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Dall'elaborazione dati al cloud. Storia del Gruppo Sesa di Empoli

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INDICE

Pag. CAPITOLO 1

IL SETTORE DI RIFERIMENTO DEL GRUPPO SESA

Introduzione………...3

1.1 L’information and communication technology: definizione, utilizzo e criticità………..……….5

1.2 Lo sviluppo dell’information and communication technology………...…15

1.3 L’avvento di internet: storia di un meccanismo che ha cambiato il mondo………..20

CAPITOLO 2 L’EVOLUZIONE DELL’ELABORAZIONE DATI Introduzione……….………31

2.1 La nascita del calcolo automatico……….………...32

2.1.1 Herman Hollerith: il pioniere dell’elaborazione dati….………..34

2.1.2 Il primo calcolatore elettronico della storia……….………..………..38

2.2 Gli elaboratori della prima generazione………….………...……...41

2.2.1 Il codice ad impulsi elettrici……….………..….….42

2.3 Gli elaboratori della seconda generazione…..….………...46

2.3.1 Gli elaboratori alla conquista dello spazio…..….………....48

2.4 Gli elaboratori della terza generazione………..………..50

2.5 Gli elaboratori degli anni ’70………..……….…53

CAPITOLO 3 STRUTTURA OPERATIVA E GOVERNANCE DEL GRUPPO SESA Introduzione………..…..56

3.1 La struttura del Gruppo Sesa………...…58

3.2 Computer Gross Italia………...63

3.3 Var Group………...74

3.4 Arcipelago Cloud………77 3.5 L’orientamento strategico di fondo del Gruppo Sesa e

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la formula imprenditoriale………..79

3.6 La corporate governance del Gruppo Sesa……….87

3.7 Il business model del Gruppo Sesa……….92

CAPITOLO 4 L’APPARTENENZA AL TERRITORIO: UNA SFIDA LANCIATA DA EMPOLI Introduzione………96

4.1 Il distretto industriale: un modello di sviluppo economico alternativo……..….98

4.2 Il distretto industriale dell’Empolese-Valdelsa negli anni ’70…………..……105

4.2.1 Popolazione e territorio………...106

4.2.2 Tipologia occupazionale e caratteristiche del distretto………..…108

CAPITOLO 5 LA STORIA DEL GRUPPO SESA Introduzione………..113

5.1 Gli anni ’70: la nascita della Sesa s.n.c……….114

5.2 Gli anni ’80: la partnership con IBM e l’avvento dei personal computer…….120

5.3 Gli anni ’90: la nascita di Computer Gross………...125

5.4 Gli anni 2000: la nascita del commercio virtuale: il Sesamarket e lo sviluppo dei Cash & Carry………....130

5.5 Il Gruppo Sesa oggi: le nuove sfide e i nuovi progetti………...141

CONCLUSIONI………...148

BIBLIOGRAFIA………...154

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Capitolo 1

IL SETTORE DI RIFERIMENTO DEL GRUPPO

SESA

INTRODUZIONE

In questo capitolo analizzeremo il settore di riferimento del Gruppo Sesa, cercando di capire cos’è l’information and communication technology (ICT) e che benefici porta alle aziende in termini di vantaggio competitivo e di crescita sul mercato.

Quale motivo ci porta ad analizzare questo settore?

Oggi stiamo vivendo un profondo cambiamento a livello internazionale, guidato dall’evoluzione e dalla diffusione delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni che stanno mutando le caratteristiche dei mercati e dei modelli di sviluppo. Le “barriere geografiche” sono ormai cadute, facendo nascere quello che ormai nel linguaggio comune chiamiamo “villaggio globale”.

In un’economia globalizzata la capacità di comunicare attraverso le reti e di trasmettere dati, informazioni e messaggi rappresenta uno strumento essenziale per competere a livello mondiale.

Analizzeremo successivamente quali cambiamenti ha portato nel tempo la “tecnologia” nella visione aziendale, nei suoi processi e nelle sue strutture organizzative, cercando di vedere come erano impostate le aziende prima dell’avvento di essa e il suo susseguente implemento all’interno delle aziende. Nella gestione di questi processi aziendali delle imprese e delle relazioni con l’ambiante esterno, l’economia attribuisce un ruolo determinante alle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione. Tale ruolo scaturisce sia dai grandi benefici diretti ed indiretti che possono derivare dal loro utilizzo, sia dalla possibilità di fronteggiare la crescente pressione competitiva innescata dalla globalizzazione e dalla liberalizzazione.

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4 L’IT è in grado quindi di influenzare sia la struttura organizzativa che la struttura strategica delle imprese.

In ultima analisi ci soffermeremo sul “fenomeno Internet” e su quali benefici ha portato l’implementazione di questo meccanismo all’interno delle aziende e nella vita di tutti noi; capendo come internet non sia solo uno strumento innovativo nel campo del lavoro, ma un meccanismo che influisce in modo determinante e permanente sulla realtà dei rapporti sociali, della cultura e dei diversi settori dell’economia e del lavoro.

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1.1. L’INFORMATION AND COMMUNICATION TECHNOLOGY:

DEFINIZIONE, UTILIZZO E CRITICITA’

Il trasferimento ed il passaggio di informazioni all'interno delle aziende è diventato col tempo fondamentale per la crescita del vantaggio competitivo nel mercato: ciò è possibile attraverso l'impiego e l'implementazione di information

and communication technology (ICT) all'interno della gestione aziendale.

L’apertura dei mercati, la crescente globalizzazione e l’aumento della pressione competitiva sono fattori che, se da un lato contribuiscono a delineare nuove prospettive di crescita per le imprese, dall’altro creano continue tensioni gestionali. Infatti, nell’attuale scenario economico in cui operano le aziende, non esistono vantaggi competitivi raggiunti e stabilmente acquisiti: ogni concorrente assumerà questo vantaggio come un nuovo target su cui focalizzare impegno e risorse per raggiungerlo e superarlo a sua volta.

Le imprese hanno quindi rapidamente compreso che l’unica concreta possibilità di raggiungere questi ambiziosi traguardi è strettamente connessa alla ricerca di superiori livelli di integrazione tra le attività. Su questo fronte, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione costituiscono uno strumento importante in grado di soddisfare i bisogni di integrazione delle aziende.

Non risulta facile fornire una descrizione univoca del termine ICT, poiché non esiste una definizione generale e condivisa. L’uso corrente del termine ICT individua un vasto comparto del sistema produttivo che comprende non solo produzione e vendita di hardware, software e servizi correlati, ma anche produzione e vendita di apparati e servizi di telecomunicazione.

Come formulato da Martinez, Rodriguez e Torres con il termine IT si intendono “tutti i mezzi e gli strumenti collegati al trattamento di simboli, mentre le ICT sono definite come gli strumenti e le applicazioni logiche che consentono di combinare le capacità di calcolo e memorizzazione dei dati propri dei computer

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6 con le capacità di trasmissione dei dati e delle informazioni dei mezzi di telecomunicazione”1.

Tra le diverse definizioni generate dalla dottrina appare però più completa quella fornita da Giustiniano, che indica le nuove tecnologie informatiche come “un insieme di aspetti tecnologici, componenti sociali, dati, applicazioni e procedure che governano l’uso dei sistemi automatici di elaborazione”2.

Possiamo quindi dire che il sistema informativo è da intendersi come quel tessuto connettivo necessario al mantenimento delle relazioni tra le diverse aree funzionali e tra il sistema aziendale e l’ambiente esterno. Obiettivo del sistema informativo è perciò quello di attribuire ad ogni centro decisionale le informazioni necessarie per operare.

Per sua natura il settore dell’ICT è estremamente dinamico e in continua evoluzione in ambiti temporali estremamente ristretti.

Molte volte più che fornire una definizione degli ICT si preferisce definire i confini in cui essa opera.

In tal senso, l’Istituto Nazionale di Statistica Olandese (CBS) disegna una distinzione tra gli ambiti in cui l’ICT opera: uno legato ad aspetti più propriamente industriali, l’altro legato al settore dei servizi.

