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LA CORTECCIA

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Academic year: 2021

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CAPITOLO VI IL SISTEMA NERVOSO

Qui descriverò i meccanismi che danno origine alla vita mentale ed in particolare alla razionalità, che è per Boncinelli la più affilata delle armi con cui l'uomo

combatte la sua battaglia contro l'entropia. Con ciò si apre il problema filosofico della conoscenza e subito dopo, come vedremo, quello etico.

LA CORTECCIA

La nostra corteccia contiene cento miliardi di cellule nervose: tante quante le stelle della nostra galassia, forse tante quante le galassie dell'universo! E per ciascuna cellula nervosa ci sono

mediamente diecimila sinapsi, per un totale di un milione di miliardi di sinapsi! È dunque l'oggetto più complesso dell'universo. Per parlare del cervello umano parte da quest'immagine poetica, affascinata e affascinante, paragonando i numeri dell'infinitamente grande a quelli dell'infinitamente piccolo, senza dunque perdere l'inquadratura cosmica di ciò che più gli sta a cuore.

La corteccia, che è una sfoglia a sei strati sovrapposti, proprio come una pasta-sfoglia casalinga, accartocciata e piena di circonvoluzioni molto più che negli altri animali, se dispiegata raggiunge una dimensione media di una "tovaglia" di un metro per due. È cresciuta appoggiandosi alle strutture preesistenti e ricoprendole interamente, ma non si tratta di semplice forma, perché in tal modo interferisce con tutto, pur permettendo alle antiche strutture di funzionare in maniera autonoma, così che ha sempre l'ultima parola su ogni elaborazione di una qualsiasi altra parte del cervello, caratterizzandosi con un'azione che, soprattutto nella nostra società, è fondamentalmente inibitoria rispetto al corpo e agli istinti. A sostegno di ciò, Boncinelli riferisce il caso di un operaio statunitense che avendo perso della sostanza bianca corticale in seguito ad un brutto incidente divenne incapace di autocontrollo, cioè divenne incapace di valutare i rischi e le conseguenze delle sue azioni

1

.

Gli istinti sono alla base dei comportamenti innati, ma noi, a differenza degli animali, siamo capaci di intervenirvi e di limitarli, proprio grazie alla corteccia. Per distinguerci da loro non c'è dunque bisogno di ricorrere con Freud al concetto di pulsioni; i nostri istinti appaiono diversi solo perché vengono arginati e frenati dalla corteccia.

La razionalità consiste dunque per Boncinelli nell'uso della corteccia cerebrale, che è forse, per lui, il bene più prezioso dell'uomo.

Nella corteccia i neuroni sono organizzati in rete, mentre altrove ci sono piuttosto circuiti; ciò significa che qui ogni neurone può comunicare con qualsiasi altro, anche se poi si formano, sulla base probabilmente della ripetizione, alcuni circuiti preferenziali. Questo forse è indicativo della grande libertà delle connessioni corticali rispetto alle altre parti del cervello, e ancor più della grande libertà del mentale rispetto al biologico, dove le cellule per comunicare tra di loro e con altre sostanze devono essere predisposte

geneticamente coi recettori giusti; qui invece tutto può comunicare con tutto e ciò potrebbe essere alla base della straordinaria velocità del progresso culturale.

Sappiamo già che tale architettura sinaptica deriva in origine dai geni con l'aiuto degli ormoni, ma è soggetta a cambiare durante tutta la vita, perché ogni acquisizione comporterà sinapsi nuove e la

1 "Quel che resta dell'anima", pagg. 113-114.

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scomparsa di altre, dando luogo a continui processi di "ricatalogazione" delle conoscenze acquisite

2

.

Un'importante funzione della corteccia, abbiamo detto, è quella di unificare. Mentre infatti ciò che proviene dai sensi ha un carattere frammentario e discreto, la corteccia ci fa apparire tutto come unitario, soprattutto grazie all'emisfero sinistro, e lo fa prima che vi sia consapevolezza. Dunque, quest'attività di unificazione per quanto corticale non sembra razionale, visto che non è consapevole (dal momento che Boncinelli ci dice che la razionalità passa necessariamente per la consapevolezza).

Secondo il neurobiologo Gazzaniga, nella corteccia sinistra, o "grande imbroglion

a

", c'è un

"Interprete" che opera queste unificazioni. Boncinelli preferisce parlare, piuttosto che di interprete, semplicemente di corteccia

3

. Quando per esempio abbiamo sensazioni non complete di un oggetto, come càpita nelle illusioni ottiche, quando la nostra percezione non è chiara, la corteccia completa ciò che vediamo, fa un'operazione di montaggio costruendo un tutto unitario e coerente che talvolta non corrisponde alla realtà. Allo stesso modo, come vedremo, ci fa anche credere che esista un io e una soggettività, vale a dire un soggetto unico e continuo delle percezioni e volizioni che di per sé sono frammentarie, molteplici, discontinue, discrete.

Poiché però dobbiamo supporre che anche un insetto o un rettile, che sono privi di corteccia, abbiano percezioni unitarie, dobbiamo immaginare che tale unificazione sia operata anche da qualcos'altro

4

. Dal momento che il pensiero razionale, che è strettamente collegato alla corteccia, procede in maniera discreta e sequenziale, è piuttosto strano

pensare che sia proprio la corteccia ad operare unificazioni. Piuttosto mi aspetterei che un'operazione simile fosse compiuta dall'emotività che procede “a colpo

d'occhio” e sulla base delle aspettative, anticipando la percezione sulla base della memoria.

Come la teoria della Gestalt sostiene, noi cerchiamo d'interpretare come unità significanti i vari frammenti dispersi. La corteccia è cioè creatrice di senso e di significato

5

.

Questo voler dare senso e significato a tutto è insieme un grande pregio, che ci ha permesso di capire molte cose del mondo, insegnandoci a cercare le cause di ogni effetto, ma è anche un limite, perché abbiamo finito col cercare un senso anche laddove non c'è. Per esempio ci chiediamo -

“peccato dei peccati

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” - il senso della vita, e vediamo un'intenzione e una volontà anche laddove la causa non è umana. La ricerca di senso, coi suoi pregi ma anche coi suoi limiti, è per Boncinelli uno dei prodotti della razionalità, cioè della corteccia umana. Per come ce la descrive, a me sembra che anche l'amigdala costruisca “il senso”, ricavando il succo dalle esperienze precedenti e riassumendolole semplicemente in

un'emozione, che immancabilmente torna fuori ogni volta che un evento attuale ne riecheggia uno passato.

In anni precedenti Boncinelli scriveva che è la coscienza (e non la corteccia) che cerca sempre un senso anche là dove non c'è e ci fa percepire tutto come continuo, logico e coerente ; infatti in lui corteccia e coscienza tendono a sovrapporsi e a confondersi. Ne "La serva

padrona", a pagina 103 scrive infatti: "Qua si nasconde un paradosso, una volta tanto biologico.

2 "L'etica della vita", pag. 108.

3 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 46.

4 "Quel che resta dell'anima", pag. 20.

5 "Il cervello, la mente e l'anima", pag. 254.

6 "Il cervello, la mente e l'anima", pag. 254

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Da una parte, ci sono i nostri sensi che introducono insopprimibili elementi di discontinuità nella percezione del reale; dall'altra c'è la nostra coscienza, che ci fa apparire tutto logico, coerente, continuo e unico. Come ho detto altre volte, i nostri sensi non osservano il mondo, lo interrogano. Pongono al mondo una serie di domande precise e stereotipate: in una scena visiva ci sono linee verticali o orizzontali? Ci sono angoli o non ci sono angoli? Il colore di un oggetto è giallo o azzurro? Quel tale oggetto è fermo o in movimento? Quanto di dolce e quanto di acidulo contiene il sapore di quel frutto? Quel suono è "a" o non è "a"? Questa

"discretizzazione" delle sensazioni, alla quale segue poi una serie di "digitalizzazioni" del segnale nervoso nel suo cammino dai sensi al cervello e viceversa, trova il suo culmine nel linguaggio che impone una frantumazione dell'universo del discorso in parole e prima ancora in sillabe e nella progettazione dell'azione che deve essere finalizzata a quell'oggetto e non ad un altro e magari a quell'aspetto di quell'oggetto e non ad un altro. Coscientemente o incoscientemente, quindi, noi ritagliamo il mondo in una serie di oggetti distinti anche se più o meno sfumati. Ciascuna cellula, o ciascun gruppo di cellule, dei nostri organi di senso invia in sede centrale i suoi messaggi nervosi e questo avviene per vie sostanzialmente parallele: le forme, i colori, la profondità, i suoni, gli odori, i sapori, il dolore e la sensazione di caldo

viaggiano separatamente verso il cervello. Qua avviene qualcosa volto a integrare e amalgamare il tutto in modo che noi non ci accorgiamo di tutta questa frammentazione dell'informazione sensoriale. Per effetto della coscienza, a noi il mondo appare unico e continuo

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, e su questa base impostiamo il nostro comportamento. " Se è vero che la corteccia unifica, mi pare che altrettanto faccia la coscienza, almeno nella sua dimensione fenomenica, caratterizzata dall'emotività. Inoltre queste unificazioni sono evidentemente attive anche in animali che non dispongono certo di razionalità o di corteccia.

