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Claustro: utilizzo della proteomica per individuare profili proteici caratterizzanti

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

CLAUSTRO: UTILIZZO DELLA PROTEOMICA PER

INDIVIDUARE PROFILI PROTEICI

CARATTERIZZANTI

Relatore: Candidata:

Prof.ssa Maria Rosa Mazzoni Valentina Leonori Prof. Antonio Lucacchini

Correlatore:

Dott.ssa Laura Giusti

(2)

1

Quando l’arciere tende la corda, può vedere il mondo intero dentro il suo arco. Quando segue il volo della freccia, questo mondo gli si

avvicina, lo accarezza, dandogli la perfetta sensazione di aver compiuto il proprio dovere.

(3)

2

Ai miei genitori,

per l’amore con cui mi hanno cresciuto,

per la forza e il sostegno che mi hanno dato in questo percorso, e per aver sempre creduto in me e in quella che sono diventata oggi.

(4)

3

CAPITOLO 1 ... 5

UN APPROCCIO ALLA QUESTIONE CLAUSTRALE ... 5

1.1 – IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE ... 5

1.1.1 – Il Telencefalo ... 7 1.1.2 - Il Mesencefalo... 8 1.1.3 – Il Cervelletto ... 9 1.1.4 – Il Diencefalo ... 9 1.1.5 – Il Sistema Limbico ... 10 1.2 - IL CLAUSTRO ... 10 1.2.1 – Anatomia macroscopica ... 11 1.2.2 - Anatomia microscopica ... 12 1.2.3 – Filogenesi ... 16 1.2.4 - Ontogenesi ... 16 1.2.5 - Angioarchitettura ... 20

1.2.6 - Studi di lesione, stimolazione claustrale e concomitanze comportamentali ... 21

1.2.7 – Connessioni ... 22

1.2.8 – Funzioni ... 25

1.3 - PATOLOGIE DEL SNC POSSIBILMENTE CORRELATE ALLA FUNZIONE CLAUSTRALE ... 28

1.3.1 – Il Claustro e la Demenza ... 28

1.3.2 – Il Claustro e il morbo di Parkinson ... 33

CAPITOLO 2 ... 36

SCOPO DELLA TESI ... 36

CAPITOLO 3 ... 37

METODI DI ANALISI ... 37

3.1 – LA PROTEOMICA ... 37

3.1.1 – L’elettroforesi bidimensionale (2-DE) ... 38

3.1.2 – La spettrometria di massa (MS) ... 40

CAPITOLO 4 ... 43

MATERIALI E PROCEDIMENTI ... 43

4.1 – MATERIALI E STRUMENTI ... 43

(5)

4

4.2.1 – La preparazione del campione tramite l’omogeneizzatore Potter ... 44

4.2.2 – Il dosaggio proteico RC-DC Biorad ... 46

4.2 – ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE ... 48

4.2.1 – Reidratazione delle strip ... 48

4.2.2 – Isoelettrofocalizzazione (IEF) ... 49

4.2.3 – Equilibratura delle strip... 50

4.2.4 – Preparazione dei gel ... 52

4.2.5 – SDS – PAGE ... 53

4.3 – WESTERN BLOT (WB) ... 53

4.3.1 – Elettroblot su nitrocellulosa ... 54

4.3.2 – Colorazione con rutenio ... 55

4.3.3 – Blocking ... 56

4.3.4 – Anticorpi e rilevazione enzimatica delle proteine di interesse tirosina idrossilasi e dopamina β-idrossilasi ... 56

CAPITOLO 5 ... 58

RISULTATI E DISCUSSIONE... 58

(6)

5

INTRODUZIONE

Che cos’è il claustro? Il claustro è una delle strutture cerebrali più enigmatiche di tutti i mammiferi maggiori. A partire dal ⅩⅨ secolo, un gran numero di studi si sono concentrati su questo piccolo nucleo. Tuttavia, molti dati sono diversi fra loro; ci sono visioni contrastanti per quanto riguarda la definizione strutturale del claustro e le sue possibili funzioni. Integrando la letteratura esistente sull’anatomia e sulla fisiologia claustrale con le teorie sulle funzioni del claustro, vengono discusse nuove visioni su come il claustro possa contribuire alla funzione cognitiva cerebrale (1).

CAPITOLO 1

UN APPROCCIO ALLA QUESTIONE CLAUSTRALE 1.1 – IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

Per comprendere bene l’organizzazione anatomica dell’encefalo dell’adulto è opportuno partire dall’origine embrionale.

Nelle prime fasi dell’embriogenesi, il SNC, ha la forma di un tubo definito tubo neuronale, all’interno del quale si trova un liquido definito neurocele. Successivamente la porzione del tubo inizia a dilatarsi formando tre espansioni, definite vescicole primitive: il proencefalo (o encefalo anteriore), il mesencefalo e il rombencefalo (o encefalo posteriore).

(7)

6

Figura n.1: tubo neuronale

Poi la prima e l’ultima vescicola si dilatano ulteriormente e ciascuna di esse si suddivide in due vescicole secondarie: il proencefalo da origine al telencefalo (che dopo la nascita costituirà il cervello) e al diencefalo, mentre dal romboencefalo si formano il metencefalo (le cui porzioni dorsale e ventrale diventeranno, rispettivamente, il cervello e il ponte) e il mielencefalo, che darà origine al bulbo o midollo allungato. Il bulbo, il ponte e il mesencefalo sono anche denominati nel loro insieme tronco encefalico.(2)

Le strutture encefaliche sono protette dai traumi, dalla scatola cranica, dalle meningi encefaliche e dal liquido cerebrospinale.

Il sistema nervoso centrale, quindi è costituito dal midollo spinale e dal cervello. Il cervello è costituito da sei regioni ciascuna delle quali può essere suddivisa in aree anatomicamente e funzionalmente distinte.

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7

Le principali sei regioni cerebrali sono il bulbo, il ponte, il cervelletto, il mesencefalo, il diencefalo e gli emisferi cerebrali o telencefalo.(3)

1.1.1 – Il Telencefalo

Gli emisferi cerebrali sono la regione più vasta di tutto il sistema nervoso centrale dell’uomo e comprendono la corteccia cerebrale, la sostanza bianca sottostante e tre formazioni nucleari profonde: i nuclei della base, l’amigdala e la formazione dell’ippocampo.

La corteccia cerebrale o pallium (dal greco conchiglia), si presenta più sottile nelle aree sensitive primarie e più spessa nelle aree motorie e associative. La superficie corticale è caratterizzata dall’essere per più della metà nascosta all’interno dei solchi. La corteccia è costituita da molti neuroni, cellule neurogliali e un esteso letto capillare.

La capacità della corteccia cerebrale di elaborare le informazioni sensoriali, di associarle con stati emozionali, di immagazzinarle in memoria e di iniziare le azioni comportamentali, sono modulate da tre strutture situate profondamente all’interno degli emisferi cerebrali: i nuclei della base, la formazione dell’ippocampo e l’amigdala.

Le principali formazioni dei nuclei della base sono il nucleo caudato, il putamen, il globus pallidus. I neuroni dei nuclei della base regolano il movimento e sono implicati anche in funzioni di natura cognitiva come l’apprendimento di abilità motorie. Ricevono afferenze da tutte le regioni della corteccia cerebrale, ma inviano proiezioni afferenti attraverso il talamo, solo alla corteccia frontale. Le quattro principali formazioni che compongono i nuclei della base sono: lo striato, il globus pallidus, la substantia nigra e il nucleo subtalamico. Lo striato è costituto dal nucleo caudato, il putamen e lo striato ventrale. Lo striato è la formazione che riceve le principali afferenze dei nuclei

(9)

8

della base dalla corteccia cerebrale, dal talamo e dal tronco del’encefalo. I suoi neuroni proiettano al globus pallidus e alla sustantia nigra. Da questi due nuclei, i cui neuroni hanno somi morfologicamente simili, prendono origine le principali proiezioni dei nuclei della base.

L’ippocampo e le regioni corticali ad esso associate formano il pavimento del corno temporale del ventricolo laterale. Nel loro insieme, queste formazioni sono responsabili della formazione delle memorie a lungo termine relative alle nostre esperienze giornaliere. Tuttavia, l’ippocampo non è la sede di immagazzinamento permanente delle memorie.

