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La gestione della qualità e le novità introdotte dalla ISO 9001: 2015. Il caso ABOCA SpA

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo

Relatore:

Prof.ssa

Angela Tarabella

Candidato:

Maurizio Bruni

La gestione della qualità e le novità introdotte

dalla ISO 9001:2015.

Il caso Aboca SpA

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo

Relatore:

Prof.ssa

Angela Tarabella

Candidato:

Maurizio Bruni

La gestione della qualità e le novità introdotte

dalla ISO 9001:2015.

Il caso Aboca SpA

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Indice

Prefazione ... pag. 6

Capitolo 1. Il concetto di qualità e sua evoluzione nel tempo ... pag. 9

1.1 Definizioni ... pag. 9 1.2 Dal 1920 al 1950: conformità alle specifiche tecniche ... pag. 12 1.3 Dal 1950 al 1960: affidabilità ... pag. 12 1.4 Dal 1960 al 1970: il Total Quality Control ... pag. 13 1.5 Dal 1970 ad oggi: il Total Quality Management ... pag. 14 1.6 Metodologie: controllo, assicurazione e gestione della qualità ... pag. 15

Capitolo 2. Il sistema gestione qualità con l’edizione 2015 della ISO 9001: dal prodotto ai processi, da prescrittiva a prestazionale ... pag. 18

2.1 Le novità ... pag. 18 2.2 Il contesto organizzativo ... pag. 20 2.3 Le parti interessate ... pag. 21 2.4 La gestione della documentazione ... pag. 22 2.5 Il processo ... pag. 23

Capitolo 3. La qualità come elemento trasversale e multidisciplinare: strategia e vantaggio competitivo, Risk Basic Thinking, valutazione delle performance ed il PDCA per il miglioramento ... pag. 25

3.1 I principi di gestione della qualità e le norme di riferimento ... pag. 25 3.2 La qualità come strategia ... pag. 27 3.3 Gestire il rischio ... pag. 29

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3.4 Applicare il PDCA ai processi e alle persone; la leadership ... pag. 33 3.5 Misurare la qualità ... pag. 37 3.6 Il miglioramento ... pag. 41

Capitolo 4. I costi della qualità e della non qualità ... pag. 43

4.1 Generalità ... pag. 43 4.2 I costi della qualità ... pag. 46 4.3 I costi della non qualità, i costi indiretti della qualità, economie della

qualità ... pag. 50

Capitolo 5. Il caso Aboca S.p.A. ... pag. 52

5.1 Presentazione ... pag. 52 5.2 La qualità in ABOCA ... pag. 55 5.3 Intervista al Dr. Luca Grigi - Aboca SpA ... pag. 64

Conclusioni ... pag. 71 Bibliografia ... pag. 74 Sitografia ... pag. 74

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Prefazione

Argomentare di Sistemi di Gestione della Qualità alla luce della nuova ISO 9001:2015 significa entrare in un campo estremamente interessante e variegato che ricomprende discipline interconnesse, tutte oggetto di studio nel corso di Strategia, Management e Controllo. Qualità dunque come elemento trasversale e multidisciplinare che si snoda attraverso la strategia aziendale, la pianificazione, il management ed il necessario esame dei costi sostenuti e da sostenere per garantire qualità e confermare o accrescere vantaggi competitivi e/o quote di mercato.

Questa è l’ottica con la quale si sviluppa questo lavoro che prescinde dall’esame di tematiche quali la certificazione e l’audit, certamente importanti e qualificanti, per cercare invece di inquadrare il Sistema Gestione Qualità e la qualità in generale, in una visione a tutto tondo come in fondo suggerito dalla recente versione della ISO 9001:2015.

La Norma introduce e spiega temi di ampio respiro e attualità tra i quali citiamo il Risk Based Thinking, semplifica la parte prettamente burocratico/documentale, sposta definitivamente l’attenzione dal prodotto ai processi, ribadisce l’impostazione di un Sistema Gestione Qualità come scelta strategica del vertice aziendale.

Il primo capitolo è dedicato alla varie impostazioni della definizione di qualità e dell’evoluzione pratica del concetto nell’ultimo secolo, con i necessari riferimenti al Total Quality System statunitense ed al Company Wide Quality Control giapponese, maestri del settore.Un rapido excursus delle metodologie conclude il capitolo; il secondo evidenzia le novità introdotte dalla ISO 9001:2015, puntualizzando il passaggio metodologico da prescrittivo a prestazionale, con la richiesta di dimostrare

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i risultati dell’applicazione personalizzata. Nei paragrafi del secondo capitolo si analizzano in particolare i punti concernenti il contesto organizzativo, le parti interessate, la gestione della documentazione e la logica del processo.

Il terzo capitolo è dedicato alla multidisciplinarietà e trasversalità dell’elemento qualità; ci si addentra nell’esame della gestione del rischio, introdotto con l’espressione R.B.T. (pensiero basato sul rischio), che ricorre costantemente nelle citazioni della ISO 9001. La naturale conseguenza di tale impostazione indirizza alla misurazione della qualità, all’applicazione del PDCA, alla valutazione delle performance che portano alla necessità di miglioramento.

In una visione di pianificazione e controllo non poteva mancare un breve esame (capitolo quarto) dei costi della qualità e della non qualità, al fine di ridurli, eliminarli o accettarli per mantenere un livello elevato di qualità e, possibilmente, incrementarlo sempre con la focalizzazione sul cliente.

Terminato così il panorama generale della nuova ISO 9001:2015 si esamina il “caso ABOCA SpA”, come un’azienda italiana affronta il tema qualità al suo interno, come ne interpreta il concetto e le metodologie seguite per le necessarie verifiche e controlli. Argomenti estremamente importanti per una realtà che opera nel particolare settore degli integratori alimentari e dispositivi medici all’insegna del “tutto naturale”. Un’intervista al Dirigente Responsabile della Qualità Dott. Luca Grigi nel corso di una visita agli stabilimenti di Pistrino di Citerna (PG) svoltasi a fine novembre 2017 conclude il lavoro.

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Capitolo 1. Il concetto di qualità e sua evoluzione nel tempo.

1.1 Definizioni

Qualità è un termine usato per indicare in sintesi un livello di eccellenza, di soddisfazione per uno o più aspetti che riguardano nostre esigenze del vivere o dell’operare.

Frasi come prodotto di qualità o servizio di qualità utilizzano il termine come sinonimo di massimo risultato, di completa rispondenza alle aspettative anche se non direttamente associati a una misura o valutazione (Mirandola e altri 2007).

Nel linguaggio comune si da quindi un’accezione positiva al termine qualità, in realtà è una parola neutra che si riferisce al livello di soddisfazione nel giudizio di un cliente e può spaziare dal molto negativo al massimo di positività (Conti 2004).

Robert Pirsig, scrittore e filosofo statunitense, sostiene che definire la qualità in termini oggettivi non è affatto facile, mentre è facile rilevarne la mancanza. Dice Pirsig: “La qualità è una caratteristica del pensiero e dell’espressione che viene individuata mediante un processo non intellettuale”.

Nel corso degli anni sono state formulate diverse definizioni di qualità; ne ricordiamo alcune:

“idoneità all’uso” (J. M. Juran – 1951);

“conformità a requisiti” (P. B. Crosby – 1979);

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Deming);

“un concetto globale che ingloba tutto ciò che riguarda l’obiettivo di eccellenza al quale deve tendere una organizzazione” (A. Galgano);

“qualità: capacità di un insieme di caratteristiche inerenti ad un prodotto, sistema o processo di ottemperare a requisiti di clienti e di altre parti interessate” (ISO9000:2000 fondamenti e terminologia);

“qualità: grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfano i requisiti” (ISO9000:2005 fondamenti e terminologia).

La definizione oggi universalmente accettata di qualità è quella dell’American Society for Quality Control (ASQC):

“la qualità è l’insieme degli aspetti e delle caratteristiche di un prodotto, processo o servizio, da cui dipendono le sue capacità di soddisfare completamente un dato bisogno: caratteristiche fisiche, aspetto, durata, utilizzabilità, affidabilità, manutenibilità, supporto logistico, riparabilità, praticità”.

“La qualità è un concetto dinamico, continuamente aggiornato: da un lato dal progresso tecnologico, dall’altro dal maturare di esigenze sempre diverse da parte degli attori coinvolti.