Oltre ad imbrogliarci facendoci credere che le nostre sensazioni sono unitarie, mentre hanno un'origine frammentaria, la corteccia ci fa credere che siamo consapevoli quando ancora non lo siamo, che siamo noi a decidere consapevolmente, quando invece a decidere sono le nostre emozioni e il nostro corpo, e la consapevolezza vi interviene tutt'al più come un testimone delle decisioni da questi prese.

La corteccia retrodata le nostre percezioni, per farci credere di aver deciso quando invece la decisione è inconscia o precosciente. Riferisce a questo proposito gli esperimenti di Benjamin Libet sui tempi occorrenti a schiacciare un pulsante, in cui si chiede a un soggetto di premerlo quando vorrà e di osservare al contempo che ora è su un orologio di fronte. Misurando con opportuni strumenti l'ora effettiva in cui il pulsante è stato premuto, quella in cui il cervello ha inviato l'ordine di premere il pulsante e quella che il soggetto ha registrato, si vede che l'azione è stata compiuta 200 millisecondi dopo che è stata decisa consapevolmente, ma che nella corteccia dell'individuo in questione si è creato un potenziale di prontezza (che si attiva sempre prima di ogni azione) 550 millisecondi prima dell'azione e... 350 millisecondi prima di averla decisa!

Prima del movimento e prima ancora che la corteccia motoria si attivi si è dunque attivata la corteccia premotoria, che è quella che rende fluidi, motivati e coordinati i movimenti di uomini e animali

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e rende possibile probabilmente una visione in prima persona, che quindi caratterizzerebbe forse anche gli animali. Gli esperimenti di Libet peccavano forse di una certa rigidità, ma sono stati ripresi con maggior raffinatezza nel 2008 da John-Dylan Haynes, che li ha sostanzialmente

confermati. Quando prima abbiamo parlato della trasformazione dell'informazione in comunicazione descrivendo questa novità come proprietà emergente, abbiamo accennato al fatto che tutto ciò assomiglia al passaggio dall'inconsapevolezza alla

7 La sottolineatura è mia.

8 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 141.

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consapevolezza. Nonostante che la singola cellula si muova con una determinata funzione, è solo al livello di organismo che emerge la comunicazione, e in tale concetto di comunicazione sembra implicita una certa forma di intenzione e di consapevolezza, per quanto non ancora razionale. Sembra dunque esistere una consapevolezza che precede quella razionale e che forse la prepara e la determina:

una consapevolezza della materia o del corpo, che avrebbero tutti gli organismi.

Immagino che Libet coi suoi esperimenti abbia misurato la distanza temporale tra queste due, e infatti Boncinelli stesso, come vedremo, sente la necessità di

distinguere due o tre livelli di coscienza o consapevolezza

9

.

Ne "Il cervello, la mente e l'anima", alle pagine 93-94, ma anche in "Pensare l'invisibile" alle pagine 47/49 viene raccontato un esperimento mediante stimolatore magnetico transcraniale. Accostandolo alla testa di un uomo lo si induce ad effettuare movimenti ben precisi o addirittura a ridere anche se contemporaneamente egli sta guardando delle immagini tristi. Ma l'aspetto più sorprendente è che il soggetto in questione riferisce successivamente i pensieri precisi e le ragioni che l'hanno indotto a muoversi o a ridere, perché tutto ciò gli appare avvenuto spontaneamente e non indotto dall'esterno (in una specie di razionalizzazione freudiana in cui vengono inconsapevolmente inventate le motivazioni. Accade del resto una cosa per certi versi simile in un fenomeno che forse è noto a ciascuno di noi, quando costruiamo un sogno lungo ed elaborato in base allo stimolo della sveglia che suona allorché il sogno, per quanto lunghissimo, termina). La corteccia infatti – afferma altrove

10

Boncinelli – costruisce ragioni che non sono le cause reali, ma che corrispondono talvolta a razionalizzazioni.

Infine, come sperimentiamo negli interventi chirurgici, le stimolazioni della corteccia somatosensoriale creano la sensazione che sia stata invece stimolata la parte del corpo corrispondente; quindi l'imbroglio non è solo temporale ma anche spaziale.

Ciò che passa attraverso la corteccia ha innanzitutto la caratteristica di poter essere nuovo; tutte le nostre attività di esplorazione, di scoperta, di creatività, devono necessariamente passare attraverso di essa e l'uomo che usa prevalentemente questa modalità è ben rappresentato da Prometeo, al quale Boncinelli ha dedicato una sua traduzione del testo di Eschilo. Questo personaggio non a caso simboleggia la scienza, in quanto è colui che ha portato all'umanità il fuoco e la tecnica, e che più in generale ha il coraggio di affrontare i rischi, di assumere le responsabilità, che è capace di cambiare la realtà e se stesso consapevolmente, abbandonando lo scudo della ripetizione automatica dei

comportamenti. Attraverso lo strumento razionale, soprattutto se collettivo, noi riusciamo ad andare oltre ciò che la nostra intuizione ci consente, oltre ai limiti di una capacità di ragionamento che è in funzione della pura sopravvivenza.

Questa “seconda via” ha però lo svantaggio di essere più dispendiosa in termini di energia, oltreché più lenta. È dunque proprio per pigrizia che ci affidiamo molto più spesso alla "prima via", come se fosse il nostro "pilota automatico", ed utilizziamo la seconda soltanto di fronte alle situazioni nuove, che automaticamente non siamo attrezzati ad affrontare, oltreché nelle professioni intellettuali e in quelle scientifiche in particolare, in cui abbiamo a che fare con dimensioni spazio- temporali che non sono le nostre. Serialità e razionalità, come vedremo, caratterizzano infatti il pensiero scientifico più che quello umanistico.

9 Vedi in seguito da pag. 153.

10 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 137.

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IL CERVELLO E IL SISTEMA NERVOSO

Come sappiamo, il cervello opera in parallelo, come tutto il nostro corpo, perché i vari neurostati, vale a dire gli stimoli chimico-fisici

11

, gli arrivano contemporaneamente da più parti.

Esso è costituito da due emisferi. Il sinistro è quello che Gazzaniga definisce "l'interprete", che coglie maggiormente il significato unitario, ma talvolta è ingannato e talaltra improvvisa e inventa false ricostruzioni, mentre il destro è più veridico e letterale

12

. In base ad esperimenti fatti su soggetti con emisferi che sono stati separati mediante una resezione del corpo calloso, risulta che quello sinistro è raziocinante, freddo e numerico, mentre il destro è iconico, geometrico e

musicale

13

. Non sarà questa dunque una localizzazione approssimativa del "sistema decisionale 2" o "via alta" e del "sistema decisionale 1" o "via bassa"? L'emotività non è forse prevalentemente il frutto della parte destra del cervello mentre la razionalità lo è del sinistro?

Il sistema nervoso è tutto ciò che sta tra stimolo e risposta

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, cioè tra i sensi e l'azione reattiva, che pur facendo capo ad apparati differenti, sono strettamente collegati. Sensazione e movimento vanno infatti di pari passo, com'è evidente nell'apprendimento dei bambini che toccano per imparare.

Lo spazio esterno al nostro corpo noi lo distinguiamo nettamente in due parti. Quello che è più vicino a noi, in cui gli oggetti sono facilmente raggiungibili con l'estensione del braccio o di un semplice strumento, lo sentiamo come inglobato, come una pertinenza del nostro corpo; tale spazio, chiamato “peripersonale”, è dunque il risultato di un'integrazione senso-motoria e qualifica quasi un'estensione del nostro corpo, che infatti può essere violata solo in particolari relazioni, tra cui quella amorosa; esso si amplia man mano che aumenta la nostra capacità di raggiungerlo. Questo rende evidente come l'autodefinizione di noi stessi, e - come vedremo - dell'"io", si allarghi anche a una parte di ciò che è esterno e che non fa parte del nostro corpo;

noi siamo infatti il risultato, come Boncinelli ha scritto, di un'interazione tra geni, esperienza e caso

15

, e nessuno di questi tre elementi può mancare.

Da Piaget in poi l'integrazione senso-motoria è vista come fondamentale nell'apprendimento sensoriale, che utilizza manipolazione e movimento.