L’amigdala, che è disposta rostralmente all’ippocampo, è implicata nell’analisi del significato emozionale o motivazionale degli stimoli sensoriali e nella coordinazione dei vari sistemi cerebrali, al fine di permettere agli individui di dare risposte appropriate. L’amigdala riceve afferenze direttamente dai principali sistemi sensoriali, e a sua volta, proietta al neocortex, ai nuclei della base, all’ippocampo e a diverse strutture subcorticali, fra le quali l’ipotalamo. Attraverso le sue proiezioni al tronco dell’encefalo, l’amigdala può modulare le componenti somatica e viscerale del sistema nervoso periferico. E in tal modo può coordinare la risposta del corpo a specifiche situazioni. Ad esempio le risposte ad una situazione di pericolo, quali il senso di paura e le variazioni di frequenza cardiaca e respiratoria sono mediate dall’amigdala e dalle sue connessioni.(3) (4)

1.1.2 - Il Mesencefalo

Il mesencefalo, che è la regione più piccola del tronco dell’encefalo, è disposto rostralmente al ponte. I neuroni del mesencefalo stabiliscono

(10)

9

importanti connessioni fra i componenti dei sistemi motori, quali, in particolare, il cervelletto, i nuclei della base e gli emisferi cerebrali. Per esempio, la substantia nigra, fornisce un’importante afferenza ad una parte dei nuclei della base implicati nella regolazione dei movimenti volontari.(3)

1.1.3 – Il Cervelletto

Il cervelletto, disposto rostralmente al ponte, è quello che contiene un numero maggiore di neuroni di tutte le suddivisioni cerebrali, compresi gli emisferi. Il cervelletto riceve afferenze somatosensitive dal midollo spinale, informazioni motorie dalla corteccia cerebrale e informazioni concernenti il senso dell’equilibrio dagli organi vestibolari dell’orecchio interno.(3)

1.1.4 – Il Diencefalo

Il diencefalo presenta due suddivisioni principali:

- Talamo: è una struttura di forma ovale che forma la parte dorsale del diencefalo. Esso costituisce una stazione di ritrasmissione essenziale delle informazioni sensoriali (a parte quelle olfattive), che provengono dai recettori periferici alle regioni degli emisferi cerebrali deputate all’analisi delle informazioni sensoriali. Quindi il talamo determina se le informazioni sensoriali debbano raggiungere il livello di coscienza a livello del neocortex. Il talamo prende parte ai processi di integrazione delle informazioni motorie provenienti dal cervelletto e dai nuclei della base e, ritrasmette queste informazioni alle regioni degli emisferi cerebrali implicate nel movimento. Il diencefalo contiene anche

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10

regioni che, al pari della formazione reticolare, si ritiene influenzino i livelli di attenzione e di coscienza.

- Ipotalamo: è disposto ventralmente rispetto al talamo e regola numerose forme di comportamento che sono essenziali per l’omeostasi e la riproduzione. Per esempio, esso controlla svariate funzioni corporee, quali l’accrescimento, l’assunzione di cibo e di liquidi e la secrezione di ormoni da parte dell’ipofisi.(3)

1.1.5 – Il Sistema Limbico

Il sistema limbico comprende un complesso di centri e di vie del telencefalo e del diencefalo in rapporto con stimoli viscerali, olfattivi e somatici, che vengono integrati in modo da produrre le cosiddette risposte omeostatiche, volte a finalizzare il comportamento sulla base dello stato emozionale. Inoltre, il sistema limbico ha un ruolo nei processi di memorizzazione e nell’arricchimento emozionale delle sensazioni. Il sistema limbico, che si ripete simmetricamente nei due emisferi e si colloca subito sopra il tronco cerebrale, con cui è strettamente connesso, è costituito da una cornice di tessuto corticale che accoglie un gruppo di strutture profonde tra cui l'amigdala, l'ippocampo, il giro paraippocampale, il giro del cingolo, l'ipotalamo, il talamo, la corteccia prefrontale mediale, l'insula e l'uncus.(4)

1.2 - IL CLAUSTRO

Il claustro (Cl) è un nucleo subcorticale, localizzato nella parte basolaterale del telencefalo, presente nel cervello di tutta la specie dei mammiferi esaminati finora.

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Figura n.2: claustro

Il claustro umano è una sfoglia sottile, simmetrica e irregolare della materia grigia telencefalica. Si trova tra la superficie interna della corteccia insulare e la superficie esterna del putamen, a sua volta separati rispettivamente dalla capsula estrema e dalla capsula esterna

(5)

. Anatomicamente (ma non funzionalmente) il claustro può essere suddiviso in due parti (6):

a) la parte dorsale, o claustro insulare, che si trova al di sotto della corteccia insulare;

b) la parte ventrale, o claustro temporale, posto al di sotto della corteccia piriforme. (7)(8)

1.2.1 – Anatomia macroscopica

Morfologicamente, il Cl è relativamente semplice.

Nei primati, si mostra come una struttura cerebrale nel telencefalo basale. In sezioni coronali, il Cl ha un aspetto vermiforme, da qui la definizione di “nucleo teniforme".(9)

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12

Nel gatto, il claustro non è per niente affusolato come nei primati. Assume un aspetto più spesso, con un aspetto dorsocaudale piuttosto voluminoso, ideale per iniettare preparazioni con precisione o per i microelettrodi.

Nel ratto, il claustro è ulteriormente ridotto di dimensione così come modificato nell’aspetto. Assume rostralmente la forma di una virgola, e alla fine si assottiglia in goccia nella sua porzione caudale. Inoltre, è situato all'incirca al confine ventrolaterale del nucleo caudato e del putamen e medialmente alla tacca entorinale. La sua faccia anteriore è delimitata medialmente dall'amigdala basolaterale e antero-laterale, e ventralmente dalla corteccia pre-piriforme, in quanto attraversa il cervello in modo rostro-caudale.

Per molti anni l'animale di scelta per la registrazione claustrale, gli studi di stimolazione e di iniezione è stato il gatto, essenzialmente per due motivi: il primo è dovuto al fatto che ha un volume sottile rispetto alla relativa abbondanza di neuroni claustrali in una regione ben definita, il secondo deriva dalla disponibilità del soggetto. Tuttavia, con l'avvento della micro-registrazione, di tecniche di stimolazione e di iniezione raffinate, il claustro del ratto è stato esplorato in misura molto maggiore che in precedenza. (10)

1.2.2 - Anatomia microscopica

Al microscopico ottico, il Cl è piuttosto insignificante. Assomiglia alla corteccia cerebrale adiacente (comprensibilmente, vista la sua eredità ontogenetica) e, se non per i suoi confini capsulari, il Cl potrebbe dissociarsi difficilmente dalla corteccia entorinale e insulare.

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13

L’anatomia microscopica del Cl è simile nei primati e nei gatti, eccetto per la distribuzione dei tipi cellulari. L’ingrandimento a bassa potenza del claustro, macchiato con un colorante a base di Nissl e mielina, mostra la forma generale del Cl nel suo aspetto insulare (Fig. A) e dorsale (Fig. B). Le immagini ad alta potenza dimostrano la differenza nel soma neuronale.

Gli aspetti dorsali e ventrali sia nel claustro dei primati che del gatto possiedono un maggior numero di giri attorno ai neuroni semipiramidali (vedi Fig. D).

In confronto, i neuroni nel claustro insulare assumono una forma più fusiforme (vedi Fig. C). Infatti, si può osservare la transizione dalla forma rotonda/piramidale a quella fusiforme/poligonale dei neuroni in una sezione coronale del claustro anteriore tramite colorazione con Nissl.

Il claustro del ratto è composto principalmente da neuroni poligonali (triangolare, ovale e fusiforme). Per quanto riguarda le dimensioni cellulari, ci sono differenze da notare sia infra- che inter-specie. Alcuni studi di impregnazione di Golgi rivelano una differenziazione netta tra i neuroni claustrali non tanto per quanto riguarda la forma della cellula, ma più per la sua architettura dendritica.