Possiamo affermare che il concetto di qualità è funzione di 3 dimensioni:

1. SPAZIALE: non esiste una qualità in senso assoluto, ma solo quella che nasce

dal confronto con un’idea di qualità: la stessa è quindi relativa;

2. TEMPORALE: tale confronto si svolge nel tempo e si evolve: ogni momento

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3. SCALARE: pur essendo una caratteristica potenzialmente rilevabile ovunque,

concorrono alla sua definizione fattori che variano a seconda della scala e della complessità del sistema analizzato”. (D. Sturabotti, 2015)

A. Parasuraman fornisce una rappresentazione degli aspetti della qualità tenendo conto dei tre diversi campi su cui si basa l’eccellenza dell’azienda: cliente, concorrenza, azienda. Il modello si struttura in cinque sottosistemi, profondamente correlati l’un l’altro come si evince dallo schema seguente:

Esiste un sesto sottosistema (incluso nella qualità progettata) che assume sempre maggiore rilevanza con la diffusione della consuetudine a pubblicare le “carte dei

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1.2 Dal 1920 al 1950: conformità alle specifiche tecniche

Si sviluppano le tecniche di controllo statistico della qualità introducendole sull’intero processo produttivo, non limitandosi più a verificare la difettosità dei prodotti solo al termine del processo (poiché i controlli a tappeto su tutti i prodotti iniziano a rivelarsi troppo costosi).

Fino ai primi anni ‘50 la qualità inizia così ad essere considerata sinonimo di conformità alle specifiche tecniche: il concetto si basa su una valutazione della rispondenza tra qualità programmata e realizzata, effettuata a campione su piccoli lotti.

I collaudi presentano problemi: costi ingenti a causa della quantità ancora elevata di pezzi difettati, tempi lunghi di esecuzione e scarsa attendibilità dei risultati.

1.3 Dal 1950 al 1960: affidabilità.

Dopo la II Guerra Mondiale si inizia a parlare di qualità in maniera sistematica grazie al Giappone. Per i Giapponesi si tratta di una qualità dei processi e della produzione in grado di generare prodotti migliori a costi inferiori, il rispetto delle specifiche tecniche non è più sufficiente, ma occorre pensare anche a specifiche organizzative, attraverso la progettazione e l’applicazione di un Sistema Qualità formale, capace di ridurre la possibilità di errori.

Nel 1946 nasce l’American Society for Quality e, poco dopo, la Japanese Union of Scientists and Engineers (JUSE) con lo scopo di promuovere lo sviluppo e la diffusione del controllo qualità.

Nel 1949 la JUSE crea il Quality Control Research Group (QCRG) al quale partecipa Karou Ishikawa e forma, nell’arco di dieci anni, quasi 20.000 ingegneri

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nell’ambito delle metodologie statistiche. In Giappone inizia così a diffondersi una visione manageriale della qualità basata sul controllo statistico.

1.4 Dal 1960 al 1970: il Total Quality Control.

Nel 1959 il Dipartimento della Difesa USA emette la prima norma dedicata alla qualità, lo standard militare MIL-Q-985A “Quality Program Requirements”, normativa che richiede un modello organizzativo attinente all’assicurazione qualità. Lo standard viene adottato dalla NATO (Allied Quality Assurance Pubblications). Le norme introducono il principio della prevenzione dei difetti contrapposto all’individuazione a posteriori e fissano le basi per discutere di “sistemi qualità”.

Nel 1960 il Giappone vara la prima campagna nazionale della qualità, nel ‘62 nascono i primi circoli della qualità e si inizia a parlare di “politiche della qualità”; nel 1969 a Tokyo viene organizzata la prima International Conference of Quality Control. Nel 1970 infine negli USA vengono elencati 18 criteri di riferimento obbligatori per gli impianti nucleari; questo apre la strada allo sviluppo di altri standard in tutto il mondo: le norme ANSI americane, le DIN tedesche, le UNI italiane, ecc.

All’interno dell’azienda si passa dal controllo del prodotto durante l’intero ciclo di vita utile alla gestione della qualità aziendale per coinvolgere il top management e ottenere così un miglioramento qualitativo. Si parla di Total Quality Control per evidenziare l’estensione delle tecniche del controllo qualità a tutti i processi interni all’azienda (fase di transizione da controllo qualità a gestione della qualità stessa).

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un’organizzazione (A. V. Feigenbaum – 1988).

1.5 Dal 1970 ad oggi: il Total Quality Management.

Negli anni ‘70 emerge una nuova cultura della qualità: si diffonde la convinzione che la qualità rappresenti un investimento strategico per l’azienda, capace di generare profitti. È questo il passaggio fondamentale per una visione sistemica della qualità: le dinamiche aziendali sono influenzate dalle variabili sia interne che esterne dell’azienda. Questa evoluzione culturale porta a dei concetti innovativi:

– controllo rivolto a tutte le funzioni aziendali; – produzione a “zero difetti”;

– attenzione alla Customer Satisfaction;

– adozione del “just in time” (soprattutto in Giappone dopo la crisi petrolifera del ‘73).

I principi della qualità formulati in America da Juran e Deming fin dagli anni ‘50 vengono ulteriormente sviluppati con due linee evolutive parallele in Giappone e negli USA. Negli Stati Uniti si diffonde il Total Quality System (derivato dal TQC) e in Giappone il Company Wide Quality Control sostanzialmente coincidente con il primo ma ispirato da una cultura profondamente diversa. Quest’ultimo è una vera e propria strategia di gestione il cui obiettivo è quello di realizzare la massima soddisfazione del cliente mediante il coinvolgimento di tutta l’azienda, dalla direzione agli operativi, da perseguire attraverso un processo di miglioramento continuo.

Le leve principali per fare qualità sono dunque:

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prodotto standardizzato (fordismo) ad uno che abbia un contenuto qualitativo sempre più alto a prezzi competitivi;

b. la LEADERSHIP, ossia manager moderni che fanno prevalere la cultura dell’impresa su quella dell’individuo;

c. i FORNITORI, soggetti attivi nel processo produttivo fino all’internalizzazione; d. il MIGLIORAMENTO CONTINUO attraverso piccoli miglioramenti giornalieri

(kaizen) o grandi cambiamenti (kairyo);

e. la GESTIONE PER PROCESSI, che consente di gestire la variabilità e analizzare nel particolare ogni singola attività.

Si configura in tal modo un’azienda lean (snella) organizzata per processi e l’implementazione del TQS produce migliore soddisfazione del cliente, elimina difetti e scarti, migliora l’impegno e la motivazione del personale, fa crescere produttività e competitività.

1.6 Metodologie: controllo, assicurazione e gestione della qualità.

Il primo metodo di applicazione della qualità è la metodologia del controllo, nota negli anni ‘40 quando si percepisce che i costi di scarti e rilevazione incidono pesantemente sul reddito commerciale.

Attraverso il controllo (post-produzione) l’azienda si assicura che il prodotto sia conforme alle specifiche tecniche con eliminazione di quelle unità che risultano non

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della vita aziendale:

– all’ingresso materie prime per evitare di mettere in produzione materiali non conformi;

– durante i cicli produttivi sui semilavorati; – al collaudo, cioè sui prodotti finiti.

Ciò comporta costi molto alti anche perché ci si accorge del problema solo dopo che questo si è verificato, con le logiche conseguenze.

Negli anni ‘50 alcuni settori industriali (aerospaziale, petrolchimico e nucleare in primo luogo) evidenziano che per i loro output necessitano di controlli in itinere e non ex post.

La risposta al problema è una specifica organizzativa che determina come qualificare i fornitori, un organigramma che assegna precise mansioni, ecc.

Si riconosce in primis che la qualità è il risultato di sforzi congiunti di tutte le funzioni aziendali e che assume importanza decisiva la qualità dei processi e non dei soli prodotti. Si parla dunque di applicazione dell’Assicurazione qualità che mira ad incrementare la fiducia dei clienti assicurando il rispetto dei requisiti richiesti.

Inoltre l’affidabilità del prodotto/servizio si evolve estendendosi al tempo di utilizzo. La qualità diviene così un concetto dinamico, primo passo per il miglioramento continuo, si supera l’applicazione del controllo qualità cercando di impedire che l’errore si verifichi con controlli a monte invece che nel momento finale.

È la prima volta che il concetto di qualità esce dal settore manifatturiero per estendersi alla sanità e alla Pubblica Amministrazione.