Noi apprendiamo infatti con tutto il nostro corpo, esploriamo manipolando, perché il pensiero e il linguaggio sono nati in funzione del movimento e tutto il nostro sistema nervoso è

indissolubilmente legato alla motricità, secondo il principio della mente incarnata o "embodied mind", per cui la percezione è sempre finalizzata all'azione in funzione della sopravvivenza

16

. È forse per questa ragione che la corteccia sensoriale è strettamente legata al movimento (e dunque allo spazio intorno a noi) e che il centro del linguaggio si trova nell'area premotoria;

infine, impariamo per imitazione perché c'è un "collegamento antico"

17

tra corteccia visiva e motoria. Ciò sembra evidente nel meccanismo di attivazione dei neuroni-specchio, dove l'osservazione di un' azione altrui mette in moto i neuroni del movimento che quella stessa azione coinvolge. Legati alla motricità, perlomeno potenziale, sono infatti sia la percezione che l'immaginazione e il ragionamento.

11 "Che fine ha fatto l'io?", pag. 134.

12 Pagg. 271-272 de "Il cervello, la mente e l'anima".

13 Pag. 160 de "La serva padrona".

14 Questa definizione coincide esattamente con quella che dà di pensiero a pag. 4 di "Come nascono le idee".

15 “L'etica della vita”, pag. 143.

16 Pag. 97 di "La vita della nostra mente" o pag. 137 di "Io sono, tu sei".

17 Pag. 119 di "Verso l'immortalità".

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All'origine dei circuiti nervosi ci sono i sensi e le percezioni sia del mondo esterno che del corpo

18

. Tali stimoli vengono portati poi al midollo spinale attraverso i nervi (che sono assoni riuniti, mielinizzati assieme) che sono distribuiti lungo tutto il corpo.

Il processo di trasmissione di un segnale nervoso è un fenomeno "tutto o nulla"; si tratta cioè di un meccanismo discreto e non continuo, in cui il segnale viene lasciato passare oppure no, senza soluzioni intermedie, a seconda che sia più o meno forte, quindi secondo un criterio di rilevanza, che amplifica le differenze, azzerando ciò che è lieve - che dunque non verrà trasmesso - e lasciando passare solo ciò che è abbastanza forte. Non ne risultano impulsi forti e impulsi deboli, quel che varia è solo la loro frequenza

19

. Tutto ciò avviene ad opera dei neurotrasmettitori, dei neuromodulatori e dei nuclei, i quali ultimi fanno una sorta di somma algebrica tra segnali eccitatori e inibitori ricevuti

20

. Si tratta di un meccanismo altrettanto discreto ed analogo a quello che già abbiamo visto per i geni, che possono essere soltanto accesi o spenti, senza vie intermedie. Tutto ciò evita la perdita d'informazione lungo il percorso e l'ambiguità, come avviene nei sistemi digitali.

Tale discretizzazione caratterizza tutto il nostro sistema sensoriale, nervoso e percettivo. La

sensazione viene poi inviata alla corteccia che la interpreta confrontandola con le aspettative e ne dà una lettura unitaria; se poi è necessario, quando cioè il percepito sembra non corrispondere ai nostri schemi mentali, che eseguono una selezione della percezione in base a criteri di rilevanza e di pertinenza, la corteccia rinvia nuovamente alla percezione, per cercare un chiarimento, e questo è un rimando che accade ordinariamente, abitualmente.

Gli stimoli possono provenire dalla realtà esterna, e sono chiamati segnali esterocettivi, ma

possono avere origine dal nostro corpo, e sono chiamati propriocettivi o enterocettivi, a seconda che derivino dal sistema muscolare o dagli organi interni.

L'eccitazione, sia che provenga da uno stimolo esterno che interno, si trasmette attraverso quelle speciali cellule che sono i neuroni. Si propaga come segnale elettrico all'interno delle singole cellule nervose, trasformandosi in segnale chimico nel passaggio tra un neurone e l'altro.

Che tale trasmissione avvenga e con quale intensità o che venga inibita, e che l'effetto sia a breve o a lungo termine dipende da molti elementi, tra cui i mediatori chimici e la membrana postsinaptica;

in tal modo i recettori sono perfino più determinanti degli effettori ed è importante osservare che tutti questi fenomeni si basano su meccanismi di riconoscimento, che abbiamo già indicato come basilari in tutta la biologia, perché aprono all'influenza esterna, limitando il potere dei geni.

Ognuno dei nostri sensi funziona, per predisposizione del nostro genoma, entro una determinata gamma di frequenze, vale a dire che non tutte le sollecitazioni diventano stimoli sensoriali, non percepiamo cioè tutto ciò che in generale sarebbe percepibile

21

. Per esempio, a differenza dei

pipistrelli o dei ratti, non udiamo gli ultrasuoni, che a loro servono per orientarsi e cacciare nel buio;

a differenza del pesce elettrico e dell'ornitorinco non percepiamo i campi elettrici, tanto che l'elettricità l'abbiamo scoperta solo alla fine del 1700; a differenza di api e farfalle non vediamo i raggi ultravioletti. I sensi cioè escludono le sollecitazioni non pertinenti per la specie a cui

appartengono, cioè quelle che non hanno importanza di sopravvivenza, e si può dunque dire che i sensi hanno una funzione di filtro. Essi non sono puramente passivi, ma attivi, in quanto non partono da zero, ma da una conoscenza di base, attraverso la quale interrogano la realtà per mezzo di precise domande predisposte rigidamente dal nostro genoma, che contengono "un sapere antico, un diverso tipo d'informazione acquisita generazione dopo generazione e accumulata nel corso dei millenni nelle nostre cellule e nei nostri geni, cioè nel nostro patrimonio genetico"

22

. Ciò che viene percepito non è dunque tutto il reale, ma solo ciò che avviene entro specifiche

18 "Mi ritorno in mente", pag. 41.

19 Pag. 89 de "Il cervello, la mente e l'anima".

20 "Mi ritorno in mente", pag. 34.

21 "Mi ritorno in mente", pag. 45.

22 "Io sono, tu sei", pag. 83

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frequenze, che sono variabili nelle diverse specie, secondo un principio di pertinenza, con

un'attenzione particolare ai movimenti, ai contrasti e ai cambiamenti, che infatti sono rilevanti per la sopravvivenza.

Il midollo confluisce nel bulbo e nel ponte, cioè nel tronco cerebrale, e da lì gli stimoli vengono trasmessi al talamo, centro di smistamento delle sensazioni, per poi arrivare alla specifica area della corteccia somatosensoria che corrisponde alla parte del corpo da cui la sensazione ha origine.

Infatti la corteccia somatosensoria, come quella motoria, ha la famosa forma dell'homunculus, cioè quella corrispondenza topografica con le zone del corpo, che permette di dire a Boncinelli che il cervello sente il corpo e lo conosce a priori. Ma a sentire il corpo c'è anche una percezione degli organi interni prevalentemente inconscia, attraverso l'orecchio (in quanto organo dell'equilibrio, aiutato in ciò dalla vista), l'apparato muscolare e, soprattutto, il sistema neurovegetativo.

A questo punto, dalla corteccia può partire immediatamente un segnale di ritorno, cioè una reazione con un messaggio che va dapprima all'area motoria e da questa attraverso il midollo di nuovo al corpo per azionare un movimento di risposta o per articolare una frase, impegnando talvolta anche il cervelletto (preposto all'equilibrio e alla coordinazione motoria) e il tronco.

IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA: DA KANT A LORENZ

La possibilità che vi sia conoscenza è conseguenza prima di tutto – afferma Boncinelli -

dell'indubitabile distinzione tra soggetto e oggetto

23

, tra mondo esterno e mente

24

. Egli presuppone infatti che il mondo certamente esista di per sé, anche se non potremo mai dimostrarlo, e anche che esso esista indipendentemente da me e dagli altri soggetti che lo osservano

25

; altrettanto certo è che esisto io

26

, mentre l'esistenza di altri soggetti non è altrettanto sicura

27

, vale a dire che non è un dato primario immediatamente presente alla nostra percezione e coscienza, e deriva probabilmente dalla “teoria della mente”e dall'empatia prodotta dai neuroni-specchio.

Tra empiristi e innatisti, dice a pagina 73 di "Pensare l'invisibile", la verità sta nel mezzo. Non potrò mai conoscere la realtà di per sé, ma la conosco attraverso i sensi, cioè "mettendoci del mio", immagazzinando cioè le mie percezioni in scaffalature create dalla mente umana, che corrispondono pressappoco alle forme a priori kantiane: “Dobbiamo accontentarci, dice Kant, di cogliere i fenomeni, quelle versioni della cosa in sé che sono alla nostra portata, dopo che abbiamo, inconsapevolmente, modificato, fatto nostro – cioè “inscatolato” e “catalogato” secondo criteri tutti nostri -, categorizzato, assimilato e metabolizzato tutto ciò che ci proviene dal mondo esterno.”