Il metodo di Golgi o impregnazione cromo-argentica è una tecnica di microscopia ottica che permette la perfetta visualizzazione delle cellule del tessuto nervoso. L'impregnazione cromo-argentica fu inizialmente chiamata reazione nera, perché determina una colorazione nera del neurone e dei suoi organuli.

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14

A B

C D

Figura n.3: claustro al microscopio ottico. Claustro ventrale, a bassa potenza. Sezione dello spessore di 60 µm fissate in formalina ottenute da cervello di Macaco orsino (Macaca arctoides) nel coronale aereo. La sezione è stata preparata con la macchia Kluver-Barrera. L'area di messa a fuoco è il claustro ventrale . Pannello A : in evidenza le differenze della citoarchitettura da sinistra a destra. Da osservare anche l'espansione del claustro quanto i corsi tra le capsule verso la regione piriforme. I neuroni in questa zona del Cl sono più rotondi o piramidali. La colorazione della capsula è più intensa a causa di alto contenuto di mielina. Originale magn.è 20 x. Pannello B: claustro dorsale, bassa potenza.In evidenza le differenze di citoarchitettura da sinistra a destra. I neuroni del Cl sono rotondi a semi-piramidali in questa regione. La colorazione capsulare è più intensa dovuta all’alto contenuto di mielina. Le celle claustrali risultano bordate su ciascun lato dallo scuro della colorazione mielina delle capsule. Originale magn.è 20 x. Pannello C: claustro insulare, ad alta potenza. In evidenza la forma allungata e fusiforme dei neuroni. Originale magn.è 60 x. Pannello D: claustro dorsale, ad alta

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potenza. In evidenza la forma più grande e arrotondata dei neuroni. Originale magn.è 60 x.

Dall’analisi al microscopio elettronico, il Cl ha raccolto poca attenzione. Come in molti studi elettrofisiologici, la specie di scelta per quanto riguarda le analisi elettro-microscopiche è il gatto.

Il claustro del gatto è stato esplorato da diverse prospettive.

Juraniec et al. (11) sono stati i primi a riferire sulla struttura sinaptica usando il tessuto del claustro dorso-caudale (è noto avere collegamenti reciproci con la corteccia uditiva e visiva). I ricercatori hanno notato che la maggior parte dei terminali erano della varietà di Gray di tipo I; le vescicole a nucleo denso erano poche e la maggior parte erano di natura chiara e sferica.

Le sinapsi asso-dendritiche, molto numerose, erano per lo più in contatto con piccoli dendriti o con le spine dendritiche; mentre le sinapsi asso-somatiche, raramente osservate, erano della varietà di Gray di tipo II (o tipo simmetrico di Colonnier), con densità post-sinaptiche molto chiare o inesistenti, nonché vescicole allungate o appiattite, indicative di influenze inibitorie.

E’ importante sottolineare che secondo la classificazione di Gray, si distinguono:

- Sinapsi di tipo I, caratterizzate da un ispessimento postsinaptico più pronunciato di quello presinaptico e da una fessura sinaptica relativamente ampia che contiene una linea intermedia densa. - Sinapsi di tipo II, caratterizzate da un ispessimento postsinaptico

più sottile ed uno spazio intersinaptico meno ampio e privo della linea densa intermedia.

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16

Infine, dopo l'ablazione neocorticale, è stato osservato nel claustro una pesante degenerazione dell’assone terminale.

Gli autori hanno concluso che le connessioni cortico-claustrali nel gatto, erano quasi esclusivamente della varietà asimmetrica asso-dendritica, numerosa e distribuita diffusamente.

Otellin (12) ha condotto diversi studi sugli effetti dell’ablazione della corteccia uditiva primaria sulle strutture sinaptiche del claustro nel gatto. Ha scoperto che la stragrande maggioranza dei terminali degenerati erano di varietà asimmetrica asso-dendritica e che la zona primaria di degenerazione è concentrata nella parte ventrolaterale del claustro. (10)

1.2.3 – Filogenesi

Per quanto riguarda la derivazione filogenetica del claustro, appare in un primo momento come un nucleo facilmente discernibile negli insettivori, proscimmie e marsupiali. È considerato un omologo della fine caudale della cresta dell’ipopallio nei rettili, della cresta dorsale ventricolare nelle tartarughe, e dell’area dorsolaterale e della corteccia primordiale negli alligatori e nei camaleonti. (13) Negli anfibi, Kuhlenbeck (14) nominò “nucleo epibasale” (nucleus epibasalis) la porzione laterale del nucleo basale e associò il claustro a questa regione. (10)

1.2.4 - Ontogenesi

L’origine ontogenetica del claustro è stata oggetto di animate discussioni nel corso degli anni. In letteratura, si possono trovare sia dati a supporto dell’ipotesi che lo sviluppo del claustro sia strettamente legato a quello della corteccia, sia dati che sostengono la

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17

parte opposta; tuttavia nessuno di questi è sufficiente a provare con certezza la correttezza di una delle due opinioni.

Riguardo l’origine ontogenetica del claustro si sono contrapposte essenzialmente tre fazioni:

1- Il gruppo palliale: sostiene che il claustro debba essere visto come strettamente correlato alla corteccia. Questa ipotesi era sostenuta da Meynert (15), che considerava il claustro come una derivazione della corteccia dell’insula in base alla somiglianza tra le loro cellule; da Wernicke, che enfatizzava il carattere fusiforme delle cellule claustrali; da Brodmann (16), che addirittura considerava il claustro come una specie di “sottostrato speciale” separatosi dalla lamina multiforme della corteccia insulare. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'università di Pisa, in collaborazione con l'università di Padova, dalla patologa Maura Castagna (Dipartimento di ricerca Traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia) e dal biologo Andrea Pirone (Dipartimento di scienze veterinarie), e a Padova da Bruno Cozzi (Dipartimento di scienze sperimentali veterinarie), insieme ai loro collaboratori, hanno delineato per la prima volta l'origine del claustro nell'uomo, suggerendone la derivazione palliale, cioè dalla vicina corteccia cerebrale. (17)

In questa ricerca, si riporta l’espressione e la distribuzione della subunità γ2 della proteina G (Gng2) e della proteina Netrina G2, in campioni umani post-mortem del claustro e delle strutture adiacenti.

La subunità della proteina G svolge un ruolo chiave nei sistemi di trasduzione del segnale, in cui i recettori si associano alle

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18

proteine G eterotrimeriche; mentre la Netrina-G2 è una molecola che regola lo sviluppo degli assoni neuronali.

I dati ottenuti da questo esperimento, contribuiscono alla comprensione dell’ontogenesi del claustro sostenendo la teoria palliale, infatti, il claustro e lo strato interno insulare rilevati sono molto simili al modello di distribuzione della Gng2 e della Netrin-2, mentre non è stato rilevato nessun immuno-marcatore nel putamen.

2- Il gruppo subpalliale: sostiene che il claustro sia derivato dall’eminenza gangliare, per mezzo della migrazione della matrice ventricolare insieme con i gangli basali.

Sostenitori di tale ipotesi sono stati: Cajal (18) (19) (20), in base alle sue osservazioni sulla morfologia cellulare del claustro; Landau

(21) (22)

, che ha riportato diversi casi di patologie umane in cui la corteccia insulare era del tutto assente in un emisfero, mentre il claustro era pienamente sviluppato e separato dal putamen per mezzo della capsula esterna; Dodgson (23), che ha descritto un caso simile di anormale sviluppo corticale con gli stessi risultati. In più Macchi (24) (25)ha evidenziato che, nell’embrione umano, il claustro si sviluppa prima che la corteccia insulare sia completamente formata; egli afferma inoltre che la disposizione delle cellule fusiformi del claustro non è la stessa dello strato profondo della corteccia insulare e che la presenza di cellule fusiformi non è da considerarsi caratteristica del claustro, dato che queste cellule possono essere rinvenute anche in altre formazioni subpalliali, principalmente nel complesso dell’amigdala.

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19

3- Il gruppo ibrido: sostiene che l’origine del claustro non sia né del tutto corticale, né del tutto sottocorticale.

