo dei risultati ottenuti da questo studio permetterebbe di ottenere un miglior controllo glicemico con semplici raccomandazioni dietetiche.

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PARTE 1- IL DIABETE

1.1 DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

Il diabete mellito comprende un gruppo di disturbi metabolici a eziologia multipla caratterizzati da iperglicemia cronica con alterazioni del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine dovuti a un deficit di secrezione insulinica, di azione insulinica, o di entrambi. Secondo l'American Diabetes Association (ADA) si riconoscono 4 tipi di diabete:

•diabete mellito tipo 1 (dovuto a distruzione delle cellule β pancreatiche, porta generalmente a una completa insulino-deficienza)

•diabete mellito tipo 2 (dovuto a un progressivo difetto di secrezione di insulina, associato alla presenza di insulino-resistenza)

•diabete gestazionale (diagnosticato durante la gravidanza e associato a questa condizione) •un gruppo eterogeneo di forme secondarie (per esempio, a difetti genetici delle cellule β o dell'azione dell'insulina, a farmaci, a malattie del pancreas esocrino) (1)

Il diabete mellito tipo 2 è la forma più comune di diabete. (2) La diagnosi si effettua sulla base della glicemia plasmatica, misurata come glicemia a digiuno (FPG), come glicemia dopo 2 ore dall'assunzione di 75 g di glucosio per via orale (curva da carico orale di glucosio, OGTT) o sulla base del valore di HbA1c (emoglobina glicata). [Tab. 1]

Il diabete mellito tipo 2 ha uno sviluppo graduale ed è preceduto da una fase di alterazioni dell'omeostasi glucidica. Si parla di prediabete, per identificare un gruppo di individui i cui livelli glicemici non rientrano nei criteri per la diagnosi di diabete, ma sono troppo elevati per essere considerati normali. Questa entità comprende: alterata glicemia a digiuno (impaired fasting glucose, IFG) e alterata tolleranza glucidica (impaired glucose tollerance, IGT). [Tab. 2] Gli individui con pre-diabete sono considerati ad alto rischio per lo sviluppo di diabete. (3)

(6)

CRITERI DIAGNOSTICI PER DIABETE MELLITO •HbA1c ≥ 6.5% *

oppure

•FPG ≥ 126 mg/dl (7.0 mmol/l); digiuno da almeno 8 ore*

oppure

•Glicemia ≥ 200 mg/dl (11.1 mmol/l) dopo 2 ore da OGTT*

oppure

•Riscontro casuale di glicemia ≥ 200 mg/dl (11.1 mmol/l) in presenza dei classici sintomi di iperglicemia

*in assenza di chiari sintomi di iperglicemia, il test va ripetuto per conferma

Tabella 1. Criteri diagnostici per diabete mellito.

CATEGORIE AD ALTO RICHIO DI SVILUPPARE DIABETE (PREDIABETE) •FPG tra 100 mg/dl (5.6 mmol/l) e 125 (6.9 mmol/l): IFG

oppure

•glicemia dopo 2 ore da curva da carico orale di glucosio (75g) tra 140 mg/dl (7.8 mmol/l) e 199 mg/dl (11.0 mmol/l): IGT

oppure

•HbA1c tra 5.7% e 6.4%

(7)

1.2 EZIOLOGIA

Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia poligenica e multifattoriale, dovuta all'interazione di fattori genetici e fattori ambientali.

L'esistenza di una predisposizione genetica è suggerita dal fatto che, in caso di gemelli monozigoti, la concordanza della malattia si avvicina al 100%. (4) (5) Il rischio di sviluppare la malattia aumenta nei parenti di primo grado dei soggetti affetti. Una storia familiare positiva si associa a un rischio da due a quattro volte maggiore di sviluppare diabete. Il 15-25% dei soggetti con parenti di primo grado affetti da diabete di tipo sviluppano alterata tolleranza glucidica o diabete. Il rischio di sviluppare la malattia a 80 anni è risultata si essere del 38% se un parente ha diabete. (6) Se entrambi i genitori sono affetti, la prevalenza di diabete nella prole è stimata di essere del 60% a 60 anni. (7) Nella maggior parte dei diabetici la malattia non è dovuta a un singolo difetto genetico. Solo una piccola percentuale di questi individui ha cause monogenetiche di diabete. La malattia può considerarsi poligenica perché intervengono difetti a carico di più geni coinvolti nella produzione di insulina e nel metabolismo del glucosio. L'alterazione genetica può variare da un paziente e l'altro, e non è stato possibile, fino a oggi, individuare un'alterazione comune in tutti i pazienti. (8)

L'importanza dei fattori ambientali dello sviluppo del diabete è suggerita dalla rapida crescita di questa malattia negli ultimi decenni. In particolare, un ruolo predominante lo hanno l'obesità e l'inattività fisica.

L'obesità rappresenta un importante fattore di rischio per il diabete: l'80% dei pazienti con diabete mellito di tipo 2 è obeso. Il rischio di sviluppare diabete aumenta progressivamente all'aumento del body mass index (BMI). (9) (10) Il diabete si associa a un elevato peso corporeo e, in particolare, a un aumento del grasso viscerale. L'obesità centrale o viscerale, in cui il grasso si accumula nel tronco e nella cavità addominale, è associata a un rischio molto

(8)

più elevato di malattia rispetto all'accumulo di grasso nel tessuto sottocutaneo. (11) È correlato infatti a una diminuzione della sensibilità insulinica e della risposta periferica all'insulina maggiore rispetto all'obesità ginoide. (12) Il grasso viscerale risulta metabolicamente più attivo di quello sottocutaneo, viene considerato un organo endocrino a tutti gli effetti, capace di produrre diversi ormoni in grado di regolare il metabolismo di vari organi e diversi fattori di flogosi. (13) (14) Per valutare il grasso viscerale si può valutare la circonferenza della vita, oppure si può utilizzare il rapporto vita/fianchi. La circonferenza vita è un parametro più affidabile. Il diabete mellito di tipo 2 può essere prevenuto attraverso cambiamenti dello stile di vita in uomini e donne ad alto rischio di sviluppare la patologia. In particolare, la perdita anche modesta di peso è importante per la prevenzione del diabete. (15) Infatti le indicazioni per la prevenzione del diabete in soggetti ad alto rischio includono la perdita del 7% del peso corporeo. (16) La perdita di peso si associa a diminuzioni dell'insulino-resistenza e dell'iperinsulinemia. (17)

Anche la sedentarietà è associata a un aumentato rischio di sviluppare obesità e diabete. L'attività fisica riduce il rischio di sviluppare la malattia diabetica. Ai soggetti diabetici viene raccomandato infatti di svolgere almeno 150 minuti/settimana di attività fisica aerobica, per almeno 3 giorni a settimana. (16) L'attività fisica regolare ha dimostrato di migliorare il controllo glicemico, ridurre i fattori di rischio cardiovascolare e contribuire alla perdita di peso. Inoltre, l'attività fisica ha dimostrato di poter prevenire il diabete in soggetti ad alto rischio. (18) (19) (20) L'esercizio fisico, anche se non determina una perdita di peso significativa e a cambiamenti del BMI, si associa a una significativa diminuzione dell'emoglobina glicata, questo perché si associa a riduzione dell'insulino-resistenza epatica e muscolare e aumento dell'accumulo di glucosio, con meccanismi non necessariamente associati a cambiamenti del peso corporeo. Quindi l'esercizio fisico è benefico di per sé, anche

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se non si associa a perdita di peso. (21)

Altri fattori associati alla comparsa del diabete sono l'età (che si accompagna a un fisiologico calo della funzione β cellulare), una storia di diabete gestazionale, la sindrome metabolica, un'alimentazione scorretta.

Per l'importanza dei fattori ambientali nel suo sviluppo, il diabete mellito di tipo 2 è una patologia potenzialmente prevenibile con modifiche dello stile di vita.

(10)

1.3 PATOGENESI

I due difetti principali responsabili della malattia diabetica sono l'insulino-resistenza e il deficit di secrezione insulinica. (22)I soggetti diabetici possono presentare prevalentemente uno o l'altro difetto ma nella maggior parte dei casi queste condizioni coesistono. La malattia può avere ampie variazioni fenotipiche, con prevalenza di uno o dell'altra condizione.