28

Noi innanzi tutto percepiamo il mondo non come è ma come i nostri sensi ci permettono di

percepirlo. Scrive Boncinelli

29

: "Ma in natura l'odore di violette non esiste, come non esiste un accordo in Do o il giallo paglierino. Ciascuno di questi è un segmento di realtà ritagliato da uno dei nostri sensi e da essi elevato al rango di sensazione. [...] Il mondo di per sé non è popolato né di sensazioni né di stimoli. Sono infatti gli organi di senso delle varie specie animali che individuano dei potenziali stimoli e li trasformano in sensazioni

.

"

I nostri sensi non osservano passivamente la realtà, ma la interrogano secondo domande precostituite dal patrimonio genetico; dunque sono i geni, non individualmente ma nella loro

23 “Il cervello, la mente e l'anima”, pag. 4.

24 “Il cervello, la mente e l'anima", pag. 4.

25 Pag. 9 di “Mi ritorno in mente”.

26 Pag. 13 di “Mi ritorno in mente”.

27 Pag. 39 di “Quel che resta dell'anima”.

28 “Perché non possiamo non dirci darwinisti”, pag. 229.

29 Pag. 118 de “Il cervello, la mente e l'anima”.

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globalità, che pongono le loro domande

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e che costituiscono quindi la parte a-priori dei nostri meccanismi conoscitivi.

Nell'introduzione a "Il cervello, la mente e l'anima", Boncinelli ci parla subito di Kant (a fine pag.4) e della sua "rivoluzione copernicana", consistente nell'aver spostato l'attenzione del problema della conoscenza dal mondo esterno al soggetto conoscente: "C'è, secondo Kant, un ruolo attivo dei nostri sensi e della nostra mente nel dirigere e nell'organizzare l'apprendimento e questo ruolo attivo, che costituisce anche una forma di sottile condizionamento, è il frutto della struttura fisica e biologica dei nostri sensi e della nostra mente. Tale struttura fisica e biologica è comune a tutti noi esseri umani e ad essa non si può sfuggire. Esistono in noi, in sostanza, delle forme a priori della sensibilità e della conoscenza che la nostra mente utilizza in ogni circostanza e delle quali, per quanto faccia, non potrà mai liberarsi”.

Gli schemi innati non operano solo al livello di percezione ma anche d'interpretazione

31

. Se per quanto riguarda i sensi l'affermazione di Kant è talmente scontata da costituire “un truismo”

32

, tutto ciò vale anche per la corteccia e per i nostri stessi schemi interpretativi, per i nostri schemi

conoscitivi, cioè per l'intera struttura mentale legata alla percezione, che è organizzata su possibili risposte a domande stereotipate e predeterminate. Infatti:”Chi avrebbe potuto dire, nonostante cinquemila anni di dibattiti filosofici, che nella parte occipitale della corteccia ci sono neuroni che si attivano solo se io vedo una bacchettina, che sono lì deputati a portare domande precise. Nelle rane ci sono neuroni che si accendono solo se la scena viene attraversata da qualcosa che somiglia a un moscone. Si è cercato di imbrogliare nella maniera più bieca facendo l'insetto un po' più grande o un po' più piccolo, tenendo fermo il moscone e

muovendo la scena al contorno, ma quel neurone non può essere ingannato: si accende solo quando vede qualcosa che passa e che potrebbe essere un moscone. Anche la nostra

struttura mentale è a domande fisse, solo che non ce ne accorgiamo perché le domande sono talmente numerose, la quantità dei “sì” e dei “no” è di tante e tante centinaia di milioni che il risultato globale sembra essere continuo, come se fossimo capaci di apprezzare tutte le sfumature del mondo. Ma questa impressione è dovuta al fatto che abbiamo tanti neuroni.”

In "E ora?", a pagina 40, scrive: "Personalmente sono molto interessato al problema della conoscenza. Già Kant lo espresse in maniera geniale: l'uomo conosce il mondo

imprimendogli una serie di scaffalature o di forme a priori. Questo intervento attivo si sovrappone agli stimoli chimici e fisici provenienti dall'esterno."

"Noi incaselliamo, per così dire, il mondo in una serie di schemi e di categorie conoscitive che ci sono proprie e che trascendono l'individuo ma non la specie. Questi schemi percettivi necessari e sufficienti per conoscere il mondo sono definiti da Kant forme pure a priori della conoscenza. Kant stesso ne elenca e descrive un certo numero, dallo spazio e tempo alla causalità.”

Enumerando e descrivendo queste forme Kant

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“dette l'avvio a una nuova impostazione del problema della conoscenza", ma, "come succede ai filosofi quando non consultano la realtà, era caduto nell'arbitrario

34

", perché si basò su quelle aristoteliche, lavorando

“maldestramente di fantasia", tirando fuori le categorie dell'intelletto dalla propria mente "come un coniglio dal cilindro" del prestigiatore

35

, mentre la scienza attuale “le va a cercare una per una

30 "Io sono, tu sei", pag.83.

31 "Quel che resta dell'anima", pag. 24.

32 "E ora?", pag. 135.

33 “Il cervello, la mente e l'anima” pag. 4

34 "E ora?", pag. 134.

35 "Il cervello, la mente e l'anima", pag. 284.

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con grande fatica”

36

. A differenza dello scienziato che sa di non sapere e lavora appassionatamente per mettersi in condizione di conoscere, il filosofo pretende di delineare sùbito ciò che verrà in seguito

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. Perfino Kant, che egli ammira tantissimo e del quale dice scherzosamente “Se hai un dubbio metafisico, Kant che ti passa”

38

, ha dunque sbagliato. Ben più attendibile è il lavoro della scienza; scrive infatti Boncinelli:”ritengo che attualmente le neuroscienze comincino a

indicarci con precisione alcune di queste forme a priori, non deducendole per via speculativa, ma ricavandole dal lavoro sperimentale. In un prossimo futuro potremmo aspettarci,

probabilmente, una mappatura completa degli schemi sensori e percettivi che gli esseri umani utilizzano nelle loro manovre di accostamento al mondo.”

39

Dunque il discrimine fondamentale tra filosofia e scienza consiste nel metodo sperimentale che soltanto la seconda usa, che costituisce l'unico modo attendibile per individuare le nostre forme a priori.

Dopo Kant – prosegue - "non mi pare che ne sia seguito granché sul piano della riflessione filosofica"; su tale questione la filosofia ha infatti dato tutto ciò che poteva dare, facendo anche affermazioni contraddittorie, ed è giunto il momento che sia la scienza ad occuparsene. È infatti assodato che i sensi percepiscono entro gamme limitate e che le forme della rappresentazione e della categorizzazione sono determinate in gran parte dalla nostra biologia, oltreché dall'ambiente culturale e dalla storia personale, e quindi dovranno essere affrontate in particolare dalla

neurobiologia, con metodo sperimentale e perciò lento. Nel futuro Boncinelli prevede dunque il trionfo di Kant

40

, che tuttavia avverrà ad opera delle scienze sperimentali. Sottolinea egli stesso di avere un'impostazione di base ben differente dalla sua, di ordine sperimentale anziché

trascendentale; occorre infatti naturalizzare l'epistemologia e affrontare questi problemi scientificamente e con metodo sperimentale.

Per quanto riguarda i sensi, un qualsiasi sapore, per esempio, viene percepito da noi solo attraverso quattro diversi tipi di papille gustative, che quantificano rispettivamente il dolce, l'amaro, il salato, l'acidità, e inviano al cervello la composizione di questa quaterna, che è costituita da valori discreti.

Ogni papilla preposta a un determinato sapore “chiede”: “quanto ce n'è di questo?” La combinazione dei risultati di queste quattro componenti genera una gamma di sapori

tendenzialmente infinita e continua, ed è la corteccia a fare tutto ciò, a trasformare cioè le separate percezioni, vale a dire i neurostati, in un sapore specifico, percepito come unitario e continuo, cioè in uno psicostato. Allo stesso modo i colori vengono percepiti secondo terne di valori (blu/giallo, rosso/verde, chiaro/scuro), che interrogano la realtà ad esempio su quanto giallo ci sia in ciò che vediamo. In maniera analoga funzionano tutti gli altri sensi, inviando al cervello informazioni che sono discrete e mai continue.

Poi la nostra corteccia unifica e rende sensato tutto quanto, operando in maniera analoga ad una cinepresa che trasforma in un film la successione dei singoli fotogrammi.