Il maggior sostenitore di questa ipotesi era Rose-Wilno(26) (27). Egli aveva condotto numerose ricerche sull’embriogenesi della corteccia nell’uomo ed era in pieno accordo con Brodmann riguardo al fatto che il claustro derivasse da una delaminazione della corteccia insulare, infatti egli mise in evidenza che il claustro, a 2-2,5 mesi di gestazione, era fuso con la corteccia insulare e privo del bordo mediale della capsula esterna; tuttavia rifiutò l’ipotesi di Brodmann del claustro come sottostrato della lamina VI, perché il claustro si separa dalla corteccia insulare prima della formazione della lamina VI. L’opinione di Rose-Wilno era che il claustro si formasse come un’espansione sia della matrice corticale che della matrice striatale (eminenza gangliare). Anche Filimonoff (28) considerava il claustro come una formazione intermedia, il risultato di un accumulo di neuroblasti provenienti dalla matrice corticale che costeggia lo striato, in pratica una massa che fallisce la migrazione al piatto corticale e si arresta a una certa distanza tra la corteccia e lo striato.

La miglior comprensione dell’ontogenesi del Sistema Nervoso e studi molto recenti riguardo al claustro, avvalorano questa ipotesi: nel corso dell’ontogenesi, gli emisferi evaginano bilateralmente dalla lamina alare e si distinguono in: pallio (tetto) e subpallio (base). Durante lo sviluppo i neuroblasti migrano verso l’esterno della matrice ventricolare per partecipare alla formazione delle strutture corticali in tutte le zone del pallio. Il pallio può essere distinto in: mediale (da cui origina l’ippocampo), laterale (che dà origine alla corteccia olfattoria) e dorsale (da cui origina la neocorteccia). Il subpallio si ispessisce e

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20

forma una protrusione ventricolare da entrambi i lati, un solco suddivide questo ispessimento in eminenza ganglionica mediale (che dà origine al pallido) e eminenza ganglionica laterale (da cui originano nucleo caudato e putamen).

Recentemente Puelles (29), in seguito a studi riguardanti l’espressione genica nelle vescicole telencefali, ha suggerito una nuova suddivisione del pallio in: mediale, dorsale e laterale (zone che esprimono il gene Emx-1) e ventrale (zona tra pallio laterale e sub pallio, Emx-1 negativa). Ha poi dimostrato che il claustro insulare deriva dal pallio laterale, mentre il claustro endopiriforme dal pallio ventrale. Questa struttura partecipa anche alla formazione della corteccia olfattoria e del complesso dell’amigdala.

Ancora più recentemente è stato fatto uno studio su sezioni coronali di encefali di coniglio mediante marcatura della glia radiale (precursori embrionali che svolgono un ruolo chiave nel guidare la migrazione neuronale); i risultati ottenuti in questo studio suggeriscono che il nucleo endopiriforme derivi dal pallio ventrale, mentre il claustro insulare derivi sia dal pallio ventrale che dal laterale (Reblet, 2002).

(10)

1.2.5 - Angioarchitettura

A causa della sua posizione e delle sue dimensioni, il Cl è stato un nucleo piuttosto difficile da indagare, e l'origine del suo approvvigionamento sanguigno si è dimostrato essere non meno misterioso rispetto alla sua ontogenesi.

Originariamente, Duret (30) ha descritto come i rami laterali delle arterie striate vascolarizzino il putamen, ed ha continuato descrivendo

(22)

21

come il Cl e la capsula esterna vengono riforniti di sangue dai vasi che penetrano l'insula.

Centotrent’ anni più tardi, dopo numerose indagini dai risultati apparentemente contraddittori, l’ipotesi di Duret risulta corretta.

1.2.6 - Studi di lesione, stimolazione claustrale e concomitanze comportamentali

Dal punto di vista fisiologico, il Cl ha dimostrato di essere un nucleo davvero complesso. Numerosi stimolazioni, studi di lesione e di registrazione sono stati effettuati sul claustro, con vari gradi di conoscenza e di successo.

Gli studi di lesione, piuttosto scarsi, sempre effettuati sul gatto, hanno rilevato che è impossibile generare lesioni localizzate completamente sul claustro, ma che è coinvolto in diversi comportamenti e funzioni complesse, la maggioranza dei quali legate al “sistema dell’attività limbiche”.

Per quanto riguarda la stimolazione elettrica, la letteratura si espande rispetto agli studi di lesione.

Frontera e Stiehl (31), studiando l’insula e il claustro del macaco, hanno stimolato il claustro rostrale ed ha riportato lo stesso modello di alimentazione noto nel loro studio successivo sull'insula di gatto (32). Questo modello includeva abbondante salivazione, movimenti della lingua, abbassamento della mandibola, deglutizione accompagnata da ammiccamento, unitamente a movimenti degli arti superiori controlaterali simili all’attività "mano-bocca ". È interessante notare che gli autori hanno riportato movimenti indistinguibili da quelli indotti dalla stimolazione caudo-laterale del putamen.

(23)

22

Questi risultati hanno portato gli autori a concludere che impulsi somatici e viscerali afferenti alla corteccia insulare siano coordinati per ottenere risposte adeguate tramite un percorso via claustro-putamen e /o claustro-amigdala, a seconda che il principale effettore del sistema sia somatico, viscerale o entrambi. Inoltre, hanno affermato che i parametri di stimolazione erano più alti per l’insula e per il Cl. Anche Gabor (33) ha studiato gli effetti comportamentali della stimolazione del Cl del gatto. Egli ha riferito alterazioni nei livelli di eccitazione nel gatto libero e sveglio con la stimolazione ad alta frequenza. Le attività motorie, come piegamento della testa e del tronco, eruttazioni, conati di vomito, salivazione, deglutizione, masticazione e la minzione erano tutte provocate dalla stimolazione ad alta frequenza del Cl. Arrivò alla conclusione che, il claustro è funzionalmente situato tra il sistema anatomico e fisiologico che controlla il livello di eccitazione, e questo sistema si collega con l'esperienza e l'elaborazione delle emozioni.

Altri ricercatori sono giunti alla conclusione che esiste uno stretto rapporto tra il claustro e il nucleo caudato riguardo alla soppressione dell'attività motoria e quindi entrambi sono implicati nella modificazione del movimento e nell’alterazioni della coscienza. (10)

1.2.7 – Connessioni

Nel corso degli anni, il claustro è stato oggetto di numerosi interventi in materia di delineare le sua relazioni di input / output da e verso il resto del cervello.

Per riguarda le connessioni corticali verso la metà del ⅩⅩ secolo, studi di degenerazione eseguiti su conigli, gatti e macachi, hanno suggerito che il claustro, sia connesso con tutte le aree della corteccia.

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Un aspetto generale che è venuto fuori da questi studi è il fatto che il claustro appare topograficamente organizzato sia con le aree rostrali della corteccia che innervano le aree rostrali del claustro, sia con i siti caudali della corteccia che proiettano al claustro caudale.

Usando il tract-tracing, queste scoperte sono state approfondite ed estese, dimostrando che le proiezioni corticali al claustro sono reciproche. Oggi è universalmente accettato che il claustro è reciprocamente connesso con tutte le aree corticali, sebbene la sua posizione richieda conferme sperimentali.

Indipendentemente da questo, è chiaro che il claustro non è equamente connesso con tutte le aree corticali, ma sembra proiettarsi prevalentemente alla corteccia ipsilaterale e in misura minore alla parte controlaterale. È anche vero l’inverso per le proiezioni cortico-claustrali, che hanno più dense proiezioni controlaterali rispetto alla controparte ipsilaterale.

Riguardo alla specificità delle proiezioni claustrali ai diversi strati della corteccia, Le Vay e Olson (34) (35) hanno dimostrato, usando un discreto deposito di tracciante anterogrado nel claustro del gatto, che il claustro proietta a tutti gli strati, con maggiore densità di innervazione negli strati IV e VI. Gli assoni claustrali fanno sinapsi con dendriti spinosi (di presunte cellule eccitatorie) in tutti gli strati, mentre nello strato IV fanno anche sinapsi su dendriti non spinosi. Proiezioni della corteccia al claustro sembrano sorgere prevalentemente dalle cellule piramidali e fusiformi dello strato VI.