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Con la gestione della qualità si supera anche l’applicazione dell’Assicurazione qualità passando dal monitoraggio al governo dei processi (cultura della qualità).

Il concetto di qualità assume un significato manageriale, non è più un fatto tecnico ma gestionale che interessa tutto il sistema azienda e attraversa dunque anche la qualità delle risorse umane e della pianificazione.

Per concludere, la metodologia di gestione della qualità si sviluppa in due approcci: 1) TMQ (o qualità totale) di stampo americano e con tecnica produttiva push

(produzione su previsione);

2) CWQC (o qualità globale) di stampo giapponese e con tecnica produttiva pull (produzione su domanda) con il concetto guida che “la qualità si produce, non si controlla”.

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Capitolo 2. Il sistema gestione qualità con l’edizione 2015

della ISO 9001: dal prodotto ai processi, da prescrittiva a

prestazionale.

2.1 Le novità.

La novità più incisiva della revisione 2015 della ISO 9001 sta nell’impostazione di base: da prescrittiva, con esplicite richieste di applicazione, a prestazionale, con la richiesta di dimostrare i risultati dell’applicazione personalizzata. Si tratta di un cambiamento rilevante che dovrebbe eliminare le certificazioni formali fondate su carta.

“Il passaggio dalla cultura della conformità alla cultura dei risultati equivale a muoversi dalla qualità tipica dei rapporti di tipo contrattuale (conformità del prodotto) alla dimensione degli obiettivi, più consone alle aziende che producono per il mercato, i clienti potenziali di cui occorre soddisfare attese e aspettative e conquistarli con la ricerca del massimo valore trasferito” (T. Conti, 2004).

“Nella nuova edizione della norma l’organizzazione si apre verso una maggiore comprensione di tutte le parti interessate rilevanti per il successo….” (M. Cibien – Area Normazione UNI 2015).

Trattasi di un modello elaborato in una logica di continuità evolutiva, soprattutto rispetto al pacchetto di norme noto come Vision 2000.

Viene primariamente ribadita l’impostazione del SGQ come scelta strategica del vertice; le parole chiave più innovative sono: il contesto organizzativo, le parti interessate, la logica dei rischi e delle opportunità.

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rivista Qualità. “Lo scopo dichiarato da ottenere è che il sistema sia più credibile nella sua capacità di realizzare i propri obiettivi…..e per essere credibile deve dire quali azioni farà, minimizzando i rischi e sfruttando le opportunità in modo consapevole; deve dire come le farà, che cosa misurerà, sia in itinere che a consuntivo, come valuterà i risultati (punto 6 della norma).”

Ci soffermiamo in questa sede sulle prime due parole chiave, rinviando al capitolo successivo l’esame delle altre.

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2.2 Il contesto organizzativo.

Un intero paragrafo della ISO 9001:2015 è dedicato al contesto organizzativo interno ed esterno.

Al punto 4.1 della Norma si precisa che l’organizzazione deve determinare i fattori esterni ed interni pertinenti alle sue finalità ed ai suoi indirizzi strategici e che influenzano le sue capacità di conseguire i risultati attesi e deve monitorare e riesaminare le informazioni che riguardano tali fattori. Le note allo stesso punto 4.1 spiegano che la comprensione del contesto esterno può essere facilitata considerandone gli aspetti legali, tecnologici, di mercato, culturali, sociali a qualsiasi livello (modello PEST), mentre la comprensione del contesto interno potrà risultare più efficace se si terrà conto di valori, cultura, conoscenza (intangibles) e prestazioni dell’organizzazione.

Attraverso il punto 4.1 e 4.2 (di cui si dirà in seguito) le Norme presentano l’organizzazione come un “sistema aperto”, un organismo soggetto alle sollecitazioni del contesto di appartenenza, quindi condizionata in misura importante dall’ambiente in cui opera.

Implicitamente suggerisce l’estensione dell’idea di “processo”, generalmente inteso come insieme di attività intervallate entro i confini dell’organizzazione stessa, a ciò che accade oltre tali confini (purché tale da influenzare la qualità e la soddisfazione del cliente).

Ecco dunque che “l’approccio per processi” (ed il “governo” degli stessi) dovrà rivolgersi ad un ambito più esteso che include un più vasto repertorio di decisioni e decisori.

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non è più un meccanismo che ripete in modo regolare i propri comportamenti mantenendo inalterati i processi, ma deve “governarli” con riferimento a campi di applicazione e contenuti, se possibile modificando e migliorando quanto necessario ed assicurare le prestazioni attese (miglioramento – punto 10).

2.3 Le parti interessate.

Non si parla più di stakeholder (soggetti legati da aspetti economici) ma di parti interessate intendendo quei soggetti (persone fisiche o organizzazioni) che risentono del successo o dei problemi di un’organizzazione (in sostanza soggetti che possono influenzare, essere influenzati o percepire se stessi come influenzati da una decisione o attività).

“Il messaggio è forte: la norma invita a concentrare l’attenzione non solo sulla relazione cliente/azienda, ma ad ampliarla verso chi ha benefici o interessi su una scala più ampia” (E. Leonardi, 2015). Si amplia quindi lo scenario degli “attori”: la collettività, gruppi di interesse, enti finanziatori, addetti, ecc.

Possiamo leggere il passaggio ad una visione di “qualità sostenibile” in quanto la nuova ISO 9001:2015 (pur mantenendo la focalizzazione sul cliente) può costituire uno strumento essenziale per interpretare – secondo i contesti – i bisogni del cliente e che potrebbe non essere ottenuto quando venisse meno l’attenzione verso temi a valenza etica (ambiente, salute, ecc.) di cui le parti interessate sono portatrici.

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2.4 La gestione della documentazione.

Abbiamo già detto che la nuova edizione della ISO 9001: 2015 è meno prescrittiva rispetto alle precedenti, sempre più basata su processi e performance. Per questo motivo non intende creare nuovi requisiti da soddisfare e tanto meno documentazione aggiuntiva.

Il nuovo concetto viene introdotto al punto 3.8.6 con la dicitura “informazioni documentate: informazioni che devono essere tenute sotto controllo e mantenute da parte di un’organizzazione ed il mezzo che le contiene”.

Le informazioni documentate si riferiscono in modo esplicito al fine della documentazione, senza dare indicazioni sul mezzo di trasmissione delle informazioni e, il tutto, nella “misura necessaria”, dunque funzionale alle reali necessità dell’organizzazione.

É qui una delle chiavi di volta del passaggio concettuale dai classici requisiti prescrittivi a requisiti di tipo prestazionale: ci si focalizza sul fine, non sul mezzo.

La nuova ISO 9001 offre dunque una concreta opportunità per snellire il SGQ dell’azienda, riduce l’onere prescrittivo e documentale nella logica di una sua maggiore flessibilità.

In pratica la documentazione deve essere determinata in base alla sua appropriatezza ed efficacia e non definita a priori (scompare ad esempio l’obbligo del “manuale della qualità”); “ in definitiva la ISO 9001: 2015 ribadisce con forza la necessità (che peraltro è sempre stata tale) di stabilire un SGQ documentato, non un sistema di documenti”. (M. Rivara e M. Cibien – UNI 2015)

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2.5 Il processo.

“Il SGQ è composto da processi interconnessi. Comprendere il modo in cui i risultati sono generati da questo sistema, inclusi tutti i suoi processi, risorse, controlli e interazioni, permette all’organizzazione di ottimizzare le proprie prestazioni.

Risultati costanti e affidabili sono ottenuti in modo più efficace ed efficiente quando le attività sono intese e gestite come processi interconnessi che operano come un sistema coerente”. (ACCREDIA, settembre 2015)

“Nell’edizione 2015 della ISO 9001 viene maggiormente evidenziato l’approccio per processi; l’organizzazione deve:

– individuare i processi necessari per il SGQ;

– definire i metodi, le misure e gli indicatori di prestazione necessari per assicurare il funzionamento ed il controllo dei processi;

– determinare le risorse necessarie e assicurarne la disponibilità; – assegnare la responsabilità e l’autorità per i processi identificati;

– eseguire le azioni necessarie per conseguire i risultati pianificati ed il miglioramento, ossia realizzare un SGQ efficace”. (D. Faraglia, 2016)

“Il processo, con visione manageriale, è un gioco di squadra, dove ogni persona vive responsabilmente il doppio ruolo di cliente e fornitore interno; l’insieme delle

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Nel successivo capitolo, trattando di Risk Based Thinking e PDCA applicate ai processi, si paleserà l’importanza degli stessi nel sistema azienda.