Questa definizione fornita dall’istituto olandese ricalca quella più generale operata dall’ OECD3, il quale effettua una classificazione dei settori in cui opera

l’ICT. Questi sono:

- il settore manifatturiero, dove l’uso della tecnologia è maggiormente visibile ad esempio attraverso la fabbricazione di macchine per ufficio o di elaboratori e sistemi informatici; oppure la fabbricazione di apparati

1 Martínez D. & Rodríguez. J., & Torres J.L. "ICT-specific technological change and productivity growth

in the US 1980-2004", Working Papers 2008-4, Universidad de Málaga, Department of Economic Theory, Economic Theory Research Center. Málaga, 2008, numero 8, p.5.

2 Giustiniano L., “Strategie, organizzazione e sistemi informativi: dall'IT alignment all'IT governance”,

Franco Angeli, Milano, 2005, p.7-8.

3 OECD è l’acronimo inglese di “Organism for Economic Co-operation and Development”, in italiano

OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Esso svolge funzioni di assemblea consultiva e conta 34 paesi membri ed ha sede a Parigi. È un’organizzazione internazionale di studi economici aventi come comune denominatore un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato libera.

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7 riceventi radio TV, per registrazione e riproduzione di suoni od immagini e prodotti connessi;

- il settore dei beni legati ai servizi, ovvero quelli legati alla distribuzione e al commercio all’ingrosso di macchinari per telecomunicazioni, apparati elettrici, computer etc.;

- il settore legato ai servizi immateriali, ovvero attività di consulenze software e hardware, database activities, servizi di telematica o robotica, attività di claud compauting etc.;

- il settore legato all’industria dei contenuti, ad esempio pubblicazione di libri, supporti sonori, proiezioni cinematografiche, etc.

I settori ICT in cui ha cominciato ad opera tutt’ora il Gruppo Sesa sono quelli legati ai servizi di distribuzione di componenti hardware e componentistica tecnologica, e quelli legati ai servizi immateriali come la vendita di licenze, o di pacchetti software.

Seppure tale distinzione appaia limitativa, in quanto essenzialmente legata alla produzione industriale, nel corso degli ultimi anni, come indicato da Pennarola “l’utilizzo dell’Information and communication technology per le aziende ha acquisito sempre più rilevanza strategica come strumento atto a produrre informazioni, nuova conoscenza e nuovi contenuti”4.

Nella ICT si fondono differenti componenti quali la computer technology, le telecomunicazioni, l’elettronica e i media. Esempi chiari sono rappresentati dai PC, internet, telefonia mobile, TV via cavo, o i sistemi di pagamento elettronico. Quindi possiamo dire che l’ICT ha finito con il legare sempre più la componente

information technology (IT) con quella relativa alla communication technology

(CT). In particolare quando quest’ultima ha assunto vesti nuove, cioè con l’avvento delle tecnologie a rete, l’informazione ha finito con il perdere quella caratteristica rappresentata dall’elaborazione su macchine stand alone per

4 Pennarola F., “Organizzazione e Information Technology: Combinare presone, processi e tecnologie per

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8 divenire una componente condivisa con altre macchine di una rete (sia LAN5 che quella globale di internet).

Provando ad analizzare il contesto italiano e successivamente toscano, possiamo vedere che la digitalizzazione in questi anni ha profondamente cambiato i processi produttivi, tanto da essere universalmente riconosciuta come un potente fattore propulsivo di sviluppo economico.

L’Italia sconta tuttavia un ritardo in termini di digitalizzazione rispetto agli altri Paesi industrializzati e sta cercando, anche attraverso provvedimenti di carattere legislativo, di colmare tale divario.

Per quanto riguarda i provvedimenti legislativi, in Italia è stato emanato il 7 Marzo 2005 il Codice dell’Amministrazione Digitale6.

Con l’emanazione del CAD il legislatore ha raccolto e stimato in un unico testo le norme già esistenti in materia di digitalizzazione e di informatizzazione dei documenti.

Per comprendere meglio le caratteristiche del “digital divide” (inteso come gap causato da diverse possibilità di accesso alle infrastrutture digitali e da differenti capacità d’uso del canale internet e dei servizi veicolati) che affligge tutte le aree del nostro paese, basta analizzare alcuni indicatori come, per esempio, l’indice di intensità digitale e il numero di imprese che utilizzano la banda larga.

Infatti secondo una ricerca del Boston Consulting Group7, l’indice di intensità

digitale colloca l’Italia al 27esimo posto, in coda tra le nazioni OCSE. La Toscana ha un indice di 66, superiore al dato nazionale (63), ma fortemente in ritardo rispetto alla media dei paesi OCSE, mentre, secondo l’Istat, in Toscana le

5 LAN è l’acronimo di Local Area Network (in italiano rete locale). Essa è una rete informatica che

consente di collegare più computer e che copre un’area limitata stabilita.

6 Con il D. Lgs. 7 Marzo 2005, n. 82 è stato adottato il codice dell’Amministrazione digitale (CAD)

ovvero un corpo organico di disposizioni relativo all’uso delle tecnologie info-telematiche nelle Pubbliche Amministrazioni. Entrato in vigore il 1° Gennaio 2006, traccia il quadro legislativo entro cui deve attuarsi la digitalizzazione dell’azione amministrativa e sancisce veri e propri diritti dei cittadini e delle imprese in materia di uso delle tecnologie nei rapporti con le Amministrazioni; il CAD contiene anche l’obbligo per l’Amministrazione di snellire le procedure e di rendere tutti i servizi e le comunicazioni interne ed esterne per via telematica.

7 Il Boston Consulting Group è una multinazionale statunitense di consulenza di management, fondata nel

1963 da Bruce Henderson. È considerata uno dei leader mondiali nella consulenza strategica di business ed ha 85 uffici sparsi in 48 paesi nel mondo. Collabora con clienti appartenenti a tutti i settori e in ogni parte del mondo allo scopo di identificare le migliori opportunità, affrontare le sfide più critiche e trasformare il loro business.

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9 imprese che usano la banda larga sono 82 su 100, dato in linea con la media italiana (83).

Il termine “banda larga”, in inglese Broadband, è usato per definire la trasmissione di dati informativi eseguiti attraverso cavo o radio che consente una maggiore velocità di invio e ricezione, e con un’ampiezza superiore rispetto ai precedenti sistemi di telecomunicazione a banda stretta.

Questo meccanismo permette di far “viaggiare” nella rete una grande quantità di file cosiddetti “pesanti” (cioè di grandi dimensioni) in modo estremamente rapido, senza ritardi o rischi di blocco dei server.

La sua implementazione è importante perché è un fattore cruciale di crescita economica e occupazionale, essendo essa condizione necessaria per tutta una serie di servizi essenziali per le aziende, quali videochiamate o teleconferenze, e la possibilità di una vera informatizzazione dei rapporti fra clienti e azienda e tra fornitori e azienda. Inoltre lo sviluppo della banda larga facilita e semplifica il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione. Una connessione internet lenta può costare a un’azienda una perdita di produttività perché si impiega più tempo a fare quello che i concorrenti fanno in broadband.

In Italia la situazione delle infrastrutture di telecomunicazione è piuttosto critica e possiamo riscontrarlo attraverso i seguenti dati europei.

Tabella 1.1 - Situazione copertura banda ultralarga nei Paese dell’Unione

Europea

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10 Siamo l’ultima nazione europea per copertura a banda ultralarga; anche se c’è stato un incremento positivo negli anni 2012 e 2013, il dato è ancora molto al di sotto della media europea.

Le ragioni del ritardo italiano sono molteplici: l’utilizzo privilegiato della connessione wireless; l’elevata età media della popolazione che abbassa la domanda di connettività; un basso livello di utilizzo regolare di internet e infine, il ritardo che abbiamo come Paese rispetto all’Unione Europea sulle conoscenze delle tecnologie informatiche e nella realizzazione delle relative infrastrutture. Questi fattori negativi, sommati insieme, rendono di conseguenza meno appetibili gli investimenti infrastrutturali in Italia da parte degli operatori.

Ookla, leader mondiale del "broadband testing8", ha confermato che su una scala di performance che va da meno di 20 Mbps a più di 60 in download, l'Italia è in media sotto i 15, insieme a Paesi Balcanici, Grecia e Turchia, mentre il resto d'Europa naviga a tutt'altra velocità, dalla Bielorussia (tra 15 e 20) a Polonia e Ucraina (20-25) fino ai 45-50 Mbps di Olanda, Svizzera e Lituania e agli oltre 50 Mbps di Romania e Svezia.

