• Non ci sono risultati.

Scrittura e riscrittura nella narrativa di Oreste del Buono

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Scrittura e riscrittura nella narrativa di Oreste del Buono"

Copied!
128
0
0

Testo completo

(1)
(2)

2

(3)

3

Indice

Introduzione ... 4

1 Biografia di Oreste del Buono ... 11

2 I primi romanzi ... 21

2.1 Racconto d’inverno ... 21

2.2 La parte difficile ... 27

2.3 Acqua alla gola ... 36

2.4 Per pura ingratitudine ... 44

2.5 Facile da usare ... 51

2.6 Né vivere né morire ... 58

3 La maturità letteraria ... 64

3.1 La terza persona... 64

3.2 I peggiori anni della nostra vita ... 68

3.3 Tornerai ... 76

3.4 Se mi innamorassi di te ... 80

3.5 La debolezza di scrivere ... 86

3.6 La vita sola ... 93

Conclusioni: vita e letteratura in OdB ... 104

Bibliografia ... 114

(4)

4

Introduzione

In queste mie pagine intendo concentrarmi sulla narrativa di Oreste del Buono, parte che potrebbe apparire quella minore della produzione letteraria dell’autore, che però non è certo sconosciuto.

Il nome di Oreste del Buono, oppure la sigla OdB, così come amava firmare i suoi interventi, richiama alla mente del lettore in primis i suoi articoli e le sue rubriche apparse su diverse testate giornalistiche, oppure la direzione di «Linus» e il suo generale interesse per il fumetto e per le nuove espressioni letterarie che, piano piano, in quegli anni del dopoguerra durante i quali fiorisce come personaggio culturale, andavano sempre più ad affiancare la letteratura ufficiale.

Tuttavia, qui si intende prendere in esame la sua figura di narratore, per descrivere come Oreste del Buono sia stato uno scrittore particolare, che ha fatto rivivere nei suoi romanzi parte di se stesso e della propria epoca, ma che si è al contempo concentrato sull’aspetto metaletterario della scrittura, conferendole nei suoi romanzi rilevanza di personaggio.

Dunque, si ritiene fondamentale richiamare l’attenzione sin dall’inizio sul profilo biografico di Oreste del Buono, cercando di proporre una descrizione più esaustiva possibile tanto dell’uomo quanto dello scrittore, funzionale alla lettura dei suoi testi.

In questa sede si propongono la sintesi, i principali contributi critici ed un commento personale dei romanzi dello scrittore, letti e analizzati rispettando l’ordine cronologico con cui lo stesso autore li ha scritti e

(5)

5 pubblicati, per riflettere sulle tematiche via via affrontate nella sua narrativa e seguire i mutamenti della sua scrittura. Al fine di sottolineare il cambiamento e la svolta compiuti dall’autore, giunto ad un certo punto della sua produzione letteraria, si è deciso di suddividere le opere in due sezioni.

Leggendo questi testi si ha proprio l’idea dei cambiamenti storici e culturali avvenuti nella società italiana dal dopoguerra sino al nuovo millennio, mutamenti che costituiscono proprio il contesto dei suoi racconti, caratterizzati dal taglio sempre molto personale, ma che risulta fondamentale per poter ottenere una panoramica completa della narrativa di Oreste del Buono. Dunque, si racconta come il giovane scrittore cominci a scrivere romanzi subito dopo l’esperienza traumatica della seconda guerra mondiale, alla quale partecipa attivamente come soldato, per poi continuare a pubblicare durante il dopoguerra, attraversando gli anni del boom economico e della rivoluzione studentesca, sino ad arrivare alla società informatizzata e globalizzata degli anni 2000.

La sua crescita personale, attraverso i fatti privati come il matrimonio, la paternità e alcuni gravi lutti, e gli avvenimenti storici, ai quali partecipa sempre attivamente, corre di pari passo col suo progresso culturale e la sua produzione letteraria.

Oreste del Buono, per sua stessa ammissione, per ciò che traspare dai suoi scritti e per quanto si racconta di lui, nei ritratti di chi lo conosceva, aveva una personalità complicata: era perennemente dominato da un’insaziabile fame di cultura, intesa in senso lato e del tutto priva di confini, di alcun tipo; ma, al contempo, desiderava

(6)

6 fortemente comunicare la sua opinione, dare voce ai suoi pensieri e ordine alla sua mente.

Come si legge in uno dei numerosi articoli apparsi in occasione della morte di Oreste del Buono, “La sua grandezza, come quella di tanti coetanei, fu d’essere non solo uno scrittore ma, suo malgrado, un educatore”1

. Infatti, nel corso della sua vita, ha partecipato attivamente alla diffusione della cultura, rappresentando un abile e persuasivo mediatore culturale, adottando l’arte come mezzo per veicolare informazioni e valori, in un’epoca del tutto svuotata di significato. A parte l’intensa e prolifica attività di narratore, della quale si cerca di dare una panoramica breve ma esaustiva in questa sede, nella vita di Oreste del Buono ha rivestito un ruolo preminente la professione di giornalista, mestiere che egli stesso ha più volte citato nei suoi scritti, affermando di saperlo svolgere abbastanza bene, con onestà e discreto successo.

Dal materiale preso in esame, soprattutto dai numerosi contributi apparsi su quotidiani e riviste, si intuisce la modestia di colui che, in realtà, amava la sua professione e vi concentrava tutte le sue energie. Non a caso, la sua carriera prende avvio dalla collaborazione con alcune testate dell’epoca e prosegue di pari passo con gli anni, prendendo parte ai momenti salienti della storia, partecipando in prima persona alla diffusione delle notizie e cercando di dare un personale contributo alla società presente. La prima importante esperienza giornalistica, è quella della direzione assieme a Domenico Porzio della nuova rivista letteraria «Quaderni milanesi», che appare solo dal 1960

(7)

7 al 1962 perché costretta a chiudere per problemi finanziari. Tale pubblicazione prende in esame il fenomeno dello svilimento degli autentici valori letterari che animavano le generazioni precedenti, riscontrando la genesi di questo decadimento con lo spostamento del centro culturale italiano da Milano a Roma, fatto che ha generato il passaggio da una letteratura seria ad una produzione folcloristica. La rivista intende piuttosto porre l’accento sulla serietà critica e sul rigore scientifico, attraverso la pubblicazione di commenti a testi di autori contemporanei e la presentazione di pagine di scrittori sperimentali, all’insegna del realismo integrale perseguito dalla testata. Altra tappa importante della carriera giornalistica di del Buono è la direzione della rubrica La talpa di città sul «Corriere della sera» alla fine degli anni ottanta, nella quale sono racchiuse le sue riflessioni sulla città di Milano. Dunque, come non citare la fondamentale esperienza di direttore di una rubrica personale su «La Stampa», collocata nella seconda delle pagine dedicate alla cultura, che dirige per tredici anni, dal 1990 sino alla morte nel 2003. In tale spazio il giornalista è chiamato a commentare almeno uno scritto al giorno, scegliendo una delle lettere tra la vasta corrispondenza in arrivo al giornale o direttamente a lui stesso.

Caratteristica di questa rubrica è la vignetta che ritrae del Buono chino, con le mani incrociate dietro la schiena e con la testa che sbuca da una finestra ritagliata al posto del francobollo su una busta aperta.

(8)

8 Questo lavoro costituisce l’occasione per dar voce ai numerosi problemi della società italiana, tra i quali egli si destreggia mirabilmente, passando da argomenti politici, quali il governo e la corruzione, a questioni economiche, inerenti al lavoro piuttosto che alle pensioni, da problematiche sociali, legate alla sanità pubblica, ai disabili, ai tossicodipendenti e agli anziani, o storiche, come il razzismo o l’antisemitismo, sino ad arrivare alla televisione e allo sport, “Ma sempre con un sorriso educato, a metà fra l’ironia […] e la capacità di commuoversi o indignarsi”2

. Tutto questo, in piena autonomia e libertà, senza pregiudizi o pressioni di alcun genere, cercando di tracciare un quadro più realistico e neutrale possibile della società contemporanea.