La nostra rètina per esempio contiene fotorecettori di tipo diverso: i coni, che percepiscono i colori, e i bastoncelli, che si attivano soltanto in caso di ridotta luminosità; le cellule gangliari a loro volta sono specializzate a percepire alcune il movimento, altre i dettagli. Inoltre i nostri occhi si spostano continuamente in movimenti chiamati "sàccadi", durante le quali noi siamo ciechi, e perciò la nostra visione per come proviene dai sensi è continuamente interrotta, ed è solo grazie alla corteccia che ci appare unitaria. Noi percepiamo non solo attraverso i classici cinque sensi, ma anche attraverso percezioni enterocettive, legate cioè alle nostre viscere e organi interni, e propriocettive, legate alla muscolatura, perché i sensi attingono sia all'ambiente esterno che al corpo.

36 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 51.

37 "Il cervello, la mente e l'anima", pag. 284.

38 Pag. 81 di "A caccia di geni".

39 "Quel che resta dell'anima", pag. 26

40 "E ora?", pag. 40.

(10)

Se i differenti sensi inviano alla corteccia sensazioni slegate e parallele, com'è che vengono riferite poi ad un unico oggetto? Come faccio a dire che il sapore che sento è quello della pèsca che vedo?

È la corteccia che unifica tutto ciò – risponde Boncinelli – e che poi lo confronta coi ricordi, con l'immaginazione, la previsione e il ragionamento, cioè con la mente, che è cosa ben più vasta del solo pensiero cosciente. Si può forse dire che è dal confronto con le aspettative che emerge la nostra percezione, eliminando – in modo non consapevole - incoerenze e incompletezze, individuando con prontezza ciò che più somiglia a quel che già

conosciamo o con maggior lentezza ciò che ci risulta nuovo.

Dobbiamo pensare che accanto alla corteccia ci sia qualcos'altro che unifica, visto che anche gli animali che non sono mammiferi e non hanno corteccia si muovono e si comportano

adeguatamente.

Dal momento che talvolta la percezione non è consapevole, così che possiamo percepire qualcosa senza saperlo - com'è dimostrato da episodi di "visione cieca" – dobbiamo immaginare che tale unificazione, per quanto compiuta dalla corteccia, avvenga in modo precosciente

41

. È dunque possibile che i neurostati ancor prima di arrivare a coscienza si associno l'uno con l'altro o che siano in qualche modo preassociati. A tale questione, chiamata del binding, la scienza non sa ancora rispondere. Invece che di precoscienza, Boncinelli potrebbe forse parlare qui di consapevolezza del corpo, perché non c'è dubbio che anche per essere animali occorra una certa forma di consapevolezza, che non è ancora quella razionale. Egli, come vedremo, parla infatti di tre differenti livelli di consapevolezza

42

, anche se non usa il termine che uso io di consapevolezza del corpo.

Le sollecitazioni accolte come stimoli sensoriali vengono analizzate dunque secondo parametri che non sono casuali. Essi sono infatti predisposti dal genoma, sono diversi di specie in specie, secondo domande cioè che hanno la precisa funzione di selezionare ciò che è significativo per la specie in questione, attraverso criteri di pertinenza e di rilevanza sempre in funzione della sopravvivenza e dell'azione. In queste domande è riassunta la conoscenza di generazioni e generazioni, che evidentemente funziona bene visto che è stata selezionata.

Però le domande predisposte dal genoma umano non sono adeguate alla vita degli uomini

tecnologici che siamo diventati, perché sono rimaste quelle che assicuravano la sopravvivenza dei nostri antenati, che abitavano foreste e savane, visto che cervello e DNA non sono praticamente cambiati da allora ad ora. Le domande dei sensi risultano immodificabili e permanenti (e ciò potrebbe anche spiegare il nostro disagio nei confronti della tecnologia).

Abbiamo già detto che c'è una selezione degli stimoli in base alla loro intensità: soltanto quelli che raggiungono una certa soglia vengono trasmessi, mentre gli altri vengono azzerati. Segue una messa a fuoco sullo stimolo più importante, mentre il resto resterà sfumato. Questo per Boncinelli

significa già cercare, in maniera del tutto automatica e inconsapevole, un “senso” in ciò che percepiamo, attraverso i criteri di pertinenza e di rilevanza.

Per esempio, se all'interno del mio campo visivo c'è un prato e se per caso nel prato c'è un animale e magari si tratta di un giaguaro, guarderò subito quello, senza dilungarmi ad osservare le foglie!

Osserverò se è vivo o se è morto e cosa sta facendo. La mia attenzione viene catturata innanzitutto, come abbiamo detto, da ciò che si muove.

Sia noi che gli animali scegliamo, in maniera più o meno inconsapevole, tra i tanti eventi ciò che è nostro interesse percepire e lo facciamo mediante un processo attenzionale che negli animali inferiori è deciso in automatico dall'istinto, ma che man mano che si sale nella scala evolutiva e

41 "Come nascono le idee", pag. 88.

42 Vedi più avanti il capitolo dedicato alla coscienza da pag. 151.

(11)

aumenta la complessità è sempre meno automatico e sempre più affiancato dalle emozioni e dai moti affettivi, che fanno capo all'amigdala e alla valutazione di ciò che è gradito o sgradito, dunque in base ad un giudizio di valore. Noi percepiamo e agiamo talvolta automaticamente, senza che vi sia una motivazione, mentre altre volte la motivazione spesso è presente ed acuisce la nostra capacità percettiva. Tale motivazione negli animali inferiori e talvolta in noi nasce da un bisogno istintuale, ma in noi si affianca poi sempre ad una valutazione, che ha un'origine emotiva. Quando noi ci muoviamo in maniera spontanea, i nostri meccanismi non sono molto diversi da quelli di un mammifero superiore e le nostre azioni sono accompagnate da una coscienza che forse è solo un

"epifenomeno"

43

. Man mano che si sale agli organismi superiori e all'uomo, la valutazione diventa sempre più importante e finisce perfino col diventare essa stessa motivazionale, scalzando quella istintuale, e diventando giudizio di valore, caricandosi di istanze sociali e culturali

44

.

La valutazione deriva in parte dalla categorizzazione (e quindi ha anche una dimensione cognitiva) ma ha soprattutto una coloritura affettiva. Negli organismi inferiori riesce solo ad arginare, a inibire e a disciplinare l'eventuale motivazione istintuale, ma in noi cessa di avere un'azione di puro contenimento e può diventare essa stessa propulsiva all'azione. In ogni caso, sia nella loro funzione disciplinativa che nella loro funzione propositiva, i valori danno “senso” al nostro agire, così come fanno la rilevanza e la pertinenza. Talvolta i valori, soprattutto nella loro azione inibitoria, vengono assunti in maniera irriflessa e automatica.

La valutazione accompagna sempre la nostra percezione così come probabilmente accompagna la memorizzazione, la rappresentazione e l'azione

45

. Essa consiste nel sentire che qualcosa è più o meno adeguato rispetto a un determinato valore ( es.: vero, buono, giusto, utile, adeguato, sincero, etc) ed è relativamente indipendente dalla cognizione; infatti misura molti gradi possibili, è di tipo continuo, mentre la cognizione non lo è (perché un fatto lo sappiamo o non lo sappiamo), e ciò sembra indicare che le due cose appartengono a piani differenti

46

: ciò conferma che la valutazione non appartiene tanto alla razionalità, caratterizzata dal discreto, quanto all'emotività, che è

caratterizzata dal continuo.

Le domande attraverso cui esploriamo il mondo, escluse quelle sensoriali che sono fisse, non sono esclusivamente genetiche, ma vi contribuisce tutta quanta la nostra esperienza individuale; infatti:

"non ci provengono soltanto direttamente dal corpo ma anche dalla nostra conoscenza e cultura."

47

A pagina 99 di "Io sono, tu sei" chiarisce che le nostre aspettative dipendono anche dalla nostra esperienza personale, che per esempio sarà determinante nella prontezza con cui la percezione arriverà a coscienza; però tali schemi saranno previsti e organizzati secondo classi di schemi

presenti in numero finito e fisso nel genoma. Scrive infatti: "La possibilità stessa di percepire una particolare cosa dipende strettamente dalle nostre aspettazioni, le quali dipendono a loro volta dalla nostra esperienza personale e quindi dai nostri ricordi più o meno espliciti". E prosegue poco dopo: "Alcuni di questi schemi mentali sembrano ricadere a loro volta in classi di schemi di base che sono in numero finito e in certa misura preconfezionati." Tutto ciò lo riassume spesso brevemente dicendo, come già abbiamo visto, che apprendiamo sì, ma secondo modi e tempi dettati dal genoma, vale a dire che l'esperienza individuale incide dove e quando e quanto è stato disposto dal genoma.