Tabella 1.2 - Intensità digitale e numero di imprese che utilizzano la banda larga

Fonte: Eurostat, Information Technology & Innovation Foundation; BCG, 2011

8 Il broadband testing è un test di valutazione dell’efficienza, della velocità e della performance della

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11 Un altro studio eseguito nel 2013 da Unicredit, leader tra i gruppi di credito europei, dal titolo “Sfide e opportunità della digitalizzazione”, fornisce i risultati relativi alle aziende toscane. Il rapporto si fonda sul presupposto che la digitalizzazione ha profondamente cambiato l’interazione tra sistema scientifico-tecnologico e apparato produttivo, sempre più imperniata su due risorse immateriali: l’informazione e la conoscenza. Grazie alle loro caratteristiche di pervasività, le tecnologie digitali hanno mutato il modo di produrre, scambiare e comunicare, investendo orizzontalmente tutti i settori di attività economica e avendo come potenziali destinatarie le imprese di qualsiasi dimensione.

Per le piccola e media impresa è perciò fondamentale, per poter essere competitiva, investire nella digitalizzazione. Le nuove tecnologie hanno il grande pregio di abbattere le barriere commerciali e di allargare gli orizzonti del business anche a mercati difficilmente raggiungibili. Le imprese toscane, secondo tale analisi, hanno intuito questa opportunità ma devono consolidare la propria attenzione all'innovazione tecnologica per riattivare un circolo virtuoso fatto di nuova imprenditoria, nuove opportunità commerciali e crescita occupazionale. Riuscire a sfruttare l’innovazione tecnologica ha molteplici vantaggi, primo tra tutti quello di aprire nuovi scenari occupazionali.

Analizzando il fenomeno internet, uno studio recente della Boston Consulting ha stimato che l’economia legata a internet ha raggiunto nel 2010 in Italia il 2% del PIL9. Tuttavia, il vantaggio che l’implementazione delle nuove tecnologie all’interno delle aziende porterebbe a livello di posti di lavoro, è un aspetto che deve essere esaminato con attenzione. Prendiamo, ad esempio, la crescita della spesa online effettuata attraverso l’uso di internet o applicazioni di nuova generazione: si potrebbe ipotizzare, come effetto portato da questa nuova tipologia di commercio, una contemporanea diminuzione della spesa offline, cioè quella tradizionale. La spesa telematica è un servizio sempre più apprezzato dai

9 Questa cifra si raggiunge sommando il volume della spesa ascrivibile a internet in quattro capitoli

fondamentali (consumi, investimenti, spesa istituzionale, esportazioni nette), che comprendono anche, ad esempio, il totale delle spese effettuate sui negozi online.

BCG, “Fattore Internet. Come Internet sta cambiando l'Economia italiana”, The Boston Consulting Group, 2011.

Per una completa documentazione sul rapporto consultare il sito http://www.centromarca.it/media/73040/fattore_internet_2011.pdf.

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12 consumatori perché aumenta la concorrenza, tiene bassi i prezzi e riduce i vincoli spazio-temporali.

In realtà si potrebbe anche supporre che lo sviluppo dell’e-commerce porta le aziende ad assumere un impronta di tipo labor saving, ossia che esse creino pochi posti di lavoro mentre ne distruggono molti. Ad esempio: quanti magazzinieri o commessi serviranno in futuro alle aziende e quanti saranno sostituiti dal negozio online?

A questa domanda è difficile rispondere in quanto l’incertezza può spiegarsi con la limitata disponibilità di dati: ancora 5 anni fa l'esplosiva espansione di internet non era sufficiente a stimare il suo effetto occupazionale in maniera solida. Siamo nel mezzo ad una nuova epoca tecnologica, i nuovi prodotti stanno cambiando i comportamenti e le abitudini di tutti, e stabilire dove porteranno queste nuove invenzioni risulta molto difficile da stabilire.

Dato invece incontrovertibile è quello dovuto all’aumento della produttività aziendale legato all’implementazione di ICT.

Come osservato da un rapporto redatto dalla Micus Management Consulting Gmbh per la Commissione Europea11, è possibile ipotizzare un risultato netto

positivo dell'impatto che la banda larga ha sulla produttività del lavoro.

Questo rapporto stima che le aziende che hanno adottato tecnologie legate all’internet service provide hanno avuto aumenti della produttività, come nel caso del settore manifatturiero il quale ha registrato un incremento del 5% e nel settore dei servizi cresciuto del 10%.

Un altro rapporto risalente all’anno 2011 e curato recentemente da McKinsey per il Digital Advisory Group ha invece stimato che internet ha già creato in Italia 700mila nuovi posti di lavoro, generandone 1,8 per ogni posto perso.

Si tratta quindi di indizi significativi che spingono a credere che un impatto positivo sull'occupazione è probabile e che prevalga sugli effetti labor saving. Dato confortante per le nostre aziende locali è legato all’utilizzo dei sistemi informatici: le piccole imprese toscane risultano molto più inclini all’utilizzo di

11 Fornefeld M., Delaunay G., Elixmann D., “The impact of broadband on growth and productivity. A

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13 sistemi informatici rispetto alla media italiana. Secondo i dati Istat tutti i valori sono al di sopra della media nazionale: il dato delle imprese toscane che utilizzano software per la produttività individuale sono il 66,7%, contro il 62,1% a livello nazionale; il 67,0% delle imprese del territorio si serve di sistemi gestionali di base (contro il 60% su scala nazionale); il 23,3% delle piccole imprese utilizza sistemi gestionali avanzati rispetto al dato italiano del 20,7%. Inoltre è abbondantemente sopra la media del Paese il numero delle piccole imprese locali che si serve di sistemi automatici di condivisione tra le diverse funzioni aziendali (37,3%, contro il 34,7%).

Ecco un riepilogo grafico dei dati riportati:

Tabella 1.3 - Dati riepilogativi in Toscana e sulla Media Nazionale

TOSCANA MEDIA NAZIONALE

Imprese che utilizzano software per la produttività individuale

66,7% 62,1%

Imprese che utilizzano

sistemi gestionali di base 67,0% 60,0%

Imprese che utilizzano sistemi gestionali

avanzati

23,3% 20,7%

PMI locali che si servono di sistemi automatici di

condivisione

37,3% 34,7%

Fonte: Dati Istat, anno 2014

Un aspetto importante in termini di digitalizzazione e attività d’impresa è l’utilizzo di internet: sempre secondo i dati Istat, in Toscana le piccole e medie imprese credono sulle potenzialità e sfruttano la rete in tutte le sue componenti. La quasi totalità delle imprese utilizza l’e-mail come canale di comunicazione (92,7% contro il 91,5% della media nazionale); il sito Internet aziendale e la rete Extranet sono utilizzate dalle aziende toscane in misura maggiore rispetto alle

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14 imprese del Paese (rispettivamente il 58,1% contro il 53,3% e il 19,8% contro il 19,4%). Parimenti la diffusione del proprio profilo aziendale tramite social network è una realtà diffusa e consolidata molto più rispetto al resto di Italia (30,7% rispetto al 27,9%). L’unico punto inferiore rispetto alla media nazionale è la distribuzione di pubblicità via mail (25,9% contro 30,2%).

Per quel che riguarda lo sviluppo e l’intensificazione dell’utilizzo di canali e processi digitali da parte delle imprese toscane, sempre secondo il rapporto dell’Istat, anche per il futuro prossimo la situazione non dovrebbe mutare radicalmente. Dall’analisi della spesa corrente in ICT dichiarata dalle imprese toscane risulta, secondo un’analisi condotta dalla Regione Toscana del 2015, una propensione agli investimenti in questo settore ben maggiore rispetto a quanto si verifica a livello nazionale. Solo il 38,8% dichiara di non programmare investimenti in ICT rispetto al 45,6% del dato italiano e l’11% dichiara che investirà oltre il 5% del fatturato in ICT.

