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I prodotti tipici e tradizionali piemontesi: quale tutela?

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TRUMENTI E

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TRATEGIE PER LA

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ALORIZZAZIONE DI

P

RODOTTI

A

GROALIMENTARI

T

IPICI E

T

RADIZIONALI

Convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze Merceologiche Università degli Studi di Torino

Torino, 30 maggio 2002

Saluti ed Introduzione

DANIELE CIRAVEGNA, Università degli Studi di Torino 5

LUCIANO CERÈ, Università degli Studi di Torino 7

TERESIO DELFINO, Sottosegretario di Stato

alle Politiche Agricole e Forestali 9

MARIO SANTORO, Presidente IRES Piemonte 11

Produzioni agroalimentari, filiere e territorio in Piemonte

STEFANO AIMONE, IRES Piemonte 13

I prodotti tipici e tradizionali piemontesi: quale tutela?

GIOVANNI PEIRA, ERICA VARESE, FRANCO PERCIVALE

Università degli Studi di Torino 23

La tracciabilità di filiera: strumento di valorizzazione dei prodotti agroalimentari

PAOLO MASOERO, FRANCESCO PUGNO,

FABRIZIO STECCA, Think Quality S.r.l. 33

Prodotti agroalimentari locali e tecniche di analisi sensoriale

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I prodotti agroalimentari tipici e tradizionali ed il commercio elettronico

ERICA VARESE, GIOVANNI PEIRA, FRANCO PERCIVALE

Università degli Studi di Torino 49

Un’esperienza di valorizzazione del territorio attraverso le produzioni locali

RICCARDO BELTRAMO, ELENA PANDOLFI, ROSSANA STRADIOTTO

Università degli Studi di Torino 59

La salvaguardia di una produzione tradizionale delle montagne occitane: il Genepy

PIER GIOVANNI BORDIGA, Cav. Pietro Bordiga S.r.l. 75

Vino, patate e mele rosse: un progetto

di comunicazione multimediale internazionale

PIER DOMENICO GARRONE, Enoteca del Piemonte 79

Sinergie tra produzioni agroalimentari tradizionali ed agriturismo

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S

ALUTI ED INTRODUZIONE

Daniele Ciravegna

Preside Facoltà di Economia

Università degli Studi di Torino

Mi è molto gradito dare il benvenuto, a nome della Facoltà, ai relatori e ai partecipanti al Convegno “Strumenti e Strategie per la valorizzazione di prodotti agroalimentari tipici e tradizionali”, organizzato dal Dipartimento di Scienze Merceologiche del nostro Ateneo, ma di rilevante interesse per tutta la Facoltà.

Questo Convegno segue di pochi giorni altri svoltisi in questa stessa Aula Magna e riguardanti “Etica e mondo degli affari”, “Etica dell’ambiente” e “il Ruolo delle piccole e medie imprese nel contesto economico attuale”, argomenti strettamente collegati a quello oggetto di discussione quest’oggi. Infatti, l’etica richiede che il mondo degli affari si comporti in modo da rispettare l’ambiente perché è etico il corretto uso dei beni della natura, ma anche perché il corretto uso dei beni della natura fa bene allo stesso sviluppo degli affari, inteso quale sviluppo dell’attività economica.

Quest’ultimo trova oggi un valido sostegno nell’appropriata valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici e tradizionali delle singole regioni, valorizzazione che trova nel mondo delle piccole e medie imprese gli attori più attenti e più adatti. Queste, per poter reggere la competizione a livello di mercato globalizzato, hanno bisogno del sostegno della corretta diffusione delle informazioni riguardanti e i prodotti e i processi produttivi, e la certificazione di qualità dei prodotti e dei processi, compresa la certificazione etica, è l’elemento fondamentale per la corretta diffusione delle informazioni, svolgendo anche un’insostituibile funzione di etica degli affari, e così il cerchio si chiude.

Sui punti fondamentali di questo cerchio, come l’ambiente, la valorizzazione dei prodotti agroalimentari, le certificazioni di qualità, il nostro Dipartimento di Scienze Merceologiche è, da anni, in prima

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linea e sul piano della ricerca e della didattica universitaria e sul piano della interazione con enti esterni per attività di ricerca e di erogazione di servizi reali. Un approccio di apertura da me personalmente sostenuto e che sta diventando sempre più rilevante nell’operare dei diversi Dipartimenti che fanno capo alla Facoltà.

Con quest’animo e questa predisposizione lascio la parola al prof. Cerè, direttore del Dipartimento di Scienze Merceologiche, esprimendogli la mia soddisfazione e i miei complimenti per l’iniziativa odierna.

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Luciano Cerè

Direttore Dipartimento di Scienze Merceologiche

Università degli Studi di Torino

Ringrazio il Preside che ha voluto darci personalmente il suo cortese benvenuto, richiamando anche l’interesse di questo incontro nell’ambito delle tematiche afferenti alle Facoltà di Economia.

Rivolgo un vivo ringraziamento all’Onorevole Teresio Delfino, Sottosegretario di Stato alle Politiche Agricole e Forestali che ci raggiungerà quanto prima, portandoci il suo autorevole e qualificato contributo.

Il Convegno si svolge sotto il patrocinio della S.I.M. (Società Italiana di Merceologia) e dell’IRES (Istituto di Ricerche Economico e Sociali) Piemonte, di cui ringrazio molto il presidente, avvocato Mario Santoro, presente a questo incontro.

Un ringraziamento particolare va al dottor Pier DomenicoGarrone, presidente dell’“Enoteca del Piemonte”, che ha molto fattivamente contribuito alla realizzazione dell’iniziativa.

Ringrazio ancora i relatori che hanno aderito alle richieste del nostro Dipartimento, portando il loro prezioso contributo di esperienze al Convegno.

Porgo, infine, a nome del Dipartimento e mio personale, il benvenuto a tutti i presenti.

Vorrei ora richiamare molto sinteticamente le motivazioni che stanno alla base di questo Convegno.

La globalizzazione porta alla concentrazione delle attività produttive in imprese di grandi dimensioni, che tendono ad acquisire il controllo dei mercati mondiali.

In un’economia di mercato ne consegue un inevitabile orientamento alla uniformazione, alla standardizzazione dei prodotti.

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Nel settore agroalimentare, tale tendenza è particolarmente avvertita in quei Paesi, come l’Italia, dove operano piccole e medie imprese che, non potendo reggere la concorrenza nel mercato globale, potrebbero soccombere.

In tale situazione, assume rilevante importanza una politica di diversificazione dei prodotti, che poggi su un loro miglioramento qualitativo valorizzandone particolari e peculiari caratteristiche.

A tale fine, da oltre un decennio, sono state intraprese azioni a livello comunitario e nazionale, ed anche la Regione Piemonte ha da tempo avviato iniziative, coinvolgendo in alcune di esse il nostro Dipartimento, per la valorizzazione di prodotti agroalimentare tipici e tradizionali piemontesi.

Accanto ai vantaggi economici diretti che ne possono derivare, vanno anche considerati i benefici indotti, quali il ricupero di aree rurali e montane altrimenti destinate ad un progressivo abbandono (con le conseguenze, anche tragiche, che da tempo stiamo sperimentando), lo sviluppo delle attività turistiche (agriturismo, turismo gastronomico ed enogastronomico) e, non ultimo, il piacere della riscoperta di gusti, di usi, di tradizioni, di modi di vita spesso dimenticati.

Il Convegno si propone di dare un contributo alla individuazione dei più idonei strumenti e delle strategie per la attuazione delle iniziative nel settore.

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O

N

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ERESIO

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ELFINO

Sottosegretario di Stato alle Politiche Agricole e Forestali

I temi trattati nel Convegno “Strumenti e Strategie per la valorizzazione di prodotti agroalimentari tipici e tradizionali” sono importanti per lo sviluppo dell’agricoltura nazionale e locale, per l’economia e ancor più per la qualità della vita dei cittadini-consumatori. Essi hanno suscitato grande attenzione, interesse e partecipazione da parte di tutti gli attori, pubblici e privati, della filiera agroalimentare.