Altra grande passione di del Buono è il fumetto, a cui si dedica passivamente, con la lettura delle vignette più caratteristiche dell’epoca, in particolare quelle che arrivano dall’America, e attivamente, partecipando al tentativo di attribuire una valenza intellettuale al fumetto in Italia, settore trattato dapprima con sufficienza dal mondo intellettuale. Fondamentale in questo frangente risulta la collaborazione con «Linus», rivista di fumetti fondata nel 1965 da Giovanni Gandini insieme con Elio Vittorini, Umberto Eco e lo stesso Oreste del Buono, il quale ne assume la direzione dapprima nel 1972, ponendo l’attenzione sul messaggio della rivista nel sottotitolo Rivista dei fumetti e dell’informazione, sino al 1981, passando poi il testimone a Fulvia Serra ed in seguito riprendendolo, dopo ventitré anni, nel 1994, un po’ per nostalgia e un po’ per il gusto

(9)

9 della sfida. Egli infatti si ripromette di ripristinare il ruolo centrale che nella rivista dapprima era dedicato al fumetto, orientandosi verso la riduzione dei soggetti e l’incremento di quelli più caratteristici, così come il prevalere dell’ironia sull’attacco diretto, l’elaborazione di una satira che coinvolga non solo la politica, ma anche il costume, una satira che non si limiti a nuocere al bersaglio di turno ma che contribuisca a far riflettere il pubblico dei lettori. Centrali per la rivista sono i Peanuts di Charles Schults, i personaggi attraverso i quali è condotto il dibattito aperto e schietto della società contemporanea, tramite l’uso dell’introspezione che si fa satira e l’impiego dell’ironia, con il proposito di ripristinare la funzione di mezzo di informazione e intrattenimento propria della rivista ai suoi esordi, come unicum all’interno del genere.

Si tratta sempre di del Buono colui che introduce in Italia i fumetti americani così come i romanzi gialli e fantascientifici, anche grazie alla sua intensa attività di traduttore (si contano circa duecento traduzioni), soprattutto di narratori francesi, e che cerca di attribuire una dimensione culturale alla pubblicità, alla televisione e al cinema.

(10)

10 Dopo questa breve digressione sui vari profili professionali di Oreste del Buono, cerchiamo dunque di presentare un ritratto sintetico ma esaustivo del ruolo svolto da quest’uomo, dotato di curiosità e passione, un singolare quanto eclettico personaggio culturale, amante della cultura del suo paese in tutte le sue varie e diverse sfaccettature, mantenendo sempre un occhio di riguardo per la sua produzione letteraria.

(11)

11

1 Biografia di Oreste del Buono

Oreste del Buono nasce a Poggio, una località dell’Isola d’Elba, l’8 marzo 1923 nella storica villa del Pianello ereditata dai genitori Vincenzina Tesei e Sandro del Buono.

Oreste sarà sempre legato alla sua isola natia, dove spesso nel corso della sua vita farà ritorno, probabilmente anche perché dovette lasciarla in tenera età; infatti, a causa dei dissesti finanziari del nonno paterno Pilade, un imprenditore minerario e un politico radicale, la famiglia è costretta a lasciare la vita di campagna e a trasferirsi per trovare lavoro. I del Buono si stabiliscono così dapprima a Firenze, dove nasce la sorella Rosaluce, e poi a Roma; nella capitale Oreste frequenta la scuola Montessori, è allievo di Sergio Tofano (l’inventore del Signor Bonaventura3) e mostra subito una passione innata per la

3 Personaggio dei fumetti nato nel 1917 dalla fantasia di Sto (Sergio Tofano) ed apparso sulle

(12)

12 scrittura dirigendo il giornalino scolastico, corredato da vignette e interventi di suo pugno. In questi anni nasce il fratello Pilade, poi la famiglia si sposta nuovamente, con destinazione Milano. Qui del Buono frequenta il liceo Berchet ed ha come professore di greco e latino Mario Untersteiner, l’unico docente della scuola a non avere la tessera fascista, il quale rappresenterà in seguito uno dei suoi maestri di vita; nel tempo libero legge molto, soprattutto le opere provenienti dall’America, e collabora, disegnando alcune vignette, con «Il Bertoldo»4. Dopo aver conseguito il diploma, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale, ma non rappresenta uno studente modello, in quanto preferisce e antepone alle letture accademiche la redazione di racconti e recensioni per «Libro e Moschetto»5 oppure gli incontri con gli inviati del «Corriere della Sera», quali Guido Piovene, Dino Buzzati ed Enrico Emanuelli.

Questa serenità e tale equilibrio si infrangono il 26 luglio 1941 con la morte dello zio materno Teseo Tesei6, un fascista convinto che si immola eroicamente nel tentativo di affondare le corazzate inglesi nel porto di Malta; questo evento alimenta una serie di dubbi nel giovane del Buono, culturalmente avverso al regime fascista ma al

contempo incerto di fronte ad un antifascismo puramente ideologico.

4 Rivista settimanale, di umorismo e satira, creata da Angelo Rizzoli e Giovanni Mosca e

pubblicata da Rizzoli a Milano dal 1936 al 1943.

5

Rivista fascista dei Gruppi Universitari Fascisti milanesi.

6 Militare italiano, Maggiore del Genio navale della Regia Marina, brevettato palombaro, prestò

servizio come operatore della Xª Flottiglia MAS durante la seconda guerra mondiale, venendo decorato con la medaglia d'oro al valor militare.

(13)

13 Nel frattempo, insieme ad Andrea Valsecchi e Domenico Porzio fonda presso la libreria Cantoni la rivista «Uomo», all’insegna dello sperimentalismo letterario.

Però, con il precipitare degli eventi bellici, nel 1943 si arruola volontario in Marina e si dirige nella nuova sede dell’Accademia Navale a Brioni, in Istria; dopo la caduta di Mussolini e l’occupazione dei tedeschi, anche gli allievi ufficiali della scuola vengono catturati e portati nei campi di concentramento e del Buono si ritrova nel lager di Gerlospass, non lontano da Innsbruk. Sopravvive alla durissima vita dell’internato disegnando, scrivendo lettere e una sorta di cronaca del campo di lavoro, leggendo; a questo proposito, in seguito racconterà spesso un curioso aneddoto: lo scambio del volume de Le occasioni di Eugenio Montale con un paio di stivaletti impermeabili. Un giorno riesce a scappare dal lager, giungere ad un altro campo, per poi ritornare in quello precedente; alla fine è congedato dai medici militari perché malato di itterizia. Arriva così a Milano, giusto in tempo per assistere alla Liberazione e alla depravazione di Piazza Loreto, dove vengono appesi i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e dei gerarchi. Il ritorno alla normalità non è facile dopo il trauma del lager nazista e del distacco dall’ambiente familiare e sociale, così decide di dare una svolta alla propria vita: lascia la facoltà di Giurisprudenza per iscriversi a Lettere e prende le distanze dalla propria classe di appartenenza, quella borghese, per avvicinarsi al Partito Comunista. Inoltre, per non gravare sul bilancio famigliare, disegna manifesti pubblicitari, collabora con «Il Politecnico»7 di Vittorini e con Il

7 Rivista di politica e cultura fondata da Elio Vittorini e pubblicata a Milano dal 1945 al 1947; la

(14)

14 «Candido»8 di Guareschi, insomma comincia a svolgere la professione di giornalista, che lo accompagnerà nel corso degli anni futuri. In seguito lo stesso del Buono afferma che “Il giornalismo mi ha sempre dato da campare, è il mio mestiere: un buon mestiere, lo dichiaro con riconoscenza”9, anche se successivamente precisa “Ho sempre voluto

e desiderato fare il giornalista e mi sono sempre occupato di letteratura. Ma le ho tenute separate, queste due passioni. Ho scritto romanzi quando credevo di aver qualcosa da dire. La letteratura sta al piano superiore rispetto al giornalismo”10

.

Nel 1945 pubblica nella rivista «Uomo» il suo primo racconto, Fine

d’inverno, che poco dopo rielabora nel romanzo Racconto d’inverno11

; così inizia per del Buono la carriera di scrittore. Intanto si dedica alla traduzione di varie opere straniere, inglesi e francesi, attività che riprenderà più volte nel corso della sua vita, registrando un totale di circa duecento traduzioni.

Il 10 settembre 1947 sposa Gabriella Tutino e sceglie come meta per il viaggio di nozze proprio la cara isola natia, precisamente la località di Marina di Campo, dove è ancora presente la casa di famiglia.

Nello stesso anno esce il suo secondo romanzo, La parte difficile12, scritto di getto per concorrere alla pubblicazione in una nuova collana di Mondadori, La Medusa arancione dedicata ai nuovi narratori italiani e distinta da quella verde che raccoglieva invece i più famosi

poi divenne nominalmente mensile ma in realtà irregolare (con sottotitolo: rivista di cultura

contemporanea).

8 Giornale umoristico, fondato nel 1945 a Milano da Giovanni Mosca e Giovannino Guareschi,

edito da Rizzoli.