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15 1.2. LO SVILUPPO DELL’ INFORMATION AND COMMUNICATION

TECHNOLOGY

Nel corso degli anni lo sviluppo dell’information technology ha avuto una crescita sorprendente. Al giorno d’oggi diamo per scontato l’utilizzo del computer e dei suoi programmi per lavorare, usiamo la tecnologia per comunicare e per concludere contratti; per elaborare dati e reperire informazioni in pochissimi secondi, non rendendoci veramente conto dei numerosissimi vantaggi che questi strumenti hanno portato nel mondo del lavoro perché appare ormai “banale” il loro utilizzo; ma originariamente non era così. Si pensi, ad esempio, ai tempi del fordismo quando la tecnologia era vista come fattore esogeno all’impresa, un fattore non modificabile nel processo decisionale aziendale. Lo sviluppo tecnologico era considerato quasi come un elemento “di disturbo”, una turbolenza ambientale da presidiare e isolare.

Sarebbe errato oggi considerare la tecnologia solo un fattore esterno all’impresa, una variabile esogena non controllabile. Le imprese che non si vogliano far trovare impreparate dallo sviluppo tecnologico devono, da un lato, disporre di risorse organizzative per cogliere le opportunità che le nuove tecnologie presentano, cercando di ridurre il tempo di “metabolizzazione” a livello culturale e organizzativo; dall’altro, è l’impresa stessa, attraverso la propria divisione di Ricerca & Sviluppo, che assume un comportamento innovativo. In altre parole, bisogna che la variabile tecnologica per un’azienda sia più controllata che subita, in quanto essa riveste un ruolo centrale nel mantenere la competitività.

Infatti, come elaborato da D’Atri, l’introduzione delle nuove tecnologie informatiche genera “una ridefinizione degli assetti organizzativi in termini di riconfigurazione dei processi interni ed esterni, con conseguente miglioramento dell’efficienza nella gestione delle relazioni interne ed esterne”17.

17 A. D’Atri, “Innovazione organizzativa e tecnologie innovative: strategie e tecnologie per

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16 In tal senso, anche Giustiniano afferma che l’implementazione dei sistemi informativi è quindi da considerarsi come “imput di un processo di cambiamento organizzativo e non come il risultato in riferimento alle condizioni di impiego”18.

Su prospettiva storica possiamo dire che sono trascorsi circa 250 anni dall’inizio della rivoluzione industriale, ma le aree che per prime si industrializzarono (Europa Occidentale, Nord America e Giappone) rimangono ai vertici della ricchezza mondiale.

I Paesi cosiddetti BRIC avanzano rapidi, liberando milioni di persone dalla povertà. Nel 2011, però, il PIL complessivo delle nazioni del G7 valeva circa 34 trilioni di dollari, sui quasi 70 di tutto il mondo.

Secondo l’European IT Observatory, mentre in Usa ed Europa è tempo di austerity, il mercato ICT avrà un boom a doppia cifra nei BRIC

Il mercato ICT nei BRIC crescerà secondo le stime effettuate dall’osservatorio del 10% a partire dal 2011. In India è previsto il boom del mercato software, mentre la Cina si appresta a diventare il terzo mercato del mondo con quote superiori all’8%. Significa che i paesi BRIC offriranno un grande contributo al sostegno dei mercati hi-tech. Le economie emergenti aiuteranno quindi i mercati high-tech globali a mantenere alti tassi di crescita.

L’importanza di questi mercati per le aziende hi-tech è perciò in costante crescita. Il segmento più importante dei mercati ICT nei BRIC è il settore delle telecomunicazioni, che detiene il 74% dell’intero mercato, mentre l‘information

technology si ferma al 26% dei ricavi totali. Si stima che l’India crescerà del 17%

nel 2011 attestandosi a 65 miliardi di euro. Secondo EITO, cioè l’European IT Observatory, i ricavi degli anni a seguire registreranno un incremento del 14%. Il mercato ICT in India è trainato dal mercato software, che dovrebbe mettere a segno un incremento del 17%. Un boom, che stando ad EITO, dovrebbe prolungarsi nel tempo. Con riferimento al 2011, la crescita del mercato cinese ICT è stata del 10% circa, rispetto agli anni precedenti. Poco meno in Russia la quale ha avuto, sempre nel 2011, un incremento di fatturato sotto al 10%. In

18 L. Giustiniano. “Strategie, organizzazione e sistemi informativi: dall'IT alignment all'IT governance”,

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17 volume il mercato è valutato 53.3 miliardi di euro. La crescita negli anni seguenti sarà di oltre il 9%. In Brasile il mercato, invece, è cresciuto del 6% arrivando a 87 miliardi di euro.

Tutti i Paesi industrializzati stanno affrontando quindi una nuova rivoluzione industriale importante quanto le precedenti: é quella causata appunto dall’avvento dell’information and communication technology che sta cambiando il volto del pianeta e la vita quotidiana, basti pensare al cellulare, al personal computer, a internet. Alla guida di questa rivoluzione, sempre più rapida, vi sono, per esempio, grandi aziende come Google o Apple, regioni come la Silicon Valley, nazioni come Singapore, l’India e la Cina.

Come ha evidenziato nel 2011 il rapporto McKinsey, solo internet ha contribuito mediamente, tra il 2004 e il 2009, al 21% della crescita del PIL nei cosiddetti Paesi maturi e nel caso della Svezia ha toccato il 33%.

Certo, la prima e l’ultima rivoluzione industriale sono diverse per vari aspetti. Il principale è il fattore tempo: alla prima rivoluzione industriale, ad esempio, servirono settant’anni per cambiare il volto della sola Inghilterra; la rivoluzione dell’ICT, invece, ha trasformato il mondo in trent’anni, rendendo possibile la globalizzazione, impossibile senza internet. La rivoluzione dell’ICT è più veloce di quella industriale perché è intangibile: non è fatta di carbone e ferro, ma di bit e idee. Gli Stati che non hanno saputo approfittare di questa occasione e sono rimasti indietro, rischiano quindi di veder sfumare straordinarie opportunità di crescita a vantaggio concorrenti nei mercati globali.

La rivoluzione tecnologica che caratterizza la nostra epoca sta producendo effetti differenziati nei diversi contesti nazionali perché opera selettivamente.

In alcuni Paesi essa è un fattore di crescita economica e di benessere sociale. In questo caso la disoccupazione indotta dalle nuove tecnologie è compensata dalle nuove opportunità di lavoro che si creano nei servizi, nell’industria e nei centri di ricerca. In altre nazioni, viceversa, il saldo è decisamente negativo. Da un lato, sta crescendo in misura esponenziale la dipendenza tecnologica e commerciale dall’estero, dall’altro, l’introduzione di processi di automazione

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18 nelle imprese e nella pubblica amministrazione crea inevitabilmente disoccupazione.

Quali sono stati i fattori che hanno influito maggiormente sullo sviluppo della rivoluzione tecnologica?

Il primo elemento è stato senza dubbio le politiche pubbliche rivolte all’innovazione tecnologica ed agli investimenti in ricerca e sviluppo.

I decisori politici nazionali ed europei dovrebbero promuovere la realizzazione di un ambiente regolamentare che aiuti le aziende a perfezionare le loro piattaforme digitali facilitando la stabilità e la sicurezza di processi quali l’archiviazione e il flusso dei dati. Uno sforzo importante sarebbe la definizione e la promozione delle competenze, coordinando industria e università per assicurare che le aziende possano contare su un bacino di talenti adeguato alle loro esigenze. Il secondo punto è la proiezione internazionale delle imprese: ormai le aziende per competere sui mercati globali, hanno bisogno di una visione aperta, sviluppando una cultura manageriale profonda e favorendo l’implementazione di nuove forme di business.

Investire nelle nuove tecnologie aiuta la competitività delle aziende, ma gli investimenti da soli non garantiscono il salto di qualità.

Su questo punto possiamo vedere attraverso una ricerca condotta dalla Business School INSEAD21 in collaborazione con AT&T22 che chi investe molto in nuove

tecnologie può aumentare dal 35% al 74% le possibilità di superare i concorrenti, purché l’azienda abbia solide basi di digitalizzazione.

Lo studio, condotto sulla base delle risposte rese dai dirigenti di 225 aziende in Europa, Asia-Pacifico e Nord America, mostra infatti che gli investimenti da soli non bastano: l’aumento della competitività è strettamente legato alla presenza in azienda di piattaforme digitali “mature”, un fattore che INSEAD definisce cruciale per la competizione a livello globale.

21 L'Institut européen d'administration des affaires, è un istituto di ricerca e una scuola di direzione

aziendale fondata nel 1957 in Francia.