Gli sforzi compiuti dal Governo in questi mesi per il sostegno del settore agroalimentare hanno creato la base per attivare una serie di azioni che il Ministero sta portando avanti con decisione, proprio per un rilancio ed una valorizzazione della nostra agricoltura.

Naturalmente, il prodotto agroalimentare italiano, grazie anche alla sua tipicità, deve saper raccontare la cultura, la storia e le tradizioni dei luoghi di produzione.

L’enogastronomia evoca, quindi, le suggestioni del territorio. E’ solo attraverso adeguati strumenti e strategie che l’agroalimentare italiano può contribuire sempre di più al successo del made in Italy nel mondo.

La tutela e la valorizzazione delle produzioni agroalimentari di nicchia devono passare attraverso la coesione ai vari livelli istituzionali per un operato sinergico.

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Mario Santoro

Presidente dell’IRES Piemonte

Lo studio del settore agroalimentare e del territorio rurale del Piemonte, tra le tante attività svolte dall’IRES, rappresenta uno dei filoni di ricerca attivati sin dalla nascita dell’Istituto, avvenuta nel 1958. Da allora, l’impegno dell’IRES in tale direzione è proseguito senza soluzione di continuità, con una particolare attenzione agli argomenti di maggiore contenuto innovativo.

Nel suo percorso, l’IRES ha spesso collaborato con altre istituzioni del mondo scientifico. Questo avviene, oggi, con il Dipartimento di Scienze Merceologiche dell’Università di Torino. Un primo, concreto frutto di tale rapporto di collaborazione è la ricerca sulla cooperazione vitivinicola in Piemonte, un tema vicino e complementare a quello odierno, il cui volume è in corso di stampa. La collaborazione prosegue con il patrocinio e la partecipazione dell’IRES al convegno di oggi, e con altre attività di ricerca che sono in cantiere per gli anni futuri.

I prodotti agroalimentari tipici e tradizionali sono frutto dell’intreccio tra agricoltura, territorio e cultura locale. In Piemonte alcune aree hanno costruito su di essi la propria fortuna: il caso più noto è quello delle Langhe, dove l’enogastronomia è un potente motore di sviluppo. Una sfida importante per la nostra regione è la rivitalizzazione dei territori collinari e montani svantaggiati, dove peraltro si trovano ricchi “giacimenti” di specialità agroalimentari. La Regione Piemonte affronta tale sfida sia con l’impiego dei Fondi strutturali europei, sia elaborando iniziative autonome, avvalendosi anche della collaborazione dell’IRES, suo ente strumentale, per la messa a punto dei programmi di intervento.

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In tale ambito i prodotti tipici e tradizionali possono giocare un ruolo fondamentale ma la loro piena valorizzazione richiede un impegno congiunto dei produttori, dell’amministrazione pubblica e della ricerca scientifica. Dal convegno di oggi potremo certamente trarre nuovi elementi per proseguire in tale direzione.

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RODUZIONI

A

GROALIMENTARI

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ILIERE E

T

ERRITORIO IN

P

IEMONTE

Stefano Aimone

IRES Piemonte

Premessa

In questo breve intervento, di carattere introduttivo, si tenterà di mettere in evidenza le peculiarità del sistema agroalimentare del Piemonte, focalizzando l’attenzione – dato l’argomento trattato nel Convegno – sugli aspetti maggiormente coinvolti nella determinazione della tipicità, ovvero il legame tra produzione primaria e trasformazione e tra queste ed il territorio d’origine. Data la necessità di sintesi, si daranno per scontati alcuni concetti (ad esempio filiera, distretto, esternalità) e si farà ricorso ad alcune indispensabili semplificazioni.

Le tendenze di fondo: globalizzazione, segmentazione, sicurezza alimentare, “culturalizzazione”

In estrema sintesi, le grandi tendenze che guidano l’evoluzione del mercato dei prodotti agroalimentari possono essere così riassunte:  la globalizzazione, che attraverso l’aumento degli scambi e

l’omologazione degli stili di vita, da luogo ad un inasprimento della competizione ma apre anche nuove possibilità per i prodotti ad elevata qualificazione (globalizzazione delle nicchie);

 la crescita della domanda di varietà da parte del consumatore, che si riflette in una maggiore segmentazione del mercato;

 l’attualissimo tema della sicurezza alimentare e, di conseguenza, del controllo delle catene alimentari e delle relative forme di garanzia;

 il diffondersi di una visione del cibo come esperienza culturale, come manifestazione di uno stile di vita che, unitamente alla maggiore attenzione per gli aspetti di sostenibilità e sicurezza, stimola la domanda di prodotti tipici, tradizionali, biologici, ecc.

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Questo insieme di fattori sembra predisporre un quadro di opportunità rilevante per le produzioni tipiche. Coglierle nel migliore dei modi non è tuttavia un fatto scontato, e dipende in larga misura dalla capacità d attivazione delle economie agroalimentari locali.

Agricoltura e trasformazione alimentare in Piemonte: gli aspetti generali

Considerando l’aggregato del settore primario e dell’industria alimentare, in Piemonte esso pesa poco più del 5% sul totale del valore aggiunto regionale; al solo settore primario spetta il 2,3%. Si tratta di un valore modesto rispetto a quello di altre regioni, tuttavia non significa che il sistema agroalimentare piemontese sia poco sviluppato, perché la sua modesta incidenza relativa dipende dal forte sviluppo dei settori industriale e terziario nel loro complesso.

Tabella 1 - I principali indicatori del sistema agroalimentare

Piemonte Italia Piemonte%

Agricoltura (2000)

aziende agricole 121.937 2.611.580 4,7

superficie agricola utilizzata (ettari) 1.120.250 15.045.574 7,4

produzione lorda vendibile (miliardi di lire) 6.293 82.061 7,7

valore aggiunto ai prezzi base (miliardi di lire) 3.791 55.309 6,9

Industria alimentare (1996)

Imprese 5.383 69.826 7,7

Addetti 40.365 457.052 8,8

Import-Export agroalimentare (2000)

Importazioni (miliardi di lire) 2.398 25.391 9,4

Esportazioni (miliardi di lire) 2.248 17.967 12,5

Produzioni tipiche (2001)

DOP e IGP (numero) 9 115 7,8

Vini DOC e DOCG (numero) 49 318 15,4

Vini DOC e DOCG (incidenza % sul totale) 61 19

-Prodotti Tradizionali (numero) 320 3.152 10,2

Biologico (2000)

Aziende agricole 2.307 49.018 4,7

Superficie coltivata 37.814 958.687 3,9

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La situazione del Piemonte, posta a confronto con quella nazionale (tab. 1), mostra tra le sue peculiarità la forte attivazione di esportazioni, sostenuta essenzialmente dai settori enologico, dolciario e dei prodotti da forno, oltre ad un’incidenza di rilievo delle produzioni definibili “tipiche”: formaggi DOP, prodotti tradizionali e soprattutto vini DOC e DOCG, il vero punto di forza del Piemonte in tale ambito.

Tabella 2 - La struttura dell’agricoltura in Piemonte

Ripartizione della superficie e del numero di aziende per zona altimetrica zona altimetrica superficie territoriale kmq SAU (*) totale ettari aziende agricole ripart. % superf. territ. ripart. %

SAU ripart. %aziende

Pianura 671.321 475.952 32.914 26,4 45,0 27,0

Collina 769.881 306.779 71.954 30,3 29,0 59,0

Montagna 1.098.721 273.993 17.074 43,3 25,9 14,0

Piemonte 2.539.923 1.056.724 121.942 100,0 100,0 100,0

Ripartizione del patrimonio bovino e suino per zona altimetrica zona

altimetrica capi bovini e bufalini capi suini ripart. %bovini ripart. %suini

Pianura 470.612 747.887 59,9 81,1

Collina 223.714 142.148 28,5 15,4

Montagna 91.918 31.836 11,7 3,5

Piemonte 786.244 921.871 100,0 100,0

Ripartizione % della SAU (*) per i principali tipi di utilizzazione zona

altimetrica seminativi coltivazionilegnose

di cui vite da

vino

prati

permanenti pascoli totaleSAU

Pianura 84,7 2,9 0,5 7,5 4,7 100,0

Collina 50,1 23,7 16,4 18,6 6,9 100,0

Montagna 4,2 3,4 0,1 15,9 76,3 100,0

Piemonte 53,8 9,1 5,0 12,9 23,9 100,0

Fonte: Istat - Censimento Agricoltura 2000 - dati provvisori (*) = superficie agricola utilizzata

L’attività agricola (tab. 2), nonostante i processi di contrazione ancora in atto nelle aree svantaggiate, interessa tuttora il 42% della superficie territoriale della regione, con un’incidenza ovviamente molto più elevata nelle aree rurali ed in quelle a particolare

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specializzazione agricola, quali ad esempio il Vercellese, il Cuneese, il Saluzzese e le Langhe.