L'insulino-resistenza è una condizione che si caratterizza per una maggiore necessità di insulina perché nei tessuti periferici (fegato, muscolo e adipe) questa determini gli stessi effetti. Nel fegato l'insulino-resistenza si manifesta con una iperproduzione di glucosio a digiuno nonostante la presenza di iperinsulinemia (23) e con una mancata soppressione della produzione endogena di glucosio in risposta all'insulina. (24) Nel muscolo l'insulino-resistenza si manifesta con una difettosa captazione di glucosio in seguito all'assunzione di carboidrati e determina iperglicemia postprandiale. (25) A livello del tessuto adiposo si manifesta con ridotto utilizzo di glucosio e in un aumento della lipolisi e degli acidi grassi (FFA) circolanti. L'insulino-resistenza ha una componente genetica, ma dipende molto anche da fattori ambientali, in particolare dall'obesità e dall'inattività fisica. (9) (26)

Il diabete non si può sviluppare in assenza di un difetto maggiore di secrezione insulinica. Nelle fasi iniziali della malattia, i livelli di glicemia sono mantenuti nella norma da un compensatorio aumento della secrezione insulinica. I pazienti con prediabete hanno livelli più alti di insulina, ma non si determina ipoglicemia per l'insulino-resistenza. Le cellule beta vanno incontro a un'ipertrofia compensatoria, che negli anni determina una progressiva riduzione della massa e della funzione beta cellulare. Fino a quando le cellule β sono capaci di aumentare la loro secrezione di insulina, la tolleranza glucidica rimane normale. (27) La maggior parte dei pazienti è iperinsulinemica nella fase iniziale del diabete, i livelli tuttavia calano successivamente nel corso della patologia. In soggetti insulino-resistenti che non sono

(11)

geneticamente predisposti al diabete, le cellule β riescono a compensare aumentando il rilascio di insulina per mantenere un'appropriata produzione e un appropriato utilizzo del glucosio. Nel soggetti geneticamente predisposti le cellule insulari falliscono nella compensazione si ha deterioramento dell'omeostasi glucidica e sviluppo della malattia. (28) L'evento più precoce che si verifica quando questo equilibrio viene meno è la perdita della fase iniziale di secrezione insulinica. Questa mancanza di una rapida risposta all'ingestione di nutrienti determina un'incompleta soppressione della produzione endogena di glucosio, con conseguente riduzione della tolleranza glucidica e conseguente iperglicemia postprandiale. Successivamente viene intaccata anche la fase tardiva di secrezione insulinica, così come la capacità secretoria massima della cellula β. quindi compaiono anche iperglicemia mattutina e iperglicemia notturna. (29) Negli stadi iniziali della malattia, questa riduzione della prima fase di secrezione insulinica è seguita da un successivo aumento di secrezione insulinica: la glicemia torna alla normalità ma passando attraverso l'iperglicemia e l'ìperinsulinemia. Con la progressione del deficit, viene intaccata anche la fase tardiva. Si manifestano così l'iperglicemia e il diabete.

L'iperglicemia e il cattivo controllo metabolico che ne consegue possono peggiorare ulteriormente la funzione β cellulare. Le cellule insulari sono infatti estremamente sensibili alla concentrazione ematica di glucosio. L’esposizione cronica a livelli elevati di glicemia ha effetti dannosi sulla sintesi e sulla secrezione di insulina, sulla sopravvivenza cellulare e sulla sensibilità insulinica attraverso diversi meccanismi (“glucotossicità”), che a sua volta determinano iperglicemia. Si instaura perciò un circolo vizioso che porta al continuo deterioramento della funzione β cellulare. La glucotossicità implica cambiamenti irreversibili dei componenti cellulari per la secrezione e produzione di insulina. (30) Il peggioramento del controllo glicemico determina un aumento degli acidi grassi non esterificati nel sangue,

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determinando un iperlipidemia, evento che peggiora ulteriormente la funzionalità delle cellule β. I livelli di lipidi nel sangue- già di per sé alti nei diabetici, tendono a diventare più alti man mano che l'iperglicemia peggiora. La lipotossicità, dovuta all'iperlipidemia, può avvenire solo in presenza di una preesistente iperglicemia, mentre la glucotossicità può avvenire anche in assenza di iperlipidemia. (31) Tutto questo determina una diminuzione della massa delle cellule β per un aumento dell'apoptosi. (32) (33)

Recentemente si ritiene che anche altre alterazioni siano importanti nello sviluppo del diabete: l'accelerata lipolisi nel tessuto adiposo, il deficit e la resistenza delle incretine, l'iperglucagonemia, l'aumento riassorbimento renale di glucosio. (34)

(13)

1.4 GESTIONE DEL DIABETE

La diffusione del diabete ha assunto caratteristiche simili a un'epidemia. Questa malattia colpisce attualmente 347 milioni di persone nel mondo. La sua aumentata incidenza è dovuta al rapido aumento del sovrappeso, dell'obesità e dell'inattività fisica. Il diabete è diventata una delle cause di malattia e di morte prematura in molti continenti e la WHO (World Health Organization) predice che nel 2030 diventerà la settima causa di morte. L'iperglicemia cronica del diabete è infatti associata a danni a lungo termine, disfunzioni e insufficienze di diversi organi, specialmente gli occhi, i reni, i nervi, il cuore e i vasi sanguigni. (2) (35)

Le complicanze del diabete si dividono in complicanze macrovascolari (malattia aterosclerotica) e complicanze microvascolari (rene, sistena nervoso, retina). I soggetti diabetici hanno un incremento della mortalità per un aumento delle malattie cardiovascolari. (36) (37)

Diversi studi hanno dimostrato che un trattamento intensivo del diabete può ridurre in modo significativo lo sviluppo e/o la progressione delle complicanze microvascolari. (38) (39) C'è una relazione continua e non lineare tra il livello di glicemia e il rischio di sviluppo e di progressione di queste complicanze: riduzioni proporzionali nell'HbA1c si accompagnano a riduzioni proporzionali nel rischio di queste complicanze. (40) Il trattamento aggressivo dell'iperglicemia può previene, anche se in misura minore, dalle complicanze cardiovascolari. (41) C'è quindi necessità di ottimizzare la gestione del soggetto diabetico per ridurre la morbilità e la mortalità ad esso correlate.

Il parametro più utilizzato per la valutazione a lungo termine del diabete è l'emoglobina glicata (HbA1c). Essa viene prodotta mediante una reazione non enzimatica in seguito all'esposizione dell'emoglobina normale al glucosio plasmatico e indica il valore medio delle glicemie nei tre mesi precedenti. (42) Tradizionalmente per migliorare il controllo glicemico

(14)

in pazienti con diabete ci si è largamente focalizzati sui valori glicemia a digiuno (FPG) per ridurre l'HbA1c, ma diversi studi hanno dimostrato l'importanza di prendere come bersaglio anche la glicemia postprandiale (PMG) per la stretta relazione tra questa e il rischio di complicanze nel diabete. (43) (44) (45) (46) Recentemente è stato riconosciuto che gli uomini si trovano prevalentemente nella fase postprandiale, piuttosto che nella fase di digiuno. (47) Non sorprende quindi che la glicemia postprandiale sia probabilmente il principale determinante della glicemia totale. La glicemia postprandiale aumenta prima e più velocemente della glicemia a digiuno nella storia naturale del diabete, perché dopo il pasto è richiesta più insulina rispetto a uno stato di digiuno per mantenere l'omeostasi glucidica. (29) È stato trovato che il 40% pazienti con diabete mellito di tipo 2 trattati con dieta e/o con agenti ipoglicemizzanti, che sono considerati avere un buon controllo glicemico secondo i criteri dell'ADA (HbA1c <7,0%), hanno iperglicemia postprandiale, mentre la loro glicemia a digiuno è inferiore a 120 mg/dl. (48) Questo insieme ad altri dati mostrano che i pazienti con diabete mellito di tipo 2 possono avere livelli elevati di HbA1c attribuibili principalmente all'iperglicemia postprandiale. (49) Alcuni studi indicano che la riduzione della glicemia postprandiale sia importante tanto quanto il controllo della glicemia a digiuno in pazienti con diabete. (50) Un controllo glicemico postprandiale simile a ciò che si vede nei soggetti normali si associa a una minore incidenza di mortalità cardiovascolare e totale rispetto a un'eccessiva iperglicemia postprandiale. Ci sono anche crescenti evidenze provenienti da studi epidemiologici che riduca anche il rischio di complicanze cardiovascolari. (51) Alcuni studi suggeriscono anzi una maggiore importanza della glicemia postprandiale rispetto alla glicemia a digiuno nello sviluppo di malattia aterosclerotica. (52) (53) Lo stress ossidativo indotto dall'iperglicemia è stato proposto come il meccanismo biologico per spiegare il collegamento tra la glicemia postprandiale e le complicanze cardiovascolari. La misurazione dello stress

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ossidativo e della disfunzione endoteliale sembra essere strettamente legata specialmente ai picchi glicemici e ancora di più sulle fluttuazioni alte e basse della concentrazione di glucosio e possa essere riportata normale prevenendo questi picchi o queste “selvagge” escursioni di glucosio. (54) L'iperglicemia postprandiale ha un effetto cumulativo con l'ipertrigliceridemia sulla funzione endoteliale, suggerendo che lo stress ossidativo sia un mediatore comune di questi effetti. (55) L’estensione delle escursioni glicemiche postprandiali probabilmente rappresenta un fattore di rischio indipendente per malattie macrovascolari anche in persone che non hanno il diabete. (56) Per cui, c’è un sostanziale interesse in strategie dietetiche e farmacologiche volte a controllare le escursioni glicemiche postprandiali, particolarmente in pazienti con diabete.