9

E. F. Accrocca, Ritratti su misura di scrittori italiani, Sodalizio del libro, Venezia, 1960, p. 154.

10 N. Orengo, O.d.B. Sett’anni da vagabondo, in «La Stampa», 2 Marzo 1993, p. 15. 11 OdB, Racconto d’inverno, Edizioni di Uomo, Milano, 1945.

(15)

15 scrittori internazionali; è così che arriva finalista del premio Mondadori nel 1948.

In questi anni del Buono mostra la sua attitudine ad una pluralità di interessi: prosegue la sua carriera giornalistica collaborando con «Milano Sera»13, scrivendo anche recensioni cinematografiche e dove entra in contatto con Achille Campanile, Vittorio Sereni, Tommaso Giglio e Alfonso Gatto, intensifica l’attività di traduttore e di critico letterario, divenendo uno dei protagonisti di rilievo del mondo culturale milanese.

Importante è l’esperienza svolta presso «Inventario»14, accanto al conterraneo Berti e dove scrive di tutto: saggi, racconti, recensioni, ora con il suo vero nome ora sotto lo pseudonimo di Oreste Tesei. Per quanto riguarda la vita privata, il 25 giugno 1952 nasce la figlia Nicoletta, così chiamata in ricordo dell’adorato merlo Nicola, morto la notte precedente alla nascita della bambina.

Nel 1953 esce il terzo romanzo, Acqua alla gola15, che sia per contenuto sia per forma costituirà l’imprinting delle opere successive:

L’amore senza storie16

del 1958, Un intero minuto17 del 1959, Per

pura ingratitudine18 del 1961, Facile da usare19 del 1962 e Né vivere

ne morire 20 del 1963.

In questo periodo del Buono lavora nella redazione di «Oggi», diretto da Edilio Rusconi, dove si occupa di molti e differenti settori: critica letteraria, costume, cronaca e cinema; questo rappresentava una delle

13

Quotidiano di informazione di orientamento progressista, pubblicato a Milano dal 1945 al 1954.

14 Rivista fondata da Luigi Berti e Renato Poggioli a Firenze nel 1946. 15 OdB, Acqua alla gola, Mondadori, Milano, 1953.

16 OdB, L’amore senza storie, Feltrinelli, Milano, 1958. 17

OdB, Un intero minuto, Feltrinelli, Milano, 1959.

18 OdB Per pura ingratitudine, Feltrinelli, Milano, 1961. 19 OdB, Facile da usare, Feltrinelli, Milano, 1962. 20 OdB, Né vivere né morire, Mondadori, Milano, 1963.

(16)

16 sue grandi passioni e amava scrivere le recensioni dei film, prediligendo soprattutto Federico Fellini, John Ford e Billy Wilder, a cui dedica una monografia21, pubblicata nel 1958.

Nonostante i numerosi impegni lavorativi, del Buono riesce ugualmente ad essere un marito e un padre presente; la figlia racconterà poi, dopo la sua morte, le storielle che amava inventare durante le sue giornate di giochi e le letture con cui soleva intrattenerla.

Nel frattempo, continuava a leggere di tutto, soprattutto fumetti come l’Avventuroso22

e Topolino, ad ascoltare la nuova musica di Sinatra e Ray Charles, ad usare incessantemente la sua macchina da scrivere Olivetti per i suoi romanzi e a tradurre molti testi stranieri, con l’aiuto della moglie.

Successivamente, collabora con varie testate, «Settimana Incom»23, «Oggi», «Epoca», «Quaderni Milanesi», rivista che fonda assieme a Domenico Porzio, Tommaso Giglio e Giuseppe Ajmone, e cambia molti editori: Mondadori, Feltrinelli, Rusconi, Rizzoli.

Insomma, gli anni sessanta segnano il contatto di del Buono con nuove esperienze, privilegiando i generi più popolari e di consumo quali la televisione, il cinema, i fumetti e la pubblicità.

21 OdB, Billy Wilder, Guanda, Parma, 1958.

22 Periodico a fumetti fondato a Firenze nel 1934, diretto prima da Mario Nerbini, poi da Paolo

Lorenzini, edito dalla Casa Editrice Nerbini, dal 1934 fino al 1943. Fu il primo periodico del genere a far conoscere i fumetti avventurosi che erano stati pubblicati con successo negli Stati Uniti e fu anche tra i primi a proporre i fumetti integralmente, cioè al completo delle nuvolette, che erano state invece censurate dallo storico «Corriere dei Piccoli».

23 Celebre cinegiornale settimanale, prodotto dall’Industria Cortometraggi Milano (da cui

l'acronimo INCOM) sino al 1965, anno in cui cessa la produzione, che veniva trasmesso nelle sale cinematografiche prima dei film. Per la generazione degli anni del dopoguerra questo cinegiornale ha così costituito uno dei principali veicoli d’informazione, anticipando quanto, in seguito, il telegiornale avrebbe rappresentato per la maggior parte delle famiglie.

(17)

17 Interessante è la direzione di «Quaderni Milanesi», caratterizzati da una costante polemica sulla letteratura da salotto di stampo prettamente borghese, che si è diffusa negli ultimi tempi a causa del trasferimento del baricentro culturale italiano da Milano a Roma, del passaggio dalla serietà al folclore; il proposito della testata è invece riallacciare i contatti con lo spirito razionale di ricerca che aveva distinto la stagione di «Politecnico» e di guardare non solo alla letteratura nazionale ma anche e soprattutto a quella estera, ad esempio quella statunitense.

Nel 1962 scrive la commedia in tre atti Niente per amore24, poi interpretata da Valeria Moriconi e Glauco Mauri, debuttanti nel periodo natalizio al Teatro Manzoni di Milano.

Del Buono è un intellettuale eclettico ed una persona libera, che ama le cose semplici e autentiche; ad esempio, sono molti i racconti sulle sue passeggiate notturne per Milano, o sul suo tifo per il Milan, prima squadra italiana a vincere la Coppa dei campioni nel 1963 e in cui all’epoca giocava Gianni Rivera, con il quale successivamente scriverà due libri di argomento calcistico, Un tocco in più25 del 1966, che costituisce la biografia del calciatore, e Dalla Corea al Quirinale26 del 1968, che ripercorre i tre anni trascorsi dalla sconfitta della Nazionale italiana di calcio durante la finale mondiale con l’Inghilterra ai trionfi del calciatore con la maglia del Milan.

Dal 1965 la passione dello scrittore per il fumetto si consolida nella collaborazione con «Linus», al tempo diretto da Giovanni Gandini; il progetto è quello di togliere il fumetto dalla sufficienza intellettuale

24 OdB, Niente per amore cit..

25 OdB, Un tocco in più, Rizzoli, Milano, 1966.

(18)

18 con cui è ancora trattato e attribuire dignità letteraria ai comics, proposito che sarà ripreso nell’Enciclopedia del fumetto27 del 1969,

volume in cui verranno raccolti alcuni articoli apparsi sulla rivista, compresi naturalmente gli editoriali delbuoniani segnati dalla firma storica OdB, pubblicazione di cui del Buono diventerà direttore nel 1972, trasformandola nel luogo del dibattito più aperto e genuino degli anni settanta.

In questo periodo l’autore si avventura anche nel mondo dei thriller per Feltrinelli e in quello dei gialli per Mondadori.

La pausa narrativa viene interrotta nel 1971 con l’uscita di un nuovo romanzo: I peggiori anni della nostra vita28, che segna il passaggio dalla malinconia all’ironia, la sovrapposizione sempre più evidente tra autore e protagonista, cioè fra vita e letteratura, tesa a rendere più verosimili e reali le vicende narrate.

Interessante e curioso è il caso della successiva opera di del Buono, scritta nel 1974 e dal titolo esplicito e provocatorio: La fine del

romanzo; infatti, a causa di alcuni contrasti con l’editore, l’autore

decide di mandare al macero tutte le copie già stampate.

Dello stesso anno è La nostra età29, che ripropone i medesimi temi, continua l’indagine nel labirinto umano e presenta ritratti di alcuni parenti.

Sempre in narrativa, seguono nel 1975 Delitti per un anno30, una raccolta di racconti ambientati nel mondo del cinema, e nel 1976

27 Linus, Enciclopedia del fumetto 1, a cura di Oreste del Buono, Milano Libri Edizioni, Milano,

1969.

28 OdB, I peggiori anni della nostra vita, Einaudi, Torino, 1971. 29 OdB, La nostra età, Einaudi, Torino, 1974.

(19)

19

Tornerai31, Un’ombra dietro il cuore32, la riscrittura del 1978 di La

fine del romanzo, che ha la medesima sorte del precedente volume in

quanto l’autore decide di acquistarne tutte le copie, rielaborandolo senza sosta sino al 1980, anno in cui è pubblicato con il titolo di Se mi

innamorassi di te33.