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Capitolo 3. La qualità come elemento trasversale e

multidisciplinare: strategia e vantaggio competitivo, Risk

Based Thinking, valutazione delle performance ed il PDCA

per il miglioramento

3.1 I principi di gestione della qualità e le norme di riferimento

La ISO 9001 si fonda su 7 principi di gestione per la qualità che, se seguiti, permettono di creare valore per i clienti e facilitano l’applicazione di un SGQ. I principi sono:

1. Focalizzazione sul cliente: soddisfare, e se possibile anticipare e superare,

le esigenze e aspettative del cliente è il primo obiettivo per la gestione della qualità ed è fondamentale per il successo aziendale. Non solo è importante conquistare la fiducia dei clienti, ma occorre mantenerla, adattandosi alle loro esigenze presenti e future;

2. leadership: servono unità di intenti e di indirizzo a tutti i livelli di organizzazione,

a partire dall’Alta Direzione che deve essere particolarmente convinta e impegnata. Tutto ciò è indispensabile per far si che ogni persona comprenda gli obiettivi aziendali.

3. partecipazione attiva delle persone: allarga il precedente punto, sottolineando

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condivisi;

4. approccio per processi: considerare le attività come processi interrelati che

funzionano con una logica di sistema contribuisce a raggiungere regolarmente risultati in linea con gli obiettivi. Riprende e rafforza la logica dell’edizione 2008; 5. miglioramento: necessario il focus continuo sul miglioramento delle prestazioni

dei processi per continuare a creare valore per i clienti e consolidare la sopravvivenza dell’azienda. Bisogna quindi reagire ai cambiamenti del contesto interno ed esterno, specialmente nei momenti in cui le condizioni variano più velocemente. “Il miglioramento viene visto come un’attività essenziale perché l’organizzazione reagisca ai cambiamenti delle sue condizioni interne ed esterne e crei nuove opportunità.” (L. Pavletic, 2016);

6. processo decisionale basato sull’evidenza: le decisioni devono essere

basate sull’analisi e la valutazione di dati e informazioni per aumentare la probabilità di raggiungere i risultati preventivati. Essendo il processo decisionale affetto da incertezza per molteplici fattori, una logica decisionale basata su evidenze comporta maggiori obiettività e fiducia e rafforza lo stesso processo decisionale;

7. gestione delle relazioni: è un elemento chiave per il successo nel tempo.

Necessita dunque di identificare e gestire i principali rapporti con le parti interessate, rilevanti o meno. “Il concetto di buona partnership con il parco fornitori era già stato enunciato nei principi ispiratori della precedente revisione. Qui viene ulteriormente accentuato laddove viene richiesto di intraprendere azioni di relazione con tutte le parti interessate e in maggior modo con quelle rilevanti. In un contesto di maggiore partecipazione di diverse figure (fornitori,

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processi in outsourcing, partner, ecc…) le modalità e i criteri di relazione appaiono fondamentali.” (L. Pavletic, 2016)

3.2 La qualità come strategia

L’edizione 2015 della ISO 9001 ribadisce l’importanza di un SGQ come scelta strategica del vertice aziendale. “Nasce a seguito di valutazioni sul contesto organizzativo interno ed esterno. Centrato sul cliente, deve assicurare che il prodotto/ servizio abbia valore, ovvero riesca a fare percepire appieno la soluzione alle sue esigenze. Vanno esaminati i bisogni e le aspettative non solo del cliente, ma anche delle parti interessate.” (E. Leonardi, 2015).

È una scelta strategica perché è un investimento per crescere, riducendo al minimo gli sprechi; valutare non solo gli aspetti finanziari, ma anche quelli ambientali e di responsabilità sociale. Ma “un SGQ è anche uno strumento manageriale trasversale: governa tutte le risorse affinché siano garantiti i risultati di business preventivati con due priorità:

– accrescere la soddisfazione del cliente,

– migliorare con continuità prodotti/servizi attraverso i relativi processi.” (E. Leonardi, 2015).

Le attività che le imprese sviluppano nel tempo per creare valore per i clienti, rivolte principalmente all’ottenimento di leadership di costo, differenziazione e

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vantaggi competitivi (costo e differenziazione), guida l’organizzazione verso la massima soddisfazione del cliente al minor costo possibile.” (D. Faraglia, 2016).

Nell’ottica strategica quindi, l’impostazione di un SGQ inizia con: – definire politica e obiettivi;

– identificare i processi curandone sequenza e interazione e verificandone l’efficacia;

– verificare la disponibilità delle risorse e monitorare il passaggio di informazione. Nella prospettiva del mercato, la qualità è un fattore strategico per la competizione; si compete sul valore trasferito al cliente e sulla minimizzazione delle risorse utilizzate a tale scopo. Massimizzare il valore dell’offerta implica la contemporanea riduzione dei costi della non qualità, ossia migliorare la soddisfazione del cliente riducendo nel contempo gli oneri delle attività operative. (D. Faraglia, 2016).

Sostanzialmente competere sulla qualità significa riferirsi a due pilastri: qualità delle realizzazioni (fare bene le cose la prima volta) e qualità degli obiettivi (fare le cose giuste).

Per sostenere la competizione nella qualità le imprese devono quindi sviluppare la consapevolezza che la qualità ha un’importanza strategica nell’ottenimento di un vantaggio competitivo. Restando in questo ambito la qualità totale si inserisce a pieno titolo nelle più generali strategie competitive in quanto consente di coniugare contemporaneamente i due fondamentali vantaggi competitivi: di costo e di differenziazione (che considera complementari e non incompatibili come asserito dallo studio di Porter).

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3.3 Gestire il rischio.

Tra le novità più importanti introdotte con l’edizione 2015 della norme ISO 9001 c’è, senza ombra di dubbio, l’esplicito riferimento al Risk Management (qui denominato Risk Based Thinking – pensiero basato sul rischio). Si richiede dunque un approccio sistematico al rischio da non trattarsi come un singolo componente di un SGQ; adottando tale approccio l’organizzazione diventa proattiva piuttosto che reattiva, prevenendo o riducendo gli effetti indesiderati.

Nel linguaggio comune la parola “rischio” ha di solito una connotazione negativa, sinonimo di pericolo o probabilità di una perdita che può derivare da possibili eventi futuri. Negli standard internazionali il concetto di rischio è mutato nel tempo per giungere ad un’ultima definizione degli anni 2007/2009:

– l’insieme delle possibilità di un evento e delle sue conseguenze sugli obiettivi (UNI 11230: 2007)

– l’effetto dell’incertezza sugli obiettivi (ISO GUIDE73:2009)

In particolare quest’ultima definizione implica che un effetto può essere positivo, negativo o una deviazione da quanto atteso, quindi minacce ma anche opportunità.

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A tale scopo, uno degli aspetti innovativi introdotti dalla nuova ISO 9001: 2015 si riscontra nell’approccio metodologico che prevede la determinazione del contesto in cui opera l’organizzazione: è la base di partenza per una proficua gestione del rischio (e delle opportunità).

“Il contesto sono le condizioni, i vincoli, i fattori determinanti che hanno o che possono avere influenza sul raggiungimento degli obiettivi prestazionali che si è data l’organizzazione stessa. É composto da fattori interni ed esterni da tenere in considerazione con un’analisi puntuale e sempre mantenuta aggiornata.” (l. Pavletic, 2016)

Ovvio che per analizzare il contesto interno/esterno dell’organizzazione è necessario ricorrere a schemi collaudati quali le “5 forze competitive di Porter” e/o la SWOT analisys, ricomprendendo altresì valutazioni sugli aspetti politici, economici, sociali e tecnologici per quanto concerne l’esterno, risorse e competenze umane e immateriali per il contesto interno. Da un’attenta disamina di esso, propedeutica alla gestione del rischio, emergeranno anche opportunità, da sfruttare in chiave strategica per mantenere o elevare vantaggi competitivi e quindi quote di mercato.

La gestione del rischio dunque:

– fa parte della normale attività di analisi; – è insita nell’approccio per processi;

– non riguarda solo gli aspetti negativi di contesto, ma anche le opportunità che da esso potrebbero derivare.