(16)

PARTE 2-REGOLAZIONE GLICEMIA

POSTPRANDIALE

Il glucosio è la principale risorsa energetica utilizzata dall'organismo. La normale concentrazione di glucosio nel sangue, in una persona che non abbia mangiato da almeno 3-4 ore, è approssimativamente 90 mg/dl (5 mmol/l); anche dopo un pasto contenente grandi quantità di carboidrati raramente supera i 140 mg/dl (7,8 mmol/l). (57) Il sistema glucidico è altamente omeostatico: i cambiamenti della concentrazione plasmatica di glucosio raramente eccedono 54 mg/dl (3 mmol/l) nelle persone normali. (58) La concentrazione ematica di glucosio dipende dalla quantità di glucosio che entra e della quantità di glucosio che viene rimosso dalla circolazione. I valori della glicemia normalmente oscillano entro valori ben precisi, finemente regolati da molti organi e apparati, nonostante le notevoli fluttuazioni della domanda (ad esempio, durante esercizio fisico intenso) e dell’offerta (ad esempio, dopo un abbondante pasto a base di carboidrati). (59) In ogni momento, la concentrazione del glucosio plasmatico rappresenta un bilancio tra l’entrata di glucosio dentro e l’uscita di glucosio dalla circolazione attraverso il metabolismo cellulare o l’escrezione; un eccessivo rilascio o una difettosa rimozione (o una combinazione delle due) risulta in un aumento dei livelli glicemici.

L’aumento della glicemia si ha con l’ingestione degli alimenti, durante la fase postprandiale, e nel periodo di digiuno con la sua produzione attraverso la glicogenolisi e la gluconeogenesi. (60) La riduzione della glicemia si ha con l'entrata del glucosio nelle cellule (per il suo consumo o per il suo immagazzinamento) sotto l'azione dell'insulina, e in casi particolari con la sua eliminazione dal rene (glicosuria, quando la quota filtrata supera la capacità di riassorbimento renale). L'eliminazione renale però in situazioni fisiologiche non interviene. (61)

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ingerito, lo svuotamento gastrico, l'assorbimento intestinale, la secrezione di ormoni dal pancreas, la secrezione di incretine, il fegato e gli altri tessuti periferici (tessuto adiposo, tessuto muscolare e rene). I fattori che contribuiscono a un’eccessiva escursione glicemica postprandiale nei pazienti con diabete mellito tipo 2 sono: l'insulino-resistenza periferica (muscolo e tessuto adiposo), la sostenuta produzione di glucosio endogeno postprandiale, la soppressione inadeguata della concentrazione plasmatica di glucagone postprandiale, la persistenza di elevati livelli postprandiali di acidi grassi liberi, l'accelerato svuotamento gastrico. (62)

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2.1 TIPO DI ALIMENTO

La glicemia postprandiale dipende dalla quantità e dalle caratteristiche degli alimenti ingeriti.

Per quanto riguarda i cibi glucidici è importante valutare il carico glicemico, un parametro che stima quanto un determinato alimento alzi la glicemia di una persona dopo aver mangiato. Questo dipende dalla quantità dei carboidrati ingeriti e dall'indice glicemico degli alimenti. Diete con un elevato carico glicemico si associano a un aumentato rischio di sviluppare diabete. (63) (64) Un eccessiva introduzione di carboidrati determina infatti un aumento dei picchi glicemici e lo sviluppo di obesità. I vari carboidrati inoltre differiscono notevolmente nel loro effetto sulla glicemia e sulla risposta ormonale dopo un pasto, in base al loro indice glicemico. L'indice glicemico è una misura della capacità di un determinato alimento glucidico di aumentare la glicemia dopo il pasto rispetto a uno standard di riferimento. Viene misurato valutando per due ore l'area sotto la curva della glicemia indotta dall'assunzione di 50 g di un determinato alimento. Questo parametro viene espresso in percentuale, rapportato all'area sotto la curva della glicemia di due ore prodotta da un alimento di riferimento, cioè glucosio o pane bianco. L'indice glicemico consente di valutare la velocità di digestione e di assorbimento dei cibi contenenti carboidrati e il loro effetto sulla glicemia. (65) Il carico glicemico può essere ridotto o riducendo la quantità di carboidrati assunti, o riducendo l'indice glicemico. La riduzione della quantità dei carboidrati assunti determina una riduzione della glicemia e dell'insulina, ma ha diversi effetti sugli acidi grassi. Rimpiazzare i carboidrati con una quantità isoenergetica di FFA monoinsaturi aumenta la concentrazione postprandiale di acidi grassi, sia in soggetti in salute che in diabetici. Per ridurre gli FFA bisogna ridurre l'indice glicemico degli alimenti senza variare la quantità dei carboidrati. La riduzione a lungo termine dai carboidrati dietetici aumenta gli acidi grassi postprandiali in >30% dei diabetici.

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Una elevata concentrazione di FFA plasmatici si associa a un aumentato rischio di sviluppare diabete, inoltre levati FFA si associano a dislipidemia, ipertensione e aumentato rischio di patologie cardiovascolari. Per ridurre il carico glicemico è meglio perciò ridurre l'indice glicemico degli alimenti ingeriti. (66) Ci sono evidenze in soggetti diabetici che rimpiazzare i carboidrati ad alto indice glicemico con carboidrati a basso indice glicemico migliori il controllo glicemico. (67) (68)

Anche le proteine e i lipidi sono in grado di modificare la glicemia postprandiale. L'ingestione di lipidi e proteine in soggetti sani stimola la secrezione di insulina, glucagone, GLP-1 e di GIP, indipendentemente da variazioni della glicemia. (69) I lipidi sono capaci di indurre sazietà e di sopprimere l'assunzione di alimenti. I lipidi sono capaci di rallentare lo svuotamento gastrico e di attenuare l'aumento plasmatico di insulina e di glucosio, sia se somministrati insieme a una bibita contenente carboidrati, (70) sia se ingeriti con un pasto solido, (71) sia se introdotti a livello duodenale. (72) I grassi stimolano il GLP-1 (73) e il GIP . (74) Il rallentamento dello svuotamento gastrico e la stimolazione del GLP-1 e del GIP dipendono dalla lipolisi dei trigliceridi in acidi grassi. In pazienti con diabete mellito di tipo 2 non complicato, l'ingestione di una piccola quantità di olio d'oliva come precarico 30 minuti prima di un pasto a base di carboidrati rallenta marcatamente lo svuotamento gastrico, ritarda l'aumento della glicemia postprandiale, dell'insulina e del GIP, e stimola la secrezione di GLP-1. Se la stessa quantità di olio d'oliva è incluso nel pasto a base di carboidrati, ha solo un modesto effetto sullo svuotamento gastrico e sulla stimolazione di insulina e di incretine. (75) Le proteine sopprimono l'assunzione di cibo più dei grassi e dei carboidrati, danno un maggior contributo nella sazietà e nel ritardare il ritorno della sensazione di fame rispetto ai grassi e ai carboidrati. Sono dei forti determinanti della sazietà a breve termine e della quantità di cibo ingerito. (76) Le varie proteine alimentari stimolano il rilascio dell'insulina.