La caratteristica conformazione territoriale del Piemonte, nel quale le zone altimetriche sono marcatamente differenziate, ha portato nel tempo a disegnare tipologie agricole molto diverse secondo i caratteri ambientali e socioeconomici locali. Il nerbo produttivo dell’agricoltura regionale è rappresentato dalle aree specializzate di pianura, dove si concentrano i seminativi e l’allevamento zootecnico intensivo. Nelle aree collinari, maggiormente variegate dal punto di vista delle utilizzazioni agricole, si individuano zone in fase di transizione da rurale a residenziale o, viceversa, in declino, dove l’agricoltura è piuttosto destrutturata; ad esse si contrappongono le aree a forte vocazione vitivinicola, tra le quali spiccano le Langhe, il Roero e la fascia meridionale del Monferrato. Nei territori montani, dove l’attività agricola significa soprattutto allevamento bovino estensivo legato al pascolamento, si riscontra purtroppo la maggiore incidenza dei fenomeni di contrazione, legati essenzialmente al più ampio problema del declino socioeconomico.

Tabella 3 - Struttura dell’industria alimentare in Piemonte

prodotto / lavorazione Imprese Addetti Imprese% Addetti%

lav. carne prod. a base di carne 326 3.514 6,1 8,7

lav. pesce e prod. a base di pesce 7 42 0,1 0,1

lav. frutta e ortaggi 70 1.141 1,3 2,8

prod. olii e grassi vegetali 18 226 0,3 0,6

lattiero-caseario 390 3.289 7,2 8,1

lav. granaglie e prodotti amidacei 256 2.112 4,8 5,2

prodotti alimentaz. animali 71 703 1,3 1,7

altri prodotti alimentari 3.856 24.920 71,7 61,7

di cui: panetteria e pasticceria 3.040 10.499 56,5 26,0 prodotti da forno 90 1.690 1,7 4,2 dolciario 86 7.810 1,6 19,4 paste alimentari 451 2.055 8,4 5,1 bevande 387 4.413 7,2 10,9 di cui:

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Totale industria alimentare 5.381 40.360 100,0 100,0 Fonte: Istat - Censimento Intermedio 1996

Per quanto concerne l’industria alimentare piemontese, analizzando la sua composizione (tab. 3) si nota come, tra i settori di maggiore rilievo, ne emergono alcuni poco legati alla trasformazione delle materie prime locali (dolciario, panetteria e pasticceria, pasta). I comparti che, viceversa, attingono in maniera ampia e diretta alle materie prime locali sono soprattutto quelli della macellazione e lavorazione delle carni, il lattiero-caseario, quello della lavorazione e conservazione dell’ortofrutta e, infine, quello enologico. In questi casi, essendo marcato il legame con l’agricoltura regionale, è opportuno parlare della presenza di filiere agro-alimentari locali.

Per completare il quadro del sistema agroalimentare regionale è necessario un cenno al settore distributivo. In Piemonte la distribuzione alimentare ha vissuto in quest’ultimo decennio una profonda trasformazione strutturale, che ha visto da un lato l’affermarsi delle grandi superfici di vendita, le cui catene fanno ormai capo quasi integralmente ai distributori francesi, dall’altro la sostanziale tenuta delle forme meno strutturate, come il commercio ambulante. Nell’ambito del dettaglio fisso, oltre alla quasi totale scomparsa del negozio tradizionale, si nota la crescente diffusione di punti vendita specializzati (biologico, enogastronomia di pregio). L’evoluzione vissuta dalla cosiddetta Grande Distribuzione ha riguardato anche la progressiva apertura degli assortimenti verso prodotti a forte contenuto specifico, come i tipici, i biologici e quelli connotati da sostanziali elementi di garanzia sotto il profilo della salubrità e garanzia igienico-sanitaria.

Commodities e specialties

La maggior parte delle produzioni agricole del Piemonte deriva da processi scarsamente differenzianti in termini merceologici: per esse può essere indicato utilizzare il termine di commodity. Tali materie prime entrano nel ciclo agroindustriale in forma relativamente anonima e sono facilmente sostituibili con prodotti similari provenienti da altre aree. Il loro mercato è essenzialmente caratterizzato dalla competizione sul prezzo. Si tratta quindi di prodotti unbranded, che prendono identità commerciale solamente

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attraverso l’intervento della trasformazione e della distribuzione, fasi nelle quali si crea la maggior parte del valore aggiunto del processo.

Le commodities sono soprattutto i prodotti dell’agricoltura intensiva della pianura, la cui competitività (talora solo apparente) deriva anche dal forte sostegno che tali prodotti hanno ricevuto dall’Unione Europea. Per tali prodotti e le aree in cui si ottengono, nel moderno contesto di mercato, tenuto anche conto del fatto che il livello di protezione, già ridotto, è destinato a calare ulteriormente, crescono le difficoltà. L’intensività dei processi ed il loro “spezzettamento” in fasi talora scollegate tra loro, crea notevoli problemi sotto il profilo dell’impatto ambientale e del controllo delle catene alimentari, come testimoniato dai recenti shock sanitari.

Tuttavia, una porzione crescente, anche se minoritaria, dei prodotti agricoli ed agroalimentari piemontesi, può essere ascritta alla categoria delle specialties, ovvero dei beni a forte connotazione di specificità. Tra questi si possono individuare, oltre ad alcuni prodotti a specifica destinazione agroindustriale, quelli biologici, quelli corredati da serie forme di garanzia sotto il profilo igienico-sanitario (ad esempio rintracciabilità) e, soprattutto, i prodotti tipici ed a denominazione di origine.

Pur con alcune significative eccezioni (ad es. Grana Padano) i prodotti di questo genere, ed i tipici in particolare, sono originari delle aree rurali di collina e montagna. Si tratta di alimenti nei quali la componente voluttuaria e/o culturale nell’atto del consumo è molto marcata, per la quale il consumatore è disposto a pagare un sovrapprezzo talora anche molto elevato. Tali prodotti rappresentano la base sulla quale si è sviluppata la cosiddetta “economia del gusto”. Un tempo sostanzialmente assenti dalla Grande Distribuzione, sono oggi per molte catene un elemento qualificante dell’immagine dell’insegna e del servizio al cliente.

Per i prodotti specialty è di notevole importanza l’aspetto della comunicazione e della validazione della qualità. Un ruolo di spicco è giocato non solo dai riconoscimenti e dagli organismi pubblici, legati alla sfera legislativa, ma anche da attori privati che tendono ad assumere un ruolo di opinion leader determinante, e talora di

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riscoperta e promozione di interventi di salvaguardia, come è il caso di SlowFood.

Rapporti di filiera e legame con il territorio

I prodotti di tipo commodity sono ottenuti da filiere ampie ma strutturalmente semplici, nelle quali i rapporti tra agricoltura e trasformazione si svolgono essenzialmente sulla base della variabile prezzo. Le iniziative di integrazione verticale sono scarse e la posizione contrattuale della parte agricola è piuttosto debole. Dal punto di vista territoriale, le commodities agricole non mostrano una particolare rilevanza dei legami storici e culturali con l’area di origine, ad eccezione forse, in Piemonte, del riso, la cui coltura ha fortemente connotato i caratteri del territorio. Gli impatti ambientali sono generalmente elevati (apporto di sostanze chimiche nel suolo e nelle falde, riduzione della biodiversità…) ed anche in termini paesaggistici le esternalità negative tendono a prevalere. La loro capacità di attivare economie locali è modesta e contenuta al solo indotto specialistico.