22 Compagnia telefonica statunitense con sede a San Antonio in Texas. Fornisce servizi vocali, video e

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19 Le aziende europee sempre secondo la ricerca, ad esempio, stanno spendendo meno di quelle dell’Asia-Pacifico in nuove tecnologie, ma possono contare sull’effetto moltiplicatore degli investimenti fatti in passato.

Le aziende situate nell’Asia-Pacifico invece stanno spendendo in nuove tecnologie una percentuale molto maggiore del loro budget destinato all’ICT e contano di aumentare ancora di più gli investimenti.

Le aziende asiatiche però, hanno manifestato l’intenzione di accelerare l’adozione delle nuove tecnologie: entro il 2015 devolveranno alle tecnologie mobili il 30% del budget ICT (dal 12% del 2010), al cloud il 31% delle risorse (rispetto al 17%) e agli strumenti di collaborazione online il 26% (dal 18%). Le aziende europee, invece, segneranno una progressione più ridotta: gli investimenti nella connessione telematica passeranno dal 12% al 20%, quelli nel cloud dal 12 al 23% e quelli negli strumenti di collaboration dal 16% al 17%. L’ultimo punto esaminato della ricerca riguarda la capacità del sistema politico-amministrativo di adattarsi rapidamente ai nuovi imperativi del mondo digitale. Il diverso impatto della rivoluzione digitale nei singoli Paesi dipende sostanzialmente da tre fattori:

a) investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo b) proiezione internazionale delle imprese

c) capacità del sistema politico-amministrativo di adattarsi rapidamente ai nuovi imperativi del mondo digitale

Rispetto ai primi due fattori, l’Italia ha le risorse necessarie per essere competitiva: essa dispone di capitale umano, di centri di ricerca eccellenti, di un consistente numero di imprese ben radicate nei mercati internazionali. Ciò che manca, però, è una strategia nel campo degli investimenti e della ricerca applicata. Senza una politica tecnologica l’Italia non potrà essere in grado di approfittare delle nuove opportunità che si profilano sul mercato globale.

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20 1.3. L’AVVENTO DI INTERNET: STORIA DI UN MECCANISMO CHE HA CAMBIATO IL MONDO

Lo sbarco dell’uomo sulla luna è stato indubbiamente l’evento che ha caratterizzato il 1969 come l’alba di una nuova era. Ma esiste almeno un altro motivo perché lo si possa ritenere epocale: il 1969 è l’anno di nascita di internet. Internet è stato il principale artefice dell’implementazione delle tecnologie all’interno delle aziende, attraverso il suo uso per scopi civili e commerciali. Il primo tratto di internet venne costruito da una società americana chiamata Bolt, Beranak & Newmann.

Essa sfruttò le normali linee telefoniche dell’epoca, collegando quattro università americane:

-la Standford University;

-l’UCLA (University of California at Los Angeles); -l’UCSB (University of California at Santa Barbara) -l’University of Utah.

In ciascuna di queste università venne istallato un calcolatore in grado di gestire il traffico sulla rete, denominato IMP (Information Message Processor). Esso faceva da intermediario tra il mainframe dell’università e il cavo elettrico.

L’impianto divenne attivo il 2 Settembre 1969 e così nacque l’antenata di internet: ARPAnet. Lo schema di trasmissione adottato venne ideato in Europa, per la precisione dal National Physics Lab inglese e dalla Société Internationale de Télécomunications Areonautiques francese.

Il primo esperimento di collegamento si svolse in un modo che oggi non ci stupirebbe granché: le cronache del tempo narrano che il professor Kleinrock dell’UCLA tentò da Los Angeles di accedere al sistema Xds di Stanford con un gruppo di studenti che seguiva le operazioni per telefono, collegato con altri studenti presso ilSouthwest Research Institute.

Kleinrock iniziò digitando la “L”, che apparì sul video del computer remoto. Continuò entusiasta digitando la “O” (anche questa apparve sul video di

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21 Stanford, come da conferma telefonica), ma quando digitò la “G” il sistema andò in tilt.

Il secondo tentativo andò a buon fine e confermò che il progetto stava segnando la giusta direzione.

I dettagli tecnici che delineano la composizione di ARPAnet non sono stati coperti da segreto. Il dominio pubblico di queste informazioni confuterebbe quindi l’opinione generalizzata di molti testi che parlano delle origini di internet descrivendone le finalità militari, poiché i fatti descritti ci consegnano la storia di studi ed esperimenti condotti alla luce del sole da soggetti con culture differenti. Le applicazioni militari furono comunque conseguenza “obbligata” di un progetto che poteva nascere solamente dalla sinergia delle uniche due entità che, all’epoca, disponevano della tecnologia informatica necessaria: il Dipartimento della Difesa e l’ambiente della ricerca universitaria.

Secondo questo modello, le informazioni da trasmettere dovevano essere divise in parti di lunghezza fissa, detti pacchetti, ciascuno dei quali dotato di un numero progressivo e degli indirizzi del mittente e del destinatario.

Grazie a questo sistema vennero ottenuti due importanti benefici; il primo riguardava la rete: qualunque fosse il suo stato, il pacchetto poteva trovare la via per raggiungere la meta; inoltre diventava possibile instradare pacchetti provenienti da località diverse su poche linee ad alta velocità senza dover ricorrere a molte linee normali usate saltuariamente.

Il primo protocollo sviluppato per la commutazione di pacchetto su ARPAnet è stato l’NCP, o Network Control Protocol.

Questo risultò poco efficiente e i progettisti di ARPAnet misero insieme le specifiche di un centinaio di proposte di protocollo fino a definire l’odierno TCP-IP.

Il TCP-IP costituisce da allora la base della moderna concezione di internet, considerando che ogni computer connesso alla rete ha un proprio indirizzo IP. Nel 1983 la Defense Communication Agency, assumendo ufficialmente l’utilizzo del TCP-IP, la divise in due sezioni. La prima chiusa a carattere militare con il

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22 nome di Milnet24, la seconda a carattere scientifico denominata ARPAnet, che non aveva alcun limite di connettività.

Nello stesso periodo John Postel creò un nuovo protocollo per la gestione della posta elettronica denominato SMTP (Simple Mail Transfer Protocol) e insieme a Craig Partridge e Paul Mockapetris studiò un nuovo sistema di identificazione dei nodi della rete che fosse più immediato ed intuitivo dell’utilizzo dell’indirizzo IP.

Il risultato della loro ricerca fu il Domain Name System. Da quel momento in avanti lo sviluppo della tecnologia della rete andò a toccare un’altra caratteristica: la velocità di trasmissione dei dati.

Le Università di Princeton e Pittsburgh, assieme ad altri tre centri di ricerca, disponevano di elaboratori particolarmente avanzati e costosi e la National Science Foundation Network (NSF) decise di investire nella realizzazione di una dorsale che le collegasse con una linea a 56K (la velocità raggiunta dagli attuali modem analogici con tecnologia V90).

Il successo del collegamento convinse tutte le università americane a sottoscrivere l’offerta della NSF, originando NSFnet.

Nel 1988 NSFnet dovette adeguare la velocità della linea al crescente numero degli utenti portandola a 1,5 Mbps. Nello stesso anno nacque IRC (Internet Replay Chat) in assoluto la prima chat che permise a più utenti di dialogare per iscritto in tempo reale. I diecimila host iniziali decuplicarono nel giro di un anno. La “vecchia” ARPAnet segnava il passo e in confronto a NSFnet si dimostrava ormai obsoleta. Nel 1989 la Defense Advanced Research Projects Agency, detta anche DARPA, trasferì sulla nuova rete tutti i siti e decretò ufficialmente la fine di ARPAnet.

All’inizio degli anni ’90 le politiche di accesso a NSFnet vennero modificate per consentire l’ingresso nella rete anche a fini commerciali. La crescita del numero di utenti divenne quasi incontrollabile e, dal momento che non era possibile tenere sotto controllo anche la loro qualità, si rese necessario pensare alle misure

24 È il nome che venne dato a quella parte di ARPANET (il predecessore dell'odierno Internet), designato

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23 di sicurezza da adottare sulla rete. Già nel 1988 era stato infatti rilevato il primo virus, che aveva causato danni agli oltre 60.000 computer connessi. Philip Zimmerman inventò Pretty Good Privacy (PGP), un sistema di crittazione dei messaggi che fu adottato anche da CIA e FBI. Paul Lindner e Mark McCahill dell’Università del Minnesota crearono invece con Gopher una razionalizzazione delle informazioni, strutturate per gerarchia, basata sul modulo server che gestisce la struttura ad albero accessibile al cliente.