Ci pare opportuno, al riguardo, riportare le riflessioni sull’argomento di Nicola Gigante, funzionario e coordinatore del GL2 SGQ UNI, espresse in un articolo di uno specifico dossier stilato dalla stessa UNI nel gennaio 2016 dal titolo: “La nuova ISO

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9001:2015 e l’evoluzione della gestione per la qualità”.

“La formula del R.B.T. identifica una gestione per la qualità basata, oltre che sulla puntuale applicazione di prescrizione codificate, sulla generale capacità, da parte di ciascuno nell’organizzazione, di assumere, quando necessario, le decisioni di competenza e intraprendere le azioni conseguenti come effetto di una corretta valutazione dei possibili effetti, positivi o negativi, degli eventi considerati. Quanto la stretta relazione tra R.B.T. e processo decisionale sia cruciale ai fini di un SGQ emerge in particolare dalle seguenti constatazioni:

a) la variabilità dei contesti organizzativi e delle aspettative che in essi si producono richiede sistemi adattivi, ciò in grado di reagire adeguatamente alle sollecitazioni esterne/interne;

b) questa adattività consiste in ampia misura nella capacità di assumere tempestivamente decisioni razionali (basate cioè sull’adeguato bilanciamento delle considerazioni di rischio e opportunità) ed efficaci.

Il R.B.T. gioca anche un ruolo importante alla luce della logica prestazionale che ispira la nuova norma: con la richiesta di contestualizzare i sistemi qualità, questa nuova edizione si focalizza più della precedente sul raggiungimento degli obiettivi concreti e lascia maggiori margini di libertà alle organizzazioni nel progettare e attuare in tal senso il proprio SGQ.

Ciò implica d’altra parte una maggiore responsabilità delle aziende nel dimostrare la capacità del proprio “progetto qualità” di assicurare la regolare conformità del prodotto/ servizio, di accrescere la soddisfazione del cliente, di conseguire il miglioramento.”

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del rischio; in particolare si trovano richiami all’R.B.T.:

– nell’introduzione, dove si spiega il concetto stesso di R.B.T.;

– al punto 4 (contesto dell’organizzazione) in cui si chiede di affrontare i rischi e le opportunità associate ai processi del suo SGQ;

– al punto 5 (leadership) che impone all’Alta Direzione di 1) promuovere la consapevolezza dell’R.B.T., 2) determinare e affrontare i rischi e le opportunità che potrebbero incidere sulle conformità del prodotto/servizio;

– al punto 6 (pianificazione): l’organizzazione deve determinare i rischi e le opportunità relativi alle prestazioni del proprio SGQ e deve intraprendere azioni appropriate per affrontarli;

– al punto 7 (supporto) in cui si richiede all’organizzazione di determinare e fornire idonee risorse;

– al punto 8 (attività operative) dove c’è la richiesta di gestire in modo appropriato i processi operativi;

– al punto 9 (valutazione delle prestazioni) nel quale si stabilisce che l’organizzazione deve monitorare, misurare, analizzare e valutare l’efficacia delle azioni intraprese per affrontare rischi e opportunità;

– al punto 10 (miglioramento) in base al quale l’organizzazione deve correggere, prevenire o ridurre gli effetti indesiderati, migliorare il SGQ e aggiornare rischi e opportunità.

Tornando all’articolo già citato di Nicola Gigante, condividiamo totalmente il pensiero conclusivo dell’autore quando afferma:

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della struttura organizzativa e del processo decisionale:

• al livello strategico, per esempio nella definizione del campo di applicazione

del SGQ, a partire dalla comprensione del contesto e delle sue sollecitazioni, attuali e potenziali, sull’organizzazione;

• al livello manageriale, per esempio nella determinazione dei processi gestionali

da attivare nel SGQ, e del loro peso relativo, nell’ambito del sistema stesso;

• al livello operativo, come nella identificazione dei punti critici nei processi,

nelle funzioni, nelle attività ai fini di un loro adeguato controllo.”

Nello specifico livello operativo, l’applicazione puntuale e rigorosa del R.B.T. consente anche il superamento di azioni preventive insite nel sistema qualità.

La ISO 9001:2015 non richiede specifici metodi o strumenti per gestire i rischi. Ovvio che, esistendo norme della serie ISO 31000 dedicate al Risk Management, l’organizzazione può adeguarsi a quelle per affrontare il rischio, ma ciò dipende esclusivamente dalla volontà dell’Alta Direzione e dalla dimensione dell’organizzazione stessa. In questa sede ricordiamo che un buon metodo di Risk Management è quello dettato dall’ERM (Enterprise Risk Management), oggetto di studio nel corso omonimo di questo Dipartimento.

3.4 Applicare il PDCA ai processi e alle persone; la leadership.

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3. Check: condurre misure sulla soddisfazione del cliente e sulla gestione dei

processi;

4. Act: avviare interventi dedicati come imperativo costante anche quando gli esiti

delle misure sono buoni.

In particolare l’act potrà realizzarsi secondo finalità diverse: – mantenimento: azioni per allineare prestazioni ad obiettivi;

– miglioramento: azioni per indirizzare le prestazioni verso un livello superiore, per conseguire o superare gli obiettivi;

– innovazione: azioni per trasformare radicalmente le prestazioni, generando o utilizzando nuove conoscenze.

Il ciclo PDCA è ininterrotto, cioè continuo; dopo l’act si riparte dal plan arricchito dall’esperienza precedente e così via. Su tale ciclo (anche se non esplicitamente richiamato) è impostato il percorso logico della ISO 9001:2015.

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L’applicazione è semplice:

– al vertice è riservato il plan: definizione delle strategie a breve, medio e lungo termine, definizione dei processi, delle risorse necessarie e delle misurazioni da fare (pianificazione e controllo di gestione);

– le persone eseguono il do: lavoro per processi;

– le persone fanno il check: esecuzione misurazioni interne ed esterne (valutazione delle performance);

– il vertice e le persone eseguono l’act: con riferimento alle misurazioni avviano correzioni, miglioramenti, innovazioni.

In pratica, nel plan, ritroviamo strategia e politica aziendale, pianificazione e controllo di gestione, Risk Management.

“L’applicazione del PDCA non solo ottimizza l’uso delle risorse orientandolo all’obiettivo, ma permette di risalire alla fonte degli errori quando il check fa suonare un’allarme. Ciò presuppone che il do sia stato fedele a quanto contenuto nel plan. In questo chiave di lettura il PDCA permette di procedere in modo più diretto verso la meta e, nel caso di insuccesso, di ricostruire la fonte dell’errore: progettuale? O esecutivo?” (E. Leonardi, 2015).

“Nella gestione del ciclo PDCA viene accentuato il ruolo della direzione (leadership) nel poter dare le motivazioni e le risorse per la gestione di processi per incontrare gli obiettivi definiti” (L. Pavletic, 2016).

L’Alta Direzione deve dimostrare leadership, deve assegnare responsabilità ed autorità all’interno dell’organizzazione per attuare l’SGQ, è tenuta a definire la politica

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• l’estrema importanza della gestione risorse umane;

• la valenza fondamentale della comunicazione (interna ed esterna); • la focalizzazione al cliente ed alle parti interessate rilevanti;

• l’applicazione della concezione di R.B.T.

“Interessante e rilevante la rilettura del SGQ inteso come sommatoria di componenti ove al centro rimane sempre la risorsa umana e la sua capacità di poter dare maggior valore aggiunto e dove si può strutturare un’organizzazione che lavora in team”. (L. Pavletic, 2016).

Soffermandoci sulle tematiche di comunicazione, a conclusione di questo paragrafo, desideriamo ricordare gli elementi innovativi introdotti nella nuova ISO 9001:

1) comunicare l’importanza di una gestione qualità efficace e la conformità ai requisiti del SGQ;

2) la politica per la qualità deve essere nota, compresa e applicata all’interno dell’organizzazione e deve essere disponibile alle parti interessate rilevanti; 3) occorre far partecipare attivamente le persone affinché contribuiscano al

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3.5 Misurare la qualità

La norma UNI 11097 definisce l’indicatore della qualità una informazione qualitativa e/o quantitativa associata ad un processo, un’attività, un fenomeno sotto osservazione, che consente di valutare le modificazioni di quest’ultimo nel tempo, nonché di verificare il conseguimento degli obiettivi prefissati, al fine di consentire una corretta assunzione delle decisioni. (D. Faraglia, 2016).