In termini di scenario evolutivo, tali prodotti e tali aree corrono seri rischi di declino, anche in relazione ai nuovi orientamenti del sostegno pubblico che, nel prossimo futuro, premierà maggiormente le esternalità positive e scoraggerà il mero sforzo produttivistico. Una possibile strategia di uscita può consistere in una diffusa dematurity agroindustriale, nella quale in ogni filiera e per ogni prodotto cresca lo sforzo di segmentazione e qualificazione, in un’ottica di sicurezza alimentare, qualità, riduzione dell’impatto ambientale, utilizzi specifici ed alternativi.

Nel caso delle specialties del Piemonte, sotto il profilo del rapporto con il territorio e la filiera è opportuno distinguere il caso dei prodotti minori da quelli ottenuti su ampia scala, primo fra essi il vino.

La maggior parte dei “piccoli” prodotti tipici ed a denominazione d’origine piemontesi deriva dall’attività di micro-filiere di natura artigianale, fortemente legate all’ambiente, alle tradizioni ed alla cultura locale. Esse sono collocate in aree collinari e montane non di rado affette da problemi di declino e marginalità. In tale situazione, da un lato si esalta il ruolo potenziale di tali prodotti come elementi attivatori dello sviluppo locale, dall’altro la debolezza del contesto rappresenta, in molti casi, il primo fattore critico per una loro

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completa valorizzazione. La modesta dimensione produttiva e la scarsa disponibilità di tecnologie sviluppate ad hoc, inoltre, sfavoriscono le economie di scala e possono rendere difficoltoso l’adeguamento agli aspetti normativi. Tuttavia, grazie al fatto di essere ottenuti in territori ambientalmente pregevoli ed alla presenza in loco delle diverse fasi del processo produttivo, il controllo sotto il profilo della sicurezza alimentare è relativamente facile da attuare.

In termini di scenario, pur in presenza di un mercato molto recettivo, il futuro di tali prodotti è intimamente legato a quello delle aree in cui sono ottenuti, dove la capacità di reazione al declino è tutt’altro che scontata e necessita di un’azione sinergica tra intervento pubblico e attivazione della comunità locale.

Nel caso specifico delle produzioni enologiche, il forte intreccio territoriale è accentuato dalla rilevanza della filiera e dalla marcata specializzazione delle aree viticole, che tendono pertanto ad assumere un carattere distrettuale.

In alcuni contesti particolari, come quello delle Langhe, il vino è il principale attivatore di una catena del valore che si estende dalla sfera agricola a quella terziaria, coinvolgendo le attività turistiche, la gastronomia, l’indotto di servizio, il mercato immobiliare, le attività culturali in un processo di sviluppo oggetto dell’attenzione di numerosi studiosi. Alcuni di questi, in particolare, proprio a sottolineare l’intima connessione tra territorio, prodotto e cultura, hanno coniato per le Langhe il termine di “distretto culturale”.

Lo scenario evolutivo di tali territori appare certamente positivo; la loro crescita può tuttavia essere frenata da fenomeni quali l’eccessivo impennarsi dei prezzi fondiari ed immobiliari, o la spinta ad un utilizzo viticolo delle superfici coltivabili oltre i limiti concessi dalle caratteristiche dell’ambiente, con possibili effetti negativi sulla qualità del prodotto, sul paesaggio e sulla stabilità dei versanti.

Bibliografia

AIMONE S. (a cura di) Sistema agroalimentare, territorio e politiche

di sviluppo rurale in Piemonte, Quaderni di Ricerca IRES, Torino,

(21)

AIMONE S. “Quali scenari per il Piemonte rurale?” in Scenari per il

Piemonte del 2000, IRES, Torino, 2001.

BECATTINI G. Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

NOMISMA Prodotti tipici e sviluppo locale, VIII Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana, Agrisole, Milano, 2001.

PERCIVALE F., VARESE E., PEIRA G., “Lo sviluppo economico e l’impatto della globalizzazione nel settore dei prodotti agroalimentari tipici e tradizionali di qualità”, De Qualitate, Febbraio 2002.

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I

PRODOTTI TIPICI E TRADIZIONALI PIEMONTESI

:

QUALE TUTELA

?

Giovanni Peira, Erica Varese, Franco Percivale

Dipartimento di Scienze Merceologiche

Università degli Studi di Torino

La crescente liberalizzazione degli scambi internazionali, gli squilibri della maggior parte dei mercati agricoli comunitari, in cui l’offerta è diventata strutturalmente eccedentaria rispetto alla domanda, la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea (1), le emergenze sanitarie del settore agroalimentare e l’aumento della domanda dei consumatori europei, soprattutto quelli dell’area mediterranea, di prodotti agroalimentari di qualità hanno reso necessario un intervento nella politica agricola comunitaria (PAC).

Infatti, mentre per decenni la PAC aveva individuato, quale obiettivo principale, l’aspetto quantitativo delle commodity agricole, dal 1992, la Comunità Europea ha emanato una serie di Regolamenti, dando vita ad una nuova politica agricola incentrata sulle produzioni tipiche (speciality) di elevata qualità, legate alle zone di provenienza ed alle tecniche di produzione e di trasformazione.

Strumenti per la protezione dei prodotti tipici e tradizionali

Protezione giuridica dei prodotti agroalimentari a denominazione di origine

Il Regolamento n. 2081/92 (2,3) è relativo “alla protezione delle

indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari” (la normativa esclude le bevande spiritose ed i

prodotti del settore vitivinicolo). Esso stabilisce le norme relative all’uso di un nome geografico nella designazione di un prodotto, che può assumere due forme: “denominazione d’origine protetta” (DOP) o “indicazione geografica protetta” (IGP).

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La “denominazione d’origine protetta” è assegnata a prodotti strettamente legati alla Regione di cui sono originari: la qualità o le caratteristiche del prodotto derivano esclusivamente o essenzialmente dall’ambiente geografico comprensivo di fattori naturali ed umani e la produzione, la trasformazione e l’elaborazione avvengono nell’area geografica delimitata.

L’”indicazione geografica protetta” prevede, invece, che il prodotto, per potersi fregiare della protezione comunitaria, debba avere una determinata qualità, reputazione oppure un’altra peculiarità che possa essere attribuita all’origine geografica e che la produzione e/o la trasformazione e/o l’elaborazione avvengano in una zona determinata.

La differenza tra le “denominazioni di origine protetta” e le “indicazioni geografiche protette” riguarda essenzialmente il fatto che le prime rispondono ad un principio di additività in cui tutte le fasi del processo produttivo si devono svolgere all’interno di una determinata area geografica, mentre le seconde seguono un principio di alternatività secondo cui è necessario che solo una delle fasi produttive si svolga all’interno della zona considerata (4).

In conformità alle disposizioni del Regolamento n. 2081/92, la Legge Comunitaria n. 526/99 ha delegato il Governo ad emanare una normativa a tutela delle DOP e IGP prevedendo l’obbligatoria istituzione di appositi Consorzi con il compito di vigilare e tutelare sulle varie denominazioni d’origine riconosciute (5).

La Commissione Europea ha iscritto nell’Albo delle denominazioni d’origine fino al maggio 2002, 568 prodotti agro-alimentari di cui 118 italiani (fonte Coldiretti).

Il paniere dei prodotti agro-alimentari italiani tutelati si compone di 80 DOP e 38 IGP. A livello merceologico, le denominazioni di origine sono così suddivise: 26 prodotti a base di carne, 30 formaggi, 26 oli di oliva o olive da mensa, 30 prodotti ortofrutticoli, 2 aceti, 2 prodotti da panetteria, 1 carne e frattaglie fresche e 1 essenza.

In Piemonte, in particolare, hanno ottenuto l’attestazione comunitaria DOP o IGP, oppure hanno presentato istanza i prodotti elencati nella Tabella 1.