Nel 1991 iniziò la collaborazione “europea” alla struttura di internet: Tim Berners Lee del CERN di Ginevra sviluppò un sistema per consultare in modo intuitivo informazioni, dati e immagini che diede corpo al World Wide Web. La consultazione, grazie all’Hyper Text Marking Language (HTML), fu così fluida da essere definita “surfing”.

Presto nacquero anche gli strumenti di consultazione e ricerca come Veronica nel 1992 che precedette i capostipiti degli attuali browser: il primo probabilmente fu Mosaic del 1993 della National Center Supercomputing Applications, a cui seguirono Netscape Navigator nel 1994 e Microsoft Internet Explorer nel 1995. Tutte queste premesse costituirono la base di una rete caratterizzata dal rapido sviluppo commerciale e dall’accesso sempre più capillare.

Una estensione tale da rendere indispensabile, nell'ultimo decennio, l'adozione di adeguate misure di sicurezza informatica.

Oggi internet è un mezzo di comunicazione globale che ha annullato le distanze, trasformato il concetto di informazione e messo il sapere in rete e ha rivoluzionando anche l'economia. Fin dagli anni ’90 l’avvento del web ha permesso alle imprese italiane di ammodernare il proprio modo di relazionarsi nei confronti di partner, fornitori e consumatori.

Internet è entrato in tutte le fasi della catena del valore e ha apportato benefici in ogni step della filiera: dalle relazioni con i fornitori ai metodi produttivi, dai modelli di vendita alle strategie di marketing. In Italia si stima che abbia già creato 700mila nuovi posti di lavoro e che l'Internet Economy abbia contribuito al 2% del PIL nel 2010. Numeri assolutamente rilevanti anche se il nostro Paese sconta un ritardo nella sua diffusione. Nonostante internet sia innegabilmente un

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24 fenomeno globale, non tutti i Paesi hanno reagito allo stesso modo. La “Rivoluzione del Web” è stata accolta, assorbita e incentivata in maniera diversa e a velocità differenti. L’Italia in particolare vanta una discreta evoluzione nello sviluppo delle infrastrutture, mentre mostra ancora carenze dal un punto di vista di diffusione della cultura digitale.

Per comprendere l’attuale “stato di salute” di internet nel nostro Paese, possiamo esaminare i dati forniti dalla Boston Consulting Group, inerenti a:

- Il fattore “Enablement”: cioè quanto è disponibile e diffuso il broadband fisso e mobile?

- Il fattore “Expenditure”: cioè quanto spendono i consumatori e le imprese per acquisti e pubblicità online?

- Il fattore “Engagement”: cioè qual è il livello di imprese, istituzioni e consumatori che usano internet?

Tabella 1.4 – Classifiche dei Paesi UE per Enablement, Expenditure ed

Engangement

Fonti: Akamai; Eurostat, Infotmation Technology & Innovation Foundation; Organization for Economic

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25 L’Italia ottiene un discreto fattore per quanto riguarda l’enablement, ma risulta penalizzata nell’engagement e nell’ expenditure per la scarsa propensione agli acquisti online sia da parte delle aziende che dei consumatori.

Se analizziamo il primo indice l’Italia si trova al 21esimo posto su 28, davanti però a paesi come Stati Uniti o Canada, tecnologicamente più avanzati ma penalizzati nella classifica da una penetrazione molto bassa di mobile broadband. L’Italia è invece al penultimo posto della classifica riguardante l’indice dell’expenditure, ben lontana dai vertici occupati da Regno Unito e Danimarca. La limitata diffusione dell’e-commerce e lo scarso utilizzo del web come vetrina pubblicitaria sono le cause principali di questo risultato.

Anche riguardo all’engagement, l’Italia si trova al penultimo posto. Questo indice si può scomporre in tre variabili che rappresentano cosi le tre categorie di soggetti che utilizzano internet: consumatori, imprese e istituzioni. Possiamo così notare che il comportamento dei soggetti presi in esame muta notevolmente. Per quanto riguarda i consumatori, l’Italia sconta un basso numero di soggetti che utilizzano internet per acquisti e cessioni; dai dati forniti da Netcomm, al 2011 erano “solo” 11 milioni gli italiani che almeno una volta avevano acquistato usando il metodo online. I dati aggiornati al 2015 però fanno emergere un’altra situazione: la tendenza all’acquisto online sta progressivamente cambiando: possiamo vedere che sono 21,8 milioni di italiani che hanno comprato online almeno una volta nella vita, di questi 10 milioni sono acquirenti online abituali, cioè con acquisti di almeno una volta al mese. Di questi il 23% è la quota di acquirenti online che nell’ultimo anno ha fatto acquisti da app su dispositivo mobile. Questa crescita è dovuta senz’altro all’avvento dei nuovi telefoni cellulari, i cosiddetti smartphone che hanno facilitato il procedimento di acquisizione tramite rapide ed efficienti applicazioni.

Prendendo a riferimento le imprese, un dato positivo è quello riguardante l’e-intensity: gli ultimi dati aggiornati al 2011 riscontrano una crescita sempre più alta del numero di aziende che sviluppano un proprio sito internet e che ricorrono all’ e-commerce, sia in termini di B2B (ovvero di acquisto e vendita tra imprese) che in termini di B2C (ovvero vendita diretta al consumatore).

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Tabella 1.5 - Grado di “E-Intensity” in Italia

Fonti: ISTAT; CNR; Questionario BCG; Analisi BCG, 2011

Anche le istituzioni, e più in generale il mondo dell’amministrazione pubblica, si sono adeguate alle novità portate dall’informatizzazione e dalla digitalizzazione. L'uso delle tecnologie è di ausilio all'attività dei pubblici poteri, ma più in profondità è in grado di modificarne tratti e operato. Il processo di informatizzazione si è sviluppato sull'idea che l'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'operato della pubblica amministrazione poteva tradursi in un risparmio economico e in un accrescimento complessivo dell'efficienza. I vantaggi portati si rispecchiano in una minore burocrazia che porta ad una riduzione del fattore tempo e una maggiore trasparenza dei dati.

Per sintetizzare al meglio cosa significa “crescita digitale” possiamo riprendere la definizione fornita da Simoni e Ferra, i quali affermano che essa “non è semplicemente l'aumento del numero di persone davanti a uno schermo, ma è lo sviluppo che trae origine da una maggiore e migliore diffusione di internet nell'economia, e di una più accorta interazione con il mondo della formazione,

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27 del lavoro in azienda, degli enti pubblici, e con gli altri fattori della produzione”26.

E' ormai passata una generazione da quando i primi browser iniziarono a connettere a internet le persone più giovani e intraprendenti.

Il rumore dei primi modem è un ricordo ormai confinato a una porzione veramente piccola della popolazione.

Nella nostra epoca internet è un'esperienza di massa che unisce in maniera crescente diverse classi di età (nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per essere online), diverse fasce di reddito (la connettività veloce costa molto meno di un euro al giorno) e gran parte del territorio nazionale. Possiamo prendere ad esempio due regioni simbolo dell’Italia: la Lombardia e la Sicilia. Nella prima il 54% delle persone si connette a internet almeno una volta a settimana; in Sicilia questo numero scende al 40% a ricordare le persistenti differenze territoriali del Paese, ma anche a segnalare come internet riesca a penetrare, superando difficoltà che in altri ambiti restano più marcate27. Come tutte le novità, internet è un fenomeno che suscita sensazioni e reazioni divergenti. Da un lato, c'è chi ne sottolinea il carattere rivoluzionario, la capacità di rompere vecchie abitudini e creare nuove opportunità e nuovi modelli; dall'altro, c'è chi viene spaventato dalla novità.

Il primo dominio italiano è stato registrato nel 198728 quando nel mondo

esistevano solo 10.000 computer connessi alla rete. A fine 2010 i siti con il suffisso .it hanno superato i 2 milioni, mentre internet è ormai diventato uno dei principali fattori propulsivi dell’economia nazionale.