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(77) (78) La stimolazione di insulina e di glucagone può anche essere fatta da singoli amminoacidi. (79) Le proteine del siero del latte, se ingerite insieme ai carboidrati, stimolano la secrezione di insulina e riducono la glicemia postprandiale sia in soggetti in salute che in pazienti diabetici. Questo effetto insulinogeno sembra essere mediato da un aumento di specifici amminoacidi nel plasma dopo l'ingestione di siero. Il rilascio del GIP sembra contribuire a questo effetto. (80) (81) Questo effetto insulinogeno può essere mimato dall'ingestione di una miscela di questi amminoacidi, ma manca la risposta del GIP. (82) In soggetti con diabete mellito di tipo 2 le proteine del latte, quando somministrate prima o insieme a un pasto ad alto contenuto di carboidrati, determinano una riduzione della glicemia postprandiale. Le proteine rallentano lo svuotamento gastrico, soprattutto se sono somministrate prima del pasto, e stimolano GLP-1 e CCK. Le proteine aumentano marcatamente la secrezione di insulina, possibilmente per un effetto combinato delle incretine e della diretta stimolazione delle β cellule da parte degli amminoacidi. Il loro effetto nello stimolare la secrezione di insulina è molto maggiore rispetto ai grassi. (83)

(21)

2.2 SVUOTAMENTO GASTRICO

Lo stomaco è uno dei fattori più importanti nella regolazione della glicemia postprandiale: la sua velocità di svuotamento è infatti il principale determinante del trasporto dei nutrienti al piccolo intestino. Infatti, variazioni nella velocità di svuotamento gastrico determinano circa il 35% di variazioni nel picco glicemico dopo assunzione di carico orale di glucosio in soggetti sani e in soggetti con diabete mellito 2. (84) Anche minime variazioni della quantità iniziale di carboidrati trasportati al piccolo intestino hanno notevoli effetti sulla glicemia postprandiale. (85) Quando i nutrienti entrano nel piccolo intestino, attivano meccanismi a feedback attraverso vie sia nervose che umorali per regolare la quantità di svuotamento gastrico basandosi sulla composizione fisica e chimica del chimo. L'estensione del feedback è correlato anche alla lunghezza e possibilmente anche alla regione del piccolo intestino esposto ai nutrienti. (86) Tra i macronutrienti, i grassi generano il feedback più potente, principalmente per la loro elevata densità calorica e possibilmente anche perché la loro quota di assorbimento è relativamente più lenta. (87) Il principale ormone implicato nel controllo della motilità gastrica è il GLP-1, che sopprime la motilità antrale e duodenale e stimola la contrazione del piloro, rallentando in questo modo lo svuotamento gastrico. (88)

La velocità di svuotamento gastrico varia anche in rapporto a variazioni acute della glicemia plasmatica. L'iperglicemia è associata a un rallentamento dello svuotamento gastrico, questo è un meccanismo naturale per impedire una iperglicemia eccessiva. Lo svuotamento gastrico è invece più veloce in presenza di ipoglicemia. (89) (90) Variazioni della motilità gastrica in seguito a variazioni della glicemia sembrano essere dovuti a meccanismi neuronali. Il parasimpatico accelera lo svuotamento gastrico ed è inibito dall'ipoglicemia acuta. L'accelerazione farmacologica dello svuotamento gastrico determina un più alto picco di glucosio postprandiale, mentre ritardare lo svuotamento gastrico determina un più basso picco

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di glucosio postprandiale dopo un pasto fisiologico in pazienti con diabete mellito tipo 2. La modifica dello svuotamento gastrico potrebbe essere d'aiuto per ottenere un controllo glicemico in diabete. (91)

Lo svuotamento gastrico è ritardato in 30-50% dei pazienti con diabete mellito di lunga durata. (92) (93) Nei soggetti con diabete recente la questione è un po' controversa, ma è stato suggerito che lo svuotamento gastrico sia talvolta accelerato. (94)

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2.3 ASSORBIMENTO INTESTINALE

Dopo l'entrata dei nutrienti nel piccolo intestino, i fattori che determinano la presenza del glucosio nel circolo portale includono la rottura dei carboidrati complessi fino al glucosio, l'assorbimento mucoso del glucosio, il pattern motorio del piccolo intestino, e il flusso ematico splacnico. Ci sono relativamente poche informazioni circa l'impatto della motilità e della funzione assorbitiva del piccolo intestino sul controllo glicemico. (89) L'assorbimento del glucosio attraverso il piccolo intestino avviene prevalentemente nel tratto prossimale, attraverso il co-trasportatore sodio-glucosio (SGLT-1) sulla membrana luminare e GLUT2 sulla membrana basolaterale. (95)

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2.4 ORMONI PANCREATICI

Il pancreas endocrino contiene da 1 a 2 milioni di isole di Langerhans, che sono costituite da tre principali tipi di cellule: alfa (α), beta (β) e delta (δ). Le cellule β, che costituiscono circa il 60% di tutte le cellule delle isole, secernono insulina. Le cellule α, circa il 25% del totale, secernono glucagone. Le cellule δ, 10 % circa del totale, che secernono somatostatina. C'è inoltre un altro tipo cellulare, la cellula PP, che produce il polipeptide pancreatico. (57)

2.4.1 Insulina

L’insulina è una piccola proteina, composta da due amminoacidi legati da un ponte disolfuro. Nei soggetti sani a digiuno, la concentrazione plasmatica di insulina è 10 µU/ml, ovvero circa 25 ng/min/kg di peso corporeo, e sale dopo i pasti raggiungendo valori compresi fra 50 e 100 µU/ml. L'insulina secreta nel sangue circola quasi interamente in forma non legata e ha un'emivita di circa soli 6 minuti, per cui la maggior parte viene rimossa dalla circolazione in 10-15 minuti. La quota non legata ai recettori viene degradata dalle insulinasi, principalmente nel fegato, in minor misura nel rene e in altri tessuti. Circa metà dell'insulina viene degradata nel fegato prima di raggiungere la circolazione sistemica. (57) L'insulina è il cosiddetto “ormone dell'abbondanza”: viene secreto in presenza di un eccesso di energia nell'organismo (dovuta all'assunzione di cibo con la dieta) e determina un immagazzinamento di questo eccesso energetico. L'insulina è il principale ormone anabolico ed è l'unico capace di abbassare la glicemia. Promuove la captazione e l'utilizzo di glucosio da parte del muscolo e del tessuto adiposo, aumentando l'accumulo di glicogeno nel fegato e nel muscolo, e riducendo la liberazione di glucosio dal fegato. Promuove inoltre la sintesi proteica a partire dagli amminoacidi e inibisce la degradazione delle proteine nei tessuti periferici. Promuove inoltre la sintesi di trigliceridi nel fegato e nel tessuto adiposo e inibisce la lipolisi delle scorte

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adipose di trigliceridi. Ha un effetto anche sulla sazietà. La perdita parziale o completa dell'azione insulinica determina una grave iperglicemia, dislipidemia e diabete mellito. (96) Il principale stimolo alla secrezione di insulina è il glucosio. Quando la concentrazione di glucosio aumenta oltre 100 mg/dl nel sangue, la quantità di insulina secreta aumenta rapidamente, raggiungendo un picco da 10 a 25 volte i livelli basali quando il glucosio raggiunge 400-600 mg/dl. La secrezione di insulina è estremamente rapida, così come rapida è la sua caduta, che si verifica dopo 3-5 minuti il ritorno della glicemia a livelli basali di digiuno. (57) La secrezione di insulina dopo assunzione di glucosio orale si può dividere in tre fasi:

• fase cefalica: il primo stimolo che raggiunge le cellule β è l'acetilcolina attraverso le sinapsi colinergiche; questo stimolo provoca solo un piccolo e transitorio effetto sulla secrezione di insulina sufficiente a produrre una breve caduta della glicemia plasmatica

• fase enterica precoce: la colecistochinina (CCK) rilasciata dalle sinapsi enteriche grazie al contatto dei nutrienti con la parete dell'intestino, agisce sulle cellule β dove induce una seconda, breve e transitoria, secrezione insulinica

• fase enterica tardiva: la acetilcolina e la CCK hanno sensibilizzato la cellule β a rispondere a una combinazione di fattori nutritivi (in modo particolare, a piccoli aumenti della glicemia plasmatica) e a ormoni intestinali, come CCK, GIP e GLP-1; questo determina un aumento marcato della secrezione di insulina (97)

Se viene infuso continuamente glucosio l'insulina ha una secrezione bifasica: una prima fase, rapida e transitoria, e una seconda fase, più tardiva e duratura. La prima fase è dovuta al rilascio di insulina preformata contenuta in granuli molto sensibili al glucosio, la seconda al rilascio di insulina di nuova sintesi e di quella contenuta in granuli a minor sensibilità. (98) La