Le misure della qualità si possono distinguere in qualità erogata e qualità percepita. La percezione della qualità è influenzata, oltre che dalle caratteristiche del prodotto/servizio, dalla comunicazione con cui l’organizzazione e i suoi concorrenti si relazionano con il cliente. È pertanto valutabile in termini di soddisfazione rispetto alle aspettative espresse in termini di qualità attesa. (Parasuram e altri, 2000).

La valutazione delle performance si configura sostanzialmente nel check del ciclo di Deming e viene codificata nella nuova ISO 9001 al capitolo 9 paragrafi 1, 2 e 3. in particolare viene chiesto all’organizzazione di mettere in atto le misure per monitorare la percezione del cliente nei confronti delle sue esigenze ed aspettative (prima si parlava di requisiti). Viene sottolineato come occorra definire le metodiche di indagine, non solo per ottenere e monitorare le informazione, ma anche per riesaminarle. Sostanzialmente cioè occorre “validare” i dati prima di portarli a conoscenza di tutta l’organizzazione.

Preme sottolineare l’importanza del paragrafo 3 dove ci si concentra sulle finalità oggetto di valutazione:

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– efficacia della pianificazione;

– efficacia delle azioni intraprese per affrontare rischi e opportunità; – prestazioni dei fornitori esterni;

– esigenza di miglioramenti del SGQ.

I due framework più diffusi per misurare la qualità sono: Balanced Scorecard e modello EFQM.

Ci soffermiamo sul modello EFQM in quanto orientato alle migliori pratiche del Total Quality Management. I diritti del modello sono detenuti dall’European Fondation for Quality Management e l’Associazione Italiana Cultura per la Qualità, partner nazionale della prima.

Nel modello EFQM (vedasi rappresentazione grafica più avanti) troviamo nove criteri, classificati in fattori (ciò che l’organizzazione fa) e risultati (ciò che la stessa consegue). Trattasi di un modello dinamico in cui apprendimento, creatività e innovazione contribuiscono a rafforzare i fattori che, a loro volta, determinano un complessivo miglioramento dei risultati (EFQM, 2013).

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La leadership deve guidare gli altri 4 fattori (strategia, personale, partnership e risorse, processi/prodotti e servizi) ai risultati di eccellenza relativi a personale, clienti, società e business. Per la messa in pratica del modello EFQM ha predisposto:

• la matrice dei fattori per analizzare, valutare e misurare gli approcci per i

criteri;

• la matrice dei risultati quale supporto di analisi, valutazione e misurazione dei

risultati raggiunti nei criteri.

I 9 criteri sono a loro volta disaggregati in 32 sotto criteri per consentire una disamina più puntuale di fattori e risultati. A titolo esemplificativo proponiamo una breve descrizione dei criteri riferiti ai risultati relativi ai clienti e al business, entrambi articolati in due sotto-criteri:

clienti:

percezioni dei clienti relativamente all’organizzazione (attraverso indagini

conoscitive, gruppi di ascolto, complimenti e reclami);

indicatori di prestazione: possono includere immagine, prodotti e servizi

(difettosità, errori e scarti, reclami, ciclo di vita del prodotti, innovazione di progetto, time to market), vendita e assistenza post vendita, fidelizzazione e profittabilità.

business:

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tecnologia, innovazione e asset intangibili.

Prima di concludere occorre sottolineare che Balanced Scorecard e modello EFQM condividono un certo numero di caratteristiche anche se i due approcci sono molto diversi; si possono ottenere maggiori benefici da un loro utilizzo congiunto essendo sostanzialmente quasi complementari (ai quattro criteri dei risultati del modello EFQM corrisponde una Balanced Scorecard con cinque prospettive dove, rispetto al modello classico, è stata aggiunta la prospettiva stakeholder).

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3.6 Il miglioramento

Afferma l’economista giapponese Masaaki Imai che “il punto di partenza per produrre un miglioramento è riconoscerne la necessità”, mentre John M. Keynes ritiene che “la difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie”.

Il miglioramento è uno dei sette principi di gestione per la qualità su cui si fonda l’ISO 9001:2015; esso è essenziale per una organizzazione che voglia mantenere buoni livelli di prestazione e creare nuove opportunità.

In particolare nella nuova versione della ISO 9001 si esplicita il concetto di miglioramento continuo, rivolto soprattutto ad un target: il cliente. Per ottenere questo scopo occorre: (cap. 10)

a) migliorare prodotti/servizi per soddisfare i requisiti e affrontare esigenze/ aspettative future e competere nel mercato;

b) correggere, prevenire o ridurre effetti indesiderati; c) migliorare l’efficacia delle prestazioni e del SGQ.

Nel paragrafo 3 del capitolo 10 si delineano le finalità del processo di miglioramento continuo (kaizen) che può essere realizzato applicando il già citato ciclo PDCA.

“Si vuole che si persegua un percorso che migliori in modo continuo l’idoneità, l’adeguatezza e l’efficacia del SGQ”. (L. Pavletic, 2016).

Come elementi da prendere in considerazione sono considerati i risultati di analisi e valutazioni (analisi rischi, monitoraggio, misurazioni, audit, ecc…) insieme al riesame della Direzione, tutti elementi essenziali di partenza per conseguire il miglioramento.

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analizza diffusamente la metodologia giapponese del miglioramento continuo. In particolare secondo l’autore il kaizen:

1. richiede tanti sforzi e limitati investimenti;

2. può e deve coinvolgere tutto il personale dell’azienda;

3. richiede il riconoscimento degli sforzi prima ancora dei risultati;

4. si ottiene con l’affinamento delle idee e con l’applicazione del PDCA.

E ancora, il PDCA è una metodologia di lavoro che va insegnata a tutto il personale affinché tutti possano dare il loro contributo al miglioramento. Tutto il kaizen si basa sulla gestione continua di questo metodo per qualsiasi processo aziendale: tempo, personale, tecnologia.

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Capitolo 4. I costi della qualità e della non qualità

4.1 Generalità

Cosa si intende per “costi della qualità” ? “ Si tratta di oneri relativi al conseguimento o meno degli obiettivi posti riguardo alla qualità delle linee operative, amministrative e informative, dunque alla precisione dei processi di vario ordine presenti nell’azienda. Si riconnettono, in altre parole, alla manifestazione ed al controllo del fenomeno della difettosità, più in generale degli errori.” (E. Gonnella, 2006)

Il primo studioso che iniziò a parlare di costi della qualità fu Juran nel 1951 (nel suo libro “Quality Control Handbook”), citando la famosa analogia tra i problemi e l’oro che si può trovare nelle miniere. I problemi non devono essere visti come dei crucci ma come opportunità che le organizzazioni devono saper sfruttare per migliorarsi.

Dieci anni dopo fu Feigenbaum a tornare in argomento, spiegando come i costi di prevenzione fossero di gran lunga preferibili a quelli di correzione dell’errore, poiché minori. Secondo l’autore bisognava iniziare a lavorare in qualità fin dalle primissime fasi del processo, per evitare di trovarsi davanti ad errori che vanno a costituire quella che viene chiamata la “fabbrica nascosta”.

Nel 1979 Crosby sostenne che la qualità non costasse nulla, pronunciando la famosa frase “quality is free”.

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In particolare Feigenbaum distingue i costi relativi alla qualità del processo in 3 categorie: costi dei difetti, costi di valutazione e costi di prevenzione. Successivamente perfeziona la classificazione individuando 2 categorie generali suddivise in altrettante sottocategorie.

Gli oneri relativi alla qualità dei processi vengono scissi in “costi di controllo” e “costi per la mancanza di controllo”, divisi in costi di prevenzione e valutazione i primi e costi dei difetti interni ed esterni i secondi. Tale classificazione è stata adottata da parte dell’American Society for Quality e dalla stragrande maggioranza degli studiosi della dottrina di analisi dei costi.

H.J Harrington propone la seguente suddivisione:

• costo di prevenzione (es. addestramento del personale, studi di capability del

processo, indagini sui venditori;

• costo di valutazione (es. operazioni di ispezione e testing, manutenzione

attrezzature di ispezione e prova, revisione spese amministrative, costi per processare e relazionare i dati relativi a collaudi e prove)

• costo per guasti interni (es. spreco e rilavorazione, modifiche tecniche per

correggere errori di progetto, fermi macchina)

• costo per guasti esterni (es. di garanzia, addestramento personale assistenza

tecnica, di richiamo, gestione delle lamentele e reclami)

• costo per attrezzature di misurazione e test (per le attività di valutazione).