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Tabella 1

Elenco dei prodotti della Regione Piemonte D.O.P. e I.G.P. già registrati a livello europeo

Elenco dei prodotti della Regione Piemonte che hanno presentato istanza di

riconoscimento D.O.P. e I.G.P. D.O.P. I.G.P. D.O.P. I.G.P. FORMAGGI  Bra  Castelmagno  Gorgonzola  Grana Padano  Murazzano  Raschera  Robiola di Roccaverano  Taleggio  Toma piemontese SALUMERIA  Mortadella di Bologna ORTOFRUTTA  Nocciola del Piemonte FORMAGGI  Ossolano  Robiola d’Alba Salumeria  Prosciutto di Cuneo  Salame Cotto Piemonte Ortofrutta  Castagna delle Valli Cuneesi  Pera Madernassa Cuneese (d’Alba e della Valle Grana)  Riso S. Andrea  Peperoni di Carmagnola Essenze  Olio essenziale di menta piperita Piemonte o Pancalieri Piemonte PASTICCERIA  Marron glacè Ittici  Tinca Gobba dorata del Pianalto di Poirino Carne fresca  Fassone del Piemonte  Suino pesante padano Salumeria  Coppa Parma  Salame Napoli Ortofrutta  Marrone Valsusa  Piccoli frutti delle

Valli Cuneesi  Fragola delle Valli Cuneesi  Mela rossa delle

Valli Cuneesi Cereali  Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Panetteria  Focaccia novese Pasticceria  Torrone d’Asti

Per quanto riguarda la tutela delle denominazioni di origine, a livello comunitario stanno arrivando dei segnali contrastanti. Infatti, l’avvocato generale Siegbert Alber ha presentato il 25 aprile 2002, le proprie conclusioni alla Corte di Giustizia, riguardanti le cause del

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Prosciutto di Parma (n. 108/2001- causa intentata dall’ House of Lords inglese) e del Grano Padano (469/2000 – Causa intentata dalla Corte di Cassazione francese) che vanno in controtendenza rispetto al diritto ed alla giurisprudenza comunitaria. La tesi sostenuta da Alber è l’applicazione del principio della libera circolazione delle merci che prevederebbe l’eliminazione del divieto, previsto invece dal Regolamento Cee n. 1107/96 di affettare il Prosciutto di Parma nonché di grattugiare il formaggio Grana Padano al di fuori delle rispettive zone di produzione.

Queste conclusioni sono in contrasto con la sentenza della Corte di Giustizia n. 388/95 del 16 maggio 2000, relativa al vino spagnolo (DOC) “Rioja” che prevede l’assoluto divieto di imbottigliare tale vino al di fuori della zona spagnola di produzione.

Parte della dottrina (6), ritiene che sia impensabile applicare il principio della libera circolazione delle merci alle denominazioni di origine, come peraltro riconosciuto nella sentenza “Rioja” poiché “la normativa comunitaria manifesta una tendenza generale alla valorizzazione della qualità dei prodotti nell’ambito della politica agricola comune, al fine di promuovere la reputazione grazie, in particolare all’uso di denominazioni di origine oggetto di una tutela particolare”.

Prodotti tradizionali previsti dal D.M. n. 350 del 1999

Il Ministero delle Politiche Agricole ha emanato il Decreto Legislativo n° 173/98, che, all’articolo 8, ponendo come obiettivo la “valorizzazione del patrimonio enogastronomico” delle Regioni italiane, prevede la categoria dei prodotti tradizionali. Il Decreto Ministeriale n° 350 del 1999 ha istituito, poi, il Regolamento per l’individuazione di tali prodotti (7).

Per essere definito “tradizionale”, un prodotto agro-alimentare deve essere ricondotto a metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura che risultino consolidate nel tempo e, in particolare, per un periodo non inferiore a 25 anni.

Nel 2000, i prodotti tradizionali, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, sono stati 3.152.

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Gli elenchi regionali sono annualmente revisionati e, per quanto riguarda il Piemonte, sono stati censiti, alla fine del 2001, 371 prodotti che saranno prossimamente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

In tabella 2, è riportata la suddivisione merceologica di tali prodotti.

Tabella 2

Bevande analcoliche, distillati e liquori 17

Carni (e frattaglie) fresche e loro preparazione 73

Condimenti 5

Formaggi 56

Grassi (burro, margarina, oli) 1

Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati 109

Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria

100 Preparazioni di pesci molluschi e crostacei e tecniche particolari di

allevamento degli stessi 4

Prodotti di origine animale (miele, prodotti caseari di vario tipo escluso il burro)

6

Totale 371

La certificazione di prodotto volontaria

La certificazione di prodotto è l’insieme delle attività svolte da un Ente di Certificazione di parte terza allo scopo di attestare, con un certificato, la conformità del prodotto a particolari e significative caratteristiche previste da un Disciplinare Tecnico (8,9).

Lo scopo della certificazione di prodotto è la valorizzazione di alcune particolari e significative caratteristiche del bene, volte a soddisfare le attese del consumatore. L’acquirente è pertanto assicurato sulla reale rispondenza del prodotto a precisi requisiti riportati in modo dettagliato in un documento, e sinteticamente evidenziati sull’etichetta della sua confezione.

Queste caratteristiche, purché oggettive, misurabili e non previste dalla normativa vigente o se previste meno restrittive, possono essere le più diverse, ad esempio le proprietà nutrizionali, l’origine geografica, la tradizionalità, l’assenza di organismi geneticamente modificati, l’assenza di particolari additivi alimentari, le proprietà organolettiche sensoriali, ecc. (10).

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Tutte le attività inerenti alla certificazione di prodotto devono essere documentate. Essa si pone come un valido strumento per caratterizzare, identificare, differenziare i beni commerciabili e rispondere alle pressanti esigenze dei consumatori.

Per far si che l’avvenuta certificazione sia immediatamente percepibile da parte del consumatore, l’azienda può apporre sulla confezione un contrassegno, fornito dalla società di certificazione, come testimonianza del rispetto dei requisiti dichiarati nel disciplinare di produzione.

Problematiche per la protezione giuridica dei prodotti agroalimentari tradizionali

Alcuni prodotti tradizionali potranno fregiarsi, dopo aver superato il previsto iter, delle attestazioni comunitarie, mentre per la restante e maggiore parte di essi si pone un problema di tutela. Tale categoria, infatti, pur essendo stata inserita nel D.M. n. 350/99 risulta in contrasto con il diritto comunitario, qualora adotti denominazioni legate al territorio (esempi: “Ciliegie di Pecetto”, “Asparagi di Santena”, ecc.).

La politica di qualità, sempre più perseguita dai produttori e dalle istituzioni pubbliche, necessita di ottenere una inconfutabile tutela.

Durante la conferenza del WTO, tenutasi a Doha, Qatar, nella parte relativa agli aspetti commerciali legati alla proprietà intellettuale, la Dichiarazione Ministeriale (documento fondamentale che, ogni due anni, in occasione della Conferenza dei Ministri del Commercio di tutti gli Stati membri, fissa modalità e tappe per i lavori futuri) ha previsto l’istituzione di un sistema multilaterale di notificazione e di registrazione delle indicazioni geografiche dei vini e delle bevande alcoliche entro la prossima Ministeriale. Successivamente, si potrà estendere analoga tutela anche ad altri prodotti del comparto agroalimentare (11).

L’agropirateria, nei Paesi comunitari del sud, rappresenta, da anni, un serio pericolo troppo a lungo trascurato. E’, pertanto, auspicabile che tali prodotti possano ottenere maggiore tutela contro imitazioni e concorrenza sleale.

La Francia è, da molti decenni, impegnata a proteggere le proprie produzioni agroalimentari di qualità. Infatti, introdusse con la Legge

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del 5 agosto 1960 ed il Decreto del 16 giugno 1983 i “labels”. Il label è “un marchio collettivo nazionale o regionale che attesta che un prodotto alimentare non trasformato possiede un insieme preciso di qualità e di caratteristiche determinate a priori, che costituiscono un livello di qualità superiore” (12).

Le condizioni per creare un label corrispondono ad un preciso disciplinare di produzione, certificato da una società di certificazione. Nel 1990, i labels erano 270. Tra i labels, quelli rossi sono di proprietà del Ministero dell’Agricoltura. Tra quelli nazionali citiamo la patata “Exellence Belle de Fontenay” con polpa consistente e molto apprezzata nel nord della Francia, l’ “Ail Rose de Lautrec”, nel Tarn, le “Olives de Nice”, le “Peches et Nectarines de la Drome”, ecc. Il

label regionale “Savoie” viene applicato per le mele (Idared, Matsu,

Melrose, Golden Delicious e Renetta Bianca del Canada) e le pere Passa Crassana.