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perdita della prima fase di secrezione di insulina è una caratteristica precoce del diabete mellito tipo 2. (99) Il ripristino della prima fase di secrezione insulinica ha dimostrato di migliorare la glicemia nel diabete di tipo 2 attraverso la soppressione della produzione epatica di glucosio e rendendo i tessuti sensibili all'insulina più pronti a captare glucosio. (100)

La secrezione di insulina è modificata anche da altri nutrienti, ormoni circolanti e dal sistema nervoso autonomo, così come da segnali paracrini e autocrini. Tra gli altri fattori che stimolano la secrezione di insulina ci sono diversi amminoacidi, anche gli acidi grassi a catena lunga, anche se meno di glucosio e di amminoacidi. Un ruolo molto importante lo hanno gli ormoni gastrointesinali (tra cui le incretine). Anche la somatostatina la inibisce. (57)

Le isole pancreatiche sono riccamente innervate sistema nervoso autonomo. La stimolazione parasimpatica, attraverso il nervo vago, determina la secrezione di insulina; la stimolazione simpatica la inibisce. L'inibizione adrenergica ha il compito di proteggere dall'ipoglicemia, soprattutto durante l'esercizio fisico. I nervi autonomici delle isole sembrano essere di fisiologica importanza nel mediare la fase cefalica di secrezione insulinica e ottimizzando la secrezione ormonale durante stress metabolici (ipoglicemia e neuroglicopenia). (101) (102)

Gli stessi mediatori che nel breve stimolano la secrezione di insulina agiscono sopprimendo la sua secrezione quando sono continuamente presenti per un lungo periodo. Ciò si osserva quando le isole o il pancreas isolato sono perfuse continuamente con elevata quantità di glucosio, ad esempio. (97)

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2.4.2 Glucagone

Il glucagone è un ormone peptidico formato a partire dal proglucagone, nelle cellule α pancreatiche. È il principale ormone controregolatorio dell'insulina e ha un ruolo critico nel mantenimento dell'omeostasi glucidica. (103) La secrezione di glucagone è soppressa nell'iperglicemia ed è stimolata durante l'ipoglicemia, promuovendo la produzione epatica di glucosio e quindi facendo aumentare i livello di glucosio circolante. Promuove la glicogenolisi e la gluconeogenesi e simultaneamente inibisce glicolisi e glicogenolisi. Il glucagone protegge il corpo dall'ipoglicemia mantenendo un adeguato livello di glucosio circolante; soprattutto è importante durante la fase di digiuno. (104) Normalmente una riduzione della glicemia determina una riduzione della secrezione β cellulare di insulina che segnala un aumento della secrezione α cellulare di glucagone. Al contrario, un aumento della glicemia, attraverso altri stimoli, causa un aumento della secrezione β cellulare di insulina che segnala un riduzione, o al minimo nessun cambiamento, della secrezione α cellulare di glucagone dopo un pasto. Il controllo della secrezione di glucagone è multifattoriale e coinvolge un effetto diretto dei nutrienti sulle cellule α così come la regolazione paracrina dall'insulina e dallo zinco e da altri fattori secreti dalle vicine cellule β e δ nelle isole di Langerhans. La secrezione di glucagone è anche regolata dagli ormoni circolanti e dal sistema nervoso autonomo. (105) In aggiunta allo stimolo dato dagli amminoacidi nei nutrienti, il glucagone è secreto anche in risposta agli eventi stressanti, come l'ipoglicemia e l'ipovolemia. Con una stimolazione più prolungata, l'azione del glucagone sul fegato è l'attivazione glucosio-risparmiante dell'ossidazione degli acidi grassi e la produzione di chetoni. A differenza di soggetti in salute, i pazienti e gli animali diabetici hanno una secrezione anormale non solo dell'insulina, ma anche del glucagone. Questa iperglucagonemia e l'alterato rapporto insulina/glucagone gioca un ruolo importante nell'iniziare e mantenere un patologico

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stato iperglicemico. Non a sorpresa, il glucagone e i recettori del glucagone sono stati estesamente cercati negli anni recenti come potenziali target per il trattamento terapeutico del diabete. (103) (106)

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2.5 INCRETINE

Il GLP-1 (glucagon-like peptide-1) e il GIP (Glucose-dependent insulinotropic polypeptide o Gastric Inhibitory Peptide) sono incretine, ormoni peptidici prodotti a livello intestinale. Il GLP-1 è un peptide di 30 amminoacidi prodotta dalle cellule L enteroendocrine nel tratto distale del piccolo intestino. Il GIP è un peptide di 43 amminoacidi rilasciato dalle cellule K, nella regione prossimale del piccolo intestino. Vengono degradate rapidamente dall'enzima dipeptidil dipeptidasi 4 (DPP-4) e hanno un'emivita di 1-2 minuti (GLP-1) e di 5-7 minuti (GIP). (107) (108)

Questi ormoni mostrano azioni comuni sulle cellule β pancreatiche, agendo attraverso recettori strutturalmente distinti ma affini. Vengono rilasciate nella circolazione in risposta all'ingestione di alimenti e stimolano la secrezione di insulina dalle cellule pancreatiche. Sono responsabili del cosiddetto “effetto incretinico”, ovvero la maggiore secrezione di insulina indotta dal glucosio assunto per via orale rispetto alla sua somministrazione endovenosa. (109) (110) L'effetto incretinico è responsabile di circa il 50-70% dell'aumento dell'insulina plasmatica dopo glucosio assunto per via orale. Il grado di stimolazione incretinica dipende dalla quantità di glucosio ingetito. (111) In aggiunta al loro effetto insulinotropico, GLP-1 e GIP hanno dimostrato di preservare la massa delle cellule β attraverso l'inibizione dell'apoptosi di queste cellule e favorendo la loro proliferazione. (112) (113) Il GLP-1 è capace anche di inibire la secrezione del glucagone, contribuendo così a limitare le escursioni glicemiche postprandiali. (88) Inibisce anche la motilità e la secrezione gasto-intestinale (114) e sembra anche essere coinvolto nella regolazione dell'appetito e dell'apporto di cibo. (115)

La prima e la seconda fase di secrezione insulinica migliorano con l'infusione continua di GLP-1.

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per il trattamento del diabete tipo 2, e infatti la terapie basate sulle incretine si sono disseminate rapidamente in tutto il mondo. (116) Nei soggetti diabetici l'effetto incretinico è perso o gravemente danneggiato, e si presume che questo possa contribuire all'incapacità di questi pazienti di aggiustare la loro secrezione insulinica in base ai loro bisogni. (117) In particolare, in vati studi, è stato trovato che la secrezione di GIP è generalmente normale, mentre la secrezione di 1 è ridotta. (118) Dall'altro lato, l'effetto insulinotropico di GLP-1 è conservato, mentre l'effetto del GIP è severamente ridotto, principalmente per la completa perdita del normale potenziamento GIP-indotto della seconda fase di secrezione di insulina. (119) (120) L’effetto cronico delle incretine sembra favorire il mantenimento della massa delle cellule insulari, attraverso la stimolazione della rigenerazione, proliferazione e la neo-genesi, mentre aumenta la resistenza all’apoptosi, come indicato da studi su animali in vitro. (121)

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2.6 FEGATO

Il fegato gioca un ruolo chiave nel mantenimento dell'omeostasi glucidica, attraverso un bilancio tra l'accumulo e l'immagazzinamento di glucosio attraverso la captazione di glucosio e la glicogenosintesi e il rilascio di glucosio attraverso la glicogenolisi e la gluconeogenesi. (122) Ci sono evidente in vitro che indicano che il fegato risponde direttamente a cambiamenti della concentrazione di glucosio circolante con reciproci cambiamenti nella produzione di glucosio. Questa autoregolazione giocherebbe un ruolo nel mantenimenti della normoglicemia. (123)

Durante la fase di digiuno, il fegato è il principale organo deputato alla produzione di glucosio, con un piccolo contributo da parte del rene. Il 90% del glucosio prodotto nella fase di digiuno è di origine epatica, il rene contribuisce solo con una piccola quota. Durante le prime 8-12 ore di digiuno, il rilascio di glucosio avviene principalmente tramite la glicogenolisi; per periodi più prolungati, il glucosio è rilasciato dal fegato attraverso la gluconeogenesi.