Nel 1979 raccoglie ne Il comune spettatore34 quasi duecento articoli e

recensioni, scritti tra il 1969 e il 1973 per «L’Europeo»35, di cui era stato critico cinematografico; “Un critico del tutto particolare […] uno spettatore non solo intelligente e spesso acuto, ma che vedeva i film, e più in generale il cinema, in stretto rapporto con la società contemporanea, con la vita di tutti i giorni, con la cultura di massa, col pubblico, prendendo le distanze dalla critica paludata, dei cosiddetti maestri critici e dalla loro presunzione”36

.

Agli anni successivi appartengono invece Amori neri37 del 1985, La

nostra classe dirigente38 del 1986 e La vita sola39 del 1989.

Del Buono giunge così alla soglia dei settant’anni, malandato di salute ma sempre molto indaffarato e motivato; infatti, in una delle molte interviste in occasione del suo settantesimo compleanno, afferma: “A me il lavoro piace, interessa, incuriosisce. E poi volevo essere il primo del Buono della mia famiglia a morire senza debiti”40. Effettivamente è tanto motivato da intraprendere nuove esperienze: gestisce per ben

31 OdB, Tornerai, Einaudi, torino, 1976.

32 OdB, Un’ombra dietro il cuore, Einaudi, Torino, 1978. 33

OdB, Se mi innamorassi di te, Longanesi & C. La Gaja Scienza, 1980.

34

OdB, Il comune spettatore, Garzanti, Milano, 1979.

35 Settimanale italiano d'attualità, fondato da Gianni Mazzocchi e Arrigo Benedetti, pubblicato dal

1945 al 1995.

36 G. Rondolino, Al cinema, un critico egocentrico, in «La Stampa», 1 ottobre 2003, p. 27. 37

OdB, Amori neri, Theoria, Roma-Napoli, 1985.

38 OdB, La nostra classe dirigente, Mondadori, Milano, 1986. 39 OdB, La vita sola, Marsilio, Venezia, 1989.

(20)

20 tredici anni, dal 1990 al 2003, la Finestra su «La Stampa», una rubrica collocata nella seconda pagina dedicata alla Cultura in cui il giornalista risponde alle numerose lettere che arrivano in redazione e che costituisce “il suo impareggiabile osservatorio sull’Italia, per registrare umori e malumori che spesso condivideva”41

ma “sempre con un sorriso educato, a metà fra l’ironia […] e la capacità di commuoversi o indignarsi”42

; un’altra importante rubrica da lui diretta è quella presente sull’inserto Tuttolibri del medesimo quotidiano torinese, chiamata Amici maestri, in cui appaiono dal 1992 al 1998 numerosi ritratti di scrittori, giornalisti, editori, registi, parte dei quali costituisce il volume del 1994 intitolato Amici, Amici degli Amici,

Maestri43. Inoltre, dirige i Tascabili Einaudi, tra i quali compare il volume Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano di Gino & Michele, riprende nel 1994 la direzione di «Linus», passato dalla casa editrice Rizzoli alla Baldini & Castoldi del nipote Alessandro Dalai. Una sua dichiarazione scatena numerose voci contrastanti riguardo ad un suo probabile ritorno all’Isola d’Elba, ma del Buono continua a restare a Milano; successivamente, nel 1997, dona al Comune di Campo nell’Elba una parte della propria biblioteca e alcuni terreni, quindi nel 2001 si trasferisce a Roma, città dove poi muore il 30 settembre 2003, dopo una lunga malattia, esprimendo il desiderio di essere però sepolto nella sua amata isola.

41 A. Sinigaglia, Carissimo OdB, in La Stampa, 1 ottobre 2003, p. 25. 42 Neirotti, cit., p. 26.

(21)

21

2 I primi romanzi

2.1 Racconto d’inverno

Racconto d’inverno44

è il romanzo d’esordio di del Buono, edito presso le Edizioni di Uomo nel 1945, quale ampliamento e completamento del precedente racconto Fine d’inverno, pubblicato nella rivista «Uomo»45; l’opera è successivamente ripubblicata in un unico volume insieme ad altri testi del medesimo autore da Scheiwiller nel 200346, senza varianti significative, e, recentemente, da Isbn edizioni nel 201047, stampa che riproduce la lezione del 1945.

A proposito del suo primo romanzo, lo scrittore stesso dichiara che esso “narra, romanzandola molto, la mia esperienza di prigioniero in mani tedesche” 48

, cioè rievoca la sua dura esperienza di prigionia vissuta nel lager tedesco.

Infatti, del Buono si arruola in Marina il 24 aprile 1943, in parte in memoria dello zio Teseo Tesei, eroe di guerra disperso nelle acque di Malta, in parte spinto da scrupoli di coscienza; egli raggiunge l’Accademia Navale di Brioni, in Istria, il 24 luglio, un giorno prima della caduta di Mussolini: l’8 settembre l’isola è occupata dai tedeschi e gli allievi ufficiali sono catturati e smistati nei vari campi di

44 OdB, Racconto d’inverno cit. 45

«Uomo» era una piccola iniziativa culturale nata nel 1943 dal sodalizio letterario tra D. Porzio, M. Valsecchi e O. del Buono, i quali avvertivano la forte esigenza di intervenire nel dibattito politico e ideologico dell’epoca, con lo scopo di recuperare nell’arte le ragioni umane a fianco di quelle estetiche, come sottolinea il nome stesso assegnato alla rivista.

46

OdB, La parte difficile e altri scritti, a cura di D. Brolli, Milano, Scheiwiller, 2003.

47 OdB L’antimeridiano, Romanzi e racconti, Volume primo, a cura di S. Sartorio, Isbn Edizioni,

Milano, 2010.

(22)

22 concentramento. Del Buono è deportato nel lager di Gerlospass, in Tirolo, dove rimane per circa un anno e mezzo; nel campo di prigionia egli è costretto ai lavori forzati, al trasporto, sulle montagne coperte di neve, di materiali utili alla costruzione di una linea di energia elettrica, come pali del telegrafo. “La vita del campo è dura, durissima: freddo, neve, fango, orari estenuanti, marce infinite, cibo […] schifoso e scarso, contatti epistolari con i cari ridotti a poco più di zero, indumenti inadatti”49. Nell’ottobre del 1944 cerca di fuggire, ma,

sfinito dal lungo vagabondare sulle montagne innevate, è costretto a tornare al campo; tuttavia, con un secondo tentativo di fuga, riesce a raggiungere Milano il 23 aprile 1945, due giorni prima della Liberazione, evento a cui però non partecipa, essendo malato d’itterizia.

In questo testo, che, secondo Antonielli50, costituisce uno dei primi documenti di guerra o di prigionia apparsi in Italia, gli studiosi riscontrano unanimemente un’apparente adesione al Neorealismo, corrente letteraria che esprime la crisi della nuova generazione uscente dalla guerra; tuttavia essi notano altresì numerosi elementi estranei a questa scuola, come l’evidente e particolare autobiografismo, quale contrappunto all’intento documentaristico, che per di più è ridotto al minimo.

Nello specifico, lo stesso Antonielli sottolinea come sia “più autobiografico questo libro scritto in terza persona che quelli

49 N. del Buono, Testimonianza, in O. del Buono, L’antimeridiano, Romanzi e racconti, Volume

primo, a cura di S. Sartorio, Isbn Edizioni, Milano, 2010, p. XXXVII.

50

(23)

23 successivi in prima”51

, in quanto è indubbio che uno dei protagonisti, Tommaso, adombri la figura dell’autore. Infine, egli sottolinea il legame che intercorre tra questo racconto e la seconda prova narrativa delbuoniana, La parte difficile, che ne risulta il naturale epilogo.

In seguito, Manacorda52 ravvisa sin dalle prime opere di del Buono il segnale di una vera e propria indipendenza di scrittura, non tanto nei temi, che rispecchiano le tipiche tematiche dell’autobiografia e della testimonianza proprie della narrativa degli anni quaranta, quanto nel modo con cui l’autore affronta il resoconto delle sue esperienze, attraverso un periodare denso e corretto, diverso da quello adottato dalla letteratura del tempo, maggiormente orientata al discorso diretto e a elementi dialettali e volgari .