I concetti (o classi o insiemi) vengono costruiti anche dagli animali, che per esempio distinguono tra predatore e preda, animato e inanimato, maschio o femmina, robustezza,

aggressività, appartenenza al gruppo e poco altro ancora. Ma come abbiamo detto si tratta di una

43 "Io sono, tu sei", pag.140.

44 "Io sono, tu sei", pag.138/9.

45 "Io sono, tu sei", pag.139.

46 "Io sono, tu sei", pag.141.

47 "Quel che resta dell'anima", pag. 31.

(12)

categorizzazione chiusa o meno aperta, esclusivamente naturale, genetica, non modificabile, mentre la nostra è aperta, ampliabile, suscettibile di essere influenzata dall'apprendimento e dall'esperienza. Non vedono per esempio che un ramo può essere anche un'arma per smuovere, snidare, scacciare. Vale a dire che noi siamo capaci di inserire ogni oggetto in molte più classi di quanto non facciano loro, così che la nostra categorizzazione è più libera e quella degli animali è più preordinata. Da ciò dipende probabilmente la loro incapacità tecnica rispetto a noi.

Ma non basta. La differenza forse non è solo quantitativa, perché il linguaggio, che è una nostra esclusiva, ci permette di connetterci mentalmente agli altri

48

, forse di allargare la gamma delle nostre alternative inserendovi quelle altrui, e ciò è alla base di quella cumulabilità che ha reso possibile la scienza e il progresso cognitivo e tecnologico.

Anche quando categorizziamo o parliamo operiamo delle esclusioni tra le varie possibilità, esattamente come quando percepiamo. Ma mentre nella percezione sensoriale noi non possiamo estendere a piacimento la gamma delle alternative, nella concettualizzazione tale gamma si amplia in base alla cultura collettiva e a quella personale ed è dunque in continua evoluzione

49

. Infatti con l'apprendimento la nostra libertà si dilata. Possiamo quindi completare il

ragionamento di prima sulla categorizzazione aperta degli umani e su quella chiusa degli altri animali osservando che non solo abbiamo una gamma di scelte maggiori, ma che ne creiamo – consapevolmente o meno - continuamente di nuove.

Tutto ciò forse spiega perché in ognuno di noi coesistano visioni del mondo antiche, spontanee e ingenue – o forse dovremmo dire intuitive – insieme con forme ben più sofisticate e adeguate al nostro avanzamento culturale. Abbiamo ad esempio una logica spontanea, come afferma anche la psicologia sperimentale, ben diversa dalla logica classica. Analogamente, come già sappiamo, abbiamo anche un'aritmetica, una geometria, una fisica elementari, ingenue e intuitive, che sono innate e che si distinguono dalle corrispondenti discipline scientifiche, che sono invece un prodotto culturale.

I nostri schemi cognitivi, essendo aperti all'esperienza, riescono a capire ben oltre quel che è consentito dai nostri schemi percettivi, più istintivi e intuitivi.

Forse questo è il motivo del grande potere della razionalità, ma a differenza di Boncinelli immagino che quel che è razionale oggi possa diventare automatico domani, “metabolizzandosi”; secondo me la razionalità è simile a una testa d'ariete che lavora per arricchire l'intuito e l'emotività.

Per categorizzare partiamo necessariamente dalle nostre percezioni, ma non sono certo queste a dire che un certo oggetto è una sedia; occorre inserirla mentalmente in un insieme, dominando quel che Kant definiva la "rapsodia delle percezioni".

Resta irrisolto il paradosso cognitivo, attribuibile ai Sofisti e a Socrate, che consiste nel fatto che,

"

almeno in origine

"50

, posso farmi un'idea di sedia solo dopo averne viste alcune, ma non capirò che si tratta di sedie se non dopo averle categorizzate.

La stessa divisione tra individui e classi, che ne sta a fondamento, non è poi così scontata.

Boncinelli , come ho già detto, dubita infatti che esistano insiemi naturali

51

. In origine, attraverso un meccanismo di proiezione di sé, sarà stato relativamente facile capire che gli altri uomini sono

48 "Io sono, tu sei", pag.110.

49 "Io sono, tu sei", pag. 113.

50 "Io sono, tu sei", pag.117.

51 "Io sono, tu sei", pag.126.

(13)

individui; un po' più complicato sarà stato individuare gli oggetti inanimati, per esempio distinguendo la finestra dalla parete, ma molto più complesso sarà stato formare classi.

Raggruppiamo gli oggetti in classi astraendo dalle differenze, in base a criteri di somiglianza in parte innati e in parte appresi

52

. Abbiamo anche già detto che individuare è più semplice che generalizzare e che le differenze ci colpiscono più delle somiglianze; ciò forse equivale a dire che usiamo più spontaneamente il sentimento, che tende ad

individualizzare, piuttosto che la ragione, che astrae. Osserva Boncinelli che un

individuo è per noi tanto più rilevante quanto più numerose sono le caratteristiche o proprietà che gli assegniamo e quindi quante più numerose sono le classi in cui possiamo inserirlo, dunque quanto più esso si distingue ed è specifico

53

. Immagino però che anche i criteri di somiglianza, còlti dalla razionalità, siano parzialmente genetici, dal momento che si basano sul principio di riconoscimento.

L'operazione del contare comporta l'astrazione dalle differenze ed è gestita dall'emisfero sinistro, che gestisce anche il linguaggio. Concettualizzare è dunque un'operazione straordinariamente utile, ma sappiamo che è un'arma a doppio taglio, che talvolta rischia di reificare oggetti che materiali non sono, dando origine a interminabili dispute filosofiche

54

.

Kant, che ha capito l'esistenza dei queste forme a priori della conoscenza, è "il più grande biologo mai esistito"

55

.

Ma ci chiediamo come sia possibile che queste forme di conoscenza interne ed innate, non derivate dall'esperienza, siano adeguate alla realtà esterna. Boncinelli afferma

56

che trovò la soluzione in una noticina ad un articolo scientifico del '68 non meglio indicato: le forme interne sono innate per l'individuo ma non per la specie e si sono evolute nei millenni in funzione della sopravvivenza e dunque se continuano ad esistere è perché sono state selezionate in quanto adeguate in rapporto all'ambiente in cui viviamo. Ovvero, il fenomeno è adeguato al noumeno, perché se così non fosse non potremmo muoverci in maniera adeguata. Tale risposta al dilemma ce l'ha fornita Lorenz. " Se il loro funzionamento non avesse permesso la sopravvivenza degli individui che le posseggono, questi non sarebbero sopravvissuti e non avrebbero passato queste loro caratteristiche ai loro discendenti."

In "Perché non possiamo non dirci darwinisti" a pagina 230 afferma "Questo, che è il problema di Kant e di tutta la filosofia della conoscenza, è stato chiarito brillantemente qualche anno fa da Konrad Lorenz, che suggerì una risposta che a noi oggi pare quasi ovvia. [...] Se

possedessimo cioè un'immagine troppo sbagliata del mondo circostante, non potremmo sopravvivere." Questo vuol dire che ancora una volta c'imbattiamo in uno dei grandi poteri della selezione, che diventa il garante dell'attendibilità della nostra

conoscenza.

Per quanto l'oggetto in sé sia kantianamente inconoscibile, la nostra percezione è congruente alla realtà, com'è dimostrato dal fatto che sopravviviamo, poiché evidentemente ci muoviamo in

maniera adeguata all'ambiente. La conoscenza umana dimostra la coerenza interna del mondo reale, perché con qualunque strumento o tecnica lo si indaghi emergono sempre dati congruenti

57

e uno dei compiti della scienza è dimostrare appunto tale coerenza dell'universo

58

.

52 "Io sono, tu sei", ancora a pag. 126.

53 "Io sono, tu sei", ancora a pag. 118.

54 "Io sono, tu sei", pag. 128.

55 A pag. 181 de “La serva padrona”..

56 "Dialogo su etica e scienza", pag. 77.

57 Pag. 173 de "Il cervello, la mente e l'anima".

58 Pag. 45 di “Pensare l'invisibile”.

(14)

Noi dunque esistiamo perché siamo vincenti, noi e i nostri avi, in quanto siamo stati promossi dalla selezione grazie al fatto che ci muoviamo e ci comportiamo in

maniera adeguata rispetto al mondo. Perciò il criterio di fondo per dire se una conoscenza è corrispondente alla realtà, che di per sé non potremo mai conoscere, consiste nel verificare se funziona. Si tratta di un criterio essenzialmente

pragmatico, in linea col convincimento del nostro autore che il pensiero è sempre in funzione dell'azione e del mondo esterno.