Nel periodo postprandiale, il fegato minimizza l’elevazione della glicemia sia aumentando la captazione di glucosio che sopprimendo la produzione endogena di glucosio. (60) Il glucosio che non viene captato dal fegato contribuisce all'aumento della glicemia postprandiale nella circolazione periferica. Circa il 90% del glucosio ingerito raggiunge la circolazione sistemica. La soppressione postprandiale della produzione endogena di glucosio può prevenire l’entrata di ulteriori 25-35 g di glucosio nella circolazione sistemica. (124) La produzione endogena di glucosio, nell'immediato periodo postprandiale, viene inibita dall'azione diretta dell'insulina, portata attraverso la vena porta fino al fegato, e dall'effetto paracrino della diretta comunicazione nel pancreas tra le cellule α e β, che determina la soppressione del glucagone. (125) Nel prediabete la produzione endogena di glucosio viene

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soppressa solo grazie a un notevole aumento di insulina. La produzione endogena di glucosio è inappropriatamente aumentata in pazienti con diabete mellito tipo 2, sia prima che dopo ingestione di cibo. (23) (24) Questa eccessiva produzione endogena di glucosio nella fase di digiuno è dovuta sia a un incremento della gluconeogenesi sia a una mancata soppressione della glicogenolisi. (126) L'eccessiva produzione postprandiale di glucosio è dovuta a una diminuita e a una ritardata secrezione insulinica e a una mancata soppressione del rilascio del glucagone. (127) L'eccessivo rilascio epatico di glucosio è il meccanismo principale che determina l'iperglicemia postprandiale in pazienti con diabete. (128)

Dopo una notte di digiuno, il fegato dei soggetti non diabetici produce glucosio al ritmo di cerca 2 mg/kg al minuto. In soggetti diabetici, la quantità della produzione endogena di glucosio è aumentata, raggiungendo circa 2.5 mg/kg al minuto. In una persona di 89 kg, questo determina l'entrata di 25-30 kg di glucosio extra ogni notte. In soggetti diabetici, la quantità di FPG aumenta, così come il valore di glicemia a digiuno. Questa iperproduzione avviene in presenza di livelli di insulina a digiuno che sono aumentati di 2.5-3 volte, indicando un elevata resistenza alla sua azione soppressiva di EGP. L'aumento di FPG a digiuno è dovuta a un aumento della gluconeogenesi epatica. (129) (130)

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2.7 TESSUTI PERIFERICI

Anche i vari tessuti periferici intervengono nella regolazione della glicemia postprandiale. Il tessuto adiposo nella fase postprandiale aumenta la captazione e la sintesi degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo, che vengono depositati sotto forma di trigliceridi. L'insulina promuove la sintesi di grasso particolarmente quando sono ingeriti più carboidrati di quelli che possono essere utilizzati per ottenere energia immediata. Nel diabete, a causa della resistenza all'insulina, c'è una ridotta captazione di glucosio e un aumento della lipolisi e degli acidi grassi circolanti.

Il muscolo scheletrico durante la fase postprandiale fa entrare glucosio e permette il suo immagazzinamento come glicogeno, grazie all'azione dell'insulina. (57) L'insulina stimola la traslocazione del GLUT-4 sulla membrana cellulare e promuove l'accumulo di glucosio nel muscolo stimolando la sintesi di glicogeno, promuove la sintesi proteica e inibisce la proteolisi. Nel diabete c'è riduzione della capacità dell'insulina di mediare la captazione di glucosio attraverso GLUT-4. (96) Il muscolo scheletrico è il tessuto principale per la captazione insulino-dipendente di glucosio in vivo. Nei pazienti diabetici, la ridotta attività fisica e l’eccesso di nutrienti determinano un’insulino-resistenza nel muscolo scheletrico, una diminuzione della captazione muscolare di glucosio e quindi iperglicemia. (34) Nel muscolo l'insulino-resistenza si manifesta con una difettosa captazione di glucosio in seguito all'assunzione di carboidrati e determina iperglicemia postprandiale. (25)

I reni sono coinvolti nella regolazione dell'omeostasi glucidica attraverso tre diversi meccanismi: il rilascio di glucosio nella circolazione attraverso la gluconeogenesi, la filtrazione di glucosio e il suo riassorbimento dal filtrato glomerulare. Ogni giorno fino a 160 g di glucosio vengono filtrati dal glomerulo renale e successivamente riassorbiti nel tubulo contorto prossimale. Questo riassorbimento è effettuato da due proteine co-trasportatrici del

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glucosio sodio-dipendenti (SGLT). SGLT2, situato nei segmenti S1 e S2, è un trasportatore a bassa affinità e a alta capacità che riassorbe fino al 90% del glucosio filtrato. SGLT1, situato nel segmento S3, è un trasportatore a alta affinità e a bassa capacità che riassorbe il rimanente 10%. Una volta che il glucosio è stato riassorbito dalle cellule epiteliali tubulari, diffonde nell'interstizio attraverso specifici trasportatori facilitati del glucosio (GLUT). GLUT1 e GLUT2 sono associati con SGLT1 e SGLT2, rispettivamente. (61) Quando la quantità di glucosio filtrato dal rene supera la soglia di riassorbimento renale si verifica glicosuria. Nei soggetti diabetici c'è un aumento dell'espressione e dell'attività di SGLT-2. (131)

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PARTE 3- STUDIO SPERIMENTALE

3.1 RAZIONALE

Le proteine e i lipidi sono capaci di intervenire modificando vari meccanismi implicati nella regolazione della glicemia postprandiale. In particolare, alcuni lavori hanno evidenziato gli effetti positivi della somministrazione di proteine o di lipidi a un successivo carico orale di glucosio o a un successivo pasto glucidico.

L'ingestione di grassi e di proteine in soggetti sani stimola la secrezione di insulina, glucagone, GLP-1 e di GIP, indipendentemente da variazioni della glicemia. La secrezione di GLP-1 è simile dopo proteine e grassi. La precoce secrezione del GIP è maggiore dopo le proteine rispetto ai grassi, infatti si associa con un aumento di insulina e di glucagone di sette volte maggiore rispetto ai grassi. Questa precoce secrezione di GIP potrebbe essere di primaria importanza per la secrezione insulare. (69)

I lipidi sono capaci di rallentare lo svuotamento gastrico e di attenuare l'aumento plasmatico di insulina e di glucosio, sia se somministrati insieme a una bibita contenente carboidrati, (70) sia se ingeriti con un pasto solido, (71) sia se somministrati a livello duodenale. (72) I grassi stimolano il GLP-1 (73) e il GIP. (74) In pazienti con diabete mellito di tipo 2 non complicato e di recente insorgenza, l'ingestione di una piccola quantità di olio d'oliva come precarico 30 minuti prima di un pasto a base di carboidrati rallenta marcatamente lo svuotamento gastrico, ritarda l'aumento della glicemia postprandiale, dell'insulina e del GIP, e stimola la secrezione di GLP-1. Se la stessa quantità di olio d'oliva è incluso nel pasto a base di carboidrati, ha solo un modesto effetto sullo svuotamento gastrico e sulla stimolazione di insulina e di incretine. (75) [Fig. 1]

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Figura 1. Concentrazione plasmatica di glucosio (A), insulina (B), GIP (C) e GLP-1 (D)

dopo l'ingestione di un carico orale di carboidrati preceduto da 30 ml di olio d'oliva o 30 ml d'acqua in pazienti con diabete mellito di tipo 2, oppure dopo ingestione di un carico orale di carboidrati contentente 30 ml di olio d'oliva preceduto da 30 ml di acqua.

Le proteine sono in grado di stimolare il rilascio dell'insulina. (132) (133) Le proteine del siero del latte, se ingerite insieme ai carboidrati, stimolano la secrezione di insulina e riducono la glicemia postprandiale sia in soggetti in salute che in pazienti diabetici. (80) Questo effetto insulinogeno sembra essere mediato da un aumento di specifici amminoacidi nel plasma dopo l'ingestione di siero. Il rilascio del GIP sembra contribuire a questo effetto, mentre non si trovano differenze significative nel livello di GLP-1. (81) Questo effetto insulinogeno può essere mimato dall'ingestione di una miscela di questi amminoacidi, ma manca la risposta del GIP. (82) Gli effetti insulinogeni degli amminoacidi rimangono intatti anche nel diabete di lunga durata, indicando un potenziale uso di proteine e amminoacidi nel controllo metabolico

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di questa malattia. La co-ingestione di carboidrati con una miscela di amminoacidi/proteine infatti aumenta la secrezione di insulina rispetto ai soli carboidrati. (134)

Figura 2. Velocità di svuotamento gastrico (A) e concentrazione plasmatica di glucosio (B), insulina (C) GLP-1

(D), GIP (E) e CCK (F) in risposta a un carico orale di carboidrati preceduto dalla somministrazione di 55 g di proteine o di acqua, oppure dopo l'ingestione di un carico orale di carboidrati contenente 55 g di proteine in pazienti con diabete mellito di tipo 2.