Successivamente, Brolli53 fornisce un’interpretazione particolare del romanzo, concepito durante il neorealismo ma dominato, a suo avviso, dalla dimensione simbolica e metaforica, piuttosto che dalla testimonianza di guerra; egli ricorda soprattutto come “Arrivati al limite della sofferenza, si fa strada nei protagonisti una specie di delirio dell’immaginazione”54

e che ad un certo punto del racconto “i personaggi cominciano […] a innescare un vortice concentrico di narrazioni con un retrogusto fantastico”55

. Pertanto, egli sostiene che “Del Buono si sottrae alla linearità e alla povertà linguistica del

51 Ivi, p.8887.

52 G. Manacorda, Ritorno alla normalità, in O. del Buono, Acqua alla gola, Ponte alla Grazie,

Firenze, 1995.

53

D. Brolli, Versioni soggette a smentita, in O. del Buono, La parte difficile e altri scritti, a cura di D. Brolli, Milano, Scheiwiller, 2003.

54 Ivi, p. 361. 55 Ibidem

(24)

24 neorealismo italiano”56 e che “non sa fare a meno di usare uno stile ricco, suggestivo”57

.

Sartorio58 evidenzia che, se nella forma il romanzo rispecchia, almeno in parte, la tradizione, nello stile e nelle tematiche esso si discosta nettamente dalla corrente neorealista; in particolare, si registra il predominio della descrizione sull’azione, la frequenza del commento in luogo al dialogo, costruito con frasi brevi e sincopate. Inoltre, la descrizione della vita del lager non è tratteggiata con sintesi e rigore documentaristici, bensì attraverso metafore ed espressioni evocative. Infine, tra le righe di questa prima prova narrativa dell’autore, la Sartorio scorge tematiche che saranno costanti nella futura produzione letteraria delbuoniana, ovvero “il tema dell’incomunicabilità e dell’inadeguatezza delle parole a restituire la complessità dell’esperienza umana”59

e la soggettività del singolo, analizzata con un primo tentativo di introspezione psicologica.

Bonino60 illustra invece il particolare ruolo assunto nel romanzo dal paesaggio, quale “corrispettivo simbolico di una generale e collettiva condizione esistenziale dei personaggi”61

e il ruolo assunto del protagonista, Tommaso, che costituisce il doppio dell’autore o, comunque, il suo referente principale. Il critico poi mette in evidenza “la Solitudine, la Paura e l’Odio […] i tre idoli del racconto”62

, i quali 56 Ibidem 57 Ibidem

58 S. Sartorio, Notizie sui testi, in O. del Buono, L’antimeridiano, Romanzi e racconti, Volume

primo, a cura di S. Sartorio, Isbn Edizioni, Milano, 2010.

59 Ivi, p. 1600. 60

G. D. Bonino, L’opera come un arcipelago, in O. del Buono, L’antimeridiano, Romanzi e

racconti, Volume primo, a cura di S. Sartorio, Isbn Edizioni, Milano, 2010.

61 Ivi, p. VIII. 62 Ibidem.

(25)

25 costituiscono gli unici sentimenti che si respirano nello stanzone in cui sono stipati tutti i prigionieri.

Per quanto mi riguarda, nella lettura di questo romanzo ho subito avvertito la particolare strategia narrativa adottata dall’autore, il quale alterna continuamente la terza persona singolare, che costituisce la voce principale del racconto, alla prima persona singolare e plurale, come se egli dichiarasse esplicitamente la propria partecipazione e quella del lettore alle medesime esperienze che descrive.

Dal punto di vista formale, è evidente la mimesi linguistica con la materia narrata, realizzata tramite l’uso del discorso diretto, l’incoerenza dei tempi verbali, le frequenti ripetizioni di frasi o concetti, il ricorso a similitudini animalesche (che paragonano gli uomini a cani o cavalli); infine, in sede tipografica, si riscontra la costante mancanza della lettera h nelle forme verbali del verbo avere (ho, ha, hanno).

Per quanto concerne il contenuto, del Buono tratteggia la dura e tragica realtà quotidiana dei prigionieri, italiani, polacchi e ucraini, attraverso l’analisi dei loro stessi pensieri e sentimenti, mettendone in luce non solo il male fisico, ma anche un dolore più intimo: la perenne condizione di non vita, che infligge agli uomini la solitudine nella moltitudine, l’assoluta sfiducia nella religione e nei preti (sottolineata con la scrittura dei nomi di ‘dio’ e ‘cristo’ con l’iniziale minuscola e con l’uso di qualche bestemmia), l’incapacità di parlare e di agire, l’impotenza che genera ira per la propria vigliaccheria e passività, che risveglia tutto il furore represso e alla fine sfocia in odio, verso gli altri e verso se stessi, angosciati da una perenne sensazione di colpa, a cui

(26)

26 si può dar sfogo solo con un canto liberatorio. Insomma, l’autore mette in scena il progressivo processo di disumanizzazione dei prigionieri, la morte dell’anima e la sopravvivenza del corpo, la perdita di ogni speranza o illusione di salvezza e il desiderio di morte, invocata quale fine di tutte le sofferenze subite.

Una peculiarità della scrittura delbuoniana, però, risulta essere la descrizione della vita del campo come una commedia: la situazione è talmente grottesca e ridicola, animata da persone così disumanizzate e ridotte a personaggi dotati di parole false, irreali e meccaniche, che suscita solo il riso dell’impotenza.

(27)

27

2.2 La parte difficile

La parte difficile, intitolato inizialmente Il ritorno di Ulisse, esce nel

1947 per Mondadori63, nella collana La Medusa degli italiani64; una nuova edizione è pubblicata nel 1975 da Rizzoli65 nella collana Bur e risulta notevolmente modificata rispetto alla prima, in quanto l’autore stesso interviene a sanare numerosi errori di stampa e a migliorarne lo stile. Il romanzo è riedito una terza volta nel 2003 per la raccolta della Scheiwiller Libri66, che sceglie di riprodurne la lezione iniziale; invece nel 2010 Isbn edizioni67 preferisce riproporre la lezione riveduta e corretta dall’autore nel 1975.

Lo scrittore, nel riprendere in mano il romanzo in occasione della riedizione del 1975, dichiara che l’opera “fu composta in due riprese di pochi giorni, forse di poche ore, quasi esclusivamente per concorrere al primo e unico premio a cui abbia partecipato nella mia vita, ovvero quasi esclusivamente per concorrere alla pubblicazione in una nuova collana di Mondadori che, in arancione invece che in verde, faceva il verso alla gloriosa Medusa. […] Ma la Medusa arancione non reggeva il confronto con quella verde”68. Inoltre, egli dice di

63 OdB, La parte difficile, Mondadori, Milano, 1947. 64

La Medusa degli italiani, uguale per formato e impostazione grafica alla collana degli stranieri,

La Medusa, dalla quale si differenzia solo per colore, arancione anziché verde, viene ideata nel

1947 con l’intento di affiancare le più importanti opere italiane a quelle straniere.

65 OdB, La parte difficile, Rizzoli, Milano, 1975.

66 OdB, La parte difficile, in O. del Buono, La parte difficile e altri scritti, a cura di D. Brolli,

Milano, Scheiwiller, 2003.

67 OdB, La parte difficile, in O. del Buono, L’antimeridiano, Romanzi e racconti, Volume primo, a

cura di S. Sartorio, Isbn Edizioni, Milano, 2010.

(28)

28 concordare con Vittorini, che all’epoca giudicò il libro “grigio, triste e noioso”69

e di provare la forte tentazione di riscrivere tutto da capo.

La parte difficile costituisce il memoriale del protagonista, Ulisse, in

carcere in attesa del processo per il crimine compiuto. Egli infatti è un reduce di guerra che, rientrando in patria e non riuscendo a reintegrarsi nel tessuto sociale, alla fine, sopraffatto dalla propria inettitudine, decide di uccidere la propria amante e, invano, se stesso.

L’accoglienza della stampa non è entusiasta; tra i giudizi più autorevoli spicca proprio quello negativo di Vittorini, che inserisce una recensione del romanzo sul trentanovesimo numero de «Il Politecnico». Egli inizialmente lo definisce “Grigio, triste, noioso”70, ma poi afferma che “Il libro ha un valore”71

, infatti, anche se rintraccia nelle pagine delbuoniane “uno stile squallido e stanco”72

, apprezza la sincerità e la verità con le quali l’autore ritrae la miseria della situazione umana, in linea con la posizione assunta da Camus ne Lo

straniero, ma da una prospettiva differente: non metafisica bensì

storica. Tuttavia, un carteggio di Mondadori73 testimonia la lettura dell’opera presso editori statunitensi già nello stesso anno. Inoltre, il libro è finalista del premio Mondadori del 1948.