Come definisce l' a priori Boncinelli? A pagina 16 di "Prodigi quotidiani" osserva che forse significa genetico. Ne dà una definizione più ampia ne "La serva padrona", dove, alla pagina 140, scrive: "Occorre innanzitutto intendersi sul significato di a priori. Se a priori significa prima di qualsiasi cosa, non so che dire. Non è affar mio. Ugualmente, se a priori significa prima della nascita della vita, non lo so. Ma se a priori significa prima che io apra gli occhi e li spalanchi sul mondo, allora c'è molto da dire. I miei a priori non sono mai completamente arbitrari, ma sono stati fissati, almeno nelle loro grandi linee, da milioni di anni di evoluzione biologica, prima dei vertebrati, poi dei mammiferi e infine degli ominidi. Ciò che è a priori per me e la mia esperienza personale non è affatto a priori in assoluto: è a posteriori per esempio rispetto alla storia della specie a cui appartengo." L' a priori è dunque ciò che è innato, ciò che si è formato prima della nascita dell'individuo ed in base a cui formuliamo le nostre domande (anche se questo è vero, come abbiamo visto, per quanto riguarda la nostra percezione ma molto meno vero per la concettualizzazione, che è aperta all'apprendimento e agli stimoli esterni. Per la concettualizzazione forse dobbiamo pensare che accanto agli a priori schiettamente genetici e immodificabili ci siano forme prodotte dalla nostra esperienza pregressa, capaci di cambiare lentamente, che potremmo forse chiamare “preconcetti”-senza alcun intento dispregiativo- attraverso cui incaselliamo ciò che percepiamo). Ma nella storia della specie si assiste ad un'evoluzione di questo a priori. A pagina 223 de “Il cervello, la mente e l'anima” afferma che gli inventari biologici possono cambiare col procedere dell'evoluzione. Dunque il DNA cambia, ma in modo così lento che rappresenta per l'individuo qualcosa di non scalfibile, tanto che si potrebbero osservare dei cambiamenti solo in qualche millennio di storia. L'errore di Kant consiste nel non aver valutato che "il cammino della conoscenza non è prevedibile neppure nei suoi contorni più grossolani" e le categorie non possono essere definite una volta per tutte, perché evolvono con l'uomo.

Ma quali sono i meccanismi di tale evoluzione, per quanto difficilmente

percepibile? Come fa un contenuto esterno a diventare a priori, senza entrare nel genoma? Siamo forse ancora di fronte a quel concetto (che per me è poco intuitivo visto che ogni volta ci sbatto la testa) di ciò che ad un certo momento compare e che per il semplice fatto che esiste e che funziona fa sì che chi casualmente è nato predisposto in maniera ad esso adeguata venga privilegiato dalla selezione

naturale, mediante una riproduzione differenziale, e finisca col tempo per imporsi.

Forse nel caso della conoscenza del mondo esterno non si tratta di qualcosa di nuovo che compare, ma soltanto di una realtà del mondo che piano piano si rivela a noi, anche se rimane identica a se stessa, producendo in tal modo l'evoluzione dei nostri schemi. Man mano che ci riproduciamo, coloro che hanno i meccanismi per caso più idonei per la comprensione del mondo verrebbero sempre più

avvantaggiati. In ogni caso, se gli a priori cambiano, per quanto in tempi

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lunghissimi, non capisco come possa non cambiare anche il cervello e l'intuito.

TORNIAMO AL SISTEMA NERVOSO

NEUROSTATI, PSICOSTATI E RIDUZIONISMO

Come sappiamo, in ogni organismo ci sono tre differenti sistemi: sensoriale, nervoso e motorio, che sono al contempo autonomi e correlati, e vengono coordinati tutti quanti dal secondo, il sistema nervoso. C'è in noi dunque una sensibilità agli stimoli, una capacità di progettare una risposta a tali stimoli ed infine una capacità di mettere in atto tale progetto. Ciò comporta l'esistenza di una via afferente che va dai sensi al cervello e di una via efferente che dal cervello torna alla periferia, per reagire o rispondere spesso mediante un movimento, che però nell'uomo può essere frenato o sospeso.

I sensi sono all'origine dell'eccitazione nervosa, che viene trasmessa in forma discreta (evitando dispersione e ambiguità) da un neurone all'altro e da lì al cervello e nelle sue varie regioni; infatti, come abbiamo visto, saranno una serie di valori che definiranno ad esempio il dolce, il salato, etc.

Boncinelli, come abbiamo detto, chiama questi :"neurostati", che sono generalmente sotto il livello della coscienza, e li contrappone alla rappresentazione in cui poi essi magicamente si compongono nella mente, che prende il nome di "psicostato", più difficile da definire e che corrisponde ad una sensazione precisa, percepita come unitaria, continua.

Dunque ogni psicostato corrisponde a numerosi neurostati; si tratta cioè di una corrispondenza non biunivoca ma soltanto univoca; tale osservazione sembra opporsi, nel dibattito filosofico, alla posizione portata avanti dalla "teoria delle identità delle occorrenze", che postula invece la perfetta trasformazione del fisico nel mentale e viceversa e che per contrapporsi ad ogni possibile dualismo sostiene in questo caso la necessaria biunivocità.

Osserva Boncinelli che il rapporto tra i neurostati e gli psicostati è del tutto simile a quello che viene descritto in fisica tra microstati e macrostati quando compaiono le proprietà emergenti. Così come la realtà della pressione di un gas non è qualcosa di diverso dalla realtà delle sue molecole, analogamente gli psicostati non appartengono ad una realtà differente rispetto ai neurostati, ma derivano gli uni dagli altri, vale a dire che l'attività mentale deriva da quella nervosa e quindi dal livello fisico, anche se finisce per assumere una propria autonomia. Si può dunque dire che gli psicostati sono proprietà emergenti dei neurostati, cioè che il mentale è una

proprietà emergente del sistema nervoso.

Questo riduzionismo biologico, ci dice Boncinelli, allarma molte persone, mentre quello

perfettamente analogo delle proprietà emergenti in fisica non allarma nessuno, e ciò è dovuto al fatto che qui stiamo parlando di qualcosa che ci riguarda molto da vicino; le affermazioni della biologia sono percepite come scottanti perché coinvolgono tutto ciò che fa parte della nostra umanità. Che tale riduzionismo sia corretto è dimostrato pragmaticamente dagli straordinari successi per esempio della neurochirurgia, che riesce a collegare dei microchip nel cervello di persone immobilizzate per traumi o ictus, trasformando il loro segnale nervoso in un segnale elettromagnetico capace di far effettuare un movimento da parte di un congegno. Dunque un'onda elettrica si trasforma in movimento e l'elettricità si trasforma in magnetismo ed il cervello è il luogo in cui avviene continuamente questo straordinario salto dal materiale all'immateriale

59

.

AREE CEREBRALI

Abbiamo visto che gli stimoli sensoriali sono molteplici e discreti, ma anche il cervello nel

raccoglierli attiva aree differenti. Per esempio, per raccogliere un segnale visivo attiva l'area V5 per

59 "Pensare l'invisibile", pag.44.

(16)

il movimento, il quale viene percepito con la coda dell'occhio, la V4 per il colore, la V3 per la forma, la regione parietale posteriore per il riconoscimento degli oggetti in base alla loro posizione, quella temporale inferiore quando tale riconoscimento avviene in base alle loro caratteristiche, etc.

Dopodiché la corteccia fa apparire tutto ciò come fosse qualcosa di unitario!!!

Si può grosso modo affermare che le aree posteriori sono predisposte ai sensi, mentre le anteriori caratterizzano il pensiero astratto. Gli stimoli sensoriali arrivano alle corrispondenti aree corticali sensorie e poi di lì vanno alla corteccia associativa, che probabilmente può rimandarli a quella sensoriale in un "processo rientrante" che spiega forse il ritardo nell'esecuzione dei compiti. Le varie percezioni poi si mescolano e si integrano in uno sforzo attentivo ad opera della corteccia associativa col contributo del tronco cerebrale, del talamo, della corteccia cingolata anteriore sinistra e della regione parietale posteriore destra (queste due ultime sono coinvolte soprattutto per l'attenzione esecutiva che comporta la scelta di un comportamento)

60

.

Esiste un'area cerebrale per la lingua madre e una per la seconda lingua, che distano tra loro in proporzione alla distanza delle epoche in cui le abbiamo imparate; esiste l'area motoria, quella per i nomi comuni e quella per i nomi propri, una per gli oggetti naturali e una per quelli artificiali, una per i verbi e una per i sostantivi, aree per il riconoscimento delle forme, per quello delle facce, per i profili, per la musica, per il disgusto, per la decisione, per la soddisfazione della scelta effettuata e per l'insoddisfazione. Abbiamo aree per l'orientamento spaziale, per il linguaggio parlato (l'area di Broca) e per quello ascoltato (l'area di Wernicke), aree per l'esitazione, per l'autoapprovazione e per l'autoriprovazione ed anche, ultima individuata, del rimpianto

61

.