Sarebbe, in ogni caso, auspicabile, possibilmente in sede comunitaria che i Paesi aventi una concezione produttiva fortemente legata al territorio, alla loro cultura e tradizione e favorevoli alla difesa delle varietà e specificità delle produzioni locali, intraprendessero delle azioni comuni in sede legislativa per introdurre strumenti normativi per proteggere giuridicamente tutti quei prodotti che per varie ragioni, non possono aspirare ad un riconoscimento DOP o IGP.

Nel 2000, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani presentò in Cassazione una interessante proposta di legge di iniziativa popolare sulla valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali locali (Denominazione Comunale di Origine - DE.CO) che, purtroppo, non raccolse un numero sufficiente di firme.

L’iniziativa aveva valenze sia economico-culturali sia turistiche ed era volta a valorizzare e tutelare quei prodotti di nicchia che rischiano l’estinzione e che, per motivi diversi, non rientrano nelle attuali norme di tutela.

Conclusioni

Le produzioni agro-alimentari tipiche e tradizionali legate al territorio rappresentano una realtà importante nel panorama economico italiano. In un prossimo futuro, potrebbero divenire strategiche per passare da una logica competitiva basata

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esclusivamente sul prezzo, tipico effetto della globalizzazione dei mercati, a strategie valorizzanti altri aspetti del marketing-mix, con particolare riferimento alle intrinseche qualità del prodotto.

Questo patrimonio di prodotti, pur avendo grandi potenzialità, ha anche una serie di problematiche di tipo economico, strutturale e culturale. Da un’indagine svolta presso i Consorzi di tutela dei prodotti DOP e IGP, sono emerse le principali criticità per lo sviluppo delle filiere tipiche: scarsa conoscenza da parte del consumatore dei marchi di tutela dei prodotti, concorrenza sleale da parte di prodotti succedanei ed esigenza di interventi e di investimenti sulla filiera di produzione (13).

In quest’ambito, è necessario conoscere in termini quantitativi quali siano gli spazi di successo dei prodotti tipici e tradizionali. Accanto ai prodotti come il Prosciutto di Parma, il Prosciutto San Daniele, lo Speck dell’Alto Adige, il Prosciutto Toscano, il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano, il Gorgonzola ed il Provolone Valpadana, che si sono imposti sia sul mercato nazionale che in quello internazionale, altri manifestano quelle problematiche prima evidenziate.

Le linee d’intervento per lo sviluppo delle produzioni di nicchia devono prevedere azioni volte all’accrescimento delle conoscenze dei consumatori sul significato degli strumenti comunitari e nazionali, a supporto dei prodotti tipici e tradizionali. In particolare, potrebbero essere previsti progetti per valorizzare e caratterizzare alcune produzioni nazionali, anche grazie ad un’organizzazione efficiente delle filiere dei prodotti tipici e tradizionali ed alla promozione di sinergie con tutti gli attori del territorio.

Bibliografia

1) S. VENTURA, L’origine dei prodotti e la promozione collettiva

agroalimentare: aspetti giuridici, Eurocarni Aprile 2000

2) F. CAPELLI, La protezione giuridica dei prodotti agro-alimentari di

qualità e tipici in Italia e nell’Unione Europea, Diritto

Comunitario e degli Scambi Internazionali, Anno XL n. 1, 2001. 3) F. PERCIVALE, G. PEIRA, E. VARESE, Il monitoraggio di prodotti

tipici: normativa e metodi, L’assaggiatore, n. 79, 2000, pag 19.

4) F. PERCIVALE, G. PEIRA, L’etichettatura dei prodotti alimentari,

(31)

5) S. M. CARBONE, La rilevanza dello “stadio produttivo rilevante”

nella tutela comunitaria e nazionale dei prodotti di origine controllata, relazione presentata al Convegno “La tutela dei

prodotti di origine controllata tra competenze comunitarie e competenze locali: collaborazione tra industria e agricoltura”, Cuneo, 20 ottobre 2001.

6) FAUSTO CAPELLI, Dop tradite ora Bruxelles vuole “smontare” i

disciplinari, Supplemento Cibus di Agrisole 10-16 maggio 2002

7) M. GIMONDO, A proposito di prodotti tradizionali e a

denominazione, in Quaderni della Regione Piemonte, Agricoltura,

n° 21, aprile 2000, p. 24.

8) L. THIONE, Certificazione di prodotto volontaria e cogente, in “De

Qualitate”, (1999), n. 5, p. 27.

9) E. CIANETTI, Criteri generali per la certificazione dei prodotti, in

“De Qualitate”, (2000), n. 7, p. 17.

10) S. TORNELLI, La certificazione di prodotto come garanzia per il

consumatore finale, relazione presentata al Convegno

Certificazione volontaria e regolamentata dei prodotti alimentari, organizzato dall’AITA, 6 aprile 2001.

11) STEFANO SANTACROCE, Doha: la nave è salpata, http://www.mincomes.it, 18 maggio 2002.

12) M. BRU, La qualità: definizione, norme, labels, denominazione

d’origine, marchio, in Atti del Meeting Internazionale “La qualità

dei prodotti agricoli e loro certificazione, 19-20 maggio 1992 Ivano Fracena di Valsugana - Trento

13) Prodotti tipici e sviluppo locale, VIII RAPPORTO NOMISMA sull’agricoltura italiana promosso da Coldiretti e Veronafiere, Il Sole 24 Ore, 24 Ore Agrisole.

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(33)

L

A

T

RACCIABILITÀ DI

F

ILIERA

:

S

TRUMENTO DI

V

ALORIZZAZIONE DEI

P

RODOTTI

A

GROALIMENTARI

Paolo Masoero, Francesco Pugno, Fabrizio Stecca

Think Quality S.r.l.

La Tracciabilità di filiera. Definizione.

Con il termine tracciabilità si intende “la capacità di risalire alla storia di un prodotto alimentare”. La Norma UNI 10939, emanata nell’aprile dello scorso anno, definisce la tracciabilità come la “Capacità di ricostruire la storia e di seguire l’utilizzo di un prodotto mediante identificazione documentale (relativamente ai flussi materiali ed agli operatori di filiera)”.

La tracciabilità di filiera consiste, quindi, nella identificazione delle aziende che hanno contribuito alla formazione di una unità di prodotto materialmente e singolarmente identificabile. Tale documentazione è basata sul monitoraggio documentato dei flussi materiali dal produttore della materia prima fino ad un utilizzatore interessato.

Tracciabilità e Sicurezza alimentare.

Il ragionamento attorno alla Tracciabilità di filiera è nato, come noto, attorno al tema della sicurezza alimentare per prevenire le emergenze sanitarie e recuperare la fiducia del consumatore.

Il dibattito è vivo tuttora perché la realizzazione di un processo di tracciabilità che coinvolga tutte le filiere produttive dei vari settori agroalimentari sarà un processo lungo che metterà in gioco vari attori: associazioni di categoria, organismi rappresentativi dell’industria alimentare, della distribuzione, dei consumatori, e organismi di carattere istituzionali e scientifico, Indocod. Alcune Regioni Italiane, Emilia-Romagna in testa, hanno varato progetti di legge finalizzati a

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favorire la tracciabilità di filiera e il Ministro delle Risorse Agricole ha annunciato una legge per la fine del 2002.

Come si è accennato, la direzione è quella della prevenzione igienico-sanitaria e della tutela del consumatore.

La tracciabilità di filiera, però, non è solo questo (o almeno così la pensiamo noi di Think Quality).

Essa, infatti, è anche un formidabile strumento per la valorizzazione dei prodotti e dei relativi territori.

Essere in possesso della storia di un lotto di prodotto significa avere nelle mani un “giacimento informativo” che può generare, se opportunamento trattato e trasferito al mercato, un valore talvolta anche superiore allo stesso prodotto “reale”, in modo analogo a quanto già realizzato attraverso la politica dell’immagine, dalle più note “griffe” del settore agroalimentare.

La Tracciabilità di filiera e il marketing del prodotto: la proposta di Think Quality.

La tracciabilità come metodo per raccogliere dati di processo, come strumento di controllo dello stesso e per identificare le responsabilità di tutti i soggetti della filiera, si realizza attraverso un organico ed efficiente sistema documentale, in conformità a uno schema di tracciabilità.