L’attuale digital divide anagrafico, ovvero il divario tra chi ha e chi non ha accesso alla rete, in termini di età, è un dato che tenderà a diminuire nel prossimo futuro.

26 M. Simoni e S. Ferra, “La crescita digitale: come internet crea lavoro, e come potrebbe crearne di più”,

rapporto redatto per l’associazione “Italia Futura”, 2012.

27 Banca dati indicatori territoriali per le politiche di sviluppo, ISTAT, 2011.

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Tabella 1.6 - Penetrazione di Internet nella popolazione tra i 6 e i 44 anni

Fonte: Istat, analisi BCG, 2010

Altro dato interessante è quello inerente al comportamento dei 28 milioni di navigatori italiani durante l’arco della giornata. I dati riportati da Netcomm ci dicono che in media la popolazione italiana trascorre online 1 ora e 35 minuti al giorno, con un numero di utenti attivi, nella fascia orario tra le 9 e le 24, tra i 5 e i 7 milioni, a testimonianza che il web viene utilizzato sia nel tempo libero che sul luogo di lavoro.

Altro elemento importante che ha cambiato le abitudini lavorative e commerciali del mondo è stato l’avvento della posta elettronica.

Questo nuovo meccanismo virtuale ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare, nel lavoro e nel privato.

Nell’ottobre 1971 Ray Tomlinson, studente laureato al MIT e programmatore, sperimenta l’invio di un messaggio sulla base di un programma da lui elaborato che doveva servire a mettere in contatto computer che rientravano nella famosa ARPAnet.

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29 Un primo tentativo in realtà era già stato fatto nel 1969, ma solo in questa circostanza l’invio andò a buon fine.

A Tomlinson va anche attribuita la paternità del simbolo @, la famigerata “chiocciola” che, a partire dalla fine degli anni ’80, sarà ufficialmente utilizzata come standard mondiale per identificare gli indirizzi di posta elettronica.

La chiocciola fa da elemento separatore tra il nome del titolare dell’indirizzo (dominio) e il computer o la rete utilizzata (nome DNS).

Nel 1978 è però Shiva Ayyadurai, liceale indiamo futuro scienziato del MIT, a “inventare” l’email secondo il formato che oggi conosciamo, con la suddivisione nelle caselle “posta in arrivo”, “posta inviata” e cartelle di memorizzazione. Successivamente nel 1982 viene sviluppato il meccanismo elettronico della mailing list, ossia gruppi di discussione elettronica per email.

Oggi le caratteristiche di un messaggio di posta elettronica consentono a ogni utente connesso alla rete da PC o dispositivi portatili (smartphone, palmari, tablet) di inviare messaggi dal proprio account, che si crea grazie a uno dei tanti provider, cioè fornitori di servizi di posta elettronica. Al messaggio possono essere anche aggiunti allegati, file di testo o multimediali, come immagini, video o registrazioni audio. Ogni utente può avere una o più caselle di posta, accessibili solitamente dopo un’autenticazione attraverso la compilazione di username e password personali. Il messaggio viene consegnato in pochi istanti e non è necessario che il destinatario sia collegato a internet in quel preciso momento; per questo l’email è definita anche una forma di comunicazione asincrona. Ciò ha portato a un grande cambiamento nel modo di lavorare e di comunicare, accorciando le distanze spazio-temporali.

Negli ultimi anni l’universo della messaggistica elettronica si è allargato notevolmente: sono tantissimi i gestori di servizi di posta elettronica e la capienza delle caselle è progressivamente aumentata, così da supportare anche l’invio e la ricezione di file multimediali sempre più “pesanti” in termini di byte. Si è sviluppato inoltre anche il ramo della messaggistica istantanea, attraverso l’uso di chat, che permettono agli utenti una comunicazione virtuale in tempo reale. Dal punto di vista legislativo dal 2010 è diventata obbligatoria per imprese

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30 e professionisti la PEC (Posta elettronica certificata), una mail che ha valore legale paragonabile a quello di una raccomandata con ricevuta di ritorno, uno strumento che si sta rivelando molto utile per certificare l’autenticità dei messaggi scambiati e la sicurezza dei dati in essi contenuti.

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CAPITOLO

2

L’EVOLUZIONE DELL’ELABORAZIONE DATI

INTRODUZIONE:

L’impiego del primo elaboratore elettronico prodotto in serie risale a circa 60 anni fa, ma la sua presenza sta diventando sempre più sensibile nella nostra vita di ogni giorno.

Nato per eseguire calcoli matematici, l’elaboratore oggi è ben più di una semplice macchina da calcolo, anche se continua a compiere il proprio lavoro sommando lunghe file di 1 e di 0. È uno strumento operativo che fornisce rapidamente e nella forma più opportuna le informazioni richieste in misura sempre maggiore non solo dalle aziende, ma anche dalla società civile. Informazioni necessarie all’uomo per migliorare sul piano industriale, scientifico e organizzativo, per conoscere ed affrontare meglio, giorno per giorno, la complessa realtà del nostro tempo.

Questo capitolo vuole ripercorre la storia dell’elaborazione dati, primo servizio offerto dalla Sesa attraverso le apparecchiature IBM, dalla sua nascita alla fine del 1800, fino agli anni ’70 del secolo scorso.

Un percorso che vedrà nei suoi punti chiave 3 diverse generazioni di elaboratori, le quali hanno dato vita a rivoluzioni tecnologiche che hanno cambiato tipologie di macchinari e metodi lavorativi delle imprese.

Il capitolo sarà suddiviso in una prima parte dove si descriverà la nascita del calcolo automatico, e dell’elaborazione dati; proseguirà con l’avvento del primo calcolatore elettronico della storia “moderna”, analizzando nel dettaglio le 3 generazioni che hanno permesso lo sviluppo del personal computer fino agli anni ’70, periodo in cui nasce e si sviluppa il futuro Gruppo Sesa.

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32 2.1. LA NASCITA DEL CALCOLO AUTOMATICO

“Non è ammissibile che studiosi e scienziati, anziché elaborare e confrontare nuove teorie, perdano le proprie ore, come schiavi, nelle fatiche del calcolo, che potrebbe essere affidato a chiunque se si potessero usare delle macchine…”

G.W. Leibniz

Nel 1642 a diciannove anni il matematico, filosofo e scrittore francese Blaise Pascal inventò una macchina che dimostrava come i calcoli potessero essere compiuti in modo puramente meccanico.

Una serie di ruote (che rappresentavano le unità, le decine e le centinaia) portavano sulla circonferenza le cifre da 0 a 9 ed erano collegate tra loro mediante ingranaggi.

La rotazione completa di una ruota faceva avanzare di un’unità la ruota alla sua sinistra: per la prima volta una macchina eseguiva automaticamente il “riporto”, fino a quel momento conteggiato a mente dall’uomo. Per altri trecento anni il riporto automatico resterà il principio fondamentale di tutti gli strumenti di calcolo, dal contachilometri dell’automobile alla calcolatrice da tavolo.

Successivamente nel 1671, allo scopo di rendere automatici i calcoli delle tavole trigonometriche, il tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz progettò una macchina calcolatrice che utilizzava i pignoni dentati di varia lunghezza e una versione aggiornata e perfezionata del meccanismo di riporto ideato da Pascal. In questo modo venivano eseguite meccanicamente le moltiplicazioni e le divisioni sotto forma di addizioni e sottrazioni ripetute.

Lo sviluppo delle scienze, degli studi astronomici e della navigazione marittima portò a una fioritura, nei secoli XVII e XVIII, di invenzioni e progetti di mezzi meccanici per effettuare in modo più rapido i calcoli sempre più complessi che si rendevano necessari.

Le raffinate invenzioni di Pascal e di Leibniz rimasero però limitate alla ristretta cerchia degli scienziati loro contemporanei. La tecnica del tempo non era infatti

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33 in grado di produrre in serie i pezzi di grande precisione richiesti per il funzionamento delle macchine. Soltanto dopo la seconda Rivoluzione industriale, con il perfezionamento delle tecniche meccaniche e produttive, divenne possibile realizzare e produrre in serie i diversi strumenti. Nello stesso tempo, grazie allo sviluppo dei commerci e delle società bancarie, accrebbe rapidamente l’interesse verso le macchine calcolatrici che potevano far risparmiare tempi e denaro. Nel 1820, il finanziere Charles-Xavier Thomas del Colmar ideò un dispositivo a pignoni dentati che eseguiva moltiplicazioni e divisioni basandosi sullo stesso principio della calcolatrice di Leibniz. A differenza della calcolatrice di Leibniz, questa macchina era molto più pratica e incontrò notevole successo: dal 1820 al 1890 ne vennero prodotte migliaia di pezzi.