È proprio uno dei geni scoperti da Boncinelli, Emx2, che regola probabilmente la migrazione delle cellule neurali durante lo sviluppo e quindi opera la suddivisione in aree. Ma tale suddivisione deve essere intesa in modo soltanto approssimativo e convenzionale, perché non ci sono divisioni nette e si tratta di un tutto indivisibile, perché è tutto il cervello insieme che si attiva. Ogni comportamento ha un'area deputata, ma viene poi elaborato da tutto quanto il cervello. Tali aree indicano soltanto l'ultima "stazione" coinvolta dal segnale, ma l'intero cervello ne viene coinvolto in misura maggiore o minore, come risulta evidente dal diverso afflusso del sangue.

Localizzare, ci dice Boncinelli, certamente non significa spiegare, però è l'inizio di una spiegazione, è un primo passo per dire "che qualcosa c'è", e per sfuggire alla terminologia mentalistica e

introspettiva. Come vedremo, proprio il fatto che non siamo riusciti a localizzare l'io e la coscienza (fenomenica) può voler dire che essi non corrispondono a qualcosa di realmente esistente

62

. Noi umani abbiamo, a differenza per esempio dei topi, oltre alle aree motoria, somatosensoria, visiva e uditiva, una corteccia associativa, che non ha compiti specifici in funzione della sopravvivenza, ed è sede di una cinquantina di aree, fra cui quella di Broca e di Wernicke,

predisposte rispettivamente al linguaggio parlato e ascoltato, dove, ci dice Boncinelli, "il cervello s'incontra con la mente"

63

.

Quando un neonato sente un linguaggio parlato o uno pseudolinguaggio, gli si attiva l'area di Wernicke, mentre se si tratta di rumori vocali questo non succede. Ciò significa, visto che la divisione in aree precede la nascita, e visto anche che il feto non percepisce i rumori, che la capacità di distinguere linguaggio o pseudolinguaggio dal rumore non è appresa, ma innata. L'ascolto di una frase attiva tale area, mentre la stessa frase rovesciata, dalla fine all'inizio, non l'attiva e viene inviata altrove

64

.

Nella persona adulta la visione di parole scritte (come ad esempio "tavolo") attiva aree paragonabili

60 "Il cervello, la mente e l'anima", pag. 169 e seguenti.

61 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 54 in alto.

62 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 54.

63 “Il cervello, la mente e l'anima”, pag. 154.

64 Pag. 54 de "La vita della nostra mente".

(17)

a quelle che vengono attivate dalle pseudoparole (come ad esempio"mavolo") e diverse da quelle coinvolte da successioni di simboli o anche di consonanti scritte (come "#§%%" o "hfb"); ma tali distinzioni sono frutto dell'apprendimento della scrittura e quindi "ecco una delle migliori

dimostrazioni di come l'apprendimento modifichi la funzionalità e, probabilmente, l'anatomia submicroscopica del nostro cervello

65

". Tutto ciò non entra nel genoma e non è ereditabile, come non è ereditabile la conoscenza di una lingua straniera, ma modifica profondamente la nostra biologia

66

.

Abbiamo anche la corteccia frontale o prefrontale, che condividiamo, ma in ben diversa misura, solo con gli animali superiori, che è sgombra da compiti biologicamente indispensabili, ma presiede i ricordi, le associazioni, il pensiero astratto, l'immaginazione, la creatività; quella sinistra si attiva soltanto per le azioni volontarie non mai intraprese e per le quali non riceviamo istruzioni esterne.

Per le decisioni difficili, si attiva la corteccia cingolata sinistra.

Quando una scimmia vede un'altra che compie un certo movimento, si attivano in lei nell'area premotoria F5 dei neuroni, che Rizzolatti ha chiamato neuroni-specchio, che si attivano prima del movimento, come se il soggetto si accingesse a muoversi allo stesso modo. Questi neuroni sono forse alla base dell'empatia o meglio ancora della "teoria della mente", che è il nome che le neuroscienze assegnano all'idea che ognuno si fa di come funzioni il cervello altrui e quello degli animali in analogia col proprio. Sappiamo cioè istintivamente che ciò che accade nella nostra mente accade più o meno allo stesso modo anche in quella degli altri, e questo ci permette di muoverci in maniera adeguata e talvolta preventiva, immaginando intenzioni e comportamenti di uomini e di animali ancor prima che questi vengano espressi o che si realizzino, preparandoci ad una reazione immediata e permettendoci una sopravvivenza più facile. Proprio il fatto che le nostre aspettative siano premiate da successi pratici ci conferma il potere conoscitivo della “teoria della mente”.

Quando agiamo, si attivano in noi un certo numero di aree. Quando immaginiamo quella stessa azione, si attivano un minor numero di aree comprese in quelle, anche se non si attivano tutte.

Dunque l'immaginare ha una base cerebrale comune al fare, è compresa in quella.

Vedere i movimenti altrui, ci dice a pag. 178 de "Il cervello, la mente e l'anima", attiva anche un'altra area, che è quella di Broca, predisposta alla verbalizzazione e sede di neuroni-specchio che si attivano quando vediamo compiere una determinata azione

67

. L'esistenza di tali neuroni è

collegata al movimento, perché comporta la capacità di concettualizzare come un insieme tutte le azioni di uno stesso tipo, ovvero una capacità di astrazione, che è forse alla base dell'uso dei verbi.

Ciò ci fa ipotizzare che il linguaggio e persino la concettualizzazione abbiano una primordiale origine di questo tipo, siano nati cioè da strutture preesistenti preposte al movimento o che avevano in origine una ben differente funzione. Vale a dire che non sono sorti in quanto selezionati

direttamente dalla natura, la quale seleziona solo ciò che è utile per la sopravvivenza. Scrive, infatti:

"Ma nel comportamento di questi neuroni premotori si può anche scorgere una codificazione somatica dei vari tipi di azioni elementari e quindi una possibile primordiale matrice biologica della concettualizzazione e della verbalizzazione delle azioni. È noto che anche negli esseri umani l'osservazione dei movimenti di un altro essere umano comporta l'attivazione dell'area di Broca. Il linguaggio è una forma di attività motoria che richiede l'interessamento e il

coordinamento di un gran numero di aree corticali. Per quanto sia appannaggio esclusivo della nostra specie, questa facoltà non può che essere nata dalla trasformazione e dal

rimodellamento di strutture anatomico-funzionali preesistenti. Per ora non si sa ancora niente

65 Pag. 163 de "Il cervello, la mente e l'anima".

66 La differenza tra individualità genetica e biologica è che la seconda è più ampia, perché abbraccia anche tutto ciò che deriva da educazione ed esperienza (pag. 16 de "L'etica della vita").

67 "L'avventura della scienza sperimentale", pag. 56.

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di tali strutture e della loro evoluzione, ma è concepibile che non siano qualcosa di

radicalmente diverso da quanto abbiamo visto finora in queste pagine. Oppure no, chissà."

Il linguaggio potrebbe cioè essere nato per caso come sottoprodotto di qualche sconvolgimento del nostro genoma, e poi la selezione l'ha conservato, perché ha visto i suoi buoni risultati in funzione della sopravvivenza e della riproduzione.

In conclusione, di fronte alla domanda se queste diverse aree siano geneticamente determinate, se rispondo di sì, come sembra di dover rispondere, allora mi chiedo come ha fatto il nostro genoma ad assimilare le categorie del linguaggio, che certamente è nato dopo l'uomo e dunque dopo la nascita del suo cervello. La

soluzione di Boncinelli è che esistesse in origine una suddivisione, magari casuale e senza nessuna funzione oppure finalizzata ad altre funzioni, e probabilmente alla motricità, che poi è stata utilizzata allorché il linguaggio è comparso. La classe dei verbi sarebbe infatti nata come un'astrazione delle possibili azioni e non delle possibili parole. Ogni concettualizzazione potrebbe essere un'astrazione del

comportamento, e alla base del mentale ci sarebbe dunque il movimento. Se questo è vero, ribadisco che il ruolo della selezione naturale è dunque ben superiore a quello di una semplice lima!

Altri neuroni-specchio sono stati localizzati nell'insula e sembrano permettere l'immedesimazione,

che come si è detto ci fa sentire che ognuno di noi è solo uno tra i molteplici soggetti, e che gli altri

hanno pensieri e sentimenti e reazioni esattamente come noi; tale fenomeno dunque è alla base della

nostra coscienza, che tra tutti i fenomeni è forse quello che più c'interessa, che più c'individua e più

ci sta a cuore.

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