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Simone Weil Un pensiero in attesa, un'esperienza religiosa sulla soglia

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione p. 2

Capitolo primo

Tra il vissuto e l’avvenire postumo

1.1. Cenni biografici p. 4

1.2. La vicenda editoriale degli scritti p. 22

1.3. Nella classe di Alain p. 30

Capitolo secondo

Gli esordi e le letture religiose

2.1. I primi scritti filosofici p. 38

2.2. Il rapporto con l’ebraismo p. 45

2.3. I contatti con l’induismo e il buddhismo p. 53

Capitolo terzo

Dio: tra preghiera e sventura

3.1. Aneliti di conversione: Love p. 66

3.2. Il Pater Noster p. 75

3.3. La sventura e il male p. 86

Capitolo quarto

Il credere: sulla soglia

4.1. Il battesimo p. 96

4.2. Sulla soglia p. 106

4.3. Il Credo p. 116

Capitolo quinto

Tra attesa e tensione

5.1. La dimensione temporale p. 127

5.2. Il tempo dell’attesa p. 135

5.3. L’attesa tra filosofia e mistica p. 142

Conclusioni p. 150

Bibliografia p. 161

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Introduzione

Il presente lavoro, svolto nell’ambito della filosofia della religione, si propone di studiare la figura di Simone Weil alla luce della sua esperienza intellettuale, umana e religiosa. In

particolare tenta di ritrovare le chiavi di lettura del suo vissuto religioso e di comprendere la

sua posizione nei confronti del cristianesimo cattolico. La ricerca si addentra inevitabilmente

nelle qualità e peculiarità che contraddistinsero la Weil come donna del suo tempo: attenta

osservatrice dei fenomeni sociali e delle problematiche a essi connessi, curiosa conoscitrice

delle religioni, appassionata lettrice e intrattenitrice di relazioni epistolari tanto importanti.

Peculiarità che non smettono di emergere come numerose, nuove, originali e interessanti ogni

qualvolta ci si raffronti con la lettura dei suoi innumerevoli, seppure frammentari, testi. Una

trama di interessi, attitudini e riflessioni che si fa fitta e che la letteratura non si stanca di

studiare e arricchire. Il lavoro stabilisce di cogliere le possibili basi di un pensiero in attesa,

sollecito al farsi degli interrogativi, non solo propri della ricerca weiliana, ma anche di tutti coloro che si accingono a leggerne l’opera e a comprenderne le ragioni attuali.

La ricerca ha ripercorso nel primo capitolo le tappe dell’intensa, seppure breve, biografia dell’autrice: in essa vita e pensiero si intrecciano in modo da creare dei legami caratterizzanti l’opera, rispecchiabili nell’evoluzione personale e nell’esperienza religiosa. Inizialmente è stata posta attenzione sui momenti essenziali della biografia, sulle origini e i rapporti familiari, gli studi e in particolare sull’influenza che ebbe il maestro Alain sugli albori della sua ricerca intellettuale e nell’approccio allo studio della filosofia.

La ricostruzione della vicenda editoriale dei suoi scritti è stata approfondita come parte integrante della sua biografia, si potrebbe dire, “postuma”: da una parte le responsabilità di taluni accostamenti e assembramenti non sono state dovute a lei stessa, dall’altra senza il

lavoro di custodia e ricerca editoriale oggi non si conoscerebbe nessuna delle sue

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3 Il secondo capitolo fornisce degli spunti sui suoi esordi letterari, riferendosi ai primi saggi

composti da allieva di Alain, e non solo. Rintraccia i primi contatti con le religioni, in particolare con l’ebraismo, l’induismo e il buddhismo, in modo da comprendere una parte rilevante della sua attenzione nei confronti del mondo religioso e l’influenza delle sue varie

componenti nella sua ricerca futura. Un rapporto a tratti critico e conciliante che ha meritato

di essere analizzato per abbozzare un profilo religioso della stessa autrice.

Il terzo capitolo si concentra sul dato divino vissuto nelle due dimensioni caratterizzanti: la

preghiera e la sventura. Si sofferma su alcuni momenti ritenuti salienti dalla stessa autrice per l’esperienza cristiana: tali eventi fondamentali sono stati definiti “aneliti di conversione” con l’intenzione di intendere quei contatti che avvicinarono talmente la Weil al cristianesimo da potere pensare a una possibile conversione. Il termine “anelito” lascia spazio, però, a un’interpretazione più ampia, da comprendere alla luce dell’evoluzione e degli stadi del pensiero. La lettura weiliana del Pater Noster e il tema della sventura come parte consistente

di ogni esistenza umana supportano tali aneliti e li dipingono in maniera nuova.

Il quarto capitolo prende le mosse dalla questione assai dibattuta sulla scelta e sul rifiuto del

battesimo da parte della Weil, per iniziare a tratteggiare la posizione che andava assumendo

nei confronti della Chiesa: il suo definirsi sulla soglia. Sulla base di uno scambio epistolare

assai lucido e della formulazione di un suo credo si analizzano le motivazioni, gli

atteggiamenti, le critiche, i sospiri e i desideri.

Il quinto capitolo, infine, si concentra sul concetto assai caro alla speculazione weiliana: l’attesa, con una disamina dei suoi aspetti e delle sue caratteristiche, nelle sue sfumature temporali, filosofiche e mistiche. Un tratto fondamentale, questo, per fare sintesi, e ritrovarvi

una connessione con le tappe precedentemente analizzate e potere approssimare alcune

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Capitolo primo

Tra il vissuto e l’avvenire postumo

1.1. Cenni biografici

L’infanzia e la formazione

Simone Weil nasce a Parigi (19, bd. Strasbourg) il 3 febbraio 1909 in una famiglia

medio-borghese. Il padre, Bernard Weil, è un ebreo di origine alsaziana, medico di professione. La

madre, Solomea Reinherz1, detta Selma, ebrea di origine galiziana, donna energica e colta che segue personalmente la formazione di Simone e di suo fratello André, di tre anni più grande di

lei.2 I genitori danno con il loro solido legame un esempio alto di amore e rispetto alla piccola Simone che, oltre a una spiccata sensibilità interiore, rivela già da bambina una salute molto

cagionevole3. «Per tutta la sua vita la malattia ebbe un ruolo di gran lunga più determinante di quanto sia stato normalmente riconosciuto»4, di certo come figlia di un medico possedeva la

1

Donna autorevole quanto amorevole, Solomea Reinherz seppe esercitare un notevole influsso sull’educazione dei figli e in particolare di Simone. Molti dei tratti della personalità di Simone ricorderanno quelli della madre. Così la descrive il figlio André: «Energica e appassionata (…) capace di una dedizione senza limiti nei confronti dei familiari, che imprigionava in un cerchio magico (…). Su mia madre gravava tutta la responsabilità di decidere in merito alle faccende domestiche, alla vita sociale, ai viaggi per le vacanze (…). Fu lei a seguire, sempre da vicino e con lo zelo più intelligente, gli studi di Simone e i miei.»

André Weil, Ricordi di apprendistato, Einaudi, Torino 1994, p. 8.

2 Di fondamentale importanza per ricostruire le tappe biografiche dell’evoluzione del pensiero di Simone Weil è

l’imponente biografia curata dalla sua amica e compagna di studi S. Pétrement in La vie de Simone Weil, Fayard, Paris 1973.

Si farà riferimento all’edizione italiana, S. Pétrement, La vita di Simone Weil, tr. it. di E. Cierlini, con un saggio intr. di G. Gaeta e una nota intr. di M. C. Sala, Adelphi, Milano 2010.

3

«I coniugi Weil erano la coppia più unita che si potesse immaginare. Credo di non averli mai colti in disaccordo. (…) Oltre all’intelligenza e malgrado una grande libertà nello scherzo e nell’ironia, c’era nella famiglia Weil un calore umano che mi colpì quando li conobbi. I sentimenti più naturali e semplici non venivano per nulla soffocati dalla cultura raffinata. I legami familiari erano forti, benché negli scherzi ostentasse talvolta una certa rudezza; ciascuno era unito all’altro da una tenerezza delicata e attenta; e gli amici erano accolti con generosità e dedizione. (…) Si vedrà come nulla fu trascurato nell’educazione dei figli perché conseguissero i più alti gradi di conoscenza e, in tal modo, le più brillanti possibilità di azione.»