Circa il 3-4% delle cellule dello strato VI nella corteccia visiva, per esempio, proietta al claustro, e questa popolazione è distinta dai neuroni che proiettano al nucleo genicolato laterale del talamo. Gli

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studi di microscopia elettronica mostrano che le proiezioni corticali formano sinapsi asimmetriche con i neuroni spinosi (presumibilmente eccitatori) e i neuroni non spinosi (presumibilmente inibitori) del claustro.

Sulla base dell’ampia connettività del claustro con la corteccia e sulle zone corticali di target nel claustro, appare che l’organizzazione del claustro rassomigli a quella del talamo.

Ci sono delle connessioni all’interno del claustro che collegano queste zone corticali e le aree di proiezione? A seguito di iniezioni della perossidasi di rafano nel claustro, eseguite da Olson (36) e Graybiel e più tardi da Levay, è stato riportato che non esistono connessioni inter-zonali. Tuttavia, Smith e Alloway (37) sono stati capaci di depositare un tracciante retrogrado nel claustro del gatto e di scoprire un’estesa marcatura lungo l’asse rostro-caudale del claustro.

Brodmann (16) e altri hanno notato alcune similitudini fra la corteccia insulare e il claustro. La corteccia insulare, similmente al claustro, ha connessioni estese con altre parti del cervello. Alcuni studi hanno dimostrato che l’insula proietta o riceve input dal nucleo del tratto solitario, dal bulbo olfattivo, dall’amigdala, dall’ippocampo, dalla parte parvicellulare del nucleo talamico postero-mediale ventrale, così come dalla corteccia entorinale, motoria, somato-sensoriale primaria e secondaria, orbito-frontale, uditiva primaria, associativa uditiva e visiva.

Mentre il claustro e la corteccia insulare condividono molti siti nei loro rispettivi profili di connettività, non vi è alcuna indicazione in letteratura che questi profili siano identici. Sulla base di evidenze strutturali, di sviluppo e di linee di connessione, il claustro non fa

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parte della corteccia insulare, sebbene appaia inserito all’interno dello strato VI.

In aggiunta alle connessioni reciproche del claustro con la corteccia, i moderni studi di tract-tracing hanno suggerito la presenza di proiezioni sub-corticali. Infatti, studi su ricci, gatti, ratti e macachi hanno riportato proiezioni claustrali al nucleo dorsale talamico, all’ippocampo, al nucleo striato e all’ipotalamo.

Comunque, il claustro del gatto è stato scoperto essere arricchito nell’espressione della proteina netrina G2 e dell’mRNA di colecistochinina in uno schema coerente con l’espressione di Gng2, mentre l’intera corteccia insulare era arricchita di mRNA della proteina 4 delle cellule del Purkinje in un percorso che circonda il corpo del claustro. In più, a seguito delle iniezioni di traccianti retrogradi in siti sub-corticali, è stato scoperto che i somi marcati in modo retrogrado che circondano il claustro si estendono tipicamente anche verso strati più superficiali dell’insula. Lo schema di espressione dell’mRNA della proteina delle cellule di Purkinje e la marcatura retrograda all’interno dell’insula, supporta la teoria che il claustro sia circondato dalla corteccia insulare. (1)

1.2.8 – Funzioni

Il problema finale e il più complicato del claustro, risiede nella sua funzione. Se paragonata a quella delle altre strutture prevalenti telencefaliche, come la corteccia, lo striato e il talamo, la conoscenza delle funzioni claustrali è parecchio carente. Nonostante le ondate di interesse riguardo al claustro in tutto il secolo scorso, esistono solo pochi frammenti di informazione e alcune ipotesi controverse sui suoi

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attributi funzionali. Perché la funzione del claustro si è dimostrata così difficile da scoprire?

La forma del claustro ha reso le lesioni complete e parziali impossibili da compiersi attraverso mezzi chimici o meccanici convenzionali. Senza la possibilità di generare lesioni riproducibili e discrete nel claustro degli animali, i ruoli funzionali di questo nucleo rimangono un mistero.

E’stato proposto che il claustro funzioni come un integratore di segnale multisensoriale, in base alla sua connessione corticale bidirezionale e quindi che serva a collegare le informazioni provenienti da differenti cortecce sensoriali.

In base a questa funzione, sono state proposte due differenti teorie di integrazione multisensoriale:

 La prima teoria afferma che l’integrazione multisensoriale avviene in siti poli-modali che processano solo specifiche combinazioni sensoriali; questi tipi di cellule sono state osservate in molte aree incluso il solco arcuato, il solco temporale superiore, i lobuli parietali inferiore e posteriore, il complesso dell’amigdala, l’ippocampo e il collicolo superiore. Poiché il claustro sembra avere cellule responsive a stimoli multi-sensoriali, esso potrebbe servire a collegare alcuni tipi di stimolo di diversa natura.

La seconda teoria, proposta da Ettlinger e Wilson (38), afferma che nessuna struttura cerebrale esegue i processi necessari per l’integrazione poli-modali di diversi segnali sensoriali. Invece, è richiesto solo un nucleo trasmettitore sottocorticale attraverso il quale, differenti cortecce sensoriali, possono entrare in

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comunicazione al fine di associare i vari stimoli di diversa natura. È stato proposto che questo nucleo trasmettitore sub-corticale fosse il claustro. In questo modo, il claustro teoricamente sincronizza le aree corticali per poter compiere l’integrazione di segnali sensoriali. Tuttavia Ettlinger e Wilson non affermarono come questo potesse essere possibile o dove fosse il collegamento fra le informazioni multimodali.

Studi di risonanza magnetica funzionale in vivo eseguiti per esplorare la funzione di integrazione sub-corticale supportano in buona parte la seconda teoria, che identifica il claustro come il nucleo trasmettitore sub-corticale necessario. Questo supporto deriva da evidenze che mostrano l’attivazione delle regioni del claustro/insula in funzioni di accoppiamento poli-modale.

Crick e Koch (39) hanno ipotizzato che il claustro, è il luogo dove l’informazione sensoriale viene collegata e funziona come un generatore di percezione unificata da una moltitudine di stimoli sensoriali ambientali. Vale a dire che, mettendo insieme i diversi stimoli, uno è capace di riconoscere un oggetto come un tutto, piuttosto che attraverso l’esperienza di ciascuno stimolo come una separata entità sensoriale. Dal momento che, quasi tutte le teorie che tentano di spiegare la correlazione di questo tipo di esperienza (consapevolezza) richiedono un “bisogno di integrare rapidamente e collegare informazioni in neuroni che sono situati in distinte regioni corticali e talamiche”, Crick e a Koch hanno detto che il claustro potrebbe essere perfettamente adatto a svolgere una tale funzione, grazie alla sua caratteristica unica di connessione reciproca con la corteccia, alla sua posizione centrale nel cervello e alle sue connessioni col talamo. (1)

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1.3 - PATOLOGIE DEL SNC POSSIBILMENTE CORRELATE ALLA FUNZIONE CLAUSTRALE

Il claustro offre delle funzionalità di un ordine superiore, consentendo all'organismo di adattarsi rapidamente alle sottigliezze e alle sfumature del suo ambiente in continua evoluzione. Negli esseri umani, la perdita di uno qualsiasi di questi attributi multisensoriali e eterotopici può ancora essere dimostrata di essere coinvolta in alcuni aspetti della demenza, dell'attenzione e di altri disturbi. (10)

Nel corso degli anni solo pochissimi lavori hanno avuto come argomento la patologia claustrale.

Alcune patologie, in cui è stato descritto il coinvolgimento del claustro (Kalaitzakis) (40), sono la demenza a corpi di Lewy (LBD) e la comparsa di allucinazioni e alterazioni cognitive nella malattia di Parkinson(MP) e nel morbo di Alzheimer (AD). Questo è ben comprensibile se pensiamo alle connessioni reciproche tra il claustro e le regioni coinvolte nelle funzioni cognitive.