Gramigna74 sostiene che questo si può considerare il primo libro di del Buono, nonostante, in verità, sia preceduto dal breve romanzo d’esordio Racconto d’inverno, poiché rappresenta “l’inizio più

69 E. Vittorini,Diario in pubblico, Bompiani, Milano, 1970, p. 318. 70 Ibidem..

71

Ibidem.

72 Ivi, p. 319. 73 Sartorio, cit.

(29)

29 ufficiale e successfull”75

dell’autore. Inoltre, egli ne sottolinea una peculiarità di non poco conto, cioè il fatto che “Questo primo romanzo, proprio perché primo, va letto a ritroso, vale a dire risalendo ad esso dai testi più tardi di del Buono; insomma, anziché eventualmente illuminarli, ne sarà illuminato”76. In realtà c’è di più,

come rileveranno in seguito altri studiosi di letteratura, “ogni termine della bibliografia di del Buono implica il precedente”77

; dunque, con questo romanzo lo scrittore propone determinate tematiche e avvia il meccanismo di composizione e di interscambiabilità di questo medesimo materiale narrativo. Infine, Gramigna mette in luce come la riproposizione del tema della prigionia non sia altro che un’analisi critica al suo precedente racconto. A questo proposito, sono frequenti i termini pertinenti all’ambito della recitazione (parte, personaggio, recitazione ecc.). Infatti, la narrazione si stacca progressivamente dal suo oggetto e diventa il discorso critico su quel modello di racconto. Quindi, nel testo si possono notare due punti di vista distinti: l’uno concerne il protagonista e gli altri personaggi che ruotano attorno a lui, l’altro riguarda direttamente l’autore, il quale prima si discosta progressivamente dal tipico modello della letteratura neorealista e poi compie una riflessione sulla propria materia; questi diversi strati narrativi sono segnalati anche dall’uso di due specifici tempi verbali: l’imperfetto per lo sfondo, che paradossalmente copre la maggior parte del racconto, ed il passato remoto per il primo piano, che invece ne costituisce una minima sezione.

75 Ivi, p. 9.

76 Ibidem 77 Ivi, p. 10.

(30)

30 Antonielli78 afferma che “Al trapasso dall’uso della terza a quello della prima persona corrisponde un manifesto progresso tecnico”79

e che “La parte difficile è già un racconto maturo, […] nel senso che dimostra l’Autore già consapevole del proprio autobiografismo come di una forma in cui vita e letteratura abbiano ciascuna la parte giusta nella prospettiva di una narrativa non tradizionale”80

.

Successivamente Taffon81 sottolinea come il romanzo si possa ridurre alla definizione di un personaggio, “a dimostrazione che l’unico spazio percorribile è quello della letteratura, ossia dell’arte, come diritto inalienabile a soddisfare un bisogno primario di autoverifica”82. Inoltre, egli cerca di estrapolare il significato del titolo, riscontrando che la parola ‘parte’ può avere la duplice valenza di personaggio scenico e di soggetto vero e proprio, e che il termine ‘difficile’ indica “il tentativo per approssimazioni affidato alla letteratura per definire lo spazio pieno ed autonomo del personaggio del Buono”83

. Egli inoltre riprende i giudizi critici precedenti e condivide il fatto che sia proprio “in questo romanzo che nasce quel rapporto vita-letteratura, romanzo autobiografico-autobiografia romanzata, rapporto ambiguo, per il quale l’un termine rinvia all’altro e viceversa, che segnerà costantemente il cammino del narratore del Buono”84

. 78 Antonielli, cit. 79 Ivi, p. 8888. 80 Ibidem.

81 G. Taffon, Oreste del Buono, in Letteratura italiana contemporanea, diretta da G. Mariani e M.

Petrucciani, vol. IV/1, Lucarini Editore, Roma, 1987.

82 Ivi, p. 258. 83 Ibidem.

(31)

31 Brolli85 definisce tale romanzo “un’opera che ha ben poco in comune con analoghi romanzi italiani: non crede nelle prospettive della società civile che nasce nel dopoguerra”86

. Infatti il protagonista “All’inizio è mosso dall’idea di potersi impegnare nella vita civile, di riuscire a dare un seguito ai suoi progetti. Ma ben presto scopre di non averne e di star solo recitando una parte, per convincere se stesso di essere vivo, dotato di entusiasmi e disposto a diventare membro attivo di un mondo che sembra pronto alla rinascita. La sua apatia invece è una forma di verità estranea a qualsiasi ipocrisia; ad essa è difficile sottrarsi e lo condurrà inesorabilmente a un gesto esistenziale tragico e inconsulto”87

. Quindi egli sostiene che “su questa incapacità del cittadino dell’Italia futura di dare motivazioni profonde ai propri desideri […] La parte difficile si rivela un romanzo profetico. Ulisse, il protagonista, vaga attraverso le potenzialità racchiuse nella rinascita del dopoguerra: sentimenti, lavoro, politica… e, senza nemmeno capire il perché, si rende conto che non c’è nulla in cui senta di potersi impegnare: il futuro è un vuoto che non lo riguarda, le speranze non gli appartengono”88

. Inoltre, Brolli sottolinea come questo testo di del Buono sia “la prova della sua sintonia con un sentimento narrativo europeo, in particolar modo con l’esistenzialismo, da Sartre a Camus”89, aspetto che costituisce l’originalità dello scrittore nel

panorama letterario del tempo.

85 Brolli, cit. 86 Ivi, pp. 361-362. 87 Ivi, p. 362. 88 Ivi, p. 363. 89 Brolli, cit., p. 372.

(32)

32 Anche Vanagolli90 prende in esame la concezione del romanzo come rappresentazione ed afferma che “La parte difficile è quella che recita il protagonista del lavoro, Ulisse”91, definito come “Uno strano

attore”92

al quale “Tuttavia gli è impossibile non recitare”93. Egli cita i numerosi casi in cui si riscontra nel testo questa vocazione del personaggio principale, quali l’addio della prima amante, Giulia, e la farsa dell’ingresso nel partito comunista. Inoltre Vanagolli sottolinea come questo sia forse l’unico testo di rilievo nel contesto della

Medusa degli italiani, collana che non offre spunti innovativi ma,

anzi, ripropone sempre gli stessi temi.

Bonino94 evidenzia che La parte difficile narra il ritorno a casa, il nostos, del prigioniero che, non a caso, si chiama Ulisse e non Tommaso, il protagonista di Racconto d’inverno, romanzo del quale comunque riprende la trama. Egli analizza questa figura, mettendone in luce i risvolti psicologici. Tornato a Milano dopo la tremenda esperienza del lager tedesco, il protagonista si sente a disagio in qualsiasi circostanza, perennemente impacciato, anche in famiglia, e non riesce ad esprimere i propri sentimenti, cosicché, passando i giorni nella solitudine e nella pigrizia, la vita gli appare come un vuoto susseguirsi del tempo. A questa situazione, egli cerca di sottrarsi con la pratica della scrittura, rimanendo però sempre insoddisfatto da se stesso, dalle proprie capacità. Pure la militanza politica nel partito comunista si rivela una scelta meschina e priva di significato. Anche

90 G. Vanagolli, intervistato da S. Di Sacco, Profili di autori elbani contemporanei, Le opere e i

giorni, Livorno, 2008. 91 Ivi, p. 206. 92 Ibidem. 93 Ibidem. 94 Bonino, cit.

(33)

33 dal punto di vista sentimentale il protagonista non riesce a trovare soddisfazione: si innamora dapprima di Giulia, che lo lascia per tornare dal precedente amante Dino, e poi della cognata Dora (moglie del fratello Davide, anch’egli reduce di guerra che sta per tornare a casa) donna che finisce per uccidere.

Sempre inerenti alla sfera psicologica del personaggio principale, sono le osservazioni di Nicoletta del Buono95, la figlia dell’autore, secondo la quale il romanzo “racconta […] della guerra, meglio, dei lucidi disorientamenti di un reduce”96

.