In soggetti con diabete mellito di tipo 2 le proteine del latte, quando somministrate prima o insieme a un pasto ad alto contenuto di carboidrati, determinano una riduzione della glicemia postprandiale. Le proteine rallentano lo svuotamento gastrico, soprattutto se sono

Gastric

empyting Blood glucose

Plasma insulin Plasma GLP-1 Plasma CCK Plasma GIP

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somministrate prima del pasto, e stimolano il rilascio di GLP-1 e CCK. Le proteine aumentano marcatamente la secrezione di insulina, possibilmente per un effetto combinato delle incretine e della diretta stimolazione delle β cellule da parte degli amminoacidi. C'è una maggiore riduzione della glicemia rispetto alla somministrazione di olio, probabilmente per questa grande stimolazione di insulina, dato che gli effetti sullo svuotamento gastrico sono simili. (83) [Fig.2]

Iniziare un pasto bevendo un drink contenente proteine/amminoacidi insulinogeni riduce significativamente la risposta glicemica postprandiale a un successivo pasto misto. Questo effetto può essere spiegato con una più rapida precoce risposta insulinica, infatti non ci sono differenze tra lo studio e il controllo tra AUC e il picco dell'insulina. Questo aumento dell'insulina e degli amminoacidi si associa anche a una precoce secrezione di GIP e di GLP-1. Per GIP però non è stato trovata una differenza significativa rispetto al gruppo di controllo. (135)

Per le capacità delle proteine di non aumentare la glicemia in persone sane e con diabete, sono stati effettuati degli studi con diete ad alto contenuto proteico in pazienti con diabete. Una dieta ad alto contenuto proteico (da 15% a 30%) e a basso contenuto di carboidrati (da 55% a 40%) seguita per 5 settimane abbassa la glicemia postprandiale in pazienti con diabete e migliora il controllo glicemico totale (riduzione significativa dell'HbA1c). Questo è dovuto a un minore aumento della glicemia postprandiale, mentre la glicemia a digiuno rimane immutata. Non ci sono state modificazioni nei livelli di insulina, C-peptide e FFA. (136) Una dieta con lo stesso alto contenuto proteico (30%) e un ulteriore riduzione della quota di carboidrati (da 40% a 20%) riduce, oltre la glicemia postprandiale, anche la glicemia a digiuno. Questa riduzione della glicemia postprandiale può essere spiegata con la minore quantità di carboidrati nella dieta e, di conseguenza, con la minore quantità di glucosio

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assorbito dopo ingestione del pasto. (137) L'ingestione quotidiana di almeno un cibo ad alto contenuto proteico contenente da una bassa a una moderata quota di carboidrati aumenta la secrezione insulinica e la captazione di glucosio, migliorando la sensibilità insulinica. Tuttavia, non c'è ancora consenso in letteratura circa la quantità e il tipo di proteine capaci di ridurre e di mantenere la concentrazione glicemica negli intervalli desiderati, senza causare effetti avversi. (138) Studi epidemiologici hanno tuttavia rilevato che una dieta caratterizzata da un aumento del consumo dei prodotti caseari ha una forte associazione inversa con l'insulino-resistenza e può ridurre il rischio di diabete e di malattie cardiovascolari. (139) (140)

I precedenti studi hanno evidenziato la capacità delle proteine e dei lipidi di modulare vari meccanismi coinvolti nella regolazione della glicemia postprandiale e i loro effetti positivi sul controllo glicemico, soprattutto quando utilizzati come precarichi. In questi studi però, le proteine e i lipidi venivano utilizzati singolarmente e non in combinazione, e si trovavano sotto forma di preparati liquidi. Le diete liquide non richiedono la masticazione e possono presentare un transito e un assorbimento intestinale più veloci, non mimando perciò i meccanismi fisiologici che avvengono durante la normale digestione di un pasto. Anche la forma poco appetibile potrebbe avere effetti sul controllo autonomico della secrezione insulinica. Inoltre l'assunzione di proteine in polvere o di cucchiai d'olio prima di un pasto non permette di identificare delle raccomandazioni dietetiche da proporre ai pazienti diabetici, in alternativa o in aggiunta alla terapia, per migliorare la qualità della vita. Data la capacità delle proteine e dei lipidi di agire singolarmente nel modulare vari fattori coinvolti nella glicemia postprandiale la loro combinazione in modo specifico e selettivo dovrebbe risultare in un effetto di tipo sinergico.

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3.2 METODO

Il nostro studio si compone di due parti. Nella prima parte abbiamo somministrato un piccolo antipasto misto fisiologico non glucidico (proteico e lipidico) a 10 soggetti diabetici per valutarne le conseguenze sulla tolleranza glucidica a un successivo carico orale di glucosio. Sulla base dei risultati ottenuti, abbiamo cercato di valutare l'effetto di un antipasto misto non glucidico anche in cronico. Per mimare quanto indotto sperimentalmente nel corso della prima parte dello studio evitando nel contempo un sovraccarico calorico, abbiamo sottoposto i nostri pazienti a una dieta con un'inversione delle portate. Riferendoci quindi a un tipico pasto italiano, che comprende una prima portata ad alto contenuto di carboidrati (pasta, riso), seguita da una seconda contenente principalmente proteine e lipidi (carne, uova, formaggio), abbiamo indicato di assumere gli alimenti contenenti proteine e lipidi prima degli alimenti a base di carboidrati. In questo modo abbiamo incluso le calorie contenute nell'antipasto nel pasto completo, evitando un eccessivo apporto calorico e un conseguente incremento ponderale.

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3.2.1 Effetto acuto di un antipasto misto non glucidico sulla

tolleranza al glucosio in soggetti diabetici

3.2.1.1 Disegno e obiettivi

L'obiettivo dello studio è di indagare gli effetti di un antipasto fisiologico non glucidico sulla tolleranza a un carico orale standard di glucosio (75 g) in soggetti diabetici. Nel corso dello studio sono stati misurati i valori della glicemia, dell'insulina e del C-peptide, del glucagone, del GLP-1, del GIP e degli FFA.

3.2.1.2 Materiali e metodi Soggetti:

Lo studio ha coinvolto 10 soggetti diabetici, arruolati su base volontaria. (8 maschi, età 55 ± 7 anni, altezza 170 ± 7 cm, peso 82,4 ± 12,7 kg, BMI 28,71 ± 4,68 Kg/m2, Hb1Ac 6,5 ± 0,5% ). La diagnosi di diabete è stata effettuata sulla base della glicemia a due ore da un carico orale di glucosio (75 g), superiore a 200 mg/dl. [Tab. 1] Tutti i soggetti erano in trattamento non farmacologico della malattia diabetica. Non sono state rilevate altre patologie degne di nota.

Lo studio è stato approvato da un comitato etico e i soggetti hanno firmato un consenso informato relativo alle procedure cui sono stati sottoposti.

Protocollo sperimentale:

I soggetti sono stati esaminati in due occasioni diverse a distanza di almeno due settimane, per limitare gli effetti negativi dell’esborso ematico. I volontari si sono presentati alle 08:00 di mattina presso il Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Pisa dopo un digiuno notturno (14h per alimenti solidi, 12h per liquidi) e sono stati collocati in un ambiente

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tranquillo e in posizione clinostatica per l’intera durata dello studio. È stata posta un'agocannula da 20 Gauge all’interno di una vena del polso, utilizzato per i prelievi ematici. La mano corrispondente è stata riscaldata durante l’intera durata dell’esperimento, determinando un aumento del flusso ematico e una “arterializzazione” del sangue venoso prelevato. (141) Trenta minuti prima dell’ingestione di glucosio, al soggetto è stato chiesto alternativamente di bere 500 ml di acqua minerale naturale (curva di controllo) oppure di ingerire 50 g di parmigiano e un uovo sodo (circa 250 kcal), accompagnati da circa 300 ml di acqua minerale naturale (curva meal). La sequenza è stata stabilita in maniera randomizzata. La porzione di parmigiano conteneva in media 15,4 g di acqua, 16,5 g di proteine e 14,2 g di lipidi. L’uovo sodo, privato del guscio (circa 50 g), conteneva in media 38,5 g di acqua, 6,2 g di proteine e 4,3 g di lipidi. L’ingestione di acqua durante la curva di controllo ha permesso di mimare il riempimento gastrico del pasto e dunque di escluderne l’eventuale ruolo nella risposta al carico di glucosio. A 120 minuti dalla somministrazione del glucosio per os (tempo +120), ovvero al termine dell’OGTT, è stata rimossa la cannula endovenosa.