Da tale base informativa Think Quality ha concepito un sistema di tracciabilità e marketing plurilivello rappresentato in Figura 1 nel suo complesso e che di seguito andiamo sinteticamente a descrivere.

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FILIERE AGROALIMENTARI

SISTEMA DI COMUNICAZIONE/MARKETING SISTEMA DI RINTRACCIABILITÀ

SISTEMA DEI SEGNI DI QUALITÀ

P R O D U T T O R I C O N S U M A T O R I SISTEMA DOCUMENTALE SISTEMA INFORMATICO

Figura 1 – Il Sistema di Valorizzazione e Marketing © di Think Quality.

A. Il Sistema Documentale: è rappresentato dall’insieme delle procedure, moduli, istruzioni, dai patti di filiera e capitolati d’acquisto e dal disciplinare tecnico di filiera. Tale sistema si articola su 4 livelli secondo quanto indicato in Figura 2.

I LIVELLO II LIVELLO III LIVELLO IV LIVELLO

Declaratorio Documenti dellafiliera tracciata documentazioneDella

supplementare Divulgativo

Elenco delle

aziende che hanno contribuito alla formazione del prodotto La prova documentale che le aziende elencate al I livello sono quelle- tutte e quelle soltanto-responsabili della formazione del prodotto

Dati analitici o dati di controllo dei parametri di processo. Documentazione fotografica e documentale sulla identità delle

aziende che hanno contribuito alla formazione del prodotto.

Figura 2 - I livelli di “trasparenza”(metodologia proposta da Claudio Peri)

B. Il Sistema Informatico: è lo strumento per la gestione di tutti i dati del processo produttivo dal campo al prodotto finito. Pertanto

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prendendo ad esempio la filiera vitivinicola il sistema informatico gestirà : - la vigna - la cantina - il confezionamento nonché : - la cartografia 2D e 3D

- il collegamento con i laboratori d’analisi

- il collegamento con i tecnici (agronomi ed enologi) - gli approvvigionamenti

- il controllo di gestione

- i sistemi documentali della qualità.

Il tutto non soltanto in termini dinamici ma, ovviamente, anche in termini storici con evedenti vantaggi per la gestione e la capacità di miglioramento del prodotto-processo.

C. Il Sistema di Rintracciabiltà: è costituito dall’insieme delle tecnologie (hardware, software, telefonia cellulare, internet, codici a barre, ecc..) che consentono di realizzare la tracciabilità “ascendente” (risalire alla storia del prodotto) e “discendente” (rintracciabilità, localizzazione sul mercato di un lotto di merce). Quanto detto configura la possibilità di gestire la cosiddetta rintracciabilità estesa (Figura 3) che si concretizza attraverso l’utilizzo di un sistema informatico che, nell’ambito di un “patto di filiera”, prevede:

- un database del produttore (software di gestione dell’intero processo produttivo);

- un database di filiera (scambio delle informazioni tra i vari soggetti della filiera: produttore-trasformatore-distributore);

- un database di marketing (per comunicare con il cliente intermedio e finale).

In tale contesto tecnologico le informazioni saranno rese disponibili attraverso varie modalità di accesso non solo agli operatori della filiera ma anche alle autorità sanitarie, agli organismi di

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certificazione, agli enti territoriali di tutela dei prodotti e dei consumatori. WEB WAP FAX DB MKT DB TRACK AZIENDA

Figura 3 – La rintracciabilità estesa ©Think Quality s.r.l. 2002

D. Il Sistema di Comunicazione e Marketing: si tratta della parte strategica del Sistema TQ finalizzata alla valorizzazione dei prodotti tracciati ed a realizzare la comunicazione con il mercato e il consumatore.

Il sistema si propone di creare “Prodotti Virtuali” da affiancare ai “Prodotti Reali” che il cliente sta acquistando o consumando. Così, via cellulare, palmare, web, info-point, il cliente intermedio o finale potrà avere accesso tramite “il codice lotto” alle “etichette virtuali” o alla “scheda prodotto” o alla “scheda azienda” o alla “scheda territorio” ovvero ad insiemi informativi articolati per destinatario e creati appositamente sulla base di un “progetto editoriale” multilingue studiato in chiave marketing con il produttore o con l’ente territoriale promotore dell’iniziativa. L’obiettivo è quello di creare nuovo valore

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®

ai prodotti (e quindi un premium price per il produttore) attraverso la trasparenza e la ricchezza informativa fruibile anche nei momenti più sensibili dal punto di vista emotivo (ad esempio a tavola con gli amici).

E. Il Sistema di Segni della Qualità: a complemento di quanto detto al punto D il prodotto tracciato potrà essere evidenziato al consumatore attraverso l’utilizzo di segni specifici. Think Quality propone il marchio “ProdottoTracciato” (Figura 4) e un sistema di

rating (le sferette di Think Quality – Figura 5) per indicare i vari

livelli tracciabilità.

Figura 4 il logo PRODOTTOTRACCIATO

Figura 5 Il Sistema di rating: le sferette Think Quality

Conclusioni

Tracciabilità e burocrazia

Il timore di burocratizzazione che sempre aleggia quanto di parla di tali temi, deve essere superato dai vantaggi che può offrire la raccolta dettagliata delle informazioni di processo, dal campo alla tavola. La produzione agroalimentare di alta gamma, quale è quella dei prodotti tradizionali, non può prescindere dalla raccolta e archiviazione dei dati di processo. Queste informazioni acquistano importanza nel tempo,

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prodotto durante la sua evoluzione, di controllare i costi di produzione, di identificare le responsabilità interne (operatori) ed esterne (clienti e fornitori).

Tracciabilità come fattore di competitività

“Tracciare” ovvero, legare tra loro informazioni dal campo alla tavola, rafforzando quel patto di filiera agricoltore-trasformatore che si sta rivelando uno dei punti di forza del rinascimento dell’agroalimentare tradizionale italiano e “rintracciare” ovvero la possibilità di un percorso a ritroso dalla tavola al campo per rafforzare il legame consumatore-produttore, sono ambedue fattori ineludibili per fare oggi qualità, garantire sicurezza e generare soddisfazione per il cliente.

Tali possibilità non sono state ancora sufficientemente studiate e approfondite sotto il profilo tecnico e marketing ma sono già ora e lo saranno sempre più in futuro dimensioni competitive con le quali non solo il singolo produttore ma anche tutto il sistema produttivo agroalimentare dovrà fare i conti per generare, più valore, più ricchezza, più capacità di fronteggiare le minacce dei nuovi players internazionali.

In definitiva, riteniamo che siano ormai maturi i tempi per passare dai tradizionali Sistemi Qualità agli innovativi Sistemi di

Valorizzazione dei Prodotti Agroalimentari realizzati sulla base dei

(40)
(41)

P

RODOTTI AGROALIMENTARI LOCALI

E TECNICHE DI ANALISI SENSORIALE

Luigi Odello

Centro Studi e Formazione Assaggiatori

L’annosa discussione sull’esistenza del buono oggettivo pare destinata a spegnersi, o perlomeno a sopirsi, e con essa il folcloristico dibattito sulla famosa tesi “è buono ciò che piace”.

Questo non perché le parti avverse siano giunte a un accordo, quanto per il fatto che, alla luce del moderno pragmatismo, la cosa non interessa più di tanto, nonostante la ricerca sulla definizione delle caratteristiche organolettiche degli alimenti stia coinvolgendo i vertici di famosi atenei e il top management delle multinazionali che si occupano di cibi e bevande.

L’orientamento moderno in materia viene infatti vissuto in chiave di marketing per cui l’ambizione di fare un prodotto universalmente eccellente è sostituita con la più pragmatica tendenza a mettere a listino cibi e bevande che incontrino i gusti del consumatore, o meglio di quella fascia di consumatori definita come target.

Dietro ogni etichetta distintiva di un prodotto di marca si muovono, quasi sempre fuori del campo visivo dei professionisti dell’ospitalità, dei buyer della distribuzione moderna e dei consumatori attenti, ricercatori universitari, esperti e tecnici di una nuova scienza: l’analisi

sensoriale.