Per Sartorio97 il secondo romanzo di del Buono “rappresenta già nella forma narrativa utilizzata, il racconto in prima persona, un’evoluzione e un ancor più evidente distacco dai canoni della letteratura postbellica”98

, a cui si poteva ancora ascrivere la prima prova narrativa. Infatti, accanto ai classici temi dei tormenti e della difficoltà di integrazione del reduce nella nuova realtà sociale del tempo, affiorano nuove tematiche, come “il confronto e la riflessione sulla storia in sé, vista come macchina narrativa dalla quale l’autore sente la necessità di distanziarsi”99, e la “totale inettitudine”100 dell’individuo. Personalmente, di questa seconda prova narrativa di del Buono ho apprezzato molto il sottile e puntuale scavo psicologico del protagonista, il quale riassume i tratti di un determinato tipo umano, quello del reduce, con tutte le problematiche che comporta. L’autore è

95 N. del Buono, cit. 96 Ivi, p. XXXIX. 97 Sartorio, cit. 98 Ivi, p. 1608. 99 Ibidem. 100 Ibidem.

(34)

34 ben riuscito a comunicare il particolare stato d’animo di un uomo che, dopo aver patito numerose sofferenze in prigionia, tornato finalmente a casa, paradossalmente non riesce ancora a ritrovare la tranquillità tanto agognata. Infatti, la sua mente appare come dominata da uno stato confusionale: egli è preso da pianti improvvisi e continui; è schiacciato da un senso di vuoto e di assenza, che avverte più forte ora in famiglia che prima in solitudine; non riesce a comunicare, nonostante abbia un gran bisogno di parlare, di raccontare la propria storia, che tuttavia preferisce tacere e cercare di dimenticare. Insomma, del Buono mette in luce le difficoltà di un uomo nel ricominciare a vivere una vita di cui ormai non riesce più a rintracciare le fila, di un individuo schiacciato da un perenne senso di vergogna per la propria inettitudine. Inoltre, lo scrittore affronta il tema della falsità della vita, vista come una recita, un teatrino in cui gli uomini appaiono come personaggi e nel quale il ridicolo si fonde con il tragico. Infine, sono da sottolineare i numerosi riferimenti alla scrittura, dapprima vista come attività per occupare il tempo libero e distrazione dai propri affanni quotidiani, e poi come testimonianza e impegno a non dimenticare. In particolare, si cita la scrittura di un articolo, definito come “il resoconto di fatti veri”, “una specie di racconto”101

e la composizione e pubblicazione di un “racconto lungo”, una “specie di romanzo”102, un ‘libretto’ costituito da “ricordi

di prigionia sotto un velo di finzione letteraria”103

, che invece adombra palesemente la prima opera narrativa delbuoniana. Relativamente alla scrittura sono poi da ricordare le frequenti riflessioni del narratore

101 OdB, La parte difficile, Rizzoli, Milano, 1975, pp. 53-54. 102 Ivi, p. 56.

(35)

35 sulla sua vicenda, tanto più che, ad un certo punto, egli propone anche una sorta di recensione della propria storia104 così come si presenta al lettore, in cui riflette sulla volontà di raccontare fatti reali, ma anche sulla difficoltà di tale compito; questo inserto narrativo, infatti, termina con la domanda “Difficile essere sinceri, scrivendo? Difficile o impossibile?”, frase che forse illumina un significato ulteriore del titolo: non solo ‘la parte difficile’ del prigioniero durante il suo ritorno alla vita di tutti i giorni, ma anche ‘la parte difficile’ di uno scrittore che intende raccontare il vero ma deve fare i conti con la falsità insita nel linguaggio. Non a caso, lo stesso del Buono, sintetizzando il messaggio del suo libro, dice che esso “narra le vicende d’un reduce che scopre l’insussistenza della propria avventura in guerra, che s’accorge di come, per lui, la guerra continui, la guerra per la sua definizione di personaggio”105. Pertanto, nell’epilogo il protagonista

deve misurarsi con la propria mediocrità di uomo, che non riesce ad adattarsi né alla sfera sociale né a quella famigliare e tantomeno affettiva, e di scrittore; alla fine egli afferma che “Non capivo più nulla, capivo solo che mi dovevo vergognare ancora una volta”106

.

104 Ivi, pp. 135-136.

105 Accrocca, cit., p. 154. 106 Ivi, p. 167.

(36)

36

2.3 Acqua alla gola

Acqua alla gola107 esce per la prima volta nel 1953 ne La Medusa

degli italiani di Mondadori; una nuova edizione dell’opera appare nel

1992108 presso la casa editrice Ponte delle Grazie, che è ripubblicata nel 1995109. Le tre edizioni presentano il medesimo testo, il quale reca in calce la data di stesura: dicembre 1950 - maggio 1952. Infine, il romanzo è inserito nel 2010110 nella raccolta degli scritti delbuoniani della Isbn Edizioni, che riproduce la lezione del 1953.

Il romanzo narra il viaggio di nozze di Berto e Anna, una coppia decisamente male assortita, all’isola d’Elba, paese natale dell’uomo, attorno ai quali ruotano le banali vicende ed i pettegolezzi di famigliari e compaesani, i quali costituiscono un microcosmo cristallizzato nel tempo, senza possibilità di cambiamenti. Di Berto non viene offerta nel testo alcuna descrizione precisa, ma si capisce che riassume in sé tutti i tratti dell’inetto, al punto che la sua vicenda appare la storia di un’eterna vittima; egli ha una psicologia tormentata e difficile e si sente perennemente inferiore agli altri; per questo motivo, l’uomo soffre nel dubbio di non essere amato dalla moglie, pensando che ella gli preferisca Sergio, l’uomo di cui era innamorata prima che si conoscessero.

Come si può facilmente intuire, quando uscì, l’opera ebbe scarso successo di pubblico e di critica, poiché, incentrata su una personalità

107 OdB, Acqua alla gola, Mondadori, Milano, 1953. 108

OdB, Acqua alla gola, Ponte alle Grazie, Firenze, 1992.

109 OdB, Acqua alla gola, Ponte alle Grazie, Firenze, 1995.

110 OdB, Acqua alla gola, in O. del Buono, L’antimeridiano, Romanzi e racconti, Volume primo, a

(37)

37 così passiva e costituita da una vicenda così monotona e angosciante, non incarnava minimamente la richiesta di vitalismo ottimistico propria del tempo.

Tuttavia del Buono afferma che “Questo romanzo, per quanto sia il meno apprezzato dai miei recensori, ha rappresentato una svolta nel mio lavoro. Da allora mi son sentito più sicuro di quanto volevo, di quanto voglio fare”111

.

Infatti Manacorda112 nota subito che del Buono riesce a cogliere “l’involversi della situazione storica e psicologica scrivendo con

Acqua alla gola […] il romanzo della nuova sfiducia, della nuova

depressione, quella che nasce non dalla guerra appena finita ma da quella già di nuovo minacciata”, ovvero quella di Corea.

Antonielli113 definisce questo romanzo “uno dei racconti più notevoli degli anni intorno al 1950”114

ed un esempio del particolare tipo di autobiografismo operato dall’autore, sostenendo che “La stessa costruzione chiusa del discorso, fondata su una specie di unità di azione, di tempo e di luogo […], lontano dal risolversi in un atto di nostalgia formale, dà rilievo autobiografico a una vicenda che se fosse meno serrata apparirebbe meno credibile”115

. Egli inoltre sottolinea le evidenti analogie con il libro precedente: in entrambi “i personaggi

111 Accrocca, cit.

112G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea (1940-1965), Editori Riuniti,

1974.

113 Antonielli, cit. 114 Ivi, p. 8888. 115 Ivi, pp. 8888-8889.

(38)

38 s’intrecciano in un balletto che allude a un’immagine dolorosa e frivola, precaria e tragica della vita”116

.

Successivamente, Taffon117 presenta l’opera come “un racconto in forma di diario, attento a scoprire anche le minime pieghe, i minimi moti psichici e sentimentali di una coppia di sposi, nei quali s’instaura fin dal viaggio di nozze il tarlo di una gelosia più immaginata che reale”118, che però costituisce l’incipit di una specie di “romanzo della

formazione di un personaggio, che è al contempo lo stesso scrittore che mescola finzione e realtà, romanzo e autobiografia, con tutta la carica, appunto, di finzione, che la stessa autobiografia contemporanea […] oggi comporta”119

.

Per Manacorda120 questo lavoro di del Buono “pare registri esemplarmente il delicato, e non univoco, passaggio da una letteratura dell’impegno […] ad una letteratura diversamente motivata”121; “Il

messaggio era chiaro: al momento delle grandi passioni comuni - il fascismo, l’antifascismo, la guerra, la tragedia nazionale - sta subentrando il momento in cui cominciano a pretendere di nuovo il loro spazio le passioni e i diritti, quali che siano, dell’individuo”122

. “La guerra di cui si parla è ormai quella di Corea […] che non suscita però, con le sue possibili conseguenze, né entusiasmi né ribrezzo e si fa solo o alibi per la propria sciocca vita o occasione di discorsi da spiaggia […] o distratto oggetto di notiziari radio mescolati alle 116 Ivi, p. 8889. 117 Taffon, cit. 118 Ivi, p. 259. 119 Ibidem. 120 Manacorda, cit. 121 Ivi, p. 7. 122 Ivi, p. 8.