S. Pétrement, La vita, cit., p. 16.

A causa di un attacco di appendicite che colpì la madre, Simone dopo i sei mesi non godette di buona salute e si fece fatica ad allevarla, anche lei soffrì di attacchi di appendicite. La più lunga convalescenza avvenne a tre anni e mezzo. Fu durante questa convalescenza che sua madre, per distrarla, le raccontò la fiaba dei fratelli Grimm, Maria d’oro e Maria di catrame. In essa, l’eroina è mandata dalla matrigna nella foresta, giunge a una casa, e le viene chiesto se preferisce entrarci attraverso una porta d’oro o una di catrame. Risponde che va bene quella di catrame, e viene ricoperta d’oro, con risultati prevedibili. «Simone dirà più tardi che questa storia influenzò tutta la sua vita».

Ivi, p. 17.

4

T.R. Nevin, Simone Weil. Portrait of a Self-Exiled Jew, trad. it. Simone Weil. Ritratto di un’ebrea che si volle esiliare, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 19.

(5)

5 consapevolezza dei suoi stati patologici, saranno comunque la malattia e la debolezza fisica a

insegnarle tanto.

Nonostante le radici ebraiche, i genitori non professano alcun credo religioso, il padre si

professa ateo e la madre agnostica, ragion per cui la formazione religiosa, quella ebraica in

particolare sarà del tutto trascurata nella formazione impartita in famiglia; convinti che ciò

avrebbe facilitato nei figli il progresso nella libertà intellettuale. Simone nutre una grande ammirazione e un tenero affetto per il fratello André, è il suo compagno d’infanzia, grazie a lui impara a leggere e acquisisce una serie di conoscenze, specialmente nell’ambito della

matematica. I fratelli Weil erano legati da una solidarietà magica e formativa, «due strumenti

accordati sullo stesso tono».5 Simone, tra il 1913 e 1914, ripresasi dalla malattia, inizia a essere notevolmente stimolata dalle doti e dalla vivacità intellettuale del fratello, nei riguardi

del quale non provò mai gelosia ma un forte complesso di inferiorità.

La famiglia Weil era molto unita, infatti, allo scoppio della prima guerra mondiale, il dottor

Weil, mobilitato come ufficiale medico, porta con sé i familiari durante i suoi spostamenti sul

fronte (1914-1918); naturalmente si comprende bene come l’orrore che fin da piccola Simone conosce si imprimerà per sempre nel suo animo, forgiando in lei qualcosa di più di un’acuta sensibilità per la sofferenza umana, per la sventura. Già dall’infanzia «si prepara nel suo cuore

la riflessione sul malheur (sventura), come su una realtà che prima le apparirà di portata

insieme sociale e ontologica e poi, negli ultimi anni della sua vita, teologica»6.

Al termine della guerra, Simone ritorna a Parigi con la sua famiglia. Ha ormai dieci anni, ma

sino a questo momento non ha potuto usufruire di un regolare curriculum scolastico, malgrado ciò a cinque anni aveva appreso a leggere e a scrivere, nell’arco di un mese di tempo e grazie all’aiuto del fratello, con l’obiettivo di riuscire a leggere il giornale nel giorno del compleanno del padre.

5 La definizione è dello stesso André Weil: cit. in G. Fiori, Simone Weil. Biografia di un pensiero, Garzanti,

Milano 1981, p. 25.

(6)

6 Come il fratello che, del resto, sarà il suo modello di riferimento, anche Simone mostrò sin da

piccola indizi di precocità e di rigore intellettuale7. Le conversazioni e i giochi dei due Weil, pieni di allusioni letterarie, superavano di gran lunga la capacità di essere compresi dagli altri

coetanei, come se vivessero in un universo impenetrabile, a cui aveva accesso solo la madre8. Di certo dalla famiglia Simone riceve quegli «stimoli necessari per sviluppare un vivo interesse per la dimensione interiore dell’uomo, un gusto per il significato misterioso nascosto dietro ai fatti (…). La curiosità intellettuale, la riflessione e l’attitudine all’attenzione per il

mondo nei suoi molteplici aspetti aumentano in lei grazie all’opera di insegnanti privati d’eccezione, ma sono i genitori, comunque, a trasmettere a Simone un forte senso di attaccamento alla realtà, anche nelle sfumature più dure, secondo quel modello di probità

intellettuale9 e morale che la accompagnerà per tutta la vita»10.

Simone da subito è attratta dalle questioni inerenti la giustizia11, così scrive lei stessa: «ancora bambina, qualunque cosa leggessi o sentissi raccontare, mi mettevo sempre, istintivamente,

più per sdegno che per pietà, al posto di quanti erano vittima di un’oppressione»12. Ha appena dieci anni quando inizia a manifestare un grande interesse per la politica: si sente turbata per l’ingiustizia commessa ai danni della Germania in occasione del trattato di Versailles, firmato nel giugno 1919, in esso notò la sola volontà di umiliare il nemico. Tornata a Parigi, dopo gli

spostamenti della famiglia per seguire il padre, Simone comincia a usufruire di un regolare

corso di studi frequentando dapprima il ginnasio presso il liceo Fénelon (1919-1923) e poi il

liceo Victor Duruy (1924-1925).

7 Ecco come la descrive una sua compagna di classe, Geneviève Mathiot: «Un fisico da bambina, due mani

incapaci, un mente mirabile. (…) Ci dava l’impressione di un’origine diversa, di un pensiero estraneo a quello della nostra età e del nostro ambiente. Sembrava un essere che avesse vissuto molto di più».

S. Pétrement, La vita, op. cit. , p. 26.

8 Ivi, p. 22.

9 Cfr. Lettera Quinta, La probità intellettuale, in S. Weil, Attesa di Dio, M.C. Sala (a cura di), Adelphi, Milano

2013, pp. 44-47 (corsivo mio).

10

A. Pezzini, Pensare la soglia. La riflessione di Simone Weil tra filosofia e mistica, pref. di G. Fiori, Cantagalli, Siena 2007, pp. 11-12.

11«Sin dalla prima infanzia ho altresì posseduto la nozione cristiana di carità verso il prossimo, alla quale davo il

nome di giustizia, così bello, che ha in molti passi del Vangelo». Cfr. S. Weil, L’autobiografia spirituale in Attesa di Dio, cit., p. 26.

(7)

7 All’età di quattordici anni, proprio durante il suo periodo ginnasiale, è riconducibile la sua caduta in un profondo stato di disperazione che costituirà, nel contempo, una svolta

importante: comprende quanto la volontà possa positivamente influire sul raggiungimento

delle mete e apra alla possibilità dell’azione. Lei stessa delimita la crisi come propria dell’adolescenza, tuttavia la prende in considerazione, la assume e vi aderisce, la descrive così:

A quattordici anni sono caduta in uno di questi stati di disperazione senza fondo propri dell’adolescenza, e ho seriamente pensato alla morte, a causa delle mie mediocri facoltà naturali. Le doti di mio fratello, che ha avuto un’infanzia e una giovinezza paragonabili a quelle di Pascal, mi obbligavano a rendermene conto. Non invidiavo i suoi successi esteriori, ma il non poter sperare di entrare in quel regno trascendente dove entrano solamente gli uomini di autentico valore, e dove abita la verità. Preferivo morire piuttosto che vivere senza di essa. Dopo mesi di tenebre interiori, ebbi d’improvviso e per sempre la certezza che qualsiasi essere umano, anche se le sue facoltà sono pressoché nulle, penetra in questo regno della verità riservata al genio, purché desideri la verità e faccia un continuo sforzo per raggiungerla. Col nome di verità, comprendo anche la bellezza, la virtù e ogni specie di bene. Avevo raggiunto la certezza che quando si desidera del pane, non si ricevono pietre, ma a quel tempo non avevo letto il Vangelo.13

Durante l’ultimo anno di liceo, al Duruy, segue le lezioni del filosofo René Le Senne14

,

filosofo e psicologo, «che segnerà la sua formazione lasciandole in particolare due idee che la

discente non abbandonerà più: la convinzione che nulla possa sostituire il valore dell’esperienza umana e la certezza che i molteplici e spesso contraddittori punti di vista della coscienza – da quello religioso a quello scientifico, da quello artistico a quello etico, da quello

giuridico a quello metafisico – siano ricomponibili in un equilibrio e in un ordine superiori,

13

S. Weil, L’autobiografia spirituale in Attesa di Dio, cit., pp. 24-25.

14 René Le Senne (1883-1954), filosofo idealista critico e psicologo, fu professore di Filosofia morale presso la Sorbonne di Parigi.