“Parlare di gestione dei costi legati alla qualità implica :

1) studiare l’andamento di questi costi nel tempo al fine di evidenziare gli eventuali trend di miglioramento;

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ad una riduzione dei difetti, delle rilavorazioni, degli scarti;

3) studiare l’andamento nel tempo dei costi della qualità e della non qualità (obiettivo “costi zero”: quando i costi della qualità consentono di ridurre, per un pari importo, i costi della non qualità).” (M. Giannini, 2015)

Una ricerca americana che va avanti dal 1972 (la Profit Impact of Market Strategy) evidenzia che, tra tutte le scelte strategiche fatte dalla aziende, quella che paga di più è proprio l’implementazione della qualità. Le aziende che lavorano in qualità infatti:

• hanno una retention dei clienti maggiore,

• acquistano in maniera maggiormente ripetitiva e, quindi, controllabile, • sono meno vulnerabili alle guerre dei prezzi,

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4.2 I costi della qualità

“I costi della qualità rappresentano la somma dei costi sostenuti per svolgere attività per il raggiungimento di un livello di qualità a priori individuato e componenti negativi di reddito afferenti al mancato ottenimento di tale livello.” (R. Giannetti, 2017).

Troviamo 3 metodi per la rilevazione e l’analisi dei costi per la qualità: a) metodo qualità – costo

b) metodo processo – costo c) metodo qualità – perdite

Nel primo metodo distinguiamo: costi di prevenzione, di valutazione, per gli insuccessi (interni ed esterni). Tra i costi di prevenzione citiamo ad esempio la

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progettazione dei processi, la pianificazione di collaudi e controlli, la valutazione dei fornitori, la pianificazione della manutenzione, l’elaborazione ed esecuzione di programmi di formazione e addestramento del personale.

Nei costi di valutazione portiamo ad esempio i controlli e collaudi in accettazione su materie prime, semilavorati e prodotti finiti nonché le medesime attività a fine produzione e/o nel corso della stessa, la valutazione dei SQ dei fornitori (audit), il riesame del SQ interno.

Infine, nei costi per gli insuccessi evidenziamo, per quelli interni, i costi per gli scarti di lavorazione, le rilavorazioni, il maggior impiego di materie prime rispetto allo standard, i costi dovuti a prodotti non conformi alle specifiche; per quelli esterni ricordiamo i resi, le azioni di rivalsa dei clienti, riparazioni e sostituzioni in garanzia, gestione dei reclami e ritardi di consegna.

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Aziende prive di un sistema di misurazione e gestione dei costi della qualità evidenziano costi della stessa pari al 15-20% (talvolta 25%) dei ricavi! Quelle con un sistema efficace meno del 5% dei ricavi. In particolare i costi di prevenzione e di valutazione hanno il comune obiettivo di “assicurare” (i primi) e “verificare” (i secondi) che “le cose siano fatte bene la prima volta.” (M. Giannini, 2015)

Il metodo processo – costo concentra l’attenzione sui processi e classifica i costi in:

• costi della conformità: sostenuti per soddisfare tutte le esigenze espresse ed

implicite del cliente;

• costi della non conformità: sostenuti a causa degli insuccessi del processo in

essere.

Il metodo qualità – perdite (UNI EN ISO 9004: 1995) si riferisce sostanzialmente ai costi della non qualità, argomento che ci occupa nel successivo paragrafo al quale rimandiamo.

É interessante trattare a questo punto del costo totale della qualità, rappresentato sinteticamente dalla figura sottostante, non immune da critiche:

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Ci preme sottolineare la differenza sostanziale nella valutazione del punto di ottimo tra chi applica il Kaizen e gli altri. In pratica nella prima ipotesi non ci si cura del rapporto costi/benefici tra il sostenimento dei costi e l’obiettivo di miglioramento continuo tendente al raggiungimento di sempre più elevati livelli di qualità. Nell’altra ipotesi invece si valuta se un ulteriore aumento dei costi per la qualità comporta il conseguimento di benefici economici superiori agli oneri sostenuti. In caso negativo ovviamente si arresta il trend costi/benefici e ci si accontenta della qualità conseguita, limitando il livello dei costi alla quota raggiunta.

Misurare i costi della qualità può portare diverse informazioni:

• aiuta a determinare il ritorno ROI;

• fornisce indicazioni sul funzionamento del processo e sul suo controllo; • evidenzia quali spazi ci sono per il miglioramento.

Per ottenere informazioni relativi ai costi della qualità, si può partire dalla raccolta dei dati già disponibili in azienda come, ad esempio, il trend dei ritardi, il numero di interventi in garanzia, i dati relativi alle rilavorazioni, ecc. I costi andrebbero sempre associati ad un codice identificativo che leghi la causa all’effetto. Un modo veloce ed economico per raccogliere queste informazioni è quello di chiedere ai collaboratori di segnalare tutte le volte che perdono tempo associando alla segnalazione un codice identificativo per individuare la causa esatta della perdita di tempo. Si potranno così individuare i driver dei costi ed apportare le necessarie azioni di miglioramento.

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4.3 Costi della non qualità, costi indiretti della qualità, economie della

qualità.

Come già accennato il metodo qualità-perdite è indirizzato all’analisi delle perdite (costi) interne ed esterne, dovute a carenza di qualità – cioè alla non qualità – e le distingue in tangibili e intangibili (o anche rilevabili o non rilevabili). Si tratta degli insuccessi e dunque dei costi interni – legati a difetti rilevati durante il processo di realizzazione del prodotto e, comunque, prima della sua commercializzazione – e dei costi esterni – difetti rilevati dal cliente dopo l’acquisto.

Tra i costi tangibili citiamo quelli per riparazioni e sostituzioni prodotti in garanzia, rilavorazioni; tra quelli intangibili ricordiamo opportunità non sfruttate e rischi particolarmente significativi come perdita di immagine, insoddisfazione del cliente, perdita del cliente, mancate vendite future, ecc.

Juran considerava i costi della non qualità come “oro perso in miniera”.

Mi pare interessante inoltre considerare, nell’argomento in esame, quelli che si possono chiamare “costi indiretti della qualità”. Nell’ottica del R.B.T. occorre tenere presente, nelle fasi produttive, i rischi derivanti ad esempio da fermi della produzione (per guasti ai macchinari o mancanza di materia prima) o da ritardi nella logistica (rifornimenti alle linee di produzione o ritardi alle consegne ai clienti). I costi per la prevenzione o riduzione di tali eventi, inerenti sostanzialmente i processi, possono essere visti come costi indiretti della qualità, tenuto conto dei riflessi negativi che tali eventi possono scatenare nei fruitori finali dei prodotti.

A conclusione del paragrafo meritano una menzione le “economie della qualità” che “sono risparmi ottenibili, in date circostanze, nei costi relativi direttamente o

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indirettamente alla precisione dei processi”. (E. Gonnella, 2006)

E ancora “la loro entità, talora piuttosto rilevante, le rende idonee a fornire un valido contributo al contenimento del costo di produzione”. (E. Gonnella, 2006)

Le economie della qualità possono contribuire anche in misure ragguardevole al conseguimento di un vantaggio di costo.

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Capitolo 5. Il caso Aboca S.p.A.

5.1 Presentazione

ABOCA SpA SOCIETA’ AGRICOLA (d’ora innanzi semplicemente ABOCA) porta già nel suo nome e nella sua collocazione geografica una precisa vocazione: il termine ABOCA deriva infatti da “Abiga”, antico nome dialettale toscano del canepizio, pianta medicinale dalle proprietà depurative utilizzata in antichità.

L’azienda è nata nella primavera del 1978 dall’intuizione di Valentino Mercati che si appassiona al mondo dell’agricoltura biologica e delle piante medicinali, all’insegna dell’ideale “salute dell’uomo in equilibrio con quella dell’ambiente”.

ABOCA inizia così il percorso nel settore della salute maturale: una filiera produttiva verticalizzata, dalla produzione della materia prima di qualità attraverso coltivazioni biologiche fino alla verifica degli effetti farmacologici e clinici dei prodotti.