1.3.1 – Il Claustro e la Demenza

Con il termine demenza (41) si indica un gruppo di malattie neurodegenerative dell'encefalo, tipiche dell'età avanzata (ma non esclusive degli anziani), che comportano la riduzione graduale, e quasi sempre irreversibile, delle facoltà intellettive di una persona. Questo comporta l’alterazione della memoria, del ragionamento, del linguaggio, della capacità di orientarsi, di svolgere compiti motori complessi, e, inoltre, alterazioni della personalità e del comportamento.

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Ci sono diversi tipi di demenza, ma tutte hanno in comune alcuni aspetti principali:

 Zona del cervello neurodegenerativa: si ha una progressiva perdita dei neuroni nella zona corticale o in quella subcorticale.

Le demenze corticali sono quelle che insorgono a seguito di un danno della corteccia cerebrale, lo strato laminare più esterno del cervello; mentre le demenze subcorticali compaiono dopo un deterioramento della porzione cerebrale situata sotto la corteccia cerebrale.

 Reversibilità o non reversibilità patologica: la demenze reversibili sono quelle per cui esiste una possibilità di guarigione o di regressione della malattia, invece quelle irreversibili sono incurabili o con la tendenza a peggiorare gradualmente.

 Dipendenza o meno da altri stati morbosi: le demenze primarie sono quelle che non derivano da nessun altro stato morboso; le demenze secondarie sono quelle che compaiono successivamente ad altre patologie dal carattere neurologico (es. Morbo di Parkinson), traumatico (colpi alla testa) o di altro genere (vascolare, infettivo).

Le quattro demenze più comuni sono il morbo di Alzheimer, la demenza con corpi di Lewy, la demenza vascolare e la demenza frontotemporale.

Nel morbo di Alzheimer vi è una degenerazione precoce del complesso dell'ippocampo/entorinale seguita da una progressiva degenerazione della neocorteccia associativa, con diffusa interruzione dell’emisfero cortico-corticale, delle connessioni commissurali e

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sottocorticali (Braak e Braak,)(42). Per quanto riguarda questa malattia, gli studi di neuropatologia sono piuttosto limitati, ma hanno trovato cambiamenti più marcati nella parte ventrale del claustro, dedotti da analisi sui primati per avere delle connessioni reciproche con la corteccia entorinale. Inoltre, le aree claustrali reciprocamente collegate alla neocorteccia, sono state segnalate mostrare una perdita minore di cellule e una mutazione patologica (Morys et al.) (43) (44).

L’AD è una patologia tipica dell’età presenile, caratterizzata a livello macroscopico da un cervello con marcata atrofia, che determina un’aumentata ampiezza dei solchi cerebrali e l’incremento del volume ventricolare. (45)

In uno studio sulla deposizione amiloide nel cervello umano, sono stati riscontrati depositi di amiloide nel claustro di tutti i 14 casi di AD studiati. La degenerazione claustrale, appariva particolarmente marcata nei casi familiari di malattia di Alzheimer causata da una mutazione della presenilina (Gustafson et al.). (46)

La presenilina è una proteina di membrana, enzima appartenente alla classe delle proteasi A. Questa proteina regola le funzioni dell’enzima γ-secretasi, responsabile della degradazione della proteina precursore dell’amiloide, (APP,Amyloid Precursor Protein), dalla quale si forma il peptide Aβ (β-amiloide), dotato di azione neurotossica e responsabile della malattia di Alzheimer. Pertanto, tra le ipotesi maggiormente approvate, è che tale degenerazione è dovuta all’accumulo di questo peptide. Di conseguenza, si scatena una risposta infiammatoria tramite i mediatori dell’infiammazione, i quali provocano l’induzione di una iperfosforilazione della proteina tau,

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tipica dei neuroni. La proteina tau è necessaria per la corretta polimerizzazione e per la formazione del citoscheletro nei neuroni.

Sono sostanzialmente due i meccanismi attraverso i quali la β-amiloide produce danni neuronali e funzionali: (47)

 Un meccanismo diretto, nel quale Aβ interagisce con componenti della membrana cellulare e danneggia direttamente i neuroni e/o aumenta la suscettibilità dei neuroni ad una varietà di fattori di danno, come l’eccito-tossicità, l’ipoglicemia o il danno perossidativo.

 Un meccanismo indiretto, nel quale Aβ danneggia i neuroni indirettamente tramite l’attivazione della microglia e degli astrociti a produrre mediatori tossici ed infiammatori, come ad esempio l’ossido nitrico, le citochine e gli intermedi reattivi dell’ossigeno che causano la morte dei neuroni per apoptosi o per necrosi.

Riguardo a questa patologia, il claustro sembra essere interconnesso con una rete di strutture direttamente coinvolte nel recupero della memoria. Queste strutture comprendono un tipo neuronale distintivo, i “neuroni di Von Economo”(VEN), che sono abbondanti negli esseri umani e riccamente rappresentati sia nell'insula che nel claustro (Williamson).(48) Questo autore ha suggerito che l'attività di questi neuroni nel claustro potrebbe influenzare la funzione di una rete fortemente interconnessa ed estesa della corteccia etero-modale. Quindi, una riduzione della funzionalità del claustro influenzerebbe l’efficienza della memoria nell’Alzheimer.

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Ancora una volta, Park et al. (49) hanno suggerito che la perdita della memoria geografica nel AD (Didic et al.) (50) potrebbe essere dovuta non solo alla degenerazione della corteccia entorinale e dell'ippocampo, ma anche alla compromissione della relativa funzione di integrazione del claustro. Essi propongono che le connessioni del claustro siano estese alle aree corticali e che abbiano un probabile coinvolgimento nei maggior aspetti globali della percezione e della coscienza.

Per quanto riguarda invece la demenza a corpi di Lewy, uno studio recente ha riportato che nel claustro (rilevata mediante immunoistochimica con l’uso dell'α-sinucleina,) è correlata altamente con alterazioni patologiche in altre regioni della corteccia visiva associativa, quali le aree 18 e 19 di Brodmann (BA), nonché nell’insula e nella corteccia trans-entorinale (Yamamoto et al.)(51)

. Questi autori hanno suggerito che nel claustro la patologia a corpi di Lewy, è più strettamente legata alla disfunzione dell’area visiva e che gli errori di identificazione riscontrati nella demenza, potrebbero essere il prodotto di danni nella via visiva sia del claustro che dell’amigdala. Inoltre, essi hanno suggerito che questi due percorsi potrebbero fungere da ripetitori e che le strutture para-limbiche, tra cui la corteccia insulare e trans-entorinale, possano mediare le connessioni tra le aree visive e le aree limbiche. Infatti, altre analisi sui tessuti dei gatti, hanno dimostrato forti connessioni neuronali reciproche tra il claustro e le aree visive (corteccia associativa). Al contrario, le aree uditive, somato-sensoriali e motorie rivelano una correlazione minore.

La LBD è una delle forme di demenza più frequenti, anche se è decisamente più rara dell’Alzheimer. Il 10-15% circa dei malati sono

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affetti da questa forma di demenza, talvolta associata all’Alzheimer. Gli uomini ne sono più colpiti delle donne.

La caratteristica principale della LBD è la demenza. Nella vita quotidiana la LBD si manifesta con il declino delle facoltà cognitive. All’inizio la memoria è ancora ben conservata. La degenerazione interessa dapprima capacità come la programmazione, l’organizzazione, l’adattabilità e la motivazione. La differenza rispetto alla malattia di Parkinson, che col passare del tempo può anche portare alla demenza, sta nel fatto che chi è affetto da LBD manifesta i sintomi della demenza fin dall’inizio, ossia ancora prima che dei disturbi motori. (52)

In aggiunta, ci sono prove di un aumento dell’attività muscarinica del recettore M4 nel claustro e nella corteccia di pazienti affetti da demenza a corpi di Lewy e malattia di Alzheimer (Piggott et al.), che probabilmente riflette una disfunzione colinergica. (53)

Allo stato attuale, molte demenze rimangono incurabili, poiché non è stato ancora scoperto un trattamento capace di arrestare la neurodegenerazione e far regredire le sue conseguenze.

I soli benefici che le terapie attualmente disponibili riescono a fornire, sono solo un miglioramento a livello sintomatico.