Ora, se questa disciplina può essere, seppure con molti limiti, applicata secondo l’ortodossia americana ai prodotti industriali, per i prodotti agroalimentari tipici ha dovuto essere profondamente innovata in funzione di un vincolo fondamentale: la tipicità. Infatti, mentre l’industria può liberamente muoversi verso quello che piace alla gente, i prodotti che hanno una forte aderenza al territorio non possono perdere le loro caratteristiche distintive, pena la caduta del loro stesso valore, ma solo individuare ed enfatizzare le loro peculiarità più pregiate. Proprio in Italia si è quindi messo a punto un

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sistema che consente di cogliere, nell’ambito della produzione di una zona, i tipi maggiormente graditi a un certo target di clienti e di descriverli compiutamente sotto il profilo del percepito al fine di progettare un’innovazione che ne garantisca il successo senza deprimere la loro tipicità.

In questa relazione noi ci soffermeremo quindi solamente sui due tipi di test che consentono il raggiungimento di questo obiettivo: Stratus Tasting e Trialtest. Entrambi sono stati messi a punto con l’autorevole collaborazione delle università di Torino, Udine, Brescia e dell’Università Cattolica nel corso di una sperimentazione che dura ormai da sette anni.

I test sul consumatore: Stratus Tasting

Stratus Tasting è un metodo per svolgere test sul consumatore

mediante l’organizzazione di banchi di assaggio ai quali ogni soggetto interessato o incuriosito può partecipare liberamente, senza alcuna limitazione.

Attraverso la degustazione di campioni presenti ad un banco di assaggio, organizzato durante un evento in cui si possa avere un notevole afflusso di consumatori attenti, di operatori dell’ospitalità, di

opinion leader, e la simultanea compilazione di una

scheda-questionario, Stratus Tasting consente di:

 determinare l’accettabilità di uno o più prodotti da parte di gruppi di consumatori il cui profilo viene individuato durante il test medesimo;

 discriminare e pesare i fattori che determinano il livello di preferenza e/o di insoddisfazione dei consumatori tramite la determinazione del profilo sensoriale dei prodotti e lo studio della struttura di correlazione tra questo e le preferenze;

 individuare fasce elettive di consumatori per il prodotto considerato

Il metodo viene applicato soprattutto per:

scoprire nuovi target per prodotti di un’azienda (prodotti a listino);

 individuare cause di insuccesso dei prodotti;

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 verificare il grado di accettabilità di nuovi prodotti;  migliorare l’accettabilità di prodotti a listino;

ricevere input per la realizzazione di nuovi prodotti.

I banchi di assaggio gestiti dal Centro Studi e Formazione Assaggiatori di Brescia, organizzati prevalentemente in occasione di fiere, italiane (Vinitaly, Expo Food, Alimenta, Cibus, Mia ecc.) ed estere (ProWein, Vinexpo), hanno codificato quasi 70.000 assaggi tra vini, acqueviti, caffè, olio, formaggi, aceto balsamico di Modena, ecc.

Lavori scientifici ricavati dai banchi di assaggio, anche in collaborazione con docenti e ricercatori dell’Università di Brescia, Piacenza, Torino e Udine, sono stati presentati, per esempio, all’Accademia della Vite e del Vino e al congresso dell’Office

Internationale de la Vigne et du Vin tenutosi in Argentina nel 1997,

suscitando notevole interesse per la possibilità che tale metodologia ha nel determinare la crescita di un prodotto tipico attraverso la soddisfazione del consumatore.

Un esempio particolarmente interessante ha riguardato il

Valcalepio Doc che, attraverso un’indagine sulle preferenze del

consumatore e la determinazione dei profili sensoriali compiuta da un

panel appositamente costituito, ha potuto ottenere la certificazione per

prodotti con particolari caratteristiche sensoriali. Con una procedura analoga il caffè ha ottenuto la certificazione Espresso Italiano.

I giudizi di preferenza dei consumatori vengono raccolti in una apposita scheda strutturata in due sezioni: una per la determinazione del profilo anagrafico funzionale del campione esaminato, l’altra per la determinazione vera e propria dell’indice di preferenza.

I dati così raccolti vengono opportunamente inseriti in un

data-base e poi si procede alla elaborazione degli stessi.

L’analisi dei risultati rappresenta la fase finale di un test sul consumatore. Da essa si dovranno trarre importanti informazioni riguardo:

 il grado di attraenza dei campioni testati, misurabile attraverso il numero di volte che un prodotto è stato assaggiato;

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 il grado di preferenza del consumatore per ogni prodotto e l’individuazione di un eventuale target;

 l’incidenza delle diverse percezioni sensoriali sull’indice globale di preferenza;

 le differenze tra prodotti riscontrate dai consumatori a livello sensoriale

Trialtest: test ad alta utilità informativa

Trialtest appartiene ai test descrittivi e il suo nome deriva dal fatto che in una sola sessione di analisi sensoriale consente di richiedere ai giudici informazioni su tre aspetti del prodotto: la misurazione degli attributi codificati di tipo quantitativo (oggettivo) e di quelli di tipo qualitativo (soggettivo), nonché di aspetti non codificati (descrittori liberi).

Il metodo, messo a punto dal Centro Studi e Formazione Assaggiatori, è stato validato da docenti dell’Università di Udine, dell’Università Cattolica di Piacenza e dell’Università di Brescia. Oggi è utilizzato anche all’estero, sia a livello di imprese che nell’ambito del mondo accademico.

I test ad alta utilità informativa rappresentano, nel campo dell’analisi sensoriale applicata, la maggiore innovazione degli ultimi tempi. Il loro obiettivo è quello di ottenere la massima informazione, con un elevato grado di attendibilità, in tempi ridotti, impiegando un panel di giudici esperti e tecniche statistiche mirate.

I test ad alta utilità informativa nascono da alcune considerazioni che stanno assumendo, nell’analisi sensoriale di laboratorio, la fisionomia del postulato:

 il valore di un test di analisi sensoriale è strettamente correlato alla capacità dei giudici che compongono il panel;

 l’onere maggiore di un test di analisi sensoriale è rappresentato dalle risorse umane impiegate (tempo dedicato alla formazione dei giudici e tempo dei medesimi nell’esecuzione del test);

 operando con un disegno sperimentale adeguato, con giudici esperti di elevata capacità e particolarmente allenati, nonché con l’ausilio di un idoneo strumento per la registrazione dei dati, è possibile aumentare in modo considerevole la massa di informazione grezza

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 trattando i dati ricavati con mirate tecniche statistiche si può giungere a sintesi dei risultati capaci di evidenziare diversi aspetti del prodotto in analisi, a valutare con un alto grado di sicurezza l’attendibilità del test e a ottenere la massima estrazione dell’informazione latente.

 i risultati possono essere correlati sia con quelli dell’analisi strumentale (biologica, chimica e fisica, nasi elettronici non esclusi), sia con quelli di mercato (test sul consumatore, indagini sulle tendenze sociali, vendite ecc.), per completare il quadro informativo.

I test ad alta utilità informativa vengono quindi utilizzati nella caratterizzazione dei prodotti alimentari per definirne in modo preciso e ripetibile la qualità percepita al fine di:

 giungere alla loro tutela e promozione attraverso norme che ne preservano la tipicità e/o mediante la certificazione della qualità;  impostare adeguatamente l’innovazione tecnologica per migliorare

il prodotto o per mantenerne stabili le caratteristiche di pregio al variare delle condizioni della filiera produttiva;

 sostituire ingredienti senza che venga a modificarsi il profilo sensoriale del prodotto;

 valutare la tenuta nel tempo del prodotto stimandone in modo preciso l’evoluzione delle caratteristiche percepibili dal consumatore;

 verificare in modo analitico le diversità nell’ambito della medesima tipologia;

 stimare il valore edonico dei prodotti per ridurre gli oneri derivanti dal test sul consumatore;

 individuare i fattori che migliorano o deprimono il valore edonico del prodotto.

Vediamo, quindi, pur sommariamente, le informazioni ricavabili dal test.

Profilo descrittivo semantico

E’ la descrizione del percepito attraverso termini liberamente espressi dai giudici. Ha due funzioni essenziali: da una parte la

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