L’influsso che Le Senne esercitò sulla Weil va letto nell’ambito della “filosofia dello spirito” segnata da un «carattere di reazione ad una situazione intellettuale e morale che minacciava la Francia».

La sua principale opera, Obstacle et valeur (1934), determinerà una serie di riflessioni weiliane sulla nozione di valore.

Simone nutrì stima e affetto per il filosofo pur non accettando, soprattutto nella maturità, il punto centrale della sua filosofia, vale a dire la riduzione del mondo esteriore a mera rappresentazione dello spirito.

(8)

8 che sono quelli propri dello spirito umano».15 Nell’ottobre del 1925 Simone, dopo avere conseguito il bachot (baccalaureato) in filosofia in giugno, si iscrive all’Henri IV (1925-1928)

e frequenta il primo anno del corso di cagne (prima superiore), anche lei, come il fratello,

desiderava entrare all’École Normale Supérieure e soprattutto divenire allieva di Alain.

Émile Auguste Chartier, più noto con lo pseudonimo di Alain16, inciderà notevolmente sulla formazione di Simone, «è nella classe di Alain (…) che comincia la filosofia di Simone».17

Gli interessi dominanti per Simone erano la filosofia e la letteratura, sono questi gli anni in

cui divora testi di autori classici e moderni, seguendo il maestro, Simone diviene lettrice

assidua di Platone, Cartesio, Spinoza e Kant, oltre a romanzieri, poeti e scrittori, cercando in

essi la vera filosofia, in stretta connessione con la vita. Con l’apprezzamento del maestro per

le sue dissertazioni inizia a pubblicare alcuni articoli sulla rivista di Alain, tra questi Le beau

et le bien. Successivamente, nel 1928, supera il concorso per accedere all’École Normale, che

frequenterà come studentessa esterna, nel 1929 pubblica due articoli dai titoli: De la

perception, ou l’aventure de Protée e Du temps.

Simone era in grado di abbinare a uno studio intenso e appassionato, che andava oltre i

percorsi scolastici convenzionali, una altrettanto intensa attività di pensiero. Tuttavia non era né un “monstre intellettuale” né una persona avulsa dalla realtà, sebbene dovesse apparire diversa ai più, anche nella «sensibilità ardente e insieme purissima (…) forse perché sembrava

dimenticare a un grado estremo ogni interesse o desiderio personale, pronta ad appassionarsi

solo per cause nobili e senza tener conto di se stessa».18

Nel 1930 ottiene il diploma di studi superiori con una mémoire (tesi) su Science et perception

dans Descartes, e nel luglio del 1931, all’età di ventidue anni, supera l’agrégation, il selettivo

esame statale francese per accedere all’insegnamento nei licei e nelle università: ottiene una

15 P. Farina, Dio e il male in Simone Weil, cit., p. 39. 16

Émile Auguste Chartier (1868-1951), per tutti Alain, professore di filosofia, grande educatore, ha segnato con il suo carisma generazioni di studenti francesi. La sua notorietà cresce con la pubblicazione sul quotidiano «La Dépêche de Rouen» di una serie di articoli sull’esperienza quotidiana e i suoi valori e, a partire dal 1921, di molti scritti sulla sua rivista «Libres Propos».

17

S. Pétrement, La vita di Simone Weil, cit., p. 34.

(9)

9 cattedra presso il liceo femminile di Le Puy. Proprio mentre preparava l’agregation

cominciarono i feroci mal di testa, che continueranno senza tregua per un decennio, Forse, in qualche misura, questi dolori derivavano dall’intenso sforzo a cui la Weil sottoponeva la propria energia intellettuale. La pura mole delle cose che scrisse con la sua mano lenta e precisa avrebbe spossato persone ben più forti di lei, per non parlare dell’incredibile quantità di ciò che, con le sue lenti spesse, fu capace di leggere. Vi si aggiunga l’alimentazione trascurata e il fumo incallito (…) Forse non è un caso che i mal di testa cominciassero durante l’ultimo anno di studi, subito prima del suo ingresso nel mondo del lavoro19.

L’insegnamento e l’impegno sociale

20

Nel settembre del 1931, all’età di 22 anni, si reca nella cittadina di provincia dell’Alta Loira, Le Puy, per assumervi il suo primo incarico come docente di filosofia. Il biennio a Le Puy, i

successivi anni ad Auxerre (1932-33) e a Roanne (1933-34), in cui continua a insegnare

presso licei femminili, rappresentano periodi di attività intensa, sia di novità di insegnamento

sia di militanza attiva sul piano sindacale, una «fase della sua vita che può essere definita

euforica»21. L’inizio di una carriera pubblica avrebbe potuto significare la rinuncia sia a

19 T.R. Nevin, Simone Weil, cit., p. 25.

20 Sembra opportuno fornire un accenno al contesto politico-culturale entro cui Simone Weil si mobilitò e

partecipò.

«Già nel periodo della formazione universitaria è possibile individuare elementi che ci permettono di definire la Weil come “figlia del suo tempo”, che si fa carico della delicata situazione politico-culturale propria della Francia tra le due guerre, in cui il parlamentarismo e il liberalismo sono minacciati sia dal comunismo in Russia sia dal fascismo e dal nazionalsocialismo, rispettivamente in Italia e in Germania. La Weil, in particolare, può essere inserita a pieno diritto nel gruppo di quei giovani filosofi che, nella temperie culturale francese degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, non accettano uno sterile concettualismo e un pensiero puramente accademico, manifestando il bisogno di aderire alla realtà, alla centralità dell’uomo concreto. Un’esigenza, quella del riferimento all’esistenza, che porterà alcuni pensatori come Sartre, Lévinas, Merleau-Ponty a lasciare la Francia, per seguire la riflessione di Husserl e Heidegger. La generazione cui appartiene la Weil, dunque, rifiuta la filosofia dominante, perché incapace di rispondere efficacemente ai problemi della crisi del dopoguerra (dissesto economico, crescita della disoccupazione, crescente oppressione di invadenti apparati statali e politici, precario equilibrio nella politica internazionale). Da qui il sempre maggior interesse di certi intellettuali per la politica, per questioni che riguardano la comunità, espresso anche attraverso la nascita di numerose “riviste”. La richiesta di una partecipazione al dibattito politico è sentita in modo particolare di fronte ai momenti più critici per la coscienza pubblica come la rivoluzione russa, la guerra di Spagna, il fascismo, la seconda guerra mondiale. Oltre che al confronto politico, tuttavia altri intellettuali partecipano anche ad azioni in favore del movimento operaio; tra questi alcuni, in momenti diversi, aderiscono al PCF (Breton, Lefebvre, Politzer, Nizan), altri, i compagnons de route, vi si avvicinano ma senza aderirvi; tra questi abbiamo Roland, Gide, Bloch, Alain e anche la stessa Weil».

A. Pezzini, Pensare la soglia. La riflessione di Simone Weil tra filosofia e mistica, cit., pp. 17-18.

(10)

10 partecipare concretamente alla vita operaia sia a occuparsi delle questioni che l’avevano

impegnata da normalista a Parigi, ciò per Simone non avvenne: continua perseverante e dedita

come sempre provocando spesso scandalo e scalpore, inimicandosi ispettori accademici e non

solo.

Il suo metodo di insegnamento era senza dubbio innovativo, rifiutava i manuali proponendo la

lettura dei grandi filosofi e dei grandi scrittori, si discostava dai programmi ministeriali: un

insegnamento che di fatto era molto simile a quello che lei stessa aveva ricevuto da Alain.

Le allieve erano profondamente colpite dalla nobiltà del suo pensiero e dal suo modo di vivere

di stenti, pian piano strinsero con lei rapporti di affetto sincero che continuarono grazie a dei legami epistolari, da cui si può evincere l’attenzione che Simone sapeva consacrare loro. Ai loro interrogativi la risposta aveva sempre lo stesso incipit: «Piccola cara»22.

Nell’anno di Le Puy la sua attività politica si realizza nello specifico in tre modi: l’organizzazione di un gruppo intersindacale fra tutti gli elementi operai della città «senza distinzione di tendenza, compresi i comunisti»23, lo sviluppo di un’università operaia per i minatori alla Bourse du Travail di Saint-Etienne e la solidarietà per i disoccupati di Le Puy.

Simone sceglie di militare nella Confederation Générale du Travail Unifiée (C.G.T.U),

sindacato di ispirazione marxista al cui giornale, L’Effort, collabora scrivendo articoli su

tematiche politiche e sindacali, offrendo varie letture del movimento operaio e del socialismo

scientifico che la rendono nota al grande pubblico.