(39)

39 cronache sportive”123

. Si tratta di “un tipico romanzo dei primi anni cinquanta, perché è la fedele, anche se quasi spietata, registrazione di un ritorno ad un modo di vivere emarginato per anni da cose di troppo più grandi”124

. Infine, Manacorda offre un ritratto dei due personaggi principali: Berto e Anna, e sottolinea come l’autore registri il fallimento “di tutte le illusioni che l’uomo possa nutrire su se stesso e sulla società”125

. Inoltre, egli evidenzia il mutato registro narrativo, “Non più fitte pagine senza fratture nemmeno tipografiche, ma pagine ariose alla vista intervallate da frequenti divisioni in agili capitoli”126

, che genera “un testo assai più godibile”127, snellito dall’uso di un

periodare breve e dall’introduzione del dialogo. In questo testo “Lo stesso uso della prima persona del protagonista […] appare come l’adozione di uno strumento in grado di permettere la confessione, l’autoscandaglio; […] realizza la prevalenza della psicologia sulla cronaca, del problema esistenziale sul problema storico”128

.

Anche Barberi Squarotti129 mette in luce l’estraneità di questo racconto dalla solita narrativa del dopoguerra; secondo lui, “La liberazione è avvenuta […] attraverso due forme di costruzione narrativa […]: da un lato, la concentrazione estrema del racconto sui rapporti dei due protagonisti […]; dall’altro, dietro ai protagonisti, la filigrana dei grandi nodi inventivi del romanzo novecentesco”130

come il viaggio, il confronto, ecc. Inoltre, anche qui la figura di Berto è

123 Ivi, pp. 7-8. 124 Ivi, p. 8. 125 Ivi, p. 11. 126 Ivi, p. 12. 127 Ibidem. 128 Ibidem.

129 G. Barberi Squarotti, Del Buono e l’amara isola, Tuttolibri, La Stampa, 17 ottobre 1992, p. 2; 130 Ibidem.

(40)

40 associata al personaggio dell’inetto, rabbioso poiché consapevole della propria inettitudine.

Opportunamente Brolli131 registra come nel corso di questa vicenda “tutti i rapporti tra le persone sono velati da egoismo e diffidenza”132

, ma soprattutto nota il fatto che “Con questo romanzo comincia a divenire evidente l’ossessione di del Buono per l’inutilità delle parole, per l’impossibilità della comunicazione, specie tra uomo e donna”133

. Vanagolli134 riflette invece sul ruolo assunto dal paesaggio nel testo e osserva come “L’Elba del romanzo si riduce a una spiaggia e a una pineta, oltre che al mare”135; “L’isola, insomma, viene

contemporaneamente proposta e negata, […] ad esaltarne il significato simbolico di mondo con la sua umanità malata”136, tuttavia “alla

meschinità, all’insensibilità e all’egoismo degli uomini, come pure all’insostenibilità dei drammi pubblici e privati, sembra contrapporsi, magari solo per un attimo, vincente, una benefica natura”137

; inoltre, queste sono cose che “il solo Berto riesce ad apprezzare”138

. Altre osservazioni sono poi mirate a identificare il clima del romanzo, molto simile a quello precedente, in cui prevalgono “ansia, disagio, angoscia”139

ed in cui “i flash back che costituiscono buona parte del tessuto del romanzo schiudono sipari di tristezza”140

. Infine, Vanagolli propone di indagare sul rapporto che intercorre tra questo racconto e la Deriva di Brignetti, di appurare “se le innegabili contiguità dei due 131 Brolli, cit. 132 Ivi, p. 363. 133 Ibidem. 134 Vanagolli, cit. 135 Ivi, P. 215. 136 Ibidem. 137 Ibidem. 138 Ibidem. 139 Ivi, p. 216 140 Ibidem.

(41)

41 romanzi siano da leggere esclusivamente come il coinvolgimento di questi nostri scrittori in una temperie culturale o non anche come il segno di contatti interpersonali e mirati”141.

In conclusione, come già hanno dimostrato i diversi ma solidali apporti critici, la stessa N. del Buono142 dichiara che “Acqua alla gola, […] per linguaggio, costruzione e contenuti costituirà l’imprinting delle opere successive”143 del padre.

Bonino144 sottolinea lo scandaglio psicologico dell’interiorità del protagonista, perennemente scosso da dubbi e incertezze, nei confronti del passato, dal momento che in famiglia era ritenuto un buono a nulla, così come verso il presente, percorso dai dubbi e dalla gelosia nei confronti della precedente relazione della moglie, e il futuro, in merito al proprio matrimonio. La gelosia infatti accompagna il personaggio per tutto il corso della propria vita, dapprima manifestandosi nei confronti del fratello, considerato in famiglia come l’incarnazione della perfezione, e successivamente nei confronti della moglie, la quale riscuote il consenso dei parenti. Inoltre è sintomatica la fine del romanzo, che ritrae il protagonista come non amato, non compreso e, dunque, infelice.

A mio parere, è evidente che con questa prova del Buono voglia compiere una scelta precisa come narratore, dimostrando originalità nella trama e maturità nella scrittura. Tant’è vero che dal punto di vista contenutistico, ad una prima lettura questo romanzo rischia di

141 Ivi, p. 217

142

N. del Buono, cit.

143 Ivi, p. XL. 144 Bonino, cit.

(42)

42 apparire banale e inconsistente, un noioso racconto di episodi di vita quotidiana; tuttavia, ad un’attenta riflessione si avverte l’intensità del messaggio: l’isolamento dell’uomo contemporaneo nel suo limitato universo personale e l’astrazione completa dagli eventi esterni, dalla storia che lentamente ma inesorabilmente va avanti nonostante tutto. Insomma, pare un ammonimento dell’autore nei confronti di chi non ha imparato la lezione degli eventi storici del passato, illustrati dalla grande stagione letteraria precedente del Neorealismo. Col passaggio ad un’epoca nuova, si è persa la solidarietà tra gli uomini ed il piacere dello stare assieme; le persone ormai sono esclusivamente concentrate sulle proprie occupazioni e sui propri drammi, paradossalmente banali e insignificanti, se paragonati a quelli del passato. Tutto questo perché si insinua nella psiche umana la mancanza di fiducia in se stessi, il senso di inferiorità nei confronti dell’altro, che diviene dunque nemico, la paura di ogni cosa, dalla più problematica alla più insignificante. Questa tematica diviene ancora più importante poiché sottolineata varie volte dalla voce stessa del protagonista, il quale concepisce la propria vita come misera cosa nei confronti degli eventi del mondo, nonostante sia sempre concentrato sulle proprie vicende personali.

Dunque, in parte è già presente in questo racconto la metafora della vita come matassa ingarbugliata, immagine che ben presto si trasformerà nelle future pagine dello scrittore in quella del labirinto. Quindi, seppur concentrato sullo scavo psicologico del protagonista, questo romanzo appare un ritratto corale di una piccola società, ristretta ed isolata in se stessa, che si configura allo stesso tempo come rifugio e prigione.

Riferimenti

Documenti correlati

In una fase successiva (“axial coding”) i codici sono stati ri- condotti a categorie più generali (le code families, nel gergo di ATLAS.ti), ad un livello di astrazione più

[r]

La Conferenza, presentando linee di pensiero, riflessione storica, ed esperienze significative, fornisce elementi per chiarire i termini e cosa lega la

La situazione storica e letteraria; il romanzo nell’età romantica; le versioni del romanzo; il progetto letterario del romanzo; la struttura del romanzo; il sistema dei personaggi;

Cephas e Nonceba, invece, compiono un percorso umano e civile, che oltretutto non è conclu- so dalla fine del romanzo, ma può avanzare ancora, perché resta aperto al futuro e

“Nelle facoltà di medicina si ripete continuamente ai futuri medici che se ascolteranno il paziente, questi dirà loro che cos’ha”. Sanders: Ogni paziente racconta la sua

Camilleri Andrea Il colore del sole Camilleri Andrea Il corso delle cose Camilleri Andrea Il cuoco dell'Alcyon Camilleri Andrea Il diavolo, certamente Camilleri Andrea Il gioco

La terza beltà viene spiegata dagli Autori citando Italo Calvino, nel quarto e ultimo capitolo, il quale insegnerà come possiamo difendere ciò che è prezioso,