Misure:

Mediante i prelievi di sangue venoso periferico “arterializzato” sono stati valutati i livelli sierici di glucosio, insulina, C-peptide, glucagone, GLP-1, GIP, FFA. I campioni ematici per il dosaggio della glicemia sono stati raccolti ai tempi -150, -50, -40, -30, -20, -10, 0, 15, 30, 45, 60, 90, 120. I prelievi per il dosaggio di insulina, C-peptide e FFA sono stati eseguiti ai tempi -40, -30, -20, -10, 0, 15, 30, 45, 60, 90, 120. I campioni per il dosaggio di glucagone, GLP-1 e GIP sono stati raccolti ai tempi -40, -30, -10, 0, 30, 60, 90, 120. La glicemia sierica è stata misurata immediatamente tramite reazione catalizzata dalla glucosio ossidasi (Beckman Glucose Analyzers; Beckman, Fullerton, CA). I campioni ematici sono stati conservati in ghiaccio con EDTA (10 μl/ml), FOY (5 μl/ml, solo glucagone), diprotina (10μl/ml, solo

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incretine) e in seguito centrifugati, separati e congelati a -20°C. L’insulina e il C-peptide plasmatici sono stati misurati tramite immunodosaggio a elettrochemioluminescenza (ECLIA,

electrochemiluminescent immunoassay) utilizzando un analizzatore Cobas e411 (Roche

Diagnostic, Basel, Switzerland). Il GLP-1, il GIP e il glucagone sono stati misurati tramite tecnica Multiplex (Biorad Laboratories, Hercules, CA). Gli FFA sono stati misurati mediante un metodo enzimatico colorimetrico (Wako Diagnostics, Richmond, VA) utilizzando un analizzatore automatico Synchron CX4 (Beckman, Fullerton, CA).

Analisi statistiche:

I dati sono riportato come media ± SEM. I cambiamenti all’interno dei gruppi sono stati valutati mediante test di analisi della varianza per misure ripetute (ANOVA) o mediante t-test per dati appaiati. Le analisi sono state condotte utilizzando il programma JMP® 9.0 (SAS Institute, Cary, NC). Sono ritenuti statisticamente significativi valori di p<0,05.

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3.2.2 Effetto dell'inversione dell'abituale sequenza di alimenti

(carboidrati-proteine/lipidi) sul controllo metabolico in pazienti

con diabete mellito di tipo 2

3.2.2.1 Disegno e obiettivi

L'obiettivo principale dello studio è valutare, mediante prelievi venosi periferici, l'effetto sulla glicemia, sull'emoglobina glicata, sulla fruttosamina e sulle escursioni glicemiche postprandiali di una dieta lievemente ipocalorica di due mesi caratterizzata da un'inversione della successione dei nutrienti rispetto alla dieta abituale in soggetti con diabete mellito tipo 2. Obiettivi secondari sono valutare l'effetto di questa dieta sul peso, sulla % di massa grassa, sulla circonferenza vita e fianchi e sul profilo lipidico.

3.3.2 Materiali e metodi Soggetti:

Lo studio ha coinvolto 6 soggetti con diabete mellito tipo 2 (4 maschi, età 65 ± 6 anni, altezza 160 ± 12 cm) arruolati su base volontaria. La diagnosi di diabete è recente e i soggetti non presentano complicanze o altre importanti patologie associate. La malattia viene controllata con la dieta o con la metformina da sola o in associazione con sitagliptin.

Sono stati esclusi dallo studio soggetti con gravi disabilità, con storia di neoplasia, con pregressi interventi gastrointestinali, in terapia diabetica con ipoglicemizzanti orali o insulina.

Lo studio è stato approvato da un comitato etico e i soggetti hanno firmato un consenso informato relativo alle procedure cui sono stati sottoposti.

Protocollo sperimentale:

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sono stati assegnati in maniera casuale al gruppo di “trattamento” (dieta con inversione delle portate) e due pazienti al gruppo di controllo (dieta standard). [Tab. 3] La dieta, in entrambi i casi, è stata seguita per due mesi ed è basata sulle raccomandazioni dell'American Diabetes Association del 2013 (ridotto consumo di cibi ad alto indice glicemico, di grassi trans e grassi saturi, di alcool). (16)

Dieta con inversione Dieta di controllo

Colazione:

• latte e pane

Colazione:

• latte e pane Pranzo:

• parmigiano, verdura, olio • pasta

• frutta

Pranzo: • pasta

• parmigiano, verdura, olio • frutta

Cena:

• carne, verdura, olio • pane

• frutta

Cena: • pane

• carne, verdura, olio • frutta

Tabella 3. I due tipi di dieta somministrata.

Tutti i pazienti che hanno dato il loro consenso sono stati sottoposti a 4 visite, a distanza di un mese una dall'altra. Durante l'intero periodo è stato chiesto ai soggetti di eseguire una volta a settimana 6 stick glicemici nel corso della giornata, prima e due ore dopo i pasti, e di segnare i valori su un modulo che è stato ritirato.

Nel corso della prima visita sono stati misurati: peso, % di massa grassa, altezza, BMI, circonferenza vita e fianchi. È stato eseguito un prelievo di sangue venoso periferico per la misurazione di: glicemia, emoglobina glicata, colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi, fruttosamina.

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circonferenza vita e fianchi. È stato eseguito un prelievo di sangue venoso periferico per la misurazione di: glicemia, emoglobina glicata, colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi, fruttosamina. Al termine della visita, i soggetti sono stati inseriti in maniera casuale nel gruppo “di controllo”, a cui è stata prescritta una dieta basata sulle raccomandazioni dell’American Diabetes Association, o al gruppo “di trattamento”, al quale è stata prescritta la medesima dieta con la raccomandazione aggiunta di far precedere l’assunzione di alimenti contenenti principalmente lipidi e proteine ad alimenti contenenti carboidrati.

Nel corso della terza visita sono stati misurati: peso, % di massa grassa, BMI, circonferenza vita e fianchi.

Nel corso della quarta visita sono stati misurati: peso, % di massa grassa, BMI, circonferenza vita e fianchi. È stato eseguito un prelievo di sangue venoso periferico per la misurazione di: glicemia, emoglobina glicata, colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi, fruttosamina.

Visita 1 Visita 2 Visita 3 Visita 4

Altezza X Peso X X X X % FAT X X X X Circonferenza vita e fianchi X X X X Prelievo venoso * X X X

Tabella 4. Indagini svolte a ogni visita nello studio della dieta; *glicemia, HbA1c, colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi, fruttosamina.

Misure:

Per il dosaggio della fruttosamina (non routinario) sono stati prelevati 5 ml di sangue in più rispetto a quanto necessario per un prelievo standard. Per il resto delle valutazioni è stato

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utilizzato sangue ottenuto da un prelievo di routine.

Statistica:

Poiché i dati sono riferibili a solo 4 pazienti sottoposti a dieta con inversione delle portate e 2 pazienti con dieta normale, non abbiamo riportato la statistica.

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3.3 RISULTATI

3.3.1 Effetti in acuto

Glicemia

La glicemia basale (da -50 a 0) è stabile sia nella curva dell'antipasto che nella curva di controllo. L'assunzione dell'antipasto non ha determinato modificazioni della glicemia nel periodo precedente l'OGTT. La glicemia aumenta in tutti i pazienti dopo somministrazione del carico orale di glucosio (da 0 a 120). In seguito alla somministrazione dell'antipasto, i livelli plasmatici di glucosio sono sensibilmente ridotti (p<0,05) da 30 a 120 minuti. [Fig. 3] A 120 minuti, la differenza tra le due glicemie è di 66,7 mg/dl. IAUC è ridotto del 49%. In 8 pazienti su 10 la glicemia 2 ore dopo l'OGTT raggiunge valori inferiori a 200 mg/dl, criterio che consente di modificare la loro classificazione da diabetici a IGT. [Tab. 2]

Figura 3. Andamento dei valori glicemici durante lo studio con antipasto e durante lo studio

di controllo. * p<0,05. 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 -50 -40 -30 -20 -10 0 15 30 45 60 90 120 mg/dl Tempo (minuti)

Glicemia

Controllo Antipasto

*

*

*

*

*

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