Sede legale e amministrativa a Sansepolcro (Arezzo), 60.000 m2 di laboratori e stabilimenti a Pistrino di Citerna (Perugia) in Valtiberina - ai confini della Toscana -, oltre 1000 dipendenti, 32 brevetti internazionali, 27 milioni di pezzi di prodotti venduti in 27000 farmacie e 3000 parafarmacie: questi alcuni dati significativi della realtà esaminata. E ancora: 1400 ettari di coltivazioni biologiche tra Valtiberina e Valdichiana, 2000 tonnellate di prodotto fresco essicato ogni anno, 77 specie coltivate (piante

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officinali).

Per completare il quadro di presentazione ricordiamo che ABOCA è presente in Francia (con una sede secondaria a Parigi), Spagna, Stati Uniti, Germania e Polonia con proprie unità commerciali e distribuisce i propri prodotti in 14 paesi nel mondo.

Esaminando l’ultimo bilancio ufficiale della Società chiuso il 31/12/2016 evidenziamo un valore della produzione di quasi 136 milioni di Euro, un M.O.L. di oltre 26 milioni (20,15% del fatturato), un M.O.N. di 19 milioni e un utile d’esercizio di 12,585 milioni portato interamente ad incremento del P.N. che raggiunge così la cifra di 62,894 milioni. Considerando il bilancio consolidato di gruppo il fatturato raggiunge i 170 milioni di euro.

ABOCA è la capogruppo di un insieme di aziende (tutte controllate al 100%) che comprende le filiali estere e 2 importanti entità come Planta Medica Srl e Apoteca Natura SpA: La prima concede la licenza d’uso dei marchi relativi al proprio logo e marchi di prodotto dietro corresponsione di royalties da parte della controllante. Apoteca Natura è invece un network che affilia ormai quasi 900 farmacie indipendenti tra Italia e Spagna, distributrici dei prodotti Aboca con appositi corner dedicati. Ad inizio 2016 la Società ha rilevato l’80% della Afam, azienda titolare della gestione di 21 farmacie comunali di Firenze, entrando così direttamente nel settore retail.

La proprietà di ABOCA è totalmente nelle mani della famiglia Mercati; controllante è la S.S. Aboca di Mercati Valentino e C. che detiene il 99,16% del capitale sociale.

“Ad oggi Aboca è il principale operatore italiano ed uno dei principali europei del settore nella produzione di integratori alimentari e dispositivi medici con particolare

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Ampio spazio viene dedicato, in uno con il controllo qualità, al settore ricerca e sviluppo con particolare attenzione alla ricerca clinica, uno dei settori di punta della ricerca in ABOCA. In questo campo l’attività è orientata allo studio di nuove API (Active Pharmaceutical Ingredient) e/o di nuove esigenze terapeutiche, come pure alla dimostrazione di efficacia e sicurezza di prodotti e sostanze tramite evidenze cliniche (anche quest’ultimo filone di ricerca comporta il consolidamento della qualità di prodotto).

Fondamentali infine le collaborazioni intraprese con Istituti di Ricerca di fama internazionale quali l’Università di Cambridge, l’Università della California ed il Policlinico Umberto I di Roma.

La filosofia di ABOCA si fonda, tra l’altro, sulla convinzione che esista uno stretto legame, indissolubile, tra uomo e natura; per questo motivo offre prodotti naturali e biologici a base di molecole naturali, sicure e di alta qualità.

La stragrande maggioranza della materia prima viene coltivata in terreni di proprietà o affitto dislocati nella Valtiberina umbra e toscana ed in Valdichiana. Ciò che, per motivi climatici, non è possibile produrre in loco viene acquistato sul mercato italiano ed estero con la massima attenzione alla serietà e affidabilità dei fornitori. In questo caso si applica il principio dell”assicurazione qualità”, tramite accordi di filiera, contrattualizzando rigidi standard di qualità e sicurezza per ciascun lotto di produzione.

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5.2 La qualità in ABOCA

Il sito internet aziendale è particolarmente esaustivo nella spiegazione del concetto di qualità, ma soprattutto nell’esplicare come tale concetto trova pratica applicazione in ABOCA.

Riportiamo quindi integralmente le dichiarazioni ufficiali della Società così come proposte sul web, lasciando al colloquio/intervista intercorso a fine novembre 2017 con il Dr. Luca GRIGI -Dirigente Responsabile della Qualità – ulteriori momenti di chiarimento e conclusione.

“Il discorso della qualità per noi è determinante perchè nel settore dei prodotti naturali ci sono sia problematiche regolamentari che problemi legati all’utilizzo di materiali ad altissima variabilità.

Una pianta può avere contenuti diversi di principi attivi così come della stessa ne possono esistere varietà diverse. Premesso questo, è chiaro che è difficile riconoscere o standardizzare i prodotti che derivano dalle piante e come conseguenza sul mercato proliferano preparati di bassa qualità.

Noi siamo riusciti a raggiungere risultati importanti applicando tecnologie innovative che ci consentono di fare qualità pur rispettando la complessità della pianta. L’industria farmaceutica di una pianta sintetizza una molecola che poi riproduce all’infinito per averla sempre disponibile, standardizzata. Oggi le tecnologie attuali ci consentono di andare a caratterizzare i nostri prodotti sulla base della metabolica, l’analisi chimica

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con la natura senza andarla a purificare eccessivamente, garantendo allo stesso tempo uno standard di qualità altissimo. Aggiungo, infine, che noi siamo anche agricoltori con i nostri oltre 1000 ettari di coltivazioni bio , dove inizia il nostro processo di lavorazione a garanzia della qualità. Se non utilizziamo piante nostre, cerchiamo di stringere accordi verticali con agricoltori che ci garantiscono di usare piante non lavorate con prodotti chimici. Anche nella fase di estrazione, usiamo solo solventi naturali come acqua e alcool tenendoci ben lontani dai solventi chimici che possono facilmente provocare irritazioni”. (Massimo Mercati – Direttore Generale ABOCA – stralcio da intervista rilasciata alla rivista BIO nell’agosto 2013).

Aboca pratica Agricoltura Biologica dal 1978, quando non esistevano in Europa e in Italia modelli al riguardo, né alcun riferimento legislativo.

La lunga esperienza nel settore e la grande quantità di innovazioni apportate, fanno di Aboca oggi uno dei massimi riferimenti a livello europeo per quanto riguarda le conoscenze sulla coltivazione di piante medicinali con le tecniche dell’Agricoltura Biologica.

Il ciclo produttivo agricolo che parte dal seme e finisce con la raccolta-essiccazione della pianta fornisce una materia prima di grande qualità, selezionata, garantita da omogeneità e standardizzazione delle coltivazioni e dalla non presenza di pesticidi e inquinanti. (coltivazioni biologiche: ndr)

In una superficie di circa 1000 ettari, che include terreni in pianura e collina tra Toscana, Umbria ed Emilia Romagna, Aboca coltiva circa 70 specie di piante medicinali e per le materie prime non compatibili con il nostro ambiente controlla,

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segue e certifica rigorosamente i fornitori esterni.

Ciascuna coltivazione vede l’impiego di tecniche, pratiche agronomiche e macchinari specifici, sviluppati da Aboca e differisce per necessità di irrigazione, periodo di trapianto, necessità di concimazioni, periodo balsamico ecc.

Aboca coltiva seguendo le G.A.P. (Good Agricultural Practices), regole validate a livello internazionale da applicare ai processi produttivi agricoli con lo scopo di garantire una materia prima sicura. Queste pratiche tengono in considerazione la sostenibilità economica, sociale e ambientale.

Tutti i processi produttivi agricoli e di trasformazione inoltre sono svolti in modo da ottenere prodotti naturali e biologici, garantiti, controllati e certificati dal CCPB (Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici).

Tutta la produzione segue il metodo dell’Agricoltura Biologica disciplinato a livello comunitario dal Regolamento CE 834/2007 ed è costantemente monitorato dall’Area Qualità.

Aboca garantisce da sempre prodotti di qualità molto alta, tutti noi sappiamo che la qualità è il risultato di un processo. In Aboca il processo inizia dalla Materia Prima. I prodotti Aboca derivano esclusivamente da una materia prima di grande qualità che si ottiene attraverso la rigorosa attenzione posta in ogni fase del ciclo produttivo...

Il ciclo produttivo Aboca è completamente verticalizzato: dal seme al prodotto finito è tutto svolto all’interno dei propri stabilimenti. Grande valore in quanto principale strumento per la creazione della qualità, il ciclo produttivo è suddiviso tra la fase agricola in oltre 1.000 ettari di coltivazioni biologiche e la fase di trasformazione/

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