In questo periodo stringe amicizia con i maggiori esponenti sindacali francesi e con due di

essi, Urbaine Thénevon e la moglie Albertine, organizza una scuola serale per minatori; Simone, infatti, «metteva al primo posto, fra le condizioni di una rivoluzione, l’accesso dei lavoratori all’istruzione e alla cultura»24

. Dopo Le Puy, continua l’insegnamento ad Auxerre e

a Roanne, non cessa il suo attivismo politico e sindacale, continua a solidarizzare con gli

22

Il carteggio che Simone Weil mantenne con alcune alunne di Le Puy, in particolare con Simone Gilbert, Suzanne Faure e le sorelle Dérieu, si trova in S. Weil, Piccola cara… Lettere alle allieve, Marietti, Genova 1998.

23 Riportato in una lettera di Mme Weil ad André Weil. Cfr. S. Pétrement, La vita, op. cit. , p. 127. 24

Espose le sue idee in materia in En marge du Comité d’études, L’Effort, 19 dicembre 1931. Ivi, pp. 128-129.

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11 operai e i contadini cercando di lavorare con loro. Nel 1932 visita la Germania agli albori dell’ascesa hitleriana, tornata in Francia inizierà con l’articolo La situation en Allemagne a scagliarsi contro le componenti del partito comunista tedesco, criticandone la vacuità di

intenti e di azione. La fede comunista cominciava a entrare in crisi e con essa la scelta della

militanza attiva non tarderà a vacillare.

Nel 1933, anno della definitiva ascesa al potere di Hitler, Simone ospita in casa molti profughi

del Kpd, il partito comunista tedesco; riceve anche Trotzkij, a cui espone con franchezza la

sua critica alle teorie bolsceviche e sul fallimento del Kpd. Trotzkij, che proprio in casa Weil

porrà le basi per la formazione della IV Internazionale25, respinge le accuse della Weil e non riesce a persuaderla. L’impegno politico-sociale continua anche durante l’ultimo anno di

insegnamento a Roanne: qui aderisce a iniziative di pacifisti e partecipa allo sciopero dei

minatori della Loira.

Inizia a manifestare la tendenza a una revisione critica dei fondamenti teorici del marxismo

oltre che un ripensamento del proprio ruolo di militanza politica, nel timore di potere avere

responsabilità sul sangue operaio versato. In Réflexions sur le causes de la liberté et de

l’oppression sociale prende infatti le distanze dalla concezione marxista, attribuendo un peso

determinante all’individuo e alla sua azione nel cambiamento sociale. Nell’autunno del ’34 Simone chiede un permesso di aspettativa dall’insegnamento per l’anno seguente per proseguire gli studi personali, «voleva lavorare in fabbrica per conoscere meglio ciò che le

sembrava essenziale nella società nuova, non quella che era da costruire ma quella che si era

sviluppata durante i secoli XVIII e XIX e che si chiamava società industriale».26

25 «La conversazione si era dunque aggirata soprattutto intorno alla domanda se la Russia fosse uno stato

operaio. Trotzkij sosteneva di sì. Simone aveva già detto quel che ne pensava nell’articolo Perspectives: «Descartes diceva che un orologio che non funziona non è un’eccezione alle leggi dell’orologio, ma un meccanismo diverso che obbedisce a leggi proprie; allo stesso modo si deve considerare il regime staliniano: non come uno Stato operaio che non funziona, ma come un meccanismo sociale diverso, definito dagli ingranaggi che lo compongono e funzionante conformemente alla natura di questi ingranaggi». »

S. Pétrement, La vita, cit., p. 254.

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12 Si suole distinguere due periodi nella vita di Simone e si pensa che l’anno in fabbrica segni l’inizio del secondo, non perché esso significhi una rottura o un punto di discontinuità: non è stata infatti l’esperienza in fabbrica a condurla ad allontanarsi dalle idee politiche dei sindacalisti rivoluzionari anzi «il lavoro in fabbrica è stato la conseguenza di questa

evoluzione più di quanto ne sia stata la causa»27.

Dal dicembre del 1934 all’agosto del 1935 Simone lavora, con alcune interruzioni, come operaia a cottimo, dapprima nelle officine della società Alsthom di Parigi, a

Boulogne-Billancourt, poi alla Renault. Poteva ora realizzare il sogno che fin dall’età di quindici anni la

aveva animata: poter vivere in prima persona le condizioni di degradazione, sfruttamento e

precarietà degli operai. Inoltre, Simone aveva intrapreso quell’esperienza per capire e fissare

su carta, ogni sera, malgrado la stanchezza e le umiliazioni della giornata, la forma di lavoro

che aveva compiuto e il modo in cui era stata trattata, redigendo minuziosamente, in tal modo,

il suo Journal d’usine.28 Scrivendo ad Albertine Thénevon tenta un bilancio:

Ecco cosa ha voluto dire lavorare in officina: ha voluto dire che tutte le ragioni esterne (una volta avevo creduto trattarsi di ragioni interiori) sulle quali si fondavano, per me, la coscienza della mia dignità e il rispetto di me stessa sono state radicalmente spezzate in due o tre settimane sotto i colpi di una costrizione brutale e quotidiana. E non credere che ne sia conseguito in me un qualche moto di rivolta. No; anzi (…) una docilità rassegnata da bestia da soma. Mi pareva di essere nata (…) per ricevere ordini (…)È quel genere si sofferenza di cui non parla nessun operaio; fa troppo male a pensarci (…) Solo là si conosce che cos’è la fraternità umana29

.

Fu in quel periodo che, dunque, «qualcosa mutò nel suo carattere o nella consapevolezza che

aveva di sé e della vita preparando così quel cambiamento nelle sue idee che avverrà qualche

anno più tardi».30 Lei stessa così ne parla a padre Perrin:

Dopo l’anno in fabbrica (…) avevo l’anima e il corpo a pezzi. Quel contatto con la sventura aveva ucciso la mia giovinezza. Fino ad allora non avevo mai avuto esperienza

27

S. Pétrement, La vita, cit., p. 285.

28 Successivamente costituirà la parte più importante de La condition ouvrière, Gallimard, Paris 1951.

29 S. Weil, Tre lettere ad Albertine Thénevon (1934-35) in La condizione operaia, Edizioni di Comunità, Milano

1952, pp. 8-10.

(13)

13 della sventura se non della mia, che in quanto mia mi sembrava di scarsa importanza, e che d’altra parte era solo una sventura a metà, essendo biologica e non sociale. Sapevo bene che c’era molta sventura nel mondo, ne ero ossessionata, ma non l’avevo mai constatato attraverso un contatto prolungato. Mentre ero in fabbrica, confusa agli occhi di tutti e ai miei propri con la massa anonima, la sventura altrui è penetrata nella mia carne e nella mia anima. Nulla me ne separava, perché avevo realmente dimenticato il mio passato, e dal momento che mi era difficile immaginare la possibilità si sopravvivere a quelle fatiche, non scorgevo davanti a me alcun futuro. Quel che ho subìto in fabbrica mi ha segnata in modo così durevole che ancora oggi, quando un essere umano, chiunque sia e in qualsiasi circostanza, mi parla senza brutalità, non posso non avere l’impressione che si tratti di uno sbaglio, purtroppo destinato probabilmente a chiarirsi. In fabbrica ho ricevuto per sempre il marchio della schiavitù (…) Da allora mi sono sempre considerata una schiava. 31

Lasciata la fabbrica, a settembre trascorre le vacanze in Spagna e in Portogallo: in occasione

di un soggiorno in un villaggio di pescatori sulla costa portoghese, per la prima volta

testimone della religiosità popolare, ha il primo dei «tre contatti con il cristianesimo»32. Là ho avuto all’improvviso la certezza che il cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi, e io con loro.33

Simone riprende l’attività di docenza nel Liceo di Bourges (1935-36) e continua a misurarsi con il lavoro manuale nei campi, per cui riscontra, come per il lavoro in fabbrica, la sua

inadeguatezza rispetto alle attività di ordine pratico. A ragione di ciò, cade nuovamente in uno stato di desolazione tale che la spinge, insieme alle sofferenze incessanti per l’emicrania, a coltivare il pensiero della morte. I suoi corsi di filosofia contengono sempre meno astrazioni

filosofiche e sempre più riferimenti alle grandi opere letterarie, classiche e contemporanee

accanto a esempi tratti dalla sua vita di fabbrica: concentra le sue lezioni sulla riscoperta del

valore della persona, sul senso della propria dignità di essere umano, malgrado la perdita di

ogni diritto, malgrado le circostanze di massima costrizione.

31 S. Weil, L’autobiografia spirituale in Attesa di Dio, cit., pp. 22-43, p. 27. 32

Ibidem 33 Ivi, p. 28.

(14)

14 Nel frattempo, le si presenta una nuova occasione per stare dalla parte dei deboli, nel luglio del ’36 il governo del fronte popolare spagnolo si trova a dover fronteggiare il golpe capeggiato da Francisco Franco, Simone segue con attenzione il susseguirsi degli

avvenimenti, non poteva restare indifferente, «non può non accorrere là dove avverte l’epicentro del bisogno».34

Era una pacifista convinta che la guerra fosse il peggiore dei mali

ma aveva il presentimento dei conseguenti massacri, perciò ritenne doveroso cercare di

bloccare il conflitto. «Come Alain nel 1914, Simone pensava che, quando non si può più

impedire una guerra, bisogna assumere la propria parte in questa sventura col gruppo al quale

si appartiene».35 Così decide di partire e partecipare al conflitto dalla parte dei repubblicani e nell’agosto dello stesso anno, con un tesserino da giornalista, raggiunge la colonna internazionale sotto la guida dell’anarchico Durruti.

Quella che, inizialmente, le era parsa una guerra civile per liberare i lavoratori spagnoli, ben

presto si rivela il campo di battaglia tra fascismo e bolscevismo. La sua esperienza al fronte è

breve ma piuttosto intensa, è costretta poi a tornare a causa di un’ustione. La condizione di

saluta precaria, aggravata dai frequenti mal di testa e da uno stato di deperimento, la costringe a rinunciare nuovamente all’insegnamento.

I postumi della ferita e dell’esperienza avevano prostrato Simone che, per ristabilirsi, decide di intraprendere una serie di viaggi all’estero, il primo in Svizzera per motivi terapeutici e poi, nell’aprile del 1937, secondo un desiderio sempre presente in lei, raggiunge l’Italia.

Vi si reca in aprile e vi rimane per due mesi, qui trova la gioia e fa il suo secondo incontro

concreto con il cattolicesimo.

Nella vita di Simone, l’Italia rappresenta una fase di nutrimento. Nutrimento affettivo, che le si offre soprattutto attraverso gli incontri casuali; ispirazione estetica, che le viene comunicata dalla pittura, dalla scultura, dall’architettura e dalla musica; valore spirituale dell’ambiente attraverso le città, in particolare Firenze e Assisi nel primo viaggio, Venezia nel secondo. E lei sa ricevere questo nutrimento, vi si è preparata, con la lettura (Machiavelli, le Rime di Michelangelo) e l’ascolto della musica (scoperta di Monteverdi,

34

G. Fiori, Simone Weil, cit., p. 167.

(15)

15 di poco precedente, tramite Simone Pétrement). Vi si è preparata soprattutto con il desiderio, e con la volontà di esaudirlo. (…) L’Italia è per lei un’isola dell’anima, a cui approda con ardore.36

Durante il primo viaggio dall’Italia del nord al centro, Simone visita Stresa, Milano, Bologna, Ravenna, Firenze, Roma, Perugia, Assisi e ancora Firenze. Ciò che vede in Umbria la folgora

letteralmente, quasi da “cancellare” tutto ciò che aveva precedentemente visto e che le era apparso così bello. In particolare è Assisi a colpirla e a portarla quasi in un’altra dimensione:

Sono stata abbagliata da queste campagne così soavi, così miracolosamente evangeliche e commoventi, da tanti ricordi beati, e da questi nobili esemplari, e da questi nobili esemplari della specie umana che sono i contadini umbri (…) Non avevo mai sognato un paese così meraviglioso37.

La cappella di Santa Maria degli Angeli le sembrava una “piccola meraviglia d’architettura”

superiore a molte altre opere famose, e il convento delle Carceri un posto in cui sarebbe

volentieri rimasta per la vita38. È proprio nella cappella della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli che Simone ebbe il secondo dei tre contatti con il cattolicesimo che più tardi ricorda

come veramente significativi, parlandone nel 1942, a padre Perrin:

Mentre ero sola nella piccola cappella romanica del XII secolo di Santa Maria degli Angeli, incomparabile meraviglia di purezza, dove san Francesco ha pregato molto spesso, qualcosa più forte di me mi ha obbligata, per la prima volta nella mia vita, a mettermi in ginocchio39.

Tornata in Francia, viene assegnata al Liceo di Saint-Quentin, città industriale vicina a Parigi,

faceva corsi di filosofia e greco a poche allieve. Si impegna nella consueta attività in favore

della classi deboli soprattutto tramite la stesura di articoli e si dedica ad alcuni

approfondimenti spirituali40. Nel mese di gennaio del 1938 richiede un congedo per malattia,

36 G. Fiori, op. cit., p. 187. 37

S. Weil, Lettres à Jean Posternak (1937), in Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1999, p. 646.

38

Ibidem

39 S. Weil, L’autobiografia spirituale in Attesa di Dio, cit., p. 28.

40 Legge Il Libro dei morti, testo religioso dell’antico Egitto, le Omelie manichee e della Bibbia, il Libro di Giobbe, i Salmi, il Cantico dei Cantici. Medita sulla figura di San Francesco, di cui probabilmente già conosceva i Fioretti.

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16 che si protrarrà fino alla morte. Ad aprile, insieme alla madre, trascorse la Settimana Santa nell’abbazia di Solesmes, famosa per la bellezza dei suoi canti gregoriani, di cui Simone rimase rapita. Erano giorni di dura sofferenza per lei, a causa delle emicranie lancinanti

eppure:

(…) un estremo sforzo d’attenzione mi permetteva di uscire dalla miserabile carne, di lasciarla soffrire in disparte, rannicchiata in un angolo, e di cogliere una gioia pura e perfetta nell’inaudita bellezza del canto e delle parole. Quell’esperienza mi ha permesso, per analogia, di comprendere meglio la possibilità di amare l’amore divino attraverso la sventura. È naturale che durante quelle funzioni il pensiero della Passione del Cristo sia penetrato in me per sempre41.

Durante questi giorni Simone conosce un giovane inglese cattolico che la introduce alla

lettura dei poeti metafisici inglesi, fra questi le farà scoprire George Herbert con la sua poesia

Love.42 Ne rimane così colpita che recitandola nei momenti più dolorosi delle sue emicranie e applicandovi tanta attenzione, a sua insaputa, prega.

Credevo di recitarla solo come una bella poesia, ma a mia insaputa quell’esercizio aveva la virtù di una preghiera. Durante una di quelle recitazioni (…) il Cristo è disceso e mi ha presa43.

L’esperienza di Solesmes segna per la Weil un nuovo modo di vedere le cose e una diversa percezione del mondo. Nel frattempo il quadro politico internazionale si fa sempre più critico:

Simone inizia a rivedere le sue posizioni pacifiste (Réflexion en vue d’un bilan), al momento dell’invasione di Praga, il 15 marzo del 1939, vede come inevitabile il suo impegno concreto di opposizione e resistenza al nazionalsocialismo. Riprende a scrivere e si concentra sui

41 Ibidem 42

Love è una delle poesie religiose raccolte in The Temple (1633) del poeta inglese George Herbert (1593-1633). «Amore, mi diede il benvenuto; ma l’anima mia si ritrasse, / Di polvere macchiata e di peccato. / Ma Amore dal rapido sguardo, vedendomi esitante / Sin dal mio primo entrare, / Mi si fece vicino, dolcemente chiedendo / Se di nulla mancassi. // Di un ospite, io dissi, degno di essere qui. / Amore disse: Quello sarai tu. / Io, lo scortese e ingrato? O, amico mio, /Non posso alzare lo sguardo su Te. / Amore mi prese la mano e sorridendo rispose: / E chi fece gli occhi se non io? // È vero, Signore, ma li macchiai: se ne vada la mia vergogna / Là dove merita andare. / E non sai tu, disse Amore, chi portò questa colpa? / Se è così, servirò, mio caro. / Tu siederai, disse Amore, per gustare della mia carne. / Così io sedetti e mangiai».

G. Herbert, Amore, tr.it. C. Campo in La Tigre Assenza, Adelphi, Milano 1991, p. 173.

(17)

17 problemi posti dal totalitarismo e dalla crisi della civiltà occidentale: Quelques réflexions sur

les origines de l’hitlérisme e L’Iliade ou le poème de la force44 .

Il secondo in particolar modo è uno dei rari articoli di Simone di argomento non direttamente

politico o sociale, né strettamente connesso con il contesto storico del momento in cui lo

scrisse, la guerra trattata non è la guerra contro Hitler bensì la sventura dei Troiani e dei Greci. Apparentemente pretende di capire l’Iliade, di fatto riesce a svelare la sua convinzione del dominio della forza nella cultura occidentale. L’anima umana è terribilmente debole di

fronte alla forza: l’uomo, sia che la usi sia che la subisca, ne risulta trasformato.

Intanto Simone prosegue le sue ricerche sulla storia delle religioni, risale a questo periodo la

lettura, tra le altre, della Bhagavadgītā45.

Intrattiene una lunga corrispondenza con il fratello André che, nel novembre del ’39, era stato espulso dalla Finlandia dove lavorava, e condannato a cinque anni di carcere con l’accusa

infondata di essere una spia dei russi, in Francia tuttavia riesce ad evitare il carcere

arruolandosi. Per contrastare il fanatismo delle SS redige il Progetto di una formazione di

infermiere di prima linea, soffriva pensando a quanti cadono feriti nei campi di battaglia e

così sosteneva che un soccorso immediato avrebbe potuto costituire per tanti la salvezza: un progetto dai più giudicato irrealizzabile e addirittura “folle”, ma «effetto di quella volontà di immolarsi, spinta quasi all’assurdo»46.

44 In La source greque, Gallimard, Paris 1953; trad. it. La Grecia e le intuizioni precristiane, a cura di C. Campo

e M. Harwell-Pieracci, Borla, Roma 1999.

45

La Bhagavadgītā è il poema metafisico più rappresentativo del misticismo indiano di matrice induista. Databile intorno al 500 a. C., narra della lotta dell’anima umana (l’eroe Arjuna), che interroga il suo Dio (Krishna) sulle ragioni in base alle quali muovere battaglia per il governo del regno (il Regno dei cieli). Solo attraverso la preghiera ed il silenzio, offrendo la propria vita al Dio dell’Amore, l’anima avrà la visione di tutte le cose armonizzate nell’Uno.

(18)

18

Il periodo di Marsiglia (1940-1942)

Con l’incalzare degli eventi, Simone e i suoi genitori sono costretti ad abbandonare Parigi, dichiarata città aperta, per raggiungere Vichy e poi Marsiglia, che «era allora il grande luogo

di transito per quasi tutti quelli che desideravano lasciare la Francia»47. Nel periodo compreso tra il 1940 e il 1942 nella vivace città di Marsiglia, crocevia di diverse culture, la Weil ha l’opportunità di stabilire nuovi e proficui contatti che stimolano la sua ricerca intellettuale, malgrado l’insegnamento le sia stato interdetto a causa delle leggi razziali.

Inizia a lavorare alla tragedia Venise sauvée, che rimarrà incompiuta e continua ad

approfondire le tematiche religiose confrontandosi con numerosi studiosi del settore, come

Emile Dermengheme e René Daumal, grazie a quest’ultimo studia il sanscrito e viene

introdotta al pensiero cinese e indù. Entra in contatto con i Cahiers du sud di Jean Ballard, la

rivista letteraria più importante della zona libera, frequenta la sua redazione e collabora spesso

con essa.

L’ambiente marsigliese è fonte continua di interessanti scambi per Simone, dialoga con il poeta Jean Tortel, con il filosofo Gilbert Kahn, allievo di Michel Alexandre e a sua volta

discepolo di Alain, con il matematico Pierre Honnorat e la sorella Hèléne, in particolare con quest’ultima, fervente cattolica, discute a lungo sulla religione cristiana e la mette in contatto con il padre domenicano, Joseph-Marie Perrin.

Il 7 giugno del ’41 incontra per la prima volta padre Perrin, che la accompagnerà nel suo percorso verso il cristianesimo e nella sua maturazione spirituale. Ecco come il domenicano

ricorda questo incontro:

Questo primo incontro mi fece sentire che Simone era molto attratta da Cristo, nella cui divinità ella credeva; ma nel contempo era evidente che la sua conoscenza del cattolicesimo presentava molte lacune. Mi pare tuttavia che fu a partire da questo incontro che si annodò la nostra amicizia fatta di fiducia ispirata da un amore assoluto della verità e dall’orientamento dello sguardo nella stessa direzione48

.

47

Ivi, p. 495.

(19)

19 È dunque l’inizio di un percorso decisivo per la ricerca degli ultimi anni di vita, come si intuisce dalle parole che lei stessa gli rivolge:

Lei ha conquistato la mia amicizia grazie alla sua carità, di cui non avevo mai visto l’equivalente, e mi ha fornito così la fonte d’ispirazione più potente e più cara che si possa trovare tra le cose umane. Fra queste nessuna, infatti, più dell’amicizia per gli amici di Dio permette di tenere lo sguardo fisso su Dio con intensità sempre maggiore49.

Simone continua a desiderare di condividere le fatiche degli sventurati, in particolare dei

contadini, a tal proposito padre Perrin la indirizza a un amico, Gustave Thibon, filosofo cattolico e a capo di un’azienda agricola a Saint-Marcel. Nell’estate del ’41 Simone lavora come vendemmiatrice; instaura pian piano un rapporto di profonda stima e amicizia con

Thibon, lo aiuta nei suoi studi di greco e nel contempo approfondisce le proprie conoscenze

religiose leggendo le opere di Giovanni della Croce, le Upanishad, il Tao-te-ching di Lao.Tzu

e il testo greco del Pater, tramite cui scopre la dolcezza della preghiera recitandolo durante le

sue attività nelle vigne.

Il periodo che va dalla fine del 1941 alla primavera del 1942 è quello più fecondo dal punto di

vista intellettuale: oltre alle riflessioni raccolte nei suoi Cahiers inizia, in collaborazione con

padre Perrin, una rilettura di testi della Grecia antica nell’ottica di una prefigurazione della

rivelazione cristiana, ciò che più tardi costituirà le Intuitions pré-chrétiennes e la Source

greque. Ai primi del ’42 risalgono le prime lettere indirizzate a padre Perrin in cui espone i

suoi interrogativi sulla Chiesa e sul suo rapporto con il cristianesimo.

L’argomento della sua esperienza religiosa e mistica è affrontato anche negli scambi epistolari con Joë Bousquet (aprile-maggio 1942), avviati dopo l’incontro con lo scrittore nel mese di

marzo50. Contribuisce con i due saggi L’agonie d’une civilisation vue à travers un poème

épique e En quoi consiste l’inspiration occitanienne alla realizzazione del celebre numero Le génie d’oc et l’homme méditerranéen. Continua a collaborare con degli articoli ai Cahiers du

49

S. Weil, L’autobiografia spirituale in Attesa di Dio, cit., p. 34.

(20)

20

Sud e scrive altri saggi, alcuni dei quali hanno come tema l’amore di Dio (Réflexions sur le bon usage des études scolaires en vue de l’amour de Dieu, Formes de l’amour implicites de Dieu).

Essere in contatto, grazie a padre Perrin, con Marie-Louise David, responsabile per la regione

marsigliese della diffusione dei Cahiers du Témoignage chrétien, la aiutò in questa sua attività clandestina fino all’imbarco per gli Stati Uniti, per raggiungere il fratello André e mettere al sicuro i suoi genitori. La decisione di partire non è priva di angoscia, sente il peso

della fuga, ciò che nella vita aveva sempre evitato, e il dolore per i cari amici; continua ancora

a nutrire il desiderio di fare parte di un corpo infermieristico sui campi di battaglia.

Thibon, al quale Simone affida gran parte dei suoi quaderni prima di partire, ricorda così il

loro ultimo incontro a Marsiglia:

Ebbi l’impressione di trovarmi in presenza di un essere assolutamente trasparente e pronto a riassorbirsi nella luce originale. Sento ancora la voce di Simone nelle strade deserte di Marsiglia, mentre mi riconduceva al mio hotel alle prime luci del mattino: commentava il Vangelo; la sua bocca parlava come un albero dona i suoi frutti, le sue parole non traducevano la realtà, la versavano in me nuda e totale; mi sentivo trasportato fuori dallo spazio e dal tempo e davvero nutrito di luce51.

Le ultime tappe

Il 14 maggio 1942 si imbarca per gli Stati Uniti, durante il lungo viaggio continua a

mantenere il contatto con il mondo marsigliese da cui aveva tratto nutrimento, «dopo il

distacco da Parigi, è questo il secondo grande strappo della sua vita»52.

Giunta negli Stati Uniti scrive a Jacques Maritain, che le consiglia di esporre le sue perplessità

rispetto alla Chiesa cattolica al padre domenicano Marie-Alain Couturier, il carteggio

contenente le sue trentacinque domande costituirà poi la Lettre à un religieux.

51

J.-M. Perrin, G. Thibon, Simone Weil come l’abbiamo conosciuta, Ancora, Milano 2000, p. 135.

(21)

21 Nel frattempo la sua speranza di tornare in Inghilterra per partecipare direttamente alla

tragedia del suo paese sembra divenire vana in quanto gli accessi sono sempre più limitati.

Simone non si stanca comunque di inviare richieste e suppliche a chiunque possa aiutarla a

partire, moltiplica i contatti con Jacques Soustelle e Maurice Schumann; a quest’ultimo in

particolare invia delle lettere importanti in cui confessa tutto il suo dolore e il peso morale per

una soluzione, il risiedere negli Stati Uniti, che le pare una fuga. Con alcune interruzioni

redige i Cahiers d’Amerique, poi pubblicati come La connaissance surnaturelle.

Il tanto atteso momento arriva il 10 novembre del 1942, a Londra diviene redattrice di

«France Libre» (divenuta successivamente «France combattente»).

Nei mesi londinesi scrive tantissimo sebbene i ritmi pesanti, risultato di questo periodo

saranno sia L’enracinement (1943), opera in cui sostiene la necessità per ogni progetto

politico, che voglia mantenersi al di sopra degli interessi di parte, di riferirsi sempre a principi

morali saldi e a verità religiose; sia altri testi sul futuro della Francia, sulla nuova costituzione,

sui partiti, sul marxismo, poi raccolti negli Écrits des Londres et dernières lettres.

La produzione assai prolifica non le fa abbandonare l’idea di dedicarsi a mansioni più pericolose, pensa addirittura di voler tornare in Francia, soffre interiormente e fisicamente

adeguandosi anche ai razionamenti di cibo. Ad aprile le viene diagnosticata una tubercolosi

polmonare, le sue condizioni si aggravano sempre più. Si dimette da «France combattente»

specificando di non volere in alcun modo essere legata alla Resistenza francese.

Dopo due mesi viene trasferita ad Ashford, nel Kent, dove muore il 24 agosto, all’età di 34 anni, con alle spalle un vissuto tanto intenso e provato da destare un misto di incredulità,

(22)

22

1.2. La vicenda editoriale degli scritti

Tra le opere di Simone Weil nessuna è stata né così pensata né organizzata da lei stessa: i

titoli oggi esistenti sono dovuti, infatti, a un lavoro editoriale postumo che si è intrecciato

spesso con le varie letture fornite alla sua riflessione. A ragione si potrebbe affermare che la

vita di Simone Weil scrittrice comincia proprio il giorno della sua morte.

Prima di accingersi allo studio della sua opera occorre, pertanto, offrire sia qualche cenno

riguardo alle sue ultime tappe biografiche sia una ricostruzione di questa complessa storia

editoriale, in modo da potere cogliere il suo messaggio nell’autenticità, al di là delle

interpretazioni e dei filtri affiancatisi nel corso degli anni successivi alla sua morte e nel periodo della scoperta della portata intellettuale dell’autrice.

Prima di lasciare Marsiglia, Simone Weil affidò ad alcuni cari amici gran parte dei suoi scritti, sia quelli antecedenti alla guerra, che le erano stati inviati da Parigi alla fine del ’40, sia quelli più recenti. I primi furono conservati da Pierre Honnorat a Marsiglia, gli altri, di gran lunga

più importanti, vennero consegnati al padre domenicano Joseph-Marie Perrin e al filosofo

Gustave Thibon.

Una scelta ben oculata in quanto Simone Weil, nella prospettiva di una fine prossima, ormai

incombente date le cagionevoli condizioni di salute, indica come «esecutori testamentari della

sua riflessione»53 le uniche persone che, per l’intensità degli scambi intellettuali e affettivi reciproci, riteneva capaci di comprenderne la portata ed eventualmente di farne un buon uso.

Lei stessa ripartisce tra i due amici i suoi scritti con precisione, a padre Perrin affida i saggi

spirituali54 e a Gustave Thibon consegna undici quaderni contenenti l’espressione della riflessione filosofica e religiosa maturata nell’ultimo anno e mezzo.

53

J.M. Perrin, G. Thibon, Simone Weil telle que nous l’avons connue, tr.it. Simone Weil come l’abbiamo conosciuta, Àncora, Milano 2000, premessa p. 5.

54 La meditazione sull’amore di Dio, il commento al Pater, il lavoro sui testi religiosi greci che avrebbe costituito

la prima parte dello studio teso a testimoniare la continuità tra elementi della spiritualità pagana e cristiana (noto come Intuitions pré-chrétiennes, tr.it. La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Roma 1999).

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23 Con Thibon Simone riesce a confrontarsi su un piano di maggiore libertà interiore e

intellettuale, affidargli la parte più preziosa di una riflessione ancora in corso, vale a dire riporre in lui completa fiducia sull’organizzazione che vorrà dargli nonché un atto di estrema e consapevole umiltà. Così facendo afferma il «valore metapersonale dei pensieri raccolti nei

quaderni, così da poter divenire, in un rinnovato processo di scrittura, espressione personale

per chiunque fosse in grado di volgersi alla verità con altrettanto amore»55.

Perrin e Thibon di certo furono consapevoli di trovarsi dinnanzi a una figura eccezionale,

sebbene nei suoi modi anomali di relazionarsi e di instaurare rapporti personali, nelle sue

intransigenti posizioni e convinzioni, non riconducibili pienamente entro il loro orizzonte

confessionale, quello cattolico56. La distanza dai due amici cattolici segna la distanza dalla Chiesa come istituzione incapace di accogliere ogni vocazione cristiana implicita o esplicita

nel rispetto delle intelligenze individuali, una distanza che nel suo percorso è uno stare «alla

soglie» della Chiesa stessa. Tuttavia Simone consegna la parte più ricca e preziosa della sua

riflessione proprio ai due cattolici poiché con essi aveva sperimentato il miracolo dell’amicizia al di là della distanza57

.

Del tutto diverso è il rapporto che Simone instaurò con gli amici con cui si trovò a collaborare

in Inghilterra, Maurice Schumann, Louis Closon, alle cui dipendenze lavorò, e indirettamente

55 Cfr. G. Gaeta, I «Cahiers» storia di un’opera postuma, saggio intr. a S. Weil, trad. it. Quaderni , vol. I, G.

Gaeta (a cura di), Adelphi, Milano 1982, p. 15.

56

«Simone Weil sapeva ciò che eravamo, ciò che pensavamo e ciò in cui credevamo. E tuttavia, non soltanto ci ha affidato l’incarico di pubblicare una parte della sua opera, ma ci ha invitato ad utilizzarla a nostra discrezione, integrandola nei nostri lavori personali. Ella poteva dunque prevedere in quale spirito sarebbe stata effettuata la scelta e la sintesi dei materiale affidatici. (…) Dobbiamo dunque fare astrazione del nostro cattolicesimo per studiare Simone Weil? Non è né possibile, né desiderabile. Ciò che Simone Weil ci domanda non è di rinnegare noi stessi per arrivare a quell’obiettività scientifica che consiste nel guardare tutto dall’esterno, ma di divenire più profondamente noi stessi, ossia più profondamente cattolici, nel senso etimologico della parola, per accedere a quell’obiettività suprema che consiste nell’amare tutto dall’interno.»

Cfr. J.M. Perrin, G. Thibon,Simone Weil come l’abbiamo conosciuta, cit., p. 32.

57 «(…) Le devo una gratitudine infinita, anche a voler considerare soltanto il piano dei rapporti puramente

umani. Credo che, eccetto lei, tutti gli esseri umani a cui mi è capitato di dare, con la mia amicizia, il potere di procurarmi facilmente delle sofferenze si siano divertiti talora a farlo (…). Si comportavano così non per cattiveria, ma per effetto del ben noto fenomeno che spinge le galline, quando ne vedono una ferita, a gettarvisi addosso a colpi di becco. (…) Tutti gli uomini portano in sé questa natura animale. Essa ne determina l’atteggiamento nei riguardi dei loro simili, con o senza consapevolezza e adesione da parte loro. (…) In ogni momento ogni uomo è in balìa di questa necessità meccanica; ciascuno vi si sottrae proporzionalmente al posto che il soprannaturale autentico detiene nella sua anima.»