Tutti dispositivi dell’epoca però non disponevano di congegni automatici veri e propri se non per effettuare i riporti: mancava ancora un sistema di comando che consentisse alla macchina di passare da un’operazione all’altra senza l’intervento dell’uomo. Tutto questo fino al 1822 quando il matematico inglese Charles Babbage realizzò una “macchina differenziale” che era in grado di svolgere automaticamente calcoli scientifici ed astronomici. Dieci anni più tardi mise a punto un altro progetto di una “macchina analitica” che combinava per la prima volta l’idea delle schede perforate con quella delle ruote a riporto automatico. L’idea della perforazione delle schede è da attribuire al francese Joseph-Marie Jacquard che nel 1804 perfezionò l’invenzione del meccanico Jean-Baptiste Falcon che un secolo prima aveva scoperto un nuovo sistema per rendere automatiche alcune fasi del lavoro di tessitura. Il telaio era guidato automaticamente nei suoi movimenti da una serie di fori praticati su delle schede di cartone. Nasceva così la “scheda perforata” che trasmetteva a una macchina le istruzioni necessarie al suo funzionamento.

La macchina analitica ideata da Babbage rimase solo un progetto e non venne realizzata per problemi economici, anche se essa sarebbe stata in grado di compiere da sola tutte le operazioni aritmetiche sui numeri e di eseguirle in sequenze diverse per risolvere determinati problemi. L’aspetto più rivoluzionario

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34 era però lo schema generale della macchina identico a quello che verrà adottato, un secolo più tardi, negli elaboratori elettronici moderni.

Nel 1887 il diciottenne Léon Bollée costruì la prima macchina capace di eseguire le moltiplicazioni direttamente e non mediante addizioni in ripetute. Il meccanismo moltiplicatore era costituito da una serie di piastre metalliche su ciascuna delle quali erano fissate nove linee e nove colonne di aste di lunghezza diseguale.

Più tardi questa invenzione fu ripresa dallo svizzero Otto Steiger che nel 1892 progettò la “Milionaire”, una macchina calcolatrice a moltiplicazione diretta basata sul principio di Bollée. La moltiplicazione di ogni giro avveniva mediante una rotazione di manovella. La “Millionaire” ebbe un largo successo commerciale: dal 1894 al 1935 ne furono venduti circa 4.500 esemplari per impieghi contabili, statistici e scientifici.

Agli inizi del 1900 l’enorme progresso della tecnica permise di realizzare su vasta scala i progetti che si erano accumulati nei secoli precedenti, formando un considerevole patrimonio di idee. Le macchine calcolatrici, che diventeranno in seguito elettriche, vennero prodotte in serie da importanti società e si diffusero rapidamente, soprattutto nel mondo degli affari. Le calcolatrici del primo Novecento però presentavano tuttavia limitate possibilità applicative e richiedevano il continuo intervento manuale dell’uomo.

2.1.1. Herman Hollerith: il pioniere dell’elaborazione dati.

Nel 1887 non erano ancora terminati i calcoli del censimento americano del 1880, affidati manualmente a centinaia di impiegati. In previsione del censimento del 1890, l’esperto di statistica Herman Hollerith inventò un sistema per rappresentare il nome, l’età, il sesso l’indirizzo e altri dati essenziali di ogni persona sotto forma di fori praticati su una scheda di cartoncino e contati poi elettricamente. Sfruttando questa idea, il governo degli Stati Uniti ottenne i risultati del nuovo censimento in appena due anni e mezzo, sebbene la

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35 popolazione era intanto cresciuta da 50 a 63 milioni. Il successo nel censimento americano fece sì che le macchine di Hollerith fossero immediatamente impiegate anche nei censimenti austriaci e norvegesi e nel primo censimento della storia russa, tenutosi nel 1886.

Tutti i dati relativi ai nuclei familiari degli Stati Uniti (nome, indirizzo, età) contenuti nei 13 milioni di moduli raccolti per il censimento del 1890 vennero trasformati in una serie di fori su scheda mediante uno speciale strumento a pantografo. La scheda era divisa in 240 zone, ciascuna delle quali aveva un particolare significato: ad esempio un foro in una data zona indicava che l’età del censito è di 30 anni, in un’altra zona che abitava in una determinata città. Per leggere le informazioni registrate sulle schede queste venivano inserite una alla volta in un apposito meccanismo ad aghi. Premendo una leva gli aghi percorsi da corrente elettrica si abbassavano: dove c’era un foro l’ago passava, toccava il mercurio sottostante e faceva così scattare di un’unità il relativo contatore. La presenza di 40 contatori sulla macchina “tabulatrice” permetteva di contare simultaneamente diverse risposte fornite dalle persone censite, mentre un’altra macchina “selezionatrice” suddivideva rapidamente in blocchi le schede secondo l’età, il sesso, il luogo di nascita e tutti i dati riportati dal censimento: non appena veniva letto un foro o un gruppo di fori specifici, si apriva automaticamente un determinato sportellino nel quale l’impiegato riponeva la scheda.

L’elaborazione dei dati mediante macchine meccanografiche comprendeva tre fasi distinte: l’introduzione dei dati sulla scheda (perforazione); la loro elaborazione (selezione, inserimento e calcolo), ed infine l’ottenimento dei risultati sotto forma di perforazioni su schede o di prospetti stampati (tabulazione).

Successivamente le macchine di Hollerith vennero perfezionate per compiere diverse operazioni sulle schede perforate e, dagli uffici governativi, ben presto si diffusero nelle aziende e nelle industrie di maggiori dimensioni per risolvere problemi contabili e amministrativi. Per aumentare il numero di informazioni registrate su ogni scheda, Hollerith scelse le dimensioni della banconota da un

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36 Dollaro, che rimarrà da allora il formato standard delle schede, e cambiò la dimensione e la posizione dei fori.

Nei primi anni del ’900 Hermann Hollerith viaggiava instancabilmente attraverso l’America e l’Europa per promuovere l’idea delle sue macchine a schede perforate che permettevano di organizzare e classificare velocemente ed economicamente grandi quantità di dati. Dal 1900 al 1940 queste macchine vennero modificate, perfezionate e rese sempre più veloci.

La rapida crescita delle aziende, l’aumento dei compiti affidati agli enti pubblici, l’espandersi dell’economia e dell’industria, soprattutto negli Stati Uniti, richiedevano nuovi strumenti contabili e organizzativi. L’estendersi delle dimensioni delle imprese portò l’esigenza di disporre tempestivamente di una documentazione sempre più vasta. La validità delle macchine a schede perforate per risolvere i problemi del mondo commerciale e produttivo stava nella capacità di ridurre gli archivi e i carteggi divenuti ormai troppo voluminosi, ottenere in tempi più brevi i risultati più precisi e di diminuire i costi per conoscere in ogni momento la situazione esatta in cui si trovava l’azienda. Inoltre le macchine a schede perforate non solo meccanizzarono lavori prima svolti a mano, come la contabilità, ma consentirono di svolgerne altri, fino allora impossibili, quali ad esempio l’analisi dei costi e delle vendite. Le prime ad utilizzare le macchine meccanografiche furono le aziende che dovevano raccogliere ed elaborare grandi masse di informazioni, per esempio, le compagnie telefoniche per registrare ed addebitare le conversazioni; le ferrovie per seguire il trasporto delle merci o le società di assicurazione per studiare le statistiche delle mortalità e degli incidenti Nel 1928, pur mantenendo le dimensioni del biglietto da un Dollaro, la capacità delle schede di contenere informazioni venne quasi raddoppiata: le colonne dei dati vennero portate da 45 a 80. I fori assunsero forma rettangolare: in ciascuna colonna ci potevano essere uno o più fori che rappresentavano un numero, una lettera o un carattere speciale. A seconda della particolare applicazione cui sono destinate, le schede venivano suddivise in modo diverso mediante linee verticali. Potevano essere anche impiegati colori differenti per rendere più facilmente riconoscibili varie zone. Per aumentare la quantità di informazioni

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