1.3.2 – Il Claustro e il morbo di Parkinson

In un studio neuropatologico sulle sindromi neurodegenerative, la patologia sull’amiloide e sull’α-sinucleina nel claustro, veniva fortemente correlata alla diagnosi anche nel morbo di Parkinson (Kalaitzakis) (40).

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Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa del sistema nervoso centrale ad evoluzione lenta, che coinvolge soprattutto il controllo dei movimenti e dell’equilibrio.

La malattia di Parkinson (MP) è un disturbo associato alla riduzione dei livelli di dopamina dovuta alla distruzione dei neuroni pigmentati a livello della substantia nigra (o sostanza nera), uno dei nuclei che costituiscono i gangli della base del cervello. È una malattia lenta, progressiva con compromissione del movimento che porta a disabilità (Smeltzer & Bare 2006).

I neuroni pigmentati, hanno origine nella sostanza nera e liberano dopamina nel corpo striato con lo scopo di inibire la produzione, in questa sede, di acetilcolina da parte dei neuroni colinergici. È nel corpo striato che è localizzata la connessione con la corteccia motoria e il midollo spinale ed è proprio l’acetilcolina che determina il segnale che il muscolo riceverà.

La produzione di dopamina, invece, è regolata dai neuroni GABA inibitori, che hanno origine nel corpo striato e terminano nella sostanza nera (Howland & Mycek 2007). Con la morte neuronale si ha una minore liberazione di dopamina nel corpo striato che determina una maggiore produzione di acetilcolina; la perdita dell’equilibrio tra i neurotrasmettitori innesca una catena di segnali anomali che portano al deterioramento della mobilità (Howland & Mycek 2007).

I tre segni cardinali di questa malattia sono il tremore, la rigidità e la bradicinesia (lentezza nel movimento volontario). Altre caratteristiche includono l’ipocinesia (povertà del movimento volontario), il disturbo dell’andatura e l’instabilità posturale (Gray & Hildebrand 2000).

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E’ importante sottolineare che la lentezza è un disturbo che colpisce soltanto il movimento: infatti, l’agilità mentale e la velocità dei processi del pensiero sono conservati. (54)

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CAPITOLO 2

SCOPO DELLA TESI

Questa ricerca nasce in collaborazione con il Dott. Andrea Pirone del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa. Egli, insieme ad altri collaboratori, si è dedicato allo studio del claustro su diversi modelli animali e in uno studio recente condotto nell’uomo sui tessuti post-mortem ha suggerito quale origine del claustro nell’uomo, la derivazione palliale ossia la provenienza dalla vicina corteccia cerebrale. (17)

In continuità con questo interesse, lo scopo di questa tesi è stato quello di utilizzare un approccio proteomico per studiare l'ontogenesi di aree cerebrali quali putamen, insula e claustro a lungo dibattuta in un modello vicino all’uomo, il maiale.

La nostra idea è stata cercare di definire per la prima volta la mappa proteomica del claustro e confrontarla con quella di aree affini quali insula e putamen, al fine di valutare l'eventuale presenza di proteine caratterizzanti in queste aree cerebrali.

Lo studio è stato condotto su cellule cerebrali del maiale, per una maggiore affinità con l'uomo e per la possibilità di avere un tessuto fresco evitando così le relative problematiche post-mortem.

I risultati derivati da questo studio preliminare potranno, successivamente, essere trasferiti all'uomo per vedere se sono presenti le stesse proteine caratterizzanti ed eventualmente correlate a malattie neurodegenerative (demenza, Alzheimer, Parkinson) per le quali in questi ultimi anni è stato suggerito un coinvolgimento del claustro.

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CAPITOLO 3

METODI DI ANALISI

3.1 – LA PROTEOMICA

Con il termine proteoma si intende l’insieme completo delle proteine codificate dal genoma ed espresse in una cellula, in un tessuto o in un organismo in un dato istante. Mentre il genoma è costante per una data cellula e identico in tutte le cellule dell’organismo, il proteoma è altamente variabile nel tempo e può cambiare in risposta a svariati fattori esterni. (55)

Lo studio del proteoma è di competenza della proteomica, una branca della biologia molecolare che ha come obiettivo l’identificazione sistematica delle proteine espresse dal genoma umano in condizioni fisiologiche e il monitoraggio delle stesse in caso di alterazioni.

Questo studio prende in considerazione la diversità delle isoforme proteiche, le modifiche post-traduzionali che le proteine possono subire, le quali spesso risultano particolarmente importanti negli eventi di trasduzione del segnale, l’alterazione nella loro espressione in termini quantitativi e qualitativi, la loro funzione e attività e le eventuali interazioni molecolari. (56) (57)

La proteomica si suddivide in due rami principali:

1- La proteomica classica che a sua volta si suddivide in :

Proteomica sistematica: ha come scopo l’identificazione e la caratterizzazione delle proteine.

Proteomica differenziale: si propone lo scopo di differenziare e quantizzare le proteine differenzialmente

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espresse in determinate condizioni fisiologiche o patologiche, o in condizioni di trattamento farmacologico. 2- La proteomica funzionale che invece ha come obiettivo la

definizione della funzione biologica di proteine il cui ruolo è ancora sconosciuto, l’identificazione delle interazioni proteina-proteina che si instaurano in vivo e la descrizione a livello molecolare dei meccanismi molecolari in cui sono coinvolte.

Il proteoma viene analizzato attraverso due passaggi analitici consecutivi: la separazione delle proteine che costituiscono il proteoma mediante la tecnica dell’elettroforesi bidimensionale e, la loro identificazione strutturale mediante la tecnica della spettrometria di massa. (58) (59)

3.1.1 – L’elettroforesi bidimensionale (2-DE)

L’elettroforesi bidimensionale è una tecnica analitica che ha lo scopo di separare le proteine di un certo campione sulla base del loro punto isoelettrico e del loro peso molecolare.

Storicamente, essa deriva dall’accoppiamento di due tecniche elettroforetiche elaborate da U.K Laemmli, da M. Gronow e da G. Griffith, pertanto prevede due corse distinte , dette prima e seconda dimensione.

La prima dimensione prevede il processo di isoelettrofocalizzazione (IEF), mediante il quale le proteine si separano in base al loro punto isoelettrico.

Si definisce punto isoelettrico di una proteina il valore di pH al quale la molecola non presenta alcuna carica netta.

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39

Per eseguire questa tecnica è necessario un supporto in gel di poliacrilammide, su cui viene creato un gradiente di pH grazie a miscele di carrier anfolitici. Gli anfoliti sono miscele di polimeri di amminoacidi dotati di cariche superficiali corrispondenti ai diversi range di pH e sono disponibili sotto forma di strip prefabbricate, contenti gradienti immobilizzati di pH reperibili in commercio in varie lunghezze e di tipo lineare (L) e non lineare (NL).

Dopo aver caricato il campione proteico sul gel, si collega l’elettrodo positivo(anodo) all’estremità acida del gradiente e l’elettrodo negativo(catodo) all’estremità basica. Quando si sottopone la strip ad un campo elettrico si provoca il movimento delle proteine, in particolare quelle dotate di carica netta positiva migrano verso il catodo, mentre quelle dotate di carica netta negativa si spostano verso l’anodo.

Le proteine continuano la corsa finché non raggiungono la zona del gradiente di pH in cui la loro carica netta equivale a zero che rappresenta il loro punto isoelettrico. Inoltre, si focalizzano in una zona molto ristretta e ciò rende la IEF una tecnica ad alta risoluzione.

La seconda dimensione è una classica SDS-PAGE; con questa tecnica le bande proteiche focalizzate in prima dimensione vengono risolte in base al loro peso molecolare (PM).

Il campione viene dapprima trattato con sodio docecilsolfato (SDS), che conferisce a tutte le proteine una carica netta negativa, mascherando la loro carica intrinseca.

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Segue la corsa elettroforetica su gel di poliacrilammide; dopo l’applicazione della corrente, le proteine cominciano a migrare in funzione della loro massa.

Le proteine più piccole si muovono più velocemente perché la loro corsa non viene impedita dalle maglie del gel, mentre quelle più grandi riescono a passare con difficoltà attraverso il reticolo. (60) (61) (62)

3.1.2 – La spettrometria di massa (MS)

La spettrometria di massa è una tecnica che consente l’identificazione e l’analisi quantitativa di una molecola a partire dalla conoscenza della sua massa. L’identificazione di una proteina mediante spettrometria di massa avviene attraverso l’analisi di peptidi generati utilizzando proteasi specifiche. Proteine con diversa sequenza amminoacidica, in seguito all’azione di una proteasi specifica, generano un insieme discreto di peptidi, definiti dalla loro massa, che è unico per quella proteina. La banda proteica di un gel bidimensionale, colorata secondo una tecnica che non interferisce con l’analisi spettroscopica, viene direttamente trattata con proteasi e la miscela peptidica ottenuta viene analizzata con lo spettrometro di massa, che ne misura il peso molecolare. Il PM rilevato dallo strumento viene confrontato con standard di molecole già riconosciute in laboratorio, per poter essere identificato.

Il principio su cui si basa la MS è la possibilità di separare una miscela di ioni secondo il loro rapporto massa/carica (m/z), generalmente tramite campi magnetici statici o oscillanti.

Per poter essere separati secondo questa tecnica, atomi e molecole devono essere volatilizzate e ionizzate, in modo da formare ioni con

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41

carica positiva o negativa che si possano muovere liberamente nel vuoto. La ionizzazione del campione avviene facendo loro attraversare un fascio di elettroni ad energia nota generati da uno strumento chiamato sorgente, che può essere di diverso tipo.

Spesso per l’analisi in proteomica viene utilizzato come sistema di ionizzazione il MALDI (Matrix Assisted Laser Distorption Ionization), in cui si sfrutta un brevissimo ma intenso impulso di luce laser ultravioletta per indurre la produzione di ioni molecolari protonati degli analiti. Di solito le sorgenti MALDI sono accoppiate ad analizzatori a tempo di volo (TOF – Time Of Flight), che misurano il rapporto m/z degli ioni generati nella sorgente, sulla base del tempo che questi impiegano per percorrere uno spazio definito.

Gli ioni provenienti dalla sorgente vengono accelerati da un forte campo elettrico, di 20 kV, all’uscita del quale hanno tutti la stessa energia cinetica, ma una differente velocità, a seconda della loro massa.

L’analizzatore TOF si basa su un principio molto semplice: poiché tutti gli ioni sono sottoposti ad uno stesso campo elettrico, gli ioni con rapporto m/z maggiore (più pesanti) raggiungono una velocità minore rispetto agli ioni con rapporto m/z minore. Gli ioni, una volta separati dall’analizzatore sulla base del loro rapporto m/z, vengono raccolti da un rivelatore. Questo è costituito da una serie di elettrodi che ha lo scopo di amplificare il segnale, il quale è proporzionale al numero degli ioni presenti.

Il sistema di elaborazione dati registra questi segnali elettrici in funzione del rapporto m/z e li converte in uno spettro di massa. I

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picchi mostrati nello spettro di massa dovranno essere interpretati o confrontati con standard di laboratorio. (63)

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CAPITOLO 4

MATERIALI E PROCEDIMENTI

4.1 – MATERIALI E STRUMENTI

Tutti i reagenti e i solventi sono stati acquistati dalle più comuni fonti commerciali.

L’acqua, di grado analitico, è stata filtrata mediante l’apparecchio MilliQ (PS Whatman®, Millipore Corporation, Maid Stone, England).

L’apparecchio usato per l’isoelettrofocalizzaione è l’Ettan TM IPG-phor TM Isoletric Focusin System (Amhersam Bioscience).

L’apparecchio usato per l’elettroforesi è il Protean II XL Ready Gel (Biorad) con alimentatore EPS 601 Pwer.

L’apparecchio usato per il Western Blot è il Trans-Blot Turbo, transfer system (BioRad).

L’Omogeneizzatore usato è il tipo Potter-Elvehjem con mortaio in vetro borosilicato, pestello in PTFE con asta in acciaio inox.

Sono state utilizzate le strip Immobiline TM Drystrip, NL, pH 3-10, 18 cm, della GE Healthcare (Uppsala, Sweden).

4.2 – IL CAMPIONE

Il tessuto del cervello del maiale fresco è stato fornito dal Dott. Pirone del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa.

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Il cervello è stato prelevato al momento del sacrificio dell’animale, e le aree cerebrali di interesse immediatamente isolate e congelate in azoto liquido per il trasporto.

I campioni contenenti insula, putamen e claustro, ottenuti dal sacrificio di tre animali sono stati successivamente conservati a -80C° fino al loro utilizzo.

4.2.1 – La preparazione del campione tramite l’omogeneizzatore Potter

Gli omogeneizzatori consentono la riduzione controllata delle dimensioni delle particelle e l'omogeneizzazione di una vasta gamma di sostanze, in particolare materiale biologico.

Le forze di taglio generate dal movimento del pestello rotante in un mortaio con alesaggio di precisione provocano la riduzione delle dimensioni, con fattori determinanti quale l'interstizio tra la testa del pestello e il mortaio, la velocità di rotazione e la viscosità del mezzo.

Prima di essere omogeneizzati, i tre campioni di ciascuna area derivati da tre animali diversi sono stati scongelati, riuniti in una falcon da 50 ml e addizionati con soluzione di reidratazione ( Urea 7 M, Tiourea 2M, Chaps 4%, Blu di bromofenolo e acqua milliQ) contenente DTT 0,1%.

In particolare, le quantità aggiunte al campione della soluzione di reidratazione sono state:

 Claustro: 0.32g + 1,5ml RDTT

 Insula: 0.16g + 1ml RDTT

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Il ruolo dei componenti della soluzione di reidratazione è:

1- Urea 7M, in aggiunta a piccole quantità di Tiourea 2 M ha la funzione di srotolare le proteine nella loro struttura primaria rompendo i ponti idrogeno intra- e inter –molecolari;

2- CHAPS 4%, un detergente non ionico che viene aggiunto per rompere le interazioni idrofobiche e incrementare la solubilità proteica al relativo punto isoelettrico;

3- Blu di bromofenolo,un tracciante colorato che ha il compito di indicare la fine della corsa;

4- DTT (ditiotritolo), un agente riducente necessario per la rottura dei ponti disolfuro che si formano tra i residui di cisteina e per mantenere i gruppi sulfidrilici delle proteine in forma ridotta ed impedire la formazione di ponti disolfuro impropri.

A questo punto si procede con l’omogeneizzazione del tessuto vera e propria versando il contenuto del campione nel mortaio ed in questo caso effettuando per ogni tessuto 10 colpi con il pestello (a volte sono necessari più o meno colpi). In seguito si centrifuga a 17000 g per 10 minuti e alla fine si valuta la presenza o meno di un certo quantitativo di pellet.

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4.2.2 – Il dosaggio proteico RC-DC Biorad

Il dosaggio proteico è un saggio colorimetrico per quantificare le proteine totali presenti nel campione.

L’RC-DC è uno dei diversi metodi di dosaggio chiamato così poiché si effettua in presenza di agenti riducenti e detergenti o meglio, mantiene tutte le caratteristiche del saggio DC originale, ma è stato modificato per essere compatibile ad alte concentrazioni di agenti riducenti (RC – reducing agent compatible) e di detergenti (DC – detergent compatible).

Il saggio si basa sul saggio di Lowry, stesso principio di funzionamento del dosaggio DC, il quale prevede due step per la comparsa della colorazione. Il primo è la reazione fra le proteine ed il tartrato di rame in mezzo alcalino, il secondo è la riduzione del reagente Folin ad opera delle stesse proteine.

La reazione avviene principalmente a carico degli amminoacidi tirosina e triptofano, e in maniera minore di cistina, cisteina e istidina. Le proteine attuano una riduzione del reagente Folin per perdita di 1,2 o 3 atomi di ossigeno, producendo così una o più specie ridotte che assumono la caratteristica colorazione blu, con un massimo di assorbanza a 750 nm ed un minimo a 405 nm. L’assorbanza può essere misurata con sicurezza nell’intervallo 650-750 nm.

Il kit Biorad è composto da:

 Reagente A: soluzione alcalina di tartrato di rame.

 Reagente B: reagente Folin.

 Reagente S: soluzione surfactante.

Riferimenti

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