(24)

24 il direttore del Commissariato degli Interni André Philip. Ben presto Simone si rese conto dell’incompatibilità con il progetto socio-politico gollista; ciò segnò non solo la rottura ideale ma anche fisica del rimprovero agli amici, i quali le resero impossibile la realizzazione del

progetto per cui si era recata in Inghilterra.

Gli scritti di Londra però catturano l’attenzione e l’interesse di «un’intelligenza, in grado di coglierne l’importanza e la bellezza, quella di Albert Camus, amico postumo»58

. Una figura

che rivestirà un ruolo rilevante nella complessa storia editoriale degli scritti weiliani insieme

ai due destinatari, Perrin e Thibon, personalmente indicati da Simone stessa. Camus presentando nel ’49 L’enracinement59

esprime sia la scoperta improvvisa di un grande

intelletto sia il riconoscimento di un’affinità spirituale con una persona che rimpiange di non

aver conosciuto; con lei cercò, al di là della morte, una costante comunione, forse un contatto

purificatore se, come testimonia la madre di Simone, prima di andare a ricevere il Nobel volle

raccogliersi nella camera di lei.60

Di certo oltre alla grande ammirazione per Simone Weil poco accomuna il grande autore laico

con i cattolici Perrin e Thibon, di cui infatti si trovano a fornire letture e a cogliere aspetti

differenti. Questo effetto ha però testimoniato ciò che Simone Weil fino all’ultimo aveva

sentito come propria irrinunciabile posizione intellettuale:

Il grado di probità intellettuale che in virtù della mia vocazione specifica è per me obbligatorio esige che il mio pensiero sia indifferente a tutte le idee senza eccezione, compresi ad esempio il materialismo e l’ateismo; parimenti accogliente e riservato nei riguardi di tutte. Così come l’acqua è indifferente agli oggetti che vi cadono dentro; essa non li pesa; sono gli oggetti che vi si pesano dopo un certo tempo di oscillazione61.

Quando nel 1949 i Weil fanno ritorno a Parigi, riuniscono sin da subito gli scritti della figlia,

ricevono quanto era stato custodito da Pierre Honnorat a Marsiglia e ciò che era stato messo

58

G. Gaeta, I «Cahiers», cit., p. 17.

59

S. Weil, L’enracinement. Prèlude à une déclaration des devoirs envers l’être humain, Gallimard, Paris 1949; trad. it. La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, a cura di F. Fortini, SE, Milano 1996.

60

Cfr. E. Fleuré, Albert Camus devant Simone Weil, in «Cahiers Simone Weil», n. 2, settembre 1978, pp. 10-15.

(25)

25 in salvo dall’amica Simone Pétrement prima che il loro appartamento venisse saccheggiato dai nazisti, da Closon e da altri amici vengono loro inviati i manoscritti londinesi. Più difficile

si rivela invece il rapporto con Thibon e Perrin, che dal loro canto si considerano unici

depositari di quanto Simone aveva personalmente affidato loro.

Thibon da una parte aveva cominciato a pubblicare degli estratti, seguendo l’indicazione di Simone stessa, che gli assegnava il possesso dei suoi quaderni se entro tre o quattro anni non avesse più sentito parlare di lei; Perrin, dall’altra, stava per pubblicare una parte degli scritti in suo possesso. Pertanto i Weil poterono limitarsi a riordinare quanto raccolto, nella fattispecie

gli scritti londinesi, i quaderni riempiti in America e la massa di testi e frammenti inediti degli

anni Trenta, e dare avvio alla pubblicazione con il sostegno di Albert Camus.

Da allora ebbe inizio «una storia editoriale parallela, da una parte la coppia Perrin-Thibon e

dall’altra la famiglia Weil e Camus, che certo non giovò all’impostazione di un piano editoriale dell’opera weiliana, la quale, per il suo stato assai frammentario, presentava già notevoli difficoltà di organizzazione e presentazione»62.

Con la pubblicazione da parte di Thibon, nel 1947, di La pesanteur et la grâce63 il pubblico iniziò a conoscere i tratti di un pensiero filosofico-religioso nuovo di un’intellettuale fino ad

allora nota solo per la sua carica radicale negli ambienti sindacali e politici della sinistra. L’operazione di Thibon fu la prima delle molteplici “letture” e “riletture” effettuate sugli scritti weiliani; egli di fatto riunì in un piccolo volume ma assai denso, con una forma

aforistica a loro estranea, frammenti estratti dai Cahiers ordinandoli per temi; una scelta di

frammenti estrapolati dal contesto di origine, che spazia per temi religiosi e filosofici,

questioni sociali e scientifiche.

62

G. Gaeta, I «Cahiers», cit., p.19.

63 S. Weil, La pesanteur et la grâce, tr.it. L’ombra e la grazia, a cura di G. Hourdin e F. Fortini, Bompiani,

Milano 2014.

Interessante è la nota che il traduttore F. Fortini pone nell’intr. p. V per sottolineare la scelta del termine “ombra” nella resa del francese pesanteur.

«(…)Fui a lungo perplesso per la resa del titolo. In italiano, la pesantezza pesa più della pesanteur; è semmai gravezza, lordeur. Sarebbe stato meglio «Il peso o la grazia»? Certo è un peso di origine greca (…) somiglia a quello che «pende» nel memorabile inizio di La persuasione e la rettorica di Michelstaedter. Ombra, senza dubbio, tradisce la corporeità del sostantivo; spiritualizza, disincarna, è poeticistico. Ma è anche associato al contrasto luce-buio, rivelazione-tenebra. L’ombra è un portato della carne, dice Dante.»

(26)

26 Viene così realizzata una prima lettura “cattolica” dei Cahiers alla luce della compatibilità di questi con i fondamenti della dottrina. L’opera si è imposta come autonoma anche in seguito

alla pubblicazione integrale dei Cahiers, svolgendo un ruolo importante come primo

approccio al pensiero filosofico-religioso di Simone Weil.

Padre Perrin nelle sue edizioni segue un orientamento affine a quello di Thibon, sebbene più attento alla distanza che separa il pensiero weiliano dal cattolicesimo. Sia nell’introduzione nel 1949 a Attente de Dieu64e due anni dopo in Intuitions pré-chrétiennes, tende a tracciare nella biografia di Simone il suo itinerario interiore, segnato da una conversione al

cristianesimo che tuttavia non giunge mai alla pienezza della fede cattolica, dato che rifiutò

sempre il sacramento del battesimo. La preoccupazione ecclesiale impedisce di fatto a Perrin

di cogliere le ragioni profonde del rifiuto di Simone Weil.

Di gran lunga diverse sono le preoccupazioni che muovono l’edizione degli scritti weiliani curata dai genitori, soprattutto dalla madre, instancabile accompagnatrice della figlia in vita, e

da Albert Camus. Il materiale a loro disposizione è eterogeneo e frammentario, si tratta di

scritti per lo più incompiuti, appunti, lettere e la serie di quaderni in cui, negli Stati Uniti,

aveva sviluppato la riflessione filosofico-religiosa iniziata a Marsiglia. Cercano un «criterio di compiutezza», difficile da realizzare data l’assenza di sistematicità ma importante «al fine di ricuperare un’immagine organica del suo pensiero»65

.

Nel 1949 Camus inizia pubblicando nella collana da lui diretta presso l’editore Gallimard,

Espoir, l’unico dei saggi che si presentava in una forma piuttosto completa sebbene

incompiuto: L’enracinement. Pagine assai dense di dottrina sociale scritte durante il periodo londinese, «con l’intento di fornire criteri etici, istituzionali e politici per la ricostruzione

64 «Questa raccolta di testi – composti fra l’autunno del 1941 e la primavera del 1942, vale a dire in poco meno

di un anno della pur breve vita di Simone Weil – fu ideata nel suo nucleo essenziale, rimasto perlopiù invariato nel corso delle successive edizioni francesi, da Joseph-Marie Perrin, l’affabile padre domenicano (…) al quale toccò in sorte di incontrare, nell’estate del 1941, quella giovane donna rifugiata a Marsiglia e alla ricerca di un lavoro agricolo, cui pose la questione dell’adesione formale alla Chiesa alla stregua di un problema pratico.» Cfr. M. C. Sala, Il promontorio dell’anima, intr. a Attesa di Dio, cit., p